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Lamberto Aliberti Il mondo vede un crescente inarrestabile enorme divario nella ricchezza fra le persone. 1 - Ce ne importa? 3 ottobre 2011 L’allarme. È venuto da un articolo del 3 marzo 2010 di Lawrence Mishel, che di questo lavoro sarà l’impareggiabile principale fonte. Era intitolato “Where has all the income gone? Look up.” Al centro questo grafico: Il grafico confronta, per il periodo 1992-2007, le 400 famiglie americane più ricche << sotto il profilo del reddito complessivo, noi diremmo reddito + rendite, insomma quelli che in ogni anno hanno portato a casa più dollari, a prezzi costanti, cioè come se l’inflazione non ci fosse >> con la famiglia mediana. Mediano è quel valore che bipartisce una serie dispari di valori, ordinata, in modo crescente o decrescente, in due metà esatte, superiore e Fonte: Altromedia

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Lamberto Aliberti

Il mondo vede un crescente inarrestabile enorme divario nella ricchezza fra le persone. 1 - Ce ne importa? 3 ottobre 2011 L’allarme. È venuto da un articolo del 3 marzo 2010 di Lawrence Mishel, che di questo lavoro sarà l’impareggiabile principale fonte. Era intitolato “Where has all the income gone? Look up.” Al centro questo grafico:

Il grafico confronta, per il periodo 1992-2007, le 400 famiglie americane più ricche << sotto il profilo del reddito complessivo, noi diremmo reddito + rendite, insomma quelli che in ogni anno hanno portato a casa più dollari, a prezzi costanti, cioè come se l’inflazione non ci fosse >> con la famiglia mediana. Mediano è quel valore che bipartisce una serie dispari di valori, ordinata, in modo crescente o decrescente, in due metà esatte, superiore e

Fonte: Altromedia

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inferiore. Se la serie è pari si prende la media fra il valore più basso della metà superiore dei valori e il più alto, immediatamente successivo, dell’inferiore. Perché la mediana? Perché se si prendesse la media si otterrebbe un’osservazione disturbata, quando si volessero mettere in evidenza differenze tra appartenenti alla stessa serie, dato che nella media i valori entrano tutti. Dal confronto venivano fuori alcune cose molto sorprendenti e diversi motivi per incavolarsi:

• Nei 16 anni il reddito prima delle tasse dei superricchi è cresciuto del 409%, cioè più di 4 volte; più del 9% all’anno;

• Quello della famiglia mediana, cioè media che di più non si può, del 13.2%; un misero scarso 0.8% all’anno;

• La cosa più buffa è che se si guarda la dinamica del reddito dei superricchi, dopo le tasse, si scopre una crescita del 476%, più del 10% all’anno; cosa significa? Che nel periodo le tasse sono state loro alleggerite e, se si fa appello alla storia, si scopre che lo si è fatto scientemente, in omaggio ad una teoria, a quel concetto, centrale per il liberismo, che ha permeato la politica americana da Reagan (1980) fino ad oggi << dobbiamo ancora scoprire se Obama ci smentisce, vincendo il braccio di ferro coi repubblicani, per alzare le tasse, appunto, ai ricchi, in un momento in cui il paese, col debito che si ritrova e la disoccupazione, di soldi ha tanto bisogno >>, la convinzione che l’economia, per tirare, ha bisogno che le famiglie consumino e non c’è dubbio che i ricchi consumino più dei poveri, certamente in valori assoluti << che siano anche pochi, non ci ha pensato nessuno >>.

I valori assoluti. Se prima le domande dovevano essere soprattutto essere poste agli americani, è qui che si apre una folla di interrogativi. La sproporzione, già enorme nel 1992, poco più di 44mila $ contro quasi 8milioni e mezzo, con quelle dinamiche, diventa di 50mila circa contro 345milioni. Un abisso che vale la pena di osservare con precisione.

reddito complessivo in $ famiglia 1992 2007

mediana 44.375mila 50.233mila

superricca 8.435milioni 345milioni

1 9 9 22 0 0 7

0

1 0 0 0 0 0 0 0 0

2 0 0 0 0 0 0 0 0

3 0 0 0 0 0 0 0 0

4 0 0 0 0 0 0 0 0

f a m ig lie : r e d d ito c o m p le s s iv o in $

m ed i a n a

s u p er r i c c a

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il rapporto di reddito, al netto dell’inflazione, passa da un ampio 1901 ad un immenso 6868. insomma, quasi 7000 volte. E non fra superricchi e poveracci, ma rispetto a chi, da qualsiasi punto di vista, non se la passa affatto male, sotto il profilo economico. Sono

numeri che colpiscono e infatti i commenti e gli allarmi in materia sono stati intensi e fragorosi, dall’anno scorso in poi. Ma, in verità, ci devono scandalizzare? Che 400 famiglie americane abbiano guadagnato mediamente 345 milioni di dollari nel 2007, circa 7000 volte più di quelli, che stanno nel mezzo, non potrebbe essere nell’ordine delle cose del mondo? In fondo, a ben vedere, se, 150 fa, ai tempi della guerra di secessione, fossero esistite statistiche così raffinate, ne avremmo viste delle belle, distanze di reddito abissali, al limite dell’incommensurabile. E non sarebbe stata meglio l’Europa di Dickens e Dumas, senza chiederci che cosa troveremmo, risalendo al Re Sole, alla Firenze dei Medici o più indietro ancora. Ma è proprio qui la questione. Siamo nati in una cultura, che vedeva nella prosperità un porto, in cui l’approdo era possibile. Quanto meno ogni generazione cresceva con la confidenza di ottenere un sostanziale miglioramento delle condizioni economiche dei genitori. E per parecchi di noi la ricchezza è stato un traguardo raggiungibile, spesso perseguito con perseverante fermezza. Certamente nessuno lo pensava lontano, in pratica fuori portata. Insomma tutti noi abbiamo pensato che il progresso, o semplicemente lo scorrere del tempo, ci portasse più in alto nella scala dei redditi, non più in basso, come ti fa pensare quel misero incremento dello 0.8% all’anno della massa degli americani, mentre una quasi infinitesima minoranza veleggia ad una velocità più che 10 volte maggiore ed è già partita molto ma molto avanti. La ricerca. Il diagramma, con cui abbiamo aperto questo articolo, potrebbe già dirci che i 2 poli, i superricchi e la massa, si stanno allontanando, ad una velocità più che notevole, quantomeno negli Stati Uniti, per cui raggiungere la vetta della piramide sociale sta diventando un’impresa sempre più faticosa per i comuni mortali, per non dire un miraggio. Ma a sancire il cambiamento di

distanza (rapporto)

1901

6868

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

famigliasuperricca/mediana

1901 6868

1992 2007

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un’epoca occorre un respiro molto maggiore, in ordine alla necessità di chiamare in causa tempi lunghi e un ampio spazio di fattori. Potrebbe infatti essere semplicemente un incidente di percorso. Ne deriva l’esigenza di uno studio profondo, largo, articolato, complesso. Conviene perciò un assaggio della materia, magari in grado di portare una prima risposta all’interrogativo. Il che ci porta a dichiarare la fonte e a prendere visione dell’approccio. The World Top Incomes Database è l’opera di Alvaredo, Facundo, Anthony B. Atkinson, Thomas Piketty and Emmanuel Saez, consultabile all’url http://g-mond.parisschoolofeconomics.eu/topincomes. Gli autori si sono avvalsi di statistiche sulle tasse, di parecchi paesi, il cui numero è in continua crescita, per testimoniare la distribuzione dei redditi << di income o market income, come lo chiamano, che, in italiano, potrebbe più correttamente dirsi incremento annuale di ricchezza delle unità familiari >> creando delle serie ordinate in modo decrescente, da chi introita di più a chi di meno, raggruppate in segmenti, misurati percentualmente. Per far presto qui ci concentriamo sul gruppo al primo posto della classifica, pari all’0.01% dell’universo, cioè di un’unità familiare su 10mila. È siglato P99.99 e nel 2008 comprendeva poco più di 15mila famiglie. Lo contrapporremo alla massa, compresa fra il 90 e lo 0%, del reddito, cioè dalla famiglia, subito dopo il gruppo col 10% maggiore, i Top Income, per arrivare all’ultima della serie. Siglati P0-90, questi Bottom Income comprendevano, nel 2008, quasi di137milioni216mila famiglie. Dove tende la storia? Andremo ad osservare ancora gli Stati Uniti, anche perché il database ci fornisce una serie di 92 anni, dal 2017 al 2008, di redditi a prezzi 2008. Quanto è necessario per mettere a fuoco il lungo periodo e rilevare avvisaglie di cambiamenti epocali, tali da giustificarci la lunga e complessa indagine, che si sta avviando. Cominciamo con una sintesi: L’esile gruppo dei paperoni << ricordiamolo: una famiglia su 10mila >> nel 1917 ha un reddito medio di un po’ più di 2milioni di dollari; nel 2008 supera i 9milioni. Quindi in 92 anni cresce un pelino più del 300%. La massa, quelli al di sotto del 10% dei ricchi, passa da poco più di 10mila dollari e mezzo a superare di poco i 31mila. Un aumento di quasi il 200%. Dunque quell’allontanamento, tra chi sta sulla punta della piramide sociale e chi nel suo corpo, è confermato. Ma in proporzioni molto inferiori agli ultimi 16 anni, di per sé forse non tali da giustificare l’allarme lanciato. Si rende perciò necessaria l’osservazione delle dinamiche, che condurremo solo sulle variazioni complessive, uguagliando a 100 i redditi dei 2 segmenti nel 1917, in quanto i valori assoluti sono troppo distanti per reggere un grafico con la stessa scala e si finirebbe per appiattire il segmento Bottom.

1917 2008 periodo anno 1917 2008P0-90 10642 31244 193,61 1,18

P99.99 2265336 9141190 303,52 1,53

US segmenti

reddito medio $ variazioni. % P99.99 / P0-90

212,88 292,57

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il grafico ci induce a cambiare sostanzialmente il discorso. Dopo un periodo involutivo, accompagnato da una grande instabilità per i paperoni << ci ricordiamo la Grande Depressione degli anni 30? >>, la massa delle famiglie (P0-90) vede il suo reddito aumentare con buona lena e poche pause, fino alla seconda metà degli anni 70. Gli altri invece sono sostanzialmente fermi e subiscono oscillazioni continue e pronunciate. Con l’inizio degli anni 80 la musica cambia drasticamente: i Top Income prendono la corsa, arrivando a quadruplicare abbondantemente il proprio reddito, pur con pause di volatilità, vedi caso, coincidenti con le diverse crisi e crisette economiche del nostro recente passato. Per i Bottom Income invece un sostanziale fermo, senza farsi mancare oscillazioni, pur se meno accentuate. Insomma, sembra che il cambiamento epocale si avvii con l’età di Reagan, senza farne una colpa al defunto cowboy della celluloide, considerando che quegli anni vedono anche il tramonto dell’impero sovietico e soprattutto l’avvento del personal computer, di Internet, della globalizzazione, del liberismo e quant’altro. In ultima analisi, quantomeno per gli Stati Uniti, quell’epoca segna una linea di faglia per la mobilità sociale, che appare in tutta evidenza, se osserviamo il grafico della distanza Top/Bottom, espressa dal rapporto tra redditi medi. Niente che non fosse visibile già prima, ma risalta con maggiore evidenza come prima del Giornate Nere di Wall Street (ottobre 1929) i ricchi stessero prendendo la corsa, più che raddoppiando la propria distanza dal resto << e ancora una volta vengono fuori le somiglianze tra i giorni che stiamo passando con quelli immediatamente precedenti la Grande Depressione del 900 >>. Di lì in poi il

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rapporto passa da 350 volte circa a pochissimo più che 50. Finché inizia la stagione di Reagan e il discorso cambia radicalmente. Noi, i nostri genitori, financo i nostri nonni, 3 generazioni intere, non abbiamo tutti i diritti di essere preoccupati per i nostri figli e nipoti e sospettare che ci si stia avviando verso una diversa struttura della società, molto meno piena di opportunità, per non dire pressoché vuota, quand’anche dovessimo passare indenni nella crisi, che ci affligge dal 2008? Che sia solo un problema americano? Quel richiamo a Reagan, che, per la grandissima parte del mondo, dice meno di niente, potrebbe indurci ad accantonare il problema come meramente locale. Per questo si rende necessario un allargamento del quadro ad altri paesi. Per mantenere un respiro di analisi pressoché secolare, abbiamo scelto secondo le disponibilità del data base, affiancando agli Stati Uniti, la Francia, il Giappone e l’India, 4 continenti, 3 paesi sviluppati e uno in sviluppo. Ne abbiamo approfittato per introdurre un nuovo criterio di misura, più astratto, ma anche più produttivo a denunciare lo squilibrio sociale: la quota del reddito totale assorbita dal segmento, in questo nuovo caso l’1% dei Top Income. Il diagramma dimostra che il problema dell’accaparramento di sostanziose quote di reddito da chi sta più in alto nella piramide sociale è di tutti e non di poco conto: l’1% delle famiglie si portava a casa tra il 12 e il 20% del totale, prima della Grande Depressione. Frazione cui gli americani sembrano essere quasi ritornati negli ultimi anni, mentre gli altri vi si avviano, pur con ritmi differenti. Dimostrato che l’avvento di una ineguale distribuzione di ricchezza è un macigno che pesa sul mondo, un occhio ravvicinato al grafico rivela:

• Dalla Grande Depressione agli anni 80 il percorso dei 4 paesi è decisamente simile,

• Ma è il Giappone a realizzare una più equa distribuzione della ricchezza delle famiglie; infatti i Top Income cumulano fra il 4 e il 5% del reddito delle famiglie, frazione in moderata oscillazione, tenuta però per una cinquantina d’anni; per loro sembra la II Guerra Mondiale essere stata la grande livellatrice, prima quell’1% infatti si accaparrava più del 14% del reddito totale e il drastico calo fa sospettare che l’1% di prima non sia lo stesso di dopo, insomma che la sconfitta abbia portato a un radicale turnover nella distribuzione della ricchezza;

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• Stati Uniti e Francia si mantengono sempre vicini nel periodo, pressoché dimezzando entrambi la quota di reddito detenuta dai Top, pur con dinamiche decisamente diverse nel più ristretto orizzonte temporale;

• Congetturare di nuovo un ricambio sociale a cavallo del Conflitto Mondiale non sembra azzardato;

• Pronunciatamente diversa è la dinamica dell’India, che fa pagare anch’essa la guerra ai più ricchi, ma poi li vede riguadagnare quota e infine assestarsi su un livello di tollerabile preminenza, come in Giappone;

• Diagnosticare tendenze omogenee per tutti nella sostanza, a partire dagli anni 80, è reso un po’ faticoso dall’eterogenea lunghezza delle serie storiche, ma decisamente plausibile;

• Certo gli americani tirano la corsa, sia come data di partenza, che come velocità, ma potevamo aspettarci qualcosa di diverso dalla patria del liberismo?

• Che l’India li segua decisamente sembra più che probabile; • In ultima analisi lo stesso si può affermare per Francia e Giappone, pur

se occorrerà un’analisi specifica per giustificare il passo significativamente più lento.

Un dubbio. Abbiamo acquisito il fondato timore che il crescente enorme divario nella ricchezza fra le persone sia il sintomo di un arresto mondiale della mobilità sociale, perché, anche se ci limitassimo a tornare alla disuguaglianza degli anni 20 e magari della Belle Epoque, verremmo a trovarci in una condizione di ingiustizia, che, per i valori con cui siamo cresciuti, si finirebbe per trovare intollerabile. Le ultime serie storiche ci hanno però fatto nascere un sospetto: ricchi, ricchissimi e superricchi hanno visto le loro fortune precipitare, in particolare dall’ultima guerra mondiale agli anni 80, e sempre in preda ad una pronunciata volatilità, come se fossero un bastione tutt’altro che inamovibile. Che ci sia un continuo ricambio? Che le famiglie ai vertici della ricchezza siano sempre diverse? Che insomma la mobilità sociale, a prima vista esclusa, ci sia, pur in una distribuzione economica fortemente squilibrata? Basta dirlo per rendersi conto della paradossalità dell’obiezione. Innanzitutto le linee di tendenza, emergenti dall’ultimo grafico sono 2 in tutto: dall’origine agli anni 80 e di lì in poi. Dobbiamo per forza pensare che certamente per un bel pezzo si sgonfia, poi, rapidamente recupera. D’altro canto dobbiamo anche rimuovere, se mai si è formata, l’immagine di una torre d’avorio inespugnabile. Fuor di dubbio che un ricambio ci sia. Ma considerate le dinamiche e le distanze è chiaro che ha il passo dei secoli e non di una carriera o una vita. Mentre qualcuno esce dal fortino degli eletti, qualcun altro ci entra. Un po’ come vincere alla lotteria. In effetti la statistica ci dice che, in una prospettiva temporale infinita, ognuno di noi vincerà almeno una volta. Ed è provato che a crederci sono tanti, sempre di più. Ma se basiamo la speranza di una società giusta sul biglietto di una lotteria, poveri noi. E forse questa sensazione, a partire dai ragazzi che escono dall’università oggi, quanto meno in tutto l’Occidente sviluppato, si sta facendo amaramente strada. Per il nostro studio sulla distribuzione ineguale della ricchezza nel mondo comunque un primo obiettivo è da acquisire: ricchi, ricchissimi e superricchi, chi sono? Non

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speriamo di certo di produrre liste di nomi, ma mettere in evidenza e giustificare quanto meno sul piano della statistica modi, mezzi e condizioni per entrare nella categoria. E se qualcuno approfitterà dell’indagine per farsi strada nella vita e nella carriera, gli faremo i complimenti. La linea di faglia. Visto che stiamo anticipando gli indirizzi della nostra ricerca, ci sembra doveroso scongiurare qualche timore: non lavoriamo in prospettiva secolare, per quanto riguarda il passato. Ci è stata utile per mettere in evidenza la prospettiva di un cambiamento epocale, fosse pure il ritorno a una nervatura della società, vecchia di oltre un secolo. Oltretutto non ci risulta che qualcuno disponga dei dati per farlo. Ma sono le dinamiche in atto e le conseguenze sulla pace sociale e sulla qualità della vita individuale ad interessarci. Questo vuol dire impadronirsi dei meccanismi profondi, dei fattori, modi, strumenti, all’origine del fare e disfare la ricchezza di famiglie, ceti e classi. Riteniamo che sarà soprattutto importante concentrarci su quella che, per quanto emerso finora, è sembrata la linea di faglia del processo, ricorrente in 4 paesi ai vertici del mondo: gli anni 80. Gli americani ricordano Reagan, molti con vibrante, altri con esacerbata nostalgia. Alla gran parte di noi europei, forse un po’ vittime della cultura delle belle lettere, la sua immagine di bolso cowboy << toccherà ben di peggio a noi italiani, chi se lo immaginava allora? >> può farci ottundere la portata rivoluzionaria del decennio: non solo caduta del Muro, ma personal computer, Internet, globalizzazione. Domandarsi se siano qui le radici dell’ineguaglianza ci sembra un must. E che, se si riuscirà a renderle esplicite, a giustificarle, avremo la materia prima, necessaria ad esplorare e leggere le direttrici del futuro prossimo venturo. Denaro e potere. Fuor di dubbio che siamo degli europei decadenti e letterati, ma quanti di noi non hanno guardato con compatimento la gran massa degli americani, mentre si beveva la storia che i sostanziosi tagli alle tasse dei ricchi, prima di Clinton, poi, in misura più robusta, di Bush junior, andassero a favore della classe media? Che, siccome i ricchi spendono di più << grande scoperta >>, fanno crescere la produzione, per cui i salari, di lì ancora la produzione, evvia? Una fede in questo dogma del liberismo, tanto diffusa e profonda da non crederci. Si guardi alla fatica di Obama, proprio in questo scorcio di 2011, per correggere leggermente questa devianza, aumentando la progressività dell’imposizione fiscale. E non è detto che ci riesca, nonostante la fame di soldi del paese. Noi, da cinici malpensanti studiosi del Vecchio Mondo, cercheremo di capire la relazione denaro e potere. Anzitutto cosa viene prima: si fa denaro e così si acquista potere o viceversa. Successivamente quali sono i modi per limitare l’uno e l’altro. Infine quale relazione ne viene fuori con la democrazia. Perché il potere del denaro è può essere usato per farne di più, per esempio alleggerendosi le tasse, poi per cambiare la scomoda, forse solo teorica, uguaglianza col resto dell’umanità, fino ad instaurare una società basata sul binomio servo-padrone. Com’è stato nel Medioevo e forse peggio di allora. Del resto cosa c’è da aspettarsi da chi, perdendoci poco o niente, con uno schioccare di dita, può spostare una fabbrica, gettando sul lastrico migliaia di famiglie. E magari sul piano etico si potrà giustificare, col fatto di aver portato lavoro e benessere, dove prima non c’erano.

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E l’Italia? Abbiamo meno dati. Per questo non l’abbiamo menzionata nel porre il problema. Ma sarà la prima negli studi di dettaglio. (continua)