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1 Carlo Penco FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO DISPENSE 2000 FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO © carlo penco 1989-2000 In queste dispense si dà una rapida presentazione di quanto è essenziale per l’esame di filosofia del linguaggio: - la prima parte dà una presentazione sommaria dei principali paradigmi di filosofia del linguaggio, mostrando alcune connessioni tra i principali autori di riferimento. Dovrebbe contenere il minimo indispensabile per avere una panoramica delle tematiche della filosofia del linguaggio e addentrarsi negli argomenti in modo più approfondito. La conoscenza dei contenuti di questa parte è un prerequisito per l’esame. - le appendici danno basi elementari di logica e filosofia che sono spesso presupposti. L’esposizione e’ molto stringata e dovrebbe servire da riassunto per chi già conosce in modo generale la materia. Ma è anche utile ai principianti per avere un quadro d’insieme che approfondiranno in seguito. Alcune nozioni elementari devono comunque essere padroneggiate dall’inizio e sono segnalate con un asterisco nell’indice. Nelle dispense le argomentazioni sono spesso solo abbozzate, a volte solo richiamate senza essere sviluppate. Compito dello studente è riempire questi vuoti lavorando sui testi e su eventuali manuali indicati nelle note. Notizie ulteriori sul corso si trovano nelle pagine internet del Dipartimento/Epistemologia: http://www.lettere.unige.it/sif/strutture/  9/epi/index.htm

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Carlo Penco

FILOSOFIA DEL

LINGUAGGIO

DISPENSE

2000

FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO

© carlo penco 1989-2000

In queste dispense si dà una rapidapresentazione di quanto è essenziale perl’esame di filosofia del linguaggio:

- la prima parte dà una presentazionesommaria dei principali paradigmi difilosofia del linguaggio, mostrando alcuneconnessioni tra i principali autori diriferimento. Dovrebbe contenere il minimoindispensabile per avere una panoramicadelle tematiche della filosofia del linguaggioe addentrarsi negli argomenti in modo piùapprofondito. La conoscenza dei contenuti diquesta parte è un prerequisito per l’esame.

- le appendici danno basi elementari dilogica e fi losofia che sono spessopresupposti. L’esposizione e’ moltostringata e dovrebbe servire da riassuntoper chi già conosce in modo generale lamateria. Ma è anche utile ai principiantiper avere un quadro d’insieme che

approfondiranno in seguito. Alcune nozionielementari devono comunque esserepadroneggiate dall’inizio e sono segnalate conun asterisco nell’indice.

Nelle dispense le argomentazioni sonospesso solo abbozzate, a volte solorichiamate senza essere sviluppate. Compitodello studente è riempire questi vuotilavorando sui testi e su eventuali manualiindicati nelle note. Notizie ulteriori sulcorso si trovano nelle pagine internet del

Dipartimento/Epistemologia:http://www.lettere.unige.i t /si f /strutture/ 9/epi/index.htm

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INDICE

PARADIGMI

1. Frege: senso e riferimento

2. Wittgenstein-1 e Carnapcondizioni di verità e mondi possibili

3. Quine e Davidson:traduzione e interpretazione radicale

4. Austin e Grice: atti linguistici eimplicature conversazionali

5. Wittgenstein2 e Dummett: significato econdizioni di asseribilità

6. Mill, Kripke, PutnamTeorie del riferimento diretto

7. Chomsky e Fodor: La mente modulare

APPENDICI

Da Aristotele a Frege 1. Logica aristotelica e logica stoica

2. Frege: funzione e argomento.3. Principio di contestualità

Basi logiche elementari 1. Sistemi assiomatici: linguaggio e calcolo2* tavole di verità, tautologie3. Linguaggio4. calcolo (apparato deduttivo)5. Dimostrabilità (sintassi)

e Validità (semantica)6. principio di composizionalità7. nota su chomsky

Basi filosofiche elementari 1. Filosofia e Storia della Filosofia2. Storia della filosofia: logica e linguaggio3*. Distinzioni filosofiche rilevanti(ontologia, logica, epistemologia)4*. Il progetto neopositivista5. La critica di Quine e l'olismo6*. Sintassi, semantica, pragmatica7. Mondi possibili

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PARADIGMI

Quali sono principali paradigmiteorici che tengono banco nella discussionecontemporanea? E' utile avere un quadro deipardigmi in discussione oggi (quellicosiddetti "vincenti" senza escluderel'importanza di una serie di analisi dei"perdenti", se si vuole riprendere una

distinzione di Restaino1). A questi paradigmisi rifanno molte delle ricerche di questianni, a volte contestandoli, a volte

aggiornandoli, a volte proponendone di nuovi(come ad es. Brandom2, con una visione"pragmatica" che è difficile da collocarenelle correnti qui presentate). Propongo iseguenti3: Frege, 1° Wittgenstein, Quine,Austin, 2° Wittgenstein, Kripke. Comerisulta dall'indice all'inizio delle dispense,non ci si riferisce solo a singole figurefilosofiche, ma a nuclei problematici, atendenze e comunanze di impostazione tradiversi autori, che a volte vengono collocatisotto una etichetta comune: ad es."semantica

modelteorica" (Carnap e Montague),"pragmatica" (Austin e Grice), "teoria del

1 V. Restaino in Penco-Sarbia Alle Radici della filosofia analitica , Erga, Genova, in via di pub.Qui si trovano diverse discussioni sugli autoriche si situano alle origini della filosofia analiticae di gran parte della filosofia del linguaggio (daFrege a Husserl, Russell, Moore, Ryle,Wittgenstein, ecc.)2 Di cui è tradotto in italiano "verità easseribilità" in Bottani-Penco, Significato e teorie del linguaggio , Angeli, Milano.3 Seguo grossomodo la divisione del manuale acura di Santambrogio, Introduzione alla filosofia 

analitica del linguaggio , cui rimando permaggiori approfondimenti, e la divisione delsaggio di Diego Marconi "Filosofia delLinguaggio" nel I dei tre volumi della Utet La f i l o s o f i a   (a cura di Paolo Rossi) - Unadiscussione di tutta la filosofia del linguaggioche presenta un punto di vista "fregeano" è illibro di Eva Picardi, Analisi linguistica e filosofia , che rappresenta una delle sintesi piùefficaci del dibattito contemporaneo. Acarattere introduttivo si hanno i due lavori diPaolo Leonardi "Filosofia del linguaggio" inAAVV ......e Paolo Casalegno ....La Nuova Italia

riferimento diretto" (Kripke, Putnam eKaplan). Ci interessa qui che lo studentecerchi le d i f f e r e n z e   tra le diverseimpostazioni.

1. Frege:funzione e argomento,senso e riferimento

Senso e tono,

Tra i contributi principali di Fregealla filosofia del linguaggio vi è senz'altro ladefinizione del concetto di "senso". Ilconcetto di senso viene sviluppato in alcuni

ar t i co l i deg l i ann i '90 4 co m eapprofondimento del concetto generico di

"contenuto" o "contenuto concettuale".Il "senso" è per Frege quella parte

del linguaggio che è rilevante per la logica,cioè per il lavoro della deduzione. Ledistinzioni retoriche legate allo stile, allaimmaginazione, a quello che si può chiamare"tono" o "colore" della lingua non riguardanoil senso. In tal modo in "senso" è ciò che sipuò cogliere attraverso non solo diversetonalità della stessa lingua, ma attraversolingue differenti. Ad esempio:"un pula ha beccato il compare"

"il poliziotto ha colpito il lestofante""the policemen shoot the criminal"pur esprimendo diverse sfumatureconnotative, hanno tutte lo stesso senso, cioèda esse si possono derivare le stesseconclusioni (che il lestofante è stato ferito,che il poliziotto ha usato un'arma, che lapersona colpita è soggetta a essereincriminata, ecc.(e queste conclusioni sipossono esprimere in diverse lingue e indiversi slang). La logica è interessatadunque a quanto è comune a diverse lingue, aun "tesoro comune di pensieri" dell'umanità.

4 In particolare "Uber Sinn und Bedeutung",tradotto in italiano in Bonomi, La struttura logica del Linguaggio , Bompiani, Milano, 1973 ein Frege, Logica e aritmetica , Boringhieri,Torino, 1965.

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Senso e riferimento 

Parte del lavoro di Frege è costruireuniformemente il concetto teorico di sensoper ogni tipo di espressione linguistica. Il

suo esempio più famoso e ripetuto nasce dalproblema di come spiegare la differenza divalore cognitivo di asserti di identità deltipo:

(1) a=a(2) a=b

Chiunque accetta la verità di (1) che èanalitica e apriori, ma non tutti sonosempre disposti ad accettare la verità dienunciati della forma (2). Prendiamo ad

esempio:

La Stella del Mattino = la Stella della Sera5

Non basta dire che le due espressionisi riferiscono allo stesso oggetto, e chel'identità riguarda l'oggetto stesso (Venereidentica a se stessa), perché non sidistinguerebbe un tale asserto da unaqualsiasi applicazione del principio diidentità. Gli antichi babilonesi apportarononuova conoscenza quando fecero la scoperta

astronomica che la stella che si vedeva perultima al mattino e per prima la sera era lostesso pianeta.

Né basta dire che la differenzariguarda solo i nomi, le etichette diversedate allo stesso oggetto. Vale il discorsoprecedente del valore cognitivo che nonriguarda semplicemente la scelta arbitrariadi termini intercambiabili. In questo caso idue termini corrispondono a due diversimodi di presentare l'oggetto cui ci siriferisce. L'identità asserisce che ci siriferisce a uno stesso oggetto attraverso due

diversi modi di presentarlo. Frege chiamasenso appunto il "modo di presentazione" o"modo di essere dato" dell'oggetto.

5 (in tedescon sono due nomi propriMorgendstern e Abendstern ). In seguito Fregefece esempi usando i termini "Hesperus" e"Phosforus". Il punto è importante perchésolitamente si sono intese le due espressionicome descrizioni definite.

senso e riferiento di enunciati e predicati 

Frege d'ora in poi distinguerà sempresenso, o modo di presentazione dell'oggetto,

da riferimento, cioé l'oggetto stesso6 Conuna argomentazione che qui abbozziamo

solo7, Frege definisce come "pensiero" ilsenso di un enunciato e come "valore diverità" il suo riferimento. L'argomentoconsiste nell'uso del principio di sostituvitàdi Leibniz: se una parte verrà sostituita conun'altra coreferenziale, il riferimento deltutto non cambia. Sostituendo "stella delmatt ino" con "ste l la del la sera"nell'enunciato

"la stella della sera è un corpo illuminatodal sole"

il pensiero cambia; non cambia il valore diverità. Quindi il Valore di Verità sarà ilriferimento e il pensiero il senso. Cheaccadrà allora se in un enunciato vi sarannonomi privi di riferimento (come ad es"Ulisse")? L'enunciato esprimerà unpensiero, masarà privo di un valore diverità. Gli enunciati veri avranno tutti losteso riferimento, l'oggetto astratto il Vero,

e differenti sensi, differenti modi in cuiviene dato il Vero.

6 Occorrerebbe distinguere "riferimento" comerelazione  tra l'uso di una espressione e l'oggettoui ci si riferisce e "riferimento" come oggetto(o "referente", come speso si dice). Qui cilimitiamo a ricordare la distinzione e ciaffideremo all'elasticità mentale del lettore.7 E' importante ricordare che l'articolo in cuiFrege presenta la discussione degli asserti di

identità è fondamentalmente dedicato a definirein cosa consiste il senso e il riferimento deglienunciati e come il senso e riferimento delleparti di un enunciato concorre a determinare ilsenso e il riferimento del tutto (principio dicomposizionalità). Il problema principale è postodal discorso indiretto, dove, per salvare ilprincipio di composizionalità, Frege sostiene cheil riferimento di un enunciato indiretto (e dellesue parti) consiste nel suo senso ordinario.Questa teoria di Frege sarà sviluppata in mododiverso da Church e da Dummett, e criticata daCarnap e diversi altri autori.

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Questa visione antiintuitiva8. corrisponde aun modo di vedere la semanticaverofunzionale ideata da Frege nel suo lavorodi logico. Riassumendo, in una lettera aHusserl, Frege presenta il seguente schema:

enunciati nomi predicati

Senso pensiero modo di dareil riferimento

Rifer. Val. Verità oggetti concetti

Est. " " classi

Come si vede, vi è una asimmetriatra predicati e nomi (ed enunciati); per ipredicati occorre un passo in più perarrivare all'estensione (che per nomi eenunciati coincide con il riferimento). Fregegiustifica questo per l'importanza di potersiriferire alle ipotesi nella scienza, concetticioè che possono rivelarsi, con lo studioscientifico, privi di estensione (concettivuoti come "decimo pianeta del sistemasolare" che è peraltro un concetto bendefinito).

Terzo regno 

Negli ultimi anni Frege9 ritorna su questiconcetti e presenta una visione generale delpensiero e del linguaggio: alla struttura delpensiero corrisponde la struttura deglienunciati, sì che dall'analisi degli enunciatisi può capire la struttura dei pensieri. Ipensieri peraltro formano un campooggettivo, riconoscibile da tutti, e differentedalle immagini mentali (il regno dellopsichico) o dalle realtà empiriche (il regnodel fisico). I pensieri appartengono ad un

8 Quest argomento è stato criticato da autorirecenti, in particolare da Barwise-Perry chevedono in questa mossa la "perditadell'innocenza semantica" Di Barwise in italianovedi "scene a altre situazioni" in Bottani-Penco,cit..9 In particolare nel saggio "Il pensiero" (1918)contenuto in Frege, Scritti logici , ed. Guerini,Milano.

"terzo regno", il regno di ciò che é oggettivoe assoluto, e che gli umani possono"a ffer ra re " attraverso il linguaggio e conla mente: "comprendere" è un peculiareprocesso misterioso che mette in

connessione il mondo psichico con il mondooggettivo dei pensieri. Ma i pensieri nondipendono dal pensare degli uomini: sonooggettivi e indipendenti, veri anche se nonsono riconosciuti come tali. Questa visionecostituisce il più famoso esempio del"platonismo" fregeano. Ma vi è dell'altro: gliuomini possono solo "riconoscere" i pensiericome veri e asserirli nel linguaggio. Fregechiama "forza assertoria" il modo con cuinel linguaggio si asserisce la verità di unpensiero. E riconosce accanto ad essa la

"forza" della domanda, con cui di uno stessopensiero che potrebbe essere asserito, sichiede se sia o no vero. L'importanza data aquesto aspetto della "forza" con cui vengonoespressi i pensieri sarà ampiamentesviluppato nella filosofia del linguaggiosuccessiva.

Funzione e argomento 

Abbiamo visto nella prima partedelle dispense l'importanza della distinzionefunzione argomento per la organizzazione dellinguaggio della logica contemporanea, natacon Frege alla fine dell'800. (v. par. 8)Molto di quanto è stato originato da questadistinzione rimane come base indiscussadella logica, in particolare l'uso deipredicati a più posti come funzioni chehanno per valore un valore di verità e l'ideadei connettivi logici come funzioni di verità.La grandezza di Frege è stata quella didelineare con chiarezza questi passaggi inalcuni saggi di chiarezza esemplare (come"Funzione e Concetto" e di applicarli

rigorosamente in un formalismo logico.In sintesi estrema si può dire che

Frege estende alle espressioni linguistichela notazione funzionale: al posto del nomedella funzione andrà un termine concettuale;al posto di argomento un termine singolare;al posto del valore il nome di un Valore diVerità (Vero o Falso); il concetto divienequalcosa di analogo a una funzione, che ha

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come valori valori di verità; il concetto diuomo può essere visto ad es. come quellafunzione che dà come valore vero se al postodi argomento abbiamo uomini e Falsoaltrimenti:

uomo (x) = yuomo (Socrate) = Verouomo (Platone) = Verouomo (Zeus) = FalsoIl altri termini, quando i l termineconcettuale (predicato) è saturato, dà luogo

a un enunciato che sarà Vero o Falso10.

Frege dava alla distinzione non solo valorelogico, ma anche un valore ontologicofondamentale: tutte le entità cui ci siriferisce nel linguaggio sono divise in due

classi: oggetti e concetti, che sono,prendendo in prestito dalla chimica unametafora, entità sature e entità insature. Ele espressioni del linguaggio rispecchianoquesta duplicità, o sono sature (nomi eenunciati) o insature (predicati e funtori).

Il rigore di questa visione portò Frege aconsiderare gli enunciati, entità sature, allastregua dei nomi propri: gli enunciati sonosemplicemente nomi, nomi di valori diverità. Sono nomi che hanno per senso unpensiero e per riferimento un valore di

verità. A questa idea degli enunciati comenomi reagisce Wittgenstein che, puraccettando moltissime delle idee di Frege,insiste sulla peculiarità che distingue glienunciati dai nomi.

2. Wittgenstein-1 e Carnap

condizioni di verità e mondi possibili

Il Tractatus 

10Enunciati semplici internamente complessi

come “tutti gli uomini sono mortali” divengono

con Frege enunciati complessi internamente

semplici:

Vx (uomo (x) -> mortale (x))

(per tutti gli x, se x è un uomo, allora x è 

mortale) - vedi appendice su Frege e Aristotele.

Il Trac ta tus   di Wittgenstein è inparte una metafisica scritta sulla nuovalogica matematica nata con Frege e in parteuna critica ad alcune idee di Frege stesso. Illibro è solitamente considerato il primo

libro di filosofia del linguaggio in sensoproprio, cioè i primo libro di filosofiacontemporanea che non ponga al centro delsuo interesse la teoria della conoscenza(epistemologia), come accade invece neilibri di Russell. Di Frege Wittgenstein nonaccetta l'idea della distinzione fondamentaletra entità sature e insature, intese comeoggetti e concetti. Per Wittgensteinl'enunciato è composto di nomi (potremmoforse dire nomi di universali e diparticolari, mantenendo una distinzione

tradizionale) e i nomi sono tutti insaturi,perché solo unendosi ad altri possonocosti tuire un enunciato. Quindi lacont rapposiz ione fondamenta le d iWittgenstein è quella tra nome ed enunciato.La sua visione del linguaggio si trasforma inontologia; come deve essere il mondo se illinguaggio è essenzialmente un insieme dienunciati fatti da una concatenazione dinomi? Il mondo è l'insieme dei fatti, cioèdegli stati di cose sussistenti (checorrispondono agl i enunciat i veri).Wittgenstein specifica: insieme dei fatti, nondelle cose. Perché gli oggetti, che pure sonola sostanza del mondo, non formano ancoraun mondo. Un mondo è definito come tutto ciòche accade, quindi come l'insieme dei fatti.

Il Tractatus ha due componenti base:la teoria delle funzioni di verità e la teoriadell'immagine. La prima è in parte stataassorbita dalla storia della logica come suaparte propria; la seconda è il contributopeculiare di Wittgenstein alla filosofia: unenunciato è un'immagine della realtà,rappresenta uno stato di cose. Ogni immagine

ha qualcosa in comune con ciò che raffigura:la sua forma di raffigurazione. Come ogniimmagine ha in comune con la realtà laforma di raffigurazione (rappresenta certiaspetti della realtà: le forme, i colori, ladistanza, il tempo, ecc.) così l'enunciato hain comune con la realtà solo la forma piùastratta, la forma logica. La forma logicaviene però travestita nel linguaggio comune

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da accordi e convenzioni che impediscono dicoglierla con chiarezza; compito del logico edel filosofo è mostrare la forma logica dellinguaggio, e un esempio in questo senso ècostituito dal lavoro di Russell sulle

descrizioni definite (v. più oltre par.00).Non staremo qui a presentare i diversiaspetti per cui il Tractatus  è divenuto unclassico della filosofia contemporanea. Cilimitiamo a segnalare quanto la visionecontenuta in esso sia stata in parte ripresa esvi luppata nel la logica e f i losofiacontemporanea da Carnap e Montague.

Significato come condizioni di verità 

In Wittgenstein troviamo la prima

chiara esposizione dell'idea che il significatodi un enunciato consiste nelle sue condizionidi verità. Ciò è facilmente afferrabile conl'esempio delle tavole di verità:

pq p&q p→ q ecc.

1 VV V V2 VF F F3 FV F V4 FF F V

Nella prima colonna abbiamo lequattro possibilità di combinazione diVero/Falso degli enunciati "p" e "q".Possiamo chiamare queste quattropossibilità "situazioni possibili" o "mondipossibil i". I l significato (Wittgensteind i ceva , f regeanamente , "senso" )dell'enunciato p&q (o p→ q, ecc) è dato dallasua tavola di verità, o meglio "si mostra"nella sua tavola di verità. Cosa esprime latavola di verità? Esprime le condizioni allequali l'enunciato è vero. Ad es. p&q è vero a

condizione che siano veri sia p che q e falsoin tutti gli altri casi. Quando capisco questocapisco i l signif icato del l 'enunciato(potremmo dire anche l'uso che si fadell'enunciato nel nostro linguaggio).

Semantica modellistica: nota su Tarski 

Si definisce così un modello di semantica,incentrata sul concetto di significato comecondizioni di verità, che diviene unparadigma della logica e della filosofiacontemporanea. Carnap r iprenderà

questa visione da Frege e Wittgenstein, soloche la presenterà in modo leggermentediverso. Perché nel frattempo il lavoro dellogico Alfred Tarski ha colmato una lacunadella teoria semantica e ha definito le lineeessenziali di quella che viene chiamata"semantico" o "teoria dei modelli" nellatradizione logica contemporanea (e a volte siparla di "semantica modellistica" o "modeltheoretic semantics" per rifarsi allatradizione iniziata con Wittgenstein eTarski).

Wittgenstein aveva chiaramentedefinito le condizioni di verità per glienunciati composti. Ma come definire lecondizioni di verità per gli enunciatisemplici? Ci si appellava a intuizione e ideepiuttosto vaghe. Tarski, con la suadefinizione di verità per i linguaggiformal izzat i , r iuscì a dare unastrumentazione tecnica rigorosa al concettodi verità, dando la possibilità di definire conchiarezza le condizioni di verità per glienunciati semplici.

Tarski ha lasciato in eredità allasemantica successiva l'idea della funzione"interpretazione", una funzione che assegnaa una espressione un elemento o una classein un dominio di oggetti, definito secondo lateoria degli insiemi. La teoria degli insiemisi era consolidata come teoria riconosciutauniversalmente negli anni '30, specie per irisultati dati nella formalizzazione deifondamenti della matematica, come rispostaall'antinomia di Frege.La funzione interpretazione ( " I " )assegnerà come estensione a un termine

singolare un individuo, a un predicato unaclasse a un enunciato un valore di verità, esvolgerà un ruolo centrale nella definizionedi verità (e di condizioni di verità) data

dalla Convenzione T, o schema T11:

11(da Truth, oppure convenzione W da Warheito convenzione V da Verità)

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L'enunciato N è vero se e solo se E

Dove "N" sta per il nome di un enunciato dell inguaggio che si vuole analizzare(linguaggio oggetto), ed "E" sta per lo stesso

enunciato nel metal inguaggio dal lametateoria (il linguaggio comprendente, nelcaso di Tarski, la teoria degli insiemi e lafunzione "interpretazione" o "I")

La convenzione T, nella applicazioneche ne dà Tarski nella sua specifica teoriadella verità, darà enunciati della forma:

1) "A&B" è vero sse I(A)=V e I(B)=V2) "Pa" è vero se e solo se I(a) ∈ I(P)...

(1) corrisponde alle definizioni standard delsignificato come condizione di verità per glienunciati composti.(2) corrisponde a una definizione dellecondizioni di verità di enunciati semplici.Cioè "Pa" è vero se e solo sel'interpretazione del termine singolare "a"appartiene all'interpretazione del predicato

"P"12.La parte più difficile e originale di

Tarski fu quella di definire le condizioni diveri tà per le formule quanti f icate,

attraverso la nozione di soddisfacimento diun enunciato da una assegnazione di valorialle variabili. Ma un approfondimento diqueste idee tarskiane riguarda il corso dilogica, e qui ci limitiamo a questorapidissimo accenno.

Carnap non fa che aggiungere lapresenza di diversi mondi possibili, diversidomini di interpretazione. Non basta lafunzione interpretazione che assegna a ogniespressione l’estensione corrispondente;occorre associare a ogni espressione anchela funzione in tens ione  che assegna

estension i per ogn i domin io d iinterpretazione, cioè per ogni mondo

12ad es. se nella definizione di verità"a" designa 0"b" designa 1e"P" designa la proprietà di essere numeroallora il bicondizionale è vero.

possibile (come definito poco sopra più inesteso).

Carnap: Intensione ed estensione 

Carnap13 assume i mondi possibili diWittgenstein come un concetto primitivodella sua teoria e definisce il concetto di"intensione" di una qualsiasi espressione dellinguaggio come una funzione che, dato unmondo possibile, determina la estensione deiquella espressione.

Carnap riscrive in termini diintensione ed estensione parte di quello cheveniva prima dato in termini di senso eriferimento. Ogni espressione avrà unaintensione e una estensione.

- L'estensione di un termine singolare saràun individuo, e la sua intensione unafunzione da mondi possibili a individui (unconcetto individuale)- L'estensione di un predicato sarà unaclasse, e la sua intensione una funzione damondi possibili a classi (una proprietà)- L'estensione di un enunciato sarà unvalore di verità, e la sua intensione unafunzione da mondi possibili a valori di

verità (una "proposizione").14

Pur con diversa terminologia, si

mantiene l'idea ispiratrice di fondo: ilsignificato di un enunciato è dato dalle suecondizioni di verità, ovvero è una funzioneda mondi possibili a valori di verità.

Contesti estensionali e principio di Leibniz 

Definito così in modo nuovo un'ideachiave della semantica Carnap distinguecontesti estensionali e contesti intensionali.I contesti estensionali sono quelli diretti, incui vale il principio di sostitutività diLeibniz, già usato da Frege:

13 in Significato e Necessità, La Nuova Italia,Firenze.14 L'intensione di un enunciato può essere anchedata come un insieme di mondi possibili, quelli incui l'enunciato è vero. Ma la presentazione dellaintensione come funzione è, mi sembra, piùperspicua.

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due espressioni con la stessa estensione sono sostituibili, mantenendosi la verità del tutto 

ad es. Pa

a=b----Pb

(L'esempio classico è quello di Frege,sostituendo "P" con "è un corpo illuminatodal sole" e "a" e "b" rispettivamente con"Stella dil Mattino" e Stella della Sera").I contesti intensionali sono i contesti incui il principio di sostitutività non vale traespressioni con la stessa estensione, ma solotra espressioni con la stessa intensione. Adesempio:

Necessariamente 9 > 7il numero dei pianeti = 9-----------------Necessariamente il numero dei pianeti > 7

E’ un fatto contingente, e non necessario, cheil numero dei pianeti sia 9; quindil'inferenza non si può fare e nei contestimodali la sostitutività di espressionicoreferenziali ("9" e "il numero deipianeti") non si può fare. Quine troverà inquesti esempi motivi per abbandonare lalogica modale. Carnap invece restrinse ilprincipio di sostitutività nei contesti modaliportando così a studiare una formulazioneoriginale della logica modale (sui cuisviluppi vedi appendice III/7)

Modalità: Possibile e Necessario 

Wittgenstein aveva fatto notare cometautologia e contraddizione fossero vere efalse a prescindere dalle combinazioni diverità degli enunciati componenti. Carnap

sviluppa questa idea con l'idea di veritàlogica come verità in tutti i mondi possibili.E definisce così le nozioni logiche di"possibile" e "necessario" rispettivamentecome "vero in qualche mondo possibile" e"vero in tutti i mondi possibili". Inizia intal modo la formalizzazione della logicamodale (le modalità sono appunto il"possibile", "necessario", ecc.).

Contesti iperintensionali 

Carnap nota che alcuni contesti sono ancorapiù difficili da trattare che non i contesti

modali; è il caso dei vari contesti indirettiin cui cade non solo il principio disostitutività per espressioni coreferenziali(o equi-estensionali), ma anche il principiod i sos t i t u t i v i tà pe r esp ress ion iequiintensionali. Gli esempi standard sono icontesti doxastici (contesti di credenza) edepistemici (contesti di conoscenza).Un caso di mancanza di sostitutività diespressioni coreferenziali è banale, ed eragià stato espresso da Frege. Ad esempio nonsi può fare la seguente derivazione:

Edipo crede che Paa=b

-------------Edipo crede che Pb

Si pensi ad es. che "P" voglia dire "dasposare" e "a" sia = Giocasta, mentre "b" siauguale a "la madre di Edipo". Di certo Edipovoleva sposare Giocasta, ma non volevasposare sua madre!

Ma il problema si pone anche conespressioni con la stessa intensione, cioèvere negli stessi mondi possibili. Adesempio, non vale la seguente derivazione:

Pia sa che 2+2 = 42+2=4 <-> 3492* 57 = 199044-----Pia sa che 3492* 57 = 199044

In effetti le due formule matematiche sonovere in tutti i mondi possibili, quindi, amaggior ragione, sono hanno la stessa

intensione (se aver la stessa intensione èessere vero negli stessi mondi possibili).Ma non si può presumere che Pia conoscatutta la matematica, basandosi sul fatto chesa che 2+2=4! La logica intensionale ètroppo ptente, è “logicamente onnipotente”;non riesce dunque a rendere contopienamente delle limitazioni degli umani.Questo problema darà luogo a diverse

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ricerche di forme alternative di logica e adiversi tentativi di distinguere il concetto diequivalenza logica da forme più restrittivedi equivalenza; un esempio è la semanticasituazionale di Barwise e Perry; numerosi

tentativi sono stati fatti nell’ambito dellaintelligenza artificiale.

Dopo Carnap 

Dove Carnap aveva iniziato un

lavoro, Montague 15 portò a termine l'operacon una raffinatezza di tecnica che rimane atutt'oggi un paradigma di raffinatezza logica(cenni introduttivi e bibliografia relativa sipossono trovare in Marconi 1996).Montague, ha dato diverse formulazioni della

sua teoria; sviluppa in modo originalel’eredità di Tarski e Carnap attribuendo aciascuna categoria sintattica una intensionecorrispondente, definita non più come unafunzione solo da mondi possibili aestensioni, ma da mondi possibili e c o n t e s t i   (tempo, luogo, parlante) aestensioni. L’idea di inserire i contesti nellalogica modellistica è sviluppata ampliamentee in diversi modi, da David Lewis e da David

Kaplan16 . In tal modo è possibile trattareanche espressioni indicali, come “ora”,

“qui”, “io”, ecc. che variano a seconda deltempo, del luogo e del parlante.

La eredità di Tarski è condivisa, inmodo diverso, anche da Davidson, filosofoamericano che non ci ha dato alcunformalismo, ma solo discussioni su possibiliusi della teoria tarskiana della verità per ladefinizione di significato. Ma nel caso diDavidson occorre richiamare le idee di unaltro grande filosofo che ha condizionato lafilosofia del nostro secolo, cioè W.V.O. Quine.

15 La breve raccolta di scritti di Montague(formal philosophy, 1974) è molto difficile daleggere e presuppone una grande competenzalogica. Molte esposizioni divulgative, per lo piùin inglese, sono indicate in Bottani-Penco,cit.p.190, cui va aggiunto il contributo diChierchia nel volume di Santambrogio, citatoall'inizio delle dispense.16 Vedi Kaplan in Bottani-Penco e Lewis 1972.

3. Quine e Davidson:traduzione e interpretazione radicale

Dalla traduzione radicale alla interpretazione radicale 

Quine 17 propone un esperimentoideale, un caso di "traduzione radicale": unesploratore si trova in un mondo sconosciutoe vuole imparare la lingua dei nativi: da dovepartire? dalle emissioni verbali dei nativi;ma quali? Quelle che appaiono più semplici eche vengono emesse in concomitanza conqualche fenomeno percettivo evidente: adesempio al comparire di un coniglio il nativopronuncia "gavagai" e il traduttore traduce"coniglio". E conferma la sua teoria se, ogni

volta che compare un coniglio, il parlante dàil suo assenso18 all'emissione "gavagai". Maun altro traduttore potrebbe tradurre "partidi coniglio", "movimento di coniglio", ecc.interpretando in diversi modi l'ontologia deinativi19

La conclusione di Quine è che nonesiste "la" traduzione giusta: ogni traduttoreparte da un insieme di "ipotesi analitiche";diversi insiemi di ipotesi di traduzionepossono dare risultati diversi, tutticompatibili con la stessa evidenza empirica.

Detto in sintesi, ogni traduzione dipendedallo schema concettuale che si usa neltradurre. Due manuali di traduzione diversicorrispondono a due sistemi che possonoessere altrettanto buoni; una diversità neisingoli enunciati non vuol dire che unmanuale sia necessariamente sbagliato; è

1 7 Quine Parola e oggetto  (1960), I lSaggiatore, Milano, cap.218 Quine dà molta importanza all'assenso edissenso e al fatto che i parlanti tendano a direla verità - quest'ultima ipotesi è il cosiddetto"principio di carità"

19 negli anni '30 e '40, gli studi sulla linguadegli indiani hopi fatti dall'etnologo Whorf,allievo del linguista americano Sapir, avevanomostrato esempi di ontologie molto diversedalla nostra; ne nacque una posizione originaledi "relativismo linguistico", detta "ipotesiSapir-Whorf": il linguaggio plasma il pensiero, ediversi linguaggi costruiscono diversi sistemi diconcetti, diverse visioni del mondo. Il problemadi Quine è diverso: come possiamo tradurrequeste visioni del mondo?

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possibile che siano entrambi buoni nel loroinsieme. Queste idee hanno profondeconnessioni con altri aspetti della filosofia

di Quine20. Ma quello che qui ci interessa èl'esito dell'esperimento mentale propostoall'inizo, che abbiamo appena descritto e cheQuine chiama "tesi della indeterminatezzadella traduzione".

Quello che Quine vede per latraduzione, D a v i d s o n   lo vede per lainterpretazione di parlanti lo stessolinguaggio: le medesime emissioni verbali diun parlante possono essere interpretate inmodo differente da differenti ascoltatori; lainterpretazione dipende dalle diversecredenze che gli ascoltatori hanno. Non si dàuna univoca e assolutamente certa

interpretazione di una emissione linguistica.Vediamo qui di seguito che conseguenze haquesto parallelismo tra traduzione einterpretazione proposto da Davidson.

La teoria del significato 

Capire un linguaggio è qualcosa disimile a tradurre: occorre avere qualcosa dianalogo a una teoria della traduzione.

Davidson21 chiama questa teoria "teoriadella interpretazione" o "teoria del

significato". Un teoria dell'interpretazionedovrebbe infatti darti il significato degli

20Tra le più importanti conseguenze vi sono (1)Analogamente a due manuali di traduzione, dueteorie empiriche possono essere diverse, maempiricamente equivalenti; come abbiamo vistonon possono essere confrontabili frase perfrase; l'importante è che nel loro insieme sianocompatibili con l'evidenza empirica.(2) Il riferimento è una nozione intrateorica;non esiste il riferimento (cioè l'oggetto cui unaespressione si riferisce) senza una teoria. Inaltre parole Quine dirà che "essere è essere ilvalore di una variabile vincolata", cioè gli

oggetti sono i riferimenti delle variabiliammesse nel dominio di quantificazione delnostro linguaggio. Non si danno "oggetti" al difuori di un linguaggio che ne possa parlare.V. ad es. Quine, scritti degli anni '60 , Armando.

21 V. Davidson "Interpretazione radicale" in VD.Davidson, Verità e interpretazione , Il Mulino,Bologna, 1994. e, specie sul principi di carità,Davidson, "Una teoria coerentista della verità edella conoscenza", in Bottani-Penco,Significato e teorie del linguaggio , Angeli,Milano, 1991

enunciati di una lingua, compresi quelli della tua propria lingua . Ma quale formadare a questa teoria? La risposta di Davidsonè un richiamo alla tradizione classica dellasemantica logica, la teoria tarkiana della

verità.Mentre Tarski voleva dare una

definizione di verità, Davidson vuole dareuna definizione di significato, e quindiassume il concetto di verità come primitivo.La teoria del significato è una teoria chedovrebbe avere come conseguenza  tutti glienunciati del tipo:

"p" è vero sse p

ove il primo "p" è il nome dell'enunciato nel

linguaggio oggetto, e il secondo p èl'enunciato nel metalinguaggio.

In un certo senso è un altro modo didare la teoria classica del significato comecondizioni di verità2 2 : Metterebbe inevidenza, pr ima di tut to, comel'interpretazione degli enunciati complessidipende da quelli componenti (analogamentealle definizioni classiche del significato deiconnettivi:

"a&b" è vero sse a e b"

Davidson si sofferma su esempi ditraduzione da una lingua a un'altra, comeuno dei casi più semplici per capire il succodella sua proposta. In generale si può direche capisco il significato di un enunciato

2 2 A di f ferenza del le semant icheintensionali, la teoria del significato di Davidsonpropone una semantica meramente estensionale.Si potrebbe dire che è una teoria del significatosenza significati. Davidson, come Quine, critical'idea che a ciascuna espressione corrisponda

un'entità, il suo significato. Il suo può essereletto come un tentativo di proseguire il lavorodi Quine: fornire un "linguaggio canonico" per ifilosofi, il calcolo dei predicati del primo ordinecon identità, senza accettare quelle "straneentità" che sono i significati o le intensioni. Leintensioni sono necessarie, sostengono i seguacidi Carnap, per la spiegazione del discorsoindiretto e delle modalità. Sarà compito diDavidson sviluppare una teoria del discorsoindiretto che faccia a meno delle intensioni. Madi questo non parleremo qui.

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straniero come "Es regnet" se so a qualicondizioni l'enunciato è vero. E l'enunciato"Es regnet" è vero a condizione che piova.

E come faccio a sapere se ilbicondizionale che ho derivato dal mio

manuale di traduzione (di interpretazione) èvero? Basandomi, come già ricordava Quine,sull'assenso o dissenso dei parlanti: se essiassentono sempre a "Es regnet" quando lapiove, allora c'è una forte evidenza che ilsignificato di "Es regnet" sia "piove". Lateor ia de l s ign i f i ca to (o de l lainterpretazione) è così una teoria empirica.

Come per Quine vi era una"indeterminatezza della traduzione", cosìper Davidson vi è una "indeterminatezzadella interpretazione"; e come per le teorie

della traduzione di Quine, sarà semprepossibile costruire teorie del significatoalternative. Quine giustificava questoparlando di diversi possibil i schemiconcettuali tutti compatibili con la stessaevidenza empirica. Davidson, pur accettandola tesi del l ' indeterminatezza del latraduzione, rif iuta questo modo diinterpretarla. E' questa la sua più famosacritica a Quine.

I tre dogmi dell'empirismo 

Abbiamo visto che Quine aveva criticato duedogmi dell'empirismo:1) il riduzionismo2) la distinzione analitico/sinteticoMa nella sua discussione della traduzioneradicale Quine, con la sua visione dellinguaggio e delle teorie come un tutto i cuibordi toccano l'esperienza, aveva mantenutoche la diversità delle traduzioni possibiliera permessa dai diversi schemi concettualicon cui poteva essere inquadrato il datoempirico. Questo porta a esiti relativistici:

ciascuno schema concettuale è intraducibilein un altro; ciascuno può seguire il proprioschema e avrà le sue verità. Ma quandoWhorf ha voluto mostrare la diversità delloschema concettuale degli hopi ha usatol'inglese. Cosa resta dunque dello schemaconcettuale hopi? O è traducibile nellanostra lingua, o è intraducibile; se èintraducibile non ne possiamo parlare. Ma

ne parliamo. Sulla scia di osservazioni di

questo tipo Davidson23 argomenta che ladicotomia di schema concettuale-contenutoempirico è il "terzo dogma" che va buttato amare assieme alla distinzione anaitio-sintetico. Questa distinzione è una formaarticolare del terzo dogma; l'analitico infattidipende dal significato (dallo schemaconcettuale) e il sintetico dipende dallaesperienza (contenuto empirico). Serinunciamo davvero, come Quine propone,alla distinzione analitico-sintetico, alloradobbiamo rinunciare anche al dogma piùgenerale che la sostiene. che rimane anche inQuine, ed è proprio dell'empirismo.

Il dualismo tra sistema organizzatoree qualcosa che attende di essere organizzatonon serve a chiarire i problemi diinterpretazione radicale.

I n f a t t i l a d i f f i c o l t àdell'interpretazione sta nel fatto che, in casidi disaccordo, non sappiamo se il nostrointer locutore at t r ibuisce lo stessosignificato alle parole che usiamo anche noi,ma ha credenze diverse, oppure attribuisceun significato diverso alle parole. Ritenere

che ogni disaccordo riguardi il significato24

delle parole, vuol dire ricorrere allacentralità dell'idea di schema concettuale.Ma possiamo sempre spiegare la differenzadi interpretazione a una diversità dicredenze. E' una questione di scelta, e ilconcetto di schema concettuale deve esseresostituito dalla coppia significati-credenze.

23 "Sull'idea stessa di schema concettuale" inD. Davidson, Verità e interpretazione , Il Mulino,Bologna, 1994.2 4 Se il significato di ogni singola parola

dipendesse dalla totalità delle singole credenzedi un parlante, dalla sua specifica teoria delsignificato, come potremmo parlare con altri?come potremmo esprimere disaccordo suqualche concetto? Abbiamo bisogno di una basedi accordo per poter avere dei disaccordisignificativi; e questo non può che essere datodalla condivisione di un insieme di enunciati veridi una lingua (quelli che derivano dalla teoriadella verità o teoria del significato, cioè ib icond iz iona l i , ver i f ica t i su l la basedell'assenso) Davidson 1974, p.280-1, tr.it.

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4. Austin e Grice:atti linguistici eimplicature conversazionali

Negli anni '40 e '50 Oxford e

Cambridge rappresentavano il centro dellafilosofia nel mondo anglosassone; allaCambridge di Russell e Wittgenstein sicontrapponeva la Oxford della nuova modadel linguaggio ordinario, in gran parteinfluenzata dagli appunti del secondoWittgenstein che venivano passati di mano inmano o ciclostilati o riprodotti in copie dicarta carbone. In questo contesto si situa illavoro di John Austin, uno dei principalirappresentanti della cosiddetta filosofia dellinguaggio ordinario. Il linguaggio ordinario

per Austin era però solo l'inizio dellariflessione filosofica. Il filosofo dovevaintervenire per chiarificare, ordinare eclassificare gli usi del linguaggio. Nel 1955Austin viene invitato negli Stati Uniti, atenere le William James Lectures allaHarvard University: qui presenta e scrive lelezioni pubblicate postume con il titolo di

How to do things with words 25 . Il libro èdivenuto un piccolo classico della filosofiadel linguaggio, e punto di riferimento dimoltissimi autori (anche fuori dell'ambito

della filosofia analitica, come Habermas inTeoria dell'azione comunicativa ). Qui diamole linee generali del lavoro di Austin.

performativi e constativi 

Austin inizia con una contrapposizione da luielaborata negli anni precedenti tra enunciaticonstativi (o constatativi) e enunciatiperformativi: i primi si l imitano adescrivere i fatti, e possono essere veri ofalsi; i filosofi hanno spesso discusso comese il linguaggio fosse composto quasi

esclusivamente da enunciati constativi (unacri t ica impl ici ta al T r a c t a t u s   e aineopositivisti?); ma nel linguaggio comunetroviamo enunciati che fanno ben di più chedescrivere uno stato di cose: emettendoli noi

25 J.L. Austin, Come fare cose con le parole ,Marietti, Genova, 1987

eseguiamo certe azioni, con ben preciseconseguenze.

Esempi:- "battezzo questa nave 'Queen Mary'" dettomentre si lancia la bottiglia per i battesimo

della nave.- "accetto di prendere in sposa la sig.na y",detto di fronte al sindaco o al prete.- "dichiaro che le mie terre andranno tutteal primogenito" scritto in un testamentocontrofirmato da un notaio.- "è vietato fumare" scritto in un cartelloapposto nelle aule di lezione o in altri postianaloghi.

Austin definisce questi enunciati"enunciati performativi" perché con essi si

esegue (dal verbo "to perform") una certaazione: essi corrispondono a una esecuzione(una "performance").

Di questi tipi di enunciati è difficiledire siano veri o falsi; si dirà piùsemplicemente che sono "senza effetto" o"nulli" se emessi in circostanze nonappropriate. Non è sensato parlare di"condizioni di verità", ma più generalmente,suggerisce Austin, di "condizioni di felicità";questi atti vanno valutati non in quanto verio falsi, ma in quanto felici o infelici,corretti o scorretti rispetto a certeconvenzioni e intenzioni (se mi sposo difronte a un barista e non di fronte a un preteil matrimonio è nullo; se prometto senzaavere l'intenzione di mantenere però la miapromessa non è nulla; e dovrò risponderedella parola mancata. Però il mio atto è menopieno dell'atto della promessa detta conl'intenzione di adempierla.

atti linguistici 

Dopo aver presentato la sua prima,

grossolana, contrapposizione, Austinpropone una raffinamento Ogni proferimentolinguistico ("utterance") ha una componentedi azione: anche i cosiddetti "enunciaticonstat iv i " consistono nel l 'esegui reun'azione, l'azione dell'asserire. Pur nondicendolo Austin qui si riallaccia al concettofregeano di "forza assertoria", la forza chedefinisce il modo con cui viene proferito un

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contenuto proposizionale. Austin generalizzail concetto fregeano, e sostiene una teoriagenerale della "forza illocutoria": ogniproferimento linguistico è una azione, unaatto l inguistico totale: esso ha tre

componenti che si possono definire ne modoseguente:

atto locutorio = atto di dire

(definito dagli aspetti fonetici, sintattici esemantici, over per semantica Austinintende una analisi nei termini fregeani disenso e riferimento)

atto illocutorio = atto ... nel dire

è ciò che prende il posto dell'enunciatoperformativo; è l'espressione della forza

illocutoria; nel dire qualcosa lo diciamosempre in un certo modo che corrisponde auna particolare forza: asserzione, domanda,promessa, preghiera, comando, ecc.

L'atto illocutorio riguarda gli effetticonvenzionali del tipo di proferimento. E quivalgono le restrizioni (le condizioni difelicità) già proposte per i performativi.La parte più originale di Austin, oltre chenel definire l'idea di forza illocutoria, è unacomplessa elencazione dei diversi tipi di attiillocutori che presenta alla fine del libro.

atto perlocutorio = atto ... col direriguarda le conseguenze non convenzionali che si ottengono con il dire qualcosa. La gioiao l'invidia o il suicidio che si può provocarequando si recito la formula di accettazionedel matr imonio non sono ef fet t iconvenzionali. E così via.

Esempi di Austin: "sparale!":- locuzione: emessa l'espressione "sparale"intendendo spara con "spara" e riferendosi alei con "lei".

- illocuzione: ha incitato (o consiglio, oordinato) di sparale- perlocutorio: ha fatto sì che le sparassi(che la uccidessi, ecc.)E s e r c i z i o  : costruire esempi di effetticonvenzionali e non convenzionali dei nostriatti l inguistici. Ricordare che l 'attolinguistico è sempre totale, e i tre atti,locutorio, illocutorio e perlocutorio, non

sono che tre aspetti dell'azione linguistica,tre punti di vista sotto cui analizzare,studiare e classificare gi usi del linguaggio.

 Grice e le massime della conversazione 

Uno dei contributi più rilevanti di

G r i c e2 6 è lo sviluppo del concetto di"implicatura": implicatura è non ciò cheviene detto  chiaramente, ma ciò che viene "fatto intendere " nella conversazione. Ilconcetto di implicatura riguarda in qualchemodo l'idea austiniana di atto illocutorio eperlocutorio, ma vuole essere più preciso.G r i c e d i s t i n g u e " i m p l i c a t u r e

c o n v e n z i o n a l i "2 7 e "implicature nonconvenzionali", che vengono chiamate

"implicature conversazionali". Per definirecon chiarezza cosa si intenda conimpl icatura conversazionale, occorredefinire quali sono i principi dellaconversazione usati per "far intendere"qualcosa all'interlocutore.

Grice ricorda che la conversazionesegue certe regole, che scartano come"inadatti" certi comportamenti; tali regolesono espressione di un principio generaleche sottende ogni conversazione e che chiama

"principio di cooperazione ":

"conforma i l tuo contributoconversazionale a quanto è richiestodall'intento comune accettato, nelmomento in cui avviene"

Questo principio è una specie diimperativo conversazionale cui non ci si puòsottrarre; il contributo di chi partecipa auna conversazione viene valutato sempre secondo questo principio; ciò equivale a direche ogni apparente violazione dà sempre unainformazione rilevante sull'interlocutore.

26 P. Grice, "Logica e Conversazione", in P.Grice, Logica e conversazione , Il Mulino,Bologna 1995.2 7 Esempio di Gr ice di impl icaturaconvenzionale, diretta: "è inglese, quindi ècoraggioso"; non dico che il fatto di essereinglese comporta l'essere coraggioso; lo lasciointendere.

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Grice specifica diverse "massimedella conversazione" che specificano questoprincipio, secondo le categorie kantiane diquantità, qualità, relazione, modo.

q u a n t i t à : dai un contributi tantoinformativo quanto richiesto (non di più!)

qualità:28  non dire ciò che ritieni falso ociò per cui non hai prove adeguate.relazione: sii pertinente.modo: sii perspicuo (evita oscurità eambiguità inutili, ecc.)

Vi sono diversi modi di non soddisfare unamassima; ci si può dissociare anche dallostesso principio di cooperazione: in tal casoci si sottrae alla conversazione. Ma se un

parlante accetta di conversare, ogni suoproferimento sarà valutato in funzione delprincipio di cooperazione; e la sua più omeno esplicita violazione  di una massimadiviene un modo per sfruttare  la massima, efar intendere qualcosa. La implicaturaconversazionale nasce dunque come un mododi sfruttare le massime conversazionali, conapparenti violazioni.

Possiamo vedere almeno tre casi;

1) uno in cui la violazione è apparente , e il

proferimento trova il suo senso se fattorientrare in una massima. Es.- ho finito la benzina- dietro l'angolo c'è un garageLa risposta pare violare la massima dellarelazione (pertinenza), a meno che si pensiche il garage venda benzina, sia aperto, ecc.

2) la violazione di una massima è spiegatada un conflitto con un'altra massima. Es.- dove abita C?- da qualche parte nel sud della francia

28 Da notare che la massima della qualità èpiù importante delle altre; se viene a mancare,a conversazione rischia il fallimento. Il suoruolo speciale è stato sottolineato in mododiverso da Quine e Davidson; essi hanno posto alcentro della loro teoria del linguaggio il"principio di carità" (o di benevolenza): siassume che l'interlocutore dica la verità. Talemassima è però sullo stesso piano delle altre dalputo di vista del generare implicature.

La risposta viola la massima della quantità;ma si può inferire che l'autore non potevafare altrimenti per non violare la massimadella qualità (non dire ciò per cui non haiprove adeguate)

3) il farsi esplicitamente beffa di unamassima della conversazione allo scopo digenerare implicatura conversazionale,attraverso qualcosa di simile a una figuraretorica. Questo è il caso prototipico su cuiGrice si sofferma di più, mostrando tral'altro come certe figure retoriche (ironia,metafora, iperbole, ecc.) siano riducibili aimplicature conversazionali. Qui basti averindividuato il concetto di implicaturaconversazionale e rimandare al saggio

"logica e conversazione" (1975) contenutonella raccolta di saggi di Grice tradotta initaliano con il titolo Logica e conversazione ,Il Mulino, Bologna 1993

I contributi di Grice alla filosofia dellinguaggio sono diversi, e in particolareconnessi al rapporto tra intenzioni econvenzioni nella definizione del concetto di"significato". Particolarmente rilevante è ladistinzione tra significato semantico  (legatoalle convenzioni) e significato del parlante 

(legato alle intenzioni del parlante)29 ,

sviluppato alla fine degli anni '60 e ripresoin diversi contesti da altri autori (tra cui ades. Kripke nel su saggio sulla differenza trariferimento semantico e riferimento del parlante ) (vedi ultimo paragrafo di questaparte)

5. Wittgenstein2 e Dummett:  significato e condizioni di asseribilità

Se Quine sviluppa la suavisione del linguaggio a partire dal concettodi sinonimia e dalla pratica dell'assenso o

dissenso di un parlante di fronte a unaemissione linguistica, Wittgenstein incentrala sua analisi del significato sul problemadella comprensione e della spiegazione. Cosa

29 v. "Significato dell'enunciatore e intenzioni"in Grice, Logica e conversazione , Il Mulino,Bologna, 1995. Notare che il titolo traduce"utterer"s meaning", anche se si parlasolitamente anche di "speaker's meaning".

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è il significato? E' ciò che viene detto quandosi spiega il significato. Ed è ciò che ilparlante capisce, quando capisce un parola.

Influenzato dalle grandi opere di Fregeper il quale aveva una enorme ammirazione,

Wittgenstein, dopo il Tractatus, sviluppauna tormentata critica della sua operagiovanile e sulle idee di Frege, in partecriticandole, in parte sviluppandole. La suaseconda opera pubblicata postuma, leRicerche Filosofiche  (1953) rappresentaun evento nel panorama fi losoficointernazionale: un rifiuto delle teorieprecedenti e una specie di simbolo per unanuova filosofia. Resta l'idea che la filosofia èun'attività, non una dottrina.

Ma diverse cose sono cambiate, e

soprattutto è cambiato il riconoscimentodelle molteplici funzioni del linguaggio. Illinguaggio non è solo un mezzo per adescrivere i l mondo, ma è sempreinestricabilmente connesso a un contesto diazione. In questo Wittgenstein non fa cheportare alle estreme conseguenze ilprincipio di contestualità di Frege. Se Fregeaveva detto che una parola ha significatosolo nel contesto di un enunciato,Wittgenstein giunge a dire che una parola hasignificato solo nel suo contesto di uso,quindi in un contesto in ci parole e azioniinestricabilmente si intrecciano.

Uso e gioco linguistico 

Nasce così il concetto di "giocolinguistico", un contesto di azioni e parole incui si definiscono gli usi - ossia i significati- delle parole stesse. Se il significato èdefinito come uso si toglie ogni aureametafisica al significato: il significato di unaespressione non è né un oggetto néun'immagine mentale (e qui Wittgenstein

sposa lo antipsicologismo di Frege). L'uso èqualcosa di osservabile oggettivamente, nonè una qualche strana entità. Si può dunquedare una descrizione oggettiva degli usilinguistici, dei significati delle nostreespressioni, riconducendole al contesto incui vengono originariamente usate. Spessomolti fraintendimenti linguistici dipendonodall'usare una parola fuori dal contesto che

le è appropriato (ad esempio in un contesto"filosofico"!).

Identificando il significato diun parola con l'uso Wittgenstein parrebbesfuggire alla critica di Quine contro il

signif icato come enti tà indefinibi le,misteriosa e quindi da eliminare dalla nostravisione del linguaggio. Ma resta il problemadi cosa vuol dire "comprendere" i lsignificato, il punto di partenza dellariflessione di Wittgenstein. Qui l'obiettivopolemico è Frege stesso, per cuicomprendere sarebbe un processomisterioso in cui lo psichico e il regno deipensieri, il "terzo regno", vengono acontatto tra di loro. Ma Wittgenstein riportasulla terra i l terzo regno, lo lega

inestricabilmente alle pratiche linguistiche,e non ha bisogno di misteriosi processi. Ilfilosofo studierà la comprensione dal puntodi vista non dei processi psichici interni,ma dal punto di vista delle pratiche socialioggettive e controllabili. Comprendere èsaper usare i segni.

Comprendere e seguire una regola 

Ma come posso capire l'uso dei segni,cosa mi garantisce la corretta comprensionee la corretta applicazione die miei segni?Siamo cont inuamente espost i a lfraintendimento, alla comunicazione nonriuscita. Infatti ogni espressione puòsempre essere interpretata in diversi modida diversi parlanti. Wittgenstein pone questoproblema a partire dal § 188 delle Ricerche filosofiche  sotto la forma del problema del"seguire una regola": come posso seguire unaregola correttamente se posso sempre dareuna diversa interpretazione pur semprecompatibile con la espressione della regola?La risposta è che non è l' interpretazione 

della regola che ci garantisce la sicurezzanella nostra conversazione (né dunque lai n tenz ione   di seguire la regola) ma lap r a t i c a   del seguire regole, praticasviluppata nel contesto di una comunitàlinguistica: non si può seguire una regola privatim, non vi è un linguaggio privato , eseguire la regola è il fondamento dei nostrigiochi linguistici.

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Influenze 

Non solo queste riflessionigenerali hanno influenzato generazioni di

filosofi; l'influenza di Wittgenstein si èsviluppata soprattutto nello stile, nellesingole argomentazioni, in alcune ideechiave (come quelle di "gioco linguistico" epredicati di "somiglianza di famiglia"). Tragli autori che più si richiamano al secondo

Wittgenstein vi è Michael Dummett30 , chetenta un'operazione apparentementeimpossibile: unire le idee del platonistaFrege al le idee del costrutt ivistaWittgenstein.

Di Wittgenstein Dummett31 accentua

l'idea di significato come uso, cercando didarne una versione un po' meno vaga dell'usoche lo sloga aveva nella filosofia oxoniense,cr i t icata per perdersi nel l 'anal is idettagliata delle diverse sfumature d'usodelle parole. L'idea più precisa è un'idea cheWittgenstein espresse in appunti del 1930,l'idea cioè che il significato di un enunciato èdato dalle sue condizioni di giustificazione, oasseribilità. Dummett contrasta questa ideacon la più tradizionale e consolidata idea delsignificato come condizioni di verità. Infatti

in alcuni casi non abbiamo alcuna idea dicosa possa essere una condizione di verità(ad es. in enunciati controfattuali, o inenunciati al passato, o in enunciati sutotalità infinite). Conoscere il significato diun enunciato è dunque sapere qualegiustificazione si può dare o si potrebbe dareper esso. Non si può dire che una personaconosce il significato di un enunciato se nonha alcuna idea di come giustificare, almenoin linea di principio, l' enunciato stesso.

Dummett presenta prima di tutto ilcaso logico-matematico, contrastando iltradizionale metodo delle tavole di verità conil metodo della deduzione naturale: nel

3 0 Divenuto famoso con il suo libro diinterpretazione di Frege: Filosofia del linguaggio (Marietti, Genova, 1983).31 vedi M. Dummett Che cosa comporta ilrichiamo all'uso per la teoria del significato? inBottani-Penco, Significato e teorie del linguaggio , Angeli, Milano, 1991

secondo caso si rende subito esplicito che ilsignificato di un enunciato composto è datodalle regole di uso, dalle regole chegiust i f icano la introduzione o laeliminazione di un connettivo, secondo le

usuali formulazioni:

p q p&q p&q------ --- -------p&q p q

(&-introduzione) (&-eliminazione)

Dummett unisce queste ideealla visione generale del linguaggio di Frege,il cui centro nodale è la distinzione tra sensoe forza (rifiutata da Wittgenstein). Una

teoria del significato deve presentare sia unateoria del riferimento, sia una teoria delsenso, sia una teoria della forza illocutoria.Il modo in cui questa teoria può veniresviluppata resta piuttosto programmatico,ma Dummett discute diverse linee guida diuna teoria del genere, collegando le idee dicondizioni di giustificazione all'uso dellalogica intuizionista. Qui tocchiamo temitroppo complessi per essere più cheaccennati in queste pagine introduttive.Quindi ci fermiamo qui.

Richiamiamo solo due motivi dicontrasto tra Dummett e Davidson: 1) lateoria del significato non è una teoria dellatraduzione2) il linguaggio è prima di tutto un insiemepubblico di pratiche sociali e non un usoidiosincratico di segni.

6. Kripke, PutnamTeorie del riferimento diretto

Kripke contro la "teoria descrittivista" 

Per diversi anni i l paradigmafregeano e in seguito quello carnapianohanno dominato quasi incontrastati lafilosofia del linguaggio: ogni espressionelinguistica ha un senso e un riferimento,nomi propri compresi. Ma alcune sempliciriflessioni mettono in dubbio che i nomi

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propri abbiano un senso: quando mai undizionario dà i significato di un nomeproprio? Una vecchia tradizione che risale aJohn Stuart Mill, distingue connotazione edenotazione, e sostiene che i nomi non hanno

connotazione, ma solo denotazione. 32 A Millsi richiama il logico americano Kripke inuna critica serrata al paradigma fregeano,da lui definito "teoria descrittivista" delriferimento. Cosa è la teoria descrittivistache Kripke identifica con il paradigmadominante che unisce le idee di Frege,Russell, Il secondo Wittgenstein e Searle?Ogni nome ha un senso e il senso è dato dauna o più descrizioni definite (per Searle ilsenso è un "grappolo" (cluster) didescrizioni definite, e il nome proprio

svolge la funzione di gancio cui appendere uninsieme aperto di descrizioni definite).

Il punto di vista di Russell 

Possiamo dubitare se questateoria sia davvero la teoria di Frege; molti,tra cui Dummett, ne dubitano. Ma è vero chequesta è la "vulgata", il modo comune diinterpretare Frege e Russell. Russell, inparticolare, riteneva che i nomi proprifossero abbreviazioni di descrizioni definite.

Questo gli permetteva di evitare i problemidi Frege che, ammettendo nomi propri privid i r i fer imento (come "Ul isse" o"Bucefalo"), ammetteva enunciati privi divalore di verità. Russell voleva invece unformalismo che potesse trattare aspetti dellinguaggio naturale e nello stesso tempopresentasse enunciati il cui valore di veritàfosse sempre determinato. Per questout i l i zzava la sua teor ia de l le

32Casi apparenti di connotazione come il nome

di un quartiere "Foce" o il cognome "Tagliafico"sono del tutto occasionali, e il "significato" nonha alcun collegamento necessario con ilriferimento (sapere che "tagliafico" significa laoperazione di tagliare fichi non aiuta aindividuare la persona che porta questo nome;così sapendo che "Foce" significa la foce di unfiume non aiuta a individuare la zona dove ormaiil fiume è coperto e nessuno più lo vede). Quindila apparente connotazione comunque non è piùvalida e non svolge la funzione del sensofregeano, cioè di modo di dare il riferimento.

descrizioni33 : una descrizione definita 'unsintagma del tipo "il così e così", ad esempio"il re di francia" è traducibile, in unl inguaggio disambiguato, con unaformulazione del tipo "esiste un x, che è cosìe così". Le descrizioni definite sono così perRussell "simboli incompleti"; essi infattinascondono un quantificatore esistenzialeche lega una variabile. questo permette direndere vere o false tutte le frasi in cui ledescrizioni compaiono. Perché? E' facile: seuna descrizione va riscritta con unquantificatore esistenziale, nel caso che ladescrizione si riferisca a un oggettoinesistente, la frase sarà immediatamentefalsa: infatti dice che "esiste un x che è cosìe così" e ciò è falso.

L'esempio più famoso di Russell è:

" l'attuale re di Francia è calvo"

Ora, l'attuale re di francia non esiste perchéla francia è una repubblica. Per Frege taleenunciato sarebbe privo di valore di verità;per Russell esso è invece falso, perchécorrisponde alla sua traduzione:

"esiste un x, tale che x è re di francia, ed ècalvo (e per tutte le y, se y è un attuale re di

francia, allora y=x)"

Notate la frase tra parentesi che ènecessaria per indicare la unicità che ledescrizioni definite esprimono.

Russell non si ferma qui. Proseguedicendo che i nomi propri vanno riscritticome abbreviazioni di descrizioni definite (esu questo si appoggia Kripke nel definire ilparadigma della "teoria descrittivista" delsignificato; dove dunque trovare nellinguaggio naturale ciò che corrispondeall'idea di "nome logicamente proprio", cioè

33 Nel Tractatus  W. diceva che il linguaggio è inordine così come è; ma è difficile riconoscernela forma logica, nascosta dai complicati accordiche usiamo nel parlare.La teoria delle descrizioni di Russell è definitada Wittgenstein un paradigma di filosofia, specieperché mostra con chiarezza come una certaforma grammaticale (la forma della descrizionedefinita) possa nascondere una più complessaforma logica.

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all'idea delle costati individuali di unlinguaggio logico? La risposta di Russell è:nei termini deittici: "questo", "quello", chesi riferiscono direttamente e senzaambiguità a un oggetto individuale del

mondo34.

la critica di Kripke 

Kripke al contrario sostiene che inomi propri si comportano proprio come lecostanti individuali della logica, compresa lalogica modale: essi sono "designatori rigidi",cioè si riferiscono allo stesso individuo inogni mondo possibile. E' errato pensare che inomi propri abbiano un senso (comesostiene Frege), e che questo senso sia una

(o più) descrizioni definite (come si derivadalla teoria di Russell). Diversi argomentisulla differenza tra nomi propri edescrizioni definite mostrano che la teoriadescrittivista è falsa e fuorviante, eprincipalmente:- argomento modale-metafisico : un nomeproprio è modalmente rigido, mentre unadescrizione no. Clinton avrebbe potuto nonessere presidente degli USA se non fossestato eletto, ma non avrebbe potuto cessaredi essere sé stesso, cioé Clinton (cambia

esempio con Aristotele).- argomento epistemico : gli uomini sonofallibili. Se Aristotele non fosse statomaestro di Alessandro Magno (educato da unoscuro schiavo macedone) sarebbero vere diAristotele certe proprietà che non sono veredel maestro di Alessandro. Enunciaticontenenti il nome proprio diverrebberofalsi se il nome fosse sostituito dalladescrizione.- argomento linguistico : di fatto ipotizziamocontinuamente situazioni controfattuali(situazioni che avrebbero potuto sussistere

e non sono accadute realmente). Per usareenunciati controfattuali dobbiamo assumereche i nomi propri designino rigidamentel'individuo cui si riferiscono. Es.: Se Pipponon fosse stato bocciato si sarebbe laureatoprima. Ma di chi parliamo? Della stessa

34 Questa proposta sarà criticata duramente daWittgenstein nelle Ricerche Filosofiche 

persona di cui diciamo "lo studente bocciatoall'esame"; ma per riferirmi sempre a lui

devo indicarlo per nome.35

I nomi propri non sono sinonimi didescrizioni si comportano in mododifferente. Ma la tradizione dice che il sensodi un nome è un modo di dare il suoriferimento. Come dunque viene dato ilriferimento, se non è più praticabile questavia? Come risposta Kripke propone laseguente immagine: un nome viene attribuitoa un individuo con un battesimo iniziale, cheinstaura una relazione diretta tra nome eoggetto; di persona in persona, nellacomunità dei parlanti, viene mantenutal'intenzione originaria di riferirsi sempreallo stesso oggetto. Un nome dunque si

riferisce direttamente all'oggetto che denota.Nasce la teoria del riferimento diretto(anche detta, per questa versione kripkiana,teoria causale del riferimento).

Putnam e i termini di tipi naturali 

Putnam36 sostiene che sia impossibileaderire contemporaneamente a due tesi:1) il senso determina il riferimento2) il senso viene afferrato mentalmenteImmaginiamo che su una terra del tutto

simile alla nostra un liquido del tutto simileall'acqua abbia diversa formula chimica (siaXYZ invece di H2O). Prima di conoscere lachimica terresti e gemelliani credevano diusare lo stesso liquido. Il significato di"acqua" era lo stesso e parlando di "acqua"gemelliani e terrestri erano nello stessostato mentale.. Dopo lo sviluppo dellachimica ci si rende conto che l'acquaterrestre e l'acqua gemelliana sono duediversi liquidi. Quindi il significato nondetermina il riferimento. Il riferimento di"acqua" è determinato solo dall'essere unliquido "lo steso liquido" di quello lì (diquello indicato da un terrestre sulla terra):

35 Riprendo questa presentazione dal saggio diNapoli in Santambrogio, pp.393-53 6 H. Putnam, "Significato, riferimento estereotipi", in Bottani-Penco, Significato e teorie del linguaggio , Angeli, Milano, 1991 ePutnam "Il significato del significato" in PutnamMente, linguaggio, realtà , Adelphi, Milano.

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"acqua" terrestre è lo stesso liquido che iparlanti hanno battezzato così e hannocontinuato a usare, in una catena diintenzioni a riferirsi a quello steso liquido.

Incominciamo a vedere meglio alcuni

aspett i del problema Parlando dicomposizione chimica si parla di definireuna "essenza" dell'acqua. Così come l'essenzadi un individuo è data dal suo codice genetico.Parlare di nomi propri come designatoririgidi e usare la teoria del riferimentodiretto anche per termini di tipi naturaliimpl ica r i scopr i re l 'essenzia l i smoaristotelico (quello che Quine combattevacombattendo la necessità della logica modale,n part icolare del la logica modalequantificata). Dobbiamo dunque ammettere

"essenze" individuali per accettare la teoriadel riferimento diretto?

Il nuovo paradigma è divenutoparadigma dominante specie negli USA. Tra isuoi esiti vi è la nascita di teorie "duali" delr i ferimento, dove si dist ingue unacomponente mentale e una componente realedel contenuto di un'espressione linguistica.Ma si rifiuta l'idea che la componentementale determini la componente reale,come si suppone abbia sostenuto Frege. (MaFrege aveva davvero sostenuto ciò?)

Divisione del lavoro linguistico 

Uno dei contributo più famosi di Putnam èl'analisi di un fatto sotto gli occhi di tutti:nessun singolo parlante conosce in modoesaustivo il significato delle parole. La miacomprensione della parola "oro" differiscelargamente dalla comprensione che ne ha unorefice o un cercatore del prezioso metallo.Come facciamo dunque a capirci, se iconcetti, le immagini e le credenze connessealla parola "oro" sono differenti in ciascun

parlante? La risposa di Putnam è che, primadi tutto, il significato è qualcosa di condivisonella comunità dei parlanti (che spessousano una parola "deferendo" ad altri laresponsabilità del suo uso corretto o del suosignificato preciso). Inoltre il significatonon può essere inteso come una rigidadefinizione connessa a una parola, ma è unastruttura articolata in diverse componenti,

tra cui 1) uno stereotipo condiviso dallamaggior parte dei parlanti 2) unadefinizione del tipo sintattico e semanticodella parola 3) una definizione scientificache fissa l'esenzione (nel caso dei termini di

tipo naturale ad es. la formula chimica).

Riferimento semantico e del parlante 

Tradizionalmente si distingue tra"denotazione" e "riferimento" (anche sespesso i termini sono usati in modointerscambiabile). Per "denotazione" siintende la relazione tra una espressione eciò che denota a prescindere da specificicontesti (ad es. l'enunciato "gli studentipresenti nell'aula..." denota l'intersezione

tra gli studenti e le persone presentinell'aula); per "riferimento" si intende larelazione tra una espressione e ciò chedenota in contesti specifici (ad es. dicendo"gli studenti presenti nell'aula..." miriferisco a certi studenti a seconda delmomento e del luogo in cui proferisco lafrase). (si potrebbe forse dire che ladenotazione è una relazione tra frasi[sentences ] e oggetti denotati, il riferimentofra proferimenti [utterances ] e oggetti delmondo).

Usando una distinzione griceana

Kripke37 cerca di definire una distinzionenel modo di determinare il riferimento inparte analoga alla distinzione classica:riferimento semantico e riferimento del par lan te  . In alcuni casi il riferimento èquello determinato dal significato delleparole, dalle descrizioni definite; in altri èdeterminato dalle intenzioni del parlante; avolte i due riferimenti non coincidono (comenel caso "suo marito è gentile con lei" dettovedendo l'amante della signora). E' unosviluppo (e i parte una critica) di una

distinzione fatta dal filosofo americanoDonnellan tra uso referenziale e usoattributivo di una descrizione: nell'uso referenziale  il parlante intende riferirsi auna certa persona, usando una qualche

3 7 S. Kripke "Riferimento semantico eriferimento del parlante" in Bottani-Penco,Significato e teorie del linguaggio , Angeli,Milano, 1991

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descrizione, sia essa appropriata o no.Nell 'uso attributivo  il parlante si vuoleriferire a qualsiasi persona soddisfi ladescrizione. Vi è dunque un uso delledescrizioni che serve a f i s s a r e   il

riferimento, anche nel caso che ladescrizione sia sbagliata. Se dico "l'assassinodi Smith è pazzo" indicando l'uomo accusatodi assassinio che si contorce nella gabbiadegli imputati, intendo riferirmi a lu i ,anche nel caso che non avesse di fattoassassinato Smith.

Uno dei banchi di prova delle teoriedel riferimento diretto è una spiegazione delcomportamento logico delle espressionideittiche ("lui", "questo", "quello", ecc.),quelle che per Russell svolgevano il ruolo di

"nomi logicamente propri". Su questi temiha lavorato a lungo un altro filosofo

americano, David Kaplan38.

7. Chomsky e Fodor  La mente modulare

Nel 1956 esce Le strutture della Sintassi  di Noam Chomsky, il primo di unalunga serie di libri di quello che sarebbedivenuto il più famoso linguista americano

che ha segnato una svolta che ha avutoripercussioni in diversi settori dellacultura (in particolare l inguistica epsicologia). L’idea chiave della proposta diChomsky è la sfida mentalista alcomportamentismo. Secondo lo schemacomportamentista i bambini dovrebberosemplicemente riprodurre frasi ascoltate incerte condizioni specificate. Contro leipotesi comportamentiste Chomsky pone ladomanda: come è possibile spiegarel’acquisizione del linguaggio da parte deibambini con lo schema stimolo-risposta se èovvio che i bambini non si limitano aripetere frasi che hanno già sentito, mainventano nuove frasi, prima mai udite? Idati che avrebbero dovuto costituire lo“stimolo” essenziale per la spiegazione

38 D. Kaplan "La logica dei dimostrativi" inBottani-Penco, Significato e teorie del linguaggio , Angeli, Milano, 1991 - v. anche nota000

comportamentista sono insufficienti aspiegare la essenziale creatività linguisticadel bambino. Il bambino non si limita aripetere frasi, ma ne inventa di nuove.Quindi deve avere qualche meccanismo

innato che gli permette di farlo.L’originalità di Chomsky è stata

quella di dare una sostanza a questaintuizione utilizzando formalismi che inqualche modo si richiamano agli schemi difondo della logica matematica moderna.Chomsky presenta la sua teoria all’internodi una teoria formale delle grammatiche, lacui discussione ci porterebbe troppolontano. Una presentazione della ideaoriginale di Chomsky che evidenzial’influenza del modello assiomatico della

logica moderna è data in appendice (II,7)

Lo schema originario chomskyano ha subitonel tempo numerose modifiche, ma alcuneidee fondamentali sono rimaste ferme:

a) l ’ idea di meccanismi innati che permettono l’acquisizione della lingua.La crescita dell’organo fisico del cervello èandato di pari passo con lo sviluppo dellafacoltà del linguaggio. Tale facoltà innata perattivarsi deve ovviamente trovarsi in unambiente adatto: un bambino deve essereesposto all’uso del linguaggio in unacomunità linguistica umana (un bambino chevive con i lupi non potrà sviluppare illinguaggio). Mentre è la natura biologicache permette lo sviluppo della facoltà dellinguaggio, l’interazione con l’ambiente èdeterminante per attivarla e condizionarlasecondo cert i parametr i (non sispiegherebbe altrimenti la diversità dellelingue storiche).

b) l’idea di una grammatica universale,

sulla scia delle idee dei filosofi seicenteschi .La linguistica non si limita a descrivere lediverse l ingue, ma ha come scopol’elaborazione di una grammatica universale(di cui hanno sognato i filosofi da Cartesio aHusserl). La grammatica universaledovrebbe dare le proprietà comuni a tutte lelingue, circoscrivendo dunque la classe ditutte le possibili lingue naturali. Per questo

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occorre una indagine empirica sul modo difunzionamento della facoltà biologica dellinguaggio: studiando le grammaticheparticolari delle varie lingue si individuanogli aspetti comuni e le differenze.

L’idea che Chomsky ha elaboratonegli ultimi tempi è la teoria dei principi-e-parametri. Scopo della grammaticauniversale è individuare p r i n c i p iuniversali comuni a tutte le lingue, secondouno schema base che può offre in alcunipunti opzioni alternative3 9 . Le lingueparticolari si formano con la attivazione diqueste opzioni alternative, o parametr i .Un esempio di parametro è dato dall’ordineegli elementi linguistici, ad esempio ilparametro “testa”, cioè il Nome nel

Sintagma Nominale o il Verbo nel SintagmaVerbale. (per la def. dei termini v.appendice II/7). La testa può essereall’inizio o alla fine della frase. Ad es. initaliano il verbo è normalmente all’inizio ein giapponese alla fine: “sono italiano” e“watashi wa nihonjin desu” (“io giapponesesono”).Un bambino ha bisogno di essereesposto alla comunità linguistica perattivare questi parametri. Egli è espostoanche a un insieme particolare di parole,con certi suoni e certi significati, che

39 Un principio universale ad esempio è il

principio della dipendenza strutturale: la

conoscenza del linguaggio dipende dalle relazioni

strutturali del’enunciato e dalle categorie

sintattiche in gioco e non dal mero ordine

lineare delle parole. Non basta ad es. cambiare

l ’ordine del le parole per fare frasi

interrogative; occorre capire che tipo (che

categoria sintattica) di parole abbiamo davanti.

Prendiamo frasi di tre parole:

“la lettera arriverà : l’ordine delle parole è1(la) ,2(lettera), 3(arriverà)

“arriverà la lettera? : l’ordine delle parole è

3(arriverà),1 (la), 2(lettera)

Non possiamo applicare questo ordine

indiscriminatamente; ad es.

“questa è bella” non darà luogo in italiano

corretto a una interrogativa come

“bella questa è”, perché le categorie delle

parole in questione sono differenti.

combinerà secondo i principi innati e iparametri attivati.

La grammatica di ogni lingua èdunque costituita da tre elementi: i principidella grammatica universale, i parametri

della lingua particolare e il vocabolario (illessico, con le sue parole e la suapronuncia). Da questo si der ivaimmediatamente che la grammaticauniversale si occupa soprattutto dideterminare la sintassi  della lingua: essadeve fornire le regole con cui si generano lefrasi corrette, analogamente a come leregole di formazioni di un linguaggio logicoformano le frasi ben formate (vediappendice II/7). Per questo normalmente,parlando della grammatia di Chomsky, si

parla di grammatica generativa. Lacentralità della sintassi è un aspetto delparadigma di Chomsky che rimanefondamentalmente inalterato a partire dalsuo primo lavoro del 1956. Che rapportodunque vi è tra sintassi, fonetica esemantica? Anche se Chomsky ha presentatodiverse teorie, anche qui alcune linee difondo rimangono costanti.

c) l’idea di una grammatica strutturata in diversi livelli di rappresentazione  (unosvi luppo del l ’ idea tradizionale chedistingueva sintassi, fonetica e semantica).La facoltà del linguaggio è una delle facoltàdella mente (come la facoltà percettiva ovisiva). Da questo ne segue che laGrammatica Universale è una parte dellapsicologia, cioè quella parte della psicologiache studia il modulo linguistico della mente.L‘idea della mente come composta da moduliverrà ripresa e ampliata da Fodor. L’analisiper moduli avviene pero’ anche all’internodella teoria della grammatica ed è una degliaspetti più sviluppati dalla linguistica, che

da sempre ha distinto tra fonetica, sintassi esemantica40.

40Chomsky ha sempre pensato la sintassi come

la componente generativa del suo sistema (la

componente che rappresenta la formazione delle

frasi) e la fonetica e semantica come le

componenti interpretative (data una frase

generata dalla sintassi occorre dare a essa un

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Chomsky parla a questo proposito di l i v e l l idi rappresentazione (nelle S t ru t t u re  della Sintassi  parlava solo di “livelli” toutcourt). L’idea è che ogni parlantei n c o n s c i a m e n t e a t t i v a c e r t e

rappresentazioni che il linguista vuolerendere esplicite, esplicitando un sapereinconscio. Fondamentalmente Chomsky hamantenuto l’idea che vi sia un livello dirappresentazione sintattica che ha un ruolocentrale e media tra rappresentazionesemantica e rappresentazione semantica. Sipuò visualizzare uno schema del tipo:

sintassi

rappresentazione rappresentazione

fonetica semantica(suoni) (significati)

L’idea di fondo è che la sintassi invece devemantenere un ponte tra suoni e significati eper questo ha un ruolo centrale. Negli scrittisuccessivi Chomsky parla di Forma Foneticae Forma Logica, mantenendo peròfondamentalmente lo stesso schema. Ilmaggior cambiamento rispetto allo schemadato sopra è che Chomsky ha accolto lecritiche di molti linguisti che hanno dato unamaggiore importanza al potere generativodegli aspetti semantici (in particolareFillmore); Chomsky quindi ammette unlivello, che chiama struttura-p41 , dove si

suono e un significato specifici per una lingua).

Tra i principali cambiamenti rispetto al primo

Chomsky (la teria “standard” è stata

presentata nel 1965 con Aspetti della teira 

della sintassi ) sta forse il maggiore ruolodato

alla logica e l’importanza della componente

generativa della semantica, riconoscimento chenasce da alcune critiche di altri linguisti che

chomsky ha fatto in parte proprie)

41 I termini struttura-p e struttura-s derivano

dalla prima definizione fatta da Chomsky negli

anni ‘60 tra Struttura Profonda che forma la

base per l’ interpretazione semantica e

Struttura Superficiale che forma la base per

l’interpretazione fonetica. Ma, come abbiamo

combinano certi elementi del lessico, cioèdel vocabolario mentale-concettuale di unalingua. Qui sono rappresentati i “ruolitematici” come agente, paziente, ecc. Lastruttura-p ha quindi in sé parte di

informazione semant ica. Possiamoimmaginare le strutture-p come unarappresentazione uniforme che mette inordine le diverse voci lessicali secondo unordine molto semplice, come ad es. “Ama:Eva Adamo” o “E’ amata: Eva da Adamo”.Sono rappresentazioni semplici dei ruoli diazione, passione, agente e paziente. Nellastruttura-s, con semplici spostamenti (aseconda delle lingue) si definiscono lestrutture sintattiche usuali come “Eva amaAdamo” o “Eva è amata da Adamo”, che

vengono rappresentate foneticamente eesprimono quegli aspetti di significato chederivano direttamente dalla grammatica. Loschema è il seguente:

struttura p

struttura s

Forma fonetica Forma logica

Forma fonetica e forma logica costituisconole interfacce con gli altri sistemi cognitivi.Qui i l lavoro di Chomsky si poneall’intersezione con la psicologia e le scienzecognitive, che ha largamente influenzato conla sua rinnovata fede nel mentalismo. I suoilavori spaziano da lavori altamente tecnici alavori divulgativi, a discussioni su teoriefilosofiche (Chomsky ha sempre una qualchecritica verso i filosofi del linguaggiocontemporanei, da Quine a Dummett a

Kripke) e a ripresa di vecchie teorie(famosa è il suo saggio “linguisticacartesiana” ove si presenta come erede dialcune idee di Cartesio sul linguaggio e lagrammatica).

detto e ora vedremo, la nuova visione di

Chomsky è in parte cambiata.

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Jerry Fodor e Il linguaggio del pensiero 

Fodor nasce come linguista che elabora lasemantica del sistema chomskyano sulla base

di primitivi semantici (vedi in appendiceI I I /6 i cenn i su l l a semant i cacomposizionale). L’idea di una componenteconcettuale innata nell’uomo resta uno deipunti fermi del suo programma, purcambiando rispetto alle prime elaborazionifatte in ambito direttamente chomskyano.L’idea chiave della proposta di Fodor èl’esistenza di un “linguaggio del pensiero”,di un insieme di strutture e regole innate, dicarattere simbolico, che formano cioè unaampia classe di espressioni semplici per la

maggior parte dei nostri concett i .Combinandosi, tali espressioni, possonogenerare un numero infinito di espressionicomplesse.

mente, cervello, computer Per capire la proposta di Fodor occorrerifarsi a un parallelismo tra mente ecomputer, che andava di moda negli anni ‘70e ‘80 nel la intel l igenza art i f icialesimbolica: la mente sta al cervello come ilsoftware all’hardware. I computer nasconocome macchine che operano su simboli,secondo il modello della “macchina diTuring”. La macchina di Turing è unamacchina ideale che può calcolaremeccanicamente passo-passo ogni funzionecalcolabile (vedi appendice su logica). Lamente umana è analoga a una macchina diTuring, implementata non sull’hardware delcomputer, ma nel cervello: nel cervello sirealizzano continuamente processi fisici dicui siamo inconsapevol i , ma checorrispondono a qualcosa di simile a uncalcolo meccanico; anche il cervello ha i suoi

algoritmi, patrimonio biologico sviluppatonel corso dell’evoluzione. Comprendere opensare corrisponde ad attivare questialgoritmi, queste manipolazioni di simboliinnati, manipolazione di cui siamoinconsapevol i , ma che possiamorappresentare in modo formale, usando il inguaggi formal i che abbiamo adisposizione.

Psicologia del senso comune L’ipotesi del linguaggio del pensiero aiutaFodor a chiarire l ’importanza dellapsicologia del senso comune, con la quale

attribuiamo pensieri, credenze e desideri aiparlanti. Cosa sono credenze o un desideri?Sono stati mentali che hanno un certocontenuto (e normalmente, da Brentano inpoi, vengono chiamati “stati intenzionali”).Se dico “Pia crede che il gatto è sul tappeto”attribuisco a Pia la credenza che il gatto èsul tappeto. Se dico “Pia prende il gatto daltappeto perché desidera portarselo a letto”attribuisco a Pia un desiderio che causa lasua azione.

Potere causale degli stati mentali Fodor analizza gli stati mentali intenzionalicon l’ipotesi del linguaggio del pensiero:quando un parlante ha una credenza o undesiderio, da qualche parte del suo cervellosi trova scritto un enunciato in mentalese.Questo enunciato corrisponde al contenutodella credenza o del desiderio. Se enunciatidel mentalese diversi spiegano i diversicontenuti di diverse credenze o desideri, ildiverso ruolo delle credenze e dei desiderinella nostra vita è spiegato dall’ipotesi chegli enunciati mentalesi vengano immessi inmodo diverso nel cervello, come se fosseroin scatole separate, con diverse funzioni.Che gli enunciati del mentalese sianofisicamente realizzati nelle strutturecerebrali spiega la efficacia causale dicredenze e desideri. Se dico “Pia prende ilgatto dal tappeto perché vuole portarselo aletto” ipotizzo che nel cervello di Pia vi siaun enunciato in mentalese il cui contenutocorrisponde al “voler portarsi a letto ilgatto”, e, per una serie di processi

computazionali complessi che hanno luogonel cervello, si attivano i meccanismi chefanno sì che Pia preda il gatto dal tappetocome conseguenza del suo desiderio iniziale.

conseguenze sulla semantica Cosa dovrebbe fare la semantica, o studio dels i gn i f i ca to? Dare una co r re t tarappresentazione del significato delle frasi

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del nostro linguaggio. Ma quale è larappresentazione più chiara delle frasi delnostro lignaggio? Per Fodor è la traduzionedi queste frasi nel mentalese, per cui lasemantica deve fondamentalmente occuparsi

di dare una rappresentazione del significatodegli enunciati mentali  che corrispondonoagli enunciati linguistici. E, dato che glienunciati mentali sono calcoli simboliciimplementati nel cervello, la semantica nonpuò che essere “semantica naturalizzata”,cioè scienza i cui concetti fondamentali nonsono filosofici, ma appartengono - o sonoriconducibili - alla fisica e il cui metododeve essere un metodo non apriori, maempirico. Si assume che i simboli mentalisono associati a predicati linguistici (e

quindi a classi) da una relazione causale conil mondo: il simbolo del mentalese che staper “mucca” è causato dall’esposizione amucche. Apparentemente sembra un ritornoall’empirismo più ingenuo, ma Fodor fa delsuo meglio per giustificare il suo progetto diricerca con una capacità argomentativa chelo ha portato a essere incluso tra gliinterocutori principali della filosofia dellinguaggio contemporanea.

La mente modulare L’aspetto che regge l’impianto teorico diFodor è l’idea, abbozzata da Chomsky esviluppata da Fodor in diversi saggi, dellamodularità della mente.L’idea non è solo quella tradizionale cheesistono diverse facoltà psicologiche. L’ideapiù forte e più specifica è che la mente siacos t i tu i ta da “modu l i cogn i t i v i ”relativamente autonomi, incapsulati nelcervello come risultato dell’evoluzionebiologica e con domini specifici (il dominiodella visione, del l inguaggio, dellaconoscenza del tatto, ecc.

Fodor si mette in contrasto con a maggiorparte della tradizionale analisi psicologica;per lui non esistono facoltà innate come ilgiudizio, la volizione, la attenzione, lamemoria, da Fodor chiamate “facoltàorizzontali” che in qualche modo siestendono su tutte le nostre capacitàsensoriali; ma vi sono meccanismi basedistinti per ogni modalità cognitiva (musica,

linguaggio parlato, visione). Non vi è lafacoltà de “la” intelligenza, ma vi sono percosì dire, diverse intelligenze (tema chesarà ampiamente sviluppato da H. Gardner).

Funzionalismo Fodor prende da Putnam, che poi la rifiuta,l’impostazione funzionalista. Abbiamo dettoche per Fodor la mente sta al cervello comeil softwre sa all’hardware. Questa metaforanasconde però una riflessione più complessa:se il cervello svolge computazioni susimboli, sono le computazioni che contano,non il supporto fisico su cui sono svolte. Lestesse computazioni possono essere svolte daun altro supporto fisico, così come unprogramma può essere svolto su diversi

computer. Quello che conta è studiare leproprietà funzionali degli stati mentali, nonla loro instanziazione fisica. Questeproprietà funzionali sono descrivibili e/oriproducibili su materiale fisico diverso daquello del cervello; se una credenzacorrisponde a una certa serie di stringhe dicalcolo nel mentalese, che sia implementatasu materia grigia molle o su silicio noncambia molto. Si può modellare la menteusando model l i computazional i . I lfunzionalismo è stato criticato e oggi non èpiù di moda; ma con tutti i suoi

----------------------------Numerosi sono i testi introduttivi aChomsky. Richiamiamo per chi volesse unprimo approccio generale il lavoro di E.Fava “Sintassi” in Fava-Galasso-Leonardi-Sbisà Teorie del linguaggio , Unicopli,Bologna e quello di P. Casalegno “Sintassi esemantica in Chomsky” in P. Casalegno,Introduzione alla filosofia del linguaggio , LaNuova Italia, 1996.

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Antologie di filosofia del linguaggio La filosofia del linguaggio ha alcuni testi diriferimento fondamentali; sono per lo più

articoli e non libri (a parte casi come ilTractatus  e le Ricerche  di Wittgenstein,Meaning and necessity  di Carnap, le lezionidi Austin, Naming and Necessity di Kripke).L'art icolo breve che presenta unaargomentazione precisa è il punto diriferimento principale di discussione.Alcune antologie presentano una vastapanoramica di articoli interessanti, e traqueste ricordiamo:

- A. Bonomi, la struttura logica del l i n g u a g g io  , Bompiani, Milano (ove sitrovano anche testi "classici" come quelli diFrege, Russell, Husserl).

- A.Bottani-C.Penco Significato e teorie del linguaggio , Angeli, Milano (ove i trovanotesti degli anni '70 e '80 come lavori diKripke, Putnam, Kaplan, Dummett, ecc.).

- A. Paternoster, Mente e Linguaggio ,Guerini, Milano, 1999.

Introduzioni di filosofia del linguaggio 

P. CASALEGNO Introduzione allaFIlosofia del Linguaggio, La Nuova Italia,Firenze

E. FAVA, P.LEONARDI, P.GALASSO, M.SBISA', Teorie del linguaggio Unicopli,Milano.

S. HAACK (1983) Filosofia dellelogiche, tr.di Michele Marsonet, Angeli,Milano

D. MARCONI "Semantica", voce dellaEnciclopedia Einaudi;

D. MARCONI La filosofia del linguaggio.Da Frege ai giorni nostri, Utet, Torino,1999

PICARDI E. (1992) Linguaggio e analisifilosofica. Elementi di filosofia dellinguaggio, Patron, Bologna

M. SANTAMBROGIO 1991 (a cura di)Introduzione alla filosofia analitica dellinguaggio, Laterza, Bari, 1991

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APPENDICI

I Da Aristotele a Frege 

1. Logica aristotelica e logica stoica

Per vedere le differenze tra la logicadi oggi e la logica aristotelica occorrerebbeconoscere la logica aristotelica, che èfondamentalmente una teoria del sillogismocategorico (vedi appendice). Per duemillenni è rimasta il prototipo della logica,pur contrastata dalla logica stoica. Kant

sosteneva ancora nella Critica della RagionPura che la logica è data nella sua formadefinitiva dalla logica aristotelica e nessunprogresso si dà in logica, se non espositivo.Il medioevo presenta un grande lavoro diriesposizione, precisazione a aggiustamentodella logica aristotelica. La grandezza dellalogica aristotelica non può essere sminuita:essa è già formale, simbolica, eassiomatica, analogamente alla logicacontemporanea:- formale perché si interessa della formalogica e non al contenuto dei discorsi. Lalogica per Aristotele si interessa a comeviene preservata la verità nel ragionamento,e studia gli schemi formali di ragionamentoche preservano la verità- s imbol ica perché usa abbreviazionisimboliche al posto di espressionilinguistiche. Aristotele usa spesso esempi disillogismi dati in forma simbolica, del tipo"tutti gli A sono B", ove ad A e B vannosostituiti termini qualsiasi.- assiomatica in due sensi: da una partedefinisce alcuni principi primi indefinibili

(il principio di non contraddizione ilprincipio di identità e il principio del terzoescluso); dall'altra perché dimostracome tutti si l logismi (ragionamenti)possono essere ricondottiad un numerolimitato di essi, tramite particolari regoledi conversione.

In cosa consiste dunque la differenza?Non è facile a dirsi in poche parole. In pocheparole si può dire che la logica aristotelica,o teoria del sillogismo, corrisponde a unasottoparte della logica dei predicati del

primo ordine, quella limitata ai predicati aun posto. La logica contemporanea presentauno spettro molto più ampio e potente diformalismi logici che includono sia la logicastoica che quella aristotelica, una logicadelle relazioni che non era mai statarealizzata nel medioevo, nuove forme dilogica modale appena abbozzata da Aristotele,e soprattutto una ampia massa di teoriemetalogiche, cioè di teor ie sulfunzionamento e sui limiti dei formalismilogici, che è quasi del tutto estranea ad

Aristotele. E soprattutto la logicacontemporanea nasce come implicitaunificazione della logica aristotelica e dellalogica stoica, due tradizioni separate per duemillenni e mai giunte a una vera fusione.

- La logica stoica si occupava soprattuttodei rapporti tra proposizioni, consideratecome entità autonome e inscindibili cherappresentano fatti. Gli stoici studiando cosìquelli che oggi chiamiamo i connettivi logici- in particolare il condizionale "se...allora"- e definiscono le regole che governano ilragionamento proposizionale - i cosiddetti'indimostrabili" come il Modus Ponens, ilModus Tollens, e altri schemi argomentativi

p → q,p ⁄− q (Modus Ponens)

p→ q, -q ⁄− -p,ecc.). (Modus Tollens)

- La logica ar istotel ica si occupavasoprattutto dei rapporti tra i termini, cioètra le "categorie", definite da Aristotele i"diversi modi dell'essere" che trovanoespressione nei diversi tipi di termini del

linguaggio. Alla base del suo lavoro stava ladefinizione di predicazione: qualcosa sipredica di qualcos'altro quando due terminisi possono unire tra di loro: ad es. "uomo" e"mortale". Sulla base di queste ideeAristotele di dedicava alla teoria delsillogismo.

" S i l l o g i s m o " è sinonimo di"ragionamento"; la logica sil logistica

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presenta cri teri per determinare iragionamenti corretti, dando tutti gli schemi

corretti42 ; un esempio, lo schema dettoBARBARA, presenta due premesse e unaconclusione; il passaggio alla conclusione èpermesso da un termine comune tra le duepremesse (il termine medio):

tutti gli uomini sono mortalitutti i greci sono uomini--------------------tutti i greci sono mortali

Molte cose sono simili alla logicacontemporanea; i termini come "tutti" e

"qualche" (che determinano due tipi dienunciati, quelli "universali", validi pertutti gli individui di un insieme, e quelli"particolari", validi solo per una sottopartedi un insieme di individui) venivanoconsiderati come termini speciali; nonrappresentavano "categorie", ma eranotermini "sincategorematici" cioè terminiche servivano per unire in modo particolarele parti del discorso, i soggetti e i predicati.

Arriviamo qui al punto chiave delcambiamento della logica moderna rispetto a

quella aristotelica: la distinzione soggetto- predicato . Per Aristotele era centrale ladistinzione soggetto/predicato. In "tutti giuomini sono mortali", "uomo" è soggetto e

"mortale" è predicato.43

42 E' ovviamente utile avere idee chiare sullalogica sillogistica che ha occupato due millennidi storia. Diverse esposizioni riassuntive sitrovano sui manuali di logica; particolarmenteefficace è quella di Quine, Manuale di logica ,Feltrinelli, Milano (con la traduzione di silogisminei diagrammi di Venn)43La distinzione soggetto/predicato aveva un

ruolo essenziale anche nella metafisicaaristotelica: infatti serviva a determinarelogicamente la differenza tra individui ecategorie universali, in altri termini tra quelleche Aristotele chiamava "sostanze prime" e"sostanze seconde": le sostanze prime, la verasostanza del mondo, sono gli individui, le entitàindividuali; le sostanze seconde erano le specie,i cosiddetti "universali". Socrate, Platone, ilcavallo di Ippia erano sostanze prime. "Uomo","cavallo", ecc. erano sostanze seconde.Bignamizzando si può dire che questa è larivoluzione di Aristotele rispetto a Platone:

Questa visione del ragionamento eraosteggiata dagli stoici che sostenevano cheogni ragionamento dovesse essere posto informa ipotetica e che la vera forma logica dienunciati come "tutti gli uomini sono

mortali" non era quella che Aristotelecredeva. Molto più fini rispetto all'analisidelle strutture formali del pensieroastratto, alcuni logici stoici sostennero chela vera forma logica di "tutti gli uomini sonomortali" era: "se qualcosa è un uomo alloraesso è mortale". Mentre Aristoteleconsiderava l'enunciato un enunciatosemplice (internamente complesso), glistoici lo consideravano un enunciatocomposto di due enunciati semplici,"qualcosa è un uomo" e "esso è mortale". La

difficoltà degli stoici era che per essi laproposizione era un tutto unico, che nonpoteva essere scomposto (come "qualcosa èun uomo", che era accettato in modo analogoa "Socrate è un uomo"; non accettavano l'ideadi enunciati generali, perché gli enunciatirappresentano fatti, e sono quindisingolari). Quindi nn riuscivano a dare unarisposta soddisfacente alle analisi logichearistoteliche, pur avendo a disposizione lapossibilità di esprimere la forma generaledel sillogismo nel modo seguente:

se p allora q se qualcosa è un uomoallora è mortale

se r allora q se qualcosa è un grecoallora è mortale

Nessuna regola (del tipo Modus Ponens oModus Tollens ecc.) permetteva di trarreuna conclusione sensata da questa coppia di

enunciati44.

mentre per Platone la vera realtà è nelle idee,negli universali, per Aristotele la vera realtà è

nei particolari, negli individui, e gli universalihanno in qualche modo una realtà derivata(Aristotele oscilla chiamando a volte gliuniversali "esseri" o "enti" e a volte "dicibili";ciò non è rilevante al fatto che comunque sonodetti "secondi" rispetto alle più fondamentali"sostanze prime", gli individui).

44 Il Modus Ponens permetterebbe di farederivazioni del tipo: p ->q, p |- q. Ma in talmodo si giunge a concludere che qualcosa èmortale, posto che qualcosa sia uomo. Ma non sifa molta strada. Certo dire, invertendo l'ordine

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La notazione fregeana per la quantificazione La grande trovata di Frege permise lasoluzione di questo problema e permise diesprimere, secondo le idee degli stoici,

anche la struttura del si l logismoaristotelico. Non che Frege avesse letto glistoici. Le sue idee gli venivano soprattutto daBoole e dalla matematica del suo tempo. E quiarriviamo a ciò che permise a Frege diabbandonare la distinzione soggetto-predicato come distinzione fondamentaledella logica, per sostituirla con unadistinzione presa dalla matematica, ladistinzione funzione-argomento.

2. Frege: da soggetto/predicato a

funzione/argomento.

La grande svolta logica del '900 è lasintesi delle due tradizioni. La chiave perquesta sintesi è l'idea e la notazione fregeanaper la quantificazione. E questa a sua volta siregge sulla generalizzazione fatta da Fregeal concetto matematico di funzione. Sullascia della grande tradizione filosofica diCartesio e Leibniz, Frege lavora nelladirezione di un chiarimento della notazione

delle due premesse, "se p allora q" e "se qallora r" sembra portare alla conclusione "se pallora r", per la proprietà transitiva delcondizionale. Ma non vi era alcuna regola dellaproprietà transitiva del condizionale. E unaintuizione non può essere accettata dalla logicafinché non è fondata su precise regole. La nostraformula della implicazione sillogistica suonapressapoco così: "se ((p -> q) e (q ->r)) allora(p ->r)". A noi suona molto semplice, vistosimbolizzato in questo modo. Ed è di fatti unoschema di assiomi sillogistico (altri lo mettonopiù semplicemente: (p->q)->(q->r)->(p->r)). Mala mancanza di simboli adeguati rendeva difficileorganizzare una cosa del genere.

Una eco della sottigliezza della logicastoica (riscoperta a partire dal 1500) resta

anche nella logica settecentesca, dove siriconoscevano sillogismi ipotetici come: "se A èB allora C è D; ma A è D; quindi C è D". Oltre aquesti, veniva pensato come ipotetico anche ilsillogismo categorico (ma anche Aristotele avolte esprimeva il sillogismo in terminiipotetici). Il sillogismo categorico appare sottoforma ipotetica, cioè: "se tutti gli A sono B etutti i C sono A, allora tutti i C sono B". Maquesta è una forma generale per presentare lastruttura del sillogismo, non la struttura deisingoli enunciati universali. Ed era questo ilpunto chiave degli stoici.

matematica. Cartesio aveva inventato (conFermat) la geometria analitica, e Leibnizaveva inventato (con Newton) il calcoloinfinitesimale; Frege inventa la logicamatematica, generalizzando l'applicazione

del concetto di funzione matematica: unaoperazione solitamente interpretata sunumeri viene interpretata da Frege comeuna operazione che verte su ogni tipo disimboli. Una funzione potrà avere comeargomenti e valori ogni tipo di oggetti,denotati da nomi.In tal modo Frege riesce a mettere indisparte la centralità della distinzionesoggetto/predicato in logica. Un esempiomol to sempl ice aiuterà a capi rel'argomentazione di Frege.

- soggetto-predicato riguarda la grammatica, non la logica 

Cosa interessa al logico? La deduzione,l'inferenza logica, cioè quali conseguenze sipossono trarre da certe premesse. E'davvero rilevante a questo scopo ladistinzione soggetto/predicato?Prendiamo due frasi:"i greci sconfissero i persiani""i persiani furono sconfitti dai greci"Nella prima il soggetto è "i greci", nellaseconda il soggetto e' "i persiani". Chedifferenza fa per le conseguenze che sipossono trarre dalle due frasi? Nessuna.Dalle due frasi si possono trarre le stesseconseguenze. Quindi la distinzione soggetto-prediato non è rilevante per la logica.

- la scrittura funzione-argomento esprime la forma logica 

Occorre dunque distinguere forma logica eforma grammaticale. Qual'e' la forma logica

che accomuna le due frasi? Frege suggerisce:la forma logica è ben rappresentata dallastruttura funzione-argomento: la funzione è"sconfiggere", gli argomenti, in questo caso,i greci e i persiani, il valore, un valore diverità. Potremmo scrivere la funzione"sconfiggere" nel modo seguente:

Sconfigge (x,y) = {V,F}

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- la teoria del concetto e la quantificazione 

In tal modo per Frege i concetti e lerelazioni sono analoghi funzioni che hannoper argomenti oggetti qualsiasi (denotati danomi) e per valori valori di verità. Unconcetto, analogamente a una funzione, è unaentità insatura, che ha bisogno di esserecompletata da un oggetto.Il concetto uomo sarà inteso come unafunzione, "Uomo (x)", che darà come valoreil vero o il falso a seconda che al posto diargomento ("x") si sostituirà o meno unnome di uomo.

Intendere il concetto come entitàinsatura aiuta Frege a trovare la soluzionedel problema del sillogismo. Avevano ragionegli stoici a considerare le premesse delsillogismo come formule condizionali (deltipo "se qualcosa è un uomo, allora èmortale). Avevano torto nel considerare leproposizioni componenti come un tutto uniconon analizzabile. Si può "guardare dentro" ledue parti della premessa sillogistica, perchésono costituite da entità insature, analoghe afunzioni, cui è connesso un posto vuoto, unposto per una variabile. Occorre segnalarequesto con un segno speciale, il segno dellaquantificazione, che lega a sé tutto quello chepuò essere sostituito nel posto di argomentodei concetti su cui varia. La formulazioneseguente è il risultato:

Vx (Se Uomo(x) allora Mortale (x))

che si potrebbe scrivere semplificando unpo':

∀x (Ux → Mx)

e si può leggere come: "Per tutte le x, se x èun uomo, allora x è mortale".In questo caso U(x) e M(x) non sonoproposizioni vere e proprie, chiuse i sécome volevano gli stoici, ma, come siesprimerà Russell, funzioni proposizionali,

o, come si dice oggi, "formule aperte" 4 5

Una formula si dirà "chiusa" quando saràlegata a un quantificatore.

P(x) è una formula aperta

∀x P(x) è una formula chiusa

P(x) → ∀x P(x) è una formula aperta

∀x (Px → Qx) è una formula chiusa

3. Principio di contestualità eantipsicologismo

Nella introduzione a I fondamenti dell'aritmetica  (1884), Gottlob Frege definialcuni principi metodologici fondamentaleper la sua filosofia, e in particolare: (1)

separare sempre il logico dallo psicologico,il soggettivo dall'oggettivo; (2) cercare ilsignificato delle parole non isolatamente, manei loro nessi reciproci (3) manteneresempre la differenza tra oggetto e concetto. Iprimi due principi ebbero una grandeinfluenza nella cultura contemporanea, sianella fenomenologia (Husserl) che nellafilosofia analitica (Wittgenstein). Qui cisoffermiamo sul 2° princip io generale diFrege, che viene precisato in passisuccessivi dell'opera. Frege contesta un

atteggiamento comunemente condiviso daifilosofi moderni, quello di considerare comesignificato di una parola un'immagine orappresentazione (ingl.: idea; ted.:Vorstellung; fr. idée). Locke è forse il primoa esporre chiaramente questa posizione, main qualche modo questa è una posizione moltotradizionale in filosofia, che si può direrisalga a De Interpretatione  di Aristotele,dove Aristotele dice che le parole sono segnidelle affezioni dell'anima, cioè segni delleimmagini che ci facciamo delle cose. E', sipuò dire, una prima versione di quello cheviene usualmente chiamato "triangolo

semantico" o "triangolo semiotico"46:

45 Le funzioni proposizionali o formule apertecorrispondono così a quelli che Frege chiamava"concetti"- Nella terminologia fregeana inoltre iquantificatori sono essi stessi concetti "disecondo livello", che prendono come argomentinon oggetti, ma altri concetti).

46

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immagine

segno oggetto

Nel III libro del Saggio sull'intelletto umano , Locke riprende questo tipo di analisiparlando esplicitamente di "significato"("signification"). Dicendo che il significatodi una parola è una immagine mentale Lockecritica l'idea che il significato si identifichicon l'oggetto per cui la parola sta. E' dunquegià una posizione critica. Ma Frege obietta

che (a) le immagini mentali possono esserediverse da persona a persona, sonosoggettive e non possono fungere dasignificati condivisi dai parlanti (b) a voltenon abbiamo effettive rappresentazioni delcontenuto di una parola (come per certeparole astratte), ma il non collegare unaparola con un'immagine non impedisce ce leattribuiamo un significato. Se ne concludeche il significato di una parola non èun'immagine mentale, e che l'errore èchiedere del significato considerando leparole isolatamente. Occorre inveceprendere in esame sempre enunciaticompleti; "solo in essi, a rigore, e parolehanno significato" (Frege, Fondamenti , §60).

Questo principio fregeano è statochiamato da autori successivi "principio dicontestualità" o "principio del contesto"("context principle") ed ha dato luogo amolte discussioni. Innanzitutto Frege nonaveva ancora elaborato la distinzione trasenso e riferimento  (Sinn e Bedeutung ) ,che diverrà centrale nella sua filosofia; e

non è del tutto chiaro cosa intenda qui Fregecon la parola "Bedeutung", che abbiamotradotto genericamente con "significato". Stadi fatto che Frege richiama la centralitàdell'enunciato come punto di partenza di ogni

Usuale nella discussione semiotica, la figura deltriangolo semantico è stata introdotta per laprima volta da Ogden-Richards, The meaning of meaning (1921?).

analisi del linguaggio. Il linguaggio non è uninsieme di parole, ma un insieme dienunciat i ; come dirà Wittgenstein,l'enunciato è la mossa minima di un giocolinguistico. Queste riflessioni generali si

rispecchiano anche nella visione dilinguaggio dato dalla logica: si ha unlinguaggio quando, dato un vocabolario eregole di formazione, posso costruireformule ben formate, cioè enunciati delinguaggio.

L ' incip i t del T r a c t a t u s  diWittgenstein richiama questa centralitàdell'enunciato, sostenendo che "il mondo ètutto ciò che accade, la totalità dei fatti, nondelle cose". Parlare di totalità dei fatti vuoldire parlare di totalità degli enunciati veri.

Per descrivere il mondo non bastaconoscere gli oggetti, ma conoscere il modoin stanno in relazione tra di loro.Wittgenstein avrebbe, nelle sue operesuccessive, radicalizzato i l principiofregeano di contestualità fino a sostenereche il significato di una parola è il suo "usonel l inguaggio". Questa posizionewittgensteiniana è una espressione non solodi una sua interpretazione e sviluppo delprincipio fregeano, ma anche di unan t i ps i co log i smo rad i ca le , e rededel l 'antipsicologismo fregeano (bastipensare che Wittgenstein svi luppaampiamente argomenti analoghi a quelli difrege per mostrare che le immagini mentalipossono variare da persona a persona, oessere comunque interpretate in modidifferenti).

Detto in forma molto generale ilprincipio di contestualità sostiene dunqueche il significato di una parola dipende dalcontesto dell'enunciato in cui la parola èinserita. Espresso in tal modo pare evidenteche vi sia una certa tensione con il principio

di composizionalità, che sostiene che ilvalore semantico di un enunciato dipendedalle parti componenti. I due principirichiamano temi molto discussi nellatradizione filosofica, dal contrasto traanalisi e sintesi, dal problema del rapportoparti-tutto (il tutto è solo la somma delleparti o qualcosa di più?). Qui basti l'averrichiamato il problema.

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II Basi Logiche elementari 

1. Sistemi assiomatici:linguaggio e calcolo

Una delle idee principali di Leibniz èla distinzione tra lingua universale e calcolocombinatorio; in terminologia attuale è ladifferenza tra linguaggio e calcolo di unsistema formale. Un sistema formale, una"logica" è di per sé universale, cioèapplicabile in linea di principio a qualsiasit ipo di enunciat i l inguist ici . Come

nell'algebra le lettere possono esseresostituite da numeri, così in logica le letterepossono essere sostituite da espressionilinguistiche, parole e frasi. La struttura diun sistema formale assiomatico come vennesviluppato agli inizi del '900 si puòschematizzare così:

LINGUAGGIO CALCOLO

vocabolario: assiomi:

dà gli elementi base alcuni enunciati scelti

per formare enunciaticome punti di partenza

del linguaggio di tutto il sistema

regole di regole di

formazione: trasformazione:

regole che danno, regole che permettono

dal vocabolario, di passare dagli assiomi

infiniti enunciati  ad altri enunciati detti

(atomici e composti) teoremi

Un sistema logico è un po' come una

macchina che prende in input assiomi e dà inoutput teoremi. Diamo ora un'idea moltoapprossimata di cosa si intende per"linguaggio" e per "calcolo".

La logica ha contribuito a creare unnuova definizione di linguaggio, ripresa poidalla l inguistica contemporanea: unlinguaggio non è un qualsiasi insieme disimboli o un insieme di parole; esso è un

insieme potenzialmente infinito di frasi oenunciati. Esso è costituito da un vocabolarioe da regole per la formazione di enunciati. Ilvocabolario è costituito da un insieme finito

di simboli47 , e la caratteristica "creatività"del linguaggio, come si esprimerà Chomskyin anni recenti, è la capacità di costruire uninsieme potenzialmente infinito di frasi apartire da un insieme finito di simboliiniziali. Per capire come funziona unlinguaggio non basta avere un elenco diparole; è necessario capire come vengonoformate le sue frasi.

2. tavole di verità,tautologia, contraddizione

Aristotele definì il campo della logicacome il discorso apofantico, cioè il discorsoveritativo: ciò che interessa al logico sono leproposizioni dal punto di vista della loroverità (in contrasto, ad es. con il punto divista del suono, della bellezza, della forzapersuasiva, ecc.). Questo punto di vistatradizionale si è mantenuto in tutta la storiadella logica fino ad oggi. In particolare, apartire da Frege e Wittgenstein, si usainiziare lo studio della logica con lo studiodelle "tavole di verità" ovverossia con lo

studio delle forme più elementari diconnessione "verofunzionale" tra enunciati.Gli enunciati si possono combinare indiversi modi. Le parole con cui leghiamo tradi loro gli enunciati sono chiamate"connettivi" (o "connettivi enunciativi").

I connettivi enunciativi sono dinumero fissato, relativamente al numerodelle proposizioni che li compongono. FuWittgenstein tra i primi a mostrarechiaramente questo aspetto essenziale,facendo ricorso alle tavole di verità. Per unaproposizione data vi sono 4 possibili

combinazioni di verità e quindi 4 possibiliconnettivi; per due proposizioni date, vi

47 Questo non vale nel caso dei sistemi logici,che hanno bisogno almeno di un numero infinitodi variabili (contrassegnate con numerinaturali). Si intenda qui per vocabolario, ilvocabolario dei termini descritt ivi dellinguaggio (costanti individuali e predicative)corrispondenti alle voci del essico particolare diuna lingua.

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sono 16 possibili combinazioni di valori diverità, e quindi 16 possibili connettivi.(Basta però, in linea di principio, un soloconnettivo per esprimerli tutti, oppure unacoppia di connettivi, il "non" più un

connettivo biargomentale come "se allora" -come fa Frege- oppure la "o" - come faRussell).

p 1 2 3 4

V V V F FF V F V F

pq

VV V V V V V V V V F F F F F F F FVF V V V V F F F F V V V V F F F FFV V V F F V V F F V V F F V V F FFF V F V F V F V F V F V F V F V F

Per facilitare la lettura di questa tavola sipuò analizzare ogni singola colonna nel modoseguente; prendiamo ad es la colonna numero8:

pq

(1) VV V(2) VF F(3) FV F(4) FF F

Si può leggere in questo modo: siano p e q dueproposizioni qualsiasi (ad es. “piove” e“nevica”). Si hanno quattro possibilità oquattro situazioni possibili: (1) che p e qsiano entrambe vere, cioè piove e nevica(2) una vera e una falsa, cioè piove ma nonnevica (3) una falsa e una vera, cioè nonpiove ma nevica (4) entrambe false, cioènon piove e non nevica.Diciamo che la tavola di ver ità n° 8rappresenta il caso in cui valgono insieme pe q. Si può dire che “p & q” (ad es. “piove enevica”) è una proposizione composta di dueproposizioni; il suo valore di verità dipendedal valore di verità delle proposizioni

componenti: “p & q” è vera solo nel caso chesia vera p e sia vera q, falsa in tutti gli altricasi. Si può anche dire che la tavola diverità dà il significato del connettivo &(“e”).

Un ragionamento analogo si può fareper tutte le altre colonne della tabella: sipossono notare la prima e ultima colonna(tautologia e contraddizione), la quarta e lasesta ove si producono le tavole delle lettereproposizionali iniziali, p e q, e la 11 e la 13che riproducono la loro negazione. Restanoaltri 10 connettivi, tra cui richiamiamo 2(la tavola dalla "o"), 5 (la tavola del"se...allora", detto anche "solo se"), 8 (latavola della "e"), 9 (tavola del NAND, cioè"non+e"), 15 (tavola del NOR, cioè

"non+o") e il 10, la "o"alternativa (aut).Tra le tavole di verità si notino

ancora la prima e l'ultima: tautologia econtraddizione. Il termine "tautologia",inteso come enunciato sempre veroindipendentemente da come stanno le cose nelmondo, nasce con il T r a c t a t u s   diWittgenstein e si impone nella logicacontemporanea. Tautologia (p v -p) econtraddizione (p & -p) sono, come abbiamovisto, sempre vere e sempre false. Letautologie sono "leggi logiche"; ad esempio leequivalenze di connettivi risulterannotautologie. Fare la prova con

(p → q) ↔ (-p v q)(traduzione del condizionale in "non" ed "o")(p v q) ↔ -(-p & -q)

(legge di demorgan)(p &q) ↔ - (-p v -q)

(legge di demorgan)...

3. Linguaggio

Lasciando in sospeso la struttura

degli enunciati elementari o "atomici",pietre costitutive del nostro linguaggio,possiamo vedere la struttura generale dellinguaggio guardando come si formano glienunciati "molecolari". Per semplicitàaccetteremo nel nostro linguaggio diversiconnettivi (ma basterebbe il NAND o il NORper definirli tutti). Abbiamo così unavisione un po' più concreta di cosa si può

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intendere per linguaggio di un sistemaformale: un vocabolario finito di simblialcune regole di formazione degli enunciatidel nostro linguaggio, che chiameremo qui"formule ben formate". Avremo quindi:

LINGUAGGIO

vocabolario:

lettere enunciative

connettivi -, &, v, → , ↔

regole di formazione di fbf

se α è una fbf allora -α è una fbf

se α e β sono fbf, alloraα & β, α v β, α → β, α ↔ β è una fbf.

(usiamo le lettere greche per indicare una

qualsiasi proposizione)

- niente altro è una fbf

Linguaggio predicativodel primo ordine

Abbiamo visto finora come si possono

comporre gli enunciati di un linguaggio percostruire enunciati sempre più complessiattraverso i connettivi. Ma quale è lastruttura degli enunciati semplici? Ineopositivisti distinguevano due tipi dienunciati, quell i "atomici" e quell i

"molecolari"48 ; gli enunciati atomici eranotali che non potevano essere analizzatiulteriormente (e discussero a lungo sullaforma che dovevano avere tali enunciati:enunciati puramente sensoriali - su dati disenso - o enunciati su fatti fisici? Il

linguaggio doveva essere fenomeologico efisiclista? Il logico è interessato solo fino aun certo punto a questo dibattito; esso infatti

48 E' un'idea ricorrente anche in linguistica;l'esigenza di ditinguere enunciati semplici ecomposti è stata espressa ad es. dal primoChomsky con la distinzioe tra "frasi nucleari"della lingua e frasi che risultano essere effettodi trasformazioni. In tal modo Chomsky dava unruolo centrale alle frasi dichiarative attive.

non riguarda la forma logica degli enunciatiatomici, che viene definita secondo canoniprecisi, indifferente alla loro eventualeinterpretazione filosofica.

La logica, nel presentare la struttura

interna delle proposizioni, la loro formalogica, mette infatti tutti gli enunciatisemplici nel letto di Procuste delladistinzione di termini singolari (nomipropri o descrizioni definite) e predicati(aggett iv i , verbi int ransi t iv i , verbitransitivi) e quantificatori (espressionicome "tutti" e "qualche"). Useremo lettereminuscole per termini singolari, letteremaiuscole per predicati e segni speciali peri quanti f icatori . Formal izzeremo gl ienunciat i sempl ic i , senza e con

quantificatori, come segue.:

- enunciati semplici senza quantificatori:

-Adele è pazza: Pa

- Giorgio corre Cg

-Ada ama Beatrice Aab

- enunciati semplici con quantificatori:

- sono tutti pazzi! : Vx Px

(per tutte le x, x è pazzo)

- non ci sono pazzi: -ExPx

(non esiste alcuna x tale che x è pazzo)

(o: per nessuna x, x è pazzo)

- qualcuno è saggio: Ex Sx

(per qualche x, x è saggio)

(o: esiste almeno un x che è saggio)

- tutti amano qualcuno: VxEy Axy

(per tutte le x, esiste almeno un y

tale che x ama y)

Abbiamo così un insieme di enunciati

semplici, che si costruiscono con regoleprecise a partire dal vocabolario di basecostituito da segni per termini singolari,

predicati e quantificatori. 49

49Possiamo subito vedere che si mantengono leintuitive relazioni tra "tutti", "qualche" e"nessuno":

tutti sono non pazzi

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Ricordiamo che "fbf" vuol dire"formula ben formata"; qui adottiamo laconvenz ione t i p i ca de l l a l og i cacontemporanea per cui una formula benformata può essere sia un enunciato

completo (come Pa, VxPx, ecc.), sia unafunzione enunciativa (come P(x), Vx(Px&Qy), Pa → Qx, ecc.) che non può ancoraessere considerata un enunciato (cioè ad essanon si può ancora attribuire un valore diverità).

Per semplicità inoltre useremo solocostanti predicative a un posto (monadiche).Il calcolo dei predicati de primo ordinelimitato ai predicati monadici corrispondealla logica aristotelica e d è decidibile (cioè,dato un qualsiasi enunciato, è sempre

possibile decidere in un numero finito dipassi, se è vero o falso).

LINGUAGGIO:

vocabolario:

costanti individuali a,b,c...

variabili individuali x,y,z...

costanti predicative P,Q,R

connettivi -, v, →

quantificatori V

regole di formazione di fbf

- se P è una cost. predicativa e a una cost.individuale, allora Pa è una formula

- se α è una formula, allora anche- α è una formula

- se α e β sono formule, allora ancheα v β , α → β sono formule

- se α è una formula e x una variabileindividuale, alora Vxα è una formula

- nient'altro è una formula

nessuno è pazzo(non esiste alcun pazzo)

Vx-Px -ExPx

Le due formule si possono leggere come: "pertutti gli x, x non è pazzo" e "non si dà il casoche per qualche x, x sia pazzo" (o "non esistenemmeno un x, tale che x è pazzo).

4. calcolo (apparato deduttivo)

Come ricordava Frege nel laIdeografia (1879) si possono dare diversi

sistemi di assiomi, cioè di principi assunticome validi da cui derivare tutti gi infinititeoremi del calcolo. Questi principi sonotratti dagli enunciati del nostro linguaggio(formule ben formate) e corrispondono atautologie (sono cioé sempre veri, veri inqualsiasi circostanza o mondo possibile -vedi par. successivo).

Dai principi o leggi logiche vengonodistinte le regole di inferenza, o regole ditrasformazione, che permettono di passaredagli assiomi ai teoremi. La distinzione

leggi/regole è stata elaborata rigorosamenteper la prima volta da Frege nella suaIdeografia  del 1879; negli stessi anni LewisCarroll, autore di Alice nel Paese delle M e r a v i g l i e  , si poneva problemi cherichiedevano questa distinzione, con unfamoso apologo su Achille e la tartaruga (dicui nel 1995 ricorre i l centenario,festeggiato da "Mind" con un numerospeciale). Le regole d'oro dei calcoli logiciassiomatici classici sono la Regola diSeparazione (o Modus Ponens) e la Regola diSostituzione. Nell'esempio che segue gliassiomi sono quelli usuali in molti sistemilogici; i primi due sono i primi due assiomidel sistema dell'Ideografia fregeana e il terzoè derivato dalla formulazione abbreviata diLuckasiewivz1921 (che dimostra come irestanti assiomi proposizionali di Fregesono riducibili, ovvero derivabili dai primidue più questo terzo).

Si noti che Frege usa come base diconnettivi "non" e "se...allora". Russelluserà "non" e "o". Hilbert proporrà uninsieme di assiomi più ricco per la facilità

della deduzione logica.

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CALCOLO

assiomi (o leggi logiche)

1) A → (B → A)

2) A → (B → C) → ((A → B) → (A → C))

3) (-A → -B) → (B → A)

4) Vx Px → Pt

5) Vx (A → B) → (P → VxQ)

regole di trasformazione

(regole di inferenza)

MODUS PONENS: GENERALIZZAZIONE

A → B

A A

------------ ----------------

B Vx A

La lettura intuitiva degli assiomi èla seguente:1) se A è un enunciato vero, allora èimplicato da qualsiasi enunciato B.2) se l'implicazione di C da B dipende daA, allora se A implica B, A implica anche C3 ) se dalla falsità di A si deriva lafalsità di B, allora se B e' vero anche A saràvero.

4) se un predicato vale per tutti gliindividui, vale per uno preso a piacere.

Esercizio : verificare che le primetre leggi logiche sono tautologie, cioè semprevere, usando la tavola di verità delcondizionale e della negazione.

La lettura intuitiva delle regole : ilModus Ponens dice: se è verc che A implicaB, ed A è vero, allora anche B è vero. Lalet tura intu i t iva del la regola d i

generalizzazione dice che, se un qualsiasienunciato A è vero, allora esso è vero pertutti gli individui, ovvero per qualsiasisostituzione delle variabili vincolate alquantificatore universale. Ad esse vaaggiunta la regola di sostituzione: all'internodi una formula si può sosti tuireuniformemente un simbolo con un altro.

Esercizio : verificare la validità delModus Ponens  tramite la tavola di verità delcondizionale.

5* Dimostrabilità (sintassi)e Validità (semantica)

Compito primario del calcolo logico èderivare formule da formule attraverso leregole date. Si usa oggi distinguere traaspetto sintatt ico  ( d e r i va b i l i t à e

dimostrabilità) e aspetto semantico  (veritàe conseguenza logica). La visione piùtradizionale (aristotelica) era fortementesemantica: lo scopo ultimo della logica erapreservare la veri tà attraverso i lragionamento; ma questa era la applicazionedella logica alla scienza; la logica comestrumento doveva solo dare la struttura delragionamento corretto, a prescindere dallaverità delle premesse.

| - derivabilità da un insieme di premesse(o da zero premesse: dimostrabilità:

(teoremi)

|= conseguenza logica da un insieme diverità (o dai soli assiomi: validità)(tautologie)

Diversi calcoli e formalismi si sonosviluppati dopo la nascita della assiomaticaclassica (che risale a Frege, Hilbert eRussell). A partire dagli anni '30 si sonoinoltre sviluppati gli studi metalogici, cioègli studi sulle proprietà teoriche dei sistemi

formali, e si sono dimostrati i primiteoremi metalogici: fondamentali i teoremidi completezza e correttezza di CPI chemostrano la interrelazione tra sintassie semantica

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se una formula è derivabile  a partire da uninsieme X di premesse, o è dimostrabile dagli assiomi(è un teorema) allora èconseguenza logica dell'insieme X dipremesse o dei soli assiomi (è una

tautologia, è una formula valida)

CORRETTEZZA X |- A => X |= A

CORRETTEZZA FORTE |- A => |= A

e viceversa se una formula è unaconseguenza logica di un insieme X dipremesse (o dei soli assiomi: tautologia),allora è derivabile da quell'insieme X dipremesse (o dimostrabile dai soli assiomi: èun teorema).

COMPLETEZZA X |=A => X |-A(o validità)

COMPLETEZZA FORTE |=A => |-A

Non ci occuperemo di queste questionidi pertinenza della logica. Ci limitiamo adaccennarne per richiamare almeno alcuneidee elementari di metalogica. Il teorema dicompletezza vale per il calcolo dei predicatidel primo ordine (Gödel 1931); il teorema

di completezza non vale però per i calcoli deipredicati di ordine superiore, chequantificano su proprietà (questo risultato èdato dal famoso "teorema di incompletezza diGödel").

U l t imo da to r i l evan te : l ad e c i d i b i l i t à . Un sistema formale èdecidibile se, data una formula a piacere, sipuò concludere in un numero finito di passise essa è vera o falsa. Il calcolo enunciativo èdecidibile; il calcolo dei predicati del primoordine con identità non è "decidibile"(teorema di Church); ma sono decidibili suesottoparti, come il calcolo dei predicatimonad ic i , che co r r i sponde a l l aformalizzazione del sillogismo aristotelico.

6 . Principio dicomposizionalità

Una volta accennato al funzionamentodel calcolo logico è facile capire il principio

base che lo regola, il principio dicomposizionalità o principio di Frege.chiamiamo "valore semantico" il valore cheun simbolo assume nel calcolo quando vieneinterpretato (un simbolo di enunciato avràcome valore un valore di verità; i simboliper termini individuali avranno come valoreoggetti e i simboli per predicati avrannocome valore classi). E' facile vedere che ilvalore semantico del tutto dipende dal valoresemantico delle parti di cui è composto.- Il valore di verità di un enunciato

composto dipende dal valore di verità deglienunciati componenti, come abbiamo vistodalla definizione delle tavole di verità.- Il valore di verità di un enunciatosemplice dipende dal valore semantico deglielementi componenti: Pa sarà vero sel'oggetto a appartiene alla classe P e saràfalso se l'oggetto a nn appartiene ala classeP. Torneremo su questo punto nella 9lezione.

Il principio di composizionalitàdiviene un principio importantissimo inlogica, filosofia della scienza e filosofia dell inguaggio: è un requisi to minimoindispensabile per parlare di un sistemaformale; se venisse a mancare lacomposizionalità, un sistema formale nonsarebbe più tale e ogni ideale di applicazionedella logica alle teorie scientifiche eall'analisi del linguaggio diverrebbe unprogetto illusorio e impraticabile. Vedremoche molti dei problemi della filosofia dellinguaggio derivano dalla difficoltà di avereun sistema logico in cui il principio dicomposizionalità valga generalmente per

tutte le applicazioni del sistema.

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7. Nota su Chomsky

Presentiamo qui di seguito l’idea basedi Chomsky come una applicazione delloschema generale di un sistema assiomatico

(dato più sopra) applicato alla linguistica.Sperando che questo modo inusuale dipresentazione aiuti a cogliere l’importanzache ha avuto lo sviluppo della logica nellaformazione delle idee originarie di Chomsky,ricordo che non è esattamente questo il modopresentato da Chomsky stesso, ma unalettura del libro del ‘56 non potrebbe chericonfermare l’impressione di questa fortesimilarità di impostazione.

Immaginiamo di avere un sistemaformale con assiomi specifici e regole

specifiche della linguistica. Facciamo unaipersemplificazione, pur sapendo che leregole e i l vocabolario dovrebberoovviamente essere molto più ricchi.Ripresentiamo lo stesso schema presentatonell’appendice (p. 000) a proposito deisistemi formali della logica:

LINGUAGGIO CALCOLO

vocabolario: assiomi:

simboli  FRASI NUCLEARInon terminali: 

F, SN, SV

N, V , Art

simboli terminali :

bimbo, mangia,

mela, il, la

regole di regole di

formazione: trasformazione:

(riscrittura)

F → SN + SV (X - V attivo - Y)

SN → Art + N →

SV → V + SN (Y - V pass. - da X)

N → bimbo, mela

Art → il, la

V → mangia

Questo modo di presentazione un po’ inusualedovrebbe rendere facile la comprensione

delle componenti elementari del sistemaoriginario di Chomsky: egli presentaqualcosa di analogo a un sistema formale ilcui vocabolario è costituito dalle vocilessicali e dai simboli teorici (F sta per

Frase, SN = sintagma nominale, SV =sintagma verbnale, V = verbo, N = nome,Art = articolo). Le regole di formazionedelle frasi vengono date per composizione ditali elementi fino a giungere alle vocilessicali. Le frasi così composte vengono aformare l’insieme delle frasi nucleaari dellalingua. Da tale insieme di frasi si possonoricavare, con opportune regole ditrasformazione (chiamate così da Chomsky)vari tipi di frasi complesse (interrogative,passive, relative, frasi composte, ecc.).

L’esempio elementare da noi propostopotrerebbe facilmente a una frase come:

il bimbo mangia la mela

che può venire rappresentata da un alberosintagmatico di questo tipo

F

GN GV

Art N V GN

Art N

Il bimbo mangia la mela

L’albero sintagmatico è una presentazione

sintetica di una serie di regole di riscrittura(si lascia il facile esercizio al lettore). Aquesta frase si può applicare la regola ditrasformazione del passivo, sostituendo “Ilbimbo” al posto della X e “la mela” al postodella Y. La trasformazione dice che se duesegmenti linguistici sono intercalati da unverbo transitivo attivo essi si possonoinvertire, sostituendo la forma verbale

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all’attivo con una forma verbale al passivoseguita dalla preposizione “da”. Latrasformazione darebbe:

la mela è mangiata dal bimbo.

Lo schema originario chomskyano ha subitonel tempo numerose modifiche, ma alcuneidee fondamentali sono rimaste ferme:- l’idea di una struttura di base

sintattica che serve da inserzione perla interpretazione fonetica esemantica.

- l’idea di meccanismi innati chepermettono l’acquisizione dellalingua.

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III Basi Filosofiche elementari 

1. Filosofia e Storia dellaFilosofia

La visione standard presentata damolti manuali liceali di storia della filosofiamoderna e contemporanea è la seguente: lafilosofia del seicento si divide in due grandibranche, gli empiristi (Locke, Berkeley,Hume) e i razionalisti (Cartesio, Spinoza,Leibniz). I primi sostengono che le ideederivano dall'esperienza, i secondi che leidee sono innate. La contrapposizionefrontale tra le due correnti trova una sintesiin Kant, per cui condizione necessaria per laconoscenza è avere elementi che derivano sia

dall'esperienza che da qualcosa di innato - lecategorie a priori. Dopo Kant la filosofia sisviluppa nell'idealismo tedesco (Fichte,Shelling, Hegel) e nella riscoperta dellastoria. Dopo la sintesi hegeliana ci troviamodi fronte a due contrapposizioni, chevariamente si intrecciano nella filosofiacontemporanea:

1) la sintesi hegeliana ha costretto iltema dell'individuo e assunto quello dellatotalità. Il punto di vista della totalità è

ripreso, capovolgendo l ' impostazionehegeliana, nell'analisi della totalità delsistema economico-sociale (Marx e la suoladi Francoforte). Il punto di vista dellaindividualità è ripreso da Kierkgaard edall'esistenzialismo, che porta nuovavitalità alla filosofia (specialmente allafilosofia francese). [Questo schema è assuntoper es. da Löwith in Da Hegel a Nietsche ]

2) da temi kantiani e cartesiani sisviluppa la tematica della coscienza e dellacostituzione del mondo degli oggetti inHusserl , u l t imo grande pensatoresistematico e fondatore della fenomenologia.A partire da Dilthey (scienze della natura escienze dello spirito) si sviluppa invece laprospettiva ermeneutica (la filosofia èinterpretazione) che inizia con la reazionedi Heidegger a Husserl e sfocia nel pensierodi Gadamer (e altri contemporanei comeRicoeur e Derrida).

Questo quadro dà una buonaapprossimazione delle vicende dellafilosofia. Ma vedere solo questo quadro puòessere fortemente fuorviate. Anche perchélascia fuori ampi settori della filosofia

europea (non parliamo di quella americana oasiatica). Solitamente si fa un cenno aineopositivisti come a coloro che hannocombattuto la metafisica assumendo un puntodi vista metafisico, e ci si sbarazza di questacorrente di pensiero come tutto sommatosecondaria nello sviluppo della filosofiaeuropea. In effetti prima di Hitler, ineopositivisti erano una forza centrale delpensiero filosofico europeo, e dettavano itemi di discussione a molti f i losofi(Heidegger compreso). Durante il nazismo,

la maggior parte dei neopositivistiemigrarono negli Stati Uniti e diedero unapporto fondamentale al la f i losofiaamer icana, a l lo ra dominata da lpragmatismo. Ma questo passaggio ebbe uneffetto decisivo sulla filosofia europea: dauna parte Heidegger ebbe una enormeinfluenza nel determinare i temi, lo stile ela tonalità della filosofia europea comeermeneutica filosofica; dall'altra l'unicaalternativa a Heidegger, ol tre lafenomenologia, rimase per lungo tempo solola scuola più attenta alle tematiche sociali,come la scuola di Francoforte. Si potrebbeschematizzare: la filosofia si legava da unaparte alla poesia (Heidegger) dall'altra alla

politica (Scuola di Francoforte)50.

E' possibile dare quadri alternatividello sviluppo della filosofia moderna econtemporanea? Ve ne sono diversi sulmercato, da quello di Rorty, a quello diHacking a quello di Tugendhat, per fare trenomi di autori tradotti in italiano51. Non vi è

50 In Italia la "ideologizzazione" della filosofiafu un fenomeno ancora più pervasivo. Vedi ilbreve saggio di Marconi sull'Indice  di ottobre1995.51 J. Hacking, Linguaggio e filosofia (1975),Cortina, Milano 1994; E. Tugendhat,Introduzione alla filosofia analitica (1976) ,Marietti, Genova, 1989; R. Rorty, La filosofia e lo specchio della natura (1979) , Bompiani,Milano 1986. Dei tre libri il primo mostra ladifferenza tra la discussione sulle "idee"dell'empirismo inglese e la discussioni sui

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una storia della filosofia neutra: ogni storiadella filosofia porta con sé presuppostifilosofici e punti di vista privilegiati. E ognifilosofo si confronta, almeno in parte, con ipensatori che lo hanno preceduto e ha la sua

peculiare prospettiva storica. Per questo èutile accennare a una prospettiva storica,che spiega perché ci si concentra su certiautori invece che su altri o su certi temiinvece che su altri. A volte é solo questionedi gusti: si trovano alcuni autori piùcongeniali, alcuni temi più vicini ai propriinteressi culturali, chi ama l'arte o laletteratura, chi si occupa di scienza ematematica. Altre volte è qualcosa didiverso: si presenta una certa prospettivaperché si ritiene più utile per capire la

successione degli eventi intellettuali (legrandi idee, le grandi teorie, le grandisintesi), la situazione attuale del dibattitoculturale e le prospettive future dellenostre idee (e dei lavori ad esse legati, ad es.il lavoro del filosofo). E si dannoargomentazioni a favore di una prospettivacontro un'altra o quantomeno per mostrarecome una prospettiva includa l'altra comesua sottoparte.

"significati" della filosofia analitica classica pergiungere a una visione della filosofia incentratasul linguaggio, ma non sui significati. Rorty èmolto influenzato dal libro di Hacking e presentauna storia della filosofia in cui la filosofiamoderna incentrata sull'epistemologia (teoriadella conoscenza) è un'illusione. La ricerca dellagiusta rappresentazione del mondo è unopseudoproblema e la filosofia come la base chedetta le condizioni di conoscibilità di ogniscienza è un mito da distruggere. Ogni pretesafondazionalista (giustificare la conoscenza) è daabbandonare. Meno distruttivo è il libro di

Tugendhat che trova una continuità di fondo trala filosofia analitica contemporanea e latradizione aristotelica, e vede in particolarenella semantica formale l'erede della vecchiaontologia. Per diversi modi di intendere lastoria della filosofia vedi ad es. R. Rorty, "Lastoriografia filosofica. Quattro generi difilosofia", in G. Vattimo (a cura di) Fi losof ia '87, Laterza, Bari 1988. Un punto di vistamolto amante dell'approccio storico in filosofiae' P.Rossi, "Filosofia e storia della filosofia" inP.Rossi (a cura di), Filosofia , 3 vol., UTET,Torino 1995.

2. Storia della filosofia:logica e linguaggio

Una prospettiva di lettura dellastoria della filosofia è quella che dà unrilievo centrale alle sorti della logica e alleriflessioni sul linguaggio. Le riflessioni sullinguaggio sono nate assieme alla filosofia(Platone e Aristotele sono due esempi difi losofi che discussero a lungo eapprofonditamente del linguaggio) e hannoaccompagnato, sotto diverse forme, il suosviluppo. Dico "sotto diverse forme" perché,ad es. nel medio-evo europeo, la discussionesul l inguaggio è fondamentalmente

inquadrata sotto la discussione dellagrammatica e della logica del linguaggiocomune alla comunità dei filosofi: il latino(abbiamo una eco di questa importanza nelrilievo dato al "latino" e alla sua sintassilogica nelle scuole medie e licei classici diun tempo); molte discussioni sul linguaggiosi trovano nei filosofi del '600, da Locke, aCartesio, Lamettrie, Condillac (e molto si èdiscusso sul rapporto tra linguaggio erazionalità, sul linguaggio come carattereche distingue l'uomo dagli animali). Inoltreun forte interesse per il linguaggio si èsviluppato in ambito idealista (Harmann,Reinhold, Von Humboldt) pur senza averegrandi effetti sulla filosofia successiva (aparte alcune idee humboldtiane riprese daChomsky).

Ma non è di queste diverse riflessionisul linguaggio che voglio occuparmi qui.Voglio occuparmi piuttosto sullo strettolegame tra analisi logica, analisi dellinguaggio e analisi filosofica che, iniziatocon Aristotele, è proseguito per tutto il

medio-evo per perdersi nell'età moderna. Ilprimo problema che mi pongo è il seguente:perché si è spezzato questo legame? Perchél'analisi del linguaggio e l'analisi logica haperso quel ruolo centrale in filosofia che haavuto per la maggior parte della storia dellafilosofia occidentale. Per quasi 2000 anni ifilosofi, dopo Aristotele e gli stoici, hannoposto al centro o alla base della loro

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riflessione la logica, nata dall'analisi dellinguaggio comune come strumento di aiutoper le argomentazioni e per lo studio dellediverse parti della filosofia (etica, fisica,metafisica). La scoperta del nuovo mondo,

l'importanza data alle tecniche e allosviluppo di un metodo sperimentale ebberoun impatto enorme sulla immagine delmondo dei filosofi. La crisi della cosmologiaaristotelico-tolemaica non è che un segno diuno sconvolgimento culturale che richiedevaun rinnovamento intellettuale che la vecchiaclasse di "chierici" imbevuta di culturascolastica non poteva reggere52. Dagli inizidel '500 alla fine del '600 si realizza quellarottura con la tradizione della logicascolastica che voleva inquadrare ogni

conoscenza entro le ristrettezze delsillogismo aristotelico. I casi più esemplarisono Cartesio e Locke. Entrambi sono astretto contatto con la scienza moderna;Cartesio addi r i t tura dà contr ibut ifondamentali al la formulazione dellageometria analitica; Locke si presenta comeuno studioso di Boyle e delle nuove vedutedella fisica moderna. Entrambi sono i fautoridi un nuovo metodo della conoscenza, che nonsi basi su sterili sillogismi, ma nasca da unostudio del le idee e sul la visionemeccanicisica del mondo53 (sia Locke cheCartesio sono fautori della visionemeccanicistica; è interessante ad es. vederela somiglianza delle loro analisi della luce edei colori, fatte da Cartesio nella Diottrica (1637 ) e da Locke nel Saggio sull'intelletto umano (1690), pubblicato tre anni dopo iP h i l o so p h ia e n a t u ra l i s p r i n c ip i a  mathematica di Newton. Per Cartesio il verometodo è la ricerca di idee chiare e distinte.Per Locke il problema è mostrare comenascono e si sviluppano le idee. Il centrodella rif lessione fi losofica diviene i l

52 L'importanza della rivoluzione provocata dalpassaggio dalla teoria tolemaica a quellacopernicana è presentato e sottolineato in moltimanuali, e in particolare dal piccolo classico diKuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche Diversi volumi prendono questo classicoesempio di rivoluzione come materia e di analisi53 Si può vedere il classico Dijksterhuis, I l meccanicismo e l'immagine del mondo (1951),Feltrinelli, Milano 1971, specie su Galileo,Cartesio e Newton.

problema della corretta rappresentazionedel mondo da parte delle idee. La ricerca delmetodo per la conoscenza del mondo esternodiviene il centro della riflessione filosofica.L'epistemologia (teoria della conoscenza)

sostituisce la logica come centro e base dellafilosofia. E nel cuore della riflessioneepistemologica nasce il problema dellacoscienza, che trova il suo punto di partenzapiù esplicito nel "cogito" cartesiano. enell"Io Penso" kantiano, motore immobiledell'attività cognitiva.

Non tutta la filosofia si abbarbica altema della coscienza, che diverrà sempre dipiù un tema della psicologia che sisvilupperà rubando ai filosofi il loro

mestiere (fino a giungere ai moderni"psichiatri fenomenologi" come Biswanger).Una figura, isolata da questo punto di vista,ma centrale nella situazione politica escienti f ica del l 'Europa continentale,continua a lavorare ai fondamenti dellalogica, dando apporti ri levanti al lasistemazione della logica aristotelica:Gottfried Wilhelm Leibniz . In effetti, peraltri versi, non è una figura isolata. Leibnizr ip rende un f i lone d i pensierocinquecentesco e seicentesco marginalerispetto agli sviluppi della scienzasperimentale, il filone dell'arte dellamemoria, e più in particolare dell'artecombinatoria (Lullo) e della l inguauniversale (Comenio Wilkins e Dalgarno).Diversi sono i programmi di ricerca di unalingua artificiale universale, programminati forse sulla spinta della scoperta delnuovo mondo, con i "primitivi" e comunquecon popoli di lingue sconosciute e confrequenti riferimenti al cinese (risalgono aBacone, ma dal '500 grande eco avevano lepubblicazioni di Ricci e dei suoi numerosi

viaggi in Cina). A questa tradizione54 Leibnizdà un apporto nuovo: l'integrazione dell'ideadi lingua universale e calcolo combinatorio(arte della memoria) con gli strumentidella algebra e della simbolizzazione logica.

54 Un testo classico per capire l'intreccio diteorie e discussioni cinque-seicentesche ripreseda Leibniz è l'ormai classico Rossi, Clavis Universalis, Il Mulino, Bologna,2ed. 1983.

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Egli vuole generalizzare il concetto dia na l i s i che aveva sviluppato con unl inguaggio matematico formale perrappresentare la dinamica dei corpi (e sullacui priorità di scoperta dibatté a lungo con

Newton). Il lavoro matematico di Leibniz sulcalcolo infinitesimale lo rende uno deipensatori centrali per la nuova scienzasperimentale che aveva assoluto bisogno disviluppare strumenti matematici adeguati.La natura è scritta con numeri ricordavaGalilei, e Cartesio gli faceva eco scrivendoun trattato di geometria (facendoloprecedere da un "discorso sul metodo" che lomettesse al riparo da critiche ecclesiastichetroppo pericolose, visti gli esiti delle teoriedi Galileo). La ambizione di Leibniz andava

oltre la trattazione scientifica della natura:egli voleva usare gli strumenti matematicinon solo per l'analisi numerica, ma per ognitipo di simboli, creando un linguaggioun iversa le con cu i s i po tesserappresentare55 ogni idea.

Dalla tradizione cinque-seicentescaLeibniz elabora l'idea di accoppiare unalingua universale a un calcolo che permettadi far girare questa lingua. E' in nuce lavisione dell'attuale logica matematica. MaLeibniz precorreva davvero i suoi tempi, ele sue idee vennero sviluppate due o trecentoanni dopo, da Boole e da Frege. Perché le sueidee restarono incomprese e non sisvilupparono se non così tardivamente? Larisposta che si dà è solitamente: l'algebranon era ancora abbastanza sviluppata. Glisviluppi della notazione algebrica erano agliinizi. Sarebbe toccato alla "AnaliticalSociety" di Cambridge (Peakock, Babbage,Boole, Hamilton e altri) riprendere le ideeleibniziane sia nel campo del calcolo che nelcampo della logica attraverso nuovi

strumenti algebrici: l'algebra della logica di

55 La rappresentazione simbolica per Leibniz haun carattere funzionale: il simbolo non deve"assomigliare" all'oggetto simbolizzato, madeve riproporre le strutture e la funzione di ciòche viene simbolizzato. Il punto di partenza diLeibniz è già di molto oltre la concezione delleidee o rappresentazioni che devono assomigliarea ciò che rappresentano, aspetto he permane neisuoi contemporanei.

Boole. E sarebbe stato Frege, più di un secolodopo Boole, a riproporre più integralmenteil progetto leibniziano, criticando Boole peraver fornito solo un calcolo, senza dare unalingua, e criticando Peano per aver dato una

lingua universale senza dare un calcolo. Ilprogetto di Frege era più limitato di quellodi Leibniz: il progetto di Leibniz, ricordaFrege, non può essere affrontato tuttoinsieme, ma solo passo passo. E il primopasso sarebbe stato elaborare un linguaggioformale universale potente a sufficienza perrappresentare il ragionamento matematico(ove non compare causalità, tempo, e altreinterferenze che rendono complicata laformalizzazione del linguaggio comune).Resta la centralità della distinzione tra

linguaggio e calcolo che apre una nuovavisione del linguaggio e una nuova visionedell'idea di teoria (o sistema formale).

10. Distinzioni filosoficherilevanti (ontologia, logica,epistemologia)

Parte della critica di Frege aimatematici del suo tempo era quella diconfondere tra segno e designato. Nelle sueopere vi è un continuo sforzo diripensamento e chiarificazione delledistinzioni tradizionali. Ma tali distinzioniche ricorrono nella storia della filosofiahanno di vol ta in volta di f ferentiinterpretazioni; ci limiteremo dunque a dareun quadro molto generico di alcune di questedistinzioni, che di volta in volta ogni filosofoadatterà alla sua peculiare filosofia. Occorresoprattutto distinguere tre livelli, quellolinguistico (livello dell'espressione ), quello

ontologico56 (livello del contenuto ), quelloepistemologico (l ivel lo del m o d o conoscitivo ). Schematizzando:

5 6 la Ontologia è per Aristotele la scienzaprima, la scienza dell'essere in generale (adifferenza delle varie scienze che sono scienzedi esseri particolari); potremmo dire che è unaspecie di "metascienza" o di metodo generaledella scienza. Analogamente può venire definitala metafisica.

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LIVELLO LOGICO-LINGUISTICO:analitico-sintetico

LIVELLO METAFISICO-ONTOLOGICO:necessario-contingente

LIVELLO EPISTEMOLOGICO:a priori-a posteriori

- Che un enunciato sia "analitico" dipendedal linguaggio: un enunciato è analitico se lasua verità dipende dal significato delleparole che lo compongno.- Che un enunciato sia "necessario" dipendedalla realtà: un enunciato è necessario se èvero in tutti i mondi possibili.- Che un enunciato sia "a priori" dipende da

come viene conosciuto: un enunciato è"apriori" se viene conosciuto (o èconoscibile) indipendentemente da ogniesperienza.

Questa descrizione si può contestare. Servaper ora solo a dare un inquadramentogenerale del problema.Possiamo fare un esempio più specifico:diverse ontologie si rispecchieranno indiverse logiche (in diversi linguaggi). Seconfrontiamo le teorie di Frege e delT r a c t a t u s   di Wittgenstein possiamoinquadrarne le differenze nel seguenteschema:

LOGICO ONTOLOGICO

FREGE nome oggettopredicato concetto

WITTG. nome oggettoenunciato fatto

Si vede, da questo schema, che ladifferenza della logica di Frege rispecchia

una differente ontologia; per Frege glienunciati sono assimilato a nomi di valori diverità, perché Frege mantiene (3° principiosopra esposto) come centrale la distinzionetra oggetto e concetto. Wittgenstein siribella all'idea che un enunciato siaassimilabile a un nome, e vuole mantenerel'originalità dell'enunciato; in tal modointroduce nella sua ontologia i "fatti" che

non erano presenti nell'ontologia di Frege.Per Frege un fatto è semplicemente unenunciato vero.

Il problema qui non è approfondire ledifferenze tra Frege e Wittgenstein, quanto

capire l'importanza della distinzione tralivello logico (l inguistico) e l ivelloontologico.

11. Analitico e sintetico:il progetto neopositivista

La distinzione leibniziana di "veritàdi ragione" e "verità di fatto", rappresentauno schema di contrapposizione tra due tipidi verità che viene riassunto con ledicotomie esposte al paragrafo precedente:

analitico-sintetico, necessario-contingente,apriori-aposteriori. E' facile pensare cheesista un parallelismo:

verità di ragione =analitiche, necessarie e apriori,

verità di fatto =sintentiche, contingenti e aposteriori.

Fu Kant il primo a sfidare questoparallelismo sostenendo che esistono veritàche sono s ia sin tetiche sia a priori (leverità matematiche e scientifiche ingenerale). La matematica è a priori perchédipendente dalle categorie a priori dellospazio e del tempo, ma è sintetica perché habisogno dell'intuizione pura; se nonavessimo l'intuizione del numero e dellafigura geometrica non potremmo avere lascienza certa e necessaria della matematica.La visione kantiana fu messa in crisi dallacritica fregeana alla aritmetica e dallascoperta delle geometrie non euclidee: (1)Frege sostenne che l 'ari tmetica è

riconducibile a principi meramente logici.(2) Basandosi sugli sviluppi delle geometrienon euclidee, Hilbert propose una versionedella geometria puramente assiomatica, non

basata sulla intuizione57.

57se erano possibili geometrie diverse da quellaeuclidea questo significava che l'intuizione cuiKant si voleva aggrappare non serviva afondare la matematica; le geometrie non

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Ispirati anche a questi risultatiteorici, il "Circolo di Vienna", un gruppo distudiosi riunitosi attorno a Schlick eCarnap, rifiutò decisamente il concettokantiano di "sintesi a priori". Si usa

chiamare i membri di questo circolo e altrisimpatizzanti con il nome di "neopositivisti"o "positivisti logici"; essi infatti volevanounire le idee del positivismo alla nuovalogica inventata da Frege e Hilbert. La lorosoluzione consisteva nel distinguere ognitipo di verità nelle due classi leibniziane: dauna parte verità analitiche, a priori enecessarie, come le verità della matematicae della logica. Dall'altra le verità sintetiche,a posteriori e contingenti, come le veritàdelle scienze empiriche. Tutto ciò che non

rientrava in queste due categorie era merosofisma, parole al vento, in una parola"metafisica", come essi dicevano, dando unaaccezione dispregiativa al termine.

Il principio di verificazione  - Tra iproblemi che i neopositivisti si posero vi fuquello della demarcazione tra scienza e nonscienza: cosa distingue un enunciatoscientifico da un mero gioco di parole? Perdeciderlo occorre rifarsi a un principiorigoroso, che mostri chiaramente quando unenunciato è significante, o quando èinsensato. I l principio defini to daineoposi t iv ist i era i l "pr incip io d iverificazione": un enunciato è significantese è o analitico o sintetico; nel primo casodeve essere un enunciato della matematica odella logica; nel secondo caso deve essereempiricamente verificabile. Capire i lsignificato di un enunciato è capire il metodo

euclidee sconfessavano la validità dellaintuizione come base della matematica.Varie furono le risposte a questa critica. Vedi

ad es. Cassirer, nella sua Storia della Filosofia Moderna , vol.IV, cap.2. Qui, rifacendosi ad ideedi Klein, presenta una versione "aggiornata"delle idee kantiane. Da notare che Fregemanteneva l'idea kantiana di una geometriasintetica a priori, mentre Hilbert mantenevauna visione kantiana della aritmetica comebasata sulla intuizione dei segni fisici (i simbolinumerici). Brouwer dava invece unainterpretazione di Kant basata sull’intuizione deltempo (l’intuizione base del passaggio da unnumero al successore).

della sua verifica, il modo in cui possoriconoscere che è vero. Se non ho alcunmetodo per riconoscere che è vero, se non honessun metodo di verifica, tale enunciato nonha alcun senso, e deve essere rifiutato da un

serio studioso (sono famose in questo sensole critiche di Carnap a enunciati diHeidegger del tipo "il nulla nulleggia")

compiti della filosofia  - la filosofianon rientrava chiaramente entro queste duecategorie di verità; quale era dunque il suocompito? La filosofia non era consideratauna dottrina, come la scienza o la metafisica,a una at t iv i tà: era l 'a t t iv i tà d ichiarificazione del linguaggio, in particolaredei linguaggi scientifici. Il compito del

filosofo era di lavorare insieme agliscienziati alla precisazione e chiarificazionedei linguaggi delle singole scienze. Sullametodologia di questo lavoro e su esempipratici di questi tentativi i neopositivistihanno lasciato il meglio della loroproduzione, dalla Sintassi logica del l inguaggio  ai lavori sulla induzione e laprobabilità di Carnap, alle riflessioni sulmetodo nomotetico deduttivo e sul linguaggiodelle scienze storiche di Hempel, ecc.

Ma tra le tante critiche cui ineopositivisti andarono incontro (del tipo:essi stessi sono metafisici, ecc.) una furitenuta particolarmente efficace: la criticadi Quine alla distinzione analitico-sintetico.Lungi però dal colpire solo i neopositivisti,questa critica divenne una spina nel fianco ditutta la filosofia contemporanea, perchécolpiva una delle distinzioni più accreditatedel linguaggio filosofico da Kant in poi.

12. La critica di Quine el'olismo

La critica di Quine al neopositivismoriguarda due dogmi: (1) la distinzioneanalitico-sintetico (2) il riduzionismo (inlinea di principio tutti gli enunciati sonoriducibil i a enunciati dell 'esperienzaimmediata).

La distinzione, come abbiamo visto,non è propria dei neopositivisti, e la criticadi Quine colpisce così una delle pietre

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mi l i a r i de l l a f i l oso f i a moderna .L'argomentazione di Quine è complessa earticolata; i suoi punti essenziali sono:- occorre distinguere "significare" e"denotare", teoria del significato e teoria del

riferimento- la teoria del significato si occupa disinonimia e analiticità; meglio abbandonarei "significati", inutili e strane entitàintermedie.- "analitico" è definibile in termini di"sinonimo".- ma la sinonimia (uguaglianza disignificato) è una relazione non chiaramenteafferrabile (sia perché ogni definizionepresuppone di capire cosa sia la sinonimia,sia perché diversi criteri proposti non

riescono nel loro scopo).- ogni tentativo di definire la sinonimia èci rcolare, e questo comporta laimpossibilità di definire il concetto di"analitico".- Non è possibile distinguere rigidamentegli enunciati in analitici e sintetici,distinguere componente linguistico e fattualedella verità di un enunciato.

Come conseguenza della sua critica al"primo dogma dell 'empirismo" Quineconclude che la teoria verificazionista delsignificato dei neopositivisti, che è basatasulla distinzione analitico-sintetico, èinsensata. E' erronea l'idea che un enunciatosia verificabile in isolamento dagli altri.Ogni enunciato di una teoria scientifica

dipende strettamente dagli altri enunciati58 .Una teoria scientifica non è un mero insiemedi enunciati veri, a un insieme di enunciativeri che si sostengono tra di loro. Detto conuno slogan, l'unità di significato e l'unità diconferma empirica di una teoria non è ilsingolo enunciato, ma la teoria stessa.

58 Ogni enunciato che risultasse falso, puòessere sempre salvato, cambiando altrienunciati della teoria, al limite cambiando glienunciati più astratti e generali, come glienunciati della parte logica della teoria. Quine fal'esempio del principio del terzo escluso (p v -p)che era stato messo in discussione dallamatematica e logica intuizionista.

Allo stesso modo cade il "secondodogma", perché non è possibile separarenettamente parte fattuale e linguistica, non èallo stesso modo possibile ridurre tutta lascienza ad espressione della parte empirico-

fattuale (dati dell'esperienza immediata).Ne nasce l'immagine di una teoria

scientifica (e anche di linguaggio) come untutto in cui solo la periferia è connessadirettamente con il mondo dell'esperienza.Una teoria o un linguaggio è come un campodi forze, in cui tutto si tiene in modosistematico (vedi n. 3 qui sopra). Ladistinzione tra componente fattuale elinguistica non è netta e definita una voltaper tutte; è sono questione di gradi.

Per "olismo", a partire da questo

saggio di Quine, si intende quella posizionefilosofica che insiste sulla dipendenza delsignificato delle singole parti dal tutto. Comediceva Quine, ispirandosi al secondoWittgenstein; capire una parola vuol direcapire un enunciato; ma per capire unenunciato occorre capire tutto il linguaggio.Il significato di una singola parola dipende,in qualche modo, dalla totalità del linguaggioin cui è inserita. Quine non ha sostenutoesplicitamente questa tesi (anche perchétende a rif iutare ogni discorso sul"significato"). Ma molti che lo hanno seguitohanno aderito, implicitamente o meno, a unatesi del genere, che comporta numerosiproblemi.

Problemi dell'olismo: 

Elenchiamo alcuni problemi che nascono inuna visione olista del significato e dellinguaggio. La visione olista è stata moltocomune nella filosofia contemporanea (vediad es il libro di Rorty) sulla base di unacerta divulgazione delle idee di Quine e del

secondo Wittgenstein. Ma questa visione nonè priva di problemi gravi:

- se il significato di una parola dipendedalla totalità del linguaggio o della teoria incui è inserita, come è possibile confrontaredue teorie? Infatti il significato dei lorotermini cambia da teoria a teoria, e le teoriesono quindi incommensurabili.

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- se il significato di una parola dipende dallatotalità del linguaggio in cui è inserita, comeè possibile condividere lo stesso significato?Infatti nessun individuo ha lo stesso identicolinguaggio di un altro (lo stesso insieme di

credenze).- ma se ognuno usa le parole con un diversosignificato, perché sono inserite nel suoidioletto (linguaggio tipico del singoloparlante), come è possibile il disaccordo?No puoi essere in disaccordo con altri se nonattribuisci lo stesso significato alle parole.Un disaccordo si ha solo sulla base di unaccordo sul significato delle parole. Sequesto varia da parlante a parlante, non vi èné accordo né disaccordo. La comunicazionediviene un mistero inspiegabile.

13. Sintassi, semantica,pragmatica

Una delle figure filosofiche piùrilevanti negli Stati Uniti è Charles S.Peirce, studioso che sviluppò la logica diBoole, ed è oggi famoso principalmente perla sua teoria del segno o semiotica. Ebbe una

profonda influenza anche sui neopositivistiche emigrarono dalla Germania nazista negliUSA, e in particolare Carnap. A Carnap e

Morris59 (un allievo di Peirce) si deve unadelle più fortunate tripartizioni dellasemiotica in::

sintassi = rapporto segno/segnosemantica = rapporto segno/oggettopragmatica = rapporto segno/parlante.

Ora, questo schema può servire solo comeprima approssimazione allo studio.(Otto Neurath, uno dei primi neopositivisti,anch'egli emigrato negli USA, sostenevaaddirittura che questi termini potevangenerare pseudoproblemi e distrarrel'attenzione dai veri probemi filosofici.)

59R. Carnap Introduction to Semantics , (1943);C. Morris, Foundation of a theory of signs ,(1958) (tr.it. Paravia) -

Oggi ci troviamo di fronte a tanti programmidi ricerca in sintassi, semantica epragmatica che è difficile trovare unadefinizione semplice e unificante, e inparticolare la definizione carnapiana non è

più sufficiente. Limitiamoci a vedere peresempio quanto accade nel caso dellasemantica. Qui abbiamo amen tre tradizioniprincipali:

1) semantica logico-filosofica2) semantica linguistica3) semantica procedurale (psicologica)

1) La prima tradizione rispecchia per moltiversi la definizione di Carnap.

La tradizione logica e filosofica si è

sempre occupata del rapporto tra pensiero(o linguaggio) e realtà (oggetti del mondo):da Aristotele che considerava la verità comecorrispondenza con i fatti e considerata lalogica come una teoria che si occupava deglienunciati dal punto di vista del loro valore diverità, ai medioevali che elaboravano teoriedella "suppositio", ovverossia teoria di ciòper cui una parola sta.

Con la nascita del la logicacontemporanea, si riprende in modo nuovo ilvecchio atteggiamento: la semantica di Fregesi occupa (a) del r i f e r imen to   e (b) delsenso  delle espressioni linguistiche, cioè(a) degli oggetti cui le espressionicorrispondono (b) del modo di presentazionedi questi oggetti. Gran parte della filosofiadel linguaggio ruta attorno a questi temi.F rege non aveva una teo r i acorrispondentista della verità, anzi lacriticava; ma la sua preoccupazione erasempre quella di determinare chiaramentele condizioni di verità degli enunciati,mostrando come dipendano dal riferimentodelle singole parole che li componevano.

L'atto di nascita ufficiale dellamoderna teoria semantica in logica è infine

il lavoro del logico polacco Alfred Tarski60 .Il modello tarskiano di semantica cometeoria della verità è incentrata sul concettodi soddisfacibilità o soddisfazione: una

60 A. Tarski Il concetto di verità nei linguaggi f o r m a l i z z a t i   (1931; tr. ted. 1936; tr. ingl.1956 tr.it. in Rivetti Barbò)

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formula del linguaggio è soddisfatta se siassegnano certi "valori semantici" alle suevariabili (cioè se alle sue variabili vengonofatti corrispondere oggetti del dominio). Lasemantica dunque studia il rapporto dei

segni del linguaggio (le formule benformate) con il dominio di oggetti cui esse siriferiscono. E', secondo Tarski, una versionedella teoria corrispondentista (aristotelica)della verità, per cui un enunciato è vero secorrisponde ai fatti.

2) La semantica linguistica si è sempreoccupata dei "significati" delle parole; ma,almeno a partire da Ferdinand de Saussure,ha sempre rifiutato di identificare ilsignificato con l'oggetto cui la parola si

riferisce; la linguistica studia i significatiintra-l inguistici, cioè l 'organizzazionepeculiare del lessico di una lingua,relativamente alle varie voci lessicali (aivar i "signi f icant i " ) . La l inguist icastrutturalista ha elaborato diverse analisidel lessico, ma tutte devono rispondere acerti problemi tradizionali, presenti già inAristotele: la semantica deve descriverequantomeno i rapporti di sinonimia,iponimia, antonimia (uguaglianza disignificato, inclusione o dipendenza disignificato, opposizione di significato).

Le analisi semantiche più classichesono forse quelle fatte dagli strutturalistisui campi semantici e quelle fatte dailinguisti americani (composizioalisti) sui"primitivi semantici".

Per studio di un campo semantico siintende lo studio di come vengono strutturatiin diverse lingue analoghi campi concettuali;l'interesse è sulla diversità con cui laterminologia relativa a un campo concettualeè organizzata in diverse lingue (per es. infrancese la triple "bois-arbre-forét" non

corrisponde alla tripla "bosco-albero-foresta", perché il significato di "bois" è piùampio del significato di "bosco". (infatti"bois" copre anche parte dell'uso italianodella parola "legno" o "legna"). Altri studidei campi semantici sono gli studi delleclassificazioni animali, delle relazioni diparentela, ecc.

Per s tud io de i p r i m i t i v isemantici si intende la riduzione delsignificato delle voci del lessico ad alcuniprimitivi (scelti con una certa abitrarietà);ad esempio la differenza tra "uomo"-

"donna"-"bambino"-"bambina", ecc. puòessere resa con i primitivi "maschio","adulto", in modo analogo alle analisifonetiche, indicando la presenza-assenza diun certo tratto:

(umano) maschio adultouomo + +donna - +bambino + -bambina - -

Si parla di “semantica composizionale”intendendo che i significati delle parole dellessico si formano componendo i primitivisemantici.

Il contributo tradizionale della logicaal la semantica l inguist ica è datoprincipalmente dall'analisi carnapiana deipostulati di significato, per cui sidefinisce una espressione sinonimia intermini logici; ad esempio, “gli scapoli sononon sposati” è un postulato di signifcato: dàil significato di scapolo; è una veritàanalitica; è un po’ come dice che accettiamonel nostro linguaggio solo i mondi possibiliin cui vale il postulato

Vx (scapolo (x) → non sposato (x))

3) Lo sviluppo delle scienze cognitive harisvegliato l'interesse degli psicologi per ilsignificato e in particolare per i processicon cui si attua la comprensione delsignificato. La semantica procedurale è perlo più un insieme di teorie che vengonoimplementate su computer e che intendono

rappresentare le procedure mentali con cuiviene colto il significato. Nate nei primianni '70 in Intelligenza Artificiale, sonooggi usate da psicologi come Johnsn-Lairdper dare una teoria della comprensione delsignificato.

Che dire dunque? Ogni volta che si inizia adapprofondire si aprono nuovi mondi

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concettuali. Una introduzione rapida edelementare si può trovare in Lyons, Lezioni di linguistica , Laterza, 1987, cap 5. Lavoripiù ampi sono J.Lyons, Semantica , Laterza;R. Kempson, La semantica , Il Mulino,

Chierchia, Semantica , Il Mulino.Sulla pragmatica si può vedere Levinson,Pragmatica , Il Mulino. Sulla sintassi unabuona presentazione di Chomsky è fatta daFava, "sintassi" in Fava-Leonardi- Galasso-Sbisà Teorie del linguaggio , Unicopli.

7. Mondi possibili

Dando la definizione di necessità come veritàin tutti i mondi possibili Carnap ha dato ilprimo abbozzo di semantica della logicamodale, aprendo la strada a nuovi sviluppidella sematica model-teorica61. La logicamodale si presenta a livello sintattico nelmodo seguente (ove spesso l'operatore dinecessità, qui simbolizzato con "L" vienerappresentato da un quadratino e l'operatoredi possibilità, "M", da un rombetto):

Logica modale minimale (proposizionale)Massiomi

A0. Tautologie vero funzionaliA1. L (A->B) -> (LA->LB)regole

61La terminologia logica varia da autore ad

autore e qui abbiamo semplificato; già con

Tarski si può parare di "modelli", cioè di un

dominio e una interpretazione (la funzione che fa

corrispondere espressioni del linguaggio a

elementi del dominio). Che Tarski non usi

letteralmente la parola "modello" non è qui

rilevante. Così pure Carnap parlava di"descrizioni di stato" e non di "mondi possibili"

(forse per evitare che si pensasse ai mondi

possibili come a realtà a sé stanti, come

faranno invece altri autori recenti). Ma la

stessa nozione di mondo possibile si perfeziona,

e le idee di Carnap vengono in parte

abbandonate, in parte sviluppate. Vedi Casalegno

in Santambrogio, pp.84-86.

R1. A, A->B / BR2. A / LA

Aggiungendo altri assiomi a questi assiomibase, mantenendo le regole date, si ottengono

gli altri sistemi modali:

Sistema T :  M + A2. L A -> A

Sistema B:  T + A3. A -> LMA

Sistema S4:  T + A4. LA -> LLA

Sistema S5 62:  T + A5. MA -> LMA

(B sta per “brouweriano”; in S5sono derivabili A3 ed A4.; 

in B non è derivabile A4 e in S4 non è derivabile A3)

Possiamo riassumere questi rapporti conuno schema:

BM T S5

S4

La logica modale minimale ha solo unaassioma specifico; infatti a partire da essa sisuole distinguere diversi tipi di logiche:(1) le l og i c he de ont i c he , ove siinterpreta L e M come “obbligatorio” e“permesso”. Esse aggiungono all’assioma A1l’assioma LA -> MA(2) le logiche modali aletiche cheaggiungono all’assioma A1, come abbiamovisto, l’assioma LA -> A. Qui ci occupiamosolo di queste ultime ove “necessario” e“possibile” sono intesi nel loro senso più

62I sistemi S4 e S5 derivano i loro nomi da una

classificazione dei sitemi modali fatta da C.I.

Lewis a partire dal 1912. I sistemi di Lewis

sono però piu' potenti di quelli oggi standard; ad

es. S4 e S5 hano come assiomi N(NA->NNA) e

N(PA->NPA), dai quali si ricavano per R2 i

nostri assiomi.

(V. Hugues-Cresswell; Schwartz...)

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pieno di “necessariamente vero” e“possibilmente vero”.(3) Un'altra importante classe di logiche ècostituita dalle logiche epistemiche e/odoxastiche, ove l'operatore modale è

interpretato come operatore di credenza(relativo ad un parlante: LA = x crede cheA).

Se la sintassi della logica modale erachiara dai primi del ‘900, non era chiarocome interpretare esattamente il significatodi questi formalismi. Tra i primi aproporre una interpretazione semanticaadeguata di questi formalismi furono, dopoCarnap, Kripke, Montague, Hintikka e DavidLewis. Daremo qui solo pochi cenni alla

visione di Kripke, che resta un punto diriferimento tra i più noti.

Qual'è la differenza di fondo rispettoalla semantica tarskiana?

Nella tradizione di Tarsk i63 erausuale f issare un unico dominiorealtivamente a cui dare le intepretazioni;con Kripke si considerano al contempodiversi mondi, ciascuno con il suo dominio(ad es. in alcuni domini alcuni nomi avrannouna estensione, in altri no).

La verità dunque non sarà solo

relativa a una interpretazione, ma sempre auna interpretazione e  a un mondo. Sipotrebbe definire un modello di Kripkeuna interpretazione dei termini dellinguaggio (compresi i termini logici come"necessario") che rende veri gli assiomi delsistema formale relativamente a un sistema

6 3 Con T a r s k i (e C a r n a p ) occorreva

specificare un dominio  di interpretazione per i

termini del l inguaggio, e la specif icain terpre taz ione  dei termini. Si può definire

"modello" è una interpretazione che rende veri

gli assiomi del sistema formale.- Normalmente

si distingue la funzione "interpretazione" dalla

"realizzazione" cui essa dà luogo. Questo

permette di definire più precisamente un

modello come una realizzazione che rende veri

gli assiomi.]

di mondi tra loro accessibili64 . E' propriol'idea di relazione di accessibilità R tramondi che permette di distinguere a livellosemantico i diversi sistemi modali.

Infatti si può interpretare il sistemadi Carnap come una anticipazione delsistema di Kripke (e lo abbiamo fatto anchenella terminologia); ma Carnap interpretale espressioni sempre relativamente a tutti i mondi possibili (a tutte le decrizioni di

stato)65; è un po' come assumere che larelazione R sia universale, cioè che tutti imondi possibili siano accessibili tra loro.Questo non permetteva di distinguere tra idiversi tipi di logiche modali.

cosa è un mondo possibile? 

64 Più precisamente un modello di Kripke può

essere inteso come una famiglia di

interpretazioni tarkiane (o come un insieme di

modelli tarskiani).65 Dopo le critiche di Quine, Carnap, come

abbiamo visto, elabora l'idea dei postulati di

significato. I postulati di significato sono un

qualche modo per restringere i mondi

accessibili; essi determinano quale mondo è

accessibile e quale no; ad es. da un mondo dovevale il PS: Vx (Sx->Nx) [es. tutti gli scapoli

sono nonsposati] non è accessibile alcun mondo

in cui esistano persone insieme scapole e

sposate; il PS decreta che questa situazione è

impossibile e il mondo che la contiene non è

accessibile dagli altri mondi che che, per il PS

contengono -P(Sx & Nx). Un mondo è accessibile

da un altr se ciò che è vero nel primo è possibile

nel secondo; ma nei nostri mondi carnapiani è

vero che non è possibile che Sx&Nx, cioè è

necessario che non Sx&Nx; Sx&Nx deve dunque

essere vero per tutt i mondi possibi l iaccessibili; il mondo "impossibile" in cui accade

proprio che Sx&Nx diviene un mondo

"inaccessibile". In esso infatti non vale che sia

possibile ciò che vale nei mondi dei PS, cioè non

vale che sia possibile che sia necessario non

Sx&Nx; non è possibile in quel mondo perché

quel mondo contiene proprio il contrario di "non

Sx&Nx" che invalida l'hp che sia possibile che

"non Sx&Nx" sia necessario.

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Prima di definire le relazioni diaccessibilità tra mondi, ricapitoliamo un po'le idee

Abbiamo visto che i possibili stati dicose che aiutano W. a definire il senso come

condizioni di verità, e le descrizioni di statodi Carnap che servono a definire laintensione come funzione da D.D.S. aestensioni sono anticipazioni dei mondipossibili come li si intende oggi. C'è un certomargine di arbitrarietà nei m.p. come li siintende oggi; c'é il problema di quali mondisono più o meno "somiglianti" al mondoattuale, e quali criteri usiamo per accettarel'accessibilità tra mondi.

Nel suo insieme la metafora delmondo possibile aiuta a cogliere aspetti

dell 'uso del l inguaggio ordinario, inparticolare i condizionali controfattuali, deltipo "se Garibaldi non avesse detto"obbedisco" la storia d'Italia sarebbe statadiversa", ecc.). Un mondo possibile puòessere un modo di interpretare questi modidi dire, o modi in cui il mondo potrebbeessersi svil luppato. Nella fattispeciepotremmo dire: esiste un m.p. in cuiGaribald non ha detto "obbedisco"; e allora?come è qusto mondo?

M. P. è il modo in cui sarebbe opotrebbe essere stato il mondo se certe coseaccadessero o fossero accadute diversamenteda come accadono o sono accadute. E' un mododi formal izzare i nostr i d iscorsicontrofattualie diversi autori sono in fortedisacordo su come realizzare questaformalizzazione, e sui presupposti filosoficie ontologici di essa; tra i motivi principalidi contrasto vi è quello tra Kripke e Lewis(e forse anticipato da quello tra Kant eLeibniz):

i m.p. contengono nei loro domini glistessi individui o individui simili tranne che

per certe caratteristiche? Nel primo casoparlerei - nei miei controfattuai - sempredello stesso individuo che potrebbe diventareo essere diventato descrivibile in diversimodi. Nel secondo caso parlrei di individuisempre diversi; non si danno due individuiidentici attraverso mondi possibi l i .Entrambe le soluzioni hanno il loro grado diplausibil i tà. Accenneremo alla prima

soluzione in quanto forse appare piùsemplice e intuitiva ai nostri occhi attuali.

Ma prima di questo accenniamo alproblema centrale della soluzione tecnicadella logica dei m.p., l'idea della relazione di

accessibilità tra mondi.

relazioni di accessiblità 

Sia una struttura-modello unaquadrupla <G,K,R,ψ > costituita da- un insieme di mondi K,- il mondo attuale appartenente al suddettoinsieme,- una relazione di accessibilità tra mondi,- ψ, una funzione che assegna a ogni mondow∈K un dominio di individui ψ  (w).

La relazione di accessibilità R tramondi è tale che w1Rw2 (w2 è accessibileda w1) se cioè che è vero in w1 è possibilein w2.

Le diverse relazioni di accessibilitàsono un modo perspicuo di distinguere idiversi sistemi logici modali. La relazione diaccessibilità sarà rispettivamente:

per M : riflessivaper B: r. e simmetricaper S4: r. e transitivaper S5: r. simmetrica e transitiva

Prendiamo ad esempio S4, ove la relazionedi accessibilità è riflessiva e transitiva, manon simmetrica; questo dà l'idea di"accessibile" come "possibile in futuro".

quantificazione ed essenzialismo 

Tra i problemi più discussi dai filosofi dellinguaggio troviamo quello della differenzatra modalità de dicto e de re. La distinzioneriguarda di fatto l'ambito dell'operatore

modale: se esterno a un quantificatore, (secioè l'operatore ha ambito ampio) lamodalità sarà de dicto , cioè si riterrànecessario l'enunciato.

L Vx (Px -> Qx)

se l'operatore è interno a un quantificatore(ha cioè ambito ristretto) la modalità sarà

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de re , cioè si riterrà necessario di unindividuo l'avere una certa proprietà.

Vx (Px -> L Qx)

Quine e Carnap hanno molto dibattutosull'uso del linguaggio modale, e inparticolare sulle modalità de re. L'esempiocui spesso ci si riferisce è quello, resofamoso da Carnap e Quine, della apparentecaduta della sostitutività nei contesti modali:

L 9>79=numero dei pianetiL numero dei pianeti >7

Abbamo visto come l'analisi di questo

esempio abbia portato Carnap a definire ladifferenza tra contesti estensionali econtesti intensionali (Quine chiamerà ic o n t e s t i i n t e n s i o n a l i c o m e"referenzialmente o p a c h i "). Un altrorisultato dell'esempio è stato proprio quellodi mettere l'attenzione sulla differenza trade re e de dicto.

Una certa diffidenza si è posta sullemodalità de re (sul quantificare "dentro"proposizioni quantificate), perché essasembra r ichiamare l 'essenzialismoaristotelico: se Socrate è necessariamenteumano, allora l'essere uomo fa parte della uaessenza. Alcuni che amano l'idea aristotelicadi "essenza" di un oggetto non avrebberonulla da ridire. Altri che la osteggiano, comeQuine, si daranno da fare per screditare taleidea.

Ma di certo le modalità non sono solode re. Lo stesso Quine ci impone di vederloattraverso un'altra sua famosa critica allalogica modale,per cui gli essenzialistisarebbero portati alla contraddizione datoche devono credere contemporaneamente:

a)- tutti gli scapoli sono necessariamentenonsposati ma non necessariamente militari.b)- tutti i tenenti sono necesariamentemi l i tar i , ma non necessariamentenonsposati.

D'altra parte dal caso del tenente Rossi che èanche scapolo deriverebbe che Rossi è (in

quanto tenente) necessariamente militare e(in quanto scapolo) non necessariamentemilitare, cadendo così in una contraddizionemodale.

Ma non è così, perché la corretta

formalizzazione delle due frasi precedenti è:

a') LVx(Sx -> Lx) & - L Vx (Sx -> Mx)b') LVx(Tx ->Mx) & -L Vx (Tx -> Lx)

Da queste formulazioni de dicto non seguealcuna contraddizione. Il problema dellasemantica modale verterà dunque sullemodalità de re; ma qui il discorso si farebbemol to complesso e lo lasciamoall'approfondimento dell'appassionato. Cirivolgiamo invece a un problema lasciato in

sospeso nella discussione su cosa son i m.p.,il problema della identificazione attraversomondi.

identificazione attraverso mondi 

Nella sua critica al paradigma fregeano, chevedremo in seguito, Kripke sostiene che inomi propri sono designatori rigidi,sono cioè termini del linguaggio cheidentificano lo stesso individuo attraversotutti i mondi possibili (in cui esso esiste).Ciò equivale a dire che la intensine di unnome proprio è una funzione costante , cheper ogni m.p. dà come estensione lo stessoindividuo.

L'idea di designatore rigido offre peròanche una soluzione elegante a una possibilecircolarità nella definizine delle proprietàessenziali. Per poter parlare di proprietàessenziale, occorre accettare, come abbiamovisto, la nozione di necessità de re ; laaccettazione del le modal i tà de represupporrebbe dunque la nozione diproprietà essenziali. Se i nostri termini si

riferissero a oggetti solo tramite un senso ouna definizione di un nucleo di proprietàessenziali, allora la funzione che individua inostri oggetti di discorso nell'ambito dellemodalità de re presupporrebbe il concetto diproprietà essenziale. Per sfuggire a questocircolo vizioso Kripke propone che lanozione di designatore rigido non incorporialcun criterio di identificazione dell'oggetto;

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il d.r. è un mero collegamento diretto tranome e oggetto (come i nomi del Tractatus diWIttgenstein), designi direttamente ed èindifferente a qualsiasi strategia cognitiva.

Si potrebbe sostenere che il concetto

di designatore rigido è strettamente cnnessoall'idea di proprietà essenziale o di essenzaindividuale; è vero, ma non nel senso che lapresuppone; al contrario la nozione stessa diessenza individuale deve presupporre ilconcetto di designatore rigido; come farestiinfatti ad attribuire una essenza individualea qualcuno se non avessi un termine (d.r.)che denota lo steso individuo che l'essenzaindividuale dovrebbe carat ter izzareattraverso mondi?

Questo vuol dire che la nozione di

designatore r ig ido è necessar iaall'essenzialismo, ma non si identifica conesso, e può essere usata anche in contestifilosofici che rifiutano l'essenzialismo.

Alternative più radicali al concetto didesignatore rigido sono presenti nellaletteratura, in particolare la soluzione diLewis. Tale soluzione, su cui non isoffermeremo, comporta una certaridondanza ontologica: se non abbiamodesignatori rigidi, allora ogni m.p. haindividui d iversi , contropart i degl iindividui nel mondo reale. Ma non è detto cheuna ridondanza ontologica sia di per sé unmale.