DIRITTO DEL LAVORO · APPENDICE DI AGGIORNAMENTO EDOARDO GhERA DIRITTO DEL LAVORO EDIZIONE 2006...

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APPENDICE DI AGGIORNAMENTO EDOARDO GHERA DIRITTO DEL LAVORO EDIZIONE 2006 AGGIORNATA AL 30 MAGGIO 2009 Con la collaborazione dei professori Roberta Bortone e Umberto Carabelli CACUCCI EDITORE 2009

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APPENDICE DI AGGIORNAMENTO

EDOARDO GhERA

D I R I T T O D E L L AV O R O

EDIZIONE 2006

AGGIORNATA AL 30 MAGGIO 2009

Con la collaborazione dei professori Roberta Bortone e Umberto Carabelli

CACUCCIEDITORE

2009

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Appendice aggiornata al 30 maggio 2009 3

Capitolo secondo, sez. C, paragrafo 17

In considerazione della rilevanza assunta dal settore no profit nella realtà eco-nomica e sociale del nostro paese, il legislatore ha disciplinato l’impresa sociale con il D.Lgs. n. 155 del 2006, emanato in attuazione della L. n. 118 del 2005.

La qualifica di impresa sociale può essere conseguita da tutte le organizza-zioni private, cioè associazioni e fondazioni, nonché comitati – “ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile”1 – e quindi società e cooperative, che esercitino in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a re-alizzare finalità di interesse sociale, e che abbiano i requisiti essenziali indicati dalla legge. Questi ultimi sono lo svolgimento di un’attività avente utilità sociale, l’assenza di scopo di lucro, l’assenza di controllo e la non soggezione a direzione da parte di imprese private ed enti pubblici2.

Lo scopo di interesse generale, che deve essere perseguito dall’impresa so-ciale, si ravvisa nella produzione di beni o servizi di utilità sociale nei settori espressamente indicati dalla legge3, ovvero indipendentemente da questi, nella finalità di inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati e disabili4.

Tra i vantaggi che l’ordinamento accorda all’impresa sociale, per promuo-verne la diffusione, vanno annoverati la possibilità di avvalersi di volontari e un regime derogatorio rispetto alla disciplina generale in materia di responsabilità patrimoniale.

1 Art. 1, c. 1, D.Lgs. n. 155/2006.2 Di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 155/2006.3 Art. 2, c. 1.4 Art. 2, c. 2.

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4 Diritto del Lavoro

Capitolo quarto, Sez. C, paragrafo 24 bis.

Nell’area della tutela della salute dei lavoratori l’intero quadro normativo è stato recentemente rivisto con il D.Lgs.9 aprile 2008, n. 81, che costituisce ora il nuovo testo unico delle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro.

La premessa della riforma è nella L. 3 agosto 2007, n. 123, con la quale il legislatore, oltre a dettare norme di diretta applicazione (artt. 2-12), ha conferito al Governo la delega per il riassetto della normativa in materia.

I principi cui il legislatore delegato è stato chiamato ad adeguarsi possono essere così schematizzati: raccogliere in un unico corpo normativo tutto il com-plesso delle norme vigenti per razionalizzare l’intero sistema mediante il loro raccordo sistematico; definire l’assetto normativo in relazione alla riforma del mercato del lavoro (L. n. 30/2003 e D.Lgs. n. 276/2003); riportare la normativa nel quadro di riparto delle competenze legislative (legislazione nazionale e re-gionale) derivato dalla riforma del titolo V° della Costituzione (legge costituzio-nale n. 3/2001).

Come detto, alla delega è stata data attuazione con il D.Lgs. n. 81/2008, in cui il legislatore ha raccolto, emendato, integrato e coordinato pressoché tutta la legislazione vigente in materia (dal d.p.r. n. 547/1955 al d.lgs. n. 626/1994).

Il T.U. nei tratti fondamentali si pone in linea di continuità con l’impianto del D.Lgs. n. 626/1994 (rimanendo la direttiva 391/1989/CE la comune matrice); per quanto concerne l’ordine sistematico, invece, se ne discosta, perché esso con-tiene una disciplina generale, dettata mediante la definizione di principi comuni, e una disciplina speciale dedicata a singoli settori.

I principi comuni definiscono le finalità, definizioni e campo di applicazione, individuano le istituzioni coinvolte e disciplinano il complesso sistema della gestione della sicurezza (misure di tutela ed obblighi, valutazione dei rischi, organizzazione del servizio di prevenzione e protezione, attività di formazione, informazione ed addestramento, sorveglianza sanitaria, gestione delle emer-genze, consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori).

Per ciascun ambito settoriale la disciplina generale trova integrazione e com-pletamento in quella speciale, che è appositamente dettata per l’ uso delle attrez-zature e dei dispositivi di sicurezza, i cantieri mobili e temporanei, la movimen-tazione manuale dei carichi, l’uso dei videoterminali e l’esposizione ad agenti fisici, biologi e chimici.

Le linee guida della riforma sono costituite dai due principi della universa-lità e della effettività.

Quanto all’universalità la nuova normativa persegue l’obiettivo di esten-dere, in tutto o in parte, le sue disposizioni pressoché a tutte le tipologie di lavoro.

Sicuramente l’estensione più importante riguarda i lavoratori autonomi (art. 2222 c.c.): ad essi, prima esclusi dall’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 626/1994,

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con una disposizione innovativa (art. 3) è stata resa applicabile la normativa in materia di sicurezza sul lavoro, anche se limitatamente ad alcuni aspetti (osservanza di alcune disposizioni relative all’uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale (art. 21). All’osservanza di tali disposizioni sono tenuti anche i componenti dell’impresa familiare (art. 230 bis c.c.), i piccoli imprenditori (art. 2083 c.c.) e i soci delle società semplici operanti nel settore agricolo (art. 21).

Ai lavoratori autonomi è imposta, in aggiunta, l’osservanza degli obblighi stabiliti per i contratti di appalto, d’opera e di somministrazione per la disciplina dei cd. processi di esternalizzazione (art. 26). Si tratta di quei casi in cui l’affi-damento a terzi del lavoro o di fasi di esso comporta la presenza contemporanea in un medesimo contesto lavorativo di più operatori legati da distinti rapporti negoziali; l’esigenza che si pone in siffatte ipotesi è quella di integrare i rispettivi compiti di sicurezza, far convergere il più possibile le responsabilità verso un unico centro di imputazione e definire esattamente la ripartizione delle rispettive funzioni (art. 26).

Per tali finalità sono imposti a carico del committente obblighi di coordina-mento e cooperazione, al cui assolvimento deve provvedere principalmente me-diante la redazione di un documento unico di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze.

Nello specifico caso dell’appalto privato, la mancata indicazione dei costi della sicurezza costituisce causa testuale di nullità del contratto, mentre negli appalti pubblici il medesimo parametro è assunto come uno dei criteri per la valutazione delle offerte ai fini della aggiudicazione.

Il principio dell’ universalità si esprime anche in relazione a talune tipologie di rapporti tra quelli previsti dalla normativa di riforma del mercato del lavoro.

Un primo punto fondamentale della riforma è dato dallo sviluppo di norme di coordinamento tra la disciplina della sicurezza ed il D.Lgs. n. 276/2003 (che già conteneva alcune disposizioni di raccordo ora recepite o confermate dal TU). Nei casi di dissociazione tra la figura del datore di lavoro e quella dell’utilizza-tore della prestazione è stato indicato il soggetto al quale sono imputati gli ob-blighi di prevenzione e quelli di protezione ed è stato definito il relativo riparto (come nel caso della somministrazione e del distacco, in cui a carico del datore di lavoro assuntore restano solo gli obblighi di formazione ed informazione, mentre tutti i restanti compiti sono di pertinenza del soggetto che utilizza la pre-stazione). La normativa è stata resa, poi, applicabile ai casi di svolgimento dell’attività di collaborazione autonoma presso il committente (collaborazioni a progetto e collaborazioni coordinate e continuative) e per specifiche tipologie di lavori (come nel caso del lavoro occasionale ed accessorio, dal quale però sono state espunte peculiari attività, come, ad es., piccoli lavori domestici straordinari, lezioni private, assistenza domiciliare ai soggetti deboli; art. 3 co. 8).

Fuori dal D.Lgs. n. 276/2003, l’estensione della normativa sulla sicurezza ha interessato specificamente le forme di lavoro delocalizzato (il c.d. lavoro a di-

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stanza, come, ad es., il telelavoro) ed alcune ipotesi di lavoro non subordinato (tirocini, volontariato ecc.).

Per i lavoratori stagionali è prevista una semplificazione degli adempimenti relativi all’informazione, formazione e sorveglianza sanitaria.

Sotto il profilo della effettività, la novità più rilevante può essere ravvisata nella scelta del legislatore di disciplinare espressamente la delega di funzioni: in precedenza la possibilità di delegare i compiti datoriali in materia di sicurezza ad altri soggetti era riconosciuta solo dalla giurisprudenza, che ne aveva fissato anche i requisiti di legittimità. Ciò è quanto previsto ora dall’art. 16 del T.U., che, in linea con i consolidati principi giurisprudenziali in materia, ha tipizzato l’isti-tuto della delega e gli ha riconosciuto portata generale, nel senso che al datore di lavoro è sempre possibile delegare ai dirigenti ed ai preposti i propri compiti in materia, salvo che non vi osti una espressa disposizione contraria (es. art. 17) e purché siano soddisfatti i seguenti requisiti: la forma scritta ad substantiam (essa deve risultare da atto con data certa ed è necessaria l’accettazione per iscritto); l’idoneità professionale del delegato a svolgere tali compiti; l’attribu-zione al delegato dei poteri di organizzazione, di gestione, di controllo e di spesa; pubblicità della nomina. Solo con il rispetto di tutte le condizioni sopra indicate la responsabilità si trasferisce in capo al delegato, anche se permane in forma concorrente nella sfera datoriale la culpa in vigilando per il fatto che il datore di lavoro è gravato dell’obbligo di vigilare sul corretto svolgimento dei compiti delegati (art. 16).

Per quanto concerne le violazioni, il T.U. ha inasprito le sanzioni: per la prima volta, per alcune di esse, è stata stabilita la sola pena detentiva (art. 55, co. 2).

Di assoluta novità è, poi, l’estensione della responsabilità penale prevista dal D.Lgs.n. 231/2001 a carico delle persone giuridiche (cd. responsabilità ammini-strativa per illecito dipendente da reato) all’ ulteriore ipotesi di violazione delle disposizioni in materia di tutela della salute e sicurezza del lavoro, anche se li-mitatamente alla considerazione di tali violazioni come aggravante specifica nei cd. reati di danno (il reato di omicidio colposo ex art. 589 c.p. e quello di lesioni gravi colpose ex 590 c.p. come conseguenza di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale).

Le sanzioni sono innanzitutto pecuniarie5: per l’omicidio colposo (art. 589 c.p.) la sua misura è pari a mille quote e per le lesioni gravi (art. 590, co. 3, c.p.) a duecentocinquanta quote.

Poi, sempre a carico della persona giuridica, sono previste sanzioni di tipo intedittivo di diversa specie e durata: interdizione dell’esercizio della attività d’impresa, sospensione, revoca delle autorizzazioni e concessioni amministra-tive, divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, revoca di agevola-zioni amministrative o esclusione da esse, divieto di pubblicizzare beni e servizi,

5 Definite per cd. quote: il valore di una quota è fissato tra un minimo di 258,30 ed un massimo di 1549,40 euro; il valore ed il numero delle quote graduato in base alla gravità del fatto.

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misure che possono essere disposte fino a sei mesi per il reato di lesioni colpose gravi, e da tre mesi ad un anno per il reato di omicidio colposo.

Ulteriori sanzioni sono stabilite nel caso di utilizzo di lavoratori irregolari (art. 14) per la finalità di contrasto al lavoro sommerso (che, nelle valutazioni del legislatore, rappresenta un fattore aggiuntivo di rischio per l’evasione agli obbli-ghi di sicurezza). Tali sanzioni arrivano a comprendere la sospensione dell’atti-vità imprenditoriale6 e il divieto fino a due anni di partecipare agli appalti pub-blici e di stipulare contratti con la pubblica amministrazione.

La regolarizzazione dei lavoratori ed il ripristino delle regolari condizioni di lavoro, oltre il pagamento di una somma aggiuntiva sulla sanzione pecuniaria, costituiscono condizioni per la revoca del provvedimento.

L’ultimo aspetto da esaminare è quello della collocazione della nuova nor-mativa all’interno del Titolo V della Costituzione, ovvero nel sistema di riparto tra Stato e Regioni delle competenze normative in materia: la sicurezza del la-voro rientra nel campo della competenza concorrente, in cui la potestà legislativa spetta alla Regione nel rispetto dei principi posti dall’ordinamento statuale.

In tale ambito le disposizioni del T.U. sono espressamente qualificate come principi fondamentali della materia (art. 117, co. 3 Cost.), in coerenza con i quali le Regioni possono legiferare.

Il TU, invece, trova diretta applicazione in tutti i casi in cui manchi una spe-cifica normativa regionale; in ogni caso esso, nell’ambito della competenza esclusiva dello Stato, definisce l’insieme «… dei livelli essenziali delle presta-zioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, co. 2 lett. m, Cost.), anche per l’eventuale eserci-zio dei poteri sostituitivi di cui all’art. 120, co. 2, Cost. nel caso in cui si tratti di preservare «… la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in partico-lare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» (art. 120, co. 2 Cost.).

6 Nel caso in cui sia riscontrato l’impiego di lavoratori irregolari in misura pari o superiore al venti per cento del totale dei lavoratori presenti nel luogo di lavoro; quando sia accertata la violazione reiterata dei limiti massimi dell’orario di lavoro fissati dal D.Lgs. n. 66/2003; infine, nei casi di violazione grave e reite-rata della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza specificamente individuati da una ap-posita normativa regolamentare.

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8 Diritto del Lavoro

Capitolo quarto, Sez. D, paragrafo 26 ss.

Il D.lgs. n. 66 – in cui, come detto in testo, è contenuta un’organica e com-pleta normativa non solo dell’orario di lavoro, ma anche del c.d. ‘tempo di non lavoro’ – è stato di recente modificato dalla L. n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) e soprattutto dal D.L. n. 112 del 20087, con disposizioni che accentuano i profili di flessibilità temporale consentiti alle imprese e al contempo incidono in modo significativo sugli obblighi d’informazione posti a loro carico.

Innanzitutto, va segnalato l’estensione dell’inapplicabilità complessiva del decreto stesso agli addetti ai servizi di vigilanza privata8.

Con specifico riferimento alla disciplina dell’orario di lavoro, poi, il D.L. 112 ha escluso dall’applicazione del limite settimanale omnicomprensivo medio di 48 ore9 il personale delle aree dirigenziali degli Enti e delle Aziende del Ser-vizio Sanitario Nazionale; ciò in ragione della qualifica posseduta e delle neces-sità di conformare l’impegno di servizio al pieno esercizio della responsabilità propria dell’incarico dirigenziale affidato. Peraltro, sarà compito della contratta-zione collettiva definire le modalità idonee a garantire ai dirigenti condizioni di lavoro che consentano una protezione appropriata ed il pieno recupero delle energie psico-fisiche10.

Inoltre, è stato soppresso l’obbligo di informazione dell’avvenuto supera-mento delle 48 ore settimanali a causa di ricorso al lavoro straordinario11.

Per quanto attiene al riposo giornaliero consecutivo di undici ore ogni 24, a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. n. 112, esso può essere ora concesso in modo non consecutivo non solo per «le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata», ma anche per le attività caratterizzate «da regimi di reperibilità»12. Pure per questa tutela sono state inoltre introdotte ulte-riori esclusioni, non indenni da osservazioni critiche per contrasto con la disci-plina comunitaria: in primo luogo il personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale (per il quale si fa riferimento alle vigenti disposizioni con-trattuali in materia di orario di lavoro, nel rispetto dei princìpi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori”)13; in secondo luogo il

7 Conv. con modificazioni, nella L. n. 133 del 2008.8 V. art. 41, co. 3, D.L. n. 112 del 2008, che ha modif. l’art. 2, co. 3, del D. Lgs. n. 66. Si tratta una esclu-

sione che, per la sua radicalità e nettezza, presenta rilevanti profili di contrasto con la disciplina comunitaria di cui alla Direttiva n. 88/2003 del 4 novembre 2003.

9 Previsto dall’art. 4, del D.Lgs. n. 66.10 Art. 41, co. 13, D.L. n. 112. Anche in questo caso, la previsione presenta rilevanti problemi di confor-

mità rispetto alle previsioni comunitarie.11 V. art. 41, co. 14, D.L. n. 112/2008, il quale ha abrogato l’art. 4, co. 5, D.Lgs. n. 66; esso ha provveduto

a sopprimere anche un ulteriore obbligo di informazione, relativo allo svolgimento di lavoro notturno e di-sciplinato, originariamente, dall’art. 12, co. 2, D.Lgs. n. 66.

12 V. art. 41, co. 4, D.L. n. 112/2008, che ha modif. l’art. 7, D.Lgs. n. 66.13 Cfr. nuovo co. 6-bis dell’art. 17 del D.Lgs. introdotto con l’art. 3, co. 85, della citata L. n. 244 del 2007.

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personale delle aree dirigenziali degli Enti e delle Aziende del Servizio Sanitario Nazionale (per il quale è stata affidata ancora una volta alla contrattazione col-lettiva la definizione delle modalità atte a garantire condizioni di lavoro che consentano una protezione appropriata ed il pieno recupero delle energie psico-fisiche)14.

Un’ulteriore e rilevante modifica ha riguardato il rinvio ai contratti collettivi per l’eventuale deroga alle disposizioni in materia di riposo giornaliero, nonché di quelle relative alle pause e alla durata e organizzazione del lavoro notturno15. È stata, infatti, confermata la competenza derogatoria dei contratti collettivi sti-pulati a livello nazionale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative; laddove, sia pure limitatamente al settore privato, in assenza di specifiche disposizioni nei contratti collettivi nazionali, le deroghe possono ora essere stabilite anche direttamente dai contratti collettivi territoriali o aziendali stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (in precedenza ciò era ammesso solo in conformità con quanto previsto dai contratti nazionali).

Infine, per quanto riguarda il riposo settimanale, il diritto del lavoratore «ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giorna-liero di cui all’articolo 7» è stato confermato, ma si è previsto che sia «calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni»16. In sostanza, l’attuale formulazione consente uno slittamento incondizionato del riposo settimanale e rischia di porsi in contrasto con l’art. 36, co. 3, Cost.

Infine, con riferimento alla disciplina del lavoro notturno, è stata modificata in senso restrittivo la definizione di lavoratore notturno: ora è considerato tale colui che durante il periodo notturno «svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale» (per questo aspetto la previsione originaria è rimasta immutata), ovvero colui che, durante il periodo notturno, svolga «almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro» o ancora, in difetto di disciplina collettiva, «svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all’anno per almeno tre ore»17.

14 V. ancora l’art. 41, co. 13, D.L. n. 112 del 2008.15 Cfr. nuovo co. 1 dell’art. 17 del D. Lgs. n. 66, come sostituito dall’art. art. 41, co. 7, D. L. n. 112.16 V. art. 9, D. Lgs. n. 66, come modif. dall’art. 41, co. 5, D.L. n. 112.17 Le parole in corsivo sono state aggiunte all’art. 1, co. 2, lett. e, del D.Lgs. n. 66 dall’art. 41, co. 1, D.L.

n. 112.

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10 Diritto del Lavoro

Capitolo settimo, paragrafo 29

Si è detto nel testo che entro il 1° gennaio 2008 i lavoratori dovevano deci-dere se trasferire il T.FR. a una forma pensionistica complementare o mantenerlo in azienda. La L. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007)18, ha antici-pato l’entrata in vigore del nuovo sistema al 1° gennaio 2007, dettando anche alcune modifiche della precedente normativa

Ai sensi della nuova disciplina, la scelta di destinazione del TFR deve essere effettuata dal lavoratore entro sei mesi dall’assunzione. Con dichiarazione espli-cita diretta al datore di lavoro, il lavoratore può scegliere di destinare il TFR maturando alla forma di previdenza complementare prescelta, sia essa collettiva o individuale, oppure di mantenere il TFR presso il datore di lavoro. In tale ultimo caso, però, se l’azienda occupa almeno 50 dipendenti, il TFR maturando verrà trasferito dal datore di lavoro al ‘Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto’ gestito dall’INPS, che assicura le stesse prestazioni previste dall’art.2120 del codice civile. Se, poi, entro il ter-mine sopra indicato, il lavoratore non effettua alcuna scelta, il TFR maturando sarà destinato dal datore di lavoro alla forma pensionistica collettiva individuata secondo i criteri fissati dal D.Lgs. n. 252 del 2005 e, in ultimo, alla forma pensio-nistica complementare residuale appositamente istituita presso l’INPS.

Si segnala, infine che per il personale dipendente dalle amministrazioni pub-bliche di cui all’articolo 1, co. 2, D.Lgs. n. 165 del 2001, che aderisce alle forme pensionistiche negoziali destinate al pubblico impiego, continua a trovare appli-cazione la disciplina contenuta nel D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124.

18 V. altresì il D.Lgs. n. 28/2007 (attuativo della direttiva 2003/41/CE in tema di attività e di supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali), la L. n. 244/2007 (relativamente al finanziamento delle spese d’avvio per i fondi pensione dei lavoratori pubblici non statali) e la L. n. 247/2007 (con riguardo alle modalità di finanziamento dei fondi pensione da parte di coloro che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari).

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Appendice aggiornata al 30 maggio 2009 11

Capitolo settimo, Sez. B, paragrafo 10

Di particolare rilevo, in tema di tutela del lavoratore disabile, è la novità – in-trodotta dal nuovo testo unico in materia di sicurezza del lavoro (v. l’aggiorna-mento al Cap. IV, par. 24, in questa appendice) – secondo cui, in caso di soprav-venuta inidoneità del lavoratore alle mansioni specifiche, il datore di lavoro ha l’obbligo (se necessario modificando l’organizzazione aziendale nei termini previ-sti dalla L. n. 68 del 1999) di adibire il lavoratore ad altre mansioni cui risulti idoneo, precisando che tali non sono solo quelle equivalenti o inferiori (con diritto a conservare la retribuzione in godimento), ma anche quelle superiori (con possi-bilità di acquisire il definitivo inquadramento nella qualifica superiore qualora ri-corrano le condizioni previste dall’art. 2103 c.c.) (art. 42, D. Lgs. n. 81 del 2008).

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12 Diritto del Lavoro

Capitolo ottavo, Sez. A, paragrafo 4

Ad integrazione di quanto detto nel testo, va rilevato che le somme dovute al lavoratore a titolo di retribuzione o altre indennità derivanti dal rapporto di la-voro anche a causa di licenziamento possono essere pignorate per crediti alimen-tari (art. 545, co. 3, c.p.c.) nella misura autorizzata dal giudice competente per materia e inoltre possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato alle Province e ai Comuni e in ugual misura per ogni altro cre-dito (art. 543, co. 4, c.p.c.).

Lo stesso limite del quinto si applica alla cessione del credito per retribuzioni che il lavoratore voglia effettuare a favore di propri creditori o anche a favore del datore di lavoro per debiti derivanti dal rapporto.

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Capitolo nono, Sez. A, paragrafo 3 e ss.

La disciplina del lavoro pubblico è tornata a formare oggetto di attenzione da parte del Governo entrato in carica nel 2008, il quale – accanto ad interventi più generali di riforma delle pubbliche amministrazioni – ha iscritto l’ennesima riforma della materia tra le priorità della propria agenda politica. A fondamento dell’azione riformatrice è stato posto un Piano industriale19 che traccia «le tra-iettorie di un rapido ed efficace programma di risanamento, ristrutturazione e rilancio della macchina pubblica italiana».

Il primo intervento è costituito dal D.L. 25 giugno 2008, n. 11220, con cui si opera una consistente riduzione della spesa pubblica e s’introducono alcune im-portanti novità in materia di lavoro pubblico soprattutto in tema di reclutamento, di alcuni istituti del rapporto di lavoro e di relazioni sindacali.

Per quanto concerne il primo aspetto, sono stati fissati limiti percentuali assai restrittivi alle assunzioni (riducendosi significativamente, in tal modo, il turn-over); si è previsto che tutte le pp.aa. debbano procedere ad una ridefinizione dei propri assetti organizzativi, attraverso la riduzione delle dotazioni organiche del personale di qualifica dirigenziale e non dirigenziale.

Con l’intento di ridurre il fenomeno dell’assenteismo è stata riformata la disciplina delle assenze per malattia dei dipendenti pubblici. Sono stabilite nuove modalità di giustificazione dell’assenza relative alla certificazione medica da produrre, e si sono rafforzati i controlli21. Dal punto di vista del relativo tratta-mento economico, nei primi dieci giorni dei periodi di assenza per malattia di qualunque durata viene corrisposto solo il trattamento economico fondamentale, e restano escluse tutte le indennità e gli emolumenti, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché ogni altro trattamento accessorio22.

Altro istituto la cui disciplina è stata profondamente modificata è il part-time. Al riguardo si è previsto che la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale non costituisca più un diritto del dipendente: l’ammini-strazione ha ora la facoltà di concederla o negarla, con decisione motivata, tenuto conto del pregiudizio23 delle esigenze organizzative24.

Il D. L. n. 112 ha modificato, inoltre, per l’ennesima volta la disciplina dei contratti di lavoro flessibili rendendo nuovamente più agevole il ricorso ad essi.

19 Intitolato Linee programmatiche sulla riforma della pubblica amministrazione.20 Conv. con modif. nella L. n. 133 del 200821 Tali controlli vanno attivati dalle amministrazioni fin dal primo giorno di malattia ed è stato introdotto

un irrigidimento delle fasce di reperibilità, fissate dalle 8,00 alle 13,00 e dalle 14,00 alle 20,00 di tutti i giorni, compresi i non lavorativi ed i festivi: v. art. 71.

22 V. art. 7123 Che non deve più essere “grave”, come previsto dalla precedente normativa24 V. art. 73. Nel valutare se accordare o meno la trasformazione del rapporto a tempo parziale, la p.a.

dovrà tener conto delle mansioni del lavoratore e della sua collocazione e della eventuale disfunzione sul piano organizzativo che può derivarne.

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Il nuovo testo della Norma prevede che «per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le proce-dure di reclutamento previste dall’art. 35». La norma non intende escludere, quindi, l’utilizzo di altre forme contrattuali per la soddisfazione di esigenze diverse da quelle ordinarie; ed in effetti il secondo comma della disposizione prevede che «per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le ammini-strazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di as-sunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, nel rispetto delle procedure di re-clutamento vigenti». In tal modo, viene introdotta nuovamente la possibilità di utilizzare le forme contrattuali consentite all’impresa privata, pur se la perma-nenza dei profili di specialità propri del rapporto di lavoro nella pubblica am-ministrazione viene confermata dal riferimento riguardante il rispetto delle pro-cedure di reclutamento vigenti nella stessa.

Un maggior favore verso le forme contrattuali flessibili è evidente anche nel disposto del co. 3, il quale consente alle pubbliche amministrazioni di «ricorrere all’utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali»; e tuttavia tale facoltà può essere esercitata solo entro il limite temporale di un «triennio nell’arco dell’ultimo quinquennio».

Significativi interventi hanno riguardato anche la disciplina della cessazione del rapporto di lavoro, con l’introduzione dell’istituto dell’esonero dal servizio e con le modifiche apportate in materia di trattenimento in servizio e di ri-soluzione anticipata del rapporto di lavoro per compimento dell’anzianità con-tributiva massima25.

Quanto all’esonero dal servizio, esso può essere richiesto dai dipendenti pubblici cui manchino cinque anni alla maturazione dell’anzianità massima contributiva di quarant’anni, e la concessione avviene a discrezione dell’ammi-nistrazione. Il lavoratore esonerato percepirà il 50% del trattamento economico e il 100% di quello contributivo, fino al raggiungimento dell’età pensionabile, quando avrà diritto al trattamento che gli sarebbe spettato se fosse rimasto in servizio.

Quanto invece, al trattenimento in servizio, il dipendente pubblico può – come avveniva già in precedenza – farne richiesta un anno prima del raggiungi-mento del limite di età previsto dal proprio ordinamento; ma l’amministrazione ha ora piena discrezionalità, in base alle proprie esigenze organizzative, di con-cederlo o no (salvo che si tratti di dipendenti che non hanno ancora raggiunto il requisito di contribuzione minimo per la maturazione del diritto a pensione, nel qual caso la concessione è obbligatoria).

Ma la novità maggiore riguarda la risoluzione anticipata del rapporto di la-voro: le pubbliche amministrazioni possono ora risolvere il rapporto di lavoro

25 Art. 72, D.L. n. 112/2008, convertito dalla L. n. 133/2008.

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con il personale dipendente che abbia maturato un’anzianità contributiva colle-gata al servizio effettivo, di quarant’anni, indipendentemente dall’età anagrafica, con un preavviso di sei mesi. Si tratta di una vistosa deroga alla disciplina dei licenziamenti individuali, applicabile ai dipendenti da amministrazioni pubbli-che il cui rapporto di lavoro sia stato “contrattualizzato”, in quanto tale disciplina si applica in generale fino al raggiungimento dell’età anagrafica – oltre che della contribuzione minima – per ottenere il diritto alla pensione di vecchiaia.

Infine, pur confermando, nelle sue linee generali, la disciplina sanzionatoria contenuta nelle precedenti versioni della disposizione, il nuovo art. 36 sottolinea la responsabilità dei dirigenti in materia: mentre si ribadisce che l’inosservanza di norme imperative non produce mai la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenza di pubbliche amministrazioni, si precisa che il lavoratore interessato «ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizione imperative».

Inoltre si è confermato l’obbligo delle pubbliche amministrazioni «di recu-perare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qua-lora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave». Ciò posto, la norma ha altresì previsto che «i dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono responsabili anche ai sensi dell’art. 21 del presente decreto», e che «di tali violazioni si terrà conto in sede di valutazione dell’operato del dirigente»26.

I provvedimenti fin qui illustrati hanno costituito una sorta di anticipazione dei più significativi tratti della riforma che il legislatore ha più chiaramente de-lineato nella L. 4 marzo 2009, n. 15, “finalizzata all’ottimizzazione della produt-tività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pp.aa.”, con la quale il Governo è stato delegato ad intervenire in profondità su molti aspetti regolativi del lavoro pubblico.

I punti cardine di questo intervento normativo attengono: alla revisione del rapporto tra le fonti di disciplina dell’organizzazione e del rapporto di lavoro pubblico; alla revisione della regolamentazione del rapporto di lavoro dirigen-ziale; al rafforzamento degli strumenti e delle procedure di valutazione; al po-tenziamento del sistema disciplinare.

Con riferimento alla regolamentazione del sistema delle fonti, va preliminar-mente segnalata la modifica apportata all’art. 2, co. 2, d. lgs. n. 165 del 2001, con norma di immediata applicazione, che ha esattamente rovesciato il previ-gente assetto dei rapporti tra legge e contratto collettivo. Il nuovo testo della del comma 2 dispone, infatti, che eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto che introducano discipline dei rapporti di lavoro destinate ad essere ap-

26 Per connessione tematica, vale la pena ancora sottolineare che l’art. 7 ter, co. 12, lett. a), del D.L. n. 5 del 2009 (conv. nella L. n. 33 del 2009), nel riformare la disciplina del lavoro accessorio (v. l’aggiornamento del Capitolo XII, Sez. C, paragrafo 24, lett. b, contenuto in questa appendice), al fine di renderlo utilizzabile per attività lavorative di natura occasionale, rese nell’ambito «di manifestazioni sportive, culturali, fieristiche o caritatevoli e di lavori di emergenza o di solidarietà», ne ha consentito il ricorso «anche in caso di commit-tente pubblico».

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plicate esclusivamente a pubblici dipendenti o a categorie di essi, «possono es-sere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge». Dunque, l’effetto derogatorio della legge da parte della contratta-zione collettiva successiva è ora ammesso solo quando sia la legge stessa a pre-vederlo, il che significa che, di regola, le discipline speciali in materia di lavoro pubblico conterranno per il futuro norme che devono essere considerate indero-gabili, a meno che non vi sia un’espressa disposizione contraria.

Passando alla riforma della disciplina della dirigenza, il legislatore, al fine di promuoverne l’efficienza, ha anzitutto vincolato il legislatore delegato ad assi-curarne l’autonomia dalla politica e dalle organizzazioni sindacali, anche rive-dendo la disciplina delle incompatibilità. Altro criterio centrale della delega è costituito dall’enfatizzazione di alcuni dei poteri in tema di gestione degli uffici e del personale e dall’inasprimento del regime delle relative responsabilità (di cui alcune sono state comunque tipizzate dalla L. n. 15/09) e delle connesse sanzioni, anche di tipo economico. Il legislatore delegato dovrà anche provve-dere a modificare la disciplina degli incarichi, prevedendo, tra l’altro, che l’ac-cesso alla prima fascia della dirigenza avvenga per concorso. Maggiori limiti dovranno essere introdotti, poi, al ricorso ai dirigenti esterni. Ulteriori profili della delega relativa alla disciplina della dirigenza riguardano, poi, il potenzia-mento della formazione e la mobilità dei dirigenti, come pure il ruolo di tutela del Comitato dei garanti.

Un altro – egualmente centrale – tassello della delega concerne la materia della valutazione delle performances delle strutture, dei dirigenti e dei dipendenti pubblici. La tematica della valutazione ha rappresentato, probabilmente, il prin-cipale punto debole dell’esperienza pregressa e, dunque, è comprensibile che il legislatore abbia puntato proprio a recuperarne la valenza strategica. A tal fine, la legge delega ha previsto un intervento del legislatore delegato su soggetti e procedure, creando opportune sinergie tra la valutazione rimessa agli organi in-terni e la valutazione esterna affidata alla Corte dei conti e agli stessi cittadini-utenti. Una significativa novità è rappresentata dall’istituzione dell’Autorità in-dipendente, con compiti di garanzia sulla trasparenza dei sistemi di valutazione, la quale peraltro investirà le strutture, i dirigenti e tutti i lavoratori.

Un buon sistema di valutazione dovrebbe assicurare un’adeguata valorizza-zione del merito, la quale si tradurrà, per i dipendenti, nell’attribuzione selettiva di incentivi economici e in progressioni di carriera, che dovranno svolgersi su base esclusivamente concorsuale. Peraltro, gli esiti di un procedimento di valu-tazione possono anche essere negativi e, in tal caso, la legge ha previsto che debba trovare applicazione un sistema sanzionatorio particolarmente severo.

Al riguardo, e passando così all’ultimo profilo significativo della riforma, va detto che, per quanto concerne le modifiche in materia di esercizio del potere disciplinare, l’obiettivo perseguito dalla legge delega è quello di “potenziare il livello di efficienza degli uffici pubblici, contrastando i fenomeni di scarsa pro-

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duttività e assenteismo”. A tal fine, i criteri direttivi fissati al Governo concer-nono, tra l’altro, la semplificazione e l’accelerazione del procedimento; la sua autonomia dal procedimento penale; la definizione delle tipologie di infrazioni che possono dar luogo a licenziamento e la tipizzazione di ulteriori fattispecie; l’ampliamento delle competenze del dirigente quanto all’irrogazione delle san-zioni; la previsione di obblighi risarcitori a carico del dipendente che abbia pro-curato danno all’amministrazione.

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18 Diritto del Lavoro

Capitolo nono, Sez. C paragrafo 16 bis

Nel Protocollo del 23 luglio 2007, Governo e Parti sociali hanno concordato il riordino della disciplina di alcuni istituti funzionali al rilancio della competi-vità delle imprese e all’accrescimento dei livelli occupazionali, tra cui l’appren-distato. Nella legge di attuazione del Protocollo, n. 247 del 24 dicembre 2007, i commi 30 e 33 conferivano delega al Governo, che andava esercitata entro il 31 dicembre 2008, per il riordino della normativa in materia di apprendistato, atte-nendosi ai quattro criteri direttivi enunciati nel comma 33, e cioè: a) rafforza-mento del ruolo della contrattazione collettiva; b) individuazione di standard nazionali di qualità della formazione, anche per agevolare la mobilità territoriale degli apprendisti; c) adozione di meccanismi in grado di garantire l’attuazione uniforme in tutto il territorio nazionale della disciplina dell’apprendistato profes-sionalizzante; d) adozione di misure in grado di assicurare il corretto utilizzo del contratto di apprendistato.

La L. n. 133 del 6 agosto 2008, di conversione del D.L. n. 112 del 25 giugno 2008, ha apportato significative modifiche alla disciplina dell’apprendistato in-trodotta nel 2003, intervenendo sia sul secondo (apprendistato professionaliz-zante) sia sul terzo tipo (apprendistato specializzante), lasciando invece tuttora inutilizzabile il primo.

Le novità per l’apprendistato professionalizzante riguardano la durata mi-nima e la formazione. Sul primo versante, l’art. 23 co. 1, della L. n. 133, modi-ficando l’art. 49, co. 3, D.Lgs. 276/2003, ha soppresso la previsione legale sulla durata minima, (non inferiore a due anni), ora rimessa in via esclusiva alla con-trattazione collettiva, con il solo limite legale della durata massima di sei anni, restando la determinazione della durata comunque interdetta alle parti. Con rife-rimento al profilo formativo, l’art. 23, co. 2, ha poi introdotto nell’art. 49 il comma 5 ter, il quale prevede il c.d. “canale parallelo”, e cioè un percorso for-mativo interamente disciplinato dalla contrattazione collettiva ovvero dagli enti bilaterali ove gestito dal datore di lavoro («formazione esclusivamente azien-dale»), con esclusione di qualsiasi competenza delle regioni, («non opera quanto previsto dal comma 5»); all’autonomia collettiva parrebbe consentita anche la determinazione di un monte ore di formazione formale inferiore al tetto minimo delle 120 ore fissato dal co. 5, lett. a). Su tale disposizione sono stati proposti ricorsi alla Corte Costituzionale da alcune regioni che lamentano la violazione dell’art. 117, co. 4 Cost., rientrando la disciplina della formazione professionale, anche in apprendistato, nella loro competenza residuale.

Per quanto attiene all’apprendistato specializzante, il comma 3 dell’art. 23, modificando l’art. 50, co. 1 D. Lgs. 276/2003, in primo luogo ne estende l’utiliz-zabilità al conseguimento del titolo di dottore di ricerca, in tal modo coprendo l’intero segmento del sistema universitario. Viene poi prevista, con una modifica del successivo comma 3 dell’art. 50, la possibilità di attivare tale tipologia di

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apprendistato anche «in assenza di regolamentazioni regionali», in base ad una convenzione stipulata direttamente dal datore di lavoro con le Università e le altre istituzioni formative. Pure su tale previsione pendono ricorsi su iniziativa regio-nale alla Corte Costituzionale. La terza novità afferisce alla disciplina dell’ap-prendistato specializzante, al quale viene estesa, con l’ultimo inciso inserito nel comma 3 dell’art. 50, quella del professionalizzante, con un esplicito rinvio all’art. 49, comma 4, nonché il sistema di incentivi disciplinato dall’art. 53.

L’art. 23 co. 5 della L. 133, infine, porta avanti l’operazione di abrogazione esplicita della vecchia disciplina, tuttora in vigore ove compatibile con il nuovo apprendistato, abrogando cinque disposizioni, e cioè:– l’art. 4 L. n. 25/1955 sulla visita sanitaria preassuntiva degli apprendisti;– con riferimento al D.P.R. n. 1668/1956, l’art. 21, sull’informativa semestrale

alla famiglia; l’art. 24. co. 3, sulla comunicazione dei nominativi degli ap-prendisti qualificati e non, al termine del quinquennio. e il successivo co. 4, sulla comunicazione dei nominativi degli apprendisti 18enni non qualificati;

– infine, l’art. 1 D.M. 7/10/1999, sulla comunicazione alle Regioni dei nomi-nativi degli apprendisti e del tutore aziendale per la formazione esterna.

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20 Diritto del Lavoro

Capitolo decimo paragrafo 6

Si è accennato in testo che il datore di lavoro è obbligato, qualora instauri un rapporto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo in forma coordinata e con-tinuativa, anche nella modalità a progetto, di socio lavoratore di cooperativa e di associato in partecipazione con apporto lavorativo, a darne comunicazione, entro il giorno antecedente a quello di instaurazione dei relativi rapporti27, al Servizio per l’impiego competente nell’ambito territoriale in cui è ubicata la sede di la-voro, mediante documentazione avente data certa di trasmissione. Oltre a questa comunicazione il datore di lavoro deve effettuarne altre in occasione delle mo-dificazioni delle originarie condizioni di assunzione28.

Le suddette comunicazioni sono importanti in quanto assicurano la trasparenza e la correttezza della gestione del personale. Tali comunicazioni d’altro canto de-vono trovare corrispondenza nelle annotazioni contenute nel Libro Unico istituito di recente con il D. L. 25 giugno 2008, n. 112 (conv. nella L. 6 agosto 2008, n. 133)29.

Al riguardo va detto che, in precedenza, il datore di lavoro era obbligato a tenere una serie di documenti, tra cui in particolare il libro paga e il libro matri-cola in cui era tenuto ad annotare i dati personali dei dipendenti, la data di as-sunzione e cessazione del rapporto, la categoria professionale, nonché tutte le voci relative alla retribuzione di ogni singolo dipendente. Con l’introduzione del libro unico del lavoro, sono stati aboliti i suddetti libri obbligatori e le funzioni precedentemente assolte dagli stessi sono ora espletate, appunto, dal libro unico, il quale fornisce la “fotografia” dei rapporti di lavoro in modo da consentire agli organi ispettivi di verificare la regolarità gestionale dei rapporti di lavoro, sotto il profilo retributivo, previdenziale, assicurativo e fiscale.

Soggetti obbligati ad istituire il libro unico del lavoro sono tutti i datori di lavoro privati, ad eccezione dei datori di lavoro domestici. Nel libro unico vanno iscritti tutti i lavoratori subordinati, anche a domicilio, i collaboratori coordinati e continuativi, nonché a progetto, e gli associati in partecipazione con apporto di lavoro, anche misto. Restano esclusi, pertanto, i collaboratori ed i coadiuvanti

27 Art. 9 bis D.L. 1 Ottobre 1996 n. 510 convertito in L. 28 novembre 1996 n. 608 come modificato dall’art. 1 co. 1180 L. 27 Dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria 2007).

28 Cfr. capitolo par. 6 pag. 306. Occorre ricordare che per l’instaurazione, la proroga, la trasformazione e la cessazione del rapporto di lavoro domestico, le disposizioni di cui all’art. 16 bis, commi 11 e 12, del decreto legge 28 novembre 2008, n. 185, come modificato dalla legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2, hanno introdotto delle procedure semplificate prevedendo che le relative comunicazioni possano avvenire attraverso una telefonata al Contact center dell’INPS o il collegamento al sito internet dell’Istituto. Al riguardo, il Mi-nistero ha precisato, con circolare del 16 febbraio 2009, n. 1044, che quanto disposto nell’art. 16 bis appena citato, si applica a tutti i datori di lavoro che assumono alle proprie dipendenze lavoratori per l’espletamento di attività domestiche, escluse però le prestazioni rese per esigenze solo temporanee.

29 Con la circolare n. 20 del 21/08/2008, il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali – Direzione Generale per l’Attività Ispettiva, ha impartito le prime istruzioni di carattere operativo al personale ispettivo, in tema di libro unico del lavoro. In data 18/08/2008, inoltre, è entrato in vigore il Decreto mini-steriale del 9/07/2008, che ha integrato la disciplina sul libro unico, di cui all’art. 39 del D.L. 112/2008.

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delle imprese familiari, i coadiuvanti delle imprese commerciali ed i soci lavo-ratori di attività commerciale e di imprese in forma societaria.

Il libro unico del lavoro può essere tenuto presso la sede legale dell’impresa oppure, alternativamente, presso lo studio del consulente del lavoro o di altri professionisti abilitati, oppure presso i servizi e i centri di assistenza delle asso-ciazioni di categoria delle imprese artigiane e delle altre piccole imprese30.

Delineata brevemente la disciplina del libro unico del lavoro prevista dal D.L. n. 112/2008, va ancora segnalato che l’esigenza di riportare l’ instaurazione dei rapporti di lavoro nell’ambito della legalità ha suggerito di modificare il si-stema sanzionatorio previsto per la violazione della descritta normativa.

Ai sensi dell’art. 36 bis, co.7, D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (conv. nella L. 4 agosto 2006, n. 248), si considerano lavoratori “in nero” tutti quei soggetti “non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria”, quindi “scono-sciuti alla Pubblica Amministrazione” relativamente al loro status di lavoratori, sia subordinati che autonomi31. Orbene, nell’ottica di contrasto al lavoro nero, l’art. 36 bis citato ha introdotto una sanzione amministrativa molto forte – da € 1.500,00 ad € 12.000,00 per ciascun lavoratore, maggiorata di € 150 per cia-scuna giornata di lavoro effettivo – la cui irrogazione rientra nella competenza della Direzione Provinciale del Lavoro32. L’art. 14 del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (dettato in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro: v. supra capitolo quarto, Sez. C, paragrafo 24 bis di questa appendice), stabilisce, poi, anche l’ado-zione di un provvedimento di sospensione di una attività imprenditoriale, qualora gli organi di vigilanza del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale riscon-trino l’impiego di personale non risultante dalle scritture o da altra documenta-zione obbligatoria in misura pari o superiore al 20% del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, ovvero in caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamenti dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale.

30 Sussiste, inoltre, l’obbligo di esibizione tempestiva del libro unico agli organi di vigilanza, anche a mezzo fax o e-mail, solo qualora lo stesso sia tenuto presso una sede stabile di lavoro, intendendosi per sede stabile “un’articolazione autonoma dell’impresa, stabilmente organizzata, che si presenta idonea ad espletare, in tutto o in parte, l’attività aziendale e risulta dotata degli strumenti necessari, anche con riguardo alla presenza di uffici amministrativi”. Vedi circolare n. 20/2008 cit. del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali.

31 Si tratta, pertanto, di soggetti assunti senza l’osservanza delle procedure previste dalla legge (comuni-cazione obbligatoria al Centro per l’Impiego del nominativo del lavoratore), non iscritti sui libri obbligatori di lavoro (prima libri di paga e matricola, ora libro unico del lavoro), per i quali, pertanto, il datore di lavoro non ottempera all’obbligo dei versamenti contributivi ed assicurativi (INPS ed INAIL).

32 Occorre precisare, a tal proposito, che il suddetto art. 36bis comma 7 ha modificato l’art. 3 della L. 73/2002, che prevedeva una maxisanzione per il lavoro nero, stabilita secondo una differente modalità di calcolo, per la cui irrogazione era competente l’Agenzia delle Entrate.

A tal proposito, di recente, la Corte Costituzionale con sentenza n. 130 del 14 maggio 2008, contrariamente a quanto stabilito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni sul processo tributario, per contrasto con l’art. 102 comma 2 Cost., nella parte in cui attri-buiscono alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni irrogate dall’Agenzia delle Entrate, laddove le stesse abbiano ad oggetto disposizioni non aventi natura tributaria. La maxisanzione, difatti, con-cerne obblighi di natura retributiva e previdenziale che, pertanto, rientrano nella giurisdizione del Tribunale Ordinario, in funzione di giudice del lavoro.

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22 Diritto del Lavoro

Capitolo decimo, Sez. B, paragrafo 9

La disciplina del diritto al lavoro dei disabili ha subito alcune modifiche che hanno interessato in particolar modo il sistema delle convenzioni per l’avvia-mento al lavoro e quello delle agevolazioni.

La L. 24 dicembre 2007 n. 24733 ha modificato l’art. 12 della L. n. 68 del 1999 sulla disciplina delle convenzioni di inserimento lavorativo temporaneo con finalità formativa. Tali convenzioni possono essere stipulate dagli uffici competenti per il collocamento con i c.d. soggetti ospitanti (cooperative sociali di tipo b)34, imprese sociali35, disabili liberi professionisti nonché datori di la-voro non obbligati alle assunzioni previste (quota di riserva) dalla L. n. 68. Con la convenzione – che ha evidentemente natura trilaterale – il datore di lavoro vincolato dalla convenzione si obbliga ad affidare commesse di lavoro – il cui valore dovrà consentire di applicare la parte normativa e retributiva dei contratti collettivi e di coprire i costi di inserimento – ai soggetti ospitanti, che impie-gheranno presso di loro il lavoratore con disabilità il quale, dovrà essere conte-stualmente assunto a tempo indeterminato dal datore di lavoro obbligato e, in ragione di ciò, computato ai fini della copertura della quota di riserva36. Il lavo-ratore pertanto sembra essere collocato in posizione di distacco presso il sog-getto ospitante.

La seconda modifica apportata alla L. n. 68 dalla L. n. 247 del 200737 è l’in-troduzione dell’art. 12 bis, che disciplina le convenzioni di inserimento lavora-tivo, con cui i datori di lavoro privati che abbiano alle loro dipendenze più di 50 dipendenti possono adempiere ai propri obblighi di assunzione mediante il con-ferimento di commesse di lavoro a determinati soggetti (definiti “destinatari”), i quali a loro volta si impegnano ad assumere, contestualmente alla stipula delle convenzioni, lavoratori disabili che presentino particolari caratteristiche e diffi-coltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario. I soggetti “destinatari” delle convenzioni – che devono essere in possesso di specifici requisiti indicati dalla legge – sono le cooperative sociali di tipo a) e b)38 e i loro consorzi, le imprese sociali39 che, indipendentemente dall’attività di impresa svolta40, siano finaliz-

33 Art. 1, c. 37, lett. a).34 Di cui all’articolo 1, comma 1, lettere b), della L. 8 novembre 1991, n. 381.35 D.lgs. 24 marzo 2006, n. 155.36 Nei limiti di un lavoratore disabile, se il datore di lavoro occupa meno di 50 dipendenti, ovvero del 30

per cento dei lavoratori disabili da assumere ai sensi dell’articolo 3 della L. n. 68/99, se il datore di lavoro occupa più di 50 dipendenti.

37 Art. 1, c. 37, lett. b). La L. n. 247 del 2007 aveva anche abrogato l’art. 14 del D.Lgs. n. 276 del 2003, poi ripristinato dal D.L n. 112 del 2008, convertito con la L. n. 133 dello stesso anno. V. art. 39, c. 10, lett. m) che abroga l’art. 1, c. 38 della L. n. 247/2007 e il c. 11.

38 Di cui all’articolo 1, comma 1, lettere a) e b), della L. 8 novembre 1991, n. 381.39 Di cui all’articolo 2, comma 2, lettere a) e b), del D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155.40 Ovvero indipendentemente dall’esercizio della attività di impresa nei settori volti alla produzione di

beni o servizi di utilità sociale, di cui al comma 1, art. 2, D.Lgs. n. 155 del 2006.

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zate all’inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati41 e disabili42, e i datori di lavoro privati non soggetti all’obbligo di assunzione di cui all’articolo 3, comma 1 della L. n. 68/99. A differenza delle convenzioni di inserimento tem-poraneo con finalità formativa, di cui si è detto sopra, nelle convenzioni di inse-rimento lavorativo il disabile viene assunto dal soggetto destinatario. Il ricorso a tale tipo di convenzione è consentito «esclusivamente a copertura dell’aliquota d’obbligo e, in ogni caso, nei limiti del 10% della quota di riserva», con arroton-damento all’unità più vicina. La durata della convenzione – che deve garantire la copertura dei costi derivanti dall’applicazione della parte normativa e retribu-tiva dei contratti nazionali di lavoro, nonché di quelli di inserimento – non può essere inferiore a tre anni, rinnovabile una sola volta per almeno altri due, previa valutazione degli uffici competenti; al termine della convenzione il datore di lavoro può chiedere il rinnovo, assumere il lavoratore disabile – ed in tal caso usufruire di incentivi di natura normativa ed economica – oppure far ricorso alle altre forme di adempimento agli obblighi di assunzione previsti dalla legge.

Per entrambi i tipi di convenzione la legge prevede la necessità di definire un piano personalizzato di inserimento lavorativo, da cui possono trarsi i costi di inserimento.

In materia di agevolazioni economiche, l’art. 1, co. 37, lett. c) della L. n. 247 del 2007 ha modificato l’art. 13 della L. n. 68 del 1999, dettando norme in ma-teria di «Incentivi alle assunzioni». La norma demanda a Regioni e Province autonome il potere di concedere contributi all’assunzione di persone con disabi-lità, definendo le modalità e i criteri di ammissibilità delle richieste43, nel rispetto delle disposizioni contenute nel decreto ministeriale44 che, annualmente, riparti-sce le risorse del Fondo nazionale per il diritto al lavoro dei disabili.

Un’ulteriore modifica alla L. n. 68 del 1999 ha interessato l’istituto dell’eso-nero dagli obblighi di assunzione, il cui ambito di applicazione è stato esteso ai datori di lavoro del settore edile, per quanto concerne il personale di cantiere e gli addetti al trasporto del settore stesso45.

Va infine ricordato che l’art. 39 co. 10 del D.L. n. 112/2008 conv. in L. n. 133/2008, ha ripristinato l’art. 14 del D.Lgs 276/2003 abrogato in precedenza dalla L. n. 247/2007 (cfr. art. 1 co. 38).

Pertanto è stata riaperta la possibilità di avvalersi delle cooperative sociali per l’inserimento lavorativo di lavoratori svantaggiati oltre che di lavoratori di-sabili con lo speciale strumento delle convenzioni quadro già trattate nel testo.

41 Ai sensi dell’articolo 2, primo paragrafo 1, lettera f), punti i), ix) e x), del regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione, 5 dicembre 2002, della Commissione relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell’occupazione.

42 Così qualificati ai sensi dell’articolo 2, primo paragrafo 1, lettera g), del regolamento (CE) n. 2204/2002.43 Comma 4.44 Comma 8.45 V. c. 53, art. 1, della L. n. 247/2007 che ha modificato l’art. 5, c. 2, della L.12 marzo 1999, n. 68.

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24 Diritto del Lavoro

Capitolo undicesimo, Sezione A, paragrafi 2, 3, 4, 5, 6 e 7

I commi 39 – 43, dell’art. 1 della L. 24 dicembre 2007, n. 24746 hanno mo-dificato in varie parti la disciplina del lavoro a tempo determinato contenuta nel d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, accentuando la tutela della stabilità del posto di lavoro soprattutto attraverso una limitazione della reiterazione dei contratti a termine, in coerenza con i principi contenuti nella Direttiva 1999/70/CE sul la-voro a tempo determinato.

L’intervento centrale della riforma del 2007 è contenuto nell’art. 1, co. 40, L. n. 247, il quale ha modificato l’art. 5, D. Lgs. n. 368 del 2001, inserendo i commi da 4 bis a 4 sexies.

La prima delle modifiche riguarda la successione di più contratti a termine con lo stesso lavoratore: il nuovo co. 4 bis ha stabilito che il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato quando, per effetto della successione di più contratti a termine, il rapporto di lavoro superi i 36 mesi, comprensivi di proro-ghe e rinnovi, per lo svolgimento di mansioni equivalenti. Il calcolo dei 36 mesi è riferito alla somma dei periodi relativi ai diversi rapporti di lavoro a termine e prescinde dal periodo temporale tra l’inizio del primo rapporto e la conclusione dell’ultimo (non si computano, cioè, i periodi di interruzione compresi tra un contratto e l’altro), con la conseguenza che il limite dei 36 mesi ha rilievo – nei rapporti tra un’impresa ed un lavoratore – anche dopo numerosi anni.

La sanzione della conversione opera ex nunc, cioè a partire dal primo giorno successivo ai 36 mesi.

È contemplata, tuttavia, un’ipotesi di c.d. derogabilità assistita al limite tem-porale dei 36 mesi: dopo il superamento di questa soglia è possibile stipulare un solo ulteriore contratto a termine dinanzi alla Direzione Provinciale del Lavoro, competente per territorio, con l’assistenza di un rappresentante di una delle or-ganizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. La legge ha ritenuto che questa procedura metta il lavoratore al riparo da eventuali comportamenti fraudolenti o elusivi da parte del datore di lavoro e per quanto riguarda la durata massima del nuovo contratto, la legge rimanda ad “avvisi comuni” adottati dalle parti sociali.

Sono escluse da questa disciplina limitativa le attività stagionali47 e le attività che saranno individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativa-mente più rappresentative.

Un’ulteriore ipotesi di esclusione dal limite temporale è relativa ai dirigenti, ai quali continua a non applicarsi la disciplina sul contratto a termine, ad esclu-

46 Attuativa del “Protocollo su previdenza, lavoro e competitività per l’equità e la crescita sostenibili” del 23 luglio 2007.

47 Definite dal D.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525.

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sione del principio di non discriminazione e della computabilità nell’organico aziendale qualora la durata del loro rapporto di lavoro supera i nove mesi.

Il limite dei 36 mesi non si applica neppure ai contratti di somministrazione a tempo determinato, ai contratti di apprendistato ed in generale a quelli con fi-nalità formative48.

La modifica dell’art. 5 del D. Lgs. n. 368 ha riguardato anche il diritto di precedenza dei lavoratori a tempo determinato: il lavoratore che, nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza nelle as-sunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine (co. 4 quater). Il diritto di precedenza è stato esteso (co. 4 quinquies) anche ai lavoratori a termine per lo per lo svolgimento di attività stagionali ri-spetto a nuove assunzioni a termine da parte dello stesso datore di lavoro e per le medesime attività stagionali (ma questo specifico diritto di precedenza è stato successivamente reso derogabile da parte di contratti collettivi nazionali, territo-riali o provinciali dall’art. 21, co. 3 della L. 6 agosto 2008, n. 133, di cui si dirà più avanti).

Per esercitare il diritto di precedenza il lavoratore deve manifestare la sua volontà entro il termine di 6 mesi dalla cessazione del rapporto nel caso di as-sunzioni a tempo indeterminato, e di 3 mesi nel caso di attività stagionali.

Sempre nella prospettiva di tutelare la stabilità dei rapporti di lavoro è stato soppresso il co. 8 dell’art. 10 del D. Lgs. n. 368 che escludeva dal c.d. contin-gentamento da parte dell’autonomia collettiva i rapporti di lavoro di durata non superiore a sette mesi e le punte periodiche di lavoro.

L’art. 1, co. 39, L. n. 247 ha modificato anche l’art. 1 del D. Lgs. n. 368, premettendo al co. 1 del medesimo un – invero inusuale – co, 01, con il quale si è stabilito che «il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato». Una enunciazione con la quale il legislatore del 2007 aveva in-teso, in aderenza a quanto esplicitamente previsto dalla Direttiva n. 70/99, esclu-dere che l’ampia formula con cui l’art. 1, co. 1, D. Lgs. n. 368 definisce la c.d. causale di accesso al lavoro a termine («ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo), potesse consentire una interpretazione volta a soste-nere una piena equipollenza tra l’assenza del requisito della temporaneità delle suddette ragioni, il contratto di lavoro a tempo determinato e quello a tempo indeterminato. A breve lasso di tempo, tuttavia, si è assistito ad un nuovo inter-vento del legislatore, il quale, con l’art. 21, co. 1°, L. 6 agosto 2008, n. 133, ha modificato l’art. 1, D. Lgs. n. 368, prevedendo che le ricordate ragioni giustifi-cative dell’apposizione del termine possono essere riferibili anche «alla ordinaria attività del datore di lavoro». Come si può ben vedere, questa ulteriore modifica, che ha reso omogenea la normativa sulle causali giustificatrici del lavoro a ter-

48 V. l’esclusione, tuttora in vigore, contenuta nell’art. 10, co. 1, lett. c) del D.Lgs. n. 368/01.

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mine con quella della somministrazione a tempo determinato, solleva non pochi dubbi interpretativi, esprimendo, rispetto a quella introdotta solo un anno prima, un indirizzo politico-programmatico, per certi versi diametralmente opposto.

Infine va detto che la L. n. 133 del 2008 ha introdotto (art. 21, co. 1 bis) nel D. Lgs. n. 368 del 2001 un nuovo art. 4 bis, il quale – con una norma derogato-ria di carattere transitorio – ha disposto che, con riferimento esclusivo ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4 del medesimo D. Lgs. n. 368, il datore di lavoro sia tenuto solo ad una sanzione risarcitoria consistente un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8, legge 15 luglio 1966, n. 604.

Appare evidente il contrasto di questa disposizione con l’art. 3, co. 1, Cost., in materia di parità di trattamento legislativo, proprio perché la disposizione derogatoria del regime sanzionatorio è limitata ai giudizi in corso, al di fuori di alcun criterio di ragionevolezza. Ed in effetti numerosi magistrati hanno solle-vato la questione di costituzionalità davanti alla Corte costituzionale (allo stato non ancora decisa).

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Capitolo undicesimo, Sez. B, paragrafi 10 ss.

Con formulazione atecnica, ma comunque idonea ad esprimere l’intento abrogativo del legislatore, l’art. 1 c. 46, L. 24 dicembre 2007, n. 247 ha ‘abolito’ il contratto di somministrazione a tempo indeterminato. Ciò implica che devono intendersi implicitamente abrogate tutte le disposizioni del D. Lgs. n. 276/2003 riferibili a questo tipo di contratto, e che analoga operazione di adattamento deve essere effettuata rispetto alla trattazione dell’istituto fatta nel testo.

L’art. 1, co. 42, L. 247 ha modificato anche la disciplina del rapporto a tempo determinato tra somministratore e prestatore di lavoro, stabilendo che, all’art. 22, co., 2, del D. Lgs. n. 276/2003, le parole «all’art. 5, commi 3 e 4» sono sostituite dalle parole «all’art. 5, commi 3 e seguenti». La modifica – che è spiegabile alla luce delle innovazioni intervenute in materia di contratto di lavoro a tempo de-terminato per effetto della L. 247/2007 prima e, poi, della L. 133/2008 (si v. l’aggiornamento del Cap. XI, Sez. A, in questa appendice) – è finalizzata a con-fermare l’applicazione della disciplina del contratto a tempo determinato “per quanto compatibile” con esclusione però dell’ apparato sanzionatorio previsto per la violazione delle norme in materia di riassunzioni a termine (art. 5, commi 3 e 4 D. Lgs. n. 368/2001), nonché della nuova disciplina in tema di successione di contratti a termine (che ha fissato un limite temporale massimo di 36 mesi) (art. 5 comma 4 bis) e di diritto di precedenza del lavoratore sia nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro nei successivi dodici mesi (art. 5 comma 4 quater) sia con riferimento alle nuove assunzioni a termine nei lavori stagionali (art. 5, comma 4 quinquies) (su questi profili si v. ancora l’ag-giornamento del Cap. XI, Sez. A, in questa appendice)49. In questo modo, il la-voratore impiegato con somministrazione a tempo determinato, è indubbiamente destinatario di una disciplina meno favorevole.

Sempre in tema di somministrazione va ancora segnalato che l’art. 3, co. 5, del D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (il quale ha introdotto il nuovo Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro), ha disposto che tutti gli obblighi di prevenzione e protezione prescritti dal decreto, sono a carico dell’utilizzatore (v. l’aggiorna-mento al Cap. IV, par. 24, in questa appendice).

Inoltre la Corte Costituzionale (sent. 28 gennaio 2005, n. 50) ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 22, co. 6, D. Lgs. n. 276/2003, nella parte in cui stabilisce che, in caso di somministrazione, non si applica la disciplina delle assunzioni obbligatorie e la riserva dei posti di lavoro per i lavoratori a rischio di esclusione

49 Sempre nell’ambito delle esclusioni dall’apparato sanzionatorio, si può ritenere che ai lavoratori assunti dal somministratore con un contratto di lavoro a tempo determinato illecito, non trovi applicazione il regime transitorio dell’art. 4 bis D.lgs. 368/2001 introdotto dalla citata L. 133/2008, stante il carattere eccezionale della citata disposizione (il quale si riferisce espressamente alla violazione delle disposizioni di cui agli artt. 1, 2 e 4 del D.lgs. 368/2001).

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sociale. Ciò in quanto tale previsione incide, limitandole, su potestà normative delle Regioni.

Infine, in base alla nuova disciplina in materia di libro unico del lavoro (si v. l’aggiornamento al Cap. X, in questa appendice) va ancora detto che i lavoratori somministrati, devono essere iscritti sia nel libro unico del somministratore che li assume, sia nel libro unico dell’utilizzatore50. Per questi lavoratori, l’utilizza-tore dovrà limitarsi ad annotare i dati identificativi del lavoratore (nome, co-gnome, codice fiscale, qualifica, livello di inquadramento contrattuale, agenzia di somministrazione) mentre il somministratore dovrà procedere alle annotazioni integrali anche con riferimento al calendario delle presenze e ai dati retributivi.

14. La disciplina degli appalti.

Anche la disciplina degli appalti è stata recentemente modificata da una serie di interventi normativi.

La prima novità riguarda l’art. 29, co. 2, D. Lgs. n. 276 del 2003, il quale, a seguito delle ultime modifiche51, così dispone «in caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai la-voratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti». Come si vede, è stato raddoppiato da uno a due anni dalla cessazione dell’appalto il termine di decadenza entro il quale i dipendenti dell’appaltatore possono far valere la responsabilità solidale tra committente e appaltatore. Inoltre, la sud-detta disciplina è stata estesa anche ai dipendenti del subappaltatore. Pertanto, nei limiti di due anni dalla conclusione dell’appalto, il committente è responsa-bile nei confronti dei dipendenti dell’appaltatore e del subappaltatore sia per la corresponsione del trattamento retributivo sia per la parte contributiva, indipen-dentemente dal fatto che il committente medesimo abbia adempiuto completa-mente al pagamento del prezzo dell’appalto, salvo naturalmente l’azione di re-gresso nei confronti dell’appaltatore.

Detta responsabilità solidale è estesa, inoltre, al versamento delle ritenute fiscali sui redditi da lavoro dei dipendenti addetti all’appalto o al subappalto52 e al risarcimento dei danni non indennizzati dall’INAIL53.

50 Si v. art. 39, comma 1, D.L. n. 112 del 2008, e la Circolare Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, n. 2/2008.

51 Art. 1 comma, 911, legge 27 dicembre 2006 n. 296, Legge Finanziaria per il 2007.52 Si v. il comma 34 dell’art. 35 della L. 4 agosto 2006, n. 248, unico comma sopravvissuto alla abroga-

zione dei commi 28-34 dell’art. 35 cit., dall’art. 3, comma 8, L. 2 agosto 2008, n. 129 che ha abolito il complesso sistema di controllo della “filiera” degli appalti introdotto dalla c.d. Legge Bersani; per questa ragione non se ne darà conto in questa sede.

53 Si v. art. 1, comma 910, lett b) L. 27 dicembre 2006, n. 296 che ha modificato l’art. 7 del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 ora D.Lgs., 9 aprile 2008, n. 81.

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Infine è da notare che, all’art. 29, D. Lgs. n. 276, è stato eliminato l’inciso «salvo diverse previsioni dei contratti collettivi…», di modo che il regime di solidarietà passiva tra appaltante, appaltatore e suoi eventuali subappaltatori è divenuto ora inderogabile da parte dell’autonomia collettiva.

L’attenzione mostrata dal legislatore per la disciplina dell’appalto, mediante il rafforzamento della responsabilità patrimoniale di appaltante e sub-appaltante nelle c. d. catene di appalti, conferma che tale contratto, soprattutto a seguito della abolizione della somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, ha as-sunto un ruolo importante nei processi di esternalizzazione. Anche se va sottoli-neato che l’attuale disciplina si disinteressa, a differenza della normativa del 1960, della uniformità di trattamento dei dipendenti degli appaltatori e dei sub-appaltatori interni implicati nella catena di appalti54.

Per concludere sul versante delle tutele, merita di essere ricordato che a se-guito di una recente disposizione di legge55 ai licenziamenti derivanti da una ces-sazione dell’appalto, pur in presenza dei requisiti numerici, dimensionali e tem-porali, non si applica la procedura prevista per i licenziamenti collettivi (L. 23 luglio 1991, n 223; Cap. XII sez. B) a condizione che il datore di lavoro suben-trante a) riassuma tutti i lavoratori e b) offra condizioni economico – normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative o a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.

Come abbiamo ricordato, la normativa in tema di appalto, è arricchita dalle disposizioni mirate a garantire la affidabilità degli imprenditori che si aggiudi-cano un appalto.

Tralasciando qui di considerare nel dettaglio le tutele antinfortunistiche negli appalti (su cui v. l’aggiornamento Cap. IV, par. 24 in questa appendice), vale la pena ricordare che a far data dal 1° luglio 2007, tutti i benefici sia normativi che contributivi, previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro, del documento unico di regolarità contributiva (DURC)56. Il rilascio del DURC è inoltre è necessario negli appalti privati in edilizia soggetti al rilascio di concessione, ovvero a de-nuncia di inizio attività (DIA) e costituisce un requisito per la partecipazione a gare per appalti pubblici di servizi e forniture.

Il documento attesta la regolarità dei versamenti dovuti agli istituti previden-ziali e per i datori di lavoro nell’edilizia, la regolarità dei versamenti dovuti alle

54 Vale la pena ricordare che la legge 1369 del 1960 sanciva l’importante principio che per gli appalti genuini interni al ciclo produttivo, non necessariamente inteso in senso topografico, ma come appartenenza al ciclo produttivo, era previsto il diritto dei lavoratori addetti a questi appalti alla parità di trattamento eco-nomico e normativo rispetto ai dipendenti dell’imprenditore appaltante. La parità di trattamento economico e normativo, è invece prevista per i lavoratori somministrati; cfr. art. 23, comma 1, D.Lgs. 276/03

55 Art. 7, comma 4 bis, L. 28 febbraio 2008, n. 31.56 Si v. l’art. 1, comma, 1175, L. 296/2006; D.M. 24 ottobre 2007; Circolare Ministero del lavoro e della

previdenza sociale, 30 gennaio 2008.

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casse edili. Possono rilasciare il DURC, l’INPS, l’INAIL nonché gli altri istituti previdenziali che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria previa stipula-zione di apposita convenzione con gli enti predetti.

15. Il comando o distacco.

Anche la disciplina della prestazione di lavoro in regime di distacco è stata recentemente integrata dalle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro e tenuta del libro unico.

Con riguardo all’obbligo di sicurezza, l’art. 3 del D.lgs. n. 81/2008, dispone che sono a carico del distaccatario, tutti gli obblighi di prevenzione e protezione, mentre sono a carico del distaccante gli obblighi di informare e formare il lavo-ratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali il prestatore di lavoro viene distaccato.

Inoltre anche i dati relativi al lavoratore distaccato devono trovare posto nel libro unico del distaccante57; per analogia con la prestazione di lavoro resa me-diante il contratto di somministrazione, parrebbe doversi ritenere che il presta-tore di lavoro distaccato debba essere inscritto anche nel libro unico del distac-catario, nella cui organizzazione è inserito.

Sempre nell’ambito degli obblighi di legge derivanti dalla istituzione del Libro Unico giova ricordare che per i gruppi di impresa ai sensi dell’art. 31 comma 1, D.lgs. 276/03 la società capogruppo può essere affidataria di tutti gli adempimenti di cui all’art. 1, L. n. 12/1979 per le società collegate del gruppo, ivi compreso l’affidamento della tenuta del libro unico del lavoro58.

57 Si v. l’art. 39, comma 1, d.l. 112 del 2008, Circolare Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, n. 20/2008.

58 Circolare n. 20/2008 cit.

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Capitolo undicesimo, Sez. C, paragrafo 21.

La disciplina del lavoro a tempo parziale è stata di recente oggetto di modi-fiche da parte dell’art. 1, co. 44, della L. 247 del 2007, il quale, pur lasciando sostanzialmente inalterato l’impianto regolativo dato all’istituto dal D. Lgs. n. 276 del 2003, è intervenuto nuovamente in materia, tornando in particolare a ritoccare la disciplina delle clausole elastiche e flessibili.

Come detto in testo – a seguito delle modifiche apportate all’originaria disci-plina del D. Lgs. n. 61 del 2000 dal D. Lgs. n. 276 del 2003 – era stata ricono-sciuta la facoltà delle parti del contratto individuale di prevedere con apposito patto, pure in assenza di disciplina collettiva (art. 8, co. 2 ter), il potere del datore di lavoro di variare la collocazione temporale della prestazione (c.d. clausole flessibili) o di aumentare la durata della prestazione nei rapporti di tipo verticale o misto (c.d. clausole elastiche). I contratti collettivi potevano, peraltro, fissare condizioni, modalità e limiti della variabilità (art. 3, co. 7).

Orbene, l’art. 1, co. 44, della L. 247 del 2007, ha abrogato l’art. 8, co. 2 ter, ed ha riformulato l’art. 3, co. 7 del D. Lgs. n. 61, il quale prevede ora che «i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono, nel rispetto di quanto previsto dai commi 8 e 9, stabilire clausole flessibili e … clausole elastiche», fissando con-dizioni e modalità per il ricorso alla modifica della collocazione temporale della prestazione e alla variazione in aumento della durata, nonché, con riferimento alle clausole elastiche, i limiti massimi di tale variabilità. Ciò significa, in pra-tica, che il patto individuale di elasticità o flessibilità non è più consentito in assenza di disciplina collettiva.

Inoltre, la legge del 2007 ha prolungato (da due ad almeno cinque giorni lavorativi, fatte sempre salve le intese tra le parti) il periodo di preavviso dovuto al lavoratore ove il datore intenda esercitare il potere di variare in aumento la durata della prestazione ovvero modificarne la collocazione (art. 3, co. 8).

La L. 247 del 2007, mediante l’inserimento nel testo del D. Lgs. n. 61 di un nuovo articolo 12 ter, ha poi ridisciplinato il diritto di precedenza, che il D.Lgs. n. 276 aveva affidato a uno specifico accordo individuale. La norma – che per la tecnica normativa utilizzata è da ritenere applicabile anche al lavoro pubblico – dispone che “il lavoratore che abbia trasformato il rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale ha diritto di precedenza nelle assun-zioni con contratto a tempo pieno per l’espletamento delle stesse mansioni o di quelle equivalenti a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale”.

Ancora, è stato sostituito l’art. 12 bis, il quale, nell’attuale testo, riconosce anche ai lavoratori del settore pubblico, oltre che a quelli del settore privato, affetti da patologie oncologiche, e per i quali residui una ridotta capacità lavo-

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rativa accertata da una apposita commissione medica, il diritto alla trasforma-zione del rapporto di lavoro da tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale o orizzontale. La norma, inoltre, dispone che il rapporto a tempo parziale deve essere trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno a richiesta del lavoratore. Nel nuovo testo dell’art. 12 bis, infine, al lavoratore è riconosciuta la priorità della trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo a tempo parziale in caso di patologie oncologiche riguardanti il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore o della lavoratrice (non necessariamente conviventi), non-ché nel caso in cui questi ultimi assistano una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa. Analoga priorità è riconosciuta ai lavoratori con figlio convivente di età non superiore agli anni tredici o con figlio convivente portatore di handicap ai sensi dell’art. 3 della L. 104 del 1992.

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Capitolo undicesimo, Sez. C, paragrafo 22

L’art. 1, co. 45, della L. n. 247 del 2007, aveva abrogato gli artt. 33-40 del D. Lgs. n. 276 del 2003, i quali disciplinavano il contratto di lavoro intermittente. Peraltro i co. 47-50 della medesima disposizione avevano attribuito ai contratti collettivi del settore del turismo e dello spettacolo la facoltà di stipulare specifici contratti di lavoro per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo du-rante il fine settimana, nelle festività, nei periodi di vacanze scolastiche e per ulteriori casi, comprese le fattispecie già individuate ai sensi dell’articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368.

Successivamente, l’art. 39, co. 10 lett. m, del D.L. n. 112 del 200859, ha, a sua volta, abrogato queste disposizioni della L. n. 247 disponendo il ritorno in vigore delle norme del 2003.

In questo modo il legislatore ha fatto rivivere l’istituto del lavoro intermit-tente, la cui disciplina resta quella di cui si è dato conto nel testo.

59 Conv. con modif. nella L. n. 133 del 2008.

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Capitolo undicesimo, Sez. D, paragrafo 24

Anche in materia di lavoro autonomo coordinato e continuativo a progetto, vi sono state innovazioni legislative.

L’art. 1 comma 772 della legge n. 296 del 2000 è intervenuto sull’art. 63 D.Lgs. l0 settembre 2003 n. 276 modificando i criteri di determinazione del compenso dovuto al collaboratore. Fermo restando che tale compenso deve es-sere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, il riferimento del testo originario ai “compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto” è stato sostituito da quello dei compensi corrisposti per prestazioni di analoga professionalità anche sulla base dei contratti collettivi nazionali di riferimento, con una terminologia che sembra chiaramente da riferire ai contratti collettivi di categoria e perciò alla disciplina del lavoro subordinato.

L’avvicinamento al lavoro subordinato è stato altresì rafforzato dal comma 788 dello stesso art. 1 della L. n. 296 del 2006, che ha introdotto una speciale indennità di malattia per i collaboratori. Nella medesima direzione il d.m. 12 luglio 2007 ha inoltre previsto l’estensione in favore delle collaboratrici a pro-getto delle disposizioni di cui agli artt. 16, 17 e 22 del d. lgs. n. 151 del 200l, relativi, i primi due, al divieto di prestazione di lavoro durante i periodi di gra-vidanza e di puerperio e di congedo di maternità; e l’ultimo trattamento econo-mico e normativo delle lavoratrici in casi di maternità.

Sono state così modificate, in senso estensivo, delle tutele proprie del lavoro subordinato, le norme contenute nel testo originario dell’art. 66 primo comma del D.Lgs. n. 276/2003 che limitavano a 180 giorni la durata del periodo di so-spensione del rapporto per gravidanza ed escludevano l’erogazione del corrispet-tivo in caso di malattia e di infortunio. Resta invece inalterata la norma del comma secondo dello stesso art. 66 secondo cui la malattia o l’infortunio non determinano alcuna proroga della durata del contratto e rimane il diritto di re-cesso ante tempus del committente quando il periodo di sospensione del rap-porto sia superiore ai 30 giorni oppure ad un sesto della durata del contratto di collaborazione.

Infine va detto che la Corte costituzionale (sentenza n. 360 del 2008) ha di-chiarato parzialmente illegittima la norma dell’art. 86 primo comma che, in via transitoria, disponeva la conservazione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa preesistenti alla riforma e che non fossero riconducibili ad un progetto o programma di lavoro limitatamente ad un periodo massimo di un anno dalla entrata in vigore della riforma, salva la possibilità di prevedere, nell’ambito di accordi sindacali stipulati in sede aziendale, un termine finale più lungo.

La dichiarazione di incostituzionalità ha eliminato questo speciale regime transitorio consentendo la prosecuzione dei suddetti contratti fino alla scadenza originaria (questo, per altro, senza rilevanti conseguenze politiche).

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Come si è detto in testo, ai sensi dell’art. 61, comma 2°, del D. Lgs. 10 settem-bre 2003, n. 276 sono esclusi dalla disciplina dettata per il lavoro a progetto i rapporti instaurati con lo stesso committente che, nel corso dell’anno solare, non superino i 30 giorni, e per i quali il prestatore occasionale non percepisca un com-penso superiore a 5mila euro. In tali casi, la legge lascia libertà di forma per il contratto e consente che esso sia concluso per qualsiasi genere di attività; inoltre, il corrispettivo versato dal committente è escluso da contribuzione previdenziale.

È da chiarire che il superamento del limite temporale dei 30 giorni, ovvero – alternativamente o congiuntamente – di quello dei 5000 euro annui, non si traduce successivamente nella violazione della normativa del lavoro a progetto, dato che il rapporto potrebbe essere privo delle caratteristiche della collabora-zione coordinata e continuativa e configurarsi come mero lavoro autonomo. Per contro, va detto che, a partire dal 1° gennaio 2004, il superamento, da parte del lavoratore, del limite dei 5000 euro annui dei compensi percepiti da uno stesso o da più committenti fa scattare in ogni caso – e dunque anche se il rapporto ha natura meramente autonoma – l’obbligo di iscrizione nella gestione separata INPS istituita per i collaboratori coordinati e continuativi.

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36 Diritto del Lavoro

Capitolo dodicesimo, Sez. C

Nel corso degli ultimi anni il tema dei c.d. ammortizzatori sociali, cioè degli strumenti di sostegno del reddito dei lavoratori nei periodi d’inattività, ha acqui-stato un ruolo sempre più importante nella legislazione del lavoro, in connes-sione con le varie fasi di trasformazione del nostro sistema economico. Il pro-blema è poi esploso soprattutto in occasione della grave crisi economica in atto, che ha fatto emergere con ancora maggiore evidenza l’ormai inaccettabile dispa-rità di tutela tra i lavoratori subordinati dipendenti dalle imprese rientranti nell’area d’intervento straordinario della Cassa integrazione e della mobilità, nonché nel campo di applicazione del sistema assicurativo dell’indennità di di-soccupazione, rispetto a quelli degli altri settori ed ai lavoratori occupati con contratti di collaborazione coordinata e continuativa.

A questo riguardo, va ricordato quanto già accennato in testo, e cioè che già dai primi anni successivi alla riforma attuata con la L. n. 223 del 1991, il legi-slatore ha dovuto fronteggiare ricorrenti situazioni di crisi di mercato, di settore, di grandi imprese, o anche territoriali, che producevano effetti negativi sui livelli occupazionali e sul reddito dei lavoratori coinvolti. Così, si è intervenuti con normative transitorie e/o derogatorie sulla durata dei trattamenti o anche sulle stesse condizioni di accesso (rispetto a quanto previsto dalla normativa ‘a re-gime’ della CIGS)60; inoltre, si è cominciato a estendere, in modo molto occasio-nale e frammentario, i trattamenti di integrazione guadagni straordinaria e di mobilità a lavoratori dipendenti da imprese in crisi non rientranti nell’area della Cassa integrazione61. In occasione delle crisi strutturali di alcuni settori (ad es. quello del credito) sono stati anche sperimentate e poi generalizzate, alcune forme di ammortizzatori sociali, regolate e gestite dalla contrattazione collettiva con il sostegno dello Stato62. Infine, sempre al fine di fronteggiare la crisi di settori non coperti dalla CIG, si è concessa l’indennità di disoccupazione ordi-naria a lavoratori sospesi per effetto di «di situazioni aziendali dovute ad eventi transitori, ovvero determinate da situazioni temporanee di mercato»; in tal modo si è riconosciuto che l’intervento della Cassa integrazione e l’indennità di disoc-cupazione anche ordinaria svolgono analoga funzione di sostegno del reddito dei lavoratori nei periodi di inattività non voluta63.

60 Cfr. parag. 4 del testo. In particolare merita di essere segnalato l’art. 1 del D. L. n. 249 del 2004 (conv. nella L. n. 291 del 2004), il quale ha previsto che «nel caso di cessazione dell’attività dell’intera azienda, di un settore di attività, di uno o più stabilimenti o parte di essi, il trattamento straordinario di integrazione salariale per crisi aziendale può essere prorogato per un periodo fino a dodici mesi nel caso di programmi, che comprendono la formazione ove necessaria, finalizzati alla ricollocazione dei lavoratori, qualora il Mi-nistero del lavoro e delle politiche sociali accerti nei primi dodici mesi il concreto avvio del piano di gestione delle eccedenze occupazionali» (cfr. pg. 372, nota 44 in testo).

61 Cfr. paragg. 7 e 20 in testo.62 Cfr. par. 2 in testo, spec. pg. 36663 Cfr. pg. 377, nt. 83, in testo.

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A parte poi, vanno segnalati quei provvedimenti che, in ragione del prolun-garsi nel tempo della durata per il reperimento di nuova occupazione, hanno prolungato, quantunque in via transitoria, il periodo di percezione del relativo trattamento64.

Tutte queste forme di integrazione del reddito dei lavoratori sono ormai co-munemente chiamate “ammortizzatori sociali in deroga”, proprio perché de-rogatori del regime generale e, aspetto che merita di essere sottolineato, spesso vengono concessi con riferimento a imprese che non hanno mai contribuito fi-nanziariamente a questo sistema previdenziale.

L’occasionalità e straordinarietà di questi interventi, oltre alla scarsa equità del sistema complessivo avevano condotto, in attuazione del Protocollo del 22 luglio 2007, alla delega legislativa al Governo per una riforma complessiva del sistema di ammortizzatori sociali65, ma tale delega non è stata esercitata. Ciò che più rileva al momento, è che gli effetti occupazionali della crisi economica mon-diale hanno imposto d’intervenire nuovamente in modo massiccio con nuovi ammortizzatori in deroga.

Tra queste novità va annoverata in particolare la facoltà riconosciuta per l’anno 2009 al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di con-certo con il Ministro dell’economia e delle finanze, di concedere e prorogare, in deroga alla normativa generale, anche senza soluzione di continuità, trattamenti di cassa integrazione guadagni, di mobilità e di disoccupazione speciale, anche con riferimento a settori produttivi e ad aree regionali, sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a dodici mesi66.

Inoltre, ai lavoratori dipendenti da aziende non rientranti nell’ambito di ap-plicazione della CIGS, sospesi dal lavoro per crisi aziendale o occupazionale, è stata riconosciuta l’indennità di disoccupazione ordinaria, con requisiti normali o ridotti, a condizione che almeno il 20% di tale indennità sia corrisposto dagli enti bilaterali istituiti dalla contrattazione collettiva67 e fino alla concorrenza delle risorse disponibili di questi enti68. In relazione a quest’ultimo tipo di am-mortizzatori, ne è stata estesa l’applicabilità anche agli apprendisti69 ed ai lavo-ratori somministrati70.

Infine, in via sperimentale per il biennio 2009 – 2011, anche ai lavoratori coordinati e continuativi che lavorino in regime di monocommittenza (e che soddisfino una serie di requisiti contributivi) è stata riconosciuta una ‘indennità’

64 Cfr. art. 13, co. 2 ss., D. L. n. 35 del 2005, conv. nella L. n. 80 del 2005. 65 Art. 1, Co. 28 e 29 L. n. 247 del 2007.66 V. per i provvedimenti di concessione il co. 4, dell’art. 7 ter D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, conv. nella L.

9 aprile 2009 n. 33, che ha sostituito il primo periodo del co. 36 dell’art. 2 della legge 22 dicembre 2008, n. 203, e per le proroghe il co. 5 dello stesso D.L. n. 5, che ha sostituito il co. 9 dell’art. 19 del D.L. 29 novem-bre 2008, n. 185, convertito nella L. 28 gennaio 2009, n. 2.

67 Art. 19, co. 1 D.L. 185 del 2008.68 Art. 19, co. 7.69 Art. 19, co. 1, lett. C) e co. 8 D.L. n. 185 del 2008. 70 Art. 19, co. 8 D.L. n. 185 del 2008.

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pari al 10% del reddito percepito nell’anno precedente, per il solo caso di fine lavoro71. Per questi lavoratori autonomi si tratta di un primo riconoscimento del diritto ad un’indennità di disoccupazione straordinaria, sia pure di entità quasi irrisoria72 73.

Si sottolinea, in ultimo, che la concessione degli ammortizzatori in deroga, come di ogni istituto di sostengo al reddito, è stata condizionata alla sottoscri-zione da parte del lavoratore di una dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o ad un percorso di riqualificazione professionale74.

71 V. art. 19 D.L. n. 185 del 2008 (come modificato dal D.L. n. 5 del 2009, conv. in Legge 9 aprile 2009, n. 33).

72 V. art. 19, co.2.73 È prevista anche la possibilità che i fondi interprofessionali per la formazione continua (art. 118 L. 23

dicembre 2000, n. 388) e quelli di cui all’art. 12 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 intervengano, anche in deroga alle disposizioni di legge, per misure temporanee ed eccezionali, anche di sostegno al reddito per l’anno 2009, volte alla tutela dei lavoratori, anche con contratti di apprendistato o a progetto, a rischio di perdita del posto di lavoro: art. 19, co. 7, D.L. n. 185 del 2008.

74 Art. 19, co. 1 bis.

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Capitolo dodicesimo, Sez. C, paragrafo 24, lett. b)

L’art. 22 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (conv. nella L. 6 agosto 2008, n. 133) e l’art. 7 ter, commi 12 e 13 L. 9 aprile 2009, n. 33, riscrivendo il co. 1 dell’art. 70 ed abrogando l’art. 71 del D.Lgs. n. 276/2003, hanno modificato più volte la disciplina del lavoro accessorio, al fine di rendenderlo utilizzabile da chiunque e in una serie più ampia di attività.

Da questo ultimo punto di vista, sulla base delle modifiche apportate alla disciplina di cui si è dato conto nel testo, possono adesso essere oggetto di lavoro accessorio le prestazioni di natura occasionale rese nell’ambito: a) di lavori do-mestici; b) di lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti; c) dell’insegnamento privato supplementare; d) di manife-stazioni sportive, culturali, fieristiche o caritatevoli e di lavori di emergenza o di solidarietà anche in caso di committente pubblico; e) di qualsiasi settore pro-duttivo il sabato e la domenica e durante i periodi di vacanza da parte di giovani con meno di venticinque anni di età, regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università o un istituto scolastico di ogni ordine e grado e compatibil-mente con gli impegni scolastici”75; f) di attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati, da casalinghe e da giovani di cui alla lettera e) ovvero delle attività agricole svolte a favore dei soggetti di cui all’articolo 34, comma 6, del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 63376; g) dell’impresa familiare di cui all’articolo 230 bis del codice civile limitatamente al commercio, al turismo e ai servizi; h) della consegna porta a porta e della vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica; h-bis) di qualsiasi settore produttivo da parte di pensionati77.

È ancora da segnalare, infine, che il comma 13 dell’art. 7 ter della L. n. 33/09, ha modificato anche l’art. 74 disponendo che con specifico riguardo alle attività agricole non integrano in ogni caso un rapporto di lavoro autonomo o subordi-

75 S’intende per “vacanze natalizie” il periodo che va dal 1° dicembre al 10 gennaio; per “vacanze pa-squali” il periodo che va dalla domenica delle Palme al martedì successivo al lunedì dell’Angelo; per “va-canze estive” i giorni che vanno dal 1° giugno al 30 settembre (Circolare del 3 febbraio 2005, n. 4).

76 Questi ultimi sono gli agricoltori per i quali, causa il basso volume d’affari, è prevista la semplificazione degli adempimenti dell’IVA: in particolare, sono coloro che nell’anno solare precedente hanno realizzato un volume di affari non superiore a 2.582 euro o coloro che esercitano la loro attività esclusivamente nei comuni montani con meno di 1.000 abitanti e nelle zone con meno di 500 abitanti compresi negli altri comuni mon-tani individuati dalle regioni che, nell’anno solare precedente, non hanno superato i 7.747 euro.

77 All’art. 70 del D.Lgs. n. 276/2003 è stato aggiunto il Il co. 1° bis secondo il quale, in via sperimentale per il 2009, prestazioni di lavoro accessorio possono essere rese, in tutti i settori produttivi e nel limite mas-simo di 3.000 euro per anno solare, da percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito (c.d. ammortizzatori sociali) compatibilmente con quanto stabilito dall’articolo 19, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2. L’INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio (art. 7 ter, co. 12°, L. n. 33 del 2009).

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40 Diritto del Lavoro

nato le prestazioni svolte, da parenti e affini sino al quarto grado, in modo meramente occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salvo le spese di mantenimento e di esecuzione dei lavori.

Concludendo, va precisato che l’applicazione di questo istituto sia ancora in fase sperimentale perché la sua diffusione dipende in buona parte dalla costitu-zione di una rete informativa tra i diversi soggetti coinvolti nella gestione del sistema.

In ogni caso è utile distinguere tra il lavoro accessorio reso nei confronti delle famiglie e quello reso nei confronti delle imprese. Quest’ultimo, infatti, presenta maggiori rischi di utilizzazione fraudolenta ed a tal fine sono stati individuati particolari limiti proceduarali in sede di applicazione della normativa. Per tutti coloro che vogliano utilizzare il lavoro accessorio è necessaria la registrazione anagrafica presso l’INPS78, ma solo per i lavori in agricoltura e nei settori del commercio, turismo e servizi sono necessarie alcune comunicazioni: le indica-zioni anagrafiche relative al lavoratore e al periodo di svolgimento dell’attività occasionale, sono immesse telematicamente ed è necessaria la comunicazione preventiva all’INAIL79.

Quanto alla gestione dei buoni (voucher) – il cui valore nominale è stato fissato con decreto ministeriale80, come stabilito dall’art. 70, D. Lgs. n. 276 – si è previsto che, in attesa che il Ministro del lavoro individui con proprio decreto il concessionario del servizio, le sue funzioni siano svolte dall’INPS e dalle agenzie del lavoro (ancora art. 22 L. n. 133/2008).

78 La registrazione può avvenire per mezzo del contact center INPS/INAIL (803.164); attraverso internet, collegandosi al sito www.inps.it; presso le sedi INPS; presso i Servizi al lavoro (per i prestatori) o le Asso-ciazioni di categoria dei datori di lavoro firmatarie dei CCNL (per i committenti).

79 Per semplificare sia le attività di acquisto che quelle di riscossione viene anche introdotto un nuovo buono ‘multiplo’, equivalente a 5 voucher del valore lordo all’acquisto di 50 euro (valore netto all’incasso per il lavoratore 37,50 euro). Anche la circolare INPS n. 104/2008. adeguandosi, ha previsto la vendita sia di singoli voucher da 10 euro sia di un buono ‘multiplo’ da 50 euro, utilizzabili anche in combinazione tra di loro.

80 Il D.M. 30 settembre 2005 ha individuato il valore nominale del buono pari a 10 euro (art. 1). La cir-colare INPS 81/2008 ha stabilito che il valore del buono di 10 euro, al netto della contribuzione INPS (13%), di quella INAIL (7%) e della quota per la gestione del servizio (5%), sia pari a 7,50 euro. Per semplificare sia le attività di acquisto che quelle di riscossione viene anche introdotto un nuovo buono ‘multiplo’, equi-valente a 5 voucher del valore lordo all’acquisto di 50 euro (valore netto all’incasso per il lavoratore 37,50 euro). Anche la circolare INPS n. 104/2008. adeguandosi, ha previsto la vendita sia di singoli voucher da 10 euro sia di un buono ‘multiplo’ da 50 euro, utilizzabili anche in combinazione tra di loro.

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