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Copyright © - www.osservatorioagromafie.it Emergenza coronavirus. Smart working e riduzione dell’inquinamento di Wanda D’Avanzo 1. Introduzione. - 2. Lo smart working. - 3. Lo smart workng come evoluzione del telelavoro. - 4. L’inquadramento giuridico del telelavoro. - 5. Il telelavoro nel pubblico impiego. - 6. Il progetto e l’assegnazione al telelavoro. - 7. La postazione di lavoro e la sede di lavoro. - 8. L’orario di lavoro e la verifica dell’adempimento. - 9. I diritti dei telelavoratori. - 10. Conclusioni. 1. - Introduzione. La questione ambientale è, oggi, una delle crisi più gravi che interessa il nostro pianeta e si manifesta, in tutta la sua urgenza e gravità, attraverso le diverse conseguenze che le azioni dell’uomo generano sull’intero ecosistema. Il cambiamento climatico, lo scioglimento dei ghiacciai, l’effetto serra rappresentano forse la più grande minaccia alla sopravvivenza sulla terra, provocata dal progresso incontrollato. Le modifiche che si sono verificate nell’atmosfera terrestre negli ultimi decenni, ad un ritmo senza precedenti, devono questa accelerazione all’aumento esponenziale del consumo di combustibili fossili, della produzione industriale, degli allevamenti intensivi. E questa intensificazione della concentrazione di emissioni nocive nei paesi industrializzati fa registrare, ormai da tempo, un aumento costante della temperatura media terrestre. Come è noto, le conseguenze di questo impatto devastante sulla natura sono pericolose ed imprevedibili. A ciò deve aggiungersi un altro dato estremamente importante. L’inquinamento ambientale è direttamente responsabile della salute del nostro organismo. La consapevolezza della necessità urgente di tutelare la qualità dell’aria è da tempo all’attenzione della comunità internazionale. Ed è cresciuta nei tempi recenti, attraverso le diverse campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Nel quadro degli accordi internazionali, si è fatto strada il c.d. principio di precauzione che impone l’adozione di misure di protezione adeguate dell’ambiente, finalizzate a prevenire o, comunque, ridurre al minimo le cause dei cambiamenti climatici e per mitigarne gli effetti negativi 1 . E molte iniziative in tal senso sono state messe in atto per limitare l’inquinamento atmosferico, dalle misure per contenere il traffico ai controlli sui processi produttivi, dai limiti alle emissioni agli incentivi per tecnologie. In realtà, però, questi interventi non sembrano essere risolutivi di un problema cronico che affligge il pianeta, e la scienza non riesce attualmente a fornire risposte esaurienti e decisive per risolvere le correnti emergenze ambientali. Ovunque ci si sposti nel mondo, quindi, le attività dell’uomo avvelenano l’aria: le industrie, lo smaltimento dei rifiuti, il sistema di trasporto pubblico e privato, l’agricoltura, l’allevamento intensivo degli animali. I satelliti spaziali ci danno il quadro di queste enormi masse di inquinamento atmosferico posizionate in varie zone del mondo, tra cui la nostra Pianura padana considerata l’area più inquinata d’Europa 2 . Nell’ultimo mese, però, sono state registrate delle evidenze diverse. L’emergenza legata alla diffusione globale del coronavirus ha cambiato, in modo drastico, le nostre consuetudini di vita e anche le nostre modalità operative, rendendo fin da subito evidenti gli effetti sull’ambiente di questa inversione di tendenza. Quasi quotidianamente i notiziari riportano immagini del nostro pianeta che rivelano un calo significativo 1 SOFO A., DI LECCE M., Il disvalore etico sociale dell’inquinamento, www.lulu.com, 2013, 15-18. 2 MANNUCCIO MANNUCCI P., FRONTE M., Cambiamo aria!, Milano, 2016, 7 ss.

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Emergenza coronavirus. Smart working e riduzione dell’inquinamento

di Wanda D’Avanzo

1. Introduzione. - 2. Lo smart working. - 3. Lo smart workng come evoluzione del telelavoro. - 4. L’inquadramento giuridico del telelavoro. - 5. Il telelavoro nel pubblico impiego. - 6. Il progetto e l’assegnazione al telelavoro. - 7. La postazione di lavoro e la sede di lavoro. - 8. L’orario di lavoro e la verifica dell’adempimento. - 9. I diritti dei telelavoratori. - 10. Conclusioni.

1. - Introduzione. La questione ambientale è, oggi, una delle crisi più gravi che interessa il nostro pianeta e si manifesta, in tutta la sua urgenza e gravità, attraverso le diverse conseguenze che le azioni dell’uomo generano sull’intero ecosistema. Il cambiamento climatico, lo scioglimento dei ghiacciai, l’effetto serra rappresentano forse la più grande minaccia alla sopravvivenza sulla terra, provocata dal progresso incontrollato. Le modifiche che si sono verificate nell’atmosfera terrestre negli ultimi decenni, ad un ritmo senza precedenti, devono questa accelerazione all’aumento esponenziale del consumo di combustibili fossili, della produzione industriale, degli allevamenti intensivi. E questa intensificazione della concentrazione di emissioni nocive nei paesi industrializzati fa registrare, ormai da tempo, un aumento costante della temperatura media terrestre. Come è noto, le conseguenze di questo impatto devastante sulla natura sono pericolose ed imprevedibili. A ciò deve aggiungersi un altro dato estremamente importante. L’inquinamento ambientale è direttamente responsabile della salute del nostro organismo. La consapevolezza della necessità urgente di tutelare la qualità dell’aria è da tempo all’attenzione della comunità internazionale. Ed è cresciuta nei tempi recenti, attraverso le diverse campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Nel quadro degli accordi internazionali, si è fatto strada il c.d. principio di precauzione che impone l’adozione di misure di protezione adeguate dell’ambiente, finalizzate a prevenire o, comunque, ridurre al minimo le cause dei cambiamenti climatici e per mitigarne gli effetti negativi1. E molte iniziative in tal senso sono state messe in atto per limitare l’inquinamento atmosferico, dalle misure per contenere il traffico ai controlli sui processi produttivi, dai limiti alle emissioni agli incentivi per tecnologie. In realtà, però, questi interventi non sembrano essere risolutivi di un problema cronico che affligge il pianeta, e la scienza non riesce attualmente a fornire risposte esaurienti e decisive per risolvere le correnti emergenze ambientali. Ovunque ci si sposti nel mondo, quindi, le attività dell’uomo avvelenano l’aria: le industrie, lo smaltimento dei rifiuti, il sistema di trasporto pubblico e privato, l’agricoltura, l’allevamento intensivo degli animali. I satelliti spaziali ci danno il quadro di queste enormi masse di inquinamento atmosferico posizionate in varie zone del mondo, tra cui la nostra Pianura padana considerata l’area più inquinata d’Europa2. Nell’ultimo mese, però, sono state registrate delle evidenze diverse. L’emergenza legata alla diffusione globale del coronavirus ha cambiato, in modo drastico, le nostre consuetudini di vita e anche le nostre modalità operative, rendendo fin da subito evidenti gli effetti sull’ambiente di questa inversione di tendenza. Quasi quotidianamente i notiziari riportano immagini del nostro pianeta che rivelano un calo significativo

1 SOFO A., DI LECCE M., Il disvalore etico sociale dell’inquinamento, www.lulu.com, 2013, 15-18. 2 MANNUCCIO MANNUCCI P., FRONTE M., Cambiamo aria!, Milano, 2016, 7 ss.

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dei livelli di inquinamento atmosferico. In Cina e in Italia, soprattutto, si sta registrando la riduzione progressiva dei livelli di CO2 e di smog presenti in moltissime città e regioni. L’immissione nell’aria del monossido di carbonio è diminuita, a livello globale, del 35 per cento come conseguenza del blocco del traffico. Analogamente, il rallentamento delle attività industriali ha fatto registrare un calo nell’utilizzo delle fonti di energia e delle emissioni. L’Italia, in specie, ha dovuto fronteggiare in pochissimo tempo l’emergenza, trovando soluzioni in grado di conciliare la necessità di non fermare completamente il paese con quella di adottare misure straordinarie di contenimento dell’epidemia, caratterizzate dalla quarantena e dal distanziamento sociale. In questo modo, l’emergenza ha creato, fin da subito, le condizioni per l’adozione immediata delle nuove tecnologie in molti settori lavorativi, con particolare riguardo alle amministrazioni pubbliche. Ha portato a una riscoperta dei vantaggi offerti dall’uso dalle nuove tecnologie, e alla utilità di Internet quale elemento potenzialmente in grado di migliorare le nostre vite, se utilizzato nel modo corretto. Con il d.p.c.m. del 1° marzo 2020 si è scelto, così, di adottare lo smart working come soluzione alla restrizione degli spostamenti. Questa modalità di lavoro è stata estesa a tutta la durata dell’emergenza, e ad ogni tipo di lavoro subordinato su tutto il territorio nazionale, anche in assenza degli accordi individuali previsti dalla normativa. 2. - Lo smart working. Lo smart working, o lavoro agile, è stato introdotto nel nostro ordinamento, con la l. 22 maggio 2017, n. 81, che, al Capo II, ha affrontato il problema della flessibilità del lavoro. Secondo l’art. 18 della legge n. 81/2017, il lavoro agile è definito come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. In base alla nuova normativa, il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell'attività lavorativa. Le disposizioni sullo smart working contenute nel Jobs Act si applicano anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. L'accordo relativo alla modalità di lavoro agile è stipulato per iscritto, ai sensi dell’art. 19, ai fini della regolarità amministrativa e della prova, e disciplina l'esecuzione della prestazione lavorativa svolta all'esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore. L'accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro. L'accordo può essere a termine o a tempo indeterminato; in tale ultimo caso, il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a trenta giorni. Il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all'interno dell'azienda (art. 20). Al lavoro agile si applicano le disposizioni in tema di salute e sicurezza sul lavoro e l’art. 4 dello statuto dei lavoratori in relazione al potere di controllo del datore di lavoro3. 3. - Lo smart working come evoluzione del telelavoro. In realtà, il lavoro agile non rappresenta un’innovazione recente nell’ordinamento giuridico, ma l’evoluzione di un concetto esistente già dal 1998 e noto come telelavoro.

3 Si veda sullo smart working, amplius BOTTERI T., CREMONESI G., Smart working & smart workers. Guida per gestire e valorizzare i nuovi nomadi, Milano, 2016.

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Esso è stato disciplinato, da principio, dalla l. 16 giugno 1998, n. 191, e poi dal d.p.r. 8 marzo 1999, n. 70, che hanno introdotto la possibilità per le pubbliche amministrazioni di ricorrere a forme di telelavoro. Nel periodo immediatamente successivo, il d.lgs. n. 165/2001 ha esteso alla pubblica amministrazione la possibilità di valersi delle stesse forme contrattuali flessibili di assunzione ed impiego del personale previste per il settore privato, quali i contratti formativi, il lavoro part-time, il job sharing e il lavoro interinale. Per poter dare attuazione a questo principio, la l. 7 agosto 2015, n. 124, all’art. 14, comma 1, ha sancito che le pubbliche amministrazioni adottino delle misure organizzative destinate a fissare obiettivi annuali per l’attuazione del telelavoro e per la sperimentazione di nuove modalità spazio temporali di svolgimento della prestazione lavorativa che permettano, entro un triennio, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti di adottare tali scelte. È dunque al telelavoro che bisogna guardare per comprendere la disciplina dello smart working, come prescritta dalla normativa e dai principali accordi sindacali in materia. Il telelavoro è una particolare modalità di esecuzione della prestazione di lavoro, caratterizzata dal fatto di essere «effettuata regolarmente o per una quota consistente del tempo di lavoro da una o più località diverse dal posto di lavoro tradizionale utilizzando tecnologie informatiche e/o delle telecomunicazioni»4. Elementi caratterizzanti la fattispecie così definita sono la delocalizzazione dell’attività lavorativa e l’utilizzo delle nuove tecnologie. Innanzitutto, la prestazione lavorativa avviene in luogo diverso dalla tradizionale sede di lavoro, in modo da non richiedere la presenza del lavoratore nell’ambiente dell’ufficio o dell’azienda. Vi è, dunque, una situazione di «decentramento produttivo, […] caratterizzato dalla collocazione logistica del prestatore di lavoro all’esterno dell’impresa»5. Secondariamente, l’esecuzione dell’attività di lavoro presuppone l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e comunicazione che connettono direttamente il lavoratore al contesto organizzativo dell’impresa, al quale egli rimane funzionalmente collegato6. La nozione generale, tradizionalmente intesa, di telelavoro comprende sia le ipotesi di telelavoro on line, in cui il terminale del lavoratore è inserito in una rete di comunicazione elettronica che consente un collegamento continuo, in linea con il computer madre, e, quindi, con il resto dell’organizzazione aziendale, sia di telelavoro off line, non interattivo, tra cui rientra quello definito one way line, a senso unico, e che non prevede la trasmissione dei dati dall’azienda (o dall’amministrazione) verso il telelavoratore7. Il telelavoro si configura, pertanto, come una formula estremamente duttile che ben si adatta ad una molteplicità di soluzioni organizzative, in grado di rispondere alle diverse esigenze dei contesti produttivi. È, infatti, possibile distinguerne alcune forme8, tra cui, ad esempio, il telelavoro domiciliare, in cui il lavoratore, fornito di tutte le attrezzature necessarie, svolge la prestazione direttamente dal suo domicilio; la teleimpresa o azienda virtuale, che opera esclusivamente o prevalentemente tramite la rete, senza disporre di una sede stabile; il telelavoro mobile, caratterizzato anch’esso dall’assenza di un luogo fisso in cui si svolge la prestazione lavorativa. Il lavoratore, in questo caso, dispone di una postazione composta da un PC portatile, un fax-modem e un telefono cellulare, che gli consente di gestire il suo lavoro in qualsiasi momento e ovunque. Inizialmente, in Italia, la disciplina sul telelavoro è stata rimessa ad accordi contrattuali aziendali conclusi dalle parti sindacali, che riguardavano, per lo più, esperienze e sperimentazioni di breve durata9.

4 BLANCPAIN, The legal and contractual situation of teleworkers in the Member States of the European Union, European Foundation 1995, 8-9. 5 GHERA E., Diritto del lavoro, Bari, 2003, 499. 6 DI COCCO C., Il telelavoro nel quadro giuridico italiano, in PATTARO E. (a cura di), Manuale di diritto dell’informatica e delle nuove tecnologie, Bologna, 2000, 101. 7 GAETA L., Lavoro a distanza e subordinazione, ESI 1993, 70. 8 Sulla distinzione e descrizione delle diverse forme di telelavoro, si vedano DI NICOLA P., RUSSO P., CURTI A., Telelavoro tra legge e contratto, Roma, 1998, 17-18; ed DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., Diritto del lavoro, Napoli, 2002, 505. 9 In particolare, il CCNL del Settore Telecomunicazioni ha disciplinato tre differenti tipologie di telelavoro: quello domiciliare; il telelavoro mobile, per il quale il contratto ipotizzava la sperimentazione di nuovi schemi di distribuzione giornaliera

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I contratti collettivi nazionali che, per primi, hanno contemplato espressamente il telelavoro come nuova modalità di svolgimento della prestazione lavorativa sono stati quello del settore Telecomunicazioni e delle Aziende elettriche del 1996 e quello del Settore Commercio e Servizi, siglato nel giugno del 199710. 4. - L’inquadramento giuridico del telelavoro. Il telelavoro, caratterizzato dalle particolari modalità tecniche e spaziali di esecuzione della prestazione, appare di per sé neutro «rispetto alla classificazione negli schemi normativi del lavoro, tanto subordinato (art. 2094 c.c.) che autonomo (art. 2222 c.c.). La prestazione del lavoro a distanza, infatti, potrà essere, a seconda dei casi […], ricondotta ad un contratto di lavoro subordinato, autonomo, o anche parasubordinato»11. L’art. 2094 c.c. qualifica il prestatore di lavoro subordinato come colui che «si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore». Di qui, la definizione di subordinazione come «dipendenza del prestatore dalla direzione del datore nell’esecuzione dell’attività di lavoro nell’impresa». Il lavoratore subordinato è, dunque, vincolato, nelle modalità di svolgimento della prestazione, all’osservanza delle disposizioni per la disciplina e l’esecuzione della prestazione impartite dal datore di lavoro, titolare del potere direttivo e disciplinare. Orbene, nel rapporto di telelavoro in cui la prestazione si svolge, prevalentemente, da una «stazione di lavoro»12, costituita da un sistema tecnologico collegato a distanza con l’organizzazione aziendale tramite una «rete di comunicazione tra le diverse stazioni di lavoro e tra queste e l’elaboratore centrale»13, si pone il problema di individuare il contenuto di quelli che sono i caratteri tipici della subordinazione. In particolare, se ed in base a quali parametri sia possibile identificare, nel telelavoro, l’assoggettamento del telelavoratore alla eterodirezione del datore di lavoro. Ciò che viene in rilievo è l’impiego delle moderne tecnologie, che consentono che l’assoggettamento ad eterodirezione possa interpretarsi in virtù di esse. Il potere direttivo ben potrebbe individuarsi, ai fini della qualificazione della prestazione di telelavoro come lavoro subordinato, nella facoltà del datore di lavoro di scegliere e sostituire unilateralmente, in qualsiasi momento, il software applicativo, che il telelavoratore deve utilizzare nell’espletamento delle sue mansioni14. Secondo diversa impostazione15, invece, i caratteri della subordinazione sono riscontrabili solo nelle ipotesi di telelavoro on line. Il collegamento in linea del telelavoratore con l’impresa da cui dipende, da un

dell’orario di lavoro, purché nell’ambito dei massimi definiti contrattualmente; ed, infine, il telelavoro a distanza, in cui l’attività lavorativa veniva svolta presso centri operativi lontani dalla sede aziendale. Inoltre, ha istituito una Commissione nazionale con il compito di monitorare gli esperimenti di telelavoro; proporre soluzioni per risolvere i problemi di natura giuridica, assicurativa, logistica e di comunicazione aperti dal lavoro a distanza; raccordarsi con gli organi legislativi al fine di favorire l’elaborazione di schemi giuridici nuovi, coerenti con le logiche tecniche e organizzative che il telelavoro richiede. L’accordo interconfederale tra le organizzazioni sindacali e la Confcommercio del 1997 ha disciplinato una ulteriore tipologia di telelavoro, rispetto al CCNL delle Telecomunicazioni, il cosiddetto hoteling, inteso come una postazione di telelavoro di riferimento in azienda per i lavoratori che per le particolari mansioni svolgono la loro attività prevalentemente presso realtà esterne. 10 DI NICOLA P., RUSSO P., CURTI A., cit., 43 ss. 11 GHERA E., cit., 499. 12 CARELLA D., GENTILE P., La stazione di lavoro, in SCARPITTI G., ZINGARELLI D. (a cura di), Il telelavoro. Teorie e applicazioni, Milano, 1996, 122. 13 CAMPO DALL’ORTO S., MUTINELLI M., ROVEDA C., Telelavoro: esperienze e problematiche di sviluppo, in Studi organizzativi, 4, 1986, 147. 14 ICHINO P., Il lavoro subordinato: definizione e inquadramento, Milano, 1992, 213. Non può, invece, identificarsi l’assoggettamento del lavoratore nel vincolo tecnico del rispetto delle procedure imposte dal software fornito dal datore di lavoro. Tale vincolo, infatti, incide solo sulle modalità interne di svolgimento dell’attività lavorativa e non configura un obbligo continuativo d i obbedienza al datore di lavoro; cfr. ICHINO P., I problemi giuridici del telelavoro, in Notiziario del lavoro, 75, 1995; NOGLER L., Qualificazione e disciplina del rapporto di telelavoro, in Quaderni di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 21, 1998, 116. 15 Questa impostazione è accolta, specialmente, da PIZZI P., Telelavoro: prime esperienze applicative nella contrattazione collettiva italiana, in Il Diritto del Lavoro, LXX, 1996, 171; nonché da CASSANO G., LOPATRIELLO S., Il telelavoro, aspetti giuridici e sociologici, Napoli, 1999, 141.

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lato, fa sì che il datore di lavoro possa, per via telematica, impartire le direttive ed esercitare il controllo sulla prestazione in qualsiasi momento, dall’altro, permette al prestatore di lavoro di espletare le proprie mansioni come se fossero svolte all’interno dell’azienda. In questi casi si modifica solo il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa che non influisce sul contenuto del rapporto di lavoro. L’inserimento del telelavoratore nell’organizzazione dell’impresa si realizza al pari del lavoratore che opera nei locali aziendali con la differenza che il primo è sottoposto ad un coordinamento informatico e telematico dell’attività lavorativa. Ciò rende agevole, mediante una interpretazione evolutiva dell’art. 2094 c.c., una estensione della nozione codicistica di lavoratore subordinato anche ai telelavoratori. Diversamente, nel caso di telelavoro off line, mancano i canali di trasmissione delle direttive aziendali e le possibilità di controllo effettivo vengono meno. Il lavoro autonomo, invece, secondo il dettato dell’art. 2222 c.c., si ha «quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente […]». La teleprestazione rientra nella tipologia del lavoro autonomo quando la prestazione è caratterizzata dalla prevalente personalità, con impiego solo in via sussidiaria, e cioè in misura non prevalente rispetto all’apporto del proprio lavoro, di manodopera esterna e/o di attrezzature lavorative; nonché dall’assenza del carattere continuativo della prestazione e dell’inserimento nell’organizzazione dell’azienda16. Alla tipologia del lavoro autonomo deve essere ricondotta anche la fattispecie della parasubordinazione, che non può ritenersi alternativa rispetto alle altre. Nel nostro ordinamento, infatti, il lavoro parasubordinato non ha natura sostanziale, ma rappresenta solo una fattispecie processuale, e ciò ai sensi dell’art. 409, n. 3, c.p.c., che stabilisce che la disciplina del processo del lavoro si applica anche «ad altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato». Pertanto, «i rapporti di lavoro parasubordinato permangono pur sempre nell’area del rapporto di lavoro autonomo, con estensione di carattere eccezionale – e perciò con interpretazione restrittiva – della disciplina del lavoro subordinato espressamente limitandola a specifici e nominati istituti»17. La parasubordinazione si concretizza, quindi, in una prestazione d’opera continuativa e coordinata da parte di un lavoratore autonomo, diretta alla produzione di un risultato o di una sequenza di risultati integrati stabilmente nell’attività del committente. Il contratto di lavoro coordinato, ma non subordinato (c.d. parasubordinato), è finalizzato al soddisfacimento di un interesse dell’imprenditore, continuativo solo sul piano della reiterazione nel tempo delle singole prestazioni di risultato, e non, invece, sul piano della programmazione o coordinamento nello spazio e nel tempo della attività e, quindi, della disponibilità del lavoratore18. La teleprestazione può, poi, ricondursi, anche, alle formule contrattuali dell’appalto, nel qual caso assumerà natura imprenditoriale ai sensi dell’art. 2082 c.c.19, e del lavoro subordinato a domicilio20.

16 MAZZARO R., Il telelavoro, in CASSANO G. (a cura di), Diritto delle nuove tecnologie informatiche e dell’Internet, Milano, 2002, 301. 17 Cfr. Corte cost. 24 luglio 1995, n. 365, in Giust. cost., 1995, I, 2612. 18 GHERA E., cit., 75. 19 La teleprestazione si qualifica come attività imprenditoriale ex art. 2082 c.c., a seguito di stipula di contratto di appalto, quando è effettuata da un singolo o da un gruppo che si avvale dell’apporto di una auto-organizzazione di attrezzature e mezzi e/o di altri soggetti dipendenti, la quale risulti prevalente rispetto al proprio lavoro individuale, senza essere legato da una esclusiva dipendenza economica con l’impresa committente. Secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza, in merito, il limite, oltre il quale l’attività effettuabile in modalità di telelavoro diventa di tipo imprenditoriale, è rappresentato dalla esistenza, in capo al soggetto appaltatore, di una autonoma organizzazione produttiva. Cfr. GAETA L., Il telelavoro: legge e contrattazione, in Giornale di Diritto del Lavoro, 4, 1995, p. 556; per la giurisprudenza si vedano, tra le altre, Cass. 5 gennaio 1995 n. 151, in Mass. Giust. Lav., 1995, 173; Pret. Ferrara 29 dicembre 1994 n. 183, in Iprev., 1995, 145; Cass. 27 aprile 1985 n. 2750, in RIDL, 1986, II, 806. 20 La legge che disciplina il lavoro a domicilio subordinato, legge. del 18 dicembre 1973, n. 877 (G.U. n. 5 del 5 gennaio 1974), statuisce all’art. 1 che «è lavoratore a domicilio chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in un locale di cui abbia disponibilità, anche con l’aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi e a carico, ma con esclusione di manodopera salariata e di apprendisti, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie

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5. - Il telelavoro nel pubblico impiego. La legge n. 191/98 ha statuito, all’art. 4, che le pubbliche amministrazioni «per avvalersi di forme di lavoro a distanza, possono installare, nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio, apparecchiature informatiche e collegamenti telefonici e telematici necessari e possono autorizzare i propri dipendenti ad effettuare, a parità di salario, la prestazione lavorativa in luogo diverso dalla sede di lavoro, previa determinazione delle modalità per la verifica dell’adempimento della prestazione lavorativa» (comma 1). Il successivo d.p.r. 8 marzo 1999, n. 70, regolamento sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, ha disciplinato compiutamente la materia, in ossequio al disposto dall’art. 4, comma 3, legge n. 191/98, definendo le norme necessarie per la concreta operatività dell’istituto. Particolare rilevanza, poi, riveste, tra le fonti della disciplina del telelavoro, la disciplina pattizia collettiva stabilita dall’accordo-quadro nazionale sul telelavoro del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni, siglato tra l’ARAN e le Confederazioni sindacali nazionali il 23 marzo 2000. Con detto accordo, che integra il d.p.r. n. 70/99, si è inteso convenire regole appropriate e strumenti idonei a consentire, da un lato, alla pubblica amministrazione di valersi concretamente del telelavoro, come forma di flessibilità lavorativa, e, dall’altro, al lavoratore di scegliere una diversa modalità di prestazione di lavoro, che comunque salvaguardi in modo efficace il sistema di relazioni personali e collettive espressive delle sue legittime aspettative in termini di formazione e crescita professionale, senso di appartenenza e socializzazione, informazione e partecipazione al contesto lavorativo e alla dinamica dei processi innovatori (art. 2). A completamento del quadro normativo si è aggiunta la delibera n. 16 del 31 maggio 2001 dell’AIPA, emanata ai sensi dell’art. 6 del d.p.r. n. 70/99, per la definizione delle regole tecniche per l’impiego del telelavoro, con riferimento alla rete unitaria della pubblica amministrazione, alle tecnologie per l’identificazione, alle esigenze di adeguamento all’evoluzione scientifica e tecnologica e alla tutela della riservatezza dei dati. Allo scopo di razionalizzare l’organizzazione e la gestione del lavoro attraverso l’impiego flessibile delle risorse umane, quindi, le pubbliche amministrazioni possono ricorrere a forme di telelavoro, definito all’art. 2, comma 1, lett. b), del regolamento n. 70/99 come «la prestazione di lavoro eseguita dal dipendente di una delle amministrazioni pubbliche […], in qualsiasi luogo ritenuto idoneo, collocato al di fuori della sede di lavoro, dove la prestazione sia tecnicamente possibile, con il prevalente supporto di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che consentano il collegamento con l’amministrazione cui la prestazione stessa inerisce; […]». In merito alla definizione della fattispecie del telelavoro, accolta nel regolamento, occorre osservare come il d.p.r. n. 70/99 abbia ovviato alla confusione terminologica in cui era, invece, incorsa la legge n. 191/98, che, all’art. 4, aveva sostanzialmente equiparato il telelavoro al lavoro a distanza. Invero, i due concetti non sono totalmente assimilabili, poiché, affinché si versi in ipotesi di telelavoro, non deve solo attuarsi una delocalizzazione dell’attività lavorativa, ma appare necessario l’uso degli strumenti di ICT, secondo un criterio di prevalenza, in guisa che sia possibile un collegamento diretto e funzionale tra il lavoratore e l’amministrazione di appartenenza. Il criterio di prevalenza della utilizzazione degli strumenti informatici è stato variamente interpretato. Parte della dottrina ha affermato che, per aversi telelavoro, la prevalenza debba riferirsi all’uso degli strumenti informatici nella esecuzione della prestazione; di modo che, qualora mancasse l’utilizzo di una ICT, la teleprestazione non dovrebbe ritenersi altrimenti possibile21.

prime o accessorie e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi». L’articolo in esame prosegue, al comma 2, specificando che, in deroga al disposto dell’art. 2094 c.c., subordinazione «ricorre quando il lavoratore a domicilio è tenuto ad osservare le direttive dell’imprenditore circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche ed i requisiti del lavoro da svolgere nell’esecuzione parziale, nel completamento o nell’intera lavorazione dei prodotti oggetto dell’attività dell’imprenditore committente». Ulteriori elementi del lavoro a domicilio sono la non occasionalità e l’impossibilità per il lavoratore di rifiutare in qualsiasi momento la prestazione. 21 GAETA L., Il regolamento del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, in Lav. pubbl. amm., 2, 1999, 315.

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Talaltra dottrina, invece, ha osservato che il carattere di prevalenza non attiene propriamente al momento della esecuzione materiale della prestazione, ma alle modalità di trasmissione e comunicazione dei risultati della prestazione eseguita, con ciò comprendendo nella definizione di telelavoro, non solo le ipotesi di telelavoro on line, con collegamento in linea e in tempo reale, ma anche le altre, non caratterizzate da una connessione telematica continua tra il lavoratore e l’azienda22. 6. - Il progetto e l’assegnazione al telelavoro. Qualora una pubblica amministrazione intenda avvalersi di forme di telelavoro, deve, preliminarmente, stilare un progetto generale nel quale l’organo di governo dell’ente individui gli obiettivi raggiungibili, prendendo in considerazione anche le proposte avanzate dai responsabili degli uffici dirigenziali, e destini, a tal fine, apposite risorse (art. 3, comma 1). Il progetto generale deve indicare, in particolare, le attività interessate, le tecnologie utilizzate ed i sistemi di supporto, le modalità di effettuazione, le tipologie professionali ed il numero dei dipendenti di cui si prevede il coinvolgimento, i tempi e le modalità di realizzazione, i criteri di verifica e di aggiornamento, i costi ed i benefici (comma 2). Secondo le regole tecniche approvate dall’AIPA nel 2001, il progetto generale di telelavoro determina, altresì, i requisiti della postazione di telelavoro; le tecniche di identificazione e di autenticazione degli addetti ai lavori, l’utilizzo di chiavi di accesso o codici di identificazione, in relazione a quanto previsto dal piano di sicurezza generale dell’amministrazione ed agli aspetti di sicurezza specifici del progetto; le applicazioni informatiche dell’amministrazione e le modalità di connessione; le verifiche periodiche; la formazione del personale sugli aspetti tecnici, di utilizzo e manutenzione delle tecnologie, e sulla gestione e conservazione dei documenti informatici; le modalità di scambio dei documenti informatici con l’amministrazione di riferimento; l’uso eventuale della firma digitale; la tutela dei dati personali; gli aspetti relativi all’accessibilità delle persone disabili delle tecnologie hardware e software, con riferimento alle interfacce utente dei programmi applicativi relativamente alle attività compatibili con la disabilità dell’operatore ed in funzione degli obiettivi che il progetto si prefigge23. Infine, il progetto enumera i criteri per individuare i parametri quantitativi e qualitativi delle prestazioni da svolgere mediante telelavoro; parametri cui il dirigente deve attenersi per compiere la verifica dell’adempimento della prestazione lavorativa (art. 7, commi 1 e 2, d.p.r. n. 70/99). L’approvazione del progetto di telelavoro compete al dirigente o al responsabile dell’ufficio o servizio nel cui ambito si intendono avviare forme di telelavoro, oppure, e ciò allorquando siano coinvolte più strutture, al responsabile dell’ufficio dirigenziale di livello generale. L’approvazione è effettuata d’intesa con il responsabile dei servizi informativi, ove presente (art. 3, comma 5, d.p.r. n. 70/99). In proposito, l’accordo-quadro del 2000, all’art. 3, comma 2, ha aggiunto la partecipazione delle organizzazioni sindacali nel momento di approvazione finale del progetto; sarà compito delle amministrazioni interessate, infatti, consultarle preventivamente sui contenuti dei progetti. Il d.p.r. n. 70/99 rinvia alla contrattazione collettiva l’individuazione dei criteri di assegnazione al telelavoro. È stato, poi, l’accordo-quadro del 2000 ad individuare i criteri generali che le amministrazioni devono seguire, allorquando procedano all’assegnazione dei dipendenti al telelavoro. Vengono, innanzitutto, menzionati i lavoratori che si siano dichiarati disponibili a ricoprire dette posizioni, con priorità per coloro che già svolgano le relative funzioni o abbiano esperienza lavorativa in mansioni analoghe a quelle richieste, tale da consentire di operare in autonomia nelle attività di competenza (art. 4, comma 1). Viene, così, indicato espressamente il carattere volontario del telelavoro che consegue ad una libera scelta e all’accordo tra il datore di lavoro ed il lavoratore interessato.

22 Così, ad esempio, sarà configurabile come telelavoro anche l’attività del dipendente che redige su file il proprio lavoro e, successivamente, lo trasmette all’azienda via modem. Diversamente, se si considera la medesima attività, ma con una diversa modalità di consegna dei risultati (per posta o brevi manu), non potrà parlarsi di telelavoro, ma di una diversa forma di lavoro a distanza. Sul punto, v., VISCOMI A., Il telelavoro nelle Pubbliche amministrazioni (d.p.r. 8 marzo 1999, n. 70), in Studium iuris, 10, 1999, 1065. 23 BUFFA F., Il processo civile telematico. La giustizia informatizzata, Milano, 2002, 282.

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Da un punto di vista astratto, la volontarietà non pare configurarsi come elemento necessario se non in riferimento alle ipotesi di telelavoro domiciliare, dove l’amministrazione non può invadere la sfera privata del lavoratore senza un suo esplicito e preventivo consenso; viceversa, «in relazione al telelavoro presso telecentri, centri satellite, telecottage, ecc. non pare che l’ordinamento giuridico, sia dal punto di vista generale (normativa sul punto nelle pubbliche amministrazioni, normativa comune sul rapporto di lavoro), sia di quello particolare (L. 191), imponga la necessità del consenso del dipendente»24. Salva, comunque, l’opzione, realizzata nell’attuale disciplina, di ritenere necessaria la volontarietà, sul piano generale «il rilievo della scelta del lavoratore deve necessariamente essere raccordato con il prioritario interesse dell’amministrazione a ricorrere al telelavoro»25. Nel caso di richieste superiori al numero delle posizioni disponibili, il testo contrattuale individua dei criteri di assegnazione da privilegiarsi: situazioni di disabilità psico-fisiche che rendano disagevole il raggiungimento del luogo di lavoro; esigenze di cura di figli minori di 8 anni o di familiari o conviventi; maggiore tempo di percorrenza dall’abitazione del dipendente alla sede (comma 2). Gli ulteriori due aspetti fondamentali dell’assegnazione al telelavoro sono indicati nel comma 3 dell’art. 4, laddove si afferma che l’assegnazione a progetti di telelavoro non muta la natura del rapporto di lavoro in atto ed è revocabile. Destinatari del telelavoro sono, dunque, i pubblici dipendenti già in servizio con i quali non si instaura un nuovo rapporto di lavoro ma si dà vita solo ad una variazione organizzativa di quello in atto; la scelta, operata dal legislatore, di rivolgersi solo al personale già in servizio nella PA evita qualunque disputa qualificatoria sul telelavoro subordinato, autonomo, a domicilio, parasubordinato. Il regolamento si è occupato solo della trasformazione dei lavoratori interni in telelavoratori, dando per pacifica la natura subordinata della prestazione. Oltre ad essere volontaria, l’assegnazione al telelavoro è reversibile. La revoca interviene su richiesta scritta del lavoratore, quando sia trascorso il periodo di tempo di assegnazione indicato nel progetto, o d’ufficio da parte dell’amministrazione. In tutti i casi, il lavoratore dovrà essere reintegrato nella sede di lavoro originaria (comma 4). Quanto alle modalità di svolgimento, preventivamente stabilite nel progetto, il telalavoro può realizzarsi, nel dettato dell’art. 5, comma 1, dell’accordo, come lavoro a domicilio, lavoro mobile, decentrato in centri satellite, servizi in rete o altre forme flessibili anche miste, comprese quelle in alternanza, in luogo idoneo e diverso dalla sede dell’ufficio al quale il dipendente è assegnato, dove sia tecnicamente possibile la prestazione a distanza. L’espressa previsione delle «altre forme flessibili anche miste, comprese quelle in alternanza» fa sì che il telelavoro possa, da un lato, combinarsi con le forme contrattuali flessibili di assunzione ed impiego del personale di cui al d.lgs. n. 165/2001; dall’altro, ed in questo senso va inteso il concetto di alternanza, possa essere anche parziale, ossia svolgersi solo in parte al di fuori della sede di lavoro, con periodici rientri del lavoratore. In merito al progetto di telelavoro e all’assegnazione dei lavoratori ad esso, va detto che il decreto Crescita 2.0, approvato con decreto legge n. 179/2012 convertito con l. 17 dicembre 2012, n. 221, ha sancito che le amministrazioni pubbliche sono tenute ad attuare un piano di telelavoro in cui devono specificare le modalità di realizzazione e le eventuali attività per cui non è possibile l’utilizzo del telelavoro. Si assume, pertanto, che tutte le attività possano essere svolte in modalità di telelavoro, a meno di giustificate ragioni di impossibilità. 7. - La postazione di lavoro e la sede di lavoro. Il dipendente, assegnato al telelavoro, svolge la propria attività tramite una postazione di lavoro, definita come «il sistema tecnologico costituito da un insieme di apparecchiature e di programmi informatici, che consente lo svolgimento dell’attività di telelavoro» (art.

24 PASCUCCI P., L’assegnazione e la reintegrazione del dipendente, in GAETA L., PASCUCCI P., POTI U. (a cura di), Il telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, Milano, 1999, 74. 25 Ibidem.

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5, comma 1, d.p.r. n. 70/99), messa a disposizione, installata e collaudata a spese dell’amministrazione interessata. Quest’ultima deve assicurare, altresì, l’attivazione dei collegamenti telematici necessari, la manutenzione e la gestione dei sistemi di supporto per il dipendente, nonché garantire adeguati livelli di sicurezza delle comunicazioni tra la postazione di telelavoro ed il proprio sistema informativo. Le attrezzature informatiche necessarie che compongono la postazione di lavoro sono concesse al lavoratore in comodato d’uso gratuito per la durata del progetto, secondo quanto dettato dall’art. 5, comma 2, dell’accordo-quadro. La prestazione di telelavoro può effettuarsi anche presso il domicilio del dipendente, ma l’amministrazione deve verificare preventivamente la conformità alle norme generali di prevenzione e sicurezza delle utenze domestiche (art. 4, comma 2, d.p.r. n. 70/99). Il dipendente è, dunque, tenuto a consentire l’accesso alle attrezzature, ubicate nella sua abitazione, da parte degli addetti alla manutenzione, del responsabile della prevenzione e protezione e del delegato alla sicurezza, per il controllo sulla corretta applicazione delle disposizioni in materia di sicurezza. E le modalità di accesso sono preventivamente concordate dalle parti. Qualora la prestazione di telelavoro si svolga presso il domicilio del dipendente, l’accordo-quadro prevede, all’art. 6, che questi abbia diritto a percepire, con cadenza predeterminata, una somma, a titolo di rimborso delle spese connesse ai consumi energetici e telefonici e delle altre spese eventualmente sostenute per l’effettuazione della prestazione lavorativa. Il telelavoratore è, dal canto suo, obbligato alla custodia degli strumenti di lavoro ed è responsabile dell’effettuazione dei compiti necessari all’esecuzione della prestazione. La postazione di lavoro, dunque, è l’insieme delle attrezzature tecniche necessarie allo svolgimento della prestazione. Da essa si distingue la sede di lavoro, definita, dall’art. 2, lett. c), del d.p.r. n. 70/99, come quella dell’ufficio al quale il dipendente è assegnato. Secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza, la collocazione del telelavoratore all’esterno dell’ufficio non integra ipotesi di trasferimento da una unità produttiva ad un’altra, di cui all’art. 2103, comma 1, c.c. Il telelavoratore continua, pertanto, ad appartenere all’unità produttiva originaria e deve essere computato nell’organico dell’ufficio di appartenenza, in quanto è a quest’ultimo che la prestazione rimane strutturalmente e funzionalmente connessa. A conferma di questo indirizzo è intervenuta la Corte di cassazione affermando che, per le controversie relative ad un rapporto di lavoro svoltosi con le modalità del telelavoro a domicilio, si deve ritenere territorialmente competente, ex art. 413 c.p.c., il giudice del luogo in cui è stato stipulato il contratto o quello in cui è stata svolta la prestazione lavorativa «che coincide con il luogo in cui è situata l’azienda, ovvero quello in cui è situata la sua dipendenza, a seconda che il dipendente sia addetto all’una o all’altra»26. Il trattamento retributivo, tabellare ed accessorio, e normativo del telelavoratore è quello previsto dalla contrattazione collettiva, nazionale, integrativa e decentrata, che si applica ai lavoratori del comparto (art. 6, comma 4), e deve essere, in ogni caso, equivalente a quello dei dipendenti impiegati nella sede di lavoro (art. 8). 8. - L’orario di lavoro e la verifica dell’adempimento. L’art. 6, comma 1, dell’accordo-quadro, in merito all’orario di lavoro dei telelavoratori dipendenti, pur ribadendo che la prestazione di telelavoro è orientata verso modelli innovativi di distribuzione dell’orario, al fine di valorizzare l’autonomia nella gestione del tempo e dell’attività lavorativa, mantiene ferma la quantità oraria prevista per il personale che presta la sua attività in sede, ossia trentasei ore settimanali. Eventuali brevi periodi di interruzione del circuito telematico, o fermi macchina non imputabili al lavoratore, sono considerati utili ai fini del completamento dell’orario di lavoro. Il datore di lavoro può controllare il rispetto dell’orario di lavoro e l’adempimento delle prestazioni

26 Cass. 15 ottobre 1999, in Orient. Giur. Lav., 2000, 597.

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lavorative, ma le verifiche devono avvenire secondo modalità stabilite di concerto con le rappresentanze sindacali, devono essere comunicate al dipendente e, da questo, accettate, specie nel caso in cui il controllo debba effettuarsi presso il suo domicilio. Il sistema di valutazione del lavoro prestato in modalità di telelavoro non si discosta da quella del lavoro prestato in sede, pertanto i parametri, specie qualitativi, utilizzati sono gli stessi ed attengono al concetto più ampio di produttività del lavoratore, di cui il controllo del rispetto dell’orario di lavoro rappresenta solo un aspetto, in termini quantitativi. Le modalità di controllo devono essere compatibili con l’orario di fatto osservato dal lavoratore, anche in base alle fasce di reperibilità, la cui determinazione va lasciata alla contrattazione sindacale per una scelta uniforme, con possibilità di varianti a seconda dei casi singoli motivati27. Occorre evidenziare che la verifica dell’adempimento, posto che il telelavoro si avvale di tecnologie informatiche, involge questioni legate alle forme di controllo a distanza del lavoratore28 ed alle norme in materia di protezione dei dati personali, e che, pertanto, è necessario armonizzare l’applicazione delle diverse disposizioni. Prima dell’entrata in vigore del Jobs Act, l’art. 4 dello statuto dei lavoratori vietava, espressamente, l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per il controllo a distanza dei lavoratori, operando una distinzione tra controlli intenzionali, vietati perché lesivi della dignità e riservatezza del lavoratore, e controlli preterintenzionali ammessi solo se dettati da esigenze organizzative, produttive e di sicurezza e, previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza, dell’ispettorato del lavoro. A seguito della riscrittura dell’art. 4 sumenzionato, attualmente, il datore di lavoro è legittimato a fornire in uso ai propri dipendenti strumenti di lavoro anche informatici e telematici, con facoltà di utilizzare i dati raccolti tramite tali strumenti, senza passare dalla preventiva autorizzazione delle organizzazioni sindacali o dell’ispettorato del lavoro. Ciò, a condizione che venga data adeguata protezione ai dati personali raccolti, alla luce anche del nuovo GDPR che ha sancito l’obbligo di una idonea e corretta informativa sulle modalità d’uso ed i potenziali controlli per ciascuno strumento di lavoro29. 9. - I diritti dei telelavoratori. Al telelavoratore è garantito l’esercizio dei diritti sindacali, per cui egli deve poter essere informato e partecipare all’attività sindacale che si svolge in azienda. A tal fine, l’ultimo comma dell’art. 6 dell’accordo quadro, prevede l’istituzione, nelle amministrazioni e negli enti che impiegano telelavoro, di una bacheca sindacale elettronica, nonché l’utilizzo dell’e-mail con le rappresentanze sindacali sul luogo di lavoro. La prestazione telelavorativa, invero, non sembra, di per sé, essere di ostacolo all’esercizio dei diritti sindacali al pari dei lavoratori che continuano a svolgere il proprio lavoro all’interno dell’azienda. I diritti che sembrano richiedere la presenza fisica del lavoratore in azienda potrebbero ben essere fruiti per via telematica. L’assemblea (art. 20) ed il referendum (art. 21) potrebbero essere esercitati attraverso un collegamento informatico (videoconferenza, televoto). In tal modo, «il terminale si trasformerebbe da strumento della teleprestazione in strumento per l’esercizio dell’attività sindacale ed il datore di lavoro adempirebbe ai propri obblighi di collaborazione mettendo a disposizione […] i canali informatici utilizzati per la prestazione lavorativa, assumendosi il relativo onere economico»30. Neanche il ricorso ai tradizionali strumenti di tutela collettiva, pare essere ostacolato: le vari fasi in cui si articola uno sciopero, infatti, ben potrebbero svolgersi per via telematica. Basterebbe lo spegnimento del terminale per configurare l’astensione dalla prestazione. Analogamente, la serrata sarebbe ipotizzabile

27 Può ritenersi legittima anche l’autocertificazione, ossia la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ex art. 47 del DPR 445/2000 da parte del dipendente, delle ore prestate in telelavoro; in tal senso, MIGLIORE C. (a cura di), Documento tecnico per la definizione di linee giuda per l’introduzione del telelavoro nella Pubblica Amministrazione, Roma, 2005, 25. 28 ROMEI R., I controlli e la tutela della privacy, in GAETA L., PASCUCCI P. (a cura di), Telelavoro e diritto, Torino 1998, 97. 29 DE LUCIA V., LESCE D., Tecnologia sul lavoro e privacy: le norme dopo Jobs Act e GDPR, in Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu), 2018. Si veda anche, in materia di privacy, D’AVANZO W., Robotica e privacy, in Blog di consulenza legale ed informazione giuridica (consulenza.legale.altervista.org), 2018. 30 GIUGNI G., È necessario subito un altro (tele)statuto?, in Telema (www.fub.it), 2, 1995.

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qualora il datore di lavoro sospenda la connessione informatica che consente la teleprestazione. In genere, quindi, la normativa sul telelavoro promette che le agibilità sindacali saranno compatibilizzate con le caratteristiche specifiche dell’attività lavorativa31. Particolare rilevanza riveste, poi, la tutela della salute e sicurezza del lavoro, sancita prima dalla legge n. 626/1994 ora abrogata dal d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e s.m.i. Invero, rispetto alla precedente legge n. 626, il testo unico sulla salute e sicurezza del lavoro del 2008 a riscrive radicalmente la disciplina. L’art. 3, comma 10, del d.lgs. n. 81/2008 stabilisce che «a tutti i lavoratori subordinati che effettuano una prestazione continuativa di lavoro a distanza, mediante collegamento informatico e telematico, compresi quelli di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 70, e di cui all’accordo-quadro europeo sul telelavoro concluso il 16 luglio 2002, si applicano le disposizioni di cui al Titolo VII, indipendentemente dall’ambito in cui si svolge la prestazione stessa. Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali attrezzature devono essere conformi alle disposizioni di cui al Titolo III. I lavoratori a distanza sono informati dal datore di lavoro circa le politiche aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in particolare in ordine alle esigenze relative ai videoterminali ed applicano correttamente le Direttive aziendali di sicurezza. Al fine di verificare la corretta attuazione della normativa in materia di tutela della salute e sicurezza da parte del lavoratore a distanza, il datore di lavoro, le rappresentanze dei lavoratori e le autorità competenti hanno accesso al luogo in cui viene svolto il lavoro nei limiti della normativa nazionale e dei contratti collettivi, dovendo tale accesso essere subordinato al preavviso e al consenso del lavoratore qualora la prestazione sia svolta presso il suo domicilio. Il lavoratore a distanza può chiedere ispezioni. Il datore di lavoro garantisce l’adozione di misure dirette a prevenire l’isolamento del lavoratore a distanza rispetto agli altri lavoratori interni all’azienda, permettendogli di incontrarsi con i colleghi e di accedere alle informazioni dell’azienda, nel rispetto di regolamenti o accordi aziendali» 10. - Conclusioni. Un punto di riferimento molto importante in materia di telelavoro è, poi, l’accordo quadro europeo sottoscritto il 16 luglio 2002 dalle parti sindacali rappresentative dei lavoratori e delle imprese pubbliche e private. In considerazione della eterogeneità di situazioni e di prassi ricomprese nel telelavoro, l’accordo-quadro ne ha offerto una definizione ampia, tale da abbracciarne diverse forme. Si definisce, infatti, al punto 2, il telelavoro come «una forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell’informazione nell’ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro, in cui l’attività lavorativa, che potrebbe anche essere svolta nei locali dell’impresa, viene regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa». In Italia, l’accordo è stato recepito, dalle associazioni sindacali con l’accordo interconfederale del 9 giugno 2004. Gli aspetti su cui, fin da subito, l’accordo quadro europeo fissa particolare attenzione sono dati dal carattere volontario e della reversibilità del rapporto di telelavoro (punto 3). La modalità di svolgimento della prestazione lavorativa come telelavoro può essere inserita nella descrizione iniziale delle prestazioni del lavoratore oppure può scaturire da un successivo impegno assunto dalle parti; in entrambi i casi, l’accordo prevede che il datore di lavoro fornisca al telelavoratore le relative informazioni scritte, comprensive delle informazioni circa il contratto collettivo applicato, della descrizione della prestazione lavorativa. Inoltre, ulteriormente, il telelavoratore deve essere informato per iscritto circa l’unità produttiva cui è assegnato, al fine di consentirgli di esercitare i suoi diritti collettivi, il suo superiore diretto o le altre persone cui può rivolgersi per questioni di natura professionale o personale, nonché le modalità cui fare riferimento. Peraltro, ribadisce l’accordo, il passaggio al telelavoro, quale adozione di una diversa modalità di svolgimento del lavoro, non incide sullo status del telelavoratore e il rifiuto di optare per il telelavoro non costituisce motivo di risoluzione né di modifica del rapporto di lavoro.

31 PASCUCCI P., Libertà e attività sindacale, in GAETA L., PASCUCCI P. (a cura di), cit., 159.

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In generale, il televoratore fruisce degli stessi diritti garantiti dalla legislazione e dal contratto collettivo applicato, previsti per un lavoratore comparabile che svolge attività all’interno dei locali dell’impresa (punto 4). Ove il telelavoro venga svolto con regolarità, il datore di lavoro compensa o copre i costi direttamente derivanti al lavoratore dal lavoro, in particolare quelli relativi alla comunicazione (punto 7), e si fa carico dei costi derivanti dalla perdita o dal danneggiamento degli strumenti di lavoro, nonché dei dati utilizzati dal telelavoratore. Una differenza, invece, rispetto alla disciplina nazionale, si rinviene, nell’accordo europeo, laddove si pone l’accento sul requisito della continuità nello svolgimento della prestazione in modalità di telelavoro, che sembra comportare l’esclusione di «tutte quelle forme di lavoro flessibili, che consentono di affiancare, anche nel corso della medesima settimana lavorativa, prestazioni all’interno e all’esterno dei luoghi di lavoro», ponendosi così come limite al di sotto del quale la disciplina del telelavoro non trova applicazione32. Nel nostro ordinamento, diversamente, è possibile che il lavoratore rientri periodicamente nella sede dell’impresa o dell’amministrazione di appartenenza. Per quanto attiene all’organizzazione del lavoro, il telelavoratore ha maggiore libertà nella gestione del proprio tempo, ma, in ogni caso, il carico di lavoro ed i livelli di prestazione del telelavoratore devono essere equivalenti a quelli dei lavoratori comparabili che svolgono attività all’interno dei locali dell’impresa (punto 9). In linea generale, dunque, con la stipula dell’accordo le parti sociali hanno espresso un indirizzo di favore verso il telelavoro, quale mezzo, che consente, alle imprese e agli enti pubblici di servizi, di modernizzare l’organizzazione del lavoro e che permette, ai lavoratori, di avere maggiore autonomia nell’assolvimento dei compiti loro affidati. Il telelavoro, al pari del più recente smart working, rappresenta, quindi, un efficace strumento per procedere alla razionalizzazione e alla semplificazione delle procedure amministrative. Inoltre, esso costituisce una possibile soluzione al decentramento delle attività, le cui ragioni risiedono nell’esigenza di localizzare gli uffici laddove i costi siano minori, ovvero di creare strutture diffuse e capillari che possano meglio rispondere alle sollecitazioni delle istanze locali. La possibilità di segmentare i compiti da svolgere, distribuendoli su una rete di terminali, e di coordinarli a distanza, la facilità di controllo e la possibilità di organizzare i processi di lavoro per obiettivi e di modulare i controlli di efficienza su parametri qualitativi, di risultato, la possibilità di ridistribuire il personale sul territorio nazionale e locale, per meglio soddisfare il fabbisogno organizzativo e per meglio erogare i servizi richiesti, sono di certo fattori di notevole vantaggio per la pubblica amministrazione. Parallelamente, dalla parte non solo dei lavoratori, ma dell’intera collettività, la migliore gestione dei tempi di vita e la riduzione dello stress connesso al lavoro, così come la riduzione del traffico nelle città, la possibilità di sfruttare le potenzialità del telelavoro per ridurre la disoccupazione, rappresentano modelli di miglioramento complessivo della qualità della vita. Di certo, non mancano accenti sulla necessità di un bilanciamento nell’adozione di forme di telelavoro, onde evitare i rischi in cui potrebbero incorrere i lavoratori, quali il senso di isolamento, e la perdita del senso di appartenenza ad un gruppo, la maggiore difficoltà di aggiornamento professionale, il rischio che il telelavoratore non sappia adeguarsi e finisca con il non lavorare per nulla o troppo. Ciò che occorre è, dunque, sviluppare dei criteri che chiariscano i punti più controversi dell’applicazione di strumenti di lavoro intelligenti. Il tema del telelavoro, peraltro, è fortemente sentito anche a livello europeo. Varie, infatti, sono state le comunicazioni della Commissione europea che hanno focalizzato l’attenzione sulle possibili evoluzioni del diritto del lavoro in grado di promuovere una crescita sostenibile con più posti di lavoro di migliore qualità. L’obiettivo è quello di mobilitare le risorse nazionali e comunitarie per creare una nuova forza di lavoro

32 Ivi.

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preparata, formata e flessibile, nonché mercati del lavoro in grado di rispondere alle sfide generate dall’impatto della globalizzazione e della società dell’informazione. La rapidità dei progressi tecnologici, l’intensificazione della concorrenza collegata alla globalizzazione, l’evoluzione della domanda dei consumatori e la crescita del settore dei servizi sottolineano la necessità di aumentare la flessibilità33. Ma anche le esigenze di maggiore sostenibilità delle attività dell’uomo a livello ambientale spingono in questa direzione. Come si vede, quindi, gli strumenti per perseguire uno sviluppo umano più sostenibile, a tutti i livelli, quale esigenza sempre più urgente per le prossime generazioni, ci sono e sono presenti negli ordinamenti da diversi anni, ma non c’è la volontà di attuarli. Lo smart working, telelavoro o lavoro agile, non porterà di certo alla fine dell’inquinamento atmosferico, ma di certo, ne determinerebbe una consistente diminuzione. Analogamente, potrebbe contribuire a ridurre la disoccupazione. Ciò a cui, a mio avviso, bisognerebbe orientarsi è il passaggio allo smart working per molte categorie di lavoratori anche per il futuro, oltre e al di là dell’emergenza coronavirus. Favorendo in questo modo l’avvio di processi di ristrutturazione e di progressione verso un’economia fondata sull’innovazione e sul cambiamento. L’importanza di optare per forme di lavoro flessibile ed intelligente è tanto più vera se si pensa che nei prossimi anni – secondo le più recenti stime34 – i robot potranno svolgere più della metà dei lavori umani. Il lavoro tradizionalmente inteso è in una fase di piena trasformazione, e, dunque, occorre ripensarne le forme tradizionali. Non sono più tanto importanti i concetti di sede di lavoro, orario di lavoro, controllo del lavoratore, ma assume massimo rilievo la qualità della prestazione lavorativa. Da questo punto di vista, il telelavoro e lo smart working – che si svolgono prevalentemente attraverso la rete e le tecnologie informatiche di ultima generazione – potrebbero rappresentare una formula vincente in grado di assicurare una maggiore e migliore produttività, un minore inquinamento, una migliore qualità della vita, pur garantendo l’autonomia del lavoratore e la libertà da schemi precostituititi che, nell’epoca contemporanea, rischiano di diventare obsoleti.

33 CONTALDO A., Regole giuridiche ed evoluzione organizzativa del telelavoro nelle politiche comunitarie, in LIAKOPOULOU I. (a cura di), Le politiche comunitarie dell’Europa allargata, Libreriauniversitaria.it edizioni, 2011, 68 ss. 34 WORLD ECONOMIC FORUM, The future of Jobs Report 2018, in www.weforum.org. Sul tema della robotica, si veda anche DI MAIO

V., Diritto del lavoro e robotica, in Rivista elettronica di diritto, economia, management, 3, 2017, 16.