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DISPENSA DI SOCIOLOGIA E PSICOLOGIA A cura di Grazia Tropea

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DISPENSA

DI

SOCIOLOGIA

E

PSICOLOGIA

A cura di Grazia Tropea

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DEFINIZIONE

La PSICOLOGIA è la scienza che studia il comportamento inteso come espressione della personalità’ e

le sue motivazioni sia consce che inconsce.

Per la psicologia il comportamento è quel complesso di attività che possono essere osservate e valutate

dagli altri.

I FENOMENI PSICHICI studiati dalla psicologia riguardano:

La sfera conoscitiva (sensazione, percezione, memoria e apprendimento);

la sfera volitiva (bisogni, motivazioni, volontà);

la sfera affettiva (sensazioni, emozioni, umori)

La psicologia come metodo d’indagine usa il metodo sperimentale che si basa sull’osservazione

effettuata in modo scientifico: i vari fenomeni verranno osservati da diversi sperimentatori e i dati,

così pervenuti, saranno elaborati e sarà convalidata una legge.

La nozione di normalità è sinonimo di benessere psichico in quanto si riferisce alla condizione più

appropriata a un dato individuo, relativamente alle sue caratteristiche e ai suoi scopi personali ed è

funzionale ai fini dell’adattamento sociale.

La personalità, in psicologia, è determinata dall’interazione dinamica tra ereditarietà e ambiente:

i fattori ereditari comprendono ad esempio il patrimonio genetico che si determina al momento

del concepimento, e il ritmo di sviluppo per cui un bambino giunge a certe fasi di sviluppo più

precocemente dei coetanei;

i fattori ambientali si riferiscono invece alle influenze familiari e alle determinanti sociali,

ovvero ai ruoli che l’individuo si trova a rivestire senza volerlo.

SALUTE E MALATTIA: ASPETTI SOCIALI E CULTURALI

In ambito socio-assistenziale si parla sempre più di approccio olistico alla persona ammalata o

bisognosa di cure; intendendo per ciò quella particolare presa in carico che nasce da una visione

unitaria dell’essere umano e che richiede competenza non solo tecnica, ma anche psicologica.

Secondo tale concezione la malattia non è considerata semplicemente come disfunzione di un organo o

di un apparato, ma come condizione che coinvolge l’individuo globalmente: le modifiche che si

verificano sul piano biologico (corpo) non possono essere separate da quelle che avvengono sul piano

psicologico (il vissuto) ed entrambe hanno conseguenze a livello sociale (le relazioni).

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L’approccio è un nuovo punto d’arrivo per riuscire a comprendere come un individuo vive la propria

malattia e la propria disabilità.

Altri fattori legati alle profonde trasformazioni che hanno interessato le società occidentali hanno

contribuito all’affermarsi di una nuova idea dell’essere umano e della malattia.

Bisogna fare un’unione tra malattia e persona malata e tra salute e malattia; l’operatore deve

necessariamente comprendere che la salute dev’essere intesa non come semplice assenza di sintomi,

ma come condizione di benessere psico-fisico.

In tutte le professioni che presuppongono un servizio all’utente, l’acquisizione di un sapere psicologico

rappresenta una componente significativa della formazione; tra le professioni che offrono un servizio

alla persona l’OSA è quello che deve fornire non solo delle abilità tecniche ma è anche chiamato ad

accogliere la molteplicità dei bisogni espressi da una persona in stato di difficoltà o di disagio.

CONCETTO DI PERSONALITA’

La persona in difficoltà, ammalata o che presenta una disabilità è posta in relazione con se stessa, con

gli altri e con l’ambiente, utilizzando quelle facoltà e quelle risorse che le sono proprie, in quanto

persona unica e irripetibile.

Un concetto di primaria importanza in un approccio psicologico alla malattia e alla disabilità è quello

di personalità.

Le persone si comportano in modo diverso di fronte alla stessa situazione o difficoltà perché ciascuna

persona reagisce a essa in base alla propria personalità.

Esistono vari modi di definire la personalità e sono:

l’insieme dei comportamenti, sentimenti, percezioni, pensieri, che identificano il singolo

individuo;

l’insieme dei modi in cui l’individuo umano reagisce, vive e si comporta nelle varie situazioni e

nei vari momenti della sua vita.

Facendo riferimento al termine personalità è importante tenere presente alcuni concetti di

derivazione psicoanalitica:

esiste un apparato psichico interno, non visibile, una parte latente;

i processi mentali inconsci (desideri, sentimenti, conflitti) sono estremamente frequenti e

importanti nella vita psichica dell’individuo;

il comportamento dell’individuo, sia normale sia patologico è determinato da processi mentali

inconsci;

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un periodo particolarmente significativo per la strutturazione della personalità è

rappresentato dai primi anni di vita.

Tali concetti possono aiutarci a comprendere la complessità dei fattori psicologici in gioco di fronte

all’evento MALATTIA e l’individualità della reazione di ciascun soggetto.

Vi sono reazioni apparentemente incomprensibili, illogiche, come quella del paziente che rifiuta di

sottoporsi ad una trasfusione di sangue perché la propria religione lo vieta (tale reazione si può

comprendere solo tenendo in considerazione un sottosistema socio-culturale).

Analogamente possiamo incontrare spesso un soggetto che soffre di diabete e che dichiara di volersi

curare, e pure senza dare spiegazioni coscienti, non riesca a seguire un adeguato regime alimentare; in

questo caso si può pensare che il comportamento del paziente sia determinato da fattori di cui non è

consapevole (tale reazione si può comprendere da una problematica a livello di sottosistema psichico-

mentale).

PERSONALITA’ SANA E PATOLOGICA

La persona SANA è quella il cui equilibrio non è arrivato allo scompenso per effetto di un trauma, dove

per TRAUMA, interno o esterno, s’intende l’intervento di fattori situazionali, relazionali, biologici,

evolutivi o reattivi, che superano la capacità di controllo psichico dell’individuo.

La possibilità di affrontare un trauma senza perdere la capacità di controllo psichico è

significativamente variabile in relazione al tipo di personalità.

Alcune personalità hanno una minore “tenuta” rispetto ad altre; inoltre se una persona si scompensa, è

possibile assistere alla comparsa di altre sintomatologie.

La malattia ha sempre un impatto traumatico nella vita di un individuo e la reazione ad essa dipende

da una complessa interazione tra risorse interne (fattore riconducibile alla personalità) e risorse

esterne (fattori inerenti il sostegno che l’ambiente esterno può fornire).

MALATTIA COME MINACCIA E FRUSTAZIONE

Dal punto di vista psicologico la MALATTIA rappresenta in primo luogo una minaccia.

La persona malata sente di essere in pericolo, non solo in senso fisico ma anche emotivo ; oltre che

come minaccia la malattia può essere vissuta come frustrazione , cioè come ostacolo più o meno grave,

alla realizzazione dei propri desideri e progetti.

Le principali frustrazioni legati alla malattia portano frequentemente a sentimenti d’ansia e di rabbia

che si manifestano con comportamenti aggressivi, spesso solo verbali.

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Non sempre l’aggressività viene utilizzata costruttivamente per combattere la malattia, a volte si

dirige verso bersagli più immediati quali la famiglia, gli operatori sanitari che si occupano della

persona.

La FRUSTRAZIONE può innescare meccanismi regressivi.

I BISOGNI FONDAMENTALI DELL’INDIVIDUO

La psicologia della personalità propone varie classificazioni dei bisogni fondamentali dell’individuo.

Secondo tali teorie il benessere di un individuo, inteso come soddisfacente adattamento all’ambiente,

deriva dalla gratificazione di un insieme di bisogni, non solo fisiologici ma anche psicologici e sociali.

Il BISOGNO è una condizione in cui la persona avverte la carenza di un bene.

Il teorico che si è focalizzato sui bisogni umani è A. Maslow.

Egli afferma che tutti gli esseri umani nascono con bisogni istintivi, che raggruppano in 5 categorie;

questi bisogni sono elencati in ordine d’importanza, da quelli essenziali per la salute fisica a quelli

necessari per sviluppare pienamente il potenziale umano.

La gerarchia di Maslow è strutturata a forma di piramide:

BISOGNI FISIOLOGICI

Si riferiscono a processi fisio-biologici indispensabili alla sopravvivenza:

Cura di sé : comprende tutte le azioni che servono a mantenere pulito il corpo, ma

anche per presentare un buon aspetto fisico

Respiro : l’ossigeno è essenziale per i processi metabolici del corpo; soddisfare questo

bisogno richiede il funzionamento appropriato degli apparati respiratorio e

cardiocircolatorio

Movimento : comprende tutte le azioni che compiamo per mantenere in efficienza il

nostro apparato locomotore (ossa, muscoli e articolazioni)

Nutrizione : comprende un’adeguata introduzione di elementi nutritivi (solidi e liquidi)

per la produzione di energia

Eliminazione : permette al corpo di eliminare i prodotti di scarto e consiste nell’avere

una buona attività intestinale

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Sonno e riposo : sono necessari al corpo per recuperare le energie; comprende oltre al

dormire anche il consentire una giusta quantità di riposo per evitare l’affaticamento e

non portare il corpo fino all’esaurimento

Comunicazione : comprende tutte quelle azioni verbali e non verbali che ci permettono

un’interazione con gli altri; comprende la capacità di parlare, ascoltare, ma anche la

gestualità, l’atteggiamento e lo stato d’animo

Termoregolazione : il mantenimento della temperatura corporea è indispensabile alla

vita; situazioni estreme possono provocare la morte.

L’IPOTALAMO è il centro termoregolatore del nostro organismo.

BISOGNI SECONDARI

Dopo aver soddisfatto i bisogni fisiologici o primari la persona ha necessità di soddisfare tutta

una serie di bisogni a livello psicologico–sociale :

Bisogno di sicurezza : l’individuo ha bisogno di essere fisicamente sicuro e libero da

paure e da ansie; possono, se non soddisfatte, causare delle alterazioni nel

comportamento dell’individuo stesso. La sicurezza può essere un bisogno dominante ad

esempio in un paese in guerra, durante un disastro naturale come un’alluvione o un

terremoto, in quanto alterano la vita personale, familiare e sociale degli esseri umani.

Bisogno di amore e appartenenza : esso è il successivo nella piramide Dopo aver

soddisfatto il bisogno di sicurezza, le persone necessitano di sentire che appartengono a

qualcuno e che sono amate, per evitare isolamento e solitudine.

Per rispondere a questo bisogno la persona deve dare e ricevere amore, calore, affetto e

amicizia.

Le relazioni affettive possono abbracciare varie tipologie: avere un posto in famiglia, nel

gruppo sociale, avere un partner, degli amici, dei figli e avere radici in un luogo

particolare.

Bisogno di stima : secondo Maslow, esistono 2 tipi di bisogni di stima: la STIMA, che

deriva dagli altri e l’ AUTOSTIMA (alta valutazione e rispetto di sé).

Le persone necessitano di sapere che gli altri pensano bene di loro, che le ammirano e le

rispettano.

L’autostima è invece un senso intimo della proprio adeguatezza e del proprio valore.

Se il bisogno di stima non viene soddisfatto, la persona conduce una vita caratterizzata

da dubbi e sentimenti di impotenza e mancanza di valore; ciò che gli altri apprezzano in

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una persona e ciò che essa apprezza di se stessa, sono cose diverse, poiché entrano in

gioco fattori culturali, sociali e psicologici.

Coloro che riescono a soddisfare il bisogno di autostima affrontano il mondo con fiducia,

consapevolezza del proprio valore e capacità di vivere; coloro che sono frustrati nei

bisogni di stima, appaiono deboli, scoraggiati e sfiduciati nell’affrontare le attività di

vita quotidiana.

Maslow fa notare anche i pericoli cui vanno incontro le persone che traggono

soddisfazione dei bisogni di stima essenzialmente dall’opinione degli altri; avere dagli

altri la considerazione che si merita è gratificante, ma la vera stima viene dall’interno

della persona stessa.

Bisogno di autorealizzazione : secondo Maslow il bisogno di autorealizzazione è quello

innato di realizzarsi pienamente attraverso le proprie abilità e qualità, sviluppando al

massimo il proprio potenziale.

E’ la necessità di tradurre in effetto i propri desideri e le proprie aspettative, il bisogno

di diventare quello che uno è capace di diventare.

Maslow descrive la persona autorealizzata come una persona che ha una serie di

caratteristiche:

SPONTANEITA’

CAPACITA’ DI PORRE L’ACCENTO SUI PROBLEMI PIU’ CHE SU SE STESSI

CAPACITA’ DI GODERE DELLA SOLITUDINE

CREATIVITA’

CAPACITA’ DI SVILUPPARE SALDE E PROFONDE RELAZIONI INTERPERSONALI

PIRAMIDE DI MASLOW

AUTOREALIZZAZIONE

BISOGNO DI STIMA

BISOGNI SECONDARI BISOGNO AMORE- APPARTENENZA

BISOGNO SICUREZZA

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BISOGNI PRIMARI

Maslow descrive altri due livelli superiori di bisogni fondamentali :

Bisogno spirituale la persona manifesta bisogni associata alla sfera spirituale che

comprendono:

Il bisogno di credere in un Essere superiore o in uno speciale ordine

dell’universo;

Il bisogno di credere di avere un posto in questo ordine e che la vita abbia un

significato, cioè il bisogno di sperare in un futuro.

Questi bisogni non hanno una collocazione nella piramide in quanto emergono

uniti ad altri bisogni.

Bisogno di libertà : Maslow ritiene che per soddisfare uno qualsiasi dei bisogni

fondamentali debbano esistere determinate condizioni che egli elenca come una serie di

libertà:

Libertà di parlare

Libertà di fare quello che si vuole (finché ciò non danneggi gli altri)

Libertà di difendersi e di cercare la giustizia

COME PUO’ PORSI L’OSA DI FRONTE AI BISOGNI DEL MALATO

I bisogni specificamente psicologici del paziente possono essere visti come altrettante richieste alle

quali l’operatore OSA dovrebbe poter rispondere adeguatamente.

E’ ovvio che non può proporsi in maniera esaustiva rispetto all’insieme dei bisogni psicologici espressi

dal paziente, né può pensare che il proprio intervento protegga il paziente dal confronto con sentimenti

dolorosi e frustranti, così come non può pensare di sostituirsi alle figure affettivamente vicine al

paziente.

Tuttavia la relazione d’aiuto che si viene a creare con il paziente può essere un valido supporto.

L’OSA può adottare dei comportamenti che, per quanto possibile, riducono la sensazione del paziente

di essere in balìa di eventi sconosciuti e imprevedibili bisogna utilizzare un linguaggio chiaro e

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comprensibile, spiegare al paziente le motivazioni di certi interventi, rassicurarlo sulla competenza di

chi si occupa di lui.

L’operatore può compensare, almeno in parte, i bisogni d’amore e di appartenenza cercando di prestare

attenzione al paziente soprattutto in senso emotivo-affettivo.

Può cercare di facilitare l’espressione delle emozioni, delle paure e delle aspettative del malato

aiutandolo a contenere pensieri e sensazioni negative su se stesso o sull’ambiente.

Il bisogno di autostima può essere preso in considerazione tenendo conto del fatto che l’individuo

conserva un bisogno fondamentale di autonomia; pertanto essa esige un rapporto personale in cui le

venga garantito un minimo di libertà e di indipendenza.

Non si deve quindi dare al malato l’impressione che egli sia in grado solo di eseguire delle disposizioni,

deve capire quali sono gli spazi in cui può e deve essere autonomo.

LA RELAZIONE

Ciascun individuo è inserito all’interno di una complessa rete di relazioni durante l’intero arco della

sua esistenza.

Nell’età evolutiva, la presenza di una relazione stabile è sufficientemente buona e rappresenta un

presupposto indispensabile per lo sviluppo psichico.

Nell’età adulta si sperimenta anche il bisogno di essere in relazione con gli altri e i sentimenti di

benessere di un individuo dipendono in gran parte dalla qualità dei suoi rapporti interpersonali.

Ognuno di noi intrattiene relazioni di tipo diverso e diversa importanza sul versante soggettivo; di

seguito vengono presi in considerazione diversi tipi di relazione:

RELAZIONE SOCIALE :

Si sviluppa in funzione delle molteplici attività sociali in cui la persona è coinvolta.

Si tratta di relazioni caratterizzate da un certo grado di conoscenza, non tale da

configurare un rapporto propriamente amicale ma sufficientemente per consentire una

relativa personalizzazione del rapporto stesso.

RELAZIONE AMICALE:

Si sviluppa in modo spontaneo sulla base di sentimenti di attrazione.

E’ caratterizzata da parità e reciprocità

Finalità: soddisfacimento di aspettative personali di vario genere (ludiche e affettive)

Impatto nella vita del soggetto: variabile

Durata: variabile

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RELAZIONE PARENTALE:

Si sviluppa a partire da un legame naturale (genitore - figlio) o quando un adulto

assume funzioni genitoriali verso un minore

E’ caratterizzata da disparità di ruolo e diverso grado di responsabilità

Finalità: espletamento di funzioni accrescitive

Impatto nella vita del soggetto: fondante

Durata: accompagna l’intero arco della vita o dell’esistenza

RELAZIONE D’AIUTO

Si sviluppa a partire da una domanda d’aiuto alla base della quale c’è una condizione di

disagio, sofferenza, carenza o limitazione.

E’ caratterizzata da asimmetria di ruolo (da una parte c’è una persona che ha bisogno di

aiuto, dall’altra una persona che sa e può dare una risposta), diverso grado di

responsabilità e reciprocità.

Impatto nella vita della persona variabile, a seconda della condizione personale degli

individui coinvolti.

Finalità: fornire aiuto all’utente

Durata: variabile

RELAZIONE PROFESSIONALE: OPERATORE SOCIO – ASSISTENZIALE / UTENTE

Si sviluppa in seguito all’attivazione di un rapporto professionale

Finalità: collaborare per aiutare la persona in difficoltà.

Esempio n° 1: Come ci si saluta.

Nell’incontrare l’altro è naturale rivolgere un saluto; l’utente con il quale creiamo un rapporto

professionale d’aiuto bisogna salutarlo con: “Buongiorno, come sta oggi?”. In una relazione d’aiuto può

essere opportuno utilizzare la forma di cortesia (il LEI), garantendo in tal modo all’utente due

componenti importanti in una relazione di questo tipo: rispetto e non intrusività.

Interessarsi alla condizione dell’utente (“Come sta oggi?”) vuol dire introdurre nella relazione un altro

elemento significativo: la disponibilità ad accogliere l’utente sul piano personale (vissuti, stati

d’animo).

Tale disponibilità non è richiesta in altri tipi di relazione.

Esempio n° 2: Come gestire la rabbia.

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Se siamo infuriati con un amico possiamo sfogarci, la relazione potrà interrompersi o meno, ma

indipendentemente dalle conseguenze del nostro agire potremo comportarci in modo spontaneo.

Nella relazione d’aiuto, invece, la rabbia non può essere espressa con altrettanta libertà; se l’utente ci

insulta non possiamo rispondergli con il suo stesso linguaggio, così facendo l’operatore si collocherebbe

allo stesso livello dell’utente mentre la relazione è asimmetrica.

Esempio n° 3: Che grado di confidenza possiamo stabilire.

Con un amico possiamo parlare della nostra vita privata e sta a noi decidere fino a quale livello di

confidenza portare la relazione.

Con l’utente la confidenzialità non è reciproca ma unilaterale; ciò significa che, all’interno di una

relazione d’aiuto, l’utente può, se lo desidera, raccontare di sé all’operatore, ma non viceversa.

Esempio n° 4: Che grado di riservatezza dobbiamo avere.

L’operatore è spesso a conoscenza di notizie che riguardano gli aspetti più intimi della vita degli

utenti.

Per l’operatore, mantenere la riservatezza costituisce non solo un obbligo di legge, ma anche una

componente essenziale della relazione professionale d’aiuto.

La relazione rappresenta infatti per l’utente il “luogo” in cui esprimere bisogni di tipo psicologico, parti

di sé, l’operatore può proporsi come contenitore degli aspetti emotivi dell’utente solo in quanto

garantisce la riservatezza.

Esempio n° 5: Quanto coinvolgere l’utente.

In linea di massima, il più possibile.

Dipende anche dalle condizioni dell’utente che a volte presenta limitazioni tali da configurare una

situazione di attività, tuttavia tranne che in situazioni estreme, l’operatore dovrebbe sempre cercare di

lavorare con l’utente anziché su di lui.

Ciò si traduce, per esempio, nel prendere in considerazione il suo parere, nell’accettare e nell’ascoltare

le sue opinioni e i suoi suggerimenti, in pratica nella costante ricerca di una consensualità.

Si tratta di riconoscere a ciascun individuo un ambito di libertà, di responsabilità e, di conseguenza, di

discrezionalità personali che non può essere intaccato se non con la sua partecipazione e il suo

consenso.

Il tentativo di coinvolgere l’utente si traduce anche nello sforzo di promuovere autonomia, invece che

sostituirsi a lui rispetto alle attività che è in grado di svolgere.

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Si può utilizzare, come termine di confronto, il modello della relazione parentale che propone un

progressivo modificarsi del rapporto attività/passività in relazione alla crescita del figlio, e dove la

capacità del genitore di riconoscere l’individualità del figlio e di promuoverne gradualmente

l’autonomia, rappresenta una componente fondamentale della funzione genitoriale.

Esempio n° 6: Bisogna soddisfare tutte le richieste dell’utente?

E’ importante tenere presente che una relazione d’aiuto prende sempre avvio in risposta a una

domanda e solo a condizione che vi sia una richiesta.

Riuscire a comprendere cosa l’utente ci chiede è essenziale perché è alla sua domanda, e solo ad essa,

che dovremo rispondere.

Ciò significa che è importante resistere alla tentazione di voler risolvere i problemi dell’utente, di voler

fornire più assistenza di quanta egli stesso non chieda o di invadere la sua psiche in base alla nostra

convinzione che “ne abbia bisogno”.

Tale accorgimento ci tutela dal rischio di un’ eccessiva intrusività.

EMPATIA

E.STEIN nel suo testo “L’empatia” definisce tale attività psichica come una “…. Specifica modalità e

qualità di pensiero riflesso, calato nel nostro esperire vivente, rivolto verso altri da noi…. Atti che

ciascuno di noi esercita di continuo mediante i quali cerchiamo di comprendere l’interno degli altri, le

loro sensazioni, i loro sentimenti, le loro motivazioni…. Anche con sconosciuti, anche con stranieri….”

L’empatia può essere più semplicemente definita come la capacità di mettersi nei panni di un altro, nel

senso di comprendere il suo mondo interno, i suoi stati d’animo, i suoi pensieri, le sue difficoltà, i suoi

bisogni.

La formazione professionale di operatore OSA , contribuisce a migliorare tale capacità o attitudine che

tuttavia si correla strettamente ad alcune caratteristiche personali dalle quali non può prescindere e

che sono, per esempio, la capacità di un individuo di sentire e di condividere gli stati d’animo degli

altri, di non essere eccessivamente centrato su di sé o ristretto nella propria sfera privata, di provare

emozioni che lo rendano attento al bisogno di aiuto dell’altro.

EMPATIA E PERCEZIONE ESTERNA

Può essere utile sottolineare la distinzione tra l’empatia e un’ altra attività psichica che viene delle

volte erroneamente confusa con essa, la percezione.

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Prendiamo ad esempio l’esperienza del cogliere il dolore di una persona: questa esperienza è diversa

dalla percezione esterna in quanto riguarda una “cosa” che mi sta davanti in carne ed ossa e certo il

dolore non può essere percepito come una cosa; rendersi conto del fatto che la persona che è di fronte a

noi ha il colorito pallido, un’espressione contratta e gli occhi lucidi, rappresenta semplicemente una

deduzione su una base di osservazione percettiva.

Limitarsi a ciò non è empatizzare con l’altro, in quanto l’empatia è la partecipazione interiore alle

esperienze vissute da altri soggetti, il capire ciò che l’altro prova o vive.

EMPATIA E SIMPATIA

Empatia e simpatia non sono sinonimi ed è importante che l’operatore non confonda tali processi.

Una prima differenza consiste nel fatto che la simpatia è un sentimento, mentre l’empatia è una

modalità di pensiero.

La simpatia si fonda su un sentimento naturale di attrazione da una persona verso un’altra persona,

su una disposizione d’animo favorevole verso l’altro.

L’empatia invece implica l’esistenza di un certo grado di distacco emotivo; la simpatia implica una

sorta di fusione con l’esperienza emotiva vissuta dall’altro e in questo caso i bisogni dell’altro vengono

vissuti come se fossero propri.

Cogliere la gioia dell’altro è un atto di empatia; gioire con l’altro, inteso come diretta partecipazione

alla sua esperienza, invece rappresenta un atto di simpatia.

IL PROCESSO D’EMPATIA ALL’INTERNO DELLA RELAZIONE D’AIUTO

Tale processo si può schematizzare individuando 4 fasi:

1. IMMEDESIMAZIONE : meccanismo psichico che consente all’operatore di “entrare” nella

personalità e nella situazione dell’altro.

2. INCORPORAZIONE : attraverso tale meccanismo l’esperienza dell’altro viene incorporata

nell’IO dell’operatore, come se facesse parte del suo IO.

3. RISONANZA : l’operatore avverte un’interazione tra i propri sentimenti (che si fondono su

esperienze del passato) e l’esperienza individuata nell’altro e incorporata nel proprio IO.

Questa fase conduce alla comprensione dei sentimenti dell’altro.

4. DISTACCO : alla fine del processo l’operatore ritorna completamente alla propria identità.

ECCESSO DI EMPATIA

Quando l’empatia non trova limiti e il coinvolgimento è tale da non consentire un

distanziamento dal paziente, non si può osservarlo con obiettività in modo tale da ricercare una

risposta adeguata ai suoi bisogni.

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Si rende quindi necessario per l’operatore, un allenamento alla ricerca di quella distanza

terapeutica che gli consente di essere allo stesso tempo osservatore e partecipe, oggettivo e

soggettivo.

INIBIZIONE DELL’EMPATIA

Quando l’operatore ha difficoltà a percepire il paziente sul piano “emotivo”, per cui si muove

come osservatore distaccato, in una comprensione solo spaziale ()? del malato.

LA DISTANZA NELLA RELAZIONE OPERATORE – UTENTE

Un importante elemento che caratterizza una relazione d’aiuto è rappresentato dalla distanza che si

viene a creare tra operatore ed utente.

Per comprendere il concetto di “distanza” riferito ad una relazione d’aiuto è necessario tenere presente

che la comunicazione tra operatore ed utente avviene a livelli diversi:

1. Un primo livello è quello che riguarda la vicinanza ed il contatto fisico, sempre importante

nella pratica professionale dell’osa.

Molte delle attività assistenziali si svolgono ad una distanza che può essere definita intima.

2. Un secondo livello è quello che riguarda il ruolo; dipende dalla formazione, dagli aspetti di

etica professionale, dal mansionario e rappresenta il livello più razionale.

3. Un terzo livello è quello psicologico-emotivo.

Questi 3 livelli sono determinanti nello stabilire le distanze di cui trattiamo; in base ad essi, è possibile

individuare distanze fisiche, distanze di ruolo e distanze psicologiche.

La distanza psicologica è, tra le 3, quella che maggiormente sfugge a precise definizioni o al controllo

cosciente: si viene a creare a seconda di come sono strutturate, la personalità dell’utente e la

personalità dell’operatore e soprattutto dipende dalla risultanza tra i 2 soggetti, cioè dalla relazione

che si instaura.

Un concetto che è importante introdurre per trattare tale argomento è quello del SE’ che può essere

definito come l’immagine che una persona ha di se stessa ( come una persona si vede, come sente di

essere).

Eventi come la malattia, la disabilità, l’invecchiamento, modificano in senso negativo l’immagine che

una persona ha di se minacciandone l’integrità psichica. Il malato, il disabile o l’anziano non più

autosufficiente vivono tale minaccia in prima persona, ma anche il SE’ dell’operatore viene

costantemente messo in gioco.

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Un utente che si lamenta per la propria solitudine, per esempio, può sollecitare nell’operatore reazioni

molto diverse che vanno dal desiderio di compensare in prima persona le carenze affettive dell’utente

all’insofferenza per le sue lamentele.

Nel primo caso possiamo immaginare che il SE’ dell’operatore sia stato invaso dagli aspetti emotivi

dell’utente, nel secondo caso che sia impenetrabile.

ECCESSIVA O SCARSA PERMEABILITA’

1° CASO 2° CASO

BARRIERA DEL SE’ LABILE BARRIERA DEL SE’ RIGIDA

L’esempio evidenza la possibilità di avvicinarsi o mantenersi a distanza nella relazione con l’utente, si

tratta di movimenti frequenti e fisiologici all’interno di una relazione d’aiuto, ma che richiedono

sempre, da parte dell’operatore un corretto riconoscimento.

Quando utilizza un linguaggio personale ( “la terapia del 28”, “ misura la pressione a quello del letto

12” ), quando le pratiche assistenziali diventano atti meccanici, a scapito dell’aspetto comunicativo

possiamo ipotizzare che l’operatore affronti la relazione con l’utente allontanandosi.

Il distanziamento relazionale ed affettivo rappresenta una strategia difensiva per l’operatore; ciò da

cui l’operatore si difende è l’intensità di sentimenti quali l’angoscia, la paura, il senso di colpa, la

rabbia suscitati dalla relazione con l’utente.

Infatti tale relazione investe sempre sia il piano professionale sia quello personale ( relazioni emotive,

affetti, sentimenti ).

I sentimenti che un utente prova nei confronti dell’operatore sono definiti TRANSFERT; invece

vengono definiti CONTROTRANSFERT i sentimenti che un operatore prova nei confronti dell’utente.

Transfert e controtransfert sono processi strettamente collegati tra loro ( è una esperienza comune

ricambiare sentimenti positivi verso chi si mostra benevolo nei nostri confronti ).

L’osservazione del proprio controtransfert rappresenta un prezioso strumento di lavoro per l’operatore,

poiché consente di rilevare possibili difficoltà e di conseguenza modulare la distanza in modo tale che

sia efficace per il paziente e protettiva del SE’ dell’operatore.

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Vediamo quali segnali ci possono indicare la presenza di movimenti controtransferali nella relazione

d’aiuto:

Depressione o disagio durante o dopo il colloquio con certi pazienti familiari

Trascuratezza nel rispettare gli accordi dimenticando per esempio o arrivando in ritardo ad un

appuntamento

Sentirsi stanchi durante il contatto

Inutile asprezza nel formulare commenti

Provare ripetutamente affetto verso un paziente o andare aldilà del proprio compito facendo

cose che per altri pazienti o per altre famiglie non si farebbero

Una compulsiva tendenza su certi argomenti arrivando a litigare con il paziente

Un forte desiderio di dedicarsi al pettegolezzo professionale riguardo ad un paziente o ad un

familiare

Un improvviso aumento o diminuzione di interesse per un determinato caso.

Il mancato riconoscimento di tali situazioni può compromettere la qualità della relazione d’aiuto,

determinando tendenze verso un eccessivo coinvolgimento o verso un aumento della distanza, mentre

il confronto con i sentimenti, i vissuti, le relazioni emotive può portare ad una situazione relazionale

più sana per l’operatore e l’utente.

LA COMUNICAZIONE

ASPETTI PSICOSOCIALI ED EDUCATIVI

Gli strumenti che l’operatore utilizza nella relazione d’aiuto oltre alle regole specifiche comprendono

un corretto uso della comunicazione, un’abilità relazionale e l’impiego di proprie risorse personali.

Comunicare vuol dire mettersi in relazione; pertanto la comunicazione può essere definita come “il

veicolo” della relazione tra le persone.

La comunicazione può essere quindi considerata uno strumento per l’operatore impegnato in una

relazione d’aiuto.

I fattori costitutivi della comunicazione sono:

EMITTENTE: chi invia il messaggio, il soggetto da cui parte e inizia la comunicazione

RICEVENTE : rappresenta l’altro capo della comunicazione, il soggetto a cui arriva il

messaggio

CANALE : è il mezzo conosciuto e condiviso, attraverso il quale è possibile trasmettere un

messaggio tra 2 soggetti. Per esempio, se inviamo un telegramma il canale è costituito dalla

linea telegrafica

CODICE: può essere definito come un sistema, una convenzione condivisa alla quale le persone

che comunicano fanno esplicito riferimento, per esempio la lingua italiana

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MESSAGGIO: rappresenta il contenuto della comunicazione

CONTESTO: è il luogo, lo spazio, nel quale avviene la comunicazione, inteso non solo come

spazio fisico ma anche emotivo, all’interno della quale si sviluppa la comunicazione stessa.

Il contesto può, per esempio, essere casuale, spontaneo, amichevole, professionale e terapeutico;

tali differenze condizionano la comunicazione e la relazione tra i soggetti.

È possibile definire le caratteristiche di una “comunicazione sana” e le possibili distorsioni o

“patologie” del processo comunicativo.

Si possono individuare 5 assioma o regole fondamentali della comunicazione:

I° assioma: non si può comunicare

II° assioma: ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed uno di relazione

III° assioma: la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle

sequenze di comunicazione tra comunicanti

IV° assioma: gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con

quello analogico

V° assioma: tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari a

seconda che siano basati su l’uguaglianza o sulla differenza

I° ASSIOMA

Il I° assioma afferma che “NON SI PUO’ NON COMUNICARE”, perché qualsiasi comportamento, in

una situazione di interazione, è comunicare, anche in assenza di comunicazione verbale.

E’ considerata SANA ogni comunicazione chiara, dove l’accettazione o il rifiuto sono espressi in modo

esplicito.

Sono ritenute PATOLOGICHE le comunicazioni ambigue, quelle dove l’individuo tenta di eludere la

responsabilità della posizione assunta nei confronti dell’altro (dire una cosa senza dirla veramente,

negare senza veramente dire di no, non essere d’accordo senza veramente esserlo).

Utilizzando l’esempio del paziente che chiede una sigaretta è un modo ambiguo di rispondere dire di si

e non dargliela, fare come se non si fosse sentito, dire “dopo” confidando sul fatto che la cosa venga

lasciata cadere dal paziente stesso.

II° ASSIOMA

Il II° assioma afferma che “OGNI COMUNICAZIONE HA UN ASPETTO DI CONTENUTO E UNO DI

RELAZIONE”.

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L’aspetto di contenuto ha a che fare con l’insieme di informazioni verbali e non che due persone si

scambiano.

L’aspetto di relazione riguarda la definizione del rapporto tra i soggetti coinvolti nella comunicazione.

Accordarsi sull’aspetto di relazione è necessario per stabilire un rapporto di reciproca collaborazione;

per esempio se l’utente si riconosce come colui che ha bisogno d’aiuto e riconosce nell’operatore colui

che sa che può dare aiuto, allora può accettare una comunicazione efficace.

E’ considerata SANA ogni comunicazione in cui sussiste coerenza, tra aspetto di contenuto e aspetto di

relazione.

La PATOLOGIA è data da tutte le forme di confusione e di incoerenza tra aspetto di contenuto e

aspetto di relazione.

Per esempio, se l’utente siede in un angolo della stanza con lo sguardo abbassato e alla domanda

dell’operatore “COME STA OGGI?” risponde, in tono inespressivo, “BENISSIMO”, senza alzare gli

occhi la comunicazione è incongruente.

III° ASSIOMA

Il III° assioma afferma che “LA NATURA DI UNA RELAZIONE DIPENDE DALLA

PUNTEGGIATURA DELLE SEQUENZE DI COMUNICAZIONE TRA COMUNICANTI”. Più

semplicemente potremmo dire che la relazione tra due persone dipende dal punto di vista che ciascuna

di esse assume nei confronti dell’altra e della relazione stessa.

Qualsiasi cosa accada tra noi e l’altro ci forniamo un’opinione del perché sia accaduta.

Si considera sana la comunicazione caratterizzata da un certo grado di elasticità per quanto riguarda

la capacità di mettersi nei panni dell’altro e di considerare la realtà anche secondo la sua visuale; la

patologia della comunicazione è rappresentata dalla rigidità, cioè dalla convinzione che la realtà sia

come noi la vediamo, ovvero dall’incapacità di assumere il punto di vista dell’altro.

IV°ASSIOMA

Il IV° assioma afferma che “GLI ESSERI UMANI COMUNICANO SIA CON IL MODULO

NUMERICO, SIA CON QUELLO ANALOGICO”.

Per “comunicazione numerica” si intende la comunicazione basata sulla parola, mentre la

“comunicazione analogica” è quella non verbale, cioè i gesti, la posizione del corpo, l’espressione del

viso, le inflessioni della voce, ecc..

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Attraverso la comunicazione verbale vengono trasmesse le informazioni, mentre la comunicazione non

verbale non può essere vista come il linguaggio del corpo, di relazione, il mezzo principale per

esprimere o comunicare emozioni e stati d’animo.

Rispetto alla comunicazione verbale, la comunicazione non verbale è meno soggetta alla falsificazione

(si può mentire con le parole, ma è più difficile mentire con il corpo).

La comunicazione non verbale si esprime attraverso numerose variabili:

CONTATTO FISICO: rappresenta una forma di comunicazione molto primitiva legata alle

prima esperienze di contatto corporeo; anche nella vita adulta il contatto fisico costituisce una

delle espressioni più immediate per esprimere la vicinanza affettiva (sfiorare, accarezzare,

stringere, baciare) o l’aggressività (picchiare).

Questa forma di comunicazione racchiude significati diversi e definiscono la relazione in senso

amichevole, sessuale, aggressivo o di dominio.

DISTANZA FISICA: la distanza spaziale in genere corrisponde alla distanza psicologica,

sociale, affettiva ed emotiva che ci separa dall’altro.

Anche questa espressione è condizionata dalla cultura, strettamente legata al tipo di relazione

tra due persone e può assumere significati diversi (confidenza, aggressività, rifiuto).

Si distingue una distanza intima (meno di 45cm) che caratterizza scambi comunicativi molto

intesi (per l’OSA questa è la distanza abituale durante il compimento delle varie manovre

assistenziali) e distanza personale (nella nostra cultura corrisponde alla lunghezza del braccio),

che caratterizza gli scambi basati sulla comunicazione verbale.

La distanza sociale (120-210 cm) fa perdere la possibilità di contatto con l’altro; riferita alla

relazione operatore-utente, questa distanza può essere considerata difensiva; a questa distanza

si ritrae la persona che ha difficoltà di rapporto o che non vuole essere invasa dall’altro.

ORIENTAMENTO: è l’angolo secondo cui le persone si situano l’una rispetto all’altra.

Costituisce un elemento di informazione circa gli atteggiamenti interpersonali; l’orientamento

“faccia a faccia” può indicare una situazione di corteggiamento o di aggressività, “fianco a

fianco” può indicare alleanza, mentre l’orientamento “angolare” è indicativo di relazione

amichevole.

POSTURA: la posizione del corpo è un segnale in parte involontario e in parte condizionato da

fattori, quali: il ruolo e la cultura.

La postura fornisce informazioni circa i rapporti interpersonali, lo status sociale e gli stati

emotivi, in special modo lungo la dimensione tensione-rilassamento.

Ci sono tre principali posizioni del corpo (eretta, chinata-rannicchiata e distesa, legate agli stati

d’animo ma anche alle convenzioni sociali).

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Si può inoltre distinguere tra posture dominanti e sottomesse.

SGUARDO: rappresenta una parte integrante dell’espressione del volto ed è altamente

espressivo.

Sono significative la direzione (verso l’altro, verso il basso, oltre l’altro) e la durata (sostenere o

no lo sguardo dell’altro).

Evitare lo sguardo dell’altro può esprimere il tentativo di sottrarsi alla relazione o alla paura di

essere osservati; viceversa la ricerca dello sguardo dell’altro può significare il desiderio di

comunicare.

ESPRESSIONE DEL VOLTO: comprende i mutamenti della posizione degli occhi, della bocca,

delle sopracciglia, della muscolatura facciale.

Il volto è considerato la sede primaria dell’espressione delle emozioni.

Le espressioni del volto hanno grande importanza nell’orientare i rapporti interpersonali:

mentre parliamo con una persona, infatti, è soprattutto il suo viso a fornirci informazioni su di

essa, su quello che pensiamo possa essere il suo umore e i suoi sentimenti.

Corrugare la fronte, inarcare le sopracciglia, muovere le labbra, sono solo alcuni degli

atteggiamenti comunicativi possibili.

IL COMPORTAMENTO MOTORIO: l’insieme dei movimenti del corpo e della gestualità ha

una sua espressività complessiva (osservare come una persona cammina, si siede, gesticola);

per esempio l’ansia e la tensione emotiva producono mutamenti riconoscibili a livello della

gestualità delle mani: stringere i pugni in senso di rabbia, mangiarsi le unghia, toccarsi i

capelli.

I cenni del capo costituiscono uno dei segnali non verbali più veloci; essi sono importanti

indicatori relativi al procedere della relazione, per esempio un cenno del capo fatto da chi

ascolta è percepito da colui che parla come segno di attenzione o si assenso o di

incoraggiamento a proseguire.

ASPETTO ESTERIORE: la conformazione fisica, l’abbigliamento, il trucco, l’acconciatura dei

capelli, la cura e la pulizia della persona concorrono complessivamente a fornire un’ampia

gamma di informazioni circa la personalità di un individuo e il suo status sociale.

PARALINGUAGGIO: comprende gli aspetti non linguistici del comportamento verbale: tono di

voce, ritmo, pause, espressioni di esitazione, accenti, pianto, riso, sospiri e sbadigli.

Esiste una relazione molto stretta fra stato emozionale dell’interlocutore e manifestazioni

paralinguistiche; una persona ansiosa per esempio, tende a parlare più in fretta e con un tono

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più elevato, mentre una persona depressa tende a parlare lentamente e con un tono di voce più

basso.

Le stesse parole possono essere pronunciate con modalità completamente diverse e trasmettere

significati diversi.

Quando il messaggio verbale e le manifestazioni non verbali sono congruenti, la comunicazione è

considerata sana, mentre quando sussiste incoerenza tra comunicazioni verbali e segnali non verbali,

la comunicazione è ritenuta patologica.

V° ASSIOMA

Il V° assioma afferma che “ TUTTI GLI SCAMBI DI COMUNICAZIONE SONO SIMMETRICI O

COMPLEMENTARI A SECONDA CHE SIANO BASATI SULL’UGUAGLIANZA O SULLA

DIFFERENZA”.

Il modello simmetrico si basa sulla parità o reciprocità, mentre il modello complementare si base sulla

differenza, sulla disparità di ruolo.

In base a questa prima definizione è possibile individuare relazioni tipicamente simmetriche (per

esempio le relazioni amicali) e relazioni tipicamente complementari (per esempio la relazione madre-

figlio o operatore-utente).

Nel primo caso i due partner tentano di stabilire e mantenere l’uguaglianza scambiandosi lo stesso

tipo di comportamento: se l’utente alza la voce anche l’operatore alza la voce; in questo tipo di

relazione il rischio consiste nel carattere di competitività che può generare una lite.

L’operatore dovrebbe evitare il conflitto e iniziare una comunicazione basata sul modello

complementare, dove deve prendersi cura dell’utente e rispettare il proprio ruolo.

In base al V° assioma viene considerata sana una relazione in cui scambi simmetrici e complementari

si alternano per aree di competenza a seconda delle circostanze; la patologia è data dalla rigidità e dal

conflitto.

I POSSIBILI CONTESTI DELLA RELAZIONE D’AIUTO

Il luogo in cui avviene l’incontro tra operatore e utente è un elemento che va sempre tenuto presente

poiché condiziona in modo significativo la relazione stessa.

Vediamo come possono variare le condizioni dell’incontro a seconda del contesto in cui di svolge;

prendendo in considerazione lo stato psicologico dell’utente e i vissuto dell’operatore.

Esaminiamo due contesti tipici e ricorrenti per la relazione tra operatore e utente: il domicilio

dell’utente e la casa di riposo.

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DOMICILIO DELL’UTENTE

Cosa può rappresentar per l’utente:

È il luogo in cui è abituato a vivere; l’utente può sentirsi a proprio agio per la familiarità di

oggetti, persone e spazi.

È un ambito privato e quindi può vivere la presenza dell’operatore come invasione.

Il domicilio in quanto appartiene all’utente, può sentirsi in grado di controllare la situazione e

non solo di subirla.

Cosa può rappresentare per l’operatore:

È la casa di un altro e l’operatore può sentire di invadere lo spazio di un’altra persona.

L’operatore può incontrare difficoltà nell’accettare il contesto.

Come può porsi l’operatore:

Adottare un atteggiamento non invasivo e rispettare le regole del contesto.

Assumere un atteggiamento tollerante;

Mantenere la relazione entro confini professionali nonostante l’alto grado di familiarità che si

può sviluppare nel tempo.

CASA DI RIPOSO

Cosa può rappresentare per l’utente:

È di solito il luogo in cui giunge conseguentemente alla perdita dell’autosufficienza: l’utente può

sperimentare vissuti legati alla percezione del proprio decadimento fisico e psichico.

Il ricovero in casa di riposo impone la separazione dal proprio ambiente fisico e relazionale: può

rappresentare un evento traumatico e l’utente può provare sentimenti di perdita e di

abbandono.

Cosa può rappresentare per l’operatore:

Le regole sono chiaramente riconoscibili e dettate dall’istituzione: ciò facilita l’individuazione

del proprio ruolo.

È a contatto con la cronicità degli utenti: ciò può suscitare nell’operatore sentimenti di

impotenza e vissuti depressivi.

Come può porsi l’operatore:

Può evitare di assumere un atteggiamento routinario e spersonalizzante, tentando piuttosto di

mantenere presente dentro di sé la soggettività di ogni utente.

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ABILITA’ DI COUNSELING

Nelle parti precedenti abbiamo trattato vari argomenti quali argomenti quali la comunicazione, i vari

tipi di relazione, l’empatia e la distanza.

La finalità perseguita è quella di qualificare l’intervento assistenziale attraverso l’apporto di abilità

relazionali.

La presente sezione è dedicata ad un argomento che ha significative connessioni con l’intervento socio-

assistenziale : il COUNSELING.

Pensiamo, per esempio, ad alcune richieste di cui può venire investito un operatore socio-assistenziale

da parte di utenti o familiari: “Non so come organizzare il periodo estivo, sono preoccupato”, “mi sto

accorgendo di non riuscire più a ricordare le cose, cosa posso fare? ”

È evidente che tali richieste non possono trovare risposte esaustive nell’operatore socio-assistenziale;

tuttavia l’operatore può accoglierle, può interrogarle e può esprimere una prima risposta, se non in

termini di progettualità, ma sicuramente di sostegno all’utente.

Tra gli strumenti che possono essere utilizzati nella gestione di tali situazioni vi è il counseling.

COSA E’ IL COUNSELING?

Il counseling è una forma di intervento, di consulenza, che affianca varie attività professionali.

Di solito una persona si rivolge a un counselor con l’aspettativa di ricevere informazioni, chiarimenti,

indicazioni, che possono orientarlo nella scelta di soluzioni praticabili rispetto alla gestione di una

situazione problematica.

L’operatore può aiutare, quindi, la persona a esaminare dettagliatamente le situazioni o i

comportamenti che si sono rivelati problematici e trovare una soluzione; qualunque approccio usi

l’operatore, lo scopo fondamentale è l’autonomia dell’utente, che possa fare le sue scelte, prendere le

sue decisioni e porle in essere.

Il counseling si differenzia per vari motivi dal tipo di confronto che può essere ricercato nell’ambito di

relazioni familiari o amicali.

Parenti o amici possono essere emozionalmente coinvolti nel problema e pertanto poco obiettivi

nell’esaminarlo, mentre l’operatore trovandosi all’interno di una dimensione professionale può

assumere una posizione di neutralità.

La finalità del counseling è quella di aiutare l’utente a esplorare i propri problemi e a sviluppare una

comprensione nuova (insight).

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Tra le abilità necessarie per aiutare l’utente a esplorare i propri problemi vi è quella di formulare

domande adatte a incoraggiare l’altro a esprimersi.

Si considerino le seguenti tipologie di domande:

Domande chiuse : vengono definitive domande chiuse quelle che richiedono una risposta molto

specifica o del tipo “SI-NO” (per esempio “da quanti giorni è ricoverato in istituto?” o “hai

mangiato la mela?”).

Si tratta di domande che non sollecitano un atteggiamento riflessivo e che pertanto non

facilitano l’esplorazione del problema e non incoraggiano l’altro a esprimersi.

È consigliabile utilizzarle per raccogliere solo informazioni circostanziate.

Domande aperte : sono domande utili poiché consentono di approfondire e ampliare la

comunicazione su un determinato argomento (“cosa è cambiato nella sua vita da prima?” “quali

sono state le maggiori difficoltà che ha dovuto affrontare?”).

Nell’ascoltare la risposta è importante che l’operatore cerchi di rimanere nella struttura

interna di riferimento dell’utente, il che significa basarsi sul suo modo di pensare, sul suo

sistema si valori, sulla sua visione della vita.

Domande con il perché : si fa riferimento a domande che interrogano in modo diretto la causa di

un determinato comportamento o atteggiamento (per esempio, “perché non reagisce?”, “perché

si rifiuta di mangiare?”).

Una domanda formulata in questo modo presuppone che l’utente sappia e possa spiegare

l’origine del proprio problema, in realtà le ragioni che sono alla base di un disagio sono spesso

percepite confusamente dall’individuo stesso (la necessità di un aiuto nell’esplorare deriva da

questo aspetto).

Si tratta pertanto di domande poco utili nell’attività di counseling.

Domande affettive : sono le domande che incoraggiano l’interlocutore a interrogarsi sui propri

vissuti emotivi (per esempio, “come la fa sentire questa situazione?” “cosa ha provato in quella

circostanza”). Attraverso tali domande il soggetto viene aiutato identificare i propri sentimenti

relativamente alla situazione problematica, un aspetto estremamente utile nell’attività di

counseling.

Domande allusive : sono domande che racchiudono l’aspettativa di una risposta precostituita

(per esempio, “non le sembra che è la situazione migliore?”).

L’utente che riceve una domanda di questo tipo si sente invitata a rispondere nel modo

suggerito dalla domanda stessa, vale a dire in base all’opinione espressa dall’operatore anziché

in base alla propria struttura interna di riferimento.

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Domande multiple : si tratta di più domande presentate simultaneamente (per esempio, “si è

già rivolto ad un medico? Ha fatto le analisi? Ha ottenuto delle risposte?”).

Domande così formulate producono l’effetto di disorientare l’utente ostacolando l’esplorazione

del problema; inoltre una modalità troppo incalzante di porre le domande rischia di introdurre

un clima ansiogeno e di suscitare reazioni difensive nell’utente.

Si considerino le seguenti risposte:

ciascuno di noi reagisce in modo soggettivo alle sollecitazioni che derivano dall’incontro con l’altro.

Il nostro modo di rispondere alla persona che c’è di fronte è spesso dettato dalla spontaneità o

dall’abitudine.

Altrettanto istintivamente tendiamo a considerare “buone” alcune tra le risposte che riceviamo dagli

altri e “meno buone” altre.

Nella relazione d’aiuto lo stile di risposta può essere analizzato con lo scopo di individuare gli effetti

che essa produce nel rapporto interpersonale.

Risposte di soluzione immediata: (NO)

Viene così definita la risposta che prospetta o suggerisce una soluzione al problema presentato

dall’utente (per esempio, “perché non fa visita agli altri utenti?”).

Possiamo facilmente comprendere che la risposta elude il problema e non aiuta il soggetto ad

assumere un atteggiamento attivo nei confronti del problema.

Perché chi risponde dice all’altro cosa fare.

Risposta interpretativa: (NO)

Si tratta di una risposta basata su una comprensione parziale o arbitraria di ciò che il soggetto

ha espresso (per esempio, “purtroppo capita spesso di essere portate in istituto alla persone

nelle sue condizioni”).

La risposta quindi non è utile e l’utente proverà la sensazione di non essere capito.

Risposta investigatrice o inquisitoria: (NO)

Si ha quando si risponde all’altro con una domanda volta ad ottenere ulteriori informazioni sul

problema (per esempio, “perché sua figlia non l’ha tenuta a casa?”).

Questo tipo di risposta non aiuta l’altro ad esprimersi, in quanto assume la forma

dell’interrogatorio.

Risposta valutativa: (NO)

Si ha quando viene espresso un giudizio su quanto è stato comunicato dall’utente.

Se il giudizio è negativo (“non è piangendo sulla sua sorte che le cose si aggiustano, non le

pare?”), l’utente si sente giudicato e rimproverato per il suo modo di essere e di pensare.

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Se il giudizio è positivo (“lei ha ragione”), l’utente si sentirà confermato nella propria posizione

e non sarà aiutato a migliorare.

Risposta di supporto: (SI)

Si ha quando chi risponde cerca di confortare, l’effetto di tale risposta e quello di trasmettere

comprensione, incoraggiamento e sostegno affettivo; (per esempio, non bisogna lasciarsi andare,

c’è ancora della gente che vuole bene, ne sono certa”).

Risposta empatica: (SI)

Si tratta di una risposta basata su una profonda comprensione di ciò che l’altro ha comunicato,

no solo in termini di contenuto, ma anche di risonanza emotiva; (per esempio, “lei si sente

isolata e abbandonata da tutti, anche da quelli che ama di più”).

I MECCANISMI DI DIFESA

I meccanismi di difesa sono processi che intervengono per proteggere l’IO (cioè quella parte della

psiche che svolge funzioni di adattamento alla realtà esterna e rappresenta il polo difensivo) e

permettergli di far fronte agli stati di disagio e di sofferenza.

Scopo principale dei meccanismi di difesa è di controllare o contrastare pensieri o affetti che

possiedono un livello intollerabile di dolore o angoscia. Si tratta di modi di sentire, pensare o

comportamenti che sorgono automaticamente in risposta a percezioni di pericolo psichico.

Essi sono finalizzati a nascondere o ad alleviare il conflitto e l’angoscia che l’individuo deve affrontare

attraverso gli aggiustamenti o delle semplificazioni.

Le definizioni di meccanismo di difesa possono essere ulteriormente schematizzate in:

a) Le difese sono la risposta automatica individuale a situazioni di stress interne ed esterne;

b) Le difese sono processi inconsci e si manifestano al di fuori del nostro controllo volontario e

della nostra consapevolezza;

c) Le difese si definiscono e si formano a partire dalla prima infanzia seguendo le linee generali

dello sviluppo psichico;

d) Ciascun individuo struttura la propria organizzazione difensiva, che tendenzialmente lo

porterà ad utilizzare gli stessi meccanismi in determinate situazioni;

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e) Le difese sono “ADATTIVE” quando contengono la sofferenza psichica entro limiti tollerabili,

consentendo tuttavia all’individuo di mantenere un adeguato contatto con la realtà. Sono

“DISADATTIVE” quando risultano inappropriate alla fase di sviluppo in cui si trova l’individuo

o quando si accompagnano a una forte distorsione della realtà.

RIMOZIONE

La rimozione è una difesa che protegge il soggetto dalla consapevolezza di ciò che sta provando o ha

provato in passato.

Si tratta di un meccanismo di difesa fondamentale, compare fisiologicamente in fase di sviluppo

psicologico come protezione da impulsi dolorosi, sentiti come minacciosi dell’integrità psicologica

nostra.

Per effetto della rimozione tali impulsi vengono esclusi dalla coscienza e mantenuti nell’inconscio.

Analogamente, nel malato o nell’anziano, il pensiero della malattia può essere così intollerabile da

dover essere rimosso, in altre parole, cancellato a livello della consapevolezza (per es. il soggetto

dimentica particolari significativi riguardanti la malattia).

REGRESSIONE

Si tratta di un processo psicologico frequentemente osservabile nell’individuo in difficoltà e nel malato.

La regressione consiste nel rifugiarsi in una condizione psicologica precedente più elementare e anche

più protetta, quando la situazione attuale appare difficile frustante, confusa e insolubile.

Tale meccanismo è presente e fisiologico nell’infanzia: si pensa al bambino che, dopo la nascita del

fratellino, riprende a fare la pipì a letto, pur avendo imparato a restare asciutto durante la notte.

Il bambino cioè regredisce a uno stato di sviluppo anteriore nel tentativo di recuperare l’attenzione che

riceveva ogni volta che bagnava il letto; in questo modo cerca di recuperare il senso di sicurezza e

l’affetto materno che l’arrivo del fratellino ha seriamente compromesso.

Analogamente, sotto lo stress di una malattia, l’individuo può regredire fino al punto di dipendere in

tutto dal personale della struttura, deve responsabilizzarsi consegnandosi in mani attivi da cui si

attendono le cure che aveva ricevuto dalla madre.

A volte capita di sentir dire che quel malato è diventato un bambino che ci si deve occupare di lui

come se avesse cinque anni; sono fasi che rappresentano la migliore esemplificazione di quella che può

essere la regressione messa in atto dell’utente.

La regressione consente all’utente di difendersi da angosce troppe intense, di ridurre il livello d’ansia

e di collocarsi in una posizione di dipendenza e passività che porta a tante attenzioni da parte del

personale della struttura.

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Quando la regressione è transitoria essa rappresenta una reazione adattiva; quando invece, è

permanente e investe tutte le funzioni dell’IO si è di fronte a una manifestazione patologica.

NEGAZIONE

La negazione è un meccanismo di difesa attraverso il quale l’individuo rifiuta di riconoscere qualche

aspetto della realtà esterna o della propria esperienza che per altri sarebbe invece evidente.

Tale processo consente al soggetto di non ammettere o di non prendere coscienza di un fatto psichico

che potrebbe causargli sofferenza.

Le indicazioni o le conseguenze di un pensiero, azione o situazione vengono in tal modo ignorate e

l’individuo può comportarsi come se tali implicazioni e conseguenza non esistessero.

Un esempio di negazione ci viene dato dal ragazzo che diventando paralizzato si propone di riprendere

le sue attività, senza tener conto delle limitazioni impostegli dalla propria invalidità; in pratica il

ragazzo nega la propria invalidità e il fatto che non potrà più camminare.

Nel caso di malattie, tale meccanismo interviene con una funzione protettiva soprattutto nella prima

fase di adattamento alla perdita dell’integrità fisica e trova esemplificazione in espressioni quali:

“NON PUO’ ESSERE VERO”, “CI DEVE ESSERE UNO SBAGLIO”, o nella concreta decisione di

rivolgersi ad altri centri o strutture.

Ciò consente all’individuo di ricomporsi secondo i propri tempi per affrontare in modo graduale la

situazione, così facendo cerca di abbandonare tale meccanismo di difesa in modo da poter affrontare e

accettare la situazione in modo più matura (ADATTIVA).

Solo se utilizzata in misura eccessiva, la negazione può rivelarsi DISADATTIVA, spingendo il soggetto

ad evitare controlli medici e a sottrarsi alle cure.

PROIEZIONE

La proiezione è un meccanismo di difesa attraverso il quale l’individuo espella da sé e focalizza

nell’altro sentimenti o impulsi sentiti come inaccettabili e non riconosciuti come propri.

L’individuo può proteggersi dall’angoscia mettendola nell’altro, creando un nemico visibile; spesso

nelle persone più vicine o in chi ricorda di essere malato.

Una delle situazioni che spesso si verifica è la ricerca da parte del soggetto di una motivazione negli

altri della sua situazione.

Un massiccio uso della proiezione (disadattiva) comporta una marcata distorsione della realtà ed il

rischio di attivare contro reazioni negative delle persone sulle quali il soggetto proietta i propri vissuti.

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RAZIONALIZZAZIONE

L’individuo affronta conflitti emotivi o fonti interne o esterne di stress escogitando spiegazioni

rassicuranti ma utili per affrontare i vari problemi.

Nella razionalizzazione il soggetto fornisce una ragione fittizia, ma plausibile, per una data azione o

impulso.

In questo modo si difende da emozioni e sentimenti dolorosi; tale meccanismo consente al soggetto di

imparare tutto sulla sua patologia o sul suo disagio, esorcizzando così il dolore e l’angoscia che

naturalmente il pensiero della malattia porta con sé.

STRATEGIE DIFENSIVE

A differenza dei meccanismi di difesa che sono processi psichici non osservabili in quanto tali, le

strategie difensive sono rappresentare da atteggiamenti adottati dal soggetto e costituiscono la parte

visibile e più facilmente percepibile della difesa messa in atto dall’individuo.

Le reazioni difensive più ricorrenti tra le persone sono:

FUGA – in analogia con il mondo animale l’individuo rincorre a questa strategia difensiva

quando ha la percezione di una situazione di pericolo in cui nessuna azione concreta può offrire

protezione.

Si accompagnano a tale reazione sentimenti di irreparabilità e di insolubilità rispetto al

problema.

L’atteggiamento di fuga si può esprimere in vari modi, dall’allontanamento fisico quando la

persona si auto dimette senza il parere del medico, al rifiuto di una proposta terapeutica.

Appartarsi, rifugiarsi nel silenzio, ripiegare su se stessi possono costituire ulteriori forme di

fuga.

CONTROLLO – il soggetto si sente meno vulnerabile se pensa di poter ancora capire ciò che

avviene, padroneggiare la propria situazione e agire sulla propria esistenza.

Il desiderio di padronanza aiuta la persona a sentirsi ancora capace di controllare gli eventi e

reagire al sentimento di profonda incertezza.

Il controllo potrà esprimersi in diversi modi; il soggetto potrà cercare risposte sugli aspetti

tecnici, sull’operato del personale e sulle scelte terapeutiche e riabilitative.

AGGRESSIVITA’ – alcuni soggetti annientati dal loro senso di disagio, oppressi dalla loro

incapacità di riprendere la loro vita e il loro status precedente, si proteggono scaricando sulle

persone che li circondano il loro sentimento e la loro amarezza, rendendole responsabili di tutti

i loro mali.

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Recriminazioni, rimostranze, accuse e sentimenti costituiscono l’unico sistema di difesa contro

un dolore mal sopportabile.

ADATTAMENTO – vi sono soggetti che sembrano esprimere un facile adattamento, che fanno

tutto ciò che viene loro richiesto, con ubbidienza; spesso però le persone che stanno buone, in

silenzio, sono quelle che soffrono di più e non esprimendo il loro dolore più difficilmente

troveranno una strada per attenuarlo.

Questo atteggiamento passivo, rassegnato non contribuisce alla salute del soggetto, in quanto le

paure e le insicurezze resteranno mascherate continuando ad affliggere la persona.

Le strategie difensive hanno la funzione di attenuare la sofferenza di fronte a un evento non

positivo.

Costituiscono una risposta istintiva in quanto il soggetto non può mai scegliere di modulare le

sue difese.

Variano in funzione della personalità del soggetto e in qualche misura del contesto in cui essa

viene affrontata.

Rappresentano una parte indispensabile al superamento della situazione traumatica.

CONTROLLO DELLE STRATEGIE DIFENSIVE

MECCANISMI DI DIFESA

RIMOZIONE REGRESSIONE

FUGA ADATTAMENTO

NEGAZIONE PROIEZIONE

FUGA AGGRESSIVITA’

RAZIONALIZZAZIONE

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ASSISTENZA ALLA PERSONA CON IL MORBO DI PARKINSON

Il morbo di Parkinson è una patologia di tipo cronico-progressivo. Attualmente non se ne conoscono le

cause, si sa che è una disfunzione della neurotrasmissione del sistema migro-striatale, con

conseguente riduzione dell’eccitazione della corteccia motoria da parte del talamo.

I sintomi principali sono:

1. TREMORE, presente a riposo che in genere si riduca con il movimento volontario;

2. BRADI-ACINESIA, caratterizzata dal rallentamento dei movimenti volontari e di quelli

involontari;

3. RIGIDITA’ è una contrattura plastica per cui l’arto, posto in una nuova condizione, la

mantiene; tale contrattura è responsabile dell’attitudine particolare del paziente, il quale

inclina la testa e il corpo in avanti, con le braccia incollate al corpo e le ginocchia semiflesse.

Inizialmente viene meno:

Il controllo dei movimenti volontari, specialmente quelli o motori: inizio della marcia, alzarsi da

una sedia e le attività di base;

Il comando dei movimenti automatici: parola, scrittura, mimica facciale;

La regolazione del tono muscolare e l’inibizione dei movimenti involontari.

In fase avanzata, il paziente affetto da Parkinson può presentare problemi alimentari, in seguito

all’instaurarsi di disfagia, disturbi del sonno legati all’alterazione del ritmo sonno-veglia, difficoltà

nell’eseguire le proprie attività quotidiane e incontinenza urinaria.

LA DISFAGIA NEL PAZIENTE CON MORBO DI PARKINSON

La difficoltà a deglutire nella persona affetta dal morbo di Parkinson è determinata dall’inadeguato

controllo dei movimenti della lingua e dell’incapacità di far transitare il bolo alimentare in faringe e

può essere peggiorata dalla presenza di scialorrea.

Questa situazione può costituire un problema per il rischio di aspirazione del cibo o dei liquidi nelle vie

aeree. Si verifica maggiormente nei momenti in cui il soggetto non è coperto dalla terapia

farmacologica e dove compaiono i sintomi.

La persona può presentare:

Prolungata permanenza del boccone solido o dei liquidi nel cavo orale;

Tosse e/o voce gorgogliante dopo l’assunzione di liquidi o semisolidi;

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Fuoriuscita del cibo dai lati della bocca.

In questi casi è necessario:

Fare assumere al soggetto cibi solidi, asciutti e morbidi;

Evitare cibi che sbriciolino (cracker, biscotti e grissini);

Evitare cibi che presentino in contemporanea liquidi e solidi (pastina in brodo);

Usare addensanti.

Gli obiettivi che si pone l’operatore nell’assistere un paziente affetto da Parkinson dipendono dalla fase

della malattia.

I principali obiettivi sono:

Migliorare la capacità di movimento e di conseguenza;

Migliorare la capacità di eseguire le attività di vita quotidiane e prevenire le cadute;

Prevenire il deficit nutrizionale e la compromissione delle vie aeree per la disfagia;

Insegnare al soggetto e a chi gli sta vicino a gestire le attività di vita quotidiana;

In fase avanzata prevenire quelle situazioni legate alla sindrome da immobilizzazione.

Esistono alcune strategie per aiutare l’utente e il familiare soprattutto nell’attività spesso più

compromessa, ovvero il movimento:

RIDURRE IL TREMORE – tenere i gomiti contro i fianchi e fare le attività più in fretta

possibile;

CAMMINARE – in caso di camminata fare piccoli passi e cercare di fermarsi controllando che i

piedi siano distanziati di circa 25cm; concentrarsi per fare i passi lunghi e un corretto

movimento del piede (tallone-pianta-piede); dare un ritmo alla marcia (cadenzandola con il

battito delle mani o contando); fare oscillare in avanti il braccio opposto alla gamba;

GIRARSI DURANTE IL CAMMINO – girare compiendo una semi-circonferenza e tenendo bene

i piedi ben distanziati fra loro.

La regola che accumuna tutte le attività che si fanno sull’utente è quella di lasciare che l’utente faccia

ciò che è in grado di fare, ma anche garantirgli il tempo necessario per eseguire le attività.

ASSISTENZA ALLA PERSONA AFFETTA DA MORBO DI ALZHEIMER

Nel paziente con una malattia demenziale, la cui caratteristica saliente consiste nell’essere

progressiva e irreversibile, sia pure con una grande variabilità nell’evoluzione, il focus dell’assistenza e

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della terapia comprende:lo stato funzionale, la correzione dei sintomi cognitivi e non cognitivi, la

prevenzione delle complicanze e in definitiva il miglioramento della qualità di vita.

La caratteristica di progressività e la contemporanea variabilità di molte forme di demenza

comportano la necessità di un approccio flessibile e multidisciplinare.

REQUISITI PER GARANTIRE AL PAZIENTE UN AMBIENTE TERAPEUTICO:

Flessibilità;

Personalizzazione dello spazio e del tempo;

Proposta di attività commisurate alla capacità del soggetto;

Tolleranza;

Presenza attività dei familiari.

OBIETTIVI DELL’ASSISTENZA AL PAZIENTE DEMENTE

Il decorso della malattia consiste in :

una fase iniziale a livello diagnostico (neurologico)

una fase intermedia caratterizzata da disturbi comportamentali (psichiatrico)

una fase terminale “internistica” (geriatrica).

La persona affetta da demenza presenta una progressiva perdita delle abilità funzionali, che coinvolge

inizialmente le funzioni più complesse che richiedono l’utilizzo di strumenti (le cosiddette

“INSTRUMENTAL ACTIVITIES OF DAILY LIVING” quali cucinare, gestire la casa, utilizzare il

telefono, guidare l’auto, maneggiare il denaro) e successivamente le funzioni più semplici relative alla

gestione della persona (le cosiddette “BASIC ACTIVITIES OF DAILY LIVING”, quali alimentarsi,

vestirsi, lavarsi, deambulare).

Quattro sono i “pilastri” del corredo sintomatologico e comportamentale dell’ alzheimer:

1. AMNESIA: è la perdita totale o parziale della memoria; (es. immaginate di svegliarvi

amnestici: “Quale è il mio nome? Dove sono?”; noi siamo la nostra memoria che è fatta di un

prima, di un adesso e di un domani. Cancellare il passato significa scardinare le nostre radici,

sconvolgendo la nostra sicurezza; l’amnesia è la prima nuova e fondamentale identità del

demente ed è un incredibile sofferenza).

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2. AFASIA: difetto di adattamento delle parole all’idea, sia che si tratti di un’idea da esprimere,

sia che si tratti di comprenderla; (es. immaginate di svegliarvi e di non riuscire a denominare

un oggetto pur sapendo cos’è, o di non riuscire a reperire le parole. In una fase successiva

appare una forma di logorrea, fatta di lunghe frasi senza senso, intercalate da alcune parole

congrue, ma soprattutto da parola sostituite con altre senza senso).

3. AGNOSIA: disturbo del riconoscimento degli oggetti e delle persone, indipendentemente da un

deficit sensoriale; (es. immaginatevi di svegliarvi e di non riconoscere più i vostri cari, le cose

diventano senza nome, senza senso, senza storia. Le cose, le persone non dialogano più con

l’immagine che ognuno di noi se n’è fatto dentro, ogni cosa diventa estranea all’archivio della

nostra memoria; è come se questo archivio bruciasse completamente: l’agnosia è proprio questo,

la scomparsa del significato intimo che noi assegniamo alle cose).

4. APRASSIA: difficoltà o incapacità di compiere movimenti mirati in assenza di paresi; (es.

immaginate di svegliarvi e di accorgervi che le vostre mani non riescono a chiudere il bottone

della camicia, ad aprire la porta del bagno e a sedersi sulla tazza; è l’incapacità a compiere gesti

precisi, a finalizzare i nostri movimenti, è la frustrazione per eccellenza).

È indispensabile fare una valutazione accurata delle abilità residue del soggetto, al fine di

determinare cosa il paziente può fare da solo e cosa con l’aiuto, una regola generale di tutte le attività

giornaliere consiste nell’evitare di aiutare troppo il soggetto. Se questi non è incoraggiato a compiere

un’attività quotidiana tenderà a perdere precocemente la capacità di compierla; al contrario è

importante stimolarlo il più possibile, facendo però attenzione a non chiedergli ciò che realmente non è

capace di fare. La comparsa di difficoltà a scegliere i vestiti e ad indossarli nella sequenza corretta

oppure ad allacciarsi un bottone, sono sintomi che appaiono nei primi anni della malattia, l'obiettivo

assistenziale dev'essere quello di mantenere il più a lungo possibile l'autosufficienza con accorgimenti

che possono sembrare , ma sono invece utilissimi.

Per esempio se la persona è ancora capace di vestirsi da sola, può essere sufficiente rimanerle vicino

suggerendo l'ordine dei capi da indossare o predisponendoli sul letto in sequenza per una vestizione

corretta; se la persona indossa un indumento sbagliato è opportuno intervenire con molto tatto,

aiutandola a ripetere in modo corretto l'operazione; se compaiono difficoltà nell'allacciamento è utile

dotare gli abiti di lunghe cerniere o di chiusure in velcro.

La cura dell'aspetto esteriore e l'igiene personale sono altrettanto importanti per la dignità della

persona: è inevitabile un progressivo calo di interesse per il proprio aspetto, obiettivo assistenziale è

quello di esortare il soggetto s prendersi cura di sé, per esempio lodandolo quando è ben vestito e

pettinato; se donna e abituata a truccarsi esortandola a farlo dando suggerimenti sul trucco e

valorizzando l'aspetto.

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COMPENSARE LA PERDITA DI MEMORIA E DISORIENTAMENTO

L'ambiente che ospita il paziente demente e la sua organizzazione devono aiutarla a sapere chi è e a

sapere dov'è ; mantenere il più a lungo possibile la persona al proprio domicilio e conservare i legami

con il passato, questo è il modo più efficace per evitare il disorientamento.

Caratteristiche strutturali e ambientali facilmente riscontrabili negli ambiti di lavoro e loro potenziale

impatto sul comportamento della persona con demenza:

CONDIZIONE MANIFESTAZIONI OSSERVABILI

Luogo di degenza con numerosi posti letto Aumento degli stimoli, della confusione e

del disorientamento

Camere identiche e spersonalizzate Difficoltà nel riconoscere il proprio

ambiente

Porte non contrassegnate e locali

difficilmente distinguibili

Aumento della confusione wandering,

difficoltà nel reperire punti di riferimento

Illuminazione notturna scadente presenza

di sponde di contenzione fisica

Aumento della confusione in caso di

insonnia, rischio di lesioni con aumento del

rischio di cadute

Presenza di barriere architettoniche, letti

alti, mancanza di presidi che facilitano la

deambulazione e la sicurezza

Limitazioni nei movimenti e aumento nel

senso di dipendenza, rischio di cadute

Mancanza di corrimano nei corridoi,

appoggi e maniglie nei servizi igienici,

supporti per la deambulazione tramite

segnaletica ambientale

Difficoltà nel movimento autonomo e

quindi isolamento e deprivazione

sensoriale

Mancanza di sistemi di sicurezza e

controllo

Facilità ad uscire dalla struttura con

scarsa possibilità di ritorno autonomo;

eccessivo ricorso alla contenzione fisica

Fornire un'informazione corretta è un altro principio di grande importanza a cui attenersi: è un grave

errore professionale avallare gli sbagli del demente e rispondere alle inesattezze come se fossero vere.

Anche la scansione dei tempi e degli eventi della giornata deve mantenersi costante nel tempo.

E' importante inoltre ridurre i rumori inutili, gli stimoli eccessivi e le attività caotiche per evitare

l'aggravamento dello stato confusionale e la distrazione.

Caratteristiche strutturali e ambientali facilmente riscontrabili negli ambienti di lavoro e il loro

potenziale impatto sul comportamento della persona con demenza:

AZIONE/ CONDIZIONE/ CAUSA RISULTATO/EFFETTO/ MANIFESTAZIONE

Mancata presentazione del gruppo

assistenziale all'utente

Mancato riconoscimento delle diverse

figure, confusione

Orari di visita rigidi Isolamento dal nucleo familiare

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Orari sonno-veglia che non coincidono con

le precedenti abitudini

Inversione del ciclo sonno-veglia, aumento

dell'irritabilità e agitazione

Indagini diagnostiche non preventivamente

comunicate; somministrazione dei farmaci

o esecuzione dei medicinali senza cercare il

consenso o il coinvolgimento del paziente

Resistenza fisica fino al rifiuto, confusione,

irritabilità, scarsa compiacenza ai

trattamenti

Mancanza di terapia occupazionale Noia, depressione, solitudine, aumento del

“sentirsi persi”, wandering

Richiesta di prestazioni superiori alle reali

capacità della persona

Comparsa di reazioni caratteristiche quali:

frustrazione, irritabilità e aggressività

GARANTIRE LA SICUREZZA

I soggetti affetti da demenza sono particolarmente vulnerabili in conseguenza dei deficit cognitivi e

funzionali: è perciò essenziale assicurare la loro sicurezza fisica e psicologica, rispettandone il più

possibile la privacy e la libertà.

Per i pazienti che manifestano wandering la possibilità di disporre di spazi, preferibilmente aperti,

garantisce loro la possibilità di deambulare con sicurezza.

Naturalmente questi spazi devono poter essere controvati di facile e libero accesso ai residenti, ma

non troppo ampi e impersonali, per evitare che diventino motivo di confusione e disorientamento.

Per ridurre il wandering è inoltre importante l'uso di stimoli che facilitano l'orientamento e la

programmazione di attività occupazionali.

Può essere utile dotare i pazienti che tendono alla fuga di una targhetta o altri sistemi di

riconoscimento; il ricorso alla contenzione fisica o farmacologica devono essere attentamente valutati.

PREVENIRE LE COMPLICANZE

In tutte le fasi della demenza la comparsa di complicanze può determinare un rapido peggioramento

delle funzioni cognitive, del comportamento e dell'autonomia del paziente.

Nelle fasi più avanzate bisogna affrontare i problemi legati all'incontinenza, al rischio di ulcere da

pressione e di cadute e problemi legati all'alimentazione.

ULCERE DA PRESSIONE

Fra tutti i fattori che condizionano la comparsa di ulcere da pressione (o lesioni da decubito),

l'immobilità è certamente uno dei più importanti, insieme ad altre cause che possono diminuire la

tolleranza tissutale.

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L'immobilità agisce principalmente tramite due meccanismi: la compressione e lo stiramento che

bloccano l'afflusso di sangue alla cute.

Nel soggetto demente agli ultimi stadi, ma la sensibilità tattile e dolorifica è insufficiente o mancante.

L'immobilità riduce o elimina la capacità di compiere i movimenti volontari ed involontari necessari

per scaricare le zone sottoposte a pressione.

La macerazione della cute è dovuta anche a incontinenza urinaria e fecale, malnutrizione e malattie

farmacologiche per aiutare questi pazienti bisogna predisporre interventi preventivi che devono avere

sempre come primo obiettivo la mobilizzazione.

INCONTINENZA

L'incontinenza può essere il primo e precoce segno accanto al disturbo di memoria o di una forma di

demenza.

L'obiettivo assistenziale è quello di mantenere il più lungo possibile l'incontinenza.

Spesso il paziente non è in grado di inibire la minzione per il tempo necessario a raggiungere la

toilette: può essere un valido aiuto l'impiego di un abbigliamento facile da togliere e possono servire

indicazioni colorate che tracciano il percorso verso il bagno per una migliore localizzazione.

È opportuno accompagnare periodicamente in bagno ogni 2/3 ore il paziente, soprattutto appena si

sveglia al mattino, prima di coricarsi e una volta durante la notte.

Può essere utile limitare l'apporto di liquidi nelle ore serali ed è preferibile l'uso del pannolone.

LINEE GUIDA DI COMPORTAMENTO PER LA CORRETTA

ASSISTENZA AI PAZIENTI CONFUSI E AGITATI

COSE DA EVITARE: COSE DA FARE:

Non mettersi sullo stesso piano del

paziente

Essere calmi, cortesi e trasmettere

disponibilità

Non approcciare la persona da dietro Fermarsi a parlare con l'utente e fargli

capire che non si vuole far del male

Non ridicolizzarla, non usare nomignoli e

non urlare

Parlare stando di fronte; essere flessibili e

tolleranti

Non manifestare paura o ansia che

potrebbero alimentare la sua aggressività

Operare in maniera che sia possibile

riscuotere maggior fiducia nell'ospite

Evitare gli stimoli luminosi diretti o

improvvisi

Cercare di capire se c'è qualcosa che lo

spaventa o le ragioni di eventuale

aggressività

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REAZIONI DELL’UTENTE ALL’ENTRATA NELLA CASA DI RIPOSO

Entrare in una casa di riposo è un evento carico di implicazioni psicologiche; è utile avviare una

riflessione su tale esperienza a partire da un’analisi delle sue caratteristiche.

Dal punto di vista istituzionale, la casa di cura può essere considerata una microsocietà, con proprie

regole, spesso stabilite in funzione di esigenze organizzative più che dei bisogni degli utenti (per

esempio, orario dei pasti).

Tra i fattori che possono generare difficoltà d’ordine psicologico nell’utente si possono segnalare i

seguenti:

Spazio fisico: le dimensioni delle camere, il grado di luminosità, di rumorosità, di temperatura,

possono costituire elementi stressanti.

Spazio psicologico e sociale: da questo punto di vista vanno segnalati la perdita della privacy,

la libertà di movimenti, la collocazione dell’utente in una condizione di subalternità, il

sentimento di essere sempre osservato.

In base al vissuto dell’utente, l’entrata nella casa di riposo come momento di transizione: si sradica il

soggetto da un ambiente familiare, dalle sue abitudini e proprietà personali per collocare in un

ambiente nuovo di cui non conosce regole e confini.

L’impatto con una realtà sconosciuta richiede all’utente uno sforzo particolare per adattarsi nella

nuova situazione.

Un altro aspetto che viene immediatamente sollecitato nel soggetto al momento dell’entrata nella casa

di riposo riguarda l’identità.

Fin dalle prime fasi l’utente deve confrontarsi con il compito di costruire una nuova identità, quella di

un utente di una casa di riposo, sperimentando la perdita della precedente identità.

Il vissuto che si accompagna a tale esperienze è la depersonalizzazione; l’OSA può aiutare il soggetto a

conservare un senso di identità cercando di tener presente la soggettività dell’utente; un fattore

estremamente importante è rappresentato dalla qualità della relazione e della comunicazione.

ASPETTI PSICOLOGICI DELLA VECCHIAIA

L’essere anziani comporta delle caratteristiche abbastanza comuni, che individuano e caratterizzano

questa parte della vita, come accade per tutte le età dell’uomo.

Alcuni esempi di tale situazione, che possono rappresentare aspetti sia positivi sia negativi, sono i

seguenti:

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La capacità di sopportare i lutti;

La lentezza;

La tolleranza;

La memoria;

La misura del tempo;

La contemplazione;

La pazienza.

Negli anziani, l’energia e le attività si riducono progressivamente; il campo degli interessi si restringe,

diminuiscono memoria ed elasticità mentale, le idee nuove sono analizzate con minore interesse e

subentra un certo scetticismo; alcuni tratti del carattere prima dominati sfuggono sempre più

all’autocontrollo. Accanto a questi aspetti compaiono altri aspetti positivi, quali la prudenza e

l’equilibrio derivati dall’esperienza.

Gli effetti della senescenza sul corpo e sullo spirito non sono necessariamente paralleli; può accadere

che certi individui siano intellettualmente lucidi, mentre il loro fisico è gravato dagli acciacchi.

All’opposto, si osservano soggetti ancora fisicamente forti, ma intellettualmente privi di efficienza.

Sono state ideate molte teorie sulle cause di invecchiamento delle cellule e quindi dell’organismo;

probabilmente la senescenza non dipende da un’unica causa, ma da un insieme di circostanze, solo in

parte conosciute; le teorie che sono state avanzate possono essere schematizzate come segue:

Teoria dell’invecchiamento progressivo delle arteria;

Teoria dell’accumulo delle scorie;

Teoria dell’accumulo della sostanza amiloide;

Teoria della denaturazione delle sostanza a causa delle radiazione cosmiche;

Teoria anti-immunitaria;

Teoria dell’usura;

Teoria nervosa.

In conclusione non dovremmo considerare l’anzianità come uno stato, ma come una parte della vita

che è in continua evoluzione.

Spesso all’età anagrafica può non corrispondere a pieno l’età che ci si sente, infatti può anche non

essere una condizione di per sé stessa invalidante.