Dispense Lezione 1 Culto Di Demetra-Cerere

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Archeologia della Sardegna Romana Lezione 2 marzo 2010 Dispense di approfondimento SUL CULTO DI DEMETRA-CERERE IN SARDEGNA G. GARBATI, Religione votiva : per un'interpretazione storico-religiosa delle terrecotte votive nella Sardegna punica e tardo-punica, Roma, 2008 VALENTINA PERU, Due divinità femminili nella Sardegna romana: Venere e Cerere, tesi di laurea AA 2005-2006 Conclusioni Da una osservazione globale dei dati emersi nel corso di questa ricerca è possibile concludere con alcune riflessioni, sia per quanto riguarda il culto di Demetra che quello di Venere, finalizzate a riassumere le caratteristiche principali attraverso le quali si manifesta il loro culto, almeno quelle che è possibile dedurre dall’esame dei dati considerati. Per quanto riguarda il culto di Demetra-Cerere è possibile fare alcune osservazioni sulla distribuzione geografica dei siti in cui sono state rinvenute attestazioni ad essa riferibili: ad una concentrazione limitata al nord Sardegna per quanto riguarda i busti fittili di Sarda Ceres fa riscontro una distribuzione decisamente più ampia dei thymiateria kernophoros. I rinvenimenti di questi oggetti votivi, infatti, sono stati effettuati in diverse zone dell’isola anche se si può notare una forte concentrazione in due zone specifiche, ossia l’Oristanese e il Sulcis: da Tharros 1 , Narbolia, San Vero Milis e Cabras 2 provengono infatti molti esemplari di questi ex voto oltre ad altre attestazioni demetriache; per quanto riguarda il Sulcis-Iglesiente ai rinvenimenti del sacello del Mastio di Monte Sirai 3 e dell’area sacra di Narcao 4 si possono aggiungere altri esemplari che sembrerebbero testimoniare una maggiore diffusione di questa categoria di oggetti in questa zona della Sardegna: alcuni thymiateria provenienti da Sant’Antioco 5 e da Sulcis 6 ed un esemplare proveniente da una tomba cagliaritana 7 sembrano suggerire una presenza maggiore di quella finora rilevata. Sempre dalla provincia di Cagliari, infine, troviamo il nuraghe Genna Maria di Villanovaforru 8 , altra importante sito interessato dalla presenza di alcuni thymiateria kernophoros. Non mancano, tuttavia, rinvenimenti di questi oggetti votivi anche in altre zone dell’isola ed in particolar modo dalla Sardegna centrale e nord occidentale: nei pressi 1 Vedi pp. 116-128. 2 Vedi p. 135. 3 Vedi pp. 84-92. 4 Vedi pp. 93-98. 5 GARBATI 2005, p. 82. 6 GARBATI 2005, p. 41. 7 GARBATI 2005, p. 41. 8 Vedi pp. 72-76.

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Approfondimenti sul culto di Demetra-Cerere in Sardegna: conclusioni della tesi di laurea di Valentina Peru sui culti di Cerere e Venere, e contributo di Giampiero Pianu in Territorio e patrimonio

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Archeologia della Sardegna Romana Lezione 2 marzo 2010 Dispense di approfondimento

SUL CULTO DI DEMETRA-CERERE IN SARDEGNA

G. GARBATI, Religione votiva : per un'interpretazione storico-religiosa delle terrecotte votive nella Sardegna punica e tardo-punica, Roma, 2008 VALENTINA PERU, Due divinità femminili nella Sardegna romana: Venere e Cerere, tesi di laurea AA 2005-2006 Conclusioni

Da una osservazione globale dei dati emersi nel corso di questa ricerca è possibile concludere con alcune riflessioni, sia per quanto riguarda il culto di Demetra che quello di Venere, finalizzate a riassumere le caratteristiche principali attraverso le quali si manifesta il loro culto, almeno quelle che è possibile dedurre dall’esame dei dati considerati.

Per quanto riguarda il culto di Demetra-Cerere è possibile fare alcune osservazioni sulla distribuzione geografica dei siti in cui sono state rinvenute attestazioni ad essa riferibili: ad una concentrazione limitata al nord Sardegna per quanto riguarda i busti fittili di Sarda Ceres fa riscontro una distribuzione decisamente più ampia dei thymiateria kernophoros. I rinvenimenti di questi oggetti votivi, infatti, sono stati effettuati in diverse zone dell’isola anche se si può notare una forte concentrazione in due zone specifiche, ossia l’Oristanese e il Sulcis: da Tharros1, Narbolia, San Vero Milis e Cabras2 provengono infatti molti esemplari di questi ex voto oltre ad altre attestazioni demetriache; per quanto riguarda il Sulcis-Iglesiente ai rinvenimenti del sacello del Mastio di Monte Sirai3 e dell’area sacra di Narcao4 si possono aggiungere altri esemplari che sembrerebbero testimoniare una maggiore diffusione di questa categoria di oggetti in questa zona della Sardegna: alcuni thymiateria provenienti da Sant’Antioco5 e da Sulcis6 ed un esemplare proveniente da una tomba cagliaritana7 sembrano suggerire una presenza maggiore di quella finora rilevata. Sempre dalla provincia di Cagliari, infine, troviamo il nuraghe Genna Maria di Villanovaforru8, altra importante sito interessato dalla presenza di alcuni thymiateria kernophoros.

Non mancano, tuttavia, rinvenimenti di questi oggetti votivi anche in altre zone dell’isola ed in particolar modo dalla Sardegna centrale e nord occidentale: nei pressi 1 Vedi pp. 116-128. 2 Vedi p. 135. 3 Vedi pp. 84-92. 4 Vedi pp. 93-98. 5 GARBATI 2005, p. 82. 6 GARBATI 2005, p. 41. 7 GARBATI 2005, p. 41. 8 Vedi pp. 72-76.

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del centro abitato di Paulilatino si trova sia uno dei nuraghi che hanno restituito la maggior quantità di reperti di questo tipo9 che il santuario nuragico di Santa Cristina, dal quale provengono diversi esemplari di kernophoroi

10; il nuraghe Santa Barbara presso Macomer11, il nuraghe Sa Turricola di Muros12 e i materiali provenienti dal sito di Padria13 completano questo quadro geograficamente molto ampio dal quale rimane esclusa la Sardegna orientale.

La distribuzione dei busti di Sarda Ceres, come si evidenziava nel lavoro della Vismara che individua in Porto Torres il centro di fabbricazione di questi oggetti votivi14, appare concentrata esclusivamente nella Sardegna nord occidentale e, tranne nel caso dell’esemplare proveniente da Ozieri15, i reperti vennero rinvenuti all’interno di nuraghi o edifici di epoca nuragica, come nel caso degli ex voto recuperati presso il pozzo nuragico di Olmedo16.

Per quanto riguarda la cronologia di queste due tipologie di oggetti votivi risulta impossibile fornire dati certi, spesso a causa della mancata registrazione dei contesti esatti di rinvenimento; emergono tuttavia alcuni dati interessanti: i thymiateria vengono solitamente collocati cronologicamente fra il IV-II secolo a.C. ma molti dei siti dai quali provengono testimoniano una frequentazione che arriva spesso fino ai primi secoli dopo Cristo, come nel caso del nuraghe Genna Maria, Lugherras, Santa Barbara, Sa Turricola, il sito di Cadreas17 e l’area sacra di Narcao. I busti fittili di Sarda Ceres, invece, vengono genericamente fatti risalire al I-II secolo d.C. nonostante anche in questi casi spesso le indicazioni cronologiche siano dedotte unicamente dagli altri materiali rinvenuti, spesso reperti numismatici o lucerne (come nel caso di Genna Maria, Lugherras, Truvine, Sa Turricola).

I thymiateria e i busti fittili rappresentano la categoria meglio attestata fra i reperti riferibili a Demetra-Cerere presenti in Sardegna ma altre tipologie di oggetti, interpretabili come raffigurazioni di questa divinità, sembrano essere comuni ad alcuni siti; la statuetta di divinità a schema cruciforme, ad esempio, è presente nell’area sacra di Narcao18, a Santa Margherita di Pula19 e a Tharros20, contesti nei quali è associata ad altre tipologie di materiali riferibili a Demetra che contribuiscono ad interpretarla come una sua rappresentazione; l’immagine della dea con fiaccola e piccolo animale, spesso interpretato come un suino, è presente fra i materiali rinvenuti a Monte Sirai21, a Narcao22 e a Santa Margherita di Pula23, dove si rinvenne anche una statuetta raffigurante una femmina di cinghiale24. Nel nuraghe Sa Mandra e Sa Jua presso Ossi25,

9 Vedi Lugherras pp. 61-71. 10 Vedi p. 137. 11 Vedi pp. 81-83. 12 Vedi pp. 133-134. 13 Vedi pp. 108-115. 14 VISMARA 1980, p. 73. 15 Vedi pp. 137- 139 fig. 2. 16 Vedi p. 136 e p. 138 fig. 1. 17 Vedi pp. 136-137. 18 Vedi p. 97 fig. 4-5. 19 Vedi p. 106 fig. 8. 20 Vedi p. 128 fig. 10. 21 Vedi p. 91 fig. 4. 22 Vedi p. 96 fig. 3. 23 Vedi p. 105 fig. 6. 24 Vedi p. 107 fig. 9-10. 25 Vedi p. 134.

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inoltre, si rinvennero resti di sacrifici di suini, attestati anche nell’area sacra di Narcao. A Tharros e Nora è inoltre presente un’altra tipologia di statuetta raffigurante la divinità in cui sono presenti un piccolo volatile, identificato come colomba o cigno, ed un frutto interpretato come melograno26; è interessante sottolineare che fra i numerosi reperti provenienti dalla stipe di Padria, uno dei siti in cui risulta più difficile risalire ad una precisa figura divina, sono presenti le riproduzioni fittili sia del melograno che della colomba27.

Per quanto riguarda le attestazioni del culto di Venere-Afrodite prese in esame risultano evidenti alcune interessanti particolarità: le testimonianze riferibili a questa divinità, infatti, presentano caratteristiche molto diverse fra loro e i tre siti più significativi occupano due estremità opposte dell’isola, Cagliari ed Olbia, mostrando una scarsa distribuzione delle attestazioni relative alla dea.

In entrambe le località sono stati identificati i resti di santuari in cui si ritiene probabile il culto a questa divinità: nel caso dei siti ubicati nei pressi di Capo Sant’Elia28 e dell’antico porto di Olbia29 l’affinità si riscontra unicamente nella vicinanza col mare, che ha reso verosimile l’ipotesi dell’esistenza della pratica della prostituzione sacra. Il legame con Venere-Afrodite, infatti, si deduce in questi siti da elementi decisamente molto diversi: se nel primo caso l’unico elemento identificativo consiste nella nota iscrizione punica in cui compare la dea Astarte di Erice30, divinità che avrebbe subito una romanizzazione a partire dal III secolo a.C. assimilandosi al culto romano della Venere Ericina31, nel caso del santuario di Olbia ad orientare le interpretazioni verso questa divinità sono alcuni reperti fittili in cui sembrano potersi riscontrare attributi ad essa riferibili, come la conchiglia e l’ancora miniaturistica che reca incisa una V ed una statuetta acefala che ne riprodurrebbe l’immagine32.

Nel secondo santuario rinvenuto nella città di Cagliari noto come ‘tempio di via Malta33’ sarebbe presente, secondo un’interpretazione delle strutture e dei materiali rinvenuti, una manifestazione del culto di Venere unica in ambito sardo che testimonierebbe la sua venerazione all’interno di un binomio divino in cui sarebbe associata ad uno dei suoi celebri compagni, Adone.

Due ulteriori attestazioni del culto a questa dea contribuiscono a rendere decisamente singolare e vario il quadro delle possibili manifestazioni del suo culto nell’isola: si tratta dell’affresco rinvenuto nell’ipogeo di San Salvatore di Cabras34 e della iscrizione in cui un devoto invoca Venus Obsequens proveniente dalla Nurra35, unico riferimento alla divinità in questa zona della Sardegna. Le immagini raffigurate nella parete dell’ipogeo costituirebbero una testimonianza decisamente peculiare per diversi motivi: oltre ad esserne l’unica rappresentazione figurata rinvenuta nell’isola riprodurrebbero un’altra versione del mito in cui la dea viene celebrata nella sua unione col dio Marte; la pertinenza di questa raffigurazione in un contesto come quello dell’ipogeo di San Salvatore, infine, contribuisce ad accrescere il fascino di questa singolare testimonianza.

26 Vedi rispettivamente p. 122 fig. 3 e 124 fig. 6, p. 132 fig. 2. 27 Vedi p. 110-111. 28 Vedi p. 38-40. 29 Vedi p. 40-43. 30 Vedi p. 38. 31 Vedi p. 39-40. 32 Vedi p. 41. 33 Vedi pp. 43-48. 34 Vedi p. 48-50. 35 Vedi p. 40.

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Un’ulteriore riflessione, infine, emerge dal confronto delle attestazioni dei culti di entrambe le divinità: in un panorama di culti femminili sbiadito e frammentario36come quello sardo, la figura di Demetra-Cerere spicca prepotentemente sia per quantità di attestazioni che per la straordinaria continuità del culto ad essa tributato, che si adatta modificandosi a seconda della cultura o del popolo di cui è espressione, ma che rimane indissolubilmente legato al mondo agricolo, legame ben visibile sia nella localizzazione dei siti che nella simbologia dei reperti votivi.

Ad una omogeneità e ripetitività del culto della divinità eleusina, almeno per quanto riguarda le tipologie di ex voto e la distribuzione geografica dei luoghi di culto, sembrano contrapporsi le scarse e lacunose testimonianze relative a Venere -Afrodite, caratterizzate anche dalla varietà di rappresentazioni riferibili alla dea. Dall’analisi dei siti e dei reperti riconducibili al culto di questa divinità in Sardegna, infatti, non emerge un quadro chiaro ed uniforme, al contrario sembrerebbe essere di fronte ad un sunto delle varie manifestazioni e versioni del mito relative a questa complessa e sfaccettata figura divina. È comunque possibile riconoscere, esaminando i dati attualmente noti sul culto di questa divinità nell’isola, un elemento ricorrente almeno nella localizzazioni di alcuni dei siti più noti: la collocazione dei luoghi di culto in prossimità del mare e di punti di approdo, che giustificherebbe l’ipotesi della pratica orientale della ierodulia anche in Sardegna.

Sulla base dei dati emersi da questa analisi, quindi, Demetra-Cerere e Venere-Afrodite, pur con manifestazioni nettamente differenti, sembrano rappresentare le due facce di una stessa medaglia, legate ai due elementi sostanziali di una terra come la Sardegna: Il mare, onnipresente e fondamentale per chi vive in un’isola, unica via per il commercio ed il trasporto delle merci, e la terra, ossia la produzione e la raccolta delle messi, fulcro dell’economia e della vita stessa.

36 Vedi p. 13.

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da Territorio e patrimonio. Conoscere per valorizzare. Atti del convegno, Muros 4

giugno 2007, a cura di D. Fiorino, Genova, 2007,

IL CULTO DI CERERE A SA TURRICULA

Di G. Pianu Da quando l’uomo, agli inizi dell’età neolitica, smette di essere un cacciatore, abbandona la vita nomade all’eterna ricerca del cibo di sostentamento, bacche, frutti e animali, e diventa stanziale avendo “scoperto” come coltivare le piante ed allevare gli animali, la necessità di un ciclo biologico corretto e continuo, che assicuri anno dopo anno i raccolti e la buona proliferazione degli animali da cortile, diventa essenziale. E perché non affidare tale ciclo alle cure amorevoli di una divinità che possa essere ingraziata ed invocata ed a cui affidarsi anche nei momenti peggiori? Al principio tale divinità era probabilmente tutt’uno con quella preposta al buon andamento della vita umana, regolata dalla nascita e dalla morte dei vari individui, che doveva essere regolato su precisi ritmi per evitare un pericoloso calo della forza lavoro o un incontrollabile aumento delle bocche da sfamare.

Per quel che ne sappiamo già in età neolitica, ma probabilmente anche prima, questa divinità fu raffigurata nella figura della donna, capace di creare quel miracolo fantastico che è la riproduzione della vita umana, e con essa, quella degli animali e del mondo vegetale. Le figurine della Gran Madre, come noi la conosciamo solitamente, sono ben presenti anche nel mondo sardo, sia in epoca prenuragica che nuragica. Di particolare pregio è proprio la statuina ritrovata in territorio di Muros. Accanto alla Dea Madre si è soliti affiancare, seppur in maniera subalterna, il principio maschile, personificato dal Dio Toro.

Se questa religione primitiva e primordiale fosse realmente basata sui soli due aspetti fondamentali della vita, quello femminile (preponderante!) e quello maschile, non è dato sapere con certezza. Sappiamo invece che le società più evolute culturalmente presentano un insieme di credenze religiose decisamente più articolato. E così nel mondo greco esiste appunto una divinità preposta al buon andamento della vita vegetale ed in particolare delle messi, Demetra. Nel racconto mitologico relativo alla dea sono chiaramente espressi da un lato i risultati nefasti della sua “arrabbiatura”, con tutto il mondo vegetale inattivo e conseguente carestia che ne deriva per il genere umano, dall’altro il rapporto con il mondo sotterraneo, dove la figlia Kore vive col marito per metà dell’anno, per poi tornare sulla terra per l’altra metà, chiara metafora del seme sepolto sotto terra che poi germoglia e fornisce il frutto desiderato. Questo mito, e la religiosità che ne consegue, genera nel mondo greco una serie di rituali abbastanza complessi e differenziati che vanno dalla Demetra misteriosa di Eleusi a quella Thesmoforica, più legata al mondo dei campi.

Nel 396 a.C. i Cartaginesi conquistano e distruggono il santuario greco di Demetra di Siracusa e a tale azione sacrilega sarebbero seguite una serie di rovesci militari che avrebbe indotto i saggi della città a placare le ire della dea instaurando un sacerdozio a loro dedicato. Tale culto importato, a Cartagine, ha avuto, quasi sicuramente, solo la valenza più prettamente agricola. Peraltro, secondo una fonte greca (Ps. Aristotele, De mir. Ausc. 100) sempre interpretata in maniera controversa, gli stessi Cartaginesi, che dominavano la Sardegna già da tempo, avrebbero proceduto all’abbattimento degli alberi da frutto, prevedendo pesanti pene per chi le ripiantasse. Questa fonte è stata spesso contestata per una apparente illogicità economica insita in un

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simile provvedimento, ed interpretata quindi come frutto della propaganda greca contro i Punici sviluppatasi in Sicilia, dove le due etnie erano in perenne scontro. In realtà, come avevo già adombrato in un vecchio scritto, notando la sostanziale assenza di produzione vinaria in Sardegna (G.Pianu, Contributo ad un corpus delle anfore romane

in Sardegna, Arch. St. Sardo 1980, p. 11 ss.) agli inizi del dominio romano, oggi buona parte degli storici propende per una rivalutazione della notizia, legata ad una decisione “economica” cartaginese che avrebbe imposto in Sardegna la monocultura cerealicola, destinata a soddisfare le proprie esigenze di grano ed a salvaguardare le culture pregiate del territorio attorno a Cartagine. Ed è normale che l’abbondanza di campi coltivati abbia favorito l’esportazione da Cartagine in Sardegna di un culto come quello di Demetra, culto che d’altra parte, come ho detto, riprendeva sentimenti religiosi atavici della nostra isola. Non è dunque un caso che in siti di pianura o di altipiano dove abbondanti erano le coltivazioni troviamo inseriti culti “demetriaci” o ad essi assimilabili. Cito, fra i più noti, i casi del nuraghe Genna Maria di Villanovaforru e del nuraghe Lugherras di Paulilatino.

Nel 238 a.C. i Romani conquistano la Sardegna, ma la politica di destinare le fertili pianure dell’isola alla sola cultura cerealicola non pare abbia avuto modifiche, se è vero che proprio il grano sardo salva Roma da vari momenti di carestia, almeno fino ai primi tempi dell’impero. Per i Romani la dea preposta all’abbondanza delle messi si chiama Cerere, che in origine aveva aspetti cultuali abbastanza diversi dalla Demetra greca, ma viene poi ad essa omologata. In Sardegna, soprattutto nella zona Nord, esiste una produzione di specifici ex voto che raffigurano proprio una dea con alto copricapo in cui sono spesso rappresentate in maniera esplicita le spighe.

Questa dea, che Cinzia Vismara ha chiamato la Sarda Ceres, è abbondantemente attestata, insieme alle lucerne necessarie al rito, che avveniva di notte, nel materiale proveniente dalla località Sa Turricola di Muros, ma purtroppo tutto ciò non è pubblicato e di conseguenza risulta virtualmente ignoto. Il sito di Sa Turricula è stato infatti scavato vari anni fa da M. Luisa Ferrarese Ceruti, che si è interessata, com’è ovvio, al solo aspetto nuragico dell’insediamento. Si tratta di un sito particolarmente interessante per quanto riguarda l’aspetto relativo all’età del bronzo. Ma anche in epoca romana l’importanza de Sa Turricula doveva essere ugualmente consistente. Il sito controlla, infatti, tutta la vasta e fertile pianura che si apre a valle della così detta Scala di Giocca, verso Sud, cioè il Logudoro e il Meilogu, ma da lì si arriva a vedere, ad Ovest, addirittura Capo Caccia. Non è dunque così stravagante pensare che questo sito, al momento della ripresa dell’insediamento in età romana, sia diventato un luogo di culto della Sarda Ceres, dea specializzata nell’elargire agli esseri umani ottime messi. Questa zona del Logudoro-Meilogu doveva dipendere direttamente dalla grande città romana di Turris Libisonis, odierna Porto Torres, il cui interesse economico non doveva essere legato, come spesso si pensa, alla sola zona della Nurra. In epoca romana la gola del rio Mascari e della Scala di Giocca non era la porta di accesso verso Sassari, come la consideriamo oggi, ma la prospettiva va ribaltata, leggendola da Nord a Sud. Ed i naviculares turritani, attestati nel porto di Ostia da un importantissimo mosaico, non portavano a Roma solo il grano della Nurra ma, io credo, anche quello del Logudoro-Meilogu.

Sarebbe quanto mai opportuno effettuare uno “scavo di magazzino” che mettesse in luce tutto il materiale realmente reperito dalla Ferrarese Ceruti nei suoi scavi, per poter capire quali sono stati i diversi sistemi di occupazione del territorio nei vari periodi storici. E in questa moderna fase storica diventa essenziale arrivare ad un

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radicale ripensamento sul problema generale del paesaggio, che porti ad un momento di studio globale che comprenda, oltre che al semplice censimento,(che spesso risulta una inutile elargizione di fondi per archeologi e società che quasi mai rispettano i protocolli delle moderne tecniche di rilevamento), lo studio di tutti i siti e reperti già scavati. Insomma, uno “scavo dello scavo” potremmo dire, che fornirebbe sicuramente novità forse oggi impensabili.

GIAMPIERO PIANU

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