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1 Università degli studi di Cassino Facoltà di Lettere e filosofia Glottologia e linguistica a.a. 2005-2006 DISPENSA DI FONETICA Giancarlo Schirru

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Università degli studi di Cassino Facoltà di Lettere e filosofia

Glottologia e linguistica a.a. 2005-2006

DISPENSA DI FONETICA Giancarlo Schirru

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1. Le tre dimensioni della fonetica Espressioni tecniche:

- fonetica articolatoria - fonetica acustica - fonetica uditiva

La fonetica è definibile come il livello di analisi relativo alla sostanza dell’espressione. Ogni atto comunicativo linguistico orale presuppone un parlante che emette dei suoni, una serie di onde sonore che si trasmettono nell’aria, e infine un ascoltatore che percepisce i suoni prodotti dal parlante. Per questa ragione normalmente la fonetica, che studia nella sua interezza tutto il processo descritto, dalla produzione all’ascolto, si suddivide metodologicamente in tre distinte branche:

- la fonetica articolatoria, studia il modo con cui l’espressione linguistica è prodotta dal parlante;

- la fonetica acustica si occupa della trasmissione dei suoni linguistici nell’aria; - la fonetica uditiva osserva invece il processo di ascolto e percezione dei suoni linguistici da

parte dell’ascoltatore.

Queste tre discipline sono sorte in momenti differenti: la più antica è la fonetica articolatoria che si è sviluppata alla fine del XVIII secolo. Prima di allora si può affermare che in Occidente l’interesse per la fonetica linguistica sia rimasto a uno stato impressionistico e disorganico, incapace di accumulare in modo ordinato precise conoscenze. Solo nel secondo Settecento sembra farsi strada un metodo per la classificazione dei suoni linguistici basato sul modo con cui questi sono prodotti. Forse non è solo una coincidenza il fatto che in tale periodo la nascente linguistica storico-comparativa entrava in contatto con la grammatica sanscrita indiana: una tradizione in cui – al contrario di quanto era avvenuto in Occidente – la fonetica si era incredibilmente sviluppata fin dall’età classica (almeno dall’VIII sec. a.C.) raggiungendo una metodologia che coincide di fatto con gli assunti di base della moderna fonetica articolatoria.

I primi esperimenti di fonetica acustica effettuati con strumentazioni moderne risalgono alla fine dell’Ottocento, ma bisogna attendere gli anni Trenta e Quaranta del Novecento perché questi si estendano su gran parte dei fenomeni della fonetica linguistica. Di fatto il maggiore impatto della fonetica acustica – che incise profondamente sull’intera fonetica - si ebbe dopo la Seconda Guerra Mondiale, con l’uso civile delle tecnologie delle telecomunicazioni sviluppatesi in quegli anni per scopi militari.

Ultima nata delle tre è la fonetica uditiva e percettiva: l’apparato uditivo è infatti difficilmente osservabile sia per la sua collocazione fisica, sia per l’impossibilità di distinguere le componenti meccaniche da quelle neurologiche nella fisiologia della percezione sonora. Ancora oggi molte attività dell’apparato uditivo risultano poco chiare agli studiosi e si attendono grandi risultati dalle ricerche di recentissimo avvio sulle attività neurologiche e celebrali connesse alla percezione linguistica.

Da questa breve cronologia si può notare come la linguistica scientifica si sia sviluppata, per un lungo tratto della sua storia, avendo a disposizione la sola fonetica articolatoria. Non è quindi un caso se la terminologia tradizionalmente in uso nella linguistica fa per lo più riferimento al parlante e al meccanismo di produzione dei suoni del linguaggio.

Lo studio della fonetica presuppone l’approfondimento delle sue tre diverse dimensioni: in particolare alcune importanti scoperte sulla caratteristiche della comunicazione linguistica sono venute dall’osservazione delle simmetrie e delle dissimetrie esistenti tra la produzione di un suono, la sua trasmissione e la sua percezione.

Nell’àmbito di questo corso, volto fondamentalmente a un’introduzione dei principali concetti della linguistica, prenderemo in esame la sola fonetica articolatoria. Dovendo infatti scegliere una sola delle dimensioni della fonetica, per evidenti ragioni di economia tra i diversi argomenti, la

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fonetica articolatoria rappresenta senza dubbio quella didatticamente più efficace per almeno due ragioni. Innanzi tutto fa riferimento a processi più semplici da capire e che si possono cogliere anche con un minimo di introspezione. Poi, essendo storicamente la più antica delle tre branche, informa con i suoi concetti in modo più diffuso (rispetto alle altre due) le discipline linguistiche: si può dire anzi che un’introduzione alla fonetica acustica e quella percettiva presuppone la conoscenza delle linee fondamentali della fonetica articolatoria, e non viceversa. 2. Il meccanismo di produzione dei suoni linguistici Espressioni tecniche:

- tratto vocale - laringe - glottide - pliche vocali - faringe - ugola - velo palatino - palato duro - alveoli - denti - labbra - cavità nasali - radice della lingua - dorso della lingua - apice della lingua

2.1. Il flusso dell’aria Gran parte dei suoni usati per la nostra comunicazione linguistica (e comunque i soli a cui faremo riferimento in questa sede) sono prodotti mediante il turbamento del flusso di aria sospinto dai polmoni all’esterno del nostro corpo: questi suoni sono detti polmonari, e si distinguono dai suoni non polmonari (presenti in alcune lingue del mondo, diffuse per esempio in Africa e nel Caucaso) di cui non tratteremo nelle pagine seguenti.

Nella produzione dei suoni polmonari il flusso d’aria è creato dalla pressione dei muscoli intercostali sui polmoni: il meccanismo utilizzato è quindi il medesimo normalmente in uso per la respirazione. Ci si può rendere conto facilmente di questo fatto osservando come, mentre si pronuncia una sequenza sufficientemente lunga (come aaaaaa) non è possibile contemporaneamente inspirare.

Il nostro apparato di respirazione è però in grado di variare fortemente i suoi ritmi. Mentre nella respirazione i tempi di ingresso e di uscita dell’aria (inspirazione ed espirazione) hanno una durata piuttosto simile, quando parliamo siamo in grado di determinare una forte dissimetria tra i due momenti: l’aria è infatti inspirata con grande velocità (in un secondo o poco più), mentre viene espirata molto lentamente, creando un flusso di uscita che può durare fino a dieci-quindici secondi.

Durante il rilascio dell’aria questa viene incanalata nella rete dei bronchi fino a essere interamente convogliata in un unico canale, la trachea, che collega i polmoni al tratto vocale.

2.2. Il tratto vocale Con tratto vocale si intende l’ultimo percorso compiuto dalla colonna d’aria prima di uscire all’esterno: nella sua parte più interna troviamo la laringe, mentre il suo confine esterno è segnato dalle due labbra (ed eventualmente dalle narici del naso). Mentre la trachea non è modificabile nel suo volume interno, il tratto vocale è un’area in cui possono essere creati in modo volontario o

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irriflesso numerosissimi diaframmi al flusso d’aria. Molte delle superfici del tratto vocale sono infatti mobili: dall’interazione delle loro modificazioni dipende gran parte della nostra capacità di differenziare tra di loro i suoni del linguaggio (questo è il significato etimologico della parola articolazione). Preliminare quindi alla classificazione dei singoli suoni, è la nomenclatura degli organi responsabili della loro caratterizzazione, detti articolatori. In questa rassegna procederemo dalla parte più interna del tratto vocale, a quella più esterna.

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Figura 1: rappresentazione schematica dell’apparato fonatorio tratta da Albano Leoni – Maturi 1998: 32.

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- laringe: complesso di cartilagini e tessuti muscolari situato alla sommità nella parte superiore della trachea. E’ individuabile dall’esterno come un piccolo rigonfiamento nella parte anteriore del collo (il cosiddetto «pomo di Adamo»).

Figura 2: La laringe. Fonte: Clark – Yallop 1995: 179

Figura 3: La glottide: a sinistra in posizione di tensione (fonazione), a destra in posizione aperta. Fonte: Hirose 1995: 118.

Si indica con glottide la parte della laringe che compresa tra due piccole estroflessioni (dette pliche vocali) situate ai lati del condotto dell’aria che attraversa la laringe (il condotto laringeo). Le pliche vocali possono assumere diverse posizioni: essere completamente distanziate l’una dall’altra, lasciando quindi aperto il condotto laringeo (la posizione assunta normalmente durante la respirazione). Oppure entrare in tensione ed essere accostate l’una all’altra dal complesso della laringe. In questo caso danno vita al meccanismo laringeo (detto anche fonazione), consistente in una rapidissima sollevazione (e apertura), e una successiva chiusura provocati dalla pressione dell’aria in uscita. Il ritmo di cicli completi di apertura e chiusura dipende in parte dalla

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conformazione individuale, ma in parte può essere controllato volontariamente attraverso la minore o maggiore tensione dei muscoli vocali e di altri tessuti muscolari della laringe.

Figura 4: Rappresentazione schematica del meccanismo laringeo. Fonte: Clark – Yallop 1995: 187.

Figura 5: Esempi di immagini della glottide ottenute con un sistema digitale; da sinistra a destra e dall’alto in basso è visibile il movimento progressivo di chiusura e riapertura della glottide nei cicli di fonazione. Fonte: Hirose 1995: 121

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Figura 6: Rappresentazione schematica delle diverse posizioni assunte dalla glottide in (a) inspirazione; (b) voce modale; (c) voce mormorata; (d) voce criccata. Fonte: Clark – Yallop 1995: 192.

La diversa distribuzione della tensione nelle fasce muscolari comprese nella laringe consente di distinguere tra diverse qualità della voce dal meccanismo laringeo. Tra queste ricordiamo: la voce modale, ovvero il tipo neutro di fonazione, risultato di una media tensione e compressione della glottide: le pliche vocali vibrano in modo periodico (il ciclo di apertura e chiusura è relativamente regolare nel tempo); la voce mormorata, determinata da un’apertura triangolare della glottide nella sua parte cartilaginea: come effetto una parte delle pliche vocali è in vibrazione periodica, una parte è invece aperta e lascia passare l’aria con un certo rumore di frizione; nella voce criccata (ingl. creaky voice) invece la distribuzione della tensione muscolare determina ispessimento e compressione delle pliche vocali che, malgrado siano interamente accostate tra loro, entrano in vibrazione solo nella parte meno rigida, compiendo cicli lenti e fortemente irregolari nel tempo.

- faringe: segmento del tratto vocale che si trova immediatamente al di sopra della laringe. La faringe ha un volume interno estremamente variabile dal momento che la sua parete anteriore coincide per un lungo tratto con la radice della lingua (vd. più in basso). Quando quest’ultima è spinta in avanti la faringe si dilata; quando al contrario è spinta indietro il volume interno della faringe si riduce notevolmente.

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- lingua: organo di grande mobilità situato all’interno del tratto vocale. Nella lingua si

distinguono una radice, ovvero la parte posteriore collocata in direzione della faringe, il dorso (la sua parte centrale) e la corona, la parte anteriore mobile; la regione della corona comprende a sua volta l’apice (l’estremità anteriore) e la lamina, ovvero la superficie superiore anteriore. La lingua può essere spostata lungo numerosi assi, e assumere forma e volume fortemente variabili.

Figura 7: Nomenclatura delle parti della lingua.

- velo palatino: organo che pende dal palato duro e che divide la parte superiore della faringe dalla cavità orale. Il velo palatino può essere mosso volontariamente: quando la sua muscolatura è rilassata il velo è in posizione quasi verticale e le cavità orale, nasale e faringale sono in contatto tra loro. Se invece la muscolatura del velo entra in tensione, questo si solleva e aderisce alla parete posteriore della faringe, isolando la cavità nasale dal resto del tratto vocale.

- ugola: piccolo organo, visibile nella forma di un rigonfiamento, che si trova all’estremità

inferiore del velo palatino. - palato duro: cupola superiore ossea, rivestita di mucosa, della cavità orale. - alveoli: rigonfiamento della parete della cavità orale, in corrispondenza del quale si

trovano le radici dei denti. In particolare faremo riferimento agli alveoli corrispondenti agli incisivi superiori.

- denti: considereremo in questa sede i soli denti coinvolti nell’articolazione linguistica: gli

incisivi. - labbra: possono assumere diverse posizioni, molte delle quali utilizzate per distinguere tra

loro suoni del linguaggio. In questa sede terremo conto solo di alcune di queste: il loro accostamento o allontanamento; il loro essere arrotondate (ovvero con gli angoli della bocca avvicinati tra loro), o al contrario distese (con gli angoli della bocca spinti verso l’esterno).

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- cavità nasali: coppia di cavità collocate al di sopra della cavità orale, all’interno delle quali può essere lasciata passare l’aria espirata o ispirata mediante l’abbassamento del velo palatino.

3. Fonetica, trascrizione, traslitterazione Nelle pagine che seguono classificheremo una porzione significativa dei suoni in uso nelle diverse lingue del mondo, e indicheremo ciascuno di questi mediante un particolare segno grafico tratto dal maggiore alfabeto in uso per la trascrizione fonetica: l’alfabeto fonetico internazionale, noto anche come IPA (sigla dell’espressione inglese International Phonetic Alphabet).

Già dalla fine del Settecento William Jones aveva chiaramente avvertito l’esigenza di un alfabeto interpretabile in modo esclusivamente fonetico, mediante il quale si potessero trascrivere le lingue orientali, che per lo più sono scritte con sistemi diversi da quello latino. Tale proposito trovò applicazione solo nel secolo successivo, quando furono coniati numerosi sistemi volti alla trascrizione fonetica. Tra questi l’IPA è quello maggiormente in uso e più diffuso internazionalmente.

L’IPA è stato usato per la prima volta nel 1888 con il preciso scopo di trascrivere foneticamente porzioni di parlato di una qualsiasi lingua, indipendentemente dalla scrittura e dall’ortografia eventualmente usata nei diversi sistemi linguistici. A questo fine propone un inventario di elementi grafici e segni diacritici con un’interpretazione il più possibile univoca da un punto di vista articolatorio. Un’associazione internazionale che riunisce alcuni tra i maggiori studiosi di fonetica (l’Associazione internazionale di fonetica – International Phonetics Association) si occupa di rivedere periodicamente l’IPA integrandolo dei nuovi suoni eventualmente individuati in lingue precedentemente non conosciute, e di modificare la terminologia e l’inventario degli elementi grafici accogliendo le acquisizioni più recenti della teoria fonetica. La versione dell’alfabeto attualmente in uso è stata pubblicata nel 1993 e ulteriormente rivista nel 1996.

Mediante l’IPA è possibile operare una trascrizione fonetica, ovvero una rappresentazione scritta delle caratteristiche fonetiche di una determinata espressione linguistica orale. Tra gli usi della trascrizione fonetica citiamo:

- la rappresentazione della pronuncia di singole parole in dizionari; - la raccolta o trascrizione di parlato in ricerche sul terreno; - la base per la scrittura di varietà che non hanno un uso scritto, comprese le varietà

substandard di lingue anche scritte (come i dialetti locali o i registri meno sorvegliati) che in genere hanno un uso prevalentemente orale;

- l’indicazione di valori fonetici in ricerche di acustica o in altri settori della fonetica sperimentale.

E’ importante rimarcare il fatto che una trascrizione in IPA non è una descrizione oggettiva

dell’espressione linguistica «così come questa è veramente». Innanzi tutto con il medesimo alfabeto fonetico possiamo realizzare trascrizioni con un diverso livello di dettaglio: in quella che è generalmente indicata come «trascrizione fonetica larga» si indicano soltanto le particolarità fonetiche più rilevanti, mentre un uso progressivamente più dettagliato dei segni diacritici consente trascrizioni sempre più «strette», ovvero in grado di cogliere anche le proprietà fonetiche più particolari di un determinato atto di parole. Ma questo non basta: mediante l’IPA è realizzata infatti comunque un’interpretazione del dato fonetico, che segue una precisa teoria della produzione linguistica periodicamente aggiornata. Ciò che è importante è quindi il carattere esplicito della teoria a cui l’alfabeto fonetico fa riferimento e il valore costante delle singole espressioni grafiche rispetto a questa. Citiamo solo il fatto che accanto all’IPA sono in uso anche altri sistemi di trascrizione fonetica, che hanno per lo più un campo di applicazione limitato a singole tradizioni linguistiche. Ad esempio un diverso sistema è talvolta usato dai linguisti romanzi (gli studiosi che si occupano delle lingue e dei dialetti originatesi dal latino), così come gli studiosi di lingue ugro-finniche (ungherese, finnico ed estone) ricorrono ad alfabeti fonetici particolari.

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Il processo di trascrizione non va confuso con una diversa operazione che prende il nome di traslitterazione. Con questo termine si intende la resa in un sistema grafico prescelto di un’espressione linguistica originariamente scritta in un altro sistema grafico tradizionale: per esempio la scrittura mediante l’alfabeto latino di parole arabe, o in alfabeto cirillico di parole cinesi. La traslitterazione si basa su convenzioni che tengono conto non tanto del valore fonetico dei singoli elementi grafici, ma piuttosto si fondano su una corrispondenza il più possibile rigida che associ una determinata unità grafica di un sistema, con una o più unità di un diverso sistema.

I criteri di traslitterazione sono regolati da convezioni stabilite internazionalmente da agenzie apposite. In particolare numerosissimi sforzi per uniformare le convenzioni di traslitterazione sono stati compiuti dall’ONU e dall’ISO (International Organization for Standardization).

4. Il vocalismo Espressioni tecniche

- vocali alte - vocali medio-alte - vocali medio-basse - vocali basse - vocali anteriori - vocali centrali - vocali posteriori - vocali arrotondate - vocali non arrotondate - vocali nasali - vocali orali

La prima distinzione operata dalla fonetica è quella tra foni vocalici e foni consonantici: i secondi si distinguono dai primi in quanto sono realizzati mediante un diaframma nel tratto vocale. Le vocali (almeno queele che qui esaminiamo) presuppongono sempre l’azione del meccanismo laringeo (le pliche vocali sono in vibrazione) e si distinguono tra loro per la posizione che i diversi organi del tratto vocale assumono durante la loro produzione. Sono classificate sulla base di quattro coefficienti:

1) anteriorità-posteriorità : questo parametro è determinato, in una rappresentazione molto schematica, dalla posizione avanzata, centrale o arretrata del dorso della lingua: il mutamento di tale posizione causa una variazione nel volume della cavità orale che è minore nelle vocali anteriori e maggiore in quelle posteriori. Si distinguono quindi vocali anteriori, vocali centrali e vocali posteriori.

2) grado di altezza: ancora in modo molto schematico è possibile associare questo coefficiente alla posizione più o meno alta del dorso della lingua. Di grande rilevanza per il mutamento del grado di altezza è anche la posizione della radice della lingua che determina il volume della cavità faringale: questo è minore nelle vocali basse e maggiore nelle vocali alte. Per cui il rapporto tra il volume interno della cavità orale e quello della cavità faringale assume i valori maggiori nelle vocali basse. Si distinguono vocali alte, vocali medio-alte, vocali medio-basse e vocali basse.

3) labbra: posizione delle labbra durante la produzione della vocale che possono essere arrotondate (con gli angoli della bocca accostati tra loro; si determina così un prolungamento del tratto vocale), o non arrotondate: in posizione di riposo o in posizione distesa, con gli angoli della bocca spinti verso l’esterno. Si distinguono quindi vocali arrotondate e vocali non arrotondate.

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Figura 8: La posizione delle labbra nell'esecuzione delle vocali: (a) posizione distesa, (b) posizione neutra, (c) posizione di arrotondamento. Fonte: Clark – Yallop 1995.

4) nasalizzazione: il velo palatino, durante la produzione della vocale, può trovarsi in posizione alzata o abbassata (vd. § 2.2). Nel primo caso l’aria, prima di uscire all’esterno, passa esclusivamente nella cavità orale. Nel secondo invece il flusso dell’aria è diviso dal velo palatino: una parte passa per la cavità orale, e una parte fuoriesce passando per le cavità nasali, provocando un’alterazione del timbro della vocale. Si distinguono pertanto vocali orali e vocali nasali.

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Figura 9: Posizione del velo palatino nella produzione dei foni orali e dei foni nasali.

I diversi foni vocalici sono classificati dall’IPA mediante un trapezio: l’asse orizzontale rappresenta il coefficiente di anteriorità-posteriorità; l’asse verticale il parametro di altezza; in ogni posizione a sinistra sono indicate le vocale non arrotondate, a destra quelle arrotondate. Cominciamo con la distinzione tra dieci foni vocalici, tutti orali. Le trascrizioni fonetiche in IPA sono per convezione racchiuse tra parentesi quadre.1

1 Sulla parte bassa inseriamo una variazione rispetto al trapezio vocalico dell’IPA distinguendo tra tre diverse vocali: una anteriore, una centrale e una posteriore. Seguiamo in questo la soluzione indicata in Albano Leoni – Maturi 1998: 43.

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- [i] vocale alta, anteriore, non arrotondata: it. fili , vinti; ingl. beat ‘battere’; fr. lit ‘letto’;

- [u] vocale alta, posteriore, arrotondata: it. tu, lutto; ingl. shoe ‘scarpa’, pool ‘pozza, vasca’; fr. loup ‘lupo’;

- [e] vocale medio-alta, anteriore, non arrotondata: it. mele, venti ‘20’; ingl. bay ‘baia’; fr. les ‘i’;

- [o] vocale medio-alta, posteriore, arrotondata: it. voce, botte ‘contenitore per il vino’; fr. lot ‘premio’;

- [ɛ] vocale medio-bassa, anteriore, non arrotondata: it. festa, venti (plurale di vento); fr. lait ‘latte’;

- [ɔ] vocale medio-bassa, posteriore, arrotondata: it. lotto, coppa, botti (plurale di botto); ingl. britannico caught ‘preso’;

- [æ] vocale bassa, anteriore, non arrotondata: ingl. bad ‘cattivo’, black ‘nero’.

- [a] vocale bassa, centrale, non arrotondata: it. casa, latte; fr. patte ‘zampa’;

- [ɑ] vocale bassa, posteriore, non arrotondata: ing. father ‘padre’, last ‘ultimo’; fr. pâte ‘pasta’;

- [ə] vocale centrale (rispetto ai parametri di altezza e anteriorità-posteriorità; non arrotondata; detta anche schwa dall’ebraico): ingl. the ‘il’, fr. le ‘il’.

Un secondo gruppo di vocali si ottiene da quello già illustrato invertendo il parametro di arrotondamento; ricordiamo alcune di queste assieme ad altri suoni vocalici:

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- [y] vocale alta, anteriore, arrotondata: fr. lune ‘luna’, lu ‘letto’ (part. pass. di lire

‘leggere’); ted. Füße ‘piedi’, lügen ‘mentire’; - [ɪ] vocale alta, anteriore, non arrotondata, centralizzata: ingl. bit ‘pezzetto’, thin

‘sottile’; - [ʊ] vocale alta, posteriore, arrotondata, centralizzata: ingl. book ‘libro’; pull ‘tirare’;

- [ø] vocale medio-alta, anteriore, arrotondata: fr. peu ‘poco’; ted. lösen ‘risolvere’, Höhle ‘caverna’;

- [œ] vocale medio-bassa, anteriore, arrotondata: fr. peur ‘paura’; ted. können ‘potere’, Hölle ‘inferno’;

- [ʌ] vocale medio-bassa, posteriore, non arrotondata: ingl. cut ‘tagliare’;

- [ɒ] vocale bassa, posteriore, non arrotondata: ingl. britannico cot ‘culla’, bother ‘noia’.

Prendiamo da ultime in esame le vocali nasali, che si indicano in IPA mediante una tilde sovrapposta alla corrispondente vocale orale. Citiamo solo i foni presenti nel francese:

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- [��ï] vocale medio-bassa, anteriore, non arrotondata, nasale: fr. fin ‘fine’, brin

‘pezzetto’; - [œ�] vocale medio-bassa, anteriore, arrotondata, nasale: fr. un ‘uno, brun ‘bruno’; - [ïï] vocale medio-alta, posteriore, arrotondata, nasale: fr. mon ‘mio’, blond ‘biondo’; - [ï ï] vocale bassa, posteriore, non arrotondata, nasale: fr. dans ‘in’, blanc ‘bianco’;

5. Il consonantismo Espressioni tecniche:

- consonanti ostruenti - consonanti sonoranti - consonanti occlusive - consonanti fricative - consonanti affricate - consonanti nasali - consonanti vibranti - consonanti laterali - consonanti approssimanti - consonanti bilabiali - consonanti labiodentali - consonanti dentali - consonanti alveolari - consonanti postalveolari - consonanti retroflesse - consonanti palatali - consonanti velari - consonanti uvulari - consonanti faringali - consonanti glottidali - consonanti sorde - consonanti sonore - consonanti aspirate

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I foni consonantici sono caratterizzati dalla presenza di un diaframma nel cavo orale. La loro classificazione si basa su tre diversi coefficienti (operiamo in questa sede una selezione tra i foni classificati dall’IPA, concentrandoci su quelli presenti in italiano, inglese, francese, spagnolo e tedesco):

1) modo di articolazione: è legato al tipo di diaframma. Tradizionalmente si distinguono innanzi tutto due gruppi maggiori di consonanti: le ostruenti e le sonoranti. Nelle prime il diaframma ostruisce il flusso d’aria, e determina quindi un forte innalzamento della pressione in quella parte del tratto vocale che precede il diaframma. Le ostruenti si suddividono ulteriormente in occlusive (con il sottogruppo delle affricate) e fricative . Nelle sonoranti invece il diaframma non determina una differenza di pressione nel flusso dell’aria: esse possono ulteriormente essere suddivise in nasali, vibranti , laterali e approssimanti.

2) luogo di articolazione: classificato in base agli organi articolatori (vd. § 2.2). Si

distinguono quindi consonanti bilabiali , labio-dentali, dentali, alveolari, retroflesse, postalveolari, palatali, velari, uvulari , glottidali (trascuriamo di esemplificare in questa sede le faringali ).

Fig. 10. I luoghi di articolazione, adattato e semplificato da Ladefoged – Maddieson 1996: 13-14.

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I luoghi di articolazione LUOGO DI

ARTICOLAZIONE REGIONE

DIAFRAMMATICA ORGANO ARTICOLATORE ESEMPI DI

SIMBOLI IPA 1. bilabiale labiale labbro inferiore p b p b p b p b ɸ β mɸ β mɸ β mɸ β m 2. labiodentale dentale labbro inferiore pf f v pf f v pf f v pf f v ɱɱɱɱ 3. dentale dentale apice / lamina della lingua θ θ θ θ ð ð ð ð 4. alveolare alveolare apice della lingua t d t d t d t d ʦ ʣ s z n l rʦ ʣ s z n l rʦ ʣ s z n l rʦ ʣ s z n l r 5. postalveolare postalveolare apice / lamina della lingua ʧ ʤ ʃ ʒʧ ʤ ʃ ʒʧ ʤ ʃ ʒʧ ʤ ʃ ʒ 6. retroflesso postalveolare apice della lingua / superficie

inferiore della corona ʈ ɖ ɽʈ ɖ ɽʈ ɖ ɽʈ ɖ ɽ

7. palatale palatale dorso della lingua (o corona della lingua)

ç ç ç ç ɲɲɲɲ ʎʎʎʎ

8. velare velo palatino dorso della lingua k g x k g x k g x k g x γ ŋγ ŋγ ŋγ ŋ 9. uvulare uvulare dorso della lingua ʁ ʀʁ ʀʁ ʀʁ ʀ 10. faringale faringale radice della lingua 11. glottidale glottidale pliche vocali ʔʔʔʔ h

Come si può notare dalla tabella precedente, gli organi mobili responsabili delle distinzioni consonantiche sono fondamentalmente cinque: il labbro inferiore, la corona della lingua (ovvero la regione dell’apice, della lamina e della superficie inferiore), il dorso della lingua, la radice della lingua e le pliche vocali. Per questo è possibile schematizzare tutti i luoghi consonantici in cinque grandi classi. Queste sono (per il problema dell’organo articolatore delle palatali vd. più in basso):

classe organo articolatore luoghi di articolazione LABIALE labbro inferiore 1. bilabiale

2. labiodentale CORONALE corona della lingua 3. dentale

4. alveolare 5. postalveolare 6. retroflesso

DORSALE dorso della lingua 7. palatale 8. velare 9. ululare

RADICALE radice della lingua 10. faringale GLOTTIDALE glottide 11. glottidale

3) fonazione: le articolazioni consonantiche possono essere accompagnate o no dal

meccanismo laringeo. Le consonanti realizzate con la glottide in vibrazione sono dette sonore, quelle in cui la glottide è aperta sono dette sorde; se il meccanismo laringeo entra in funzione con ritardo dopo il rilascio di un diaframma consonantico, si ottiene una sorda aspirata (mentre con sonore aspirate si intendono delle sonore realizzata con voce mormorata). In realtà solo per le ostruenti troviamo, a parità di condizioni, opposizioni tra consonanti sorde e sonore, ed eventuali aspirate. Le sonoranti – almeno nelle lingue che qui stiamo prendendo in esame - sono sempre sonore e non aspirate.

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Occlusive: il diaframma impedisce all’aria di uscire dal tratto vocale. Al suo rilascio questa fuoriesce rapidamente. Uno sguardo di insieme al consonantismo occlusivo necessita di alcune precisazioni. Se si prende infatti in esame l’attività laringale contemporanea alla realizzazione e al rilascio del diaframma è possibile distinguere tra occlusive sonore, sorde e sorde aspirate: nelle prime, le sonore, è attivo il meccanismo laringeo con voce modale (mentre in presenza di fonazione con voce mormorata si hanno le sonore aspirate); nelle sorde il meccanismo laringeo è attivato con un breve ritardo dal momento del rilascio dell’occlusione; nelle sorde aspirate infine tale ritardo è notevolmente prolungato, e il flusso d’aria, passando attraverso la laringe dopo il rilascio del diaframma del tratto vocale, provoca una fricativa glottidale (aspirazione). Se si prende invece in esame la velocità con cui avviene la fase di rilascio del diaframma è possibile distinguere tra occlusive momentanee (normalmente chiamate semplicemente occlusive senza altra precisazione), in cui il diaframma è rilasciato molto rapidamente e affricate (vd. oltre) in cui tale rilascio avviene più lentamente e si verifica quindi un rumore di turbolenza finale molto simile a quello prodotto da una fricativa (per cui rimandiamo immediatamente più in basso). Tale complesso di distinzioni può essere schematizzato nella tabella seguente, in cui si esemplifica dal luogo di articolazione alveolare:

SONORE SORDE SORDE ASPIRATE d dʱ t tʰ AFFRICATE ʣ ʣʱ ʦ ʦʰ

(voce modale)

SONORE ASPIRATE (voce mormorata)

bilabiali alveolari retroflesse velari glottidale

p b t d ʈ ɖ k ɡ ʔ

BILABIALI : il diaframma è realizzato mediante l’accostamento delle due labbra.

- [p] occlusiva bilabiale sorda: it. papà [paˈpa]; ingl. pie ‘torta’[paɪ]; fr. pis [pi]‘peggio’;

- [b] occlusiva bilabiale sonora: it. babbo [ˈbabbo]; ingl. buy [baɪ] ‘comprare’; fr. bal

[bal] ‘ballo’. ALVEOLARI: il diaframma è realizzato dall’incontro dell’apice della lingua con gli alveoli dentali. Le articolazioni alveolari hanno una tipologia di realizzazione piuttosto varia nel confronto tra le diverse lingue: in alcune (per esempio in italiano) sono realizzate più in basso, e con un coinvolgimento dei denti e della lamina della lingua; in altre (come l’inglese), sono più alte e più chiaramente apicali. Queste consonanti possono pertanto essere articolate in molte lingue (per esempio in italiano) in una regione più vicina a quella dentale. Manterremo quindi distinto il luogo di articolazione alveolare da quello dentale con riferimento alla chiara differenza che si presenta nelle fricative. Consideriamo invece convenzionalmente tutte le occlusive e le affricate realizzate dalla regione anteriore della lingua come alveolari.

- [t] occlusiva alveolare sorda: it. tempo [ ˈtɛmpo]; ingl. tie [taɪ] ‘legare’; fr. thé [te] ‘tè’;

- [d] occlusiva alveolare sonora: it. dado [ˈdado]; ingl. die [daɪ] ‘morire’; fr. dix [dis] ‘dieci’.

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RETROFLESSE: l’apice della lingua è spinto indietro, in modo che la superficie inferiore della parte anteriore della lingua aderisca alla regione postalveolare.

- [ɖ] occlusiva retroflessa sonora: sardo cuddu [ˈkuɖɖu] ‘quello’, caddu [ ˈkaɖɖu] ‘cavallo’.

VELARI: il diaframma è realizzato dall’incontro del dorso della lingua con il velo palatino.

- [k] occlusiva velare sorda: it. caro [ ˈka.ro], curo [ˈku.ro], china [ˈki.na]; ingl. key [kiː]

‘chiave’; fr. quand [kɒ̃] ‘quando’;

- [ɡ] occlusiva velare sonora: it. gamba [ˈɡam.ba]], guscio [ ˈɡuʃ.ʃo], ghermire [ɡerˈmire];

ingl. guy [ɡaɪ] ‘ragazzo’; fr. gant [ɡɒ̃] ‘guanto’. GLOTTIDALI : il diaframma è realizzato dalle due pliche vocali. La glottide è quindi impegnata nella realizzazione dell’occlusive e non può entrare in vibrazione.

- [ʔ] occlusiva glottidale (sorda): ted. Auge [ʔaʊɡə] ‘occhio’. In tedesco tutte le parole inizianti nell’ortografia con vocale, hanno in realtà in posizione iniziale un’occlusiva glottidale. In italiano tale consonante può trovarsi solo facoltativamente davanti a parola cominciante per vocale: è [ʔɛ].

Fricative: il diaframma ostacola l’uscita dell’aria creando una forte differenza di pressione

all’interno del tratto vocale. Per effetto dell’ostacolo l’aria fuoriesce creando attrito nel suo incontro con gli organi articolatori e provocando un rumore di frizione.

bilabiali labiodentali dentali alveolari postalveolari palatali velari uvulari glottidali

ɸ β f v θ ð s z ʃ ʒ ç x γ ʁ h

BILABIALI :

- [ɸ] fricativa bilabiale sorda: it. fiorentino capo [ˈkaɸo];

- [β] fricativa bilabiale sonora: sp. haber [aˈβer] ‘avere’.

LABIODENTALI : il diaframma è realizzato dall’incontro del labbro inferiore con gli incisivi superiori:

- [f] fricativa labiodentale sorda: it. fifa [ˈfifa]; ingl. few [fjuː] ‘pochi’; fr. fil [fil] ‘filo’;

- [v] fricativa labiodentale sonora: it. viva [ ˈviva]; ingl. view [vjuː] ‘vista’; fr. ville [vil] ‘città’.

DENTALI: il diaframma è realizzato dall’incontro della lamina della lingua (meno frequentemente l’apice) con gli incisivi superiori: l’apice della lingua è generalmente spinto in posizione interdentale:

- [θ] fricativa dentale sorda: ingl. thigh [θaɪ] ‘coscia’, think [θɪŋk] ‘pensare’; sp. hacer

[aˈθer] ‘fare’, cabeza [kaˈβeθa] ‘testa’;

- [ð] fricativa dentale sonora: ingl. (letterario) thy [ðaɪ] ‘tuo’, this [ðɪs]‘questo’, the [ðə]

art. det.; sp. lado [ˈlaðo].

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ALVEOLARI:

- [ï] fricativa alveolare sorda: it. sasso [ˈsasso], spesso [ˈspesso]; ingl. sight [saɪt] ‘vista’,

sigh [saɪ] ‘sospiro’; fr. si [si] ‘se’;

- [ï ] fricativa alveolare sonora: it. smettere [ˈzmettere], rosa [ˈrɔza]; ingl. zoo [zuː]; fr.

zone [zon] ‘zona’.

POSTALVEOLARI: il diaframma è realizzato dall’incontro dell’apice della lingua con una zona del palato molto avanzata, immediatamente retrostante agli alveoli dentali. Queste articolazioni possono anche dette palatali, in quanto si distinguono da queste ultime non tanto per il luogo del diaframma, quanto per la parte della lingua coinvolta nell’articolazione.

- [ʃ] fricativa postalveolare sorda: it. scena [ˈʃɛna], sci [ʃi]; ingl. shoe [ʃuː]‘scarpa’; fr.

chic [ʃik].

- [ʒ] fricativa postalveolare sonora: it. toscano e umbro ragione [raˈʒone]; ingl. vision

[ ˈvɪʒṇ] ‘vista’; fr. joue [ʒu] ‘guancia’. PALATALI : le modalità di realizzazione delle palatali sono piuttosto varie: non solo per l’ampiezza dell’area palatale, che consente quindi articolazioni più avanzate o più arretrate, ma anche, di conseguenza, per le diverse parti della lingua coinvolte, come organi mobili, nel determinare il diaframma consonantico; queste vanno dalla parte più arretrata della regione coronale a quella dorsale, molte volte con una combinazione tra le due. Per questo alcuni studiosi considerano le palatali come coronali, altri come dorsali, altri ancora come consonanti sia coronali sia dorsali. In questa sede, dovendo compiere una scelta, classifichiamo le palatali come dorsali (cfr. le osservazioni in questo senso sviluppate Ladefoged – Maddieson 1996: 31-33), ma si tenga conto di orientamenti diversi sulla questione:

- [ç] fricativa palatale sorda: ted. ich ‘io’. VELARI.

- [x] fricativa velare sorda: sp. hoja [ ˈoxa] ‘foglia, foglio’; ted. Buch [buːx] ‘libro’;

- [γ] fricativa velare sonora: sp. fuego [ ˈfweγo] ‘fuoco’.

UVULARI : il diaframma è realizzato dall’incontro del dorso della lingua con l’ugola.

- [ʁ] fricativa uvulare sonora: fr. riz [ʁi] ‘riso’; rose [ʁoz] ‘rosa’.

GLOTTIDALI : il diaframma è realizzato mediante l’accostamento delle due pliche vocali.

- [h] fricativa glottidale sorda: ingl. he [hiː] ‘egli’, high [haɪ] ‘alto’, who [huː] ‘chi’.

Affricate : il diaframma è realizzato in modo assolutamente analogo a quanto avviene nelle occlusive, e anzi possono essere considerate come un sottogruppo di queste: l'articolazione consonantica però, al suo rilascio, provoca un rumore di frizione analogo a quello che si verifica

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nelle fricative. Queste consonanti sono caratterizzate quindi da una fase occlusiva e da una fase fricativa: per queste sono indicate mediante due diversi simboli IPA, quello di un’occlusiva seguìto da quello di una fricativa.

labiodentale alveolari postalveolari

pf ʦ ʣ ʧ ʤ LABIODENTALE:

- [pf] affricata labiodentale sorda: ted. Pferd [ ˈpfɛʀt], ‘cavallo’, Apfel [ ˈapfəl] ‘mela’. ALVEOLARI:

- [ʦ] affricata aveolare sorda: it.forza [ˈfɔrʦa], pezzo [ˈpɛtʦo]; ted. Zahn [ʦan] ‘dente’;

- [ʣ] affricata alveolare sonora: it. zero [ ˈʣɛro], mezzo [ ˈmɛdʣo].

POSTALVEOLARI:

- [ʧ] affricata postalveolare sorda: it. ciao [ ˈʧao], città [ʧitˈta]; ingl. chief [ʧiːf] ‘principale’.

- [ʤ] affricata postalevolare sonora: it. gioco [ ˈʤɔko], giro [ˈʤiro]; ingl. juice [ʤuːs] ‘succo’.

Nasali: nelle consonanti nasali il diaframma situato nel tratto vocale è molto simile a quello

realizzato nelle occlusive. Durante l’articolazione di queste consonanti il velo palatino è però abbassato: pertanto il flusso dell’aria non è interrotto ma fuoriesce dalle cavità nasali.

bilabiale labiodentale alveolare retroflessa palatale velare

m ɱ n ɳ ɲ ŋ

- [m] nasale bilabiale: it. mamma [ˈmamma]; ing. me ‘me / mi’ [miː]; fr. mis [ï ï] ‘messo (part. pass.).

- [ï ] nasale labiodentale: it. invece [iɱˈveʧe], confetto [koɱˈfɛtto]; ingl. emphasis

[ ˈɛɱfəsɪs];

- [n] nasale alveolare: it. nano [ ˈnano]; ingl. knee [niː] ‘ginocchio’; fr. nid [ni] ‘nido’.

- [ɲ] nasale palatale: it. gnomo [ ˈɲɔmo], legno [ ˈleɲɲo]; fr. agneau [aˈɲo] ‘agnello’.

- [ŋ] nasale velare: it. tengo [ˈtɛŋgo], panca [ˈpaŋka]; ingl. hang [hæŋ] ‘appendere’.

Vibranti e monovibranti : sono realizzate mediante un diaframma intermittente, che quindi – a intervalli – permette la fuoriuscita del flusso dell’aria. Nelle monovibranti è presente un solo ciclo di chiusura e riapertura.

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alveolare retroflessa uvulare VIBRANTI r ʀ

MONOVIBRANTI ɾ ɽ

- [r] vibrante alveolare: it. raro [ ˈraro]; sp. perro [ ˈpero] ‘cane’;

- [ɾ] monovibrante alveolare: sp. pero [ˈpeɾo] ‘però’;

- [ɽ] monovibrante retroflessa: siciliano tortula [ˈtɔɽtula] ‘trottola’;

- [ʀ] vibrante uvulare: ted. rot [ʀoːt] ‘rosso’.

Approssimanti laterali o più semplicemente laterali : il diaframma è realizzato dalla lingua nella linea mediana (sagittale) della cavità orale. Il flusso dell’aria pertanto fuoriesce agevolmente dai della lingua.

alveolare palatale

l ʎ

- [l] laterale alveolare: it. lato [ ˈlato], palo [ ˈpalo]; ingl. leaf [liːf] ‘foglia’; fr. lit [li] ‘letto’ (nome).

- [ɫï] laterale alveolare velarizzata: si differenzia dalla precedente perché contemporaneamente all’articolazione alveolare il dorso della lingua si solleva verso il velo palatino, similmente a quanto avviene nell’articolazione di [ï ] (si ricorre pertanto al medesimo simbolo IPA a cui viene aggiunto un diacritico); tipicamente la cosiddetta l scura dell’inglese, che compare in fine di parola o davanti a consonante: ingl. feel

[fiːɫ] ‘sentire’; cult [kʌɫt] ‘culto’.

- [ʎ] laterale palatale: it. gli [ʎi], figlio [ˈfiʎʎo]; sp. llegar [ʎeˈγaɾ] ‘arrivare’.

Approssimanti: in queste consonanti non si realizza un vero e proprio diaframma; gli articolatori sono solo avvicinati tra loro e il flusso d’aria non ha alcun tipo di ostacolo. Foneticamente sono piuttosto simili ai suoni vocalici, ma occupano generalmente, rispetto a questi, una diversa posizione nella sillaba (sulla quale vd. §§ 6; 7.2). labiopalatale labiovelare palatale

ɥ w j

- [ɥ] approssimante labiopalatale: avvicinamento (e arrotondamento) delle due labbra e

del dorso della lingua al palato: fr. huit [ɥit] ‘otto’, it. colloquio [kolˈlɔkɥjo]

- [w] approssimante labiovelare: contemporaneo avvicinamento (e arrotondamento)

delle labbra e del dorso della lingua al velo palatino: it. uovo [ˈwɔvo], fuori [ ˈfwɔri];

ingl. weather [ˈweðə] ‘tempo (atmosferico)’; fr. oui [wi] ‘sì’.

- [j] approssimante palatale: it. ieri [ˈjɛri], fiamma [ˈfjamma]; ingl. yes [jɛs] ‘sì’; fr. yeux

[jø] ‘occhi’.

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6. I dittonghi Una delle distinzioni più controverse è quella tra iato e dittongo. Sotto il profilo strettamente fonetico uno iato è una successione di due vocali stabili, quale quella presente in una realizzazione in isolamento, lenta e sorvegliata delle parole italiane paura [paˈura], aereo [aˈɛreo], zio [ˈʦio], mio

[ ˈmio]. Con dittongo si intende invece un glissando tra due elementi in cui almeno uno dei due non

abbia una porzione stabile, come avviene nelle parole italiane fuori [ˈfwɔri], fiori [ˈfjori], azione

[atˈʦjone], noi [noj], mai [maj]. Nel confronto dei dati fonetici tratti dal parlato spontaneo però la distinzione tra iato e dittongo è assai più sfumata di quanto la definizione data lascerebbe supporre. Per cui avanzeremo alcune ulteriori precisazioni, e torneremo ancora sulla questione in sede di illustrazione della sillaba (§ 7.2).

Tra i due elementi coinvolti in un dittongo uno è sempre preminente sull’altro: presenta una maggiore durata, è articolato più distintamente e con una maggiore energia. Per cui una prima classificazione che si può avanzare si basa sulla posizione di tale elemento forte rispetto a quello debole: si definiscono ascendenti i dittonghi che presentano prima l’elemento più debole e poi quello più forte (cfr. tra gli esempi precedenti fuori, fiori , azione); sono definiti discendenti quelli che presentano l’ordine contrario, con l’elemento forte in prima posizione (it. noi, mai). In italiano sono possibili anche sequenze di tre elementi, che prendono tradizionalmente il nome di trittonghi , costituiti o da una sequenza di approssimante + vocale + approssimante, come in miei [mjɛj], tuoi

[twɔj], o da due approssimanti seguìte da una vocale, come in quiete, seguiamo; è da notare che in

questi ultimi la prima approssimante, per il contatto con [j], tende ad essere realizzata come

labiopalatale [ɥ]: [ ˈkɥjɛte], [seˈgɥjamo]. Come si può notare dagli esempi forniti, in italiano tutti i dittonghi sono rappresentabili

foneticamente mediante una sequenza costituita da una vocale e da un’approssimante: nei dittonghi ascendenti si allora avrà l’ordine approssimante più vocale, mentre nei dittonghi discendenti avremo al contrario la vocale seguìta dall’approssimante; nei trittonghi si avrà la successione approssimante + vocale + approssimante, o approssimante + approssimante + vocale. Scelte diverse sono compiute nella rappresentazione della fonetica di altre lingue: per esempio in inglese, almeno nella tradizione britannica, i dittonghi ascendenti sono resi mediante una sequenza di approssimante più vocale, come in yes [jes] ‘sì’, new [njuː] ‘nuovo’, what [wɒt] ‘che cosa’, wheel [wiːl] ‘ruota’; al contrario i

dittonghi discendenti sono considerati bivocalici, per es. [ɔɪ] in boy [bɔɪ] ‘ragazzo’, point [pɔɪnt]

‘punto’; [aɪ] in my [maɪ] ‘mio’, five [faɪv] ‘cinque’. Come vedremo più avanti la ragione di queste scelte è da connettere con la posizione che si ritiene occupata dai dittonghi nella sillaba. 7. Caratteristiche prosodiche Espressioni tecniche:

- lunghezza - sillaba - nucleo sillabico - attacco sillabico - coda sillabica - sillaba aperta - sillaba chiusa - accento - intonazione - tono

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Una sequenza fonetica è stata finora rappresentata come una concatenazione di eventi discreti:

una serie di segmenti, ciascuno caratterizzato da un certo numero di coefficienti articolatòri. In questo modo si ottiene una rappresentazione della sostanza dell’espressione che assomiglia – non casualmente – a una serie di caratteri a stampa allineati sul rigo di scrittura, o a una serie di perle infilate assieme per formare una collana. Questa descrizione è detta segmentale e può essere considerata come un’approssimazione a fini pratici. Gli eventi articolatòri associati a ogni segmento non sono infatti tra loro sincroni. Mentre l’apparato produttivo esegue un determinato segmento, già si prepara alla realizzazione di quello seguente, che contemporaneamente risulta fortemente influenzato dalla posizione assunta dagli organi del tratto vocale durante l’articolazione di quello precedente.

Alcune proprietà della fonetica linguistica non possono però essere descritte, nemmeno in una finzione approssimativa, come simultanee. Queste prendono il nome di caratteristiche prosodiche (soprattutto nella tradizione inglese e più generalmente europea), o sovrasegmentali (nella linguistica americana). La loro descrizione richiede necessariamente il ricorso alla variabile del tempo. Descriviamo nelle righe seguenti solo alcune tra queste.

7.1. Lunghezza dei segmenti I segmenti hanno una durata nel tempo fortemente variabile. Per dare dei valori solo indicativi, si può dire che questa è compresa in genere tra i 20 e i 500 millisecondi. Tale variabilità è dovuta in gran parte a fattori extralinguistici, dipendenti dalla velocità di eloquio scelta dal parlante. Se si parla più velocemente i segmenti durano meno; al contrario in un parlato lento i segmenti avranno durata maggiore. Alcune differenze di durata possono però svolgere un valore linguistico, e solo in questo caso devono essere rappresentate nella trascrizione fonetica.

L’IPA prevede la possibilità di indicare cinque livelli di lunghezza: [ĕ] [e] [eˑ] [eː] [eːː] strabreve breve medio-lungo lungo stralungo

Di fatto però le lingue, salvo casi eccezionali, distinguono solo tra due diversi gradi di durata: tra segmenti brevi e segmenti lunghi. Nella prassi degli studi linguistici esistono quindi diverse convenzioni per rappresentare tale differenza tra grado breve e grado lungo:

vocali consonanti breve lungo breve lungo

1) [a], [ă] [ā]

2) [a] [aa] [p] [pp]

3) [a] [aː] [p] [pː]

La prima convenzione è quella adottata, in genere per i soli suoni vocalici, dalla filologia classica e dalla linguistica storico-comparativa: il suono breve non porta ulteriori indicazioni, oppure è sormontato da una linea ricurva con le estremità rivolte verso l’alto; il suono lungo è sormontato da una linea dritta orizzontale. Nel secondo sistema convenzionale il suono lungo – sia questo una vocale o una consonante – è indicato mediante il raddoppiamento del simbolo IPA: tale notazione non va interpretata quindi come una doppia esecuzione di un determinato segmento ([pp]

non vuol dire che ci sono due suoni [p] immediatamente uno dopo l’altro, ma un’occlusiva bilabiale sorda di grado lungo). Infine nel terzo tipo di notazione il grado lungo è indicato mediante due

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puntini. Nelle pagine seguenti ricorreremo a un sistema misto, piuttosto diffuso nella trascrizione fonetica dell’italiano e di altre lingue: per i suoni vocalici utilizzeremo il criterio (3), mentre per quelli consonantici si ricorrerà al criterio (2).

vocali consonanti breve lungo breve lungo [a] [aː] [p] [pp] Nelle consonanti affricate il grado lungo è segnato solo per la componente occlusiva, che è

quella che effettivamente viene prolungata nel tempo rispetto al grado breve: breve lungo [ʦ] [ tʦ]

[d] [dʤ]

7.2. Sillaba La sillaba rappresenta l’unità fonetica minima che il nostro organismo è in grado di produrre e di percepire. Ogni sillaba è caratterizzata dalla presenza di un picco di sonorità, ovvero di un elemento che ha un volume maggiore rispetto agli altri e su cui pertanto questi ultimi si appoggiano. Tale picco di sonorità è detto nucleo della sillaba, che può essere preceduto e seguìto da eventuali elementi marginali. Il margine che precede il nucleo è detto attacco sillabico, mentre quello situato dopo il nucleo prende il nome di coda sillabica. Sono dette chiuse (o implicate) le sillabe che presentano una coda, mentre quelle prive di coda si definiscono sillabe aperte (o libere):

ess. di sillabe italiane aperte: [ta] in tavolo [ˈta.vo.lo]; [spɛ] in spero [ˈspɛ.ro], [skri] in scrive

[ ˈskri.ve], [u] in umano [uˈma.no];

ess. di sillabe italiane chiuse: [per] in perdiamo [perˈdja.mo], [trat] in tratto [ˈtrat.to], [strin]

in stringere [ˈstrin.ʤe.re], [en] in entrare [enˈtra.re].

In IPA il confine sillabico si indica mediante un punto in basso; davanti alle sillabe toniche, per la presenza dell’apice indicante l’accento (vd. più in basso § 7.3) il punto può essere omesso; ess.

catalogo [kaˈta.lo.ɡo]

fatto [ˈfat.to]

argomento [ar.ɡoˈmen.to]

conteggio [konˈted.ʤo]

L’unico elemento foneticamente necessario è il nucleo della sillaba, che può essere prodotto e percepito anche in isolamento. Il nucleo sillabico può essere occupato da un qualsiasi fono che abbia una sufficiente sonorità: quindi innanzi tutto da vocali, ma anche da sonoranti e in condizioni eccezionali anche da fricative. Le occlusive non possono mai trovarsi nel nucleo della sillaba, e pertanto non possono essere né prodotte, né percepite isolatamente (se non sono cioè precedute o seguìte da un nucleo sillabico, rispetto al quale vanno a occupare la posizione o di attacco o di coda).

Quando una consonante occupa il nucleo della sillaba questa posizione è segnata in IPA da un particolare elemento diacritico costituito da un trattino verticale sottoscritto:

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ess. di sillabe inglesi con nucleo consonantico: [tḷ] (in little [ ˈlɪ.tḷ] ‘piccolo’), [ðṃ] (in rhythm

[ ˈrɪ.ðṃ] ‘ritmo’), [ tṇ] (in button [ˈbʌ.tṇ] ‘bottone’). Le approssimanti sono caratterizzate dall’impossibilità di occupare da sole il nucleo sillabico:

devono quindi essere collocate in uno dei due margini della sillaba in posizione immediatamente adiacente al nucleo. Molto spesso la decisione sul carattere vocalico o consonantico di alcuni segmenti è presa in base a considerazioni legate alla loro posizione nella sillaba: per tornare a una distinzione esaminata più in alto (§ 6), in italiano rappresentiamo i dittonghi sempre mediante una vocale e un’approssimante, o viceversa, dal momento che, almeno sotto il profilo strettamente fonetico, l’elemento debole del dittongo occupa il margine sillabico. In inglese i dittonghi ascendenti e quelli discendenti mostrano proprietà diverse. Si consideri che questa lingua distingue tra vocali brevi e vocali lunghe; nei dittonghi ascendenti l’elemento debole è chiaramente collocato nel margine sillabico, come una qualsiasi consonante, e può essere seguìto sia da un nucleo occupato da una vocale breve, sia da uno con vocale lunga, come si può vedere in will [wɪl]

‘volontà’, wheel [wiːl] ‘ruota’. Al contrario nei dittonghi discendenti l’elemento debole è sempre

preceduto da una vocale breve (ad es. in [aʊ], [aɪ], [ɔɪ], [əʊ]), e tutto lascia supporre che tali dittonghi abbiano nella sillaba le medesime collocazioni normalmente occupate dalle vocali lunghe (come [iː], [ɑː], [ɔː], [uː]), a cui sarebbero quindi prosodicamente equivalenti.

Possiamo a questo punto avanzare ulteriori considerazioni in merito alla distinzione tra iato e dittongo: uno iato infatti comporta sempre vocali collocate in sillabe diverse, mentre un dittongo è sempre tautosillabico (è posto cioè all’interno di un’unica sillaba). La scansione sillabica degli esempi italiani presentati più in alto (al § 6) è quindi la seguente, con i casi di iato indicati nella colonna (a) e quelli di dittongo nella colonna (b):

(a) paura [paˈu.ra] (b) fuori [ˈfwɔ.ri]

aereo [aˈɛ.re.o] fiori [ˈfjo.ri]

zio [ˈʦi.o] azione [atˈʦjo.ne]

mio [ˈmi.o] noi [noj]

mai [maj]

7.3. Accento Data una parola composta di più sillabe, si intende con accento la maggiore prominenza di una di queste sulle altre. Tale prominenza può essere ottenuta mediante l’interazione di numerose proprietà fonetiche; tra queste citiamo il ruolo svolto dal volume, dall’altezza (l’essere più acuto o più grave) e dalla durata del nucleo sillabico tonico rispetto ai nuclei atoni. Questi parametri sono ulteriormente specificati dai singoli sistemi linguistici: ad esempio in una lingua come l’inglese i nuclei delle sillabe toniche sono maggiormente caratterizzati dalla loro altezza, si distinguono cioè da quelli atoni perché collocate su un tono più acuto o più grave rispetto a queste. In italiano è soprattutto la maggiore lunghezza a differenziare i nuclei delle sillabe accentate rispetto a quelli delle atone.

Le diverse lingue si distinguono anche per le loro regole di assegnazione dell’accento all’interno della parola. Per citare solo i sistemi più semplici, ricorriamo alla distinzione tradizionale tra lingue ad accento libero e lingue ad accento fisso. Le ultime accentano sempre una determinata sillaba della parola: ad esempio collocano l’accbento sempre sull’ultima sillaba (il persiano moderno, il turco e in parte il francese), o sulla penultima (il polacco), o sulla prima sillaba (il ceco, lingua nazionale della Repubblica Ceca). Nelle lingue ad accento libero sono consentite invece maggiori possibilità, comunque disciplinate da regole.

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Ad esempio l’italiano è una lingua ad accento libero: la sillaba tonica è una delle ultime tre della parola: si possono quindi avere parole accentate sull’ultima sillaba (dette anche ossitone o tronche) come città, parlò; parole accentate sulla penultima sillaba (parossitone o piane), ad es. casa, giochetto; infine parole con l’accento sulla terzultima sillaba (proparossitone o sdrucciole): piccolo, contabile. Una maggiore ritrazione dell’accento si può avere solo in due casi: alcune voci di terza persona plurale di verbi che alla prima persona dell’indicativo presente hanno l’accento sulla terzultima: ad es. scivolare, nell’ind. pres. 1 pers. sing. è proparossitono (scivolo), e alla 3 pers. plur. presenta una voce con accento sulla quartultima sillaba (detta bisdrucciola): scivolano. La seconda eccezione è solo apparente, in quanto è costituita da parole seguite da pronomi atoni: in questo caso ciò che nell’ortografia è indicato come una parola unica, rappresenta in realtà una sequenza di più parole: ad es. consideralo, comunicamelo.

In IPA l’accento si indica mediante un apice alto posto prima della sillaba tonica. Ess.:

it. capito [kaˈpi.to], capitò [ka.piˈtɔ]

it. angelo [ ˈan.ʤe.lo], angelico [anˈʤɛ.li.ko]

it. cassetta [kasˈset.ta], cocciuto [kotˈʧu.to]

it. maestro [maˈɛs.tro], leone [leˈo.ne], paura [paˈu.ra].

7.4. Tono e intonazione Come si è visto nella descrizione del meccanismo laringeo, la glottide può variare fortemente la frequenza delle sue vibrazioni. In parte quindi l’altezza della voce, il suo essere più acuta o più grave, dipende da fattori extralinguistici, legati fondamentalmente alle caratteristiche fisiche e alle abitudini del parlante. Alcune variazioni hanno però un valore linguistico. Per il modo di utilizzare tale variazioni le lingue si dividono in due grandi tipi.

Nelle lingue tonali il dominio della variazione di altezza è costituito dalla sillaba o dalla parola; in questi sistemi i diversi toni hanno la capacità di distinguere tra diverse parole. Pertanto in queste lingue i toni sono prescritti dal lessico che prevede precise associazioni tra singole sillabe e toni, o tra sequenze di toni e parole o morfemi. I toni possono essere, ad esempio, alto, basso, medio, ascendente, discente, ecc. Così ad esempio nel cinese comune (la varietà detta anche cinese mandarino) è possibile distinguere tra:

[ma˥] ‘madre’ (con tono alto)

[maï] ‘ingiuriare’ (con tono discendente)

[maï] ‘lino’ (con tono ascendente)

[maï] ‘cavallo’ (con tono basso ascendente)

Le lingue tonali sono diffuse nell’Asia orientale, in Africa occidentale, in America (ovviamente tra le lingue amerindiane e non quelle europee di colonizzazione) e a Papua Nuova Guinea: attestano questo tipo, ad esempio, tutte le varietà di cinese, il vietnamita, il mende (una lingua della Sierra Leone).

Nelle lingue non tonali invece il dominio della variazione di altezza è costituito dalla frase: il movimento della frequenza di vibrazione della glottide determina una linea melodica, detta intonazione, che accompagna l’intera frase e fornisce informazioni grammaticalmente rilevanti. Innanzi tutto, come abbiamo già mostrato più in alto, l’intonazione contribuisce alla messa in evidenza delle sillabe accentate. Inoltre, soprattutto nella parte finale, segnala la cosiddetta modalità della frase (cioè il suo carattere imperativo, dichiarativo, interrogativo, ecc.). In una lingua come l’italiano, ad esempio, solo dall’intonazione possiamo distinguere se una frase del tipo:

Mario domani esce presto

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sia da interpretarsi come un’affermazione o come una domanda (Mario domani esce presto?). 7.5. Appendice: la durata segmentale in italiano In italiano – consideriamo qui la varietà standard - sia le consonanti sia le vocali presentano una variazione di durata.

Nei suoni consonantici è più facilmente distinguibile un grado breve e uno lungo; quando questi seguono immediatamente una pausa o una consonante hanno sempre il grado breve. Quando si trovano tra due vocali, o tra una vocale e un’approssimante (entrambi questi casi sono detti «posizione intervocalica») possono invece presentarsi al grado breve o al grado lungo:

es. fato [ˈfa.to], fatto [ˈfat.to]; tufo [ˈtu.fo], tuffo [ ˈtuf.fo].

Fanno eccezione a questa norma generale otto consonanti: cinque di queste generalizzano, nella

posizione intervocalica, il grado lungo; pertanto tra due vocali, o tra vocale e approssimante, non è attestato il grado breve, che invece, come per tutte le altre consonanti, è eventualmente attestato con regolarità dopo pausa o dopo consonante:

- la fricativa palatale sorda: es. pesce [ˈpeʃ.ʃe], lasciare [laʃˈʃa.re]

- l’affricata alveolare sorda: es. pazzo [ˈpat.ʦo], nazione [nat̍ʦjo.ne];

- l’affricata alveolare sonora: es. rozzo [ˈrod.ʣo], azoto [adˈʣɔ.to];

- la nasale palatale: es. ragno [ ˈraɲ.ɲo], cognome [koɲˈɲo.me];

- la laterale palatale: es. figlio [ˈfiʎ.ʎo], maglione [maʎˈʎo.ne].

Una consonante, la fricativa alveolare sonora, generalizza in tutte le posizioni il grado breve: pertanto non si può avere in italiano una sequenza *[ zz]. Anche le due approssimanti infine, [w] e

[j], almeno nella varietà standard dell’italiano ammettono solo realizzazioni brevi. La lunghezza vocalica è determinata interamente dalla posizione dell’accento e dalla struttura

sillabica. E' possibile distinguere tra un numero potenzialmente molto alto di gradi di lunghezza. In generale le vocali toniche sono più lunghe delle atone; tra le toniche inoltre quelle in sillaba chiusa o in posizione finale sono leggermente abbreviate; inoltre le toniche in penultima sillaba tendono a essere più lunghe rispetto a quelle di voci sdrucciole.

Se si vuole ridurre questo complesso di differenze a due soli gradi di lunghezza (che, come si mostrerà più avanti, non distinguono tra parole diverse) è possibile avanzare la seguente schematizzazione: tutte le vocali si presentano al grado breve tranne quando si verifichino contemporaneamente le tre seguenti condizioni:

1) la vocale si trova in sillaba tonica: es. casa [ˈkaː.sa] ma casetta [kaˈset.ta];

2) la vocale si trova in sillaba aperta: es. casa [ ˈkaː.sa] ma cassa [ ˈkas.sa] 3) la vocale non si trova in sillaba finale (le toniche finali di parola in italiano sono infatti

accorciate, come se si trovassero in sillaba chiusa): es. séguito [ˈseː.ɡwi.to], seguìto

[seˈɡwiː.to], seguitò [se.ɡwiˈtɔ].

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Fig. 11 : Carta completa dell’IPA in inglese. Fonte: International Phonetic Association, < http://www.arts.gla.ac.uk/ipa/ipa.html>