Soglie di povertà

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Su questo numero La rivista dell’Osservatorio Caritas Torino n.1 • marzo 2010 2 Vulnerati e nuovi poveri nell’Italia in crisi 4 Contro la povertà attivare i doveri di solidarietà 5 In Italia povertà occulte e deficit di speranza 6 80 milioni di poveri nella ricca Europa 7 Anno europeo 2010 di lotta alla povertà 8 Una rete europea contro la povertà 9 Caritas Europa: obiettivo “Zero poverty” 10 In aumento ma “invisibili” i poveri a Torino 11 Le nuove richieste ai Centri di ascolto torinesi 12 In precario equilibrio: un’analisi partendo dalle persone 12-16 Cronologia della crisi 17-19 Glossario della povertà 20 Caritas Torino: animare alla vera carità Editoriale Soglie di povertà di Tiziana Ciampolini A rriva un nuovo strumento dell’Osservatorio Caritas Torino: è “punti di vista”, una rivista monografica che per ora avrà un’uscita seme- strale, corredata da un DVD che ha lo scopo di aiutare tutti coloro che sono interessanti a saperne di più “sulle forme di vita” che oggi la povertà assume e gli operatori dei servizi ad animare il dibattito, la conoscen- za, l’informazione intorno ai temi che riguardano la po- vertà. Abbiamo scelto di produrre cultura attraverso una rivista perché riteniamo che in questo momento di rapidi cambiamenti sociali sia più immediato ed efficace fornire informazioni e notizie di facile fruibilità. La forma della ricerca scientifica (strumento che non abbandoniamo) richiede molto tempo per essere prodotta e non sempre coglie i fenomeni in tempo reale. Nel kit “punti di vista” trovate la nostra rivista che guarda alle nuove forme di povertà utilizzando uno sguardo eu- ropeo, italiano e locale, analizza i dati prodotti dalle ricer- che realizzate nel 2009 sull’argomento, intervista esperti, fornisce informazioni che provengono dal mondo acca- demico e da quello degli esperti sul campo, presenta una cronologia della crisi che ci ha investito nell’ultimo anno – che ci porta a parlare non più di persone “vulnerabili” ma di persone “vulnerate” –, propone un glossario delle parole che più frequentemente si usano quando si parla di fenomeni di povertà e molto altro ancora. Alla rivista è allegato un DVD. Alcuni esperti parlano in modo semplice e chiaro delle diverse sfaccettature della povertà, offrendo la propria competenza di ana- lisi dei fenomeni, altre persone ci raccontano storie, vere: famiglie, donne separate, persone in cerca di la- voro, immigrati narrano le loro strategie per farcela, nonostante la crisi, ci mostrano in pratica, con le loro esperienze, ciò che gli esperti enunciano in termini analitici. Il DVD contiene anche materiale didattico (dati, documenti, link a siti web) che potete utilizzare segue a pag. 20

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rivista dell'Osservatorio Caritas Torino - n 1 marzo 2010

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La rivista dell’Osservatorio Caritas Torinon.1 • marzo 2010

2 Vulnerati e nuovi poveri nell’Italia in crisi • 4 Contro la povertà attivare i doveri di solidarietà •

5 In Italia povertà occulte e deficit di speranza • 6 80 milioni di poveri nella ricca Europa •

7 Anno europeo 2010 di lotta alla povertà • 8 Una rete europea contro la povertà • 9 Caritas Europa:

obiettivo “Zero poverty” • 10 In aumento ma “invisibili” i poveri a Torino • 11 Le nuove richieste

ai Centri di ascolto torinesi • 12 In precario equilibrio: un’analisi partendo dalle persone • 12-16

Cronologia della crisi • 17-19 Glossario della povertà • 20 Caritas Torino: animare alla vera carità

Editoriale

Soglie di povertà

di Tiziana Ciampolini

Arriva un nuovo strumento dell’Osservatorio Caritas Torino: è “punti di vista”, una rivista monografica che per ora avrà un’uscita seme-strale, corredata da un DVD che ha lo scopo

di aiutare tutti coloro che sono interessanti a saperne di più “sulle forme di vita” che oggi la povertà assume e gli operatori dei servizi ad animare il dibattito, la conoscen-za, l’informazione intorno ai temi che riguardano la po-

vertà. Abbiamo scelto di produrre cultura attraverso una rivista perché riteniamo che in questo momento di rapidi cambiamenti sociali sia più immediato ed efficace fornire informazioni e notizie di facile fruibilità. La forma della ricerca scientifica (strumento che non abbandoniamo) richiede molto tempo per essere prodotta e non sempre coglie i fenomeni in tempo reale. Nel kit “punti di vista” trovate la nostra rivista che guarda alle nuove forme di povertà utilizzando uno sguardo eu-ropeo, italiano e locale, analizza i dati prodotti dalle ricer-che realizzate nel 2009 sull’argomento, intervista esperti, fornisce informazioni che provengono dal mondo acca-demico e da quello degli esperti sul campo, presenta una cronologia della crisi che ci ha investito nell’ultimo anno

– che ci porta a parlare non più di persone “vulnerabili” ma di persone “vulnerate” –, propone un glossario delle parole che più frequentemente si usano quando si parla di fenomeni di povertà e molto altro ancora. Alla rivista è allegato un DVD. Alcuni esperti parlano in modo semplice e chiaro delle diverse sfaccettature della povertà, offrendo la propria competenza di ana-lisi dei fenomeni, altre persone ci raccontano storie, vere: famiglie, donne separate, persone in cerca di la-voro, immigrati narrano le loro strategie per farcela, nonostante la crisi, ci mostrano in pratica, con le loro esperienze, ciò che gli esperti enunciano in termini analitici. Il DVD contiene anche materiale didattico (dati, documenti, link a siti web) che potete utilizzare

segue a pag. 20

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Vulnerati e nuovi poveri nell’Italia in crisiDal punto di vista delle ricadute sociali ho

l’impressione che gli effetti della crisi li cominciamo a vedere solo adesso, ma in ogni caso la situazione è già cambiata:

oggi i vulnerabili sono diventati vulnerati». L’ama-ra ma realista constatazione della situazione italiana attuale è di Marco Revelli, presidente della Commis-sione di indagine sulla povertà e l’esclusione sociale, secondo il quale stiamo assistendo a «uno sposta-mento verso il basso di tutta la società». Così, alle persone che già si trovavano in condizioni di povertà, soprattutto nelle aree più deboli del Paese, si stanno aggiungendo dei “nuovi poveri”, i poveri “occulti”, cioè persone che si sforzano di mantenere lo stesso stile di vita o la stessa immagine di sé che avevano prima della crisi ma che ora non possono più per-metterselo. Si tratta di migliaia di famiglie che fino a due o tre anni fa si consideravano sicuramente al di sopra del rischio di povertà e per le quali l’im-poverimento diventa scioccante, osserva Revelli, «un trauma che si riverbera sulla stima di sé, sui rapporti familiari, sullo stato psicologico generale che deter-mina depressione, autoemarginazione, litigiosità e tutto questo apre spesso una reazione a catena».

La situazione italianaOggi in Italia si stimano circa 10,5 milioni di persone in condizioni di “povertà relativa”, il che equivale al 17,7% circa della popolazione complessiva. La stima è contenuta nel Rapporto 2009 su povertà ed esclusione sociale in Italia curato da Caritas italiana e Fondazione Zancan. Si tratta di una stima basata sulle rilevazioni Istat 2009 che, analizzando i dati 2008, ipotizzavano 2,7 milioni di famiglie italiane povere (11,3% del to-tale delle famiglie) per un totale di oltre 8 milioni di persone in povertà relativa a fine 2008, cui si aggiun-gevano però oltre 2 milioni di persone che superavano solo del 10% la soglia di povertà (soglia che nel 2008 era di 999,67 euro per una famiglia di due compo-nenti). Il Rapporto Caritas/Zancan ritiene «verosimi-le pensare» che la crisi economico-sociale dell’ultimo anno abbia diminuito il potere d’acquisto di tutte le famiglie e che, di conseguenza, abbia ridotto il picco-lo margine che separava quei 2 milioni dalla soglia di povertà: così, si ipotizza che la crisi abbia accresciuto il numero di poveri in Italia del 4%, portandolo com-plessivamente a oltre 10 milioni. Di questi, circa 3 mi-lioni vivono poi in condizioni di “povertà assoluta” (il 5% circa della popolazione), cioè con una qualità di vita al di sotto del “minimo accettabile” e quindi non in grado di acquisire beni e servizi che permettono loro di evitare gravi forme di esclusione sociale.

Crisi e impoverimentoLa crisi economica dell’ultimo anno ha avuto ri-cadute sociali rilevanti anche in Italia, creando un impoverimento diffuso che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone appartenenti alla classe media o medio-bassa. L’incertezza del lavoro, le difficoltà eco-

nomico/finanziarie e i dubbi sul futuro hanno così interessato titolari di contratti a termine, lavoratori “a progetto” o autonomi, operai e impiegati che han-no perso il posto di lavoro spesso senza indennità di disoccupazione. La sorte più grave ricade sui lavora-tori precari, sottolinea il Rapporto Caritas/Zancan, con centinaia di migliaia di giovani che si erano ag-grappati alla prospettiva della flessibilità e che si sono ritrovati senza lavoro, «per di più con ammortizzato-ri sociali inesistenti o del tutto insufficienti». Come evidenzia lo studio Dimensioni della disugua-glianza in Italia (a cura di A. Brandolini, C. Saraceno

e A. Schizzerotto), nell’attuale congiuntura economi-ca i nessi tra situazione lavorativa e condizione econo-mica delle famiglie meritano particolare attenzione: «Il più elevato rischio di povertà per coloro che vivo-no in famiglie in cui tutti gli occupati hanno impieghi atipici, specialmente se a termine, è controbilanciato dalle maggiori opportunità di lavoro che queste oc-cupazioni offrono (…). Se questo meccanismo com-pensativo può funzionare in un periodo di crescita dell’economia, esso rischia di venir meno in una fase di profonda recessione come quella presente». I lavo-ratori parasubordinati o con contratti a termine sono

così allo stesso tempo i più esposti alla perdita dell’im-piego e anche i meno pro-tetti dagli ammortizzatori sociali, causa l’elevata frammentarietà dei loro percorsi professionali. In una situazione in cui mol-te persone hanno risorse patrimoniali limitate, in-sufficienti a garantire stan-dard di vita minimi anche per brevi periodi, osserva lo studio, «assume rilievo la debolezza della rete di protezione sociale italiana e soprattutto la mancanza di strumenti di sostegno al reddito nelle condizioni di maggiore difficoltà econo-mica».

Istat: meno reddito e più debiti per le famiglie italiane

A fine 2009 l’Istat ha reso nota l’indagine campionaria annuale Reddito e condizioni di vita, effettuata nell’ultimo trimestre del 2008 su un campione di circa 21.000 famiglie. Cresce, rispetto all’anno precedente, la quota di famiglie che dichiara di arrivare alla fine del mese con molta difficoltà (il 17%, contro il 15,4% del 2007); aumentano le famiglie che non riescono a provvedere regolarmente al pagamento delle bollette (11,9%, contro l’8,8% del 2007) e all’acquisto di abiti necessari (18,2%, contro il 16,9%). Significativo l’incremento delle famiglie cui è capitato di non avere soldi sufficienti per pagare le spese per i trasporti (8,3%, contro il 7,3% del 2007) e di quelle che sono in arretrato con il pagamento del mutuo (7,1% di quelle che hanno un mutuo, contro il 5%). Quasi un terzo delle famiglie (31,9%) ha poi riferito di  non essere in grado di far fronte ad una spesa imprevista di 750 euro con risorse proprie.Dal punto di vista territoriale, l’Italia meridionale e insulare mostra un ulteriore peggioramento della situazione. Tra il 2007 e il 2008, infatti, è aumentata la percentuale di famiglie che arriva con molta difficoltà a fine mese (dal 22% al 25,6%), al contrario di quanto avviene nel Nord e nel Centro dove tale quota è rimasta sostanzialmente stabile (nel 2008, rispettivamente, il 12,6% e il 14,3%). Comune a tutte e tre le ripar-tizioni geografiche l’incremento di famiglie che sono state in arretrato con le bollette (nel 2008, il 9% al Nord, l’11,7% al Centro e il 16,7% al Sud) e di quelle che hanno avuto difficoltà a pagare il mutuo (6% al Nord, 7% al Centro e 11,2% al Sud). Le difficoltà economiche al Sud riguardano soprattutto Sicilia, Campania, Calabria e Puglia, mentre tra le regioni del Nord e del Centro il Piemonte e il Lazio evidenziano maggiori segni di disagio con, rispettivamente, il 16,3% e il 17,1% delle famiglie che dichiaravano nel 2008 di arrivare a fine mese con molta difficoltà. (Fonte: Redattore Sociale)http://www.istat.it

2Povertà in Italia

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Vulnerati e nuovi poveri nell’Italia in crisi

In aumento la vulnerabilitàAlla nozione di povertà va dunque affiancata quella di “vulnerabilità”, che coglie una situazione dinami-ca di esposizione a fattori di rischio. Il Rapporto Istat 2009 stima che il rischio di vulnerabilità economica abbia interessato una persona su cinque nel corso del 2008 in Italia. L’Istat osserva alcune caratteristiche della vulnerabilità: è particolarmente elevata nelle regioni del Sud, dove interessa una famiglia su tre; cresce con il numero di figli, soprattutto se minoren-ni; circa 2,5 milioni di famiglie in Italia non dispon-gono di risorse per affrontare una spesa imprevista di 700 euro; 1,3 milioni di famiglie si sono ritrovate almeno una volta senza soldi per pagare alimenti, ve-stiti, trasporti e spese mediche; 1,5 milioni di fami-

glie denunciano alti rischi di arretrati nel pagamento di affitti e bollette, nonché maggiori limitazioni nella possibilità di riscaldare adeguatamente la casa.Il problema della sostenibilità delle spese familia-ri di base è evidenziato da alcuni dati resi noti nel giugno 2009: l’Enel ha comunicato che nel primo quadrimestre 2009 gli abbassamenti di potenza e i distacchi per morosità prolungata sono aumen-tati del 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; le famiglie in ritardo con il pagamento delle bollette del gas sono aumentate del 15%; gli sfratti per morosità nel pagamento degli affitti sono aumentati del 18%; l’80% circa delle famiglie paga le spese condominiali con 3-6 mesi di ritardo; è in aumento la percentuale di genitori che non paga la mensa scolastica per i figli.

Come affrontare la povertàSecondo l’analisi del Rapporto Caritas/Zancan, un piano efficace contro la povertà dovrebbe assumere alcune caratteristiche: «Privilegiare i più deboli, af-frontare la povertà nella sua complessità, adottare una strategia articolata, privilegiare la territorialità». Il Rapporto individua poi quattro situazioni che esi-gono particolare attenzione. A livello di concentrazioni sociali la famiglia: la po-vertà comporta un impegno politico da affrontare soprattutto in ottica di prevenzione e a vari livelli, di equità fiscale, dei servizi alla persona, dell’edilizia popolare, dell’occupazione; è necessario «ripensare il quadro del welfare, mettendo al centro la famiglia».A livello territoriale il Sud: oltre la metà dei “pove-ri assoluti” in Italia vivono nel Meridione; in Cam-pania, ad esempio, le richieste di aiuto rivolte alla Caritas sono aumentate del 50% in un anno. Nel ripartire dalla crisi, sostiene il Rapporto, «se si vuole costruire una situazione di giustizia si deve avere il coraggio di attribuire le risorse in parti diseguali».A livello socio-sanitario la non autosufficienza: lega-ta talvolta alla disabilità fisica o psichica e talvolta all’età avanzata, in ogni caso si tratta di persone senza risorse sufficienti e che necessitano di solidarietà. Si parla da anni di un Fondo per la non autosufficienza ma, osserva il Rapporto, «resta da verificare se esista a livello nazionale, se la sua consistenza sia adeguata e da quali fonti esso debba venire alimentato».A livello di composizione demografica gli immi-grati: in tempo di crisi sono tra le categorie più a rischio perché in gran parte lavoratori precari; vi-vono situazioni di particolare fragilità per la prov-visorietà della loro permanenza in Italia. Inoltre, il clima di intolleranza e di ostilità sviluppato nei loro confronti negli ultimi tempi dà la sensazione di essere tornati a un clima di razzismo. Eppure, gli immigrati contribuiscono a circa il 7% del PIL italiano, gestiscono 165.000 aziende con 200.000 lavoratori dipendenti, mandano oltre 6 miliardi di euro ai Paesi d’origine sotto forma di rimesse fi-nanziarie. L’aiuto che essi domandano, sottolinea il Rapporto, «è anzitutto un atto di giustizia, ma è nello stesso tempo un interesse per l’Italia e una scelta di buon senso».

Responsabilità a più livelliLa lotta alla povertà può però avere esito positivo solo con un impegno complessivo della comunità. Come osserva il Rapporto Caritas/Zancan, le perso-ne che vivono direttamente la condizione di pover-tà non devono essere solo destinatarie di interventi, come avviene nelle tradizionali forme di assistenziali-smo, ma devono essere coinvolte attivamente in tutti i passaggi del processo. La società civile, poi, è un soggetto di fondamentale importanza nella lotta alla povertà: perché il disagio dei poveri è aggravato dall’emarginazione sociale e perché «nella società fioriscono le espressioni più

qualificate di solidarietà che storicamente, in assenza dello Stato, sono state le uniche forme di aiuto e di assistenza ai poveri». Perciò dalla famiglia al volonta-riato, dalle realtà cooperativistiche al mondo dell’as-sociazionismo, tutte le componenti sociali vanno coinvolte e «devono organizzarsi per diventare forza di pressione nei confronti delle forze politiche e dei governi affinché il tema della lotta alla povertà entri sistematicamente nell’agenda politica».Infine lo Stato. A livello di governo centrale, che deve fissare le linee generali di un piano di lotta alla povertà, ma anche di governo regionale e comunale. I livelli territoriali sono infatti determinanti per l’at-tuazione di qualunque piano di lotta alla povertà e devono farsi carico di conoscere chiaramente il feno-meno a livello quantitativo e qualitativo nonché di valutare l’impatto e l’efficacia degli interventi, oltre a valorizzare e coordinare le risorse umane, strutturali e finanziarie presenti sul territorio.

Caritas Italiana:in aumento le

richieste di aiuto

La Caritas Italiana ha presentato a Roma, l’11 febbraio 2010, le iniziative che intende attuare nell’ambito dell’Anno europeo di lotta alla pover-tà e all’esclusione sociale, sottolineando tre segna-li individuati quali primi effetti in Italia della crisi economica: è in aumento il numero di persone che chiedono aiuto ai servizi delle Caritas, tra queste sono sempre di più gli italiani mentre tra gli stranie-ri immigrati crescono nuove povertà. Come osser-va il direttore della Caritas Italiana, mons. Vittorio Nozza, presso le Caritas italiane dal 2007 al 2008 si sono registrati incrementi medi di utenza pari a cir-ca il 20%: «Ad esempio, la Caritas Diocesana di To-rino riscontra un incremento delle richieste di aiuto ai Centri di ascolto nell’ordine del 25% dal mese di settembre 2008, per un totale di circa 50.000 utenti alla fine dell’anno, mentre a Como nel 2008 la Caritas Diocesana ha erogato oltre 26.000 pasti, il 17% in più rispetto all’anno precedente».Altro segnale preoccupante è la maggiore presenza di italiani tra i poveri che si presentano ai centri di ascolto. «A Treviso nel 2007 gli italiani che si rivolge-vano alla Caritas rappresentavano poco più del 18%, mentre nel 2008 sono stati il 22%. Nella diocesi di Termoli Larino, in Molise, in soli tre mesi, da no-vembre 2008 a gennaio 2009, gli utenti italiani sono passati dal 42% al 59%» sottolinea Nozza. Tra gli stranieri immigrati, invece, oltre alle nuove povertà come conseguenze della crisi si segnalano in parti-colare le “povertà di ritorno”, il calo delle rimesse fi-nanziarie ai Paesi d’origine e i ritorni in patria a cau-sa dell’insostenibilità della condizione di immigrato. Tra i bisogni espressi dalle persone rivoltesi alla Ca-ritas spiccano quelli di carattere economico, che ri-guardano circa il 54% degli stranieri e il 46% degli italiani. Per gli italiani seguono i problemi familiari (19,8%), mentre per gli stranieri dopo quelli eco-nomici sono i problemi abitativi (21,8%) ad essere pressanti. Tra le richieste espresse soprattutto beni e servizi materiali, sia per gli italiani (46%) ma soprat-tutto per gli stranieri (51,3%). Seguono le richieste di sussidio economico per gli italiani (21%) e le ri-chieste di lavoro per gli stranieri (33,5%). Secondo il direttore della Caritas Italiana è impor-tante sostenere in modo particolare due ambiti: quello del lavoro e quello delle famiglie, «laddove in pratica anche la crisi economica sta generando della grossa precarietà aumentando il rischio di povertà». Ma, aggiunge, «sarebbe una cosa ottima un reddito minimo di inserimento, di sostegno soprattutto alle persone che non hanno nessuna opportunità».(Fonte: Redattore Sociale)http://www.caritasitaliana.it

«Famiglie, volontaria-to, associazionismo, tutte le componenti sociali devono far en-trare il tema della po-vertà costantemente nell’agenda politica»

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La povertà è una “malattia secondaria”, deriva cioè da altre patologie “primarie”, quindi se non c’è uno sviluppo economico stabile ed equilibrato sia in termini di giustizia che in

termini di territorio, mancano le premesse per qual-siasi intervento di contrasto. È poi importante attivare tra i cittadini le energie della coscienza sociale e dei conseguenti doveri di solidarietà, a partire dall’obbligo di concorrere a formare le risorse indispensabili per attivare un nuovo ciclo di crescita e di redistribuzione. «È la vera sfida del bene comune» secondo Domenico Rosati, già presidente nazionale delle ACLI e collabo-ratore di Italia Caritas, col quale abbiamo parlato della povertà in Italia.

riferimento agli aggiornamenti metodologici che la ri-cerca presenta. In tale quadro va considerata l’elabora-zione dell’ultimo Rapporto della Commissione d’inda-gine sull’esclusione sociale, che applica alla “povertà as-soluta” la “metodologia di stima” adottata dall’Istat che configura un indicatore di spesa mensile necessaria per un paniere di beni considerati “minimi” ed “essenziali”. In tal modo, viene sottolineato, si valuta in primo luogo «la capacità o meno dei soggetti interessati di accedere a beni ritenuti essenziali» per «conseguire uno standard di vita minimamente accettabile» e, in secondo luogo, non si utilizza un’unica “soglia nazionale”, ma si lavo-ra sulla base di una molteplicità di “soglie” che variano in rapporto alla localizzazione geografica (ripartizione territoriale e ampiezza del comune di residenza) e al di-verso tipo di famiglia (numero ed età dei componenti). Ma è proprio la “pluralità delle soglie” (ben 352) a fare problema. Si oscilla infatti da un massimo per le aree metropolitane del Nord ad un minimo per i piccoli comuni del Sud e ciò offre una misura più “fine” del

n.1 • marzo 20104Povertà in Italia

Intervista a Domenico Rosati

Contro la povertà attivarei doveri di solidarietà

La crisi finanziario-economica nell’ultimo anno si è trasformata in crisi economico-sociale, accrescendo a dismisura la precarietà e la vulnerabilità di perso-ne e famiglie. Come si differenzia la povertà oggi da quella degli anni passati?Confesso che da tempo non mi appassiono né alle sequenze statistiche né alle valutazioni sui livelli di percezione della povertà nelle sue diverse accezioni di assoluta, relativa, vissuta o immaginata o prevista. La stessa crisi del 2008 ed i suoi seguiti non hanno indotto mutamenti essenziali nelle condotte dei decisori pub-blici e degli operatori privati. Non appena si è ritenuto che la fase acuta della crisi fosse superata, tutti gli attori hanno ripreso a recitare il vecchio copione, archiviando precipitosamente le ipotesi di contrasto organico non solo agli effetti ma alle cause della povertà, ipotesi che pure si erano affacciate nel momento dello sbandamen-to iniziale. Naturalmente questa riluttanza a ragionare sui dati non significa svalutarne il significato e la portata, anche con

fenomeno povertà, più aderente alla sua differenziazio-ne interna, morfologica e territoriale. Ma volendo ap-plicare tale metodo a supporto di interventi di politica sociale c’è il rischio che, rincorrendo le singole soglie, si giunga a differenziazioni di trattamenti, mentre nelle condizioni di povertà assoluta non dovrebbero esistere margini apprezzabili di distanza collegabili ai muta-menti geografici del costo della vita. Francamente l’idea di una sorta di “gabbie salariali a rovescio” dovrebbe es-sere estranea ad un impulso di contrasto all’esclusione sociale.

La povertà sta coinvolgendo oggi persone e famiglie tradizionalmente non considerate “a rischio”. Chi sono quindi i nuovi poveri e come si collocano ri-spetto alle definizioni di “povertà assoluta” e “pover-tà relativa”?Anche qui, più che alle classificazioni mi attengo al vis-suto delle persone così come viene registrato in luoghi di osservazione qualificati per competenza e sensibilità.

Con questa premessa, i nuovi poveri sono quelli che per la prima volta si rivolgono ad un Centro di ascolto o a una mensa Caritas o ad altre strutture di solidarietà pri-vate o pubbliche. E lo fanno perché hanno oltrepassato la soglia del rischio di povertà e sono entrate a pieno titolo nell’area dell’esclusione, del disagio, dell’emar-ginazione o come altro si voglia chiamare la carenza di mezzi economici, quelli essenziali che assicurano la sopravvivenza, prima che la dignità, come persone e/o come famiglie. Da questo punto di vista la povertà fun-ziona davvero come una livella al ribasso dei punti di partenza, nel senso che si può appartenere a non impor-ta quale gradino della scala sociale convenzionale ma le disuguaglianze scompaiono quando ci si ritrova a fare la fila insieme con i poveri… tradizionali e con gli immi-grati, regolari e non, che non trovano lavoro neppure in nero o che lo hanno perduto.

Nella fase attuale le connessioni tra situazione oc-cupazionale e condizione economica delle famiglie

sono evidenti: flessibilità soprattutto in uscita, pre-carietà, disoccupazione, bassi salari hanno aumen-tato i rischi di povertà. Alla luce di ciò, e della “coda lunga” della crisi occupazionale, ritiene che la situa-zione sia destinata a peggiorare?Questa domanda centra il cuore del problema che è quello del lavoro e – uso volutamente una terminologia obsoleta – della piena occupazione, un concetto can-cellato dal vocabolario. C’è stata una descalation signi-ficativa: si è passati dall’idea di massima occupazione (possibile) a quella di lotta alla disoccupazione (data per scontata) all’intervento degli ammortizzatori sociali nel-le loro diverse accezioni e varianti. Dietro tale cambio di termini c’è un mutamento di cultura: da una visione di governo democratico dell’economia con la politica al posto di comando, si è passati al governo economico della democrazia con la politica a rimorchio del merca-to. Non a caso si parla di “mercato del lavoro” dando per acquisito che il lavoro sia una merce come le altre, con buona pace dell’art. 1 della Costituzione, che sul

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lavoro fonda la Repubblica, ed anche della dottrina so-ciale della Chiesa per la quale la dignità della persona comporta il rifiuto di una simile visione mercantile. È un punto dirimente: o la politica si riappropria delle proprie prerogative non per dominare ma per orientare l’economia “a servizio dell’uomo”, oppure non c’è al-ternativa al dominio del mercato, che è come dire della finanza internazionale. Né ci si può illudere che passata la febbre le cose miglioreranno o che una migliore con-figurazione degli ammortizzatori sociali possa rivelarsi risolutiva, almeno fino a quando non si realizzerà una situazione in cui mobilità significhi passaggio da un la-voro ad un altro lavoro e non da un lavoro a zero lavoro.

Mai come negli ultimi anni si è sentito parlare in Italia di famiglia e di politiche per la famiglia, ep-pure l’analisi Caritas/Zancan mostra un quadro generale di “famiglie in salita”, cioè alle prese con difficoltà sempre maggiori. Quali dovrebbero esse-re le priorità per supportare le famiglie in questo momento di estrema difficoltà? Ormai su questo tema il chiacchiericcio diventa in-sopportabile, soprattutto perché sulla famiglia si co-struiscono differenziazioni politiche e si combattono battaglie per la conquista di un “consenso cattolico” del tutto presunto. Se si volesse andare sul sicuro, cioè trovare un progetto non strumentale di interventi per la famiglia, basterebbe andare all’art. 16 della legge di riforma dell’assistenza varata con una sostanziale con-vergenza dei due poli all’inizio dell’anno di grazia 2000. C’era tutto: dalle misure di sostegno al reddito familiare (per via retributiva e/o fiscale) all’organizzazione degli asili nido sui luoghi di lavoro, alle misure per l’assisten-za domiciliare di non autosufficienti, anche mediante la riconversione degli emolumenti economici in servizi efficaci correlati ai bisogni. Era un progetto organico che è stato sostanzialmente disatteso, tanto che oggi, discutendo soltanto di interventi puntuali, viene spon-

taneo affermare che non importa da dove si inizia – ad esempio dal quoziente familiare o dagli assegni al nu-cleo debitamente potenziati – purché un inizio ci sia e si tratti di misure atte ad alleviare le sempre più evidenti fatiche della… salita.

Ma come dovrebbe essere strutturato un piano effi-cace contro la povertà in Italia?Provocatoriamente rispondo che occorrerebbe un piano di «sviluppo dell’occupazione e del reddito», come si in-titolava negli anni Cinquanta lo “schema Vanoni”; op-pure, per restare a quel tempo, «un governo con un solo obiettivo: il pieno impiego», come reclamava Giorgio La Pira nel suo “Le attese della povera gente”. Direbbe-ro i medici che la povertà è una “malattia secondaria”, cioè derivante da altre patologie dette appunto “pri-

marie”. Se non c’è uno sviluppo economico stabile ed equilibrato sia in termini di giustizia che in termini di territorio, mancano le premesse di ogni altro discorso. Ma per svolgere il tema partendo da questa parte biso-gna che siano attivate tra i cittadini – e non solo in Italia – le energie della coscienza sociale e dei conseguenti do-veri di solidarietà, a partire dall’obbligo di concorrere a formare il monte delle risorse indispensabili per attivare un nuovo ciclo di crescita e di redistribuzione. È la vera sfida del bene comune. Qui c’è uno spazio sconfinato per una pedagogia sociale che combatta le chiusure in-dividualistiche e gli arroccamenti xenofobi che sempre più frequentemente sono descritti nelle cronache.

Qualsiasi piano d’azione per diventare effettivo e praticabile necessita un coinvolgimento attivo di tutti i soggetti interessati a vari livelli. Quale può e deve essere il ruolo della società civile, delle varie or-ganizzazioni, del volontariato, delle singole persone nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale?Un abbozzo di risposta è contenuto in quel che ho detto finora. Qui mi limito a un cenno sul ruolo del-le espressioni della società civile e in esse del volonta-riato. Io credo che il ruolo di tali entità sarà tanto più incisivo ed efficace, sia nello svolgimento di funzioni “pubbliche” sia nell’esplorazione di terreni nuovi, ciò che il contesto esige sempre di più, quanto più i singoli soggetti saranno e sapranno mantenersi il più possibile indipendenti anche sotto il profilo economico. È la ret-ta attuazione della sussidiarietà: la società civile si orga-nizza in proprio e le istituzioni ne riconoscono il ruolo nel quadro di una programmazione decisa insieme. Il cammino inverso può essere praticato, ma con la certez-za di esiti… depressivi. Soddisfatte tali condizioni sarà anche più autorevole e credibile la sacrosanta pressio-ne per mantenere al primo posto il tema della povertà nell’agenda politica.

«La povertà funziona come una livella al ribasso: si può appar-tenere a non importa quale gradino sociale, ma le disuguaglianze scompaiono quando ci si ritrova a fare la fila insieme con i po-veri… tradizionali»

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Contro la povertà attivarei doveri di solidarietà

Negli ultimi vent’anni si è passati “dal for-dismo al post fordismo”, da una socie-tà fortemente strutturata su un mondo produttivo-industriale di grandi fabbri-

che a una società più polverizzata, più fluida, più flessibile, più precaria e così via. Sono comparse fi-gure di poveri prima sconosciute, in particolare il cosiddetto working poor, cioè il povero che lavora, la famiglia che ha come capo-famiglia il titolare di un posto di lavoro, lavoratore dipendente o anche a vol-te lavoratore autonomo, e che nonostante ciò è pove-ra». Marco Revelli, presidente della Commissione di indagine sull’esclusione sociale cui abbiamo chiesto un parere sulla situazione italiana, spiega come da qualche anno la titolarità di un posto di lavoro non sia più una garanzia contro il rischio della povertà, fenomeno cui si può associare il termine “vulnera-bilità”. Si tratta di «figure che per reddito familiare spesso si collocano non nei canoni classici del povero e che tuttavia non possono permettersi di accedere a quella serie di servizi e di beni che sono indispensa-bili per vivere una vita dignitosa».Nell’ultimo anno, poi, le conseguenze della crisi eco-nomica hanno provocato una nuova trasformazione, un nuovo scatto in avanti di questo processo di sfal-damento: «Con la crisi economica – osserva Revelli – quelli che prima erano inclusi nella categoria della vulnerabilità e dei vulnerabili sono stati vulnerati in parte. Sono stati colpiti da processi di crisi che non

Povertà in Italia

Dialogo con Marco Revelli

sono processi generali e omogenei ma sono processi selettivi. Processi che colpiscono alcuni e non altri: colpiscono alcune famiglie e non altre, colpiscono alcune aree geografiche e non altre, creando una si-tuazione a “macchia di leopardo”. E tuttavia, molte di queste famiglie che si trovavano a galleggiare sul filo dell’acqua, per così dire, sono finite sotto, hanno fatto il salto dall’essere famiglie a rischio di povertà a diven-tare famiglie povere».I “nuovi poveri” sono figure impreviste e imprevedibili nelle analisi della povertà, anche per questo continua-no ad essere in parte occulti, cioè non rilevabili con gli indicatori tradizionali del reddito o della spesa mensile media: «Se uno ha fatto il mutuo o un po’ di credito al consumo, può avere anche 1.800 euro mensili ma è povero. Se uno è titolare della casa e ha fatto il mutuo non può accedere ad una serie di benefici dell’assisten-za pubblica, ma è povero. Bisogna ragionare su que-sto» sostiene Revelli. Assistiamo così a migliaia e migliaia di drammi fami-liari, di drammi individuali che vengono spesso con-sumati in solitudine all’interno delle pareti domesti-che e che non sono condivisi né condivisibili con i compagni di lavoro o con i vicini, «perché è sufficien-te, anche tra figure sociali molto omogenee, che gli uni abbiano impostato una strategia familiare basata sull’indebitamento e gli altri no per determinare una differenza clamorosa; è sufficiente che una famiglia abbia a carico un disabile e un’altra no per collocar-le in universi profondamente diversi tra di loro». E sono tante, spiega Revelli, le famiglie che occultano il loro grado effettivo di povertà e che si sforzano di mantenere un’immagine esterna di benessere non più corrispondente alla loro condizione reale.Situazioni sempre più frequenti in una società italia-

na che, secondo l’analisi di Revelli, «vive un deficit di speranza, di fiducia, di prospettiva. L’orizzonte in cui si muovono le famiglie italiane oggi è caratterizzato dalla profonda sensazione che così come si è funziona-to negli ultimi anni non si può continuare, che questo modello di vita e di consumo non è sostenibile». E tut-tavia non si riesce ad uscirne fuori «perché manca una prospettiva collettiva e nessuno è in grado di uscire individualmente da questo meccanismo». Il risultato di ciò, sottolinea Revelli, è la preoccupante iper-com-petitività, «la rottura dei meccanismi di solidarietà e la speranza di fare il colpo più o meno fortunato che ti permetta di salvarti mentre gli altri affondano».Queste fragilità che la crisi determina nel tessuto so-ciale, spesso occulte, rappresentano «il vero rischio», perché non allarmano il decisore pubblico, non costituiscono oggetto di dibattito, non innescano politiche di emergenza, facilitano la tendenza della nostra classe politica all’auto-rassicurazione e alla ras-sicurazione del pubblico e «rischiano di scavarci il terreno sotto i piedi».Secondo Revelli, dunque, «siamo in una condizione in cui si naviga a vista in un mare nebbioso» e per questo «diventa importantissima la possibilità di scouting ter-ritoriale, cioè figure che vivono nei territori, osservano ciò che avviene e sono in grado di rielaborare tutto ciò, ritrasformarlo in proposte di intervento inedite rispetto al passato».

In Italia povertà occulte e deficit di speranza

Page 6: Soglie di povertà

La povertà è un problema globale che afflig-ge soprattutto alcune regioni mondiali, ma è presente anche nella benestante Europa, patria dello Stato sociale, in dimensioni che

le statistiche mostrano essere non certo irrilevanti. Nell’Unione Europea (UE) almeno 80 milioni di persone, cioè più o meno il 17% della popolazione complessiva, vivono al di sotto della cosiddetta “so-glia di povertà”, stabilita convenzionalmente al 60% del reddito medio nazionale; 19 milioni sono bam-bini e ragazzi e quasi altrettanti sono anziani; un cit-tadino europeo su 10 vive in famiglie dove nessuno lavora e anche il lavoro non è garanzia di benessere, dal momento che almeno l’8% dei lavoratori si tro-va in condizioni di povertà (ma la percentuale sale al 10% in Paesi come Italia, Repubblica Ceca, Paesi Bassi e addirittura al 20% n Bulgaria, Lettonia e Ro-mania). Una situazione finora limitata dall’esistenza dei sistemi di protezione sociale, più o meno soli-di ed efficaci ma comunque presenti in tutti i Paesi dell’UE: si stima che le varie forme di trasferimenti sociali (pensioni, sussidi ecc.) riducano mediamente il rischio di povertà del 38% nell’UE, il che significa che senza questa rete di protezione sociale la percen-tuale di popolazione povera salirebbe enormemente, passando dal 16% stimato al 26%: addirittura una persona su quattro sarebbe così a rischio di povertà, un dato impressionante che dovrebbe far riflettere i molti fautori dei “tagli” alle spese sociali.Il quadro è già di per sé allarmante, ma ciò che pre-occupa di più è che molto probabilmente è sottosti-mato: l’analisi dei dati, pubblicata dall’Ufficio stati-stico europeo Eurostat nel gennaio di quest’anno, fa infatti riferimento a rilevazioni del 2008, quan-do cioè le ripercussioni sociali della crisi economi-ca non si erano ancora manifestate compiutamente com’è invece accaduto nel corso del 2009 e in questo inizio di 2010. È dunque inevitabile prevedere dati peggiori nei prossimi mesi, considerando il costan-te aumento di chiusure e trasferimenti extra-UE di attività produttive e la conseguente crescita della disoccupazione: il numero di disoccupati ha ormai superato i 23 milioni nell’UE, mentre il tasso medio di disoccupazione è salito oltre il 10% (con punte at-torno al 20% in Spagna e Lettonia), il più alto degli ultimi dieci anni, e addirittura al 21% tra i giovani, ma in almeno undici Paesi dell’UE il tasso di disoc-cupazione giovanile è al di sopra della media europea fino a raggiungere il 44,5% in Spagna.

n.1 • marzo 20106Povertà in Europa

Un rischio sempre più estesoNonostante questa preoccupante situazione, finora la gravità e l’estensione del problema povertà non sono state comprese realmente dai responsabili politici e dall’opinione generale. Quando si parla di povertà si pensa quasi sempre a casi estremi di esclusione e marginalità sociale, le si associa spesso il concetto di “vulnerabilità”, ma non tutte le persone socialmente escluse o vulnerabili sono povere mentre va compre-so chiaramente che il rischio di trovarsi in condizioni di povertà è ormai ampiamente diffuso e non riguar-da più solo casi estremi di esclusione sociale.La flessibilità del lavoro senza adeguati ammortizzatori

80 milioni di poveri nella riccaEuropa

I dati europei:a maggior rischio minori e anziani

Secondo uno studio pubblicato da Eurostat il 18 gennaio 2010, nel 2008 era a rischio di povertà il 17% della po-polazione dell’UE. Rischi di povertà particolarmente elevati sono stati rilevati in Lettonia (26%), Bulgaria (21%), Grecia, Spagna e Lituania (tutti al 20%), mentre i più bassi hanno riguardato Repubblica Ceca (9%), Paesi Bassi e Slovacchia (11% entrambi), Danimarca, Ungheria, Austria, Slovenia e Svezia (tutti al 12%). In 20 dei 27 Stati membri dell’UE il rischio di povertà nel 2008 è stato più elevato tra i minori che per il totale della popolazione: per gli under 17, infatti, si è registrata una media europea del 20%, ma con rischi più elevati in Romania (33%), Bulgaria (26%), Italia e Lettonia (25% entrambi); situazione invece meno problematica tra i minorenni in Danimarca (9%), Slovenia e Finlandia (12% entrambi). Anche la popolazione anziana ha fatto registrare rischi di povertà più elevati rispetto al totale della popolazione: tra gli over 65 la media UE è stata nel 2008 del 19%, ma le percentuali di anziani a rischio di povertà sono state molto più elevate in Lettonia (51%), a Cipro (49%), in Estonia (39%) e in Bulgaria (34%); particolarmente basse invece le percentuali osservate in Ungheria (4%), Lussemburgo (5%) e Repubblica Ceca (7%).Ai fini di definire la condizione di esclusione sociale, oltre al rischio di povertà, che è una misura relativa, è analiz-zato anche il tasso di deprivazione materiale «che descrive l’esclusione sociale in termini più assoluti» osserva Eu-rostat nel suo studio. Secondo la definizione di questa condizione, che implica il non soddisfacimento di almeno tre parametri sui nove individuati (tra i quali la capacità di sostenere spese di base, di avere adeguate alimentazione e abitazione), il 17% della popolazione dell’UE nel 2008 era in stato di deprivazione materiale, con i livelli più elevati registrati in Bulgaria (51%), Romania (50%), Ungheria (37%) e Lettonia (35%) e i più bassi in Lussem-burgo (4%), Paesi Bassi e Svezia (entrambi al 5%). Sulla base di questi parametri, nota lo studio di Eurostat, nel 2008 il 37% delle popolazione dell’UE non poteva permettersi una settimana di vacanza lontano da casa, il 10% non disponeva di abitazioni adeguatamente riscaldate, il 9% non aveva un’alimentazione equilibrata e il 9% non poteva permettersi un’auto di proprietà.http://epp.eurostat.ec.europa.eu

sociali, cioè il concetto di “flessicurezza” tradotto nella re-altà in molta flessibilità in uscita e sempre meno sicurezza del lavoro, insieme al crollo dell’occupazione registrato nell’ultimo anno stanno provocando rapidamente un forte aumento del numero di lavoratori-poveri e di senza-lavoro, con una generale precarietà lavorativa che diventa economica e che innestandosi su livelli di vita e bisogni di società a sviluppo avanzato estende ampiamente la fascia di popolazione a rischio di povertà relativa.L’attuale crisi ha semplicemente aggravato la situazione, le cui basi sono però da ricercare nelle politiche messe in atto nell’ultimo decennio: «L’UE ha dato priorità al ca-pitolo “crescita e occupazione” a qualsiasi costo, abban-donando di fatto uno dei pilastri alla base della Strategia di Lisbona che prevedeva lo sviluppo della protezione sociale e della coesione. La conseguenza è stata che in nome della competitività la qualità dell’occupazione ha subito un costante declino» osserva la Confederazione Europea dei Sindacati (CES) in un recente documento sulla povertà in Europa. Tutto ciò è avvenuto già prima della crisi: l’aumento quantitativo di occupazione tra il 2005 e il 2007, con oltre 6,5 milioni di posti di lavoro creati nell’UE, è stato caratterizzato da un peggioramento qualitativo; nel de-cennio 1997-2007 il numero di lavoratori con contratti a termine è cresciuto di oltre 10 milioni; molti dei nuovi posti di lavoro creati era a tempo parziale e circa un quin-to dei lavoratori ha accettato l’orario ridotto solo perché non riusciva a trovare un impiego a tempo pieno. Così,

La povertà rappre-senta un serio proble-ma per il modello di valori su cui si basa la costruzione europea

Page 7: Soglie di povertà

oggi oltre 31 milioni di lavoratori nell’UE vivono con salari insufficienti che li avvicinano alla soglia di povertà, mentre quasi 20 milioni di lavoratori si trovano già al di sotto di tale soglia e sono poveri pur lavorando.

Servono lavoro di qualità e protezione sociale«La lotta contro la povertà deve includere necessaria-mente azioni sulla qualità dell’occupazione e dei sala-ri» sostiene la CES, secondo cui combattere la povertà significa inoltre utilizzare bene i sistemi di protezione sociale e i servizi di interesse generale, «per garantire a tutti un reddito dignitoso, al di là della situazione sociale, professionale o personale di ognuno; per svi-luppare servizi sociali e di cura accessibili a tutti».Secondo il Social Situation Report, pubblicato recente-mente dalla Commissione Europea, ora anche i siste-mi di protezione sociale faticano in molti Stati membri dell’UE a reggere l’impatto della crisi, con il risultato che molte persone escluse dal mercato del lavoro non riescono ad accedere ad alcuna copertura economica. Nel lungo termine, poi, le conseguenze della recessio-ne dipenderanno dalla velocità della ripresa: se essa procederà lentamente si creerà una situazione di disoc-cupazione di lunga durata, con conseguente diffusio-ne del rischio di esclusione e di «caduta in povertà» di ampi strati di popolazione. Le condizioni di povertà, oltre a limitare i diritti fondamentali e le opportunità di realizzare pienamente il potenziale di coloro che ne sono colpiti, comportano alti costi sociali e ostacolano una crescita economica sostenibile. Dunque la povertà rappresenta un serio problema per l’Europa sociale ma anche economica e soprattutto per il modello di valori su cui si basa la costruzione europea.

I cittadini europei chiedono interventi contro la povertàLa carenza o per lo meno l’inefficacia delle politi-che attuate finora dall’UE e dai suoi Stati membri per contrastare la povertà e l’esclusione sociale è sot-tolineata anche dai cittadini europei. Secondo un sondaggio Eurobarometro condotto nel settembre 2009, infatti, il 73% dei cittadini europei ritiene che la povertà sia un fenomeno diffuso nel proprio Pa-

ese, mentre l’89% vorrebbe che il proprio governo affrontasse urgentemente questo problema. Nella percezione degli intervistati, alti tassi di disoccu-pazione (52%) e salari inadeguati (49%) costituiscono le principali cause sociali della povertà, unitamente alle prestazioni sociali e alle pensioni insufficienti (29%) e al costo eccessivo di un alloggio dignitoso (26%). Tra le motivazioni “personali” che gli intervistati ritengono essere alla base della povertà vi sono invece la mancanza di istruzione, formazione o qualifiche (37%), la pover-tà “ereditata” (25%) e la dipendenza da alcol e droghe (23%). Oltre la metà dei cittadini europei (56%) ritiene che i disoccupati siano maggiormente esposti al rischio di povertà, mentre il 41% ritiene che gli anziani siano i più vulnerabili e il 31% cita le persone con basso livello di istruzione, formazione o qualifiche.Quasi nove europei su dieci (87%) pensano che la po-vertà riduca le opportunità di ottenere un alloggio di-gnitoso, otto su dieci ritengono che essere poveri limi-ti l’accesso all’istruzione superiore o all’istruzione degli adulti e il 74% pensa che essa pregiudichi le possibilità di trovare lavoro. La maggior parte dei cittadini euro-pei (60%) è dell’avviso che la povertà pregiudichi la possibilità di accedere a un’istruzione scolastica di base e il 54% pensa che la capacità di mantenere una cer-chia di amicizie e conoscenze sia limitata dalla povertà. Mediamente, quasi il 90% degli europei afferma che il proprio governo dovrebbe adottare misure urgenti per affrontare la povertà, mentre la maggioranza degli intervistati ritiene che la responsabilità di combattere la povertà spetti ai governi nazionali e solo in parte all’UE: il 28% considera il ruolo dell’UE in tal senso “molto importante” e il 46% “alquanto importante”.In generale, dunque, gli europei sono estremamente insoddisfatti del modo in cui si affronta il problema delle diseguaglianze e della povertà nel proprio Paese e a livello europeo.

n.1 • marzo 2010 7

80 milioni di poveri nella riccaEuropa

Anno europeo 2010di lotta alla povertàe all’esclusione sociale

in condizioni di povertà; incoraggiare gli scambi di buone pratiche in materia di responsabilità condivisa tra Stati membri a livello nazionale, regionale e locale nonché tra amministrazioni e altre parti interessate; coinvolgere le imprese e le parti sociali in attività vol-te al reinserimento nel mondo del lavoro.Le attività dell’Anno europeo saranno in larga mi-sura decentrate: ciascuno dei 29 Paesi partecipanti (i 27 Stati membri dell’UE più Norvegia e Islan-da) elaborerà programmi nazionali. Una dotazione di bilancio di 17 milioni di euro servirà a sostenere le campagne di sensibilizzazione a livello europeo e nazionale, come pure centinaia di progetti nazionali collegati alle diverse priorità nazionali.http://www.2010againstpoverty.eu

Con lo slogan “Stop alla povertà” è stato inaugurato ufficialmente il 21 genna-io scorso a Madrid, dalla Commissione Europea e dalla presidenza di turno spa-

gnola dell’UE, l’Anno europeo 2010 della lotta alla povertà e all’esclusione sociale.L’Anno europeo 2010 intende generare una mag-giore consapevolezza delle cause e delle conseguen-ze della povertà in Europa sensibilizzando non solo attori chiave, quali i governi e le parti sociali, ma anche la popolazione in generale. Intende quindi mobilitare i vari soggetti nella lotta contro la pover-tà, promuovere l’integrazione e l’inclusione sociale e incoraggiare la formulazione di impegni chiari nelle politiche nazionali e dell’UE di lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Tra gli obiettivi principali dell’Anno quello del ri-conoscimento di diritti, che dovrebbe: far sì che il pubblico riconosca i diritti fondamentali e i bisogni delle persone in condizioni di povertà; correggere gli attuali stereotipi legati alle persone in condizioni di povertà e di esclusione mediante campagne informa-tive, copertura sui mass media e finanziamento di progetti da inserire in programmi culturali generali; aiutare le persone che vivono in condizioni di pover-tà ad avere maggiore fiducia in se stesse dando loro accesso a un reddito dignitoso e a servizi d’interesse generale.Per quanto concerne invece l’obiettivo della respon-sabilità condivisa e della partecipazione l’Anno euro-peo dovrebbe: incoraggiare il dibattito tra gli attori dei settori pubblico e privato per sormontare i pro-blemi che impediscono la partecipazione delle perso-ne, ad esempio con l’incontro annuale delle persone

Occasione da non perdereData la situazione generale fin qui descritta, nonché le crescenti preoccupazione e delusione dei cittadini, sa-rebbe grave perdere l’occasione fornita dall’Anno euro-peo 2010, dedicato appunto alla lotta contro la povertà e l’esclusione sociale, per introdurre nuove politiche e pratiche finalmente efficaci. Il fatto stesso che l’UE abbia scelto la lotta alla povertà e all’esclusione sociale come tema centrale dell’Anno 2010 sembra mostrare la consapevolezza che si tratta di un problema da analizza-re in modo serio e approfondito per cercare di risolverlo concretamente.Gli Stati membri dell’UE si sono detti concordi sulla necessità di creare nell’Anno europeo 2010 una strate-gia coordinata di lotta alla povertà che garantisca sussidi adeguati, accesso a servizi di qualità e mercati del lavoro inclusivi, cioè quell’inclusione attiva di cui molto si parla ma che fatica ad essere tradotta nella pratica. L’eradica-zione della povertà e dell’esclusione sociale, che tra l’altro costituisce uno degli obiettivi della Strategia europea per la crescita e l’occupazione, è la priorità dell’Anno europeo che rappresenta veramente un’occasione storica per un concreto ed efficace impegno politico contro la povertà, anche perché è un anno che si apre con istituzioni euro-pee rinnovate (nuovi Parlamento e Commissione), con un nuovo Trattato di riforma dell’UE e con una nuova Strategia decennale che indicherà gli obiettivi economici e sociali da raggiungere entro il 2020.Si attendono dunque in questo 2010 meno retorica e più azioni efficaci dall’UE e dai governi dei suoi Stati mem-bri. Anche perché dai risultati concreti che si otterranno nella lotta alla povertà e all’esclusione e nella salvaguardia di un dignitoso modello sociale europeo, che garantisca i diritti fondamentali di cittadinanza, dipenderanno la credibilità e la sostenibilità dell’intero processo di costru-zione europea.

Page 8: Soglie di povertà

Abbiamo creato un modello di società in cui le persone devono assumersi sempre mag-giori rischi individuali, in cui i nostri sistemi di sicurezza non sono più così forti e molti

posti di lavoro sono sempre più insicuri: in conseguen-za di tutto ciò, molte persone diventano povere». Sono parole di Fintan Farrell, direttore dell’European Anti Po-verty Network (EAPN), la rete europea indipendente di organizzazioni non governative e gruppi che fin dal 1990 è impegnata nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale con referenti in 25 Paesi europei. Con Farrell abbiamo parlato del significato dell’Anno europeo appena iniziato, della povertà in Europa in periodo di crisi, delle strategie e delle iniziative necessarie per contrastare la povertà e l’esclusione sociale e soprattutto per prevenirle.

enormemente la distanza tra i redditi e in una certa misura la crisi ha ulteriormente ridotto il potere d’ac-quisto delle persone accrescendo il sistema di disu-guaglianza nelle società. Naturalmente questo rende molto più duro e critico lo sforzo per combattere la povertà. Inoltre ci confrontiamo con una società nel suo insieme in cui c’è più precarietà e in cui la soli-darietà è lasciata fuori dall’agenda politica. Tutto ciò non fa che rendere ancor più difficile e preoccupante la situazione generale.

In una fase di recessione, come quella attuale, cre-sce il rischio di povertà per tutte le persone con impieghi precari e “atipici” (sempre più “tipici”), specialmente giovani, donne e immigrati, mentre aumenta il numero di disoccupati, di “lavoratori poveri” e di passaggi dalle classi medio-basse alla povertà. Ritiene che in Europa si stiano pagando a caro prezzo le politiche liberiste portate avanti dall’UE e dai suoi Stati membri negli ultimi anni?Beh, ritengo che abbiamo creato un modello di socie-tà in cui le persone devono inevitabilmente correre, assumersi sempre maggiori rischi individuali, in cui i nostri sistemi di sicurezza non sono più così forti, in cui sono stati creati molti posti di lavoro insicuri e in conseguenza di tutto ciò molte persone diventano povere. Penso che non abbiamo dato la giusta im-portanza al compito di mantenere costante un alto livello di protezione sociale, di mantenere condizioni dignitose di lavoro e di vedere che è necessario im-porre un sistema più equo. E ritengo che queste pre-occupazioni non sono state mai tra le priorità delle agende politiche nel periodo di crescita economica. Questo è il motivo per cui non siamo stati in grado di ridurre il numero di persone in povertà e di ridur-re l’ingiustizia e l’ineguaglianza, perché non c’è stata una chiara volontà politica.

Il vostro network dice che questo Anno europeo dovrebbe «segnare una differenza»: come? Quali

«Ciascuno può e deve fare la sua parte nel diffondere il messaggio che una società più equa è un bene e un vantaggio per tutti»

n.1 • marzo 20108

Povertà in Europa

Intervista a Fintan Farrell

Una rete europea contro la povertà

Il 2010 è l’Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale, e forse mai come questa vol-ta un Anno europeo si trova purtroppo a essere in piena sintonia con la realtà contingente. Ma cosa significa oggi “povertà” nell’Europa comunque benestante, del consumismo e del welfare?Per l’Europa quella della povertà è una definizione relativa, in base alla quale una persona vive in condi-zioni di povertà se non ha accesso a beni e servizi che le altre persone nella società considerano normali, garantiti. C’è poi un altro modo di analizzare il pro-blema, secondo il quale la soglia di povertà riguarda le persone che vivono al di sotto del 60% del reddito medio. In base a ciò i dati ci dicono che ci sono circa 80 milioni di persone in Europa che vivono in con-dizioni di povertà. Si tratta di un numero enorme, che è rimasto costante nella popolazione europea nel corso degli ultimi anni. Sappiamo inoltre che l’at-tuale crisi contribuisce ad aumentare il fenomeno della povertà e che negli ultimi 20-30 anni il livello di ineguaglianza è aumentato drasticamente in tut-to il mondo e anche nei Paesi europei. Questo è il contesto nel quale l’Anno europeo deve partire per introdurre politiche che abbiano un impatto reale e possano invertire la tendenza, al fine di ridurre il numero delle persone che vivono in condizioni di povertà e contrastare l’abbassamento del livello di di-gnità e qualità di vita.

Le stime ufficiali sul numero di persone a rischio di povertà in Europa sono però probabilmente in difetto, perché non considerano ancora le riper-cussioni della crisi economica e il suo reale impat-to sociale...Sì, credo che la crisi attuale contribuisca ma soprat-tutto credo si debba considerare come la crisi eco-nomica e dell’occupazione in una certa misura sia la conseguenza e il risultato della crescita di un sistema di ineguaglianza e ingiustizia che si è verificato nel mondo a partire dagli anni Settanta. È aumentata

azioni ritenete più importanti ed efficaci per com-battere la povertà e l’esclusione sociale? L’European Anti Poverty Network lavora per man-tenere alta l’attenzione su questo Anno europeo per-ché è il primo anno nella vita delle nuove istituzioni europee: abbiamo un nuovo Parlamento, una nuova Commissione, nuovi responsabili e in questo perio-do verranno decisi gli elementi chiave delle strate-gie per gli obiettivi da raggiungere entro il 2020. La prima cosa che vogliamo vedere nella Strategia UE 2020 è l’altissima priorità data alla lotta alla povertà e alla disuguaglianza. Più concretamente pensiamo sia anche possibile sviluppare delle direttive sull’aliquota del reddito minimo, di creare benefits sociali come ultima risorsa. Tutto ciò significa che i Paesi devono cooperare per ottenere questo livello di protezione sociale e questo è anche positivo perché crea le basi per poter lavorare ad obiettivi più alti e successiva-mente all’inversione della tendenza all’aumento della povertà in Europa.

Oltre ai responsabili politici, qual è il ruolo della società civile, delle ONG e delle singole persone

Page 9: Soglie di povertà

nella lotta alla povertà e all’esclusione? Com’è possibile evitare che le azioni di solidarietà con-tinuino a colmare le carenze delle autorità pub-bliche e fare in modo invece che le questioni della povertà e dell’esclusione sociale entrino perma-nentemente nelle agende politiche di tutti i livelli di governo? Molte informazioni disponibili ci dicono che i cit-tadini ritengono la povertà e l’esclusione sociale fe-nomeni largamente diffusi nei Paesi europei e che essi hanno una forte aspettativa riguardo al ruolo che le istituzioni europee devono svolgere nel dare una risposta al fenomeno, ben sapendo che ci sono an-che responsabilità locali e nazionali. Esiste dunque un vasto supporto pubblico per l’adozione di misure politiche più drastiche nel combattere la povertà e l’esclusione sociale e tutti i metodi di lotta devono

essere utilizzati per raggiungere i rappresentanti po-litici europei, locali e i media. Ciascuno può e deve fare la sua parte nel diffondere il messaggio che una società più equa è un bene e un vantaggio per tutti. Poi ci sono organizzazioni come la nostra che cerca-no di portare avanti proposte chiave per ottenere dei progressi durante il 2010, ci sono campagne come quella che abbiamo lanciato sul reddito minimo e molti eventi organizzati per tutto il 2010 ai quali i cittadini possono partecipare, come si può vedere sul sito web www.endpoverty.eu. Ci sono quindi vari modi in cui la società civile può partecipare ed essere coinvolta e verificare così se la politica e le istituzio-ni stanno effettivamente affrontando le priorità per combattere la povertà. http://www.eapn.eu

n.1 • marzo 2010 9

Una rete europea contro la povertà

«Più una persona è povera in una di questa otto di-mensioni, più sono le dimensioni nelle quali si scontra con dei limiti, più precaria è la sua situazione – spiega Cappelletti –. L’aumento della precarietà è da consi-derarsi un “movimento verso l’emarginazione” e la po-vertà è una situazione della vita ai margini della socie-tà. La povertà conduce all’esclusione sociale e l’esclu-sione sociale conduce alla povertà, ma le due non sono la stessa cosa. In una determinata società potrebbero esserci persone povere ma ben integrate, oppure ricche ma emarginate».La povertà e l’esclusione, dunque, non si limitano all’as-senza di beni materiali e alle carenze del sistema socia-le di welfare, perché a queste si collegano la solitudine e la capacità di sostegno delle reti di cui la persona fa parte. Secondo Cappelletti «la descrizione della povertà in queste otto dimensioni consente anche di scoprire le opportunità di cambiamento».

Cambiare partendo dai poveriLe politiche sociali attuali rimango-no però incentrate sull’assistenza alle persone indigenti, un «ap-proccio lacunoso» secondo Caritas Europa perché sa-rebbe invece necessario «concentrare il sostegno sulle fasi iniziali della vita e sulle transizioni tra una fase e l’altra e assicurarsi che la spirale della povertà non venga mai imboccata».Questo richiederebbe politiche sociali orienta-te agli investimenti, che si prendano cioè cura delle fami-glie indigenti in una fase iniziale, migliorino l’accesso alle strutture di assistenza all’infanzia e alle scuole e forni-scano sostegno nelle prime fasi della vita per po-ter affrontare le transizioni successive, sottolinea Caritas Europa: «Queste politiche possono evitare il “trasferi-mento intergenerazionale” della povertà: il modo mi-gliore per combattere la povertà è prevenirla». I governi devono assumersi il ruolo che spetta loro, osserva Cari-tas Europa secondo cui «cambiare la situazione richiede l’adozione di una visione della realtà sociale che origina

dai poveri e tra i poveri». L’emancipazione dei poveri rappresenta quindi il primo passo verso l’inclusione so-ciale. «Non dobbiamo abbandonare il pensiero scientifico, ma dobbiamo trascenderlo, soprattutto perché riusci-re a capire la realtà significa esserne coinvolti. Questo impegno ci conduce a un nuovo modo di pensare che recupera la prospettiva dei poveri e degli esclusi: la limi-tatezza e l’insufficienza della nostra conoscenza ci impo-ne di ascoltare» sottolinea Cappelletti.

Fondamentale la partecipazione socialeAscoltare, riflettere, imparare, cambiare, agire: sono i cinque passaggi necessari individuati da Caritas Euro-pa, secondo cui per realizzare una nuova visione della realtà sociale deve essere articolato un nuovo modo di pensare, che offra una visione alternativa della storia e del futuro comune: «Se alla prima possiamo dare il nome di “memoria” (la nostra memoria dovrebbe essere

anche la memoria dei poveri e degli emar-ginati, trasfigurata dalle loro esperienze

e sofferenze), la seconda può essere definita “utopia”, intesa come

un modo nuovo e realmente concreto di guardare al no-

stro futuro comune con speranza, partecipazione e responsabilità condi-visa». Nella visione Ca-ritas della realtà sociale, «che non può prescin-dere dai vincoli sociali e dalla comunità», questa

ricostruzione di “memo-ria” e “utopia” può essere

ottenuta solo all’interno della comunità. La partecipazione

sociale diventa dunque uno stru-mento necessario per combattere la

povertà: « Il nostro modo di pensare deve essere arricchito tramite il “dialogo civico”, i legami

sociali, le relazioni e l’emancipazione, soprattutto degli indigenti e degli oppressi. L’emancipazione dei poveri rappresenta il primo passo verso l’inclusione sociale. Il modo migliore per prevenire la povertà, e per combat-terla, è dunque la partecipazione sociale».http://www.caritas-europa.org

Povertà in Europa

La povertà è uno scandalo. Ogni essere umano ha diritto ai mezzi sufficienti per vivere una vita decorosa». Inizia così il documento La povertà in mezzo a noi che spiega la campagna

“Zero poverty”, lanciata da Caritas Europa nel quadro dell’Anno europeo per la lotta alla povertà e che com-prende una petizione il cui obiettivo è la raccolta di un milione di firme per chiedere ai governi e alla Commis-sione Europea alcune azioni concrete.Definendo la povertà come «assenza di benessere», Ca-ritas Europa analizza il sistema sociale di welfare come parte del benessere per tutti i cittadini. I pilastri del sistema sociale di welfare sono essenzialmente tre, se-condo la Caritas: l’occupazione produttiva retribuita nel mercato del lavoro; la solidarietà in famiglia e nelle reti primarie; il sostegno assicurato dallo Stato socio-assistenziale.Le società sono però in uno stato di costante trasfor-mazione economica, sociale e demografica che muta i livelli del sistema sociale con ricadute in materia di po-vertà ed esclusione sociale. Secondo Caritas Europa la povertà e l’esclusione sociale sono conseguenza di una disfunzione delle tre fonti del sistema sociale di welfare (mercato del lavoro, famiglia e Stato socio-assistenziale) causata dalla trasformazione della società: a questi tre pilastri deve pertanto essere nuovamente consentito di svolgere appieno il proprio ruolo.«L’eliminazione della povertà in Europa non sembra più essere l’obiettivo dei governi europei, se mai lo è stato – osserva Patrizia Cappelletti, membro di Caritas Europa e tra gli autori del documento –. I vecchi rischi di povertà sono ben lungi dall’essere stati eliminati dalla trasformazione sociale ed economica e, anzi, ne stanno emergendo di nuovi. Ci si deve dunque chiedere come il sistema socio-assistenziale possa rispondere a questa evoluzione e se possa ancora una volta temporeggiare quando è in gioco il bene pubblico».

Povertà non è solo mancanza di denaroLa povertà non è però solo mancanza di risorse finanzia-rie, sottolinea Caritas Europa che considera invece otto dimensioni: le risorse finanziarie, il benessere derivante dallo stato di salute, la situazione abitativa, il livello di istruzione, l’integrazione occupazionale, l’integrazione sociale, l’integrazione inerente alle norme sulla residen-za e la famiglia di origine. Oltre a queste è riconosciuta l’importanza di altre dimensioni quali quelle psicologi-ca, culturale, etica e spirituale.

Caritas Europa: obiettivo “Zero poverty”

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Lo scenario della povertà sta cambiando, si è alle prese con una “transizione cru-ciale” che avrà forti ricadute nel medio e lungo periodo. Con la crisi economica

si estendono incertezze, precarietà, vulnerabilità e soprattutto si diffondono situazioni che desta-no grande preoccupazione perché spesso restano occulte, creando una vasta “zona grigia” di cre-scenti povertà difficilmente intercettabili. Sono i “nuovi poveri” i protagonisti involontari di questa transizione, come evidenziano i principali studi e ricerche realizzati nell’ultimo anno o in corso di realizzazione. Un fenomeno in espansione a livello europeo e nazionale, come si è detto nelle pagine precedenti, e che nella realtà locale è strettamen-te legato alle caratteristiche produttive e occupa-zionali dell’area torinese, forse più di altre colpita dalle ripercussioni della crisi. L’aumento considerevole del ricorso alla cassa in-tegrazione (del 680% in Provincia di Torino tra il 2008 e il 2009), il numero crescente di imprese che falliscono, il mancato rinnovo di molti con-tratti di lavoro a termine, le retribuzioni basse e i “cattivi” lavori sono alla base di quella “povertà invisibile” che tanto preoccupa gli addetti ai lavo-ri, perché coglie i servizi e le agenzie impreparati e pone sfide importanti al modello locale di welfare e alle forme di intervento consolidate.«Non sembra delinearsi una nuova fenomenolo-gia di povertà, bensì risulta cambiare il profilo dei poveri. Si affacciano alla povertà individui appar-tenenti a categorie sociali che fino a poco tempo fa si ritenevano tutelate, al riparo dal rischio di caduta in povertà; individui che si considerano e sono considerati nel loro ambiente sociale “perso-ne e famiglie normali”, non ai margini della socie-tà. Non sono soggetti e famiglie che tipicamente appartengono all’area dell’esclusione sociale, né sono collocabili entro i confini tradizionali del-

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Povertà a Torinola povertà economica o del disagio conclamato» si legge nell’ultimo Rapporto della Commissione d’Indagine sull’Esclusione Sociale (CIES), pubbli-cato nel settembre 2009, che focalizza l’attenzione su tre aree metropolitane tra le quali quella torine-se (oltre a Roma e Napoli). Molte di queste persone, tra l’altro, non sono “as-sistibili” economicamente dai servizi sociali, per-ché nonostante abbiano un tenore di vita anche molto basso percepiscono redditi che li collocano al di sopra dei limiti per i quali l’assistenza locale garantisce la presa in carico, oppure dispongono ancora di beni o entrate (auto, liquidazione, arre-trati della pensione) incompatibili con i criteri di assegnazione di un sussidio economico.Quel che è peggio è che rispetto ai poveri “tradi-zionali” (descritti dagli operatori in termini di po-vertà intergenerazionale, bassa scolarità, famiglie numerose, disoccupazione di lunga durata, devian-za, dipendenza, cronicità e multiproblematicità), i “nuovi” poveri non chiedono e non si espongono «perché si vergognano, sono restii a raccontarsi per-

In aumento ma “invisibili” i poveri a Torino

ché sono ancora troppo immersi nelle loro difficol-tà, provano disorientamento e spiazzamento, non sanno orientarsi nella rete dell’aiuto, sono del tutto impreparati e reagiscono con una forma ansiosa nel modo di rapportarsi con la famiglia e il contesto sociale di riferimento» spiega il Rapporto CIES, se-condo cui «il risultato è una sostanziale perdita di fiducia nel futuro e di progettualità».

Nuovi processi di impoverimentoGli attori istituzionali e del privato sociale im-pegnati sul territorio torinese a favore delle fasce deboli della popolazione esprimono una «forte e generalizzata preoccupazione» per i processi di im-poverimento in corso, rilevando dall’autunno 2008 l’impatto della crisi economica sui bilanci delle famiglie. Gli elementi di novità rispetto agli anni precedenti riguardano l’aumento del numero di persone e di nuclei familiari in stato di bisogno che si rivolgono al circuito dell’assistenza e la diversa tipologia. La Caritas Diocesana di Torino, ad esem-pio, ha riscontrato un incremento del 25% dal set-tembre 2008 delle richieste di aiuto giunte ai propri Centri di ascolto. L’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo ha dichiarato un aumento delle richieste di aiuto del 45,6% tra gli stranieri e del 6,2% tra gli italiani nei primi cinque mesi del 2009 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le domande ai Cantieri di lavoro del Comune di Torino per il 2009/2010 hanno avuto «un incremento significa-tivo rispetto agli anni precedenti». La Fondazione antiusura CRT ha segnalato che le richieste ricevu-te di consulenza e assistenza sono raddoppiate nel 2009, a conferma della diffusione fra le famiglie di situazioni di grave difficoltà economico-finanziaria e di indebitamento.Il servizio di sostegno all’imprenditorialità “Met-tersi in proprio”, promosso dalla Provincia di To-rino, ha registrato un aumento delle richieste di consulenza che non si traducono in progetti plau-sibili: «Aumentano le persone appartenenti a una “fascia grigia” che non hanno molte risorse per

I nuovi poveri dell’area torinese sono “poveri inclusi”, persone che per un evento spiaz-zante si trovano nel giro di pochissimo tempo a ridimensionare drasticamente il proprio tenore di vita

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Al Centro di ascolto arrivano sempre più persone nuove, di cui poi però perdiamo le tracce» dice suor Claudia Calci, per anni responsabile del Centro di ascolto

diocesano torinese “Le due Tuniche”.Il Centro di ascolto per le persone in difficoltà con-tinua ad essere un posto frequentato da coloro che non riescono ad arrivare alla fine del mese o che «non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena», ma l’utenza è cambiata e sono cambiate le richieste, un po’ perché è cambiata la situazione e un po’ perché il Centro di ascolto ha lavorato sul suo modus operan-di e sulla sua mission.

Come sono cambiate le richieste di coloro che si rivolgono ai Centri di ascolto? Abbiamo visto aumentare le richieste di sostegno economico per il pagamento dell’affitto o del mutuo, ma spesso ci siamo resi conto che questa era la “pun-ta di un iceberg” che nascondeva situazioni gravi di perdita del lavoro di uno o più componenti adulti della famiglia. L’utenza di oggi è più complessa e ciò che le persone vengono ad esprimere richiederebbe un progetto articolato su una molteplicità di dimen-sioni, quali la formazione per dare maggiori oppor-tunità lavorative, l’attivazione di servizi di custodia che consentano alle donne di accedere al mercato del lavoro… Ma quando arriva la richiesta l’indebita-mento è spesso troppo elevato e non si riesce a farvi fronte, se non a danno di altre situazioni e, non di rado, si è già verificata una catena di eventi spiazzan-ti, la perdita del lavoro, una separazione, un proble-ma di salute tale per cui diventa difficile pensare ad un progetto che sia in grado di garantire una tenuta nel tempo.

Le richieste da cui partite sono sempre di natura economica?«Sì, anche se devo dire che negli ultimi mesi e nell’ul-timo anno a noi, ma soprattutto alle parrocchie, ar-rivano sempre di più richieste che hanno a che fare con il lavoro: dall’occupazione in senso proprio all’attivazione di borse lavoro e tirocini formativi che noi giriamo alla Fondazione Mario Operti.

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Povertà a Torino Gli ultimi dati parlano di un aumento di casi nell’ordine del 3% tra il 2008 e il 2009, quali sono le principali novità?Nel 2009 la maggior parte dei casi ha riguardato persone giunte da noi per la prima volta. Sono pra-ticamente spariti coloro che venivano con una certa regolarità a chiedere il biglietto ferroviario piuttosto che i 10-20 euro. Adesso ci sono persone che passano, vengono una volta o magari due e poi le perdiamo di vista. I passaggi sono in media 15 alla settimana e le richieste vengono esaminate nel giro di due settimane, poi non riusciamo a monitorare con continuità le si-tuazioni se non in una decina, quindicina di casi.Questo cambiamento continuo delle persone è da

Sostegno economico e lavoro: le nuove richiesteai Centri di ascolto

una parte il frutto della ridefinizione della mission del Centro di ascolto, ma dall’altra ci pone di fronte a nuove sfide perché si presentano da noi persone che prima non erano povere e quindi sono in difficoltà un po’ perché non osano chiedere e un po’ perché non sanno dove andare. Un segnale di questa novità, e in-sieme di questa difficoltà, è l’aumento nelle richieste dei pacchi viveri che è molto forte nelle parrocchie e che ha portato anche noi del Centro diocesano ad at-trezzarci con dei buoni spesa.

Quali sono le maggiori difficoltà che incontrate? Sicuramente facciamo fatica a intercettare gli anziani, quelli over 75 che magari hanno difficoltà a muoversi

e che per noi diventa difficile in-contrare. Ci sono situazioni che con una piccola integrazione del reddito, come avevamo tentato di fare con il progetto “goccia di spe-ranza”, vedrebbero migliorare di molto la loro condizione, ma per noi è proprio difficile intercettarli.L’altra difficoltà è, come dicevo prima, il dare continuità al moni-toraggio delle situazioni delle per-sone che vengono da noi magari una volta sola e poi non le vediamo più e quindi non sappiamo come stanno, in che situazione sono.Infine ci sono le situazioni di per-sone che arrivano da noi troppo tardi, quando sono già precipi-tate dalla “zona grigia” alla “zona nera”, magari perché pensavano di potercela fare con qualche aiuto della rete parentale o informale. Per qualche tempo la rete funzio-na, ma poi succede qualcosa per cui il funzionamento si interrom-pe e allora per noi diventa vera-mente difficile agire. Si tratta di lavorare sulla consape-volezza e sull’informazione, anche se è difficile perché il nostro lavoro non è “reclamizzare un servizio”.

Richieste pervenute ai Centri di ascolto torinesi “Le due Tuniche” e “San Giuseppe Cafasso”Richieste 2009 % sul totale delle richieste Contributo economico 23,0Pagamento utenze 20,8Lavoro 11,1Primo ascolto 8,9Richiesta pagamento affitto 5,6Orientamento ai servizi 4,4Ospitalità 4,4Pacchi viveri 2,7Ascolto con discernimento e progetto 2,2Informazioni su soluzione alloggiativa 1,6Invio a parrocchia di residenza 1,5Spese sanitarie 1,5Tirocinio formativo - borsa lavoro 1,1Tutela Legale 0,9Biglietti per trasporto 0,5Insieme per la casa 0,5Farmaci da banco 0,5Indumenti 0,4Sussidi economici per documenti 0,4Sostegno allo studio 0,2Docce 0,2Mobilio e attrezzature per la casa 0,2Mensa 0,2Richiesta pagamento mutuo 0,2Sussidi economici per rimpatrio 0,2

Fonte: Sistema informativo diocesano torinese

reinventarsi e riconvertirsi, e non solo dal punto di vista economico». Anche le agenzie di microcredi-to rilevano un aumento delle richieste, di cui una quota consistente da parte di persone che hanno perso o stanno perdendo il lavoro e sono in cerca di alternative. I servizi sociali territoriali segnalano un aumento «recente e consistente» delle doman-de di sostegno economico, congiuntamente alle richieste di casa e lavoro. La Caritas Torino sottolinea poi con particolare preoccupazione l’elemento qualitativo delle ri-chieste che giungono ai suoi Centri di ascolto: «Non più solo un aiuto nel pagare qualche utenza rimasta indietro, ma l’affitto, la rata del mutuo, le spese ordinarie per i bisogni sanitari e di cura».

Sempre più veloce la caduta in povertàI “nuovi poveri” dell’area torinese sono dunque “poveri inclusi”, «persone che hanno intrapreso anche dei percorsi di crescita sociale, dalla sotto-scrizione di un mutuo alla nascita di un figlio, e che per un evento spiazzante si trovano nel giro di

pochissimo tempo a ridimensionare drasticamente il proprio tenore di vita» osserva ancora la Caritas Torino. Colpisce in particolare la velocità dei ritmi di caduta in povertà: dalla fragilità o vulnerabilità si passa in breve tempo a situazioni di disagio o po-vertà che, se non fronteggiate per tempo e in modo adeguato, diventano subito gravi. Le varie rilevazioni raccolte sul territorio torinese e contenute nel Rapporto CIES evidenziano come alla dimensione di inadeguatezza o deprivazione economica si intersecano e si combinano altre di-mensioni che riguardano prevalentemente l’abita-zione, la salute, le rela-zioni di coppia, la rete familiare: combinazioni che possono esporre in-dividui e famiglie a nuo-vi rischi di sperimentare situazioni difficilmente sostenibili e di scivolare in povertà.

Amara la conclusione cui giunge la Commissione d’indagine: «Le difficoltà oggettive incontrate dagli individui e dalle famiglie si combinano con la per-cezione di rischi e incertezze che minano alle fonda-menta la fiducia nella propria capacità di reazione e nel sostegno da parte delle istituzioni, e le aspettative per il futuro. Ne risulta l’immagine di soggetti che si sentono alla deriva, soli o abbandonati a se stessi, senza intravedere appigli a cui ancorarsi».

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La Caritas Italiana in questi ultimi anni ha svolto alcune ricerche che avevano come fine

l’analisi del fenomeno delle vul-nerabilità in due quartieri sim-bolo della Città di Torino: uno (Barriera di Milano), periferico e con un’antica vocazione opera-ia, l’altro (San Salvario) centra-

le e storicamente considerato “degradato” ma con molteplici zone a “macchia di leopardo” di relativo benessere. Nel primo caso la ricerca è sta-ta condotta attraverso l’analisi del territorio ed è sfociata nel volume, editato nel 2007, dal titolo La città abbandonata e, nella parte locale, nel volume Barriera Fragile.A seguito di questo percorso, valutata la ricerca nelle sue parti fondamentali, ci si è trova-

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Povertà a Torino

di Tiziana Ciampolini*

ti nella condizione di dover fare un ulteriore approfondimento riguardo a due temi peculiari: In un territorio che si sta fram-mentando cosa ne è delle vite delle persone? Quale ruolo hanno il territorio, le reti e il sistema di welfare in questo processo?Da queste domande è nata la necessità della seconda ricer-ca, curata dall’Osservatorio del-le Povertà e delle Risorse della Caritas Diocesana di Torino.

In precario equilibrio:un’analisi partendo dalle persone

CRONOLOGIA DELLA CRISI

20079 agosto: Molti osservatori considerano essere questa la data ufficiale di inizio della crisi fi-nanziaria mondiale, giorno in cui la Banca Centrale Europea (BCE) decide di “iniettare” sui mercati circa 100 miliardi di dollari di euro per sostenere la liquidità e impedire la paralisi del credito.

20081° aprile: Una delle più grandi banche del mondo, la svizzera UBS, comunica di aver regi-strato perdite per quasi 24 miliardi di euro in seguito alla crisi dei cosiddetti mutui subprime, perdendo negli ultimi sei mesi circa la metà del suo valore.Lo stesso giorno, nella capitale della Costa D’Avorio, Abidjan, durante una manifestazione di protesta contro l’aumento dei prezzi dei generi alimentari, una persona resta uccisa. Nei giorni precedenti, nel corso di simili manifestazioni in Burkina Faso e in Camerun, vengono effet-tuati numerosi arresti. “Rivolte del pane” nelle settimane precedenti si sono verificate in diversi Paesi, tra cui Messico, Argentina, Egitto, Marocco, Niger, Mauritania, Senegal e Sierra Leone, e manifestazioni contro i rincari si svolgono nelle Filippine, in India, in Indonesia e in alcuni Paesi del Golfo Persico (Arabia Saudita e Kuwait). La Food and Agriculture Organization (FAO) sostiene che durante tutto il 2007 nel mondo i prezzi degli alimenti sono cresciuti di circa il 40%, a partire dal prezzo del grano la cui quotazione è la più alta degli ultimi 30 anni. Riso, soia, mais e colza avrebbero raddoppiato o triplicato le loro quotazioni in soli due anni.10 aprile: La Commissione Europea convoca associazioni ed enti che si occupano di solida-rietà e distribuzione di aiuti alimentari in Europa avendo registrato l’esaurimento delle scorte alimentari, distribuite alle fasce povere per un valore di 250 milioni di euro all’anno, a rischio

per la prima volta dal 1987. Rincaro dei prezzi e diminuzione delle quantità di alcuni prodotti a causa della modificazione delle destinazioni della produzione influenzano direttamente i mercati e indirettamente la rete di distribuzione europea degli aiuti. 14 aprile: L’organizzazione ActionAid, che nel 2007 ha lanciato la campagna mondiale sul diritto al cibo HungerFree, denuncia che le multinazionali dell’agricoltura svolgerebbero un ruolo determinante nella crisi alimentare mondiale in quanto, dagli anni Ottanta, il mercato agroalimentare avrebbe subito un inesorabile processo di accentramento nelle mani di poche multinazionali che controllano il 75% del mercato globale.Fine aprile: Il Parlamento Europeo discute la questione dell’aumento globale dei prezzi degli alimenti. Biocarburanti e speculazioni finanziarie sarebbero i “motori” della crisi, mentre viene sottolineato il dovere delle istituzioni europee e internazionali a impedire che il sistema finan-ziario «contribuisca alla fame» nel mondo.Maggio: Manifestazioni di protesta contro il forte aumento del costo della vita si svolgono in diverse parti del mondo, tra cui il Libano e l’Indonesia.Giugno: Eurostat rileva che nell’ultimo anno i prezzi dei generi alimentari nell’Unione Eu-ropea sono cresciuti più velocemente dell’inflazione complessiva. Tra marzo e aprile 2008 si sarebbe registrato il più elevato incremento annuale nei prezzi dei generi alimentari dal 1996. Nel mese di aprile l’incremento annuale dei generi alimentari è stato del 7,1%, contro il 3,6% dell’inflazione globale registrata nell’UE.4 giugno: A Roma si svolge il Vertice alimentare della FAO, dove è presentato un piano da 1,7 miliardi di dollari per contrastare la crescita dei prezzi alimentari, con azioni sul piano politico, della produzione agricola, dello sviluppo dei mercati, della riduzione delle perdite e della produzione di scorte.

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In precario equilibrio, questo il titolo della ricerca, è una vera e propria analisi del fenomeno delle vulnerabilità partendo dall’ascolto delle persone che vivono un territo-rio specifico come quello torinese di San Salvario, ritenuto rappresentativo dei fenomeni che attra-versano le aree urbane. Quest’ultimo progetto si è coniugato con l’esigenza delle parrocchie, costan-temente alla ricerca di vie di accompagnamento alle istanze poste da un nuovo tipo di economia e di conseguenza da uno sviluppo diverso del-le istanze sociali finora prodotte dal territorio di competenza. In questo si è cercato non solo di av-viare un’analisi sociologica, normalmente ferma e immobile, ma di immaginare, insieme ai volon-tari e alle stesse persone “vulnerabili”, un nuovo scenario, sperimentando anche nuovi percorsi di accompagnamento: dare all’ascolto un ruolo più pregnante e rappresentativo del metodo Caritas utilizzando nuovi e ulteriori significati. Per queste

motivazioni e in questo senso è stato prodotto un Piccolo lessico per l’ascolto derivante da un comples-so lavoro di ricerca realizzato da Caritas.

L’ascoltoL’intento di Piccolo lessico per l’ascolto è soprattutto quello di condividere con il lettore le scoperte fat-te affinché possano essere generative di altre espe-rienze simili. Questo perché crediamo che solo attraverso l’ascolto possa nascere una nuova e più feconda comprensione della realtà. È ponendosi all’ascolto dell’altro con estrema attenzione che si possono sottolineare cose che magari sfuggono all’attenzione di chi le problematiche della vulne-rabilità non le vive direttamente. Solo ascoltan-do si possono vedere nuovi problemi per avviare nuove soluzioni. Ascoltare, quindi, per ridefinire i nuovi drammi che un nuovo mondo “globalizzato e globalizzante” porta a vivere coloro che non han-no i mezzi sufficienti per poterlo affrontare. Ascol-to anche come possibilità di agire e ricominciare a prendersi cura dei problemi della città in cui vivia-mo, attraverso i protagonisti dei drammi che ogni giorno passano attraverso le parrocchie e i nostri Centri di ascolto. Piccolo lessico per l’ascolto, oltre a proporsi come guida per una nuova modalità di

intervento, vuole porre al servizio della città anche gli esiti di un complesso progetto di ricerca-azione realizzato dalla Caritas Diocesana.

I vulnerabiliChi sono, dunque, i vulnerabili? È importante ca-pire, in un mondo che sta cambiando e perdendo i confini seguendo un’ottica di globalizzazione, come vadano mutati i nostri quadri di riferimen-to sul fenomeno delle “nuove povertà” e di conse-guenza sugli interventi per contrastarne gli effetti. I vulnerabili (termine un po’ abusato e ambiguo) sono persone comuni, diverse tra loro, che in-crociano eventi che li mettono a rischio se non esistono elementi frenanti che li possano portare nelle bad lands della povertà. La vulnerabilità, a differenza della povertà novecentesca che definiva gli esclusi, si sperimenta invece all’interno di una vita ordinaria, che espone però al rischio di non riuscire più a svolgere compiti cruciali per la ri-produzione sociale e personale e per la mancanza di risorse adeguate.

Il redditoIl lavoro precario e il reddito scarso espongono a una doppia vulnerabilità: quella di non poter far fronte a funzionamenti basici (la casa) e quello di non poter più far fronte a funzionamenti proget-tuali. Il reddito precario e scarso diventa dimen-sione invadente che fagocita, nel cercare di inven-tarsi tattiche di sopravvivenza le energie indivi-duali diventando un pensiero ossessivo. Anche in questo caso, però, vanno distinte le situazioni di ogni persona: un padre immigrato con due figli ha diverse problematiche rispetto a un trentenne con un buon capitale individuale o un anziano con pensione minima.

Il cattivo lavoroDalle storie raccolte emerge soprattutto un sen-timento di adeguamento, una resa alla situazione “così com’è”. La reazione oscilla tra la tenacia della ricerca senza sosta (sempre più spesso si sente dire che «cercare lavoro è un lavoro»), con un alto livel-lo di accettazione e una speranza per il futuro sem-pre viva. Ma su questo le condizioni sono variabili a seconda della situazione che vive personalmente il soggetto, non è quindi affrontabile in maniera corale: • c’è chi è in transito verso la povertà conclamata, come gli over 50 con bassa qualifica;• ci sono giovani che, nonostante vivano esistenze dominate dalla discontinuità e frammentarietà e quindi dalla fatica e dalla preoccupazione, fanno emergere una forte competenza riorganizzativa,

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In precario equilibrio:un’analisi partendo dalle persone

Si è cercato di imma-ginare, insieme ai vo-lontari e alle stesse persone “vulnerabili”, un nuovo scenario, sperimentando an-che nuovi percorsi di accompagnamento: dare all’ascolto un ruolo più pregnante e rappresentativo del metodo Caritas utilizzando nuovi e ulteriori significati

Intanto in vari Paesi europei (Spagna, Belgio, Francia, Paesi Bassi e Portogallo) si svolgono manifestazioni di protesta contro il rincaro dei prezzi dei carburanti.Fine giugno: Il governo italiano annuncia il varo della social card (decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008, poi convertito in legge n. 113 il 6 agosto 2008), un sostegno economico di 400 euro annui (40 euro al mese) soprattutto per gli anziani percettori di pensioni basse. Si tratta di una carta prepagata che concede il diritto a sconti su bollette e prodotti alimentari. Saranno numerose le “disfunzioni” rispetto al provvedimento, e soprattutto nei primi tempi della sperimentazione molte card risulteranno senza credito.Luglio: All’inizio del mese l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) presenta l’Employment Outlook 2008, secondo cui le turbolenze economico-finanzia-rie causeranno la perdita del lavoro per un milione di persone nel 2008 e per due milioni nel 2009 solo nei Paesi OCSE. Secondo le previsioni, le conseguenze più pesanti saranno a carico degli Stati Uniti, dove nel 2009 i disoccupati raggiungeranno i 9,5 milioni.Agosto: A un anno dal suo inizio la crisi finanziaria mondiale ha costretto le banche a sva-lutare i relativi patrimoni per 476 miliardi di dollari, valore sottostimato secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI) che ritiene che tale operazione potrebbe costare il doppio (945 miliardi di dollari), o addirittura 1000-1.600 miliardi secondo altre stime. La crisi è di sistema, avendo essa coinvolto banche d’investimento, agenzie di rating, istituti specializzati, fondi pensione, consumatori.Settembre: Durante un’audizione al Senato italiano il direttore generale della FAO, Jacques Diouf, sostiene che nel mondo il numero delle persone sottoalimentate è cresciuto di 75 mi-lioni in un anno, raggiungendo quota 925 milioni. La causa principale sarebbe l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari.

Ottobre: In seguito a complesse discussioni politiche, il Congresso USA adotta il piano di emer-genza per stabilizzare l’economia. L’intervento pubblico è il più corposo nella storia del capitali-smo, e mette a disposizione del Tesoro USA 700 miliardi di dollari da utilizzare per il salvataggio delle banche, acquistando mutui instabili e “titoli-spazzatura” per sistemarne i bilanci.5 ottobre: A Parigi si tiene un Vertice straordinario sulla crisi finanziaria internazionale che vede la partecipazione dei capi di Stato e di governo di Francia, Germania, Italia e Regno Unito (membri UE facenti parte del G8, il cosiddetto G4). È raggiunto un accordo per as-sicurare solidità e stabilità al sistema bancario e finanziario ma, in caso di sostegno pubblico a una banca in difficoltà, ogni Stato membro del G4 «si impegna a che i dirigenti che hanno fallito siano puniti e i contribuenti protetti».12 ottobre: Durante l’annuale incontro di Banca Mondiale (BM) e Fondo Monetario In-ternazionale (FMI), Robert Zoellick, presidente della BM, dichiara che a fine 2008 ci saran-no nel mondo 100 milioni di nuovi poveri, mentre il FMI prevede un «collasso sistemico dell’economia globale» se i governi non correranno ai ripari con soluzioni al panico dei mercati e alla paralisi del credito.14 ottobre: Il governo statunitense annuncia l’intenzione di entrare come azionista nel capi-tale dei maggiori istituti di credito americani, con un’“iniezione” di credito per 250 miliardi di dollari. L’annuncio fa il paio con le scelte fatte negli stessi giorni dall’Unione Europea e porta diversi osservatori a considerare tali provvedimenti come «la fine dell’economia di mercato».Novembre: Come non succedeva da 14 anni, il tasso di disoccupazione in ottobre negli Stati Uniti passa dal 6,1% al 6,4%, a causa della perdita di 240.000 posti di lavoro. Il dato è ritenuto ancora più preoccupante se si considera che meno di un terzo dei lavoratori negli USA riceve qualche forma di sussidio. Le previsioni per l’ultimo trimestre 2008 registrano

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una sorta di adattamento superiore a quella di soggetti più adulti;• per le donne il cattivo lavoro si connette con la conciliazione dei tempi, creando un’alternati-va che permane tra redditi e funzionamenti. Se ci sono figli le necessità di conciliazione portano ver-so contratti spezzettati che fanno perdere reddito e tempo nel passaggio da un lavoro all’altro e si è rilevato come la figura maschile non sia affatto di sostegno;• soprattutto per gli stranieri, la mancanza di reti familiari porta a minori possibilità di superare gli eventi critici.

La famiglia e la genitorialitàL’evento generatore più ricorrente è la separazione, che espone al rischio di perdita di ogni equilibrio.

Gli esiti, in questo caso, possono essere diversi, perché giocano un ruolo importante le reti, il so-stegno di un buon welfare, il fronteggiamento del dissidio tra lavoro e genitorialità: un lavoro troppo invadente o un reddito troppo scarso espongono al sentimento di inadeguatezza. Soprattutto per le donne migranti l’essere esposte alla vulnerabilità fa sì che rete e famiglia non siano più risorsa, ma divengano responsabilità ulteriore. Il paradosso che si è venuto a marcare è che le don-ne sono esposte alla vulnerabilità a causa di eventi che attengono alla sfera dei funzionamenti sociali condivisi ed enfatizzati dalla cultura dominante: per esempio la nascita di un figlio, lo sviluppo del ruolo di genitori, l’inserimento lavorativo. Il paradosso sta appunto nel prezzo che in termini individuali le donne si trovano a pagare per eventi

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ordinari che si trasformano in ciclicità. Entrano infatti in crisi la riorganizzazione del tempo di vita tra lavoro, cura e problemi di reddito. Il lavoro è fattore vulnerante quando è precario, associato a salario insufficiente e alla monogenitorialità. Questo viene enfatizzato poi nel caso delle donne migranti, lontane dalla famiglia d’origine, per le quali vi è una maggiore difficoltà nel superare gli eventi critici.

L’abitazioneL’abitazione precaria espone a un forte senso di fragilità. Il rischio di perdere la casa è legato a ra-gioni economiche che si accumulano nel tempo e non trovano meccanismi frenanti. Questo so-prattutto perché gli aiuti che possono arrivare dal pubblico e dal privato generano ansia perché sono temporanei, e anche perché non trovano evoluzio-ni in altre situazioni (reddito, lavoro). Diventa in

Dalle storie raccolte emerge soprattutto un sentimento di adeguamento, una resa alla situazione “così com’è”

Solo attraverso l’ascolto può nascere una nuova e più fe-conda comprensio-ne della realtà. Solo ascoltando si pos-sono vedere nuovi problemi per avviare nuove soluzioni

CRONOLOGIA DELLA CRISI

una decrescita del 3,5%; le principali catene di distribuzione annunciano crolli intorno al 20% per quanto riguarda le vendite.13 novembre: Secondo un Rapporto dell’OCSE i 30 Paesi più industrializzati, entrati uffi-cialmente in recessione, potrebbero restarci per un lungo periodo. 26 novembre: La Commissione Europea presenta il piano anti-crisi dell’UE comprendente un incentivo finanziario coordinato di circa 200 miliardi di euro: circa 170 miliardi di euro a livello di Stati membri (mediante azioni nel quadro dei rispettivi bilanci) e circa 30 mi-liardi di euro a livello di UE.A fine anno il Sindacato Inquilini Casa e Territorio (SICET) presenta alcuni dati: nel 2008 sarebbero state più di 750.000 le famiglie che non hanno potuto pagare regolarmente l’affitto e 37.000 hanno subito lo sfratto per lo stesso motivo. Mentre più di due terzi delle famiglie che vivono in affitto percepiscono un reddito annuo di meno di 20.000 euro, la Finanziaria 2009 ha tagliato di 50 milioni di euro il Fondo di sostegno all’affitto.Si chiude un anno molto particolare per l’economia mondiale: in pochi mesi ha registrato capovolgimenti che normalmente avvengono in anni. Nel primo semestre è cresciuto a dismi-sura il prezzo delle principali materie prime, con il petrolio che in luglio ha raggiunto la quota record di 147 dollari al barile per poi crollare a fine anno a 45 dollari, con una diminuzione del 70% rispetto a luglio e del 54% rispetto a gennaio. Per tutte le altre materie prime, tranne oro e cacao e comprese invece le principali derrate agroalimentari, il calo dall’inizio alla fine del 2008 è stato mediamente del 46,5% dopo aver segnato i massimi storici a metà anno, di poco superiore al calo delle borse mondiali che in dodici mesi hanno perso il 42%: il 2008 ha can-cellato circa 4.000 miliardi di euro dai soli listini delle borse europee. Una crisi con un impatto così devastante e duraturo che non si registrava dalla Grande depressione degli anni Trenta.

2009Gennaio: Il segretario generale della Confederazione Europea dei Sindacati (CES), John Monks, intervenendo a Parigi al Congresso internazionale sulla rifondazione del capitalismo dichiara: «Noi, e la maggioranza dei Paesi del mondo, abbiamo benefi-ciato dell’apertura dell’economia globale. Ma questi vantaggi verranno rapidamente dimenticati quando milioni di persone in Europa, e in altre parti del mondo, dovranno affrontare la disoccupazione». 28 gennaio: L’International Labour Organization (ILO) pubblica il Global Employ-ment Trends Report da cui emerge che, se il panorama economico peggiorasse rispetto alle previsioni, il tasso di disoccupazione mondiale raggiungerebbe il 6,5% nel 2009, con un aumento del totale dei disoccupati di 30 milioni rispetto al 2007.Marzo: Il Parlamento Europeo chiede alla Commissione di presentare proposte legi-slative che mirino a favorire l’erogazione di microcrediti a imprese in crisi di liquidità e alle persone in difficoltà (immigrati, minoranze, precari e donne) per favorire il lavoro autonomo. Maggio: La Banca Centrale Europea registra un «continuo marcato ristagno» della domanda nel 2009, osserva «incerti segnali di stabilizzazione su livelli molto contenu-ti» e corregge al rialzo le aspettative relative al tasso di disoccupazione, che dovrebbe raggiungere il 9,3% nel 2009 fino a toccare il 10,5% nel 2010.Giugno: Per la prima volta il numero delle persone sottoalimentate supera il miliardo: sono dati forniti dalla FAO, che stima in 1,02 miliardi le persone che soffrono la fame. Riduzione dei redditi, aumento della disoccupazione e ridotto accesso al cibo hanno accresciuto i problemi alimentari in diverse regioni del mondo, in particolare in Asia

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questo caso cruciale l’accompagnamento lungo, non previsto dal sistema del welfare attuale che può intervenire, a norma di legge, soltanto in si-tuazioni di emergenza esplicita: quando cioè una persona ha già perso la casa e si ritrova per strada. Per i giovani under 30 l’abitazione diventa spesso casa collettiva: al contrario di quanto enfatizzato dai media, la dipendenza dalla famiglia è invece vissuta come vulnerabilità e umiliazione, una sorta di blocco progettuale nei confronti della vita adul-ta e del futuro.

La saluteLa dimensione del benessere e della salute percorre tutte le fasi del corso della vita, ma diviene domi-nante soprattutto in due fasce di età: • gli over 60, dove spesso uno dei coniugi sostiene il ruolo del care giver e dove le spese mediche di-vengono spesso causa di problemi economici;• gli over 80, in cui la malattia segna la quoti-dianità e la scarsità di reddito si unisce alla scarsa

possibilità di socializzare, che diventa irrimedia-bilmente solitudine. Ma anche la separazione e la solitudine genitoria-le sono generatori di vulnerabilità, esponendo a un disagio psicologico e psichiatrico che arriva a diventare in molti casi patologico. Insomma: la combinazione tra salute compromessa e capacità lavorativa espone a vulnerabilità quando il siste-ma di garanzie è debole e non ci sono elementi frenanti che tutelino dal rischio di perdere l’oc-cupazione.

Socialità e radicamentoSe per gli under 30 questo non risulta essere un disagio, esistono invece pieghe di isolamento, una sorta di bolla in cui poco del microcosmo socia-le circostante filtra: riguarda soprattutto le donne straniere, dedite al lavoro domestico, e gli anziani. Per questi ultimi il fattore di rischio di strania-mento è alto, perché non riconoscono più il loro

quartiere e devono convivere con nuovi abitanti. Per molti, soprattutto i più vulnerabili, gli stra-nieri sono “il nemico” perché sottraggono risor-se. Anche il commercio di prossimità, sempre più gestito dai nuovi immigrati, porta cambiamenti e difficoltà ad adattarsi ai nuovi prodotti.

La vulnerabilità intacca la sopravvivenzaLa vulnerabilità intacca funzionamenti di base, il sopravvivere oltre al vivere; mette a repentaglio la riproduzione stessa della vita: potersi curare, avere un tetto, avere un lavoro “qualsiasi” fatto di reddito sicuro più che basato su particolari gra-tificazioni.In più, questi funzionamenti sono correlati a un altro ambito progettuale: quello di essere buoni genitori significa in primis garantire la vita dei propri figli, offrendo una vita dignitosa. E questo vale per i geni-tori migranti, che sognano condizioni migliori per le nuove generazioni, ma anche per i genitori italiani. Per i migranti, inoltre, diventa preponderante l’essere liberi di eleggere il proprio territorio, condizione che presuppone abilità e competenze di riorganizzazione della vita e che implica il coinvolgimento di reti fa-miliari e sociali, non sempre presenti. Non ultimo il possedere un lavoro gratificante e coerente con i propri saperi diventa preponde-rante e ciò vale sia per i livelli economicamente più bassi che per quelli più alti. Questo si lega, ovviamente, alla necessità di avere autonomia

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La vulnerabilità in-tacca funzionamenti di base, il sopravvi-vere oltre al vivere; mette a repentaglio la riproduzione stes-sa della vita: potersi curare, avere un tet-to, avere un lavoro “qualsiasi” fatto di reddito sicuro.

e Pacifico (circa 642 milioni), Africa Subsahariana (265 milioni), America Latina e Caraibi (53 milioni), Medio Oriente e Nord Africa (42 milioni). Nei Paesi sviluppati si stimano invece circa 15 milioni di persone sottoalimentate.Ottobre: Secondo Eurostat a settembre i disoccupati in Europa hanno superato la quota di 22 milioni, dei quali 15,32 milioni nella zona euro, con un aumento di circa 5 milioni in un anno (3,2 milioni nei Paesi dell’euro) e un tasso salito al 9,2% nell’UE e al 9,7% nell’area dell’euro. Solo a settembre si sono persi 286.000 posti di lavoro nell’UE e 184.000 nella zona euro rispetto ad agosto.22 ottobre: È presentato a Roma il Rapporto 2009 su povertà ed esclusione sociale in Italia curato da Caritas italiana e Fondazione Zancan. Il Rapporto ritiene «verosimile pensare» che la crisi economico-sociale dell’ultimo anno abbia diminuito il potere d’ac-quisto di tutte le famiglie e che, di conseguenza, abbia accresciuto il numero di poveri in Italia del 4%, portandolo complessivamente a 10,5 milioni, cioè 17,7% circa della popolazione complessiva. Di questi, circa 3 milioni vivono poi in condizioni di “pover-tà assoluta” (il 5% circa della popolazione), cioè con una qualità di vita al di sotto del “minimo accettabile” e quindi non in grado di acquisire beni e servizi che permettono loro di evitare gravi forme di esclusione sociale.Novembre: Da un’indagine condotta da Eurobarometro emerge che la recessione economica preoccupa il 64% dei cittadini europei sul versante delle potenziali discri-minazioni legate all’età sul mercato del lavoro. Il 58% dei cittadini europei ritiene che nel proprio Paese la discriminazione in base all’età sia molto estesa (rispetto al 42% nel 2008); il 53% denuncia la discriminazione dovuta a disabilità (rispetto al 45% nel 2008).

Emerge poi una chiara correlazione con la situazione economica: il fatto che il 64% de-gli intervistati preveda che la recessione dia luogo sul mercato del lavoro a una più pro-nunciata discriminazione a causa dell’età, dipende probabilmente dal recente aumento della disoccupazione giovanile in molti Paesi dell’UE e dalla crescente consapevolezza di queste forme di discriminazione.Dicembre: In Italia ci sono più di due milioni di disoccupati, dato che non si registrava dal 2004 osserva l’Istat. A ottobre il tasso di disoccupazione ha raggiunto l’8% e addi-rittura il 26,9% il tasso di disoccupazione giovanile.29 dicembre: L’Istat presenta l’Indagine sulle condizioni di vita (2008) e sui redditi (2007). Nel 2008 è cresciuta, rispetto all’anno precedente, la quota di famiglie che dichiara di arrivare alla fine del mese con molta difficoltà (il 17%, contro il 15,4% del 2007); inoltre, aumentano le famiglie che non riescono a provvedere regolarmente al pagamento delle bollette (11,9%, contro l’8,8% del 2007) e all’acquisto di abiti neces-sari (18,2%, contro il 16,9%).Statisticamente significativo è anche l’incremento delle famiglie cui è capitato di non avere, in almeno un’occasione, soldi sufficienti per pagare le spese per i trasporti (8,3%, contro il 7,3% del 2007) e di quelle che sono in arretrato con il pagamento del mutuo (7,1% di quelle che hanno un mutuo, contro il 5%). Sostanzialmente sta-bili le quote di famiglie che non si possono permettere di riscaldare adeguatamente la propria abitazione (10,9%) e quelle che hanno risorse insufficienti per gli alimenti (5,7%) e per le spese mediche (11,2%). Quasi un terzo delle famiglie (31,9%) ha poi riferito di  non essere in grado di far fronte ad una spesa imprevista di 750 euro con risorse proprie.

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personale e indipendenza economica, che ha a che fare anche con aspetti di tipo simbolico nell’ambito del progetto di un futuro: le dimen-sioni della coppia, della famiglia, della genitoria-lità come funzionamenti da conquistare, gradi di libertà materiali indispensabili per un progetto lavorativo gratificante. Tutto ciò porta anche al desiderio di una cittadinanza attiva, l’avere un ruolo sociale ben definito nel proprio ambito di vita. Durante la ricerca è emerso con chiarezza quanto nelle storie di donne straniere sia presen-te il bisogno di sentirsi attive e utili all’interno

della propria comunità.

I punti di svoltaQuali sono, dunque, i

punti di svolta desti-nati a cambiare la

vita delle persone? Quali le micro-

fratture bio-grafiche che

i n t a c c a n o comunque il prose-guimen-to di al-

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• quella di destinare all’assistenza anche chi po-trebbe sfuggirle;• come raggiungere le persone in sofferenza per poterle aiutare;• il costo elevato dell’intervento.

Serve un welfare di prossimitàParrebbe quindi che lo snodo “politiche attive-assistenza” non sia decollato, questo perché anche le risorse non sono all’altezza e quindi non diven-gono molto efficaci, soprattutto in un panorama sociale che avrebbe necessità di accompagnamen-to e non di intervento nell’emergenza. Diverreb-be invece necessario creare nuove forme di convi-venza, di solidarietà e di mutualità. Sperimentare, nella pratica, un welfare di prossimità, che investa quindi sulla vita quotidiana e sulla qualità delle re-lazioni, che investa di più sulle persone e su quelle organizzazioni che dimostrano di avere non solo i mezzi, ma anche idee e metodo che vadano in questa direzione.

Il paradosso è che le donne sono esposte alla vulnerabilità a causa di eventi che attengono alla sfe-ra dei funzionamenti sociali condivisi ed enfatizzati dalla cul-tura dominante: la nascita di un figlio, il ruolo di genitore, l’in-serimento lavorativo

cuni funzionamenti? In primis: lavoro, casa, geni-torialità, salute, diminuzione e perdita di reddito. Ma le concatenazioni dipendono da imprevisti, gli scivolamenti avvengono dalla combinazione tra alcune dimensioni vulneranti e altre. Si crea, insomma, un meccanismo “a cascata” che invade sfere della vita diverse.

Un sistema fragilePer ciò che riguarda la struttura pubblica di aiuto, nonostante il Comune di Torino investa in modo crescente nel settore dell’assistenza, a fronte di questo nuovo panorama del disagio le risorse sono drammaticamente scarse. Si sostengono pertanto meno persone, sporadicamente e per tempi brevi, con mezzi insufficienti. È un sistema che quindi si ritrova schiacciato sempre di più sulle emergenze ed è in grado di prendere in carico solamente le situazioni limite: diventa quindi soprattutto ri-parativo e non promozionale. Secondo le persone intervistate nella ricerca, la vulnerabilità è sostan-zialmente lasciata a se stessa, diventa un territorio che il welfare non riesce a percorrere. La Chiesa stessa presenta la stessa fragilità e fatica: le risorse di primo aiuto e legate ai beni di prima necessità non sono più sufficienti come strumenti unici di accompagnamento di queste persone. Le politiche dell’emergenza evidenziano dunque una triplice criticità:

CRONOLOGIA DELLA CRISI

201018 gennaio: Eurostat pubblica un Rapporto sulla povertà in Europa, da cui emerge che nel 2008 era a rischio di povertà il 17% della popolazione dell’UE con rischi di povertà partico-larmente elevati in Lettonia (26%), Bulgaria (21%), Grecia, Spagna e Lituania (tutti al 20%). In 20 dei 27 Stati membri dell’UE il rischio di povertà nel 2008 è stato più elevato tra i minori che per il totale della popolazione: per gli under 17, infatti, si è registrata una media europea del 20%, ma con rischi più elevati in Romania (33%), Bulgaria (26%), Italia e Lettonia (25% entrambi). Anche la popolazione anziana ha fatto registrare rischi di povertà più elevati rispet-to al totale della popolazione: tra gli over 65 la media UE è stata nel 2008 del 19%, ma le per-centuali di anziani a rischio di povertà sono state molto più elevate in Lettonia (51%), a Cipro (49%), in Estonia (39%) e in Bulgaria (34%). Inoltre, il 17% della popolazione dell’UE nel 2008 era in stato di deprivazione materiale.21 gennaio: Con lo slogan “Stop alla povertà” è inaugurato a Madrid l’Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Il presidente della Commissione Europea, José Ma-nuel Barroso, dichiara che «la lotta alla povertà e all’esclusione sociale fa parte integrante della strategia per uscire dalla crisi (…); troppo spesso sono le categorie sociali più vulnerabili quelle che finiscono per essere maggiormente colpite dagli effetti di una recessione».24 gennaio: Uno studio della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound) rileva come, per far fronte alla crisi economica, sempre più imprese nell’UE ricorrano a forme di assunzione, retribuzione e occupazione improntate alla flessibilità.27 gennaio: La Caritas Europa presenta a Bruxelles la campagna “Zero poverty”, lanciata nell’ambito dell’Anno europeo per la lotta alla povertà e che comprende una petizione il cui obiettivo è la raccolta di un milione di firme per chiedere ai governi e alla Commissione Europea

alcune azioni concrete. Affermando che «la povertà è uno scandalo» la Caritas Europa denuncia l’«approccio lacunoso» delle politiche attuate finora, perché sarebbe invece necessario «concen-trare il sostegno sulle fasi iniziali della vita e sulle transizioni tra una fase e l’altra e assicurarsi che la spirale della povertà non venga mai imboccata». Secondo Caritas Europa «il modo migliore per combattere la povertà è prevenirla» e «il modo migliore per prevenire la povertà, e per com-batterla, è la partecipazione sociale».29 gennaio: Il tasso di disoccupazione in Italia ha raggiunto l’8,5% nel dicembre 2009 (il più alto dal 2004), secondo l’Istat. Sono oltre due milioni le persone in cerca di occupazione (+22,4% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente).Nell’UE, secondo Eurostat, a dicembre 2009 i disoccupati hanno raggiunto quota 23.012.000 (15.763.000 nell’eurozona). Complessivamente il tasso medio di disoccupazione è passato in un anno dall’8,2% del dicembre 2008 al 10% del dicembre 2009 nell’UE e dal 7,6% al 9,6% nell’area dell’euro, raggiungendo i livelli più elevati dal gennaio 2000 per l’UE e addirittura dall’agosto 1998 per la zona euro.11 febbraio: La Caritas italiana presenta a Roma le iniziative che intende attuare nell’ambito dell’Anno europeo 2010, sottolineando tre segnali individuati quali primi effetti in Italia della crisi economica: è in aumento il numero di persone che chiedono aiuto ai servizi delle Caritas, tra queste sono sempre di più gli italiani mentre tra gli stranieri immigrati crescono nuove po-vertà. Come osserva il direttore della Caritas italiana, mons. Vittorio Nozza, presso le Caritas italiane dal 2007 al 2008 si sono registrati incrementi medi di utenza pari a circa il 20%.

Fonti: Rapporto sui diritti globali 2009, Apiceuropa, Ansa, Repubblica, Unimondo, Redattore Sociale, euronote

Per i giovani, al con-trario di quanto en-fatizzato dai media, la dipendenza dalla famiglia è vissuta come vulnerabilità e umiliazione, una sorta di blocco pro-gettuale nei confronti della vita adulta e del futuro

* Responsabile dell’Osservatorio delle Povertà e delle Ri-sorse della Caritas Diocesana di Torino, curatrice della ricerca “In precario equilibrio. Vulnerabilità sociali e ri-schio povertà. Un’osservazione a partire dal Quartiere San Salvario di Torino”, EGA Edizioni, 2009, Torino.

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grati nella società. Gli Stati membri dell’UE dovreb-bero ridurre l’esclusione finanziaria promuovendo l’alfabetizzazione finanzia-ria, facilitando l’accesso a servizi finanziari adeguati e offrendo consulenza e orienta-mento alle persone gravate da un debito.

Empowerment: Insie-me di conoscenze, abilità relazionali, competenze che permettono a un in-dividuo o a un gruppo di definire i propri obiettivi e di mettere a punto strate-gie per raggiungerli a par-tire dalle risorse esistenti.

Esclusione sociale: Processo nel quale individui o gruppi sono relegati ai margini della so-cietà e impossibilitati a farne parte nonché a con-tribuire e a beneficiare del progresso economico e sociale. Ciò può implicare l’esclusione dai processi decisionali e di elaborazione delle politiche che han-no un impatto sulla loro vita e dall’accesso al mercato del lavoro, all’istruzione e formazione, ai servizi so-ciali, all’assistenza sanitaria e ai servizi abitativi.

Finanziarizzazione dell’economia: Fenomeno tipico del capitalismo maturo, svilup-patosi soprattutto a partire dagli anni Ottanta, che fa registrare un progressivo aumento del complesso degli strumenti finanziari in circolazione in un de-terminato periodo, e il volume d’affari da questo creato, rispetto al Prodotto Lordo dell’economia. La globalizzazione economica ha ulteriormente alimen-tato questo fenomeno, perché esiste una connessione tra sviluppo degli scambi commerciali e formazione di attività finanziarie. La degenerazione degli stru-menti finanziari verificatasi negli ultimi anni ha poi ulteriormente squilibrato questo rapporto: si stima che le operazioni in derivati realizzate al di fuori dei mercati regolamentati abbiano superato i 600.000 miliardi di dollari, cifra equivalente a oltre 10 volte il Prodotto Mondiale Lordo.

Flessicurezza: Strategia per potenziare la flessi-bilità dei mercati occupazionali, dell’organizzazione e delle relazioni di lavoro, assicurando al contempo la sicurezza dell’occupazione e del reddito. Tale ap-proccio può migliorare la competitività dell’Europa senza metterne in pericolo il modello sociale. Il con-cetto di flessicurezza è nato in Danimarca, dove la considerevole libertà nelle assunzioni e nei licenzia-menti è accompagnata da una rete di sicurezza socia-le particolarmente forte.

Globalizzazione: Con questo termine si cerca di definire un fenomeno altamente complesso che vede le economie e i mercati nazionali, anche attra-verso il continuo sviluppo dei sistemi di telecomu-nicazione e delle tecnologie informatiche, diventare sempre più interdipendenti, fino a essere parte di

un unico sistema mondiale. Con l’affermazione a livello internazio-nale delle politiche economiche neoliberiste negli anni Ottanta e il crollo dei sistemi socialisti, l’inter-

dipendenza economica si è estesa a livello globale, rafforzando approcci

di matrice liberista fautori dell’abbatti-mento di ogni limitazione al libero fun-zionamento del mercato. La diffusione

del neoliberismo tra i governi dei Paesi più ricchi e sviluppati ha raggiunto anche gli organi-

smi internazionali e ha caratterizzato sempre più le politiche e gli interventi a livello internazionale.

L’interdipendenza, prima solo economica, è divenu-ta finanziaria, commerciale, tecnologica, scientifica, politica, sociale, culturale, ideologica, arrivando a interessare ogni campo dell’attività umana (il cosid-detto “pensiero unico”).

Governance: Esercizio del potere nella gestione delle risorse di un Paese e delle questioni che lo ri-guardano ed è fondamentale dal momento che que-sto comprende sia i processi sia le arene in cui vengo-no formulate, legittimate e messe in atto le politiche pubbliche.

Gruppi vulnerabili: Gruppi con un rischio di povertà ed esclusione sociale più elevato rispetto al resto della popolazione. Minoranze etniche, immi-grati, disabili, senzatetto, tossicodipendenti, anziani e bambini isolati spesso si scontrano con difficoltà che potrebbero condurre a un’ulteriore esclusione sociale, come ad esempio bassi livelli di istruzione, disoccupazione o sottoccupazione.

Incontro europeo delle persone in povertà: Un incontro annuale organizzato per ascoltare le opinioni delle persone che affrontano la povertà e per avviare un dialogo con politici e deci-sori impegnati nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Per le persone che vivono in una situazione di povertà, l’incontro rappresenta un’opportunità di partecipare formalmente al processo di elaborazione delle soluzioni in grado di migliorare la loro vita.

Indicatori: Parametri solidi usati come stru-menti utili a monitorare la situazione sociale di un Paese in relazione a un obiettivo politico. Gli indi-catori offrono un quadro atto a raffrontare i dati fra un Paese e l’altro, consentendo agli Stati di valutare la portata dei progressi compiuti in direzione degli obiettivi comuni e l’efficacia delle politiche per il loro raggiungimento.

Indice di Sviluppo Umano (ISU): Introdotto dall’ONU nel 1990, supera una misu-razione meramente economicistica dello sviluppo delle nazioni e apre a indicatori sociali diversi, tra i quali quelli legati alla salute e al benessere psicofisico

dellaUn glossario

Dispositivi di reddito minimo: Un di-spositivo di reddito minimo garantito è una garanzia del reddito universale, non contributiva e soggetta a particolari condizioni, che funge da rete di sicurezza della protezione sociale (o ne è parte) per impedire a cittadini e famiglie di trovarsi in situazione di pover-tà (estrema) o al di sotto di standard di vita dignitosi. I dispositivi di reddito minimo garantito rivestono un ruolo ben preciso ed essenziale nella lotta contro la povertà e l’esclusione sociale, dal momento che sono l’ultima risorsa della protezione sociale e una componente principale delle reti di sicurezza globale. Tali dispositivi sono variamente correlati, a seconda del contesto nazionale e del quadro politico in cui si inseriscono, a misure di attivazione individuale. Diffusi in Europa a “macchia di leopardo” dal secon-do dopoguerra, tali dispositivi si sono ulteriormente estesi nella seconda metà degli anni Novanta a fronte della crisi della piena occupazione e della stabilità fa-miliare, diventando strumento delle politiche sociali a fronte delle condizioni di povertà e disoccupazio-ne di molti “poveri abili”. L’Unione Europea fin dal 1992, e poi nel 2000 con il Consiglio di Lisbona, invitava gli Stati membri a dotarsi di una simile «ga-ranzia minima di risorse». Attualmente, solo Italia e Grecia non hanno adottato alcuna forma di reddito minimo.

Esclusione finanziaria: L’esclusione finan-ziaria si riferisce a un processo per cui alcune persone incorrono in difficoltà di utilizzo di e/o accesso a ser-vizi o prodotti finanziari adeguati alle loro esigenze e in grado di consentire loro una vita sociale norma-le. L’accesso ai servizi finanziari è essenziale perché i cittadini siano economicamente e socialmente inte-

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dellaUn glossario

e sociale sono numerosi: accesso ai servizi sanitari, alimentazione, accesso all’acqua, speranza di vita alla nascita. Su base ISU è stilata una classifica mondiale delle condizioni di sviluppo dei Paesi.

Lavoro dignitoso (decent work): Stra-tegia lanciata dall’International Labour Organization (ILO) e sostenuta dalla Confederazione Sindacale Internazionale (CSI) e da varie ONG per realizzare uno sviluppo sostenibile e una società giusta, equa ed inclusiva, fondata sulla creazione di posti di lavoro, sul rispetto dei diritti dei lavoratori, sull’accesso alla protezione sociale e al dialogo sociale. Le principali componenti del lavoro dignitoso sono il rispetto del-le Convenzioni internazionali, uguali opportunità e diritti e un accesso all’occupazione senza discrimi-nazioni, una retribuzione adeguata che permette ai lavoratori e alle loro famiglie di vivere appunto in modo dignitoso, salute e sicurezza, protezione socia-le, libertà dallo sfruttamento, libertà d’organizzazio-ne e di contrattazione collettiva.

Modelli di protezione sociale: A livello europeo sono due i macro-tipi di sistemi di prote-zione sociale. Uno, caratterizzato dall’universalismo delle prestazioni, dal finanziamento attraverso la tas-sazione generale e dalla gestione e/o controllo pub-blico dei fattori di produzione (modello “Beverid-ge”, vige in Danimarca, Finlandia, Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia). Un altro, basato sulle assicurazioni sociali, caratterizzato dall’obbligatorietà della copertura nell’ambito di un sistema di sicurezza sociale, finanziato per lo più da contributi individuali attraverso fondi assicurativi e con gestione dei fattori di produzione pubblica e/o privata (modello “Bismark”, vige in Austria, Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi). La tendenza attuale è comunque quella di una conver-genza tra i due modelli, dovuta al crescente mix tra pubblico e privato che caratterizza, sebbene con gra-dualità differenti, tutti i Paesi dell’Unione.

Obiettivi del millennio: Definiti nel corso del Millennium Summit delle Nazioni Unite svoltosi nel 2000, al fine di rafforzare e completare i propositi posti fino a quel momento dalla comunità interna-zionale, sono stati sottoscritti da 189 capi di Stato e di governo. Tali Obiettivi prevedono una serie di risultati da raggiungere entro il 2015: sradicare la povertà estrema e la fame dimezzando il numero di persone costrette a vivere con meno di un dollaro al giorno; garantire l’istruzione primaria a tutti i ragaz-zi e le ragazze; promuovere l’uguaglianza di genere eliminando la disparità nell’istruzione primaria e se-condaria; ridurre di due terzi il tasso di mortalità in-fantile tra i bambini con meno di cinque anni; esten-dere le cure alla maternità riducendo di tre quarti il tasso di mortalità delle donne durante gravidanza e parto; fermare la diffusione dell’HIV/AIDS e lottare contro la malaria e le altre gravi malattie; assicurare la sostenibilità ambientale, dimezzare il numero di per-sone senza accesso all’acqua potabile e migliorare la condizione di almeno 100 milioni di abitanti poveri delle città; sviluppare una partnership globale per lo sviluppo e la riduzione della povertà, con particola-re attenzione ai problemi del debito, alla creazione di lavori decenti e produttivi, all’accesso ai farmaci essenziali.

Povertà assoluta: Determinata sulla base di un paniere di beni e servizi ritenuti indispensabili per una famiglia. Misura le condizioni di famiglie particolarmente povere. È un criterio utilizzato dalle Nazioni Unite e da altre agenzie internazionali. Pre-senta tuttavia alcuni problemi, quali la definizione dei bisogni minimi, il suo aggiornamento. Nella de-finizione fornita dalla Banca Mondiale per povertà assoluta si intende una condizione di vita così pre-caria da impedire di realizzare e sviluppare il pieno potenziale del patrimonio genetico presente alla nascita. La povertà può essere vinta riconoscendo e garantendo senza discriminazione alcuna i diritti universali espressi nella Dichiarazione del 1948. Il rapporto tra il numero di famiglie con spesa media

mensile per consumi pari o al di sotto della soglia di povertà e il totale delle famiglie residenti misura l’incidenza della povertà assoluta. Misurando invece quanto la spesa media delle famiglie definite povere è al di sotto della soglia di povertà si ottiene l’indica-tore di intensità della povertà assoluta.

Povertà lavorativa (In-work poverty): È la condizione vissuta dalle persone che hanno un reddito e risorse insufficienti a mantenere uno stan-dard di vita decoroso, nonostante siano occupate. La povertà lavorativa è principalmente conseguenza di lacune del mercato del lavoro, come le posizio-ni instabili, i salari bassi e il part-time involontario. Questi fattori possono essere inaspriti da situazioni in cui gli adulti che lavorano sono in numero esiguo rispetto alle dimensioni del nucleo familiare.

Povertà relativa: La povertà relativa è misu-rata rispetto al tenore di vita di cui gode la maggior parte delle persone nella stessa area, e pertanto varia da una regione all’altra. L’Unione Europea utilizza una definizione relativa per misurare la povertà, ov-vero considera la quota di persone con un reddito disponibile inferiore al 60% della mediana naziona-le. Questa riflette la definizione di povertà adottata dai capi di Stato europei, che considerano povero un soggetto «le cui risorse sono insufficienti in misura tale da impedirgli un livello di vita considerato accet-tabile nella società in cui vive».

Privazione materiale: La privazione mate-riale è la situazione nella quale le persone sono priva-te dei beni e dei servizi considerati necessari per una qualità della vita dignitosa nel Paese in cui vivono, ovvero si trovano in gravi ristrettezze economiche, non possono permettersi beni durevoli di base, vivo-no in condizioni abitative disagiate o non possono partecipare alla vita sociale (attività del tempo libero, vacanze). Le misurazioni della privazione materiale

offrono una prospettiva della povertà complementa-re a quella fornita dalle tradizionali misurazioni del reddito.

Protezione sociale: Misure attuate per assicu-rare uno standard minimo di benessere e per tutelare i cittadini contro i rischi di un reddito inadeguato associato alla disoccupazione, alla malattia, alla disa-bilità, all’invecchiamento, al costo di sostentamento della propria famiglia o alla morte di un congiunto. La protezione sociale comprende il trattamento pre-videnziale (ad esempio, l’erogazione di pensioni) e l’accesso universale a servizi quali l’assistenza sanita-ria e a lungo termine.

Rischio di povertà: Sono considerate a rischio di povertà le persone che vivono con un reddito di-sponibile equivalente inferiore al 60% del reddito me-diano nazionale. Nell’UE, infatti, un reddito simile è considerato insufficiente a mantenere un tenore di vita decoroso. Se le persone al di sotto della soglia del 60% stiano effettivamente vivendo una situazione di povertà dipenderà da molti fattori, compresa la perti-nenza della soglia, il lasso di tempo da cui si sta perce-pendo questo reddito relativamente basso o il possesso e l’uso di altri beni, soprattutto la casa.

Senza fissa dimora: L’espressione si riferisce alle persone prive di un alloggio fisso, stabile o digni-toso, spesso come conseguenza di numerosi fattori

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sociali, tra cui la non disponibi-lità di una sistemazione decorosa

o l’impossibilità di permettersela, la povertà, la disoccupazione, la malattia

mentale, l’abuso di sostanze stupefacen-ti, l’impossibilità di accedere ai servizi ne-

cessari, la violenza domestica e i cambiamenti nell’assistenza pubblica. Oltre alle persone che

vivono per strada e a quelle temporaneamente ospitate da amici o familiari, chi è senza fissa dimora vive principalmente in alloggi collettivi, come i rifugi per senzatetto.

Servizi di interesse generale: Questi servi-zi coprono un ampio ventaglio di attività, dalle grandi industrie di rete (come l’energia, le telecomunicazioni, i trasporti, le trasmissioni audiovisive e i servizi posta-li) a istruzione, approvvigionamento idrico, gestione dei rifiuti, sanità e servizi sociali. Questi servizi sono essenziali alla vita quotidiana di cittadini e imprese e rispecchiano il modello sociale europeo. Spetta fonda-mentalmente alle autorità pubbliche, al livello compe-tente, decidere in merito alla natura e alla portata di un servizio di interesse generale.

Servizi sociali di interesse generale: Sono una parte specifica dei servizi di interesse ge-nerale e, oltre ai servizi sanitari, comprendono due ampie tipologie di servizi, le cui funzioni e organiz-zazione variano tra i Paesi: da una parte, i regimi di previdenza sociale obbligatori e complementari, dall’altra altri servizi erogati direttamente alla perso-na che svolgono un ruolo preventivo e socialmente coesivo, quali i servizi di assistenza sociale, i servizi per l’occupazione e la formazione, l’edilizia sociale, i servizi di assistenza all’infanzia o a lungo termine. Questi servizi rivestono un ruolo determinante nelle nostre società e offrono un contributo importante al conseguimento di obiettivi fondamentali come la coesione sociale, economica e territoriale, l’elevato tasso di occupazione, l’inclusione sociale e la crescita economica.

Sicurezza alimentare: Secondo la Dichiara-zione adottata nel 1996 al Vertice Mondiale sull’Ali-mentazione, «si può parlare di sicurezza alimenta-re quando si realizza per tutte le persone e in ogni momento un accesso fisico ed economico a cibo sufficiente e nutriente per condurre una vita attiva e sana». La sicurezza alimentare si fonda quindi su quattro pilastri: disponibilità, stabilità, accesso e pos-sibilità di impiego delle risorse alimentari.

Sovranità alimentare: Reazione alla libe-ralizzazione del commercio e agli aggiustamenti strutturali imposti da organismi internazionali che impediscono ai Paesi di progettare e implementare politiche sul cibo sovrane nel proprio territorio. La Commissione speciale delle Nazioni Unite sui di-ritti economici, sociali e culturali, supportata dalle ONG e dalla società civile, ha definito la sovranità alimentare come «il diritto dei popoli a elaborare po-litiche e strategie sostenibili di produzione, distribu-zione e consumo di alimentazione che garantiscano il diritto al cibo per tutta la popolazione».

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dellaUn glossario

Sostenibilità economica: Da criterio di economicità e razionalizzazione del sistema di wel-fare, la sostenibilità economica è diventata elemento da cui spesso discende la esigibilità reale dei diritti sociali. La compatibilità di spesa è diventata infatti la “variabile indipendente” da cui derivano le scelte in materia di sanità e politiche sociali.

Sovraindebitamento: Una famiglia è con-siderata sovraindebitata quando è spinta al di sotto della soglia di povertà dagli impegni di pagamento, ha arretrati strutturali relativi ad almeno un impegno finanziario (crediti e bollette), considera la sua capa-cità di pagamento “difficile” e non è in grado di far fronte alle spese impreviste.Il sovraindebitamento può essere conseguenza di un reddito basso, di crisi finanziarie, di prestiti eccessivi o di una cattiva gestione del denaro. L’UE intende eliminare il sovraindebitamento promuovendo mi-sure politiche esaustive, sia preventive (prestito e ge-stione del denaro responsabili; concessione dei mu-tui responsabile; gestione degli arretrati e recupero crediti responsabili) sia di riabilitazione del debitore (servizi di consulenza per i debiti; processi giudiziari, compresa la bancarotta fraudolenta; procedure non giudiziarie/amichevoli per il regolamento dei debiti).

Sviluppo sostenibile: Processo di sviluppo che non compromette ma rispetta il contesto am-bientale senza sacrificarlo all’economia e contempla il soddisfacimento dei bisogni e delle aspirazioni delle popolazioni. Il termine è stato accreditato uf-ficialmente nel 1992, in occasione della Conferenza ONU su ambiente e sviluppo a Rio de Janeiro.

Vulnerabilità sociale: Indica l’esposizione di singoli e di nuclei familiari al rischio povertà. Una “zona grigia” in cui si sperimenta, all’inter-

no di un contesto di vita ordinario, una situazione problematica derivante dalla necessità di svolgere compiti sociali cruciali (connessi a meccanismi fondamentali della riproduzione sociale) in man-canza di un set adeguato di risorse, capacità e re-lazioni d’aiuto. Secondo un’altra definizione, si tratta di esposizione a processi di disarticolazione sociale che mette a rischio l’organizzazione della vita quotidiana. Ciò che caratterizza la condizione di vulnerabilità è la possibilità di evolvere positi-vamente, recuperando le situazioni critiche, o di avviarsi alla carriera di povertà, attraverso meccani-smi di “accumulo” di criticità. Il ruolo del welfare in questa evoluzione appare dirimente, così come giocano un ruolo significativo il capitale individua-le e le reti sociali dei singoli.

Welfare State: Sistema sociale in cui lo Stato garantisce ai cittadini – attraverso politiche redistri-butive della ricchezza, servizi e politiche attive – un livello minimo indispensabile di vita individuale e sociale. Tradizionalmente basato sull’universalismo delle prestazioni e sulla fiscalità generale come base di finanziamento, oggi il welfare si sta ridisegnando a seguito di grandi mutamenti che hanno messo in crisi lo stesso meccanismo di negoziazione sociale a fronte del conflitto sociale tra capitale e lavoro, di cui il welfare rappresentava di fase in fase il prodotto. Oggi, il paradigma neoliberista tende ad assottigliare il sistema di welfare, a farlo andare verso forme miste Stato-mercato-società (welfare mix) fino a delineare possibilità di welfare market. La cosiddetta welfare community allude a un sistema misto che valorizzi la cooperazione sociale, l’autorganizzazione, il non profit e il mercato, con gradi variabili di ruolo del pubblico.

Rivista dell’Osservatorio Caritas Torino - n.1 - marzo 2010A cura di: apiceuropa società cooperativa - www.apiceuropa.comRedazione: Tiziana Ciampolini (responsabile Osservatorio Caritas Torino) - Marina Marchisio - Enrico Panero (caporedattore) - Francesco Piperis - Cristina RowinskiHa collaborato: Stefano FrassettoGrafica e impaginazione: Luca ImeritoStampa: La piazza dei mestieri - via Durandi 13 - TorinoImmagini fotografiche tratte da www.sxc.huInformazioni: Osservatorio Caritas Torino - [email protected] - www1.caritas.torino.itQuesto numero è stato chiuso in redazione il 1° marzo 2010

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per organizzare incontri di animazione e divulgazione. “Punti di vista” sembra un quotidiano, infatti non è ca-suale il formato che abbiamo scelto per questo giornale: la povertà è quotidianamente in mezzo a noi, perché ci avvolge con le sue spire, lambisce le nostre vite e can-cella le differenze di nazionalità, razza, religione, ceto sociale, status civile. La povertà non è più solo lontana, non colpisce più solo coloro che vivono lontani dalle centralità di una società “efficiente”. È così vicina da soffiarci sul collo, quotidianamente. Noi non possiamo non sapere, non conoscere, non vedere, non capire. Non possiamo permettercelo. Non possiamo perché a differenza del passato, quando “fare qualcosa per i poveri” significava “esserci”, “stare con” e questo poteva già essere un intervento straordinariamente efficace, oggi il solo “sta-re con” non basta più, perché i problemi sono così com-plessi che per essere vicino all’altro, offrendo una mano, un cuore, un’intelligenza che accompagna, occorre essere informati sui nuovi significati dei cambiamenti sociali e come questi si riverberano sui nuovi e vecchi poveri. È una questione di responsabilità per chi sceglie di met-tersi al servizio degli altri. Non solo.

Oggi non basta più che ci siano gruppi di volontari che si occupano di persone in difficoltà, oggi tutti sia-mo chiamati, responsabilmente, a prenderci cura di chi ci sta accanto ed è schiacciato da eventi improvvisi che cambiano il corso della sua vita: una malattia, la perdita del lavoro, una separazione. Siamo chiamati ad una responsabilità collettiva, a condividere il no-stro capitale sociale (di risorse, conoscenze, relazioni, piccole e grandi che siano) con chi si trova in deficit di risorse. Scopriamo giorno dopo giorno che il progres-so civile ed economico della nostra società dipende da quanto sono diffuse le pratiche di fraternità: quelle pratiche con cui riconosciamo che con l’altro siamo indissolubilmente legati da una comune appartenenza e che non possiamo non cooperare. «Le società che estirpano dal proprio terreno le radici dell’albero del-la fraternità sono destinate al declino, come la storia da tempo ci ha insegnato» dice l’economista Stefano Zamagni. Riscoprire la fraternità e la responsabilità significa comprendere che non c’è bisogno che io ab-bia ore di tempo da dedicare al volontariato, significa mettersi all’opera nel quotidiano, ascoltare le persone e le loro storie, alzare il telefono e contattare un ami-

co, un gruppo che sappiamo avere le competenze per offrire supporto, significa indirizzare presso qualche risorsa: per fare tutto questo occorre essere cittadini informati, attenti e preparati. Ogni numero di “punti di vista” tratta un argomento diverso, questa volta il tema è “Soglie di povertà”. Chi entra oggi in situazioni di povertà a Torino, in Italia, in Europa? La soglia non è solo una porta da cui si entra, ma è anche un luogo poroso, di passaggio, di movimento da cui si può vedere e ascoltare, in cui attivare attenzioni e nuove forme per accompagnare le persone fuori dalle soglie di povertà, inventando percorsi generativi di uscita dalla porta da cui si è entrati. Conoscere per fare, per fare meglio, per fare insieme. Questo è il desiderio che ha mosso il gruppo di per-sone che ha lavorato con cura e passione alla realizza-zione di “punti di vista”. Ci piacerebbe sapere il vostro parere, per aiutarci a migliorare la nostra rivista che uscirà nuovamente ad ottobre 2010: potete scrivere a [email protected], vi risponderemo.

Responsabile Osservatorio Caritas Torino

dalla prima pagina

Caritas Torino:animare alla vera carità

di Pierluigi Dovis

La storia

Organizzazione interna

Caritas Torino nasce, su iniziativa del Cardinale Ana-stasio Ballestrero, il 5 febbraio 1980. Viene costituita non come organizzazione indipendente, ma come uf-ficio tra gli uffici della Curia Metropolitana. Dipende, dunque, dal Vescovo. Nei suoi confronti il paritetico organismo a livello nazionale – Caritas Italiana – de-tiene solo un compito di coordinamento e di raccor-do. Non ha personalità giuridica propria, perché è parte integrante dell’Arcidiocesi subalpina. Per questo il suo presidente è l’Arcivescovo, che si serve di un di-rettore per portare avanti il servizio specifico che le è affidato dallo Statuto, ricalcante quello di Caritas Ita-liana. L’incarico fu assunto per primo da don Piero Giacobbo che, nella seconda metà degli anni Ottanta, passò il testimone all’allora trentacinquenne don Ser-gio Baravalle. Nell’ottobre del 2000, prima volta in Diocesi, Caritas venne affidata ad un laico, Pierluigi Dovis, attuale direttore. La sede attuale è nel nuovo palazzo della Curia, presso la Chiesa del Santo Volto.

Caritas Torino si snoda intorno al lavoro di una cin-quantina di collaboratori, coagulati da una equipe di sette persone. Per portare a termine il proprio man-dato statutario si è articolata in alcune aree di lavoro: la segreteria generale ed economica, l’area di promozione umana e coordinamento dei servizi, la sezione promozione del volontariato giovanile, l’area di educazione alla mondialità, i servizi segno (tra cui il Centro di Ascolto) e l’area di promozione Caritas. Quets’ultima – un po’ il cuore della Caritas – si articola in alcune sezioni specifiche: la segreteria dei Centri di ascolto, l’Osservatorio delle povertà e delle risorse, la promozione delle Caritas Par-rocchiali, i progetti speciali (aree metropolitane, ad esempio). Recentemente, in collaborazione con l’Ufficio Pastorale Salute, è nato il Tavolo Diocesano Salute Mentale.

Spesso l’apparenza inganna e crea delle opinioni non sempre coerenti con la verità. Come l’idea ormai di dominio pubblico che la Caritas sia una associazione umanitaria, composta da volontari pronti ad offrire i più disparati ser-vizi agli sventurati di questo mondo. È anche vero, ma non è una immagine completa. Caritas Torino è da sempre convinta del fatto che, nel suo agire, ci sia una priorità che non può essere affatto disillusa.

La mission propria, insostituibile e caratteristica di Caritas sta dentro al concetto pastorale di animazione. Un ruolo di natura educativa che si gioca su diversi destinatari: le comunità cristiane, le singole persone e i gruppi, le formazioni della società civile e le Istituzioni. L’obiettivo – questo sì – ha davvero a che fare con i più poveri e con l’esclusione: suscitare attenzione e responsabilizzazione rispetto a loro. Perché i poveri sono l’a-partire-da del modo cristiano di intendere la testimonianza di carità. Insomma, Caritas è un semplice strumento che ha come sua propria preoccupazione il far sì che il cristiano viva una fede che si fa opera mediante la carità, ovvero rendere credibile la fede in un Dio che per definizione si chiama Agàpe, carità. Un lavoro che travalica le frontiere dell’esperienza religiosa irrorando anche quella umana della costruzione delle società. Nul-la vi è di più umano che l’amore, quello che sa prendersi cura anche di coloro che non avrebbero motivo per farsi benvolere. Animare richiede di abilitare tutti questi soggetti alla capacità di un ascolto assiduo e aperto delle persone e del territorio, ad accorgersi dell’altro non come un problema ma come persona. Ac-corgersi a tutto tondo: dal vicino di casa, a chi condivide l’abitare il medesimo territorio, fino a colui che vive lontanissimo, disperso nei meandri della geografia mondiale. L’ascolto non può che generare osservazione, ovvero approfondimento dei contesti, delle strutture, del contenuto delle reazioni quotidiane in orizzontale e in verticale. La carità sa andare in profondità perché è nell’interiorità delle cose che si annida la speranza del futuro come pure il tarlo delle strutture di peccato. Ma a poco servirebbero tante attenzioni se non sfociassero nella dinamica del discernimento, della riflessione, della richiesta di senso e della disponibilità a lasciarsi mettere in crisi. Ben lo sappiamo: amare non è teoria, ma buona pratica indirizzata da una ancora migliore teoria. Su questi presupposti da trenta anni sta lavorando e costruendosi Caritas Torino. Per noi animare è dare respiro e ampliare la lunghezza a progetti, servizi, occasioni di coordinamento, inserendoli in una cor-nice di senso che aiuti a stare accanto ai poveri, non “sopra” a loro. Gli investimenti formativi sono ormai diventati significativi, specie nella linea dell’accompagnamento alle parrocchie e ai gruppi su dimensione territoriale. Incontri periodici, raccolta di necessità e buone prassi, rielaborazione e restituzione dei vissuti di servizio dei circa 600 servizi socio-assistenziali in qualche maniera afferenti alla Chiesa Cattolica torinese, avvio di piccoli percorsi formativi e di accom-pagnamento per parrocchie o gruppi e avvio di progetti specifici, a volte di largo respiro e percorsi qualificati di formazione.

Da 21 anni a questa parte Caritas Torino offre a tutti i vo-lontari delle più diverse tradizioni locali un’occasione di riflessione specifica: la Giornata Caritas. Animare significa anche saper “far fare”. Non per nulla Caritas Torino non gestisce in proprio nessun servizio. Le due case di accoglienza per donne in difficoltà, le ac-coglienze e accompagnamenti per carcerati e il luogo di ascolto dei poveri – chiamato “Le Due Tuniche” – sono tutte azioni prevalentemente educative, ispirate da Caritas e cogestite con Associazioni o enti terzi. Sono dei segni che hanno lo scopo di attirare l’attenzione sul compito della solidarietà e della fraternità. Nel tempo dal discernimento di Caritas è nata una associazione a servizio dei malati di AIDS, una fondazione che accompagna le persone cadute in usura, un progetto di mediazione abitativa per persone svantaggiate, alcune iniziative progettuali per le fasce più escluse. Azioni che, per entrare bene in sinergia con i tanti servizi del volontariato cattolico torinese, necessitano di coordinamento, anche questo svolto da Caritas. La frequentazione dei poveri ci ha indotto, negli ultimi anni, a cercare di capire meglio il volto delle povertà a partire dal territorio. Abitando i luoghi degli uomini di oggi stiamo cer-cando di creare attenzione in alcuni quartieri della città metropolitana per rendere le parrocchie capaci di intercettare soprattutto i cosiddetti nuovi poveri, le famiglie vulnerabili o già vulnerate. La nostra insistenza è anche sulle risorse. Anzitutto quelle del volontariato, che cerchiamo di promuovere soprattutto a partire dai giovani. Prima lo facevamo con gli obiettori di coscienza e con le ragazze dell’Anno di Volontariato Sociale, poi con i giovani del Servizio Civile Nazionale, e in futuro con forme nuove che stiamo studiando. Risorse anche di natura economica soprattutto per venire incontro, attraverso la rete internazionale di Caritas, alle emergenze che si vanno producendo in tutto il mondo. Siamo chiamati a indire e gestire raccolte di fondi in occasioni specifiche, che spesso portano a rapporti di gemellaggio temporaneo con i più svariati Paesi del mondo. Ma la risorsa più preziosa è il confronto con tutti i soggetti, privati o pubblici, che lavorano a favore dei poveri. Un dialogo che Caritas coltiva in vari modi, con incontri e approfondimenti, tavoli di scambio e visite fraterne a chi realizza promozione umana. Ma tutto allo scopo di animare alla vera carità.