Diritto Tributario · 2020. 5. 20. · Diritto Tributario Bozze Salvatore Luciano Furnari Il...

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Diritto Tributario Bozze Salvatore Luciano Furnari Il seguente lavoro è incompleto è contiene imperfezioni ed incongruenze non risolte fra gli appunti presi a lezione e il manuale “diritto tributario” di Pasquale Russo. Vi invitiamo a farci pervenire le vostre eventuali correzioni alla nostra mail: [email protected]

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  • Diritto Tributario Bozze

    Salvatore Luciano Furnari

    Il seguente lavoro è incompleto è contiene imperfezioni ed incongruenze non risolte fra gli appunti presi a lezione e il manuale “diritto tributario” di Pasquale Russo. Vi invitiamo a farci pervenire le vostre eventuali correzioni alla nostra mail: [email protected]

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    Appunti di Diritto Tributario

    Sommario Le entrate tributarie. .................................................................................................. 5

    Tasse, imposte, monopoli fiscali e contributi: analogie e differenze. ..................... 5

    Analisi degli articoli della Costituzione in materia tributaria. ..................................... 7

    Art. 23 .................................................................................................................... 7

    Art. 53 e suoi corollari. ......................................................................................... 10

    Attualità ............................................................................................................... 12

    Effettività ......................................................................................................... 13

    Limite del minimo vitale. .................................................................................. 14

    Art. 53 Costituzione comma II .............................................................................. 15

    Il sistema delle fonti. ................................................................................................ 16

    La norma tributaria. ............................................................................................. 16

    Interpretazione delle norme tributarie: problematiche........................................ 17

    Applicabilità nel tempo .................................................................................... 17

    Applicabilità nello spazio .................................................................................. 17

    Problema della doppia imposizione. ................................................................. 18

    Ripresa tema dell’interpretazione. ....................................................................... 19

    Analogia ........................................................................................................... 20

    Circolari interpretative. .................................................................................... 20

    Obbiettive condizioni di incertezza. .................................................................. 20

    Interpello(art 11 statuto del contribuente). ..................................................... 21

    Annullamento d’ufficio: cenni. ............................................................................. 22

    Elusione fiscale(applicazione analogica delle norme tributarie) ........................... 22

    Elusione ............................................................................................................ 24

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    Art. 37-bis DPR n° 600 del 1973. ........................................................................... 24

    Obbligazione impositiva e Obbligazioni tributarie. ............................................... 26

    Teoria dichiarativa e costitutiva. .......................................................................... 26

    Elementi della fattispecie imponibile ....................................................................... 27

    Vecchia teoria della supersolidarietà tributaria e suo superamento. ............... 28

    Sostituto e responsabile di imposta ..................................................................... 29

    Dichiarazione dei redditi. ......................................................................................... 32

    Nullità ............................................................................................................... 34

    Rettificabilità della dichiarazione.......................................................................... 34

    Attività di accertamento........................................................................................... 35

    Differenza con l’attività di liquidazione. ............................................................... 35

    L’accertamento in senso proprio .......................................................................... 36

    Atti dell’amministrazione nell’attività di accertamento. ....................................... 37

    Emanazione dell’avviso di accertamento.............................................................. 39

    Metodo analitico. ............................................................................................. 39

    Accertamenti presuntivi. ...................................................................................... 41

    Sintetico ed induttivo puro. .............................................................................. 41

    Accertamento contabile ed extracontabile .......................................................... 42

    Avviso di accertamento. ....................................................................................... 43

    Requisito di accertamento. .............................................................................. 43

    Accertamento d’ufficio(Art. 41). ....................................................................... 44

    Accertamento modificativo e integrativo(Art. 43) ................................................ 44

    Accertamento parziale (Art. 41-bis) ...................................................................... 44

    Presupposti. ......................................................................................................... 44

    Requisito di validità dell’avviso. ........................................................................ 45

    Testo unico sulle imposte sui redditi. Irpef ed Ires - Profili generali(appunti non

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    rivisti). .................................................................................................................. 45

    Irpef.................................................................................................................. 46

    Cenni sulla parte speciale. ........................................................................................ 46

    Definizione di reddito. .......................................................................................... 46

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    Le entrate tributarie.

    Le entrate dello stato possono essere varie. Queste sono state nel tempo variamente classificate:

    Di diritto pubblico e di Diritto privato a seconda di quale diritto regoli la disciplina;

    A titolo originario o a titolo derivato connesse al patrimonio fondiario o no; Entrate commutative ed entrate contributive, a seconda che esista o meno un

    rapporto di scambio.

    Nelle entrate contributive non opera il principio di corrispettività per cui il privato è tenuto ad una prestazione senza ricevere nulla in cambio. Le entrate di questo tipo sono solitamente due:

    1. Quelle penali che hanno lo scopo(causa legis) di punire il soggetto per un suo comportamento e quindi evitare che lo reiteri;

    2. Quelle tributarie che hanno il diverso scopo di creare una entrata patrimoniale per espletare le attività necessarie al soddisfacimento degli interessi pubblici.

    Tasse, imposte, monopoli fiscali e contributi: analogie e differenze. Di seguito verrà spiegata la differenza fra questi 4 concetti per il tramite di una tabella:

    Imposte Tasse Monopoli Contributi Fonte di legittimazione

    Sovranità Sovranità Negozio Si pensa non siano una categoria autonoma ma siano sussumibili sotto quella di tasse o imposte.

    Causa legis Procacciare una entrata

    Procacciare una entrata

    Procacciare una entrata

    Titolo giustificativo limite all’arbitrio del legislatore

    Capacità contributiva(Art. 53)

    Espletamento di una attività

    Capacità contributiva.

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    Appuntiamo qui che la distinzione fra tasse e imposte è stata per lungo tempo influenzata dalla definizione data dalla scienza delle finanze secondo cui le imposte corrisponderebbero ad un tributo per servizi indivisibili, mentre le tasse per quelli divisibili. Le imposte si basano sul concetto di contribuzione, le tasse su quello di corrispettivo.

    Vedendo meglio alcune definizioni:

    Imposta la prestazione che lo stato od altri enti pubblici sono in grado di imporre in forza della loro sovranità, per procurarsi una entrata e giustificata costituzionalmente dalla capacità contributiva del soggetto.

    Monopolio fiscale Situazione di monopolio cui lo stato assoggetta determinati beni, non con lo scopo di renderlo fruibile a tutti, ma solo con quello di procurarsi un’entrata. Anche questi si giustificano sotto il profilo della capacità contributiva ma non trovano la loro fonte di legittimazione nella sovranità, quanto in un negozio. Di per se l’Art. 41 primo comma legittima solo i monopoli di diritto e non anche quelli fiscali perché non preordinati a rendere maggiormente fruibile un determinato bene. Quindi sebbene il loro carattere precario si pensa che possano essere ammessi solo ove giustificati dal bisogno di regolamentare una determinata attività.

    Tassa obbligazione ex lege che lo stato è capace di imporre in virtù della sua sovranità e che è percepita in seguito all’espletamento di una attività concernente il soggetto obbligato al pagamento, anche se da questo non richiesta o non voluta. La natura commutativa della tassa non viene meno nemmeno nell’ambito dell’esercizio di pubbliche funzioni in cui la prestazione dal soggetto non sia ne richiesta ne vantaggiosa, basta che vi sia uno scambio di utilità(che manca in maniera specifica nelle imposte). Infine nei servizi pubblici(che si differenziano dall’ambito visto sopra per la mancanza di autoritatività).

    Contributi In realtà non dovrebbero essere definiti quali una categoria autonoma ma essere considerati una tassa ovvero un’imposta a seconda che prevalga la natura contributiva o corrispettiva.

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    Analisi degli articoli della Costituzione in materia tributaria. Il tributo è la massima espressione della potestà d’imperio dell’ente pubblico. Questa può essere originaria, come nel caso dei tributi erariali, oppure derivata, come quella attribuita agli enti locali e della regione(Es. Irap).

    La materia tributaria è una competenza concorrente condivisa fra stato e regioni. La premessa è necessaria perché se il tributo è manifestazione della potestà d’ imperio, se non vi fosse una disciplina costituzionale saremo soggetti all’arbitrio del potere pubblico.

    I limiti che troviamo in costituzione possono essere divisi in due filoni:

    Limiti formali; Limiti sostanziali.

    Art. 23 Art. 23 : Nessuna prestazione personale e patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.

    Concetti più importanti:

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    “prestazione patrimoniale” tributi desumiamo dallo statuto albertino

    “in base alla legge” riserva di legge relativa non più diritto all’auto-imposizione (come nello stato assoluto e con i primi parlamenti) ma rafforzamento del principio di legalità per cui il potere esecutivo deve trovare non solo una base, ma anche un limite nella legge.

    In passato vi era una tesi che affermava che tale articolo si riferisse solo alle imposizioni coattive, ovvero quelle a cui non corrispondesse una utilità o un vantaggio per il soggetto passivo. Questa tesi non è da accogliere anche alla luce dell’Art. 30 dello Statuto albertino da cui deriva.

    Infatti, questo principio di riserva di legge relativa trova un suo antecedente storico nello statuto albertino che però risentiva ancora della situazione ottocentesca. Qui si prevedeva che nessun tributo potesse essere riscosso se non previsto dalle camere e sanzionato dal re. Si aveva il principio del consenso che era stato imposto con la rivoluzione francese in cui troviamo una limitazione del potere assoluto. Con questo si intendeva che il potere di imperio era ancora del re, soltanto che non lo poteva esercitare se non aveva il consenso delle camere. Al parlamento quindi non era data una capacità propositiva, ma aveva solo il potere di dichiararsi d’accordo o di bloccare tale potestà.

    Tale principio è superato nella nostra costituzione. Questo, prima di tutto per rispettare le libertà individuali, ma anche per cercare di incentrare sul parlamento e coinvolgere l’intera collettività nazionale attraverso i propri rappresentanti nel più classico spirito democratico che pervade la nostra costituzione.

    Facciamo anche un piccolo confronto con l’Art. 25 dove vediamo che in materia penale vige una riserva assoluta di legge e sempre all’Art. 23 dobbiamo riferirci per prendere in considerazioni le norme penali in materia tributaria.

    Vediamo gli elementi essenziali del tributo(si definiscono essenziali perché solo una

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    norma primaria può disciplinarli):

    1. Soggetto passivo il soggetto, persona fisica o giuridica, che viene chiamato dalla legge al pagamento di un determinato tributo al verificarsi di un determinato fatto economico.

    2. Presupposto il fatto economico al manifestarsi del quale il soggetto è tenuto al pagamento del tributo. Questi possono essere Diretti(rilevanti nel reddito e nel patrimonio) o Indiretti(Consumo, trasferimento di ricchezza, produzione).

    3. Base imponibile quella quantità di ricchezza che viene assoggettata ad imposizione, garantendo di non assoggettare ad imposta quella quantità di ricchezza minimale che dovrebbe servire per il sostentamento elementale del cittadino.

    4. Aliquota esso è l’ammontare da versare allo stato. Questa invece può essere devoluta ad una fonde secondaria, sebbene debbano essere definiti prima i criteri e le limitazioni entro cui questa può essere definito dalla fonte stessa. Questi criteri variano a seconda del tipo di tributo(uniche, progressive..). Infine nelle imposte non si utilizza l’aliquota quanto più i tassi o le tariffe.

    Analizziamo ora l’articolo. Vediamo che con “in base alla legge” si intende che ogni atto aventi forza di legge è sufficiente per imporre un tributo. Importante qui è lo Statuto dei Diritti del Contribuente. Esso è una legge di principio. Esso stabilisce subito che questo statuto non può mai essere abrogato implicitamente. Non è che questi principi sono insuperabili, ma è necessario una deroga espressa(Art. 1). Continua imponendo il divieto dell’uso del decreto legge per imporre nuovi tributi(Art. 4).

    All’interno di tale legge sono elencati anche il principio dell’affidamento e quello della partecipazione con l’ente pubblico. Troviamo pure quello della chiarezza delle norme dell’amministrazione tributaria, specialmente nei rapporti con i contribuenti. Ultimo principio importante è l’istituzionalizzazione del Diritto di Interpello, ovvero il contribuente prima di pagare le imposte, ha diritto di rivolgersi all’amministrazione nel caso in cui vi sia un caso dubbio, proponendo tale dubbio,

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    proponendo la possibile soluzione e l’amministrazione ha l’obbligo di rispondere nel termine di 90 giorni. Il parere emesso diviene poi vincolante. Altra cosa importante è che qui è previsto il principio del silenzio-assenso.

    Dobbiamo anche ricordare come altre fonti quelle comunitarie e internazionali che riguardano la materia tributaria. Vari esempi li possiamo trovare considerando non solo i regolamenti comunitari ma anche le direttive come ad esempio quelle in materia di IVA. Come fonti internazionali troviamo ad esempio i trattati contro le doppie imposizioni. Qui si può verificare un contrasto fra vari ordinamenti in cui ognuno cerca di attrarre a se il pagamento delle imposte.

    Altre fonti sono infine quelle secondarie. Qui troviamo i regolamenti attuativi e quelli integrativi.

    Art. 53 e suoi corollari. Comma 1 :“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”

    Comma 2: “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”

    Altro Articolo importantissimo è l’Art. 53 della nostra Costituzione. Ovviamente questo come i principi prima enunciati non esauriscono la materia delle fonti dell’ordinamento tributario.

    Altra cosa importante è che molti tributi sono paracommutativi ovvero si applicano dove vi è uno scambio di attività. Questi sono richiesti contro l’espletamento di servizi essenziali. Occorre infatti che la fissazione della tariffa sia quindi devoluta ad un organo che abbia i requisiti previsti ex lege per poter individuare la tariffa per garantire che si raggiunga almeno quella percentuale copertura dei costi.

    Tornando all’Art. 53 vediamo che il discorso muta radicalmente. Questa è l’unica disposizione che si occupa solo ed esclusivamente del fenomeno tributario. Questo è composto da due commi, nei quali, il primo ci è già noto (tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva), il

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    secondo stabilisce invece che il sistema tributario italiano è improntato a criteri di progressività.

    Lo statuto albertino conteneva una norma che all’apparenza sembrerebbe simile. In realtà vediamo che la diversità inizia sui soggetti. Lo statuto albertino si riferisce ai “regnicoli”, mentre la Costituzione si riferiste a “tutti”. Ma quello che è più interessante è che il criterio di riparto del concorso alle pubbliche spese è regolato diversamente. Lo statuto parla della proporzione con i loro averi. L’Art. 53 fa invece riferimento alla capacità contributiva.

    In questo modo si utilizza una clausola aperta perché non si fa altro che lasciare nelle mani del legislatore ordinario trovare il nesso fra il soggetto e quanto dovrà versare alle casse dello stato. Uno di questi nessi è la residenza superando il principio di cittadinanza previsto nel concetto di “regnicoli”. Altri nessi possono essere di tipo oggettivo. Fra questi due principi vi è poi una differenza infatti:

    Al residente la tassazione viene imposta su qualsiasi cosa produca e dovunque.

    Ai non residenti solo se producono redditi in Italia e solo in base a tale principio.

    Con riguardo alla seconda differenza, essa è importante perché il riferimento alla capacità contributiva crea un limite per il legislatore ordinario. Tale limite consiste nell’obbligo di individuare un criterio di riparto.

    Sorgono però i problemi nello stabilire cosa si intenda per capacità contributiva. Molte teorie tutte da autorevoli dottrine si sono alternate finché quella più seguita fu quella che vedeva nell’Art. 53 una proiezione dell’Art. 3 per cui nella scelta dei carichi pubblici, il legislatore deve essere guidato da un criterio di ragionevolezza e quindi non debba ripartire i carichi in modo tale che a situazioni uguali non corrispondono regimi diversi e viceversa. Quindi l’Art. 53 non è altro che una norma che mira a ribadire quel principio di uguaglianza, formale e sostanziale, contenuto nell’Art. 3 Costituzione. Questa teoria viene però fortemente criticata perché non si poteva ridurre il principio di capacità contributiva a quello di ragionevolezza e farne

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    un inutile doppione dell’Art. 3. Per questo la dottrina cercò di dare un contenuto positivo a questo principio finché non si giunse a definirlo come un criterio economico ovvero valutabile economicamente. Questo ci da la concezione storicamente contingente del principio di capacità contributiva. La chiamata alla concorsualità fiscale è storicamente contingente che si realizzi attraverso il pagamento di somme di denaro.

    Quindi la capacità contributiva è quella forza economica astrattamente idonea a consentire al soggetto di far fronte all’adempimento dell’obbligazione impostagli. Questo principio è stato rivalutato nel momento in cui fu introdotto l’ICI. Anche l’IRAP ha messo i crisi il principio di capacità contributiva.

    Si è così rivalorizzata una tesi antica. La Corte ha infatti detto che capacità contributiva deve essere inteso come un criterio di ragionevolezza nella ripartizione dei carichi sui consociati e che l’introduzione dell’Art. 53 dipende dal fatto che questo criterio di ragionevolezza deve essere improntato alla scelta di criteri di diversificazione dei carichi pubblici sui consociati che siano economicamente valutabili. Gli indici di riparto devono quindi essere di ragionevole diversificazione legato al diverso potere economico che il privato manifesta.

    Da queste riflessioni sono sorti anche moltissimi corollari del principio di capacità contributiva.

    Il primo è il presupposto che fa sorgere tale principio. È necessario che questi facciano sorgere direttamente o indirettamente la possibilità che vi sia una certa forza economica. Per chiarire meglio il concetto possiamo considerare la vecchia imposta sui celebi. Deve infatti comprendersi se l’essere celibi ha o meno una valenza economica e quale questa sia.

    Altri principi sono quelli di attualità ed effettività della capacità contributiva.

    Attualità Secondo il primo il legislatore deve assoggettare una forza economica che temporalmente si manifesti in un lasso di tempo tendenzialmente coincidente con quello in cui risulta assoggettato al prelievo. Discendono quindi due commi:

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    1. Il legislatore non può anticipare il prelievo rispetto alla manifestazione di forza economica che intende colpire. Questo principio ha alcune deroghe però solo ove il lasso temporale sia ragionevole.

    2. Retroattività delle norme tributarie. Il principio di attualità implica una tendenziale limitazione al legislatore tributario nell’introdurre norme impositive retroattive, cioè volte ad assoggettare ad imposizione ora fatti già verificatesi nel passato. Questo principio di irretroattività è un principio solo tendenziale. Non esiste un divieto di norma retroattiva in generale nell’ambito tributario. L’Art. 3 dello statuto dei Diritti del Contribuente sembra introdurre tale divieto ma in realtà è solo apparente. La norma, infatti, è come se enunciasse un semplice principio generale che è però derogabile dal legislatore. La retroattività è pure preferita dal legislatore così che la collettività non possa più porre in essere comportamenti tendenti ad evitare di pagare quel tributo. La Corte Costituzionale ha quindi posto un limite alla retroattività imponendo che la norma può spiegare i suoi effetti in maniera retroattiva a patto che il fatto non si collochi in un tempo talmente remoto nel passato da rendere irragionevole ritenere che il soggetto manifesti ancora la capacità contributiva che quel fatto manifestava nel passato. Quindi la norma può essere retroattiva solo se il soggetto ha ancora la forza contributiva sul quale il tributo voleva basarsi. Infine, la retroattività è come se fosse un semplice canone interpretativo.

    Effettività Nella descrizione del presupposto e della base imponibile il legislatore incontra il limite di non poter ricorrere a presunzioni assolute. Questo perché il discorso sulle presunzioni è basato su canoni probabilistici.

    Questo grazie al principio di effettività che preclude quindi il ricorso alla tecnica della presunzione assoluta.

    Il legislatore tributario deve disciplinare le tecniche di imposizione della base imponibile in modo da rendere tali tecniche il più aderente possibile alle realtà

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    disciplinata. Questo esclude tecniche di forfettazione o tecniche di medietà o ordinarietà. In realtà tali tecniche sono molto diffuse in materia tributaria. Questo avviene però sull’intera base imponibile o su criteri positivi o negativi che concorrono a realizzare tale base imponibile.

    Per la corte si rispetta il principio di effettività, tutte le volte in cui il legislatore tributario introduce regimi forfettari di determinazione della base imponibile, ma questi regimi sono opzionali quindi sono regimi cui il contribuente può accedere su sua determinazione volitiva, oppure, rispetto a cui si può sottrarre sempre per sua determinazione volitiva. Un esempio è l’Art. 145 del TUIR il quale da la possibilità al singolo ente di decidere se gli conviene optare per un determinato regime.

    Misure forfettarie o medio-ordinarie sono possibili, secondo la Corte, quando il ricorrere alla strada analitica sarebbe eccessivamente difficoltosa e gravosa per la complessità dei dati da elaborare.

    Limite del minimo vitale. Proprio il fatto che la capacità contributiva è un concetto che rappresenta l’attitudine del consociato a concorrere alle pubbliche spese, per definizione non è da sottoporre a contribuzione quella pare di reddito che ha lo scopo di coprire le esigenze vitali della persona. Il limite vitale è quindi la ricchezza destinata a coprire gli oneri che il soggetto ha per la conduzione della propria vita in modo che le sia garantita l’esplicazione delle libertà fondamentali. La ricchezza utilizzata per i bisogni e le libertà fondamentali della persona.

    Tale tutela è difficile da attuarsi nel sistema tributario. Questa definizione non è infatti soddisfacente essendo il concetto di limite vitale un concetto relativo. In concreto però dobbiamo notare che il minimo vitale più volte si presenta sotto forma di varie cause di detrazioni(Art. 10, Art. 12 TUIR).

    La corte costituzionale dichiara incostituzionale il principio del cumulo tributario perché non conteneva una scissione soggettiva fra soggetto di imposizione e soggetto che crea il presupposto per l’assoggettamento al pagamento. Il marito non aveva l’imputabilità dei redditi della moglie però doveva pagare lo stesso le imposte.

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    Si dichiaro che quindi nel rapporto di connubio i coniugi avevano una loro individualità soggettiva.

    Art. 53 Costituzione comma II Tale articolo sancisce il principio di progressività. I profili che interessa sono quello della sua efficacia e della sua effettività.

    Vediamo come l’effettività del II comma si scontra con la sua applicabilità in concreto. Intanto ricordiamo che per progressività si intende che la tassazione deve discriminarsi quantitativamente, per cui, all’aumentare della base imponibile, aumenta il sacrificio richiesto secondo un rapporto di più che proporzionalità.

    Il problema sta nel fatto che non è concepibile una norma che condensi il “sistema tributario” per cui sarà difficile sollevare ricorso di incostituzionalità. Questo misura il carattere programmatico della norma, proprio perché la corte Costituzionale non potrà verificarne la validità essendo difficile riscontrare in una sola norma il concetto di “sistema tributario”.

    Quindi vi è l’esigenza di verificare se il legislatore ha dato esecuzione a questa norma. La risposta è fra si e no. Il sistema ha cercato di orientarsi verso l’istituzione di norme progressive ma non sembra essere attuato in pieno perché le imposte progressive nel nostro sistema sono numericamente poche. Una volta erano solo 3(successioni, irpef e quella sull’aumento di valore degli immobili). Ad oggi questo panorama è ancora più ristretto. Solo l’Irpef rimane. Questa è una imposta progressiva a scaglioni, per cui all’aumentare della base imponibile, aumenta l’aliquota, per cui ogni settore è diviso in settori di riferimento.

    L’uso degli scaglioni è dovuto a evitare di non comprimere la volontà di produrre redditi.

    La progressività di questa imposta sta portando al fenomeno della progressiva erosione della B.I.. Cioè di redditi soggetti sono inferiori a quelli che astrattamente sarebbero suscettibili di essere colpiti. Vi sono dei redditi che scontano delle imposte così dette sostitutive dell’irpef di tipo proporzionale.

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    Il sistema delle fonti.

    La norma tributaria. Dove posizioniamo del sistema delle fonti la norma tributaria? Le norme tributarie (ex Art. 23 Costituzione) sono norme di rango legislativo. Questo implica la possibilità che la normativa tributaria sia introdotta anche con decreto legislativo e decreto legge. Per quest’ultimo caso, esso dipende dal fatto che vi è l’esigenza di conservare l’effetto sorpresa collegato con la frequente retroattività delle norme tributarie. Lo scopo è di evitare che il soggetto attui un comportamento mirato ad evitare di non pagare il tributo.

    All’Art. 4 della legge 212 del 2012 si regola l’utilizzo del decreto legge in maniera tributaria. Si dispone che con D.L. non di introducano nuovi tributi ne si può estendere l’area soggettiva di quelli esistenti.

    Altro strumento usato frequentemente è il decreto legislativo. Qui la ratio che porta all’utilizzo di questo strumento è diversa. Il motivo sta nel fatto che, rispetto alla legge ordinaria, permette una maggiore ponderazione e tecnicità del contenuto.

    Accanto a questi due strumenti troviamo anche quello dei Testi Unici. In realtà però, sotto tale dizione vi è un D.P.R. Essi sono comunque caratterizzati dal fatto che sono forme di consolidazione che si contrappone alla codificazione. Il migliore esempio in questo campo è il Testo Unico dell’Imposta sui Redditi. La sua storia risale al 1971 quando troviamo il varo della riforma tributaria che viene prevista dalla legge 825/71. Con tale legge delega si dettano i criteri di riforma di tutto il sistema tributario. Questa legge ha ancora delle propaggini perché molte norme che noi abbiamo nel nostro codice, trovano fondamento in questa legge.

    Prima del 71 vi erano tre imposte dirette: quella sulla società, quella fondiaria e quella sulla mobilità della ricchezza. Queste vengono eliminate e sostituite con l’Irpef, l’Irpeg e l’Ilor. Ora, il TUIR non è che la riorganizzazione delle norme che nel 1973 furono emanate per disciplinare queste tre imposte.

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    Interpretazione delle norme tributarie: problematiche.

    Applicabilità nel tempo Anche le norme tributarie sono assoggettate all’Art. 11 preleggi, ovvero la non retroattività come default. La retroattività può essere prevista espressamente ma, come già abbiamo visto, la Corte Costituzionale ha messo dei paletti al legislatore.

    Discorso particolarmente diverso vale per le norme procedurali. Queste sono soggette alla disciplina delle altre norme. Esse sono applicabili solo a partire dalla loro entrata in vigore. Questo significa che gli atti di natura procedurale, posti in essere dall’amministrazione del contribuente sono soggette al principio del tempus regit actum. È importante considerare le norme procedurali perché a volte vanno ad incidere su delle aspettative del contribuente.

    Le norme procedurali non hanno valore retroattivo perché si riferiscono ad un esercizio del potere attuale.

    Il legislatore tende ad evitare che normative che modificano attività procedurali, possano spiazzare il contribuente, regolandone quindi l’applicazione.

    Applicabilità nello spazio Il discorso diventa più complicato quando si ha riguardo all’efficacia spaziale delle norme. Questo si diceva coincidente con l’ambito spaziale della sovranità.

    È necessario che vi sia un nesso di collegamento allo stato italiano, tale da poter far ritenere quella fattispecie assoggettabile alla potestà dello stato italiano che si esercita proprio sul suo territorio.

    Questo principio è importante affinché possa anche sussistere la possibilità di pretendere il tributo coattivamente. È quindi necessario verificare i nessi di collegamento con il territorio dello stato italiano perché questa fattispecie possa essere rilevante per il nostro ordinamento.

    I nessi possono essere di due tipi: Soggettivo od oggettivo.

    Oggettivo la fattispecie si realizza nello stato italiano. Es Iva, la quale si riferisce ad esercizi che vengono intrapresi “nel territorio dello stato italiano”.

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    Soggettivo è richiesto un radicamento con il territorio dello stato italiano. Se c’è un nesso soggettivo, quello oggettivo diventa irrilevante. Quindi per i soggetti residenti nel territorio dello stato, l’imposta si applica con riguardo ai redditi ovunque siano stati prodotti. Se il nesso soggettivo manca, riemerge il criterio oggettivo, per cui i soggetti non residenti, subiscono il prelievo solo per i redditi che hanno un nesso di collegamento con lo stato italiano.

    [domanda d’esame] come stabilire se un reddito è prodotto in Italia oppure no? Es un inglese che viene in Italia ed eroga una prestazione professionale sul territorio dello stato italiano, ma viene pagato da un soggetto non residente. Qui il radicamento sarebbe dato dal fatto che la negoziazione è avvenuta in Italia.

    Il legislatore ci da una mano, con una norma che è l’Art. 23 del TUIR che ci da un elenco e delle indicazioni per stabilire quando un reddito è prodotto in Italia oppure no.

    Problema della doppia imposizione. Qui sorge il problema della doppia imposizione. Premessa: tutti gli ordinamenti tendono ad utilizzare grosso modo gli stessi criteri. Questo porta nella convergenza di operatività dei vari ordinamenti al fenomeno della doppia imposizione soggettiva internazionale. Ciò vuol dire che: tutte le volte che un soggetto pone in essere un comportamento per cui radicamento soggettivo ed oggettivo sono diverse, si ha una fattispecie impositiva transnazionale. Si genera un concorso di pretese impositive. Si pone il problema degli strumenti per contrastare la doppia imposizione. Di solito questi sono degli accordi, dei trattati o delle convenzioni, dove in genere si disciplina il riparto delle pretese impositive fra stato della fonte e stato della residenza.

    Non mancano nel nostro sistema istituti volti ad evitare la doppia imposizione anche in mancanza di una specifica convenzione contro la doppia imposizione. Questi strumenti sono di due tipi e riguardano lo stato a seconda che questo sia uno stato della fonte o una stato della residenza. In genere, lo strumento più diffuso è quello contemplato dai singoli ordinamenti come stato di residenza. Lo stato italiano si comporta come stato della residenza, e si preoccupa dei residenti italiani che abbiano potuto subire una doppia imposizione nello stato della fonte. Questo istituto è disciplinano dall’Art. 165 del TUIR ed è il credito di imposta per imposte

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    pagate all’estero. Funziona nel senso che riconosce un credito di imposta pari all’imposta che avresti pagato in Italia, se il reddito lo avessi prodotto in Italia.

    In casi molto rari, lo stato può evitare la doppia imposizione comportandosi come stato della fonte. Qui però la soluzione è obbligata. Lo stato come stato della fonte, può evitare la doppia imposizione rinunciando alla sua pretesa impositiva in via unilaterale. È quanto accade in un caso che è previsto dall’Art. 23 del TUIR alla lettera b, ovvero gli interessi che derivano da depositi e conti correnti postali o bancari per i soggetti non residenti.

    Ripresa tema dell’interpretazione. Primo soggetto di questa attività è la Corte di Cassazione. Essa ha al suo interno una sezione tributaria. Questa può porre un vincolo di interpretazione sebbene questo non esista giuridicamente.

    Anche la corte Costituzionale è un organo molto attivo e importante in questo processo, dato che, in caso di dubbio fra due interpretazioni dovrà essere preferita quella congrua ai principi costituzionali(criterio dell’interpretazione adeguatrice).

    Altro soggetto è la dottrina. Questa non ha tanta forza quanto quella della Cassazione. Questa ha comunque una sua efficacia.

    Particolare soggetto è invece l’amministrazione finanziaria. Questa esercita una costante ed importante attività interpretativa attraverso le circolari interpretative.

    Infine anche il legislatore può farsi interprete. Stiamo parlando delle leggi di interpretazione autentica.

    Questo può portare il problema della retroattività della norma tributaria. Il fatto è che la norma tributaria può essere retroattiva ma a cere condizioni. Infatti in base all’Art. 53 deve esservi una capacità contributiva ancora esistente.

    Una norma può dirsi interpretativa ove scelga uno dei possibili significati che potevano essere dati a quella norma. Per questo molti studiosi dicono che non vi è una retroattività perché non vi è una regola nuova introdotta, in quanto tale regola già esisteva nell’ordinamento. Ovviamente bisogna evitare che il legislatore mascheri una norma come interpretativa una norma innovativa, ovvero quando non

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    si sceglie un significato già esistente così da evitare i problemi portati dall’Art. 53.

    Analogia Per quanto riguarda i criteri di interpretazione ci si chiede se il criterio analogico possa essere utilizzato. Secondo alcuni l’analogia non è ammessa. Si dice infatti che dal 14 delle preleggi non si possa usare per le leggi eccezionali.

    Il secondo argomento è quello che afferma che le norme tributarie sono norme complete per cui tutto quello che sta fuori è fonte di una scelta del legislatore che ha deciso di non disciplinarla. Non vi è un vuoto nell’ordinamento che è il presupposto di applicazione dell’analogia.

    Ancora si dice che tale divieto si deduca dall’Art. 23, perché in questo caso si imporrebbero prestazioni personali e patrimoniali non in base alla legge ma attraverso una attività interpretativa.

    Circolari interpretative. Qui il soggetto è l’amministrazione finanziaria che emana delle circolari con le quali interpreta delle norme tributarie. Ma il problema sta nel definire che valore hanno queste circolari per i soggetti del diritto(contribuente, giudice, )

    Vediamo i soggetti che sono vincolati: L’amministrazione non giuridicamente perché comunque potrà sempre tornare sui suoi passi. Però degli effetti giuridici si producono in base allo Statuto ove si dice che il contribuente non può ricevere multe o more per aver seguito le indicazioni dell’amministrazione.

    Per riassumere vi sono quattro casi in cui una circolare può avere efficacia esterna:

    1. Art. 10 comma 2, quando non può essere irrogata sanzione al soggetto che si sia conformato ad una indicazione dell’amministrazione.

    2. Art. 10 comma 3, in cui la circolare crei una condizione obiettiva di incertezza 3. Art. 5. Obbligo di portare il contribuente a conoscenza di circolari e altri atti; 4. Art. 11 in cui le circolari possono essere utilizzate per rispondere a istanze

    collettive di interpello.

    Obbiettive condizioni di incertezza. Altro principio è quello delle obbiettive condizioni di incertezza. Il legislatore ha

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    detto che ove vi sia una norma che possieda queste o.c.d.i. non sono irrogabili sanzioni amministrative.

    Gli strumenti per far fronte a questa condizione sono:

    1. Norme interpretative (Rilevanza della prassi o circolari interpretative); 2. Strumenti di tutela ex post normative sulla non punibilità. 3. Strumenti di tutela ex ante interpello di cui all’Art. 11 della legge 212 del

    2000

    Interpello(art 11 statuto del contribuente). La disciplina di questo istituto ha come elemento particolare il fatto che si differenziano dalle previgenti risoluzioni ministeriali, le quali venivano emanate dagli uffici finanziari in fronte a richieste specifiche di contribuenti ma ricoprivano il ruolo di semplici pareri che l’agenzia delle entrate dava al contribuente circa specifici quesiti che le venivano inoltrati.

    NeI caso dell’interpello il contribuente espone la fattispecie e partecipa all’amministrazione circa l’interpretazione corretta della norma. L’amministrazione finanziaria deve rispondere entro 120 giorni.

    L’amministrazione è vincolata nella risposta data. Una volta data la risposta l’ufficio è vincolato alla risposta resa. Gli unici limiti sono:

    1. Che la risposta vincola gli uffici senza alterare il quadro normativo di riferimento.

    2. La risposta vincola gli uffici in base alla fattispecie prospettata dal contribuente. Questo vuol dire che il contribuente deve tenere precisamente la condotta espressa dall’interpello. Se questa poi diverge, ovviamente l’interpello non vincola più. Questo caso è importante perché a volte il contribuente racconta parte della verità.

    Importante conseguenza è che nel caso in cui l’amministrazione non risponde nel termine di 120 giorni si forma il silenzio-assenso con riguardo alla versione data dal contribuente.

    In ogni caso sono nulle le sanzioni irrogate contrariamente al parere dato

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    dall’amministrazione o a quello lasciato pendente in caso di silenzio assenso sempre con i due limiti visti sopra.

    Annullamento d’ufficio: cenni. Sono in epoca recente è stato riconosciuto il potere di annullamento d’ufficio dei propri atti come esplicazione di un potere di autotutela. Esso si differenzia però dal medesimo potere riconosciuto all’amministrazione in generale dalla legge 241 del 90 perché:

    Non è un potere discrezionale, ma bensì vincolato; Non è necessario un interesse ulteriore da quello alla mera legittimità deli atti

    per essere esercitato.

    Da ciò segue che difficilmente potranno configurarsi soggetti contro interessati, avendo il potere di annullamento sempre effetti sfavorevoli all’amministrazione e favorevoli al soggetto. Questo assunto è stato infatti l’ostacolo che da sempre si frapponeva fra l’esercizio di questo potere, dato che esso comporterebbe sempre una diminuzione patrimoniale della stessa.

    Elusione fiscale(applicazione analogica delle norme tributarie) Il problema da cui dobbiamo prendere le mosse è l’individuazione degli ambiti di operatività dell’analogia in materia tributaria. Questo è un problema che non è corretto porre in termini assoluti ma va circostanziato perché le norme tributarie sono norme di vario tipo(sostanziali, procedurali, processuali, sanzionatorie).

    Il problema dello spazio di operatività dell’analogia cambia a seconda della tipologia di norme con cui noi ci troviamo a che fare. Ci sono settori normativi rispetto ai quali, problemi di applicazione analogica non si pongono. È il caso delle norme sanzionatorie. Qui sono le stesse disposizioni costituzionali che ci convincono del fatto che le norme sanzionatorie non possono mai essere applicate tramite analogia(Art. 25 Costituzione). Il problema si era posto in passato quando si sosteneva che le sanzioni amministrative non avessero valenza punitiva quanto risarcitoria.

    Nessun problema con riguardo all’applicazione analogica sussiste per le norme procedurali e processuali. Al massimo risposta negativa potrebbe essere data

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    nell’assunto che l’applicazione non avverrebbe perché analogicamente non si verrebbero ad applicare norme del diritto tributario ma norme di altri ordinamenti(come quello amministrativo) proprio con lo scopo di colmare le lacune che potrebbero manifestarsi nell’ordinamento tributario stesso. Nell’ambito delle norme procedurali e procedimentali, molti dei profili sono colmati in via analogica ricorrendo alla legge generale sul procedimento amministrativo ove questa normativa non sia espressamente impedita nella sua applicazione in ambito tributario(es la disciplina sull’accesso ai documenti.

    Alcune norme del procedimento amministrativo possono essere applicate in materia tributaria. E nel settore amministrativo può essere utilizzata l’analogia. È come se l’ambito tributario sia una sottocategoria-speciale di quello amministrativo.

    Nel settore delle norme sostanziali abbiamo invece qualche problema di vedute. In questo settore infatti il ricorso alla analogia è stato risolto in maniera più variegata dalla dottrina che dalla giurisprudenza(la quale dice no fermamente alle norme impositive).

    In dottrina si segue la teoria di Giannini la quale afferma che le norme tributarie sono insuscettibili di applicazione analogica. Questa oggi è ancora valida non in forma assoluta ma a determinate condizioni ovvero che le norme tributarie abbiano una conformazione particolare da risultare inidonee, essendo tali norme a fattispecie esclusiva, cioè sono norme che descrivono la fattispecie cui trovano applicazione, in modo talmente circonstanziato che mai esiste un caso simile cui quelle norme sarebbero suscettibili di essere estese in via analogica.

    Purtroppo molte norme tributarie hanno una dizione molto generica per cui non si può applicare tale teoria.

    Altra teoria si basa sul principio della riserva di legge(Art. 23 Costituzione). Tale principio può essere letto in positivo anche in ottica di valorizzazione delle sue origini storiche come un principio generale di intangibilità della sfera patrimoniale dei singoli. Questa non può essere aggredita in via di principio salvo che non lo preveda espressamente una disposizione di legge.

    L’Art. 23 è definita una norma valvola. Essa è una norma di detassazione per cui

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    tutto ciò che non è previsto come tassabile da una precisa norma impositiva non è assoggettabile. Da ciò si deduce che non esiste mai una lacuna, per cui nel sistema tributario non può applicarsi l’analogia.

    Elusione L’elusione è quindi cosa diversa dall’evasione. Quest’ultimo si ha quando un soggetto integra gli estremi di una fattispecie e non adempie alle obbligazioni tributarie conseguenti.

    L’elusione invece si differenzia perché gioca sul discorso dell’analogia, ovvero sulla non applicazione analogica delle norme impositive. Con questo comportamento si tende ad aggirare l’applicazione della norma, usando quelle che sono le variegati possibilità negoziali che l’ordinamento mette a disposizione del contribuente per ottenere un certo obbiettivo.

    Per questo sono previste norme surrogatorie che tendono ad evitare questo fenomeno. Però questo principio è perdente perché quando il comportamento elusivo viene colpito da queste norme il contribuente non lo pone più in essere e sceglie un altro fenomeno elusivo.

    Per questo si capì che questo fenomeno, detto elefantiasi del diritto, era poco efficace perché si riempiva il testo unico di tantissime norme impositive per lo più nemmeno effettive, perché il contribuente non poneva più in essere quel comportamento.

    Agli inizi degli anni novanta si capisce che il contrasto ai fenomeni elusivi deve passare attraverso uno strumento generale di contrasto all’elusione. Questo è l’attuale Art. 37-bis che inizialmente, per imprecisioni linguistiche, non venne completamente applicata finché non prese le vestigie attuali.

    Art. 37-bis DPR n° 600 del 1973. Esso si divide in due macro-aree. Da una parte una disciplina sostanziale che individua la fattispecie impositiva. L’altra è di tipo attuativo-applicativo, che cioè si occupa di disciplinare le modalità che l’amministrazione è legittimata ad utilizzare e quindi gli effetti che si verificano al verificarsi della fattispecie.

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    La norma al primo comma dice che sono elusive quelle operazioni che si traducono in atti, fatti o negozi, anche collegati fra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario o a ottenere rimborsi o addebiti altrimenti non dovuti.

    Le condizioni sono due:

    1. Operazioni dirette al conseguimento di vantaggi indebiti o aggiramento di divieti;

    2. Non essere supportata da altre valide ragioni economiche.

    Al comma due si diche che la P.A. disconosce tali negozi, applicando le imposte determinate dalla norma elusa al netto delle imposte eventualmente già pagate.

    Quindi la normativa diventa inopponibile ovvero si è comunque assoggettati alle norme che si voleva eludere.

    Essa è una norma surrogatoria generale. Essa però pone qualche problema con l’Art. 23 della Costituzione che impone la tassatività delle norme tributarie.

    Il terzo comma della stessa legge però limita i primi due commi. Si arriva ad una soluzione di compromesso che però non ha risolto il problema. L’elenco stesso di questo comma non fa che allungarsi.

    Comma 4: Questo articolo così impone agli uffici finanziari di inoltrare al contribuente una richiesta di chiarimenti cui il contribuente può rispondere nei 60 giorni da ricevimento della richiesta. L’adempimento di questa formalità è sancito a pena di nullità nel successivo avviso di accertamento. L’ufficio è tenuto quindi a questo adempimento formale, pena la nullità dell’intero procedimento.

    Comma 5 : L’amministrazione finanziaria non può risolvere la cosa in modo banale ma deve ovviamente motivare le ragioni per cui ha ritenuto che le argomentazioni difensive del contribuente non fossero convincenti e che quindi il sospetto non è stato vanificato dalle argomentazioni difensive del contribuente stesso.

    Altro profilo di garanzia del contribuente attiene al profilo sanzionatorio per cui le sanzioni erogate sono parzialmente riscuotibili solo dopo che è intervenuto il primo

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    pronunciamento giudiziario.

    Il 37-bis è stato visto come molto a favore del contribuente. Per questo motivo si inizia ad espanderne l’applicabilità.

    La corte così nel 2006 nella famosa sentenza Alifax applica in materia tributaria il principio del divieto di abuso del diritto, principio già famoso a livello comunitario.

    Ove il diritto venga utilizzato per fini diversi e contrastanti rispetto agli obbiettivi per cui è stato riconosciuto, ricorrono gli estremi dell’abuso del diritto, per cui è legittimo disconoscere i vantaggi fiscali per effetto di tale utilizzi distorti.

    Tale principio di abuso del diritto è stato riconosciuto come principio Costituzionale desumibile dall’Art. 53 Costituzione

    Obbligazione impositiva e Obbligazioni tributarie. Il rapporto di imposta è dato da queste due obbligazioni.

    Noi dovremmo occuparci di queste obbligazioni tributarie che non sono impositive(perché queste sono fatte dal rapporto fra contribuente ed ente impositore che trova il suo titolo giustificativo nella capacità contributiva).

    Accanto al rapporto obbligatorio principale si collocano una serie di altri rapporti che fanno capo a soggetti diversi che si dicono tributarie perché, pur non essendo impositive, sono obbligazioni strumentali all’adempimento dell’obbligazione impositiva.

    Teoria dichiarativa e costitutiva. Varie dottrine si sono alternate per definire dove trova base la norma tributaria. Alla fine si è arrivati a dire che la norma tributaria trova la sua base sulla legge(teoria dichiarativa). Esse non sono quindi norme strumentali. La posizione del contribuente all’interno del rapporto obbligatorio, sono posizioni di diritto soggettivo e non di interesse legittimo.

    Questo è tanto vero che il giudice tributario è un giudice del fatto. Quindi, questo pronuncia sentenze accertativo-dichiarative della disciplina del caso concreto,

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    laddove, se si vertesse in materia di interessi legittimi, il giudice tributario si pronunciasse in un giudizio del tipo cassatorio. Il giudice ordinario opera quindi come giudice ordinario.

    Il rapporto obbligatorio di imposta si attua attraverso una scansione procedurale in cui intervengono atti formali e degli uffici finanziari e del contribuente. La disciplina della fattispecie prevede una sequenza a rilevanza formale. La teoria da seguire è quella neo-dichiarativa.

    Elementi della fattispecie imponibile La fattispecie imponibile è composta da vari elementi:

    1. Presupposto fatto ed evento alla cui verificazione il legislatore riconnette il manifestarsi di un’attitudine alla contribuzione. L’imposta si dice diretta ove il presupposto sia espressivo di forza economica. Esempio classici sono le imposte sul reddito e sul patrimonio. Nel caso opposta si dice indiretta. Qui il presupposto sottende una manifestazione di forza economica. Esempio: imposta su successioni e donazioni.

    2. Base imponibile ricchezza colpita dal tributo. Nelle imposte dirette questo coincide con il presupposto. Le imposte si classificano in reali e personali.

    Reali sono imposte su di un bene nella sua oggettività. Qui a parità di base imponibile, l’importo non cambia.

    Personali si riferiscono alla capacità contributiva del soggetto(Es. Irpef. Qui a parità di ceppo imponibile di reddito, l’importo può sensibilmente cambiare, in ragione di apprezzamenti che attengono alla sfera personale).

    Altra classificazione è fra imposte proporzionali e progressive.

    3. Soggetto dell’imposta soggetti fra i quali intercorre il rapporto obbligatorio. Questi sono il soggetto attivo, o creditore, il soggetto passivo, detto anche contribuente. Altro soggetto è l’ente impositore che non coincide sempre con il soggetto creditore. L’ente è in fatti chi esercita la potestà impositiva ed

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    istituisce e disciplina il tributo. Possono anche essere previsti fenomeni di compartecipazione al gettito i quali non alterano il rapporto impositivo in quanto questo continua ad intercorre fra contribuente e creditore. L’ente compartecipe non ha nessun rapporto obbligatorio nei confronti del contribuente, e non può quindi pretendere il pagamento per la sua quota parte nei confronti del contribuente, ma solo nel confronti del creditore di imposta. Il rapporto obbligatorio d’imposta è un presupposto costitutivo del rapporto dipendente. Una volta che il legislatore ha individuato l’indice alla contribuzione, diventa consequenziale individuare il soggetto passivo, perché se vuole rispettare l’Art. 53 il soggetto è il titolare dell’indice di capacità contributiva, tanto che una parte della dottrina ha ritenuto che l’individuazione del soggetto passivo potrebbe anche non essere esplicitata, essendo consequenziali all’individuazione dell’indice.

    4. Aliquota.

    Coobbligazione tributaria

    Più soggetti possono far sorgere il presupposto. In questo caso il legislatore può scegliere su chi far gravare il prelievo, ma nel rispetto del principio di uguaglianza, devono essere assoggettati tutti in solido fra loro. Si ha una solidarietà paritetica, ovvero tutti sono tenuti per lo stesso titolo(che è la capacità contributiva). Vi possono però essere dei casi in cui non tutti sono coobbligati in solido(Es. quando una delle parti è lo Stato).

    Vecchia teoria della supersolidarietà tributaria e suo superamento. In precedenza vi era il principio della mutualità dei coobbligati per cui sebbene non vi fosse la solidarietà, in base ai principi del mandato si aveva una sorta di solidarietà super leges. Finché con il codice civile, si stabilisce il principio odierno per cui quando il creditore chiedeva l’adempimento ad uno dei coobbligati non vale più

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    come richiesta a tutti. Eccezione è il principio per cui ciò che è favorevole al coobbligato, può essere vantato nei confronti del creditore anche dagli altri coobbligati. Queste regole non sembrano però essere applicabili al campo tributario perché li si pensa sempre in vigore la regola della supersolidarietà tributaria che si basava su due argomentazioni:

    precedente della mutua rappresentanza reciproca dei coobbligati. Indivisibilità dell’obbligazione tributaria.

    Ciò comportava che un atto notificato solo ad uno dei coobbligati avesse effetto anche per gli altri con la conseguenza che in caso di non impugnazione i relativi termini di decadenza sarebbero maturati anche nei confronti degli altri.

    Questa tesi reggerà fino al 1968 quando interverrà la corte Costituzionale dicendo che tale regola è incostituzionale violando l’Art. 24, perché lesiva dei diritti di difesa dei singoli condebitori solidali. La corte quindi riporta tutto alla concezione civilistica.

    Infine si possono ricordare degli inconvenienti che sono rimasti come il fatto che si sostiene che l’interruzione della decadenza fatta dall’amministrazione nei confronti di uno dei coobbligati abbia effetto per tutti, quando in realtà questo istituto non trova riscontro in nessuna norma civilistica dato che la decadenza non è suscettibile di interruzione e l’art 1310 parla solo di questa possibilità con riguardo alla prescrizione.

    Sostituto e responsabile di imposta Vi sono altri soggetti, figure antiche del rito tributario, già presente nelle prime leggi tributarie successive all’unificazione. La norma è intitolata “sostituto e responsabile di imposta”. Il sostituto è chi deve pagare l’imposta in forza al posto di di legge altri; questo può esercitare la rivalsa se non è stabilito diversamente. Il responsabile è chi deve rispondere insieme altri, ed ha anche lui diritto di rivalsa. Le obbligazioni che fanno loro carico non sono obbligazioni impositive, ma bensì obbligazioni tributarie perché l’obbligazione nasce dalla legge. Non sono infatti loro

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    che manifestano la capacità contributiva. Vediamo un po’ più nel dettaglio la disciplina del rapporto fra sostituto e sostituito. Centrale è l’istituto della ritenuta, ovvero il principio per il quale il sostituto (dato che detiene la ricchezza del sostituito che deve essere tassata) trattiene le somme che il sostituito avrebbe dovuto pagare all’ente impositore in base proprio a quel reddito percepito. La ritenuta può essere:

    1. A titolo di acconto se viene pagata solo una parte di quanto dovuto. 2. A titolo di imposta se il pagamento avviene per intero.

    Ciò che qui deve essere evidenziato è che se il sostituito non effettuasse il pagamento, il sostituito sarebbe sempre tenuto ad effettuarlo essendo lui il soggetto passivo del rapporto di imposta. Quando invece non fosse tenuto a nessun pagamento perché già questo è stato effettuato dal sostituto, questo non accadrebbe perché egli non è il soggetto passivo, ma solo perché qualcuno ha già provveduto al suo posto.

    Nel caso in cui manchi la ritenuta(perché ad esempio il sostituto dia al sostituito tutta la ricchezza che gli spetta) ed il sostituto paghi l’imposta in forza dell’obbligazione tributaria che è prevista dalla legge, allora questi potrà esercitare la rivalsa nei confronti del sostituito.

    È chiaro che quindi tutto questo istituto si basa sul rapporto di provvista(principio per cui un soggetto detiene delle somme di un altro, es. tipico è il rapporto che si ha nei confronti di una banca) intercorrente fra sostituto e sostituito. Ed è su questo rapporto che si basa tutto l’istituto anziché sulla più debole e inefficacie possibilità di esercitare la rivalsa come previsto dall’art 64 del dpr 600/73. In virtù di questo infatti, dato che il sostituto detiene sin da subito le somme che il sostituito deve all’amministrazione, egli può essere definito un adiectus solutionis causa, ovvero un soggetto tenuto a ricevere le somme al posto del creditore(una sorta di esattore, ma da quale si differenzia perché questo è solo(l’esattore) è solo il concessionario di un servizio pubblico e non titolare di una obbligazione autonoma ope legis).

    Per completezza possiamo rivedere i rapporti giuridici tramite uno schema:

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    Creditore di imposta(amministrazione)

    SOSTITUTO sostituito

    Quindi l’obbligazione grava sul SOSTITUTO. Questa obbligazione è però basata sulla “legge” e non sulla “capacità contributiva” come quella che grava sul sostituito. Per cui la prima è in rapporto di pregiudizialità con la seconda che se venisse a mancare(ad es perché soddisfatta) farebbe venire meno anche questa.

    Passiamo ora alla figura del responsabile di imposta. Qui non abbiamo il principio della coobbligazione solidale. Il responsabile infatti è tenuto al pagamento Insieme(=in solido) con altri ma in base ad un titolo che non è uguale(come nella paritetica). Il contribuente infatti e tenuto a titolo di capacità contributiva. Il responsabile, invece solo a titolo di responsabilità(come garante ope legis) e non di capacità contributiva. La solidarietà è una solidarietà diversa, nella configurazione sostanziale, rispetto a quella solidale paritetica. La solidarietà è qui dipendente perché, malgrado la prestazione è la stessa, i titoli sono diversi, e quello del responsabile è dipendente da quello del contribuente.

    Il altre parole, la figura del responsabile di imposta è di solito prevista quando il legislatore vuole assicurarsi il pagamento di una determinata categoria di tributi. Senza questa figura potrebbe infatti essere occultata la manifestazione di capacità contributiva e quindi evitato il pagamento. Egli però non è il soggetto passivo del rapporto non essendo a lui imputabile la manifestazione di capacità contributiva. Per questo la previsione della figura del responsabile di imposta deve essere circoscritta, sotto pena di illegittimità costituzionale, a quei soggetti i quali possono facilmente venire in possesso delle somme con le quali adempiere all’obbligazione anche in luogo del vero soggetto passivo.

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    Dichiarazione dei redditi.

    Vediamo i contenuti indefettibili della dichiarazione dei redditi:

    1. An del presupposto se questo esiste o meno. La mancanza può essere dovuta: dal fatto che il soggetto non ha nulla da dichiarare; oppure a un’omissione da parte del contribuente.

    2. Base imponibile si comunicano le modalità attraverso le quali è arrivato a quantificare il reddito dichiarato.

    3. Liquidazione del tributo Storicamente questa non sempre è stata addossata al contribuente. Prima della riforma tributaria degli anni 70 la dichiarazione dei redditi si fermava alla quantificazione della base imponibile. Erano gli uffici che procedevano alla liquidazione attraverso le cartelle di pagamento. Si capì però che gli ufici finanziari non potevano sobbarcarsi di tale onere e per questo oggi è attribuito al contribuente. Questo comunque non resta un contenuto indifettibile in quanto dipende da una scelta legislativa che nel tempo è stata variabile. Ancora oggi vi sono dei redditi a tassazione separata che non sono soggetti a tale criterio. Con tassazione separata si intende che questi redditi non entrano a far parte del monte dei redditi dichiarati dal contribuente e su cui poi questo calcola l’irpef dovuta, ma sono redditi che hanno una tassazione a se atttaverso una aliquota particolare. La caratteristica di questi è che sono non a maturazione pluriennale, ma che sono percepiti in un'unica soluzione. Es il TFR che nonostante venga maturato anno dopo anno, viene tassato nell’annodi produzione ma entra nel coacerbo non subito ma viene trattato separatamente.

    A questi dati se ne aggiungono anche altri soricamente variabili. Esempi sono i dati anagrafici o altri dati conoscitivi con lo scopo di poter permettere un controllo successivo dell’amministrazione. Quest’ultimi hanno lo scopo di quantificare lo stile

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    di vita del contribuente.

    Vi sono poi altri dati come la dichiarazione di flussi, ovvero all’esposizione delle movimentazioni finanziarie effettuatee dal contribuente verso l’estero, dall’estero ed estero su estero. Bisogna quindi informare dei flussi finanziari esteri. Vi è poi la dichiarazione di consistenze che è la dichiarazione di cosa sipossiede all’estero.Questi sono meri atti dichiarativi informativi.

    La dichiarazione contiene anche un contenuto negoziale della dichiarazione ove emergono manifestazioni di volonta che non sono meramente dichiarative di fatti od eventi.Queste possono riguardare, tanto circostanze che influiscono sulla fattispece impositva sia elementi successivi del reddito.

    Quanto al primo tipo vi sono dichiarazioni volitive che attengono al regime fiscale applicabile. Esempio tipico è l’applicazione della forma forfettaria, per cui io il reddito di impresa non lo calcolo più secondo i regimi ordinari ma lo calcolo in modo forfettario.

    Nel secondo caso le determinazioni volitive attengono al trattamento fiscale di alcuni elementi positivi o negativi del reddito. Esempio tutte le volte che un bene plusvalente si distacca dall’impresa. Qui l’imprenditore può optare per la rateizzazione della plusvalenza per un massimo di 5 anni in quote costanti nell’anno di ocnseguiemnto e fino al 4 anno successivo. Il soggetto può quindi devidere come suddividere le rate basta che siano eguali e per un periodo non superiore a 5 anni.

    Possono infine essere presenti anche dichiarazioni di terzi come:

    1. Il visto (conformità formale dei documenti presentati) e l’asseverazione (conformità degli elemnti contabili ed extra contabili inviati a quelli previsti dallo studio di settore), che possono essere applicati solo dai CAF.

    2. La certificazione tributaria (conformità alle norme tributarie sostanziali) che può essere applicata solo da un dottore commercialista.

    La presenza dell’asseverazione e della certificazione ha l’effetto di assoggettare i soggetti che le posseggono a minori controlli.

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    Nullità Le cause di nullità della dichiarazione sono:

    Il non rispetto degli appositi moduli; La non sottoscrizione da parte del contribuente(sanabile entro 30 giorni dalla

    ricezione dell’invio);

    Rettificabilità della dichiarazione. Il problema non sorge nel momento in cui vi sia un vizio della volontà nei contenuti volitivi della dichiarazione perché troveranno applicazione i principi del codice civile in materia di vizi della volontà.

    Discorso più complesso si ha con riguardo alle dichiarazioni di scienza. Questo è stato trattato diversamente a seconda che la rettifica fosse:

    In peius per il contribuente quando per effetto della rettifica aumenterà il suo debito o diminuirà il suo credito. Qui vediamo che non troviamo limiti procedurali essendo la rettifica a favore dell’amministrazione.

    In meius per il contribuente quando per effetto della rettifica diminuirà il suo debito o aumenterà il suo credito. Qui invece troviamo dei limiti. Essi possono essere di due tipi a seconda che la modifica attenga a: Erronee valutazioni e qualifiche giuridiche di elementi di fatto

    dichiarati: 1. Interni che non sussistono dato che abbiamo detto essere la

    dichiarazione mero atto giuridico per quando riguarda il suo contenuto.

    2. Esterni di tipo procedurale. Infatti, non devono essere scaduti i termini per la richiesta di rimborso o quelli per agire contro atti della P.A.

    Fatti omessi oppure diversi da quelli reali: 1. Interni come sopra; 2. Esterni distinguiamo:

    In caso di omissioni, sembra che possa sussistere in materia un principio generale per cui la dichiarazione dei

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    redditi sarebbe l’unico luogo dove il contribuente può allegare determinati fatti, quindi ove non li indichi non potrebbe più modificare la dichiarazione. Questo è però un principio dedotto da alcune norme particolari che prevendono questo divieto.

    In caso di divergenze fra fatti indicati e realtà vi sono due teorie:

    o Se si considerano questi fatti come attinenti a situazioni disponibili al contribuente, prevale il principio di auto-responsabilità per cui non sarebbero modificabili; [il Russo propende per questa soluzione, ndr]

    o Se si considerano come situazioni indisponibili si pensa che il contribuente possa sempre ritrattare la propria dichiarazione.

    Attività di accertamento.

    Differenza con l’attività di liquidazione. Questa si distingue dall’attività di riscossione che è un’attività demandata ad un soggetto privato il quale ha il potere di controllare il corretto pagamento dei tributi.

    La verifica del quantum sta alla competenza dell’amministrazione, essendo attività dell’accertamento. La riscossione del dovuto è invece un potere demandato ad un soggetto privato concessionario (partecipato dallo stato) di tale potere.

    Altro tipo di riscossione è quella spontanea per autoliquidazione. Ma accanto a tale attività vi è una fase di controllo formale(Art. 36-bis) della liquidazione che non è una fase di accertamento.

    Tale attività ormai è tutta automatizzata. Tale controllo è un controllo materiale, di calcoli. Questi non sono provvedimenti accertativi ma meri atti di liquidazione per cui non devono rispettare i requisiti previsti per i provvedimenti di accertamento e non devono essere motivati. Rientrano nell’ambito dell’attività di controllo insieme

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    al così detto controllo formale(all’Art. 36-ter) che si differenzia da quello appena detto perché qui possono anche essere chiesti nuovi documenti al contribuente coi cui già confrontare i dati in possesso dell’amministrazione.

    Altra fase qui è quella di pagamento coattivo, che spetta completamente ad equitalia, ed è una fase che si può intersecare con la fase di accertamento e con le fasi successive.

    L’accertamento in senso proprio L’accertamento in senso sostanziale, ovvero la verifica dell’obbligazione, la possiamo individuare con una serie di atti che l’amministrazione può compiere per verificare il corretto adempimento dell’obbligazione.

    Si pone però un problema teorico che ha un risvolto processuale: che tipo di procedimento è quello di accertamento? Vi sono due teorie di fondo al riguardo:

    1. Procedimento di tipo strettamente amministrativo(teoria costitutiva): il provvedimento emesso è anch’egli amministrativo che fa sorgere l’obbligazione che prima non esisteva. Qui corrisponde un processo amministrativo e quindi una posizione di interesse legittimo. Qui è il cittadino che deve dare la prova contraria.

    2. Procedimento amministrativo speciale(teoria dichiarativa) : il procedimento è di mero controllo di un’obbligazione già preesistente o che trova il suo fondamento direttamente nella legge. Qui è un processo sul diritto soggettivo per cui ogni parte deve portare le proprie prove.

    Queste due teorie hanno un riflesso anche su un altro problema. Questo riguarda il se il procedimento di accertamento tributario sia un

    procedimento amministrativo: o Dovranno essere rispettati tutti i principi della legge 241 del 90

    o non sia un procedimento amministrativo classico, ma un procedimento speciale, per cui:

    o Qui non sarà necessaria una fase istruttoria che sarà solo eventuale. o Sono previsti provvedimenti sanzionatori o Non sarà necessario terminate il procedimento con un provvedimento

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    (ex Art. 2 l 241 del 90).

    Sembra che quest’ultima sia la scelta in realtà utilizzata. Questo in tempi passati sembrava un vero è proprio procedimento poliziesco. Solo con la legge istitutiva dello statuto del contribuente introduce una serie di garanzie per lo stesso come ad esempio:

    1. Non è possibile interferire con l’attività economica del contribuente; 2. È prevista una partecipazione dello stesso come il diritto, al termine

    dell’attività di verifica, di poter interloquire con l’amministrazione già fornendo prove contrarie attraverso memorie o altri tipi di comunicazione.

    Atti dell’amministrazione nell’attività di accertamento. Gli articoli fondamentali sono l’Art. 32 e 33 del decreto 600 del 1973.

    L’Art. 32 da una serie di poteri di indagine all’amministrazione che prevedono talvolta la collaborazione dello stesso contribuente e talvolta la collaborazione di diversi soggetti.

    L’Art. 33 invece, precisa e disciplina la verifica concreta in cui l’amministrazione va materialmente dal contribuente ad effettuare i controlli necessari. Teoricamente l’attività di ispezione e verifica può essere fatta nei confronti di qualsiasi contribuente ma di solito viene fatta solo contro quelli che sono obbligati a tenere la contabilità.

    Altri poteri dell’amministrazione finanziaria:

    Può invitare il contribuente a compilare questionari(la mancata risposta non può essere utilizzato come prova a suo favore e può giustificare un controllo amministrativo oltre a sanzioni non indifferenti) o a presentare una serie di documenti (come quelli tenuti a contabilità).

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    Altri poteri sono gli accertamenti bancari. Prima del 1971 l’amministrazione non poteva compiere indagini essendo i conti correnti coperti da segreto bancario.

    L’amministrazione finanziaria può avvalersi anche della collaborazione dei comuni. Si dice che questa sia importantissima dato che i comuni sono più a contatto con i contribuenti. Ultimamente, era stato previsto che eventuali accertamenti fatti dai comuni avrebbero fatto fruttare a questi il maggior gettito che sarebbero riusciti a riscuotere.

    Secondo l’Art. 33 l’amministrazione ha poteri di:

    Accessoè l’entrata e la permanenza in luoghi e ambienti. L’amministrazione va dal contribuente e redige un atto formale in cui indicano i motivi, l’autorizzazione ad effettuare il controllo, e l’andamento di questa verifica; Per comprendere meglio facciamo una passo indietro. I contribuenti italiani si dividono in due macro-aree: i grandi e i piccoli contribuenti. Per i grandi contribuenti il potere di accertamento spetta alle direzioni regionali dell’agenzia delle entrate. Nei loro confronti la legge prevede che eventuali ispezioni o verifiche debbano essere fatte almeno ogni 4 anni. Per gli altri valgono le “liste selettive” ovvero, dato che la pubblica amministrazione non ha modo di verificare periodicamente questi contribuenti, per evitare un’attività di scelta discrezionale, annualmente vengono individuate delle liste di contribuenti a rischio(es i parrucchieri, o i lavoratori autonomi come gli avvocati) e in relazione alla capacità di ciascun ufficio in cui vengono disposte, attraverso sorteggio vengono individuati un certo numero di contribuenti che devono essere verificati nell’anno solare. Tutte queste sono informazioni che nel verbale devono comparire.

    Ispezione è una ispezione formale della regolarità contabile di quel contribuente e di qualsiasi altra documentazione rilevante ai fini impositivi . È un’attività preliminare che indirizza la successiva attività accertativa.

    Verifica è una verifica sostanziale dove si da conto e si analizzano tutte le operazioni del contribuente, sia materiali che giuridiche. Durante tale verifica il contribuente può presentare memorie e prove e a conclusione del processo verbale, il contribuente può dare delle sue osservazioni. In ogni caso si hanno

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    sempre 60 giorni di tempo per presentare le proprie memorie.

    L’attività istruttoria può essere condotta anche dalla guardia di finanza che va ad effettuare le verifiche. La guardia di finanza può pure autonomamente effettuare accertamenti dove abbia notizie di evasioni rispettando i principi formali previsti sopra. Infine, la guardia di finanza agisce non solo come polizia tributaria ma anche come polizia giudiziaria, per cui potrebbe iniziare le proprie operazioni anche su richiesta del giudice. Tali operazioni sono molto delicate in quando la guardia di finanza non può effettuare determinate operazioni senza il permesso del giudice.

    Emanazione dell’avviso di accertamento. Ha natura provvedimentale.

    Distinguiamo i metodi di accertamento(sintetico, induttivo, analitico) dai tipi di accertamento(d’ufficio o rettifica, globale o parziale, integrativo, per adesione, esecutivo).

    L’accertamento deve essere globale. L’eccezione è l’accertamento integrativo. Importante è anche l’accertamento per adesione. Esso consiste in un confronto finché non si trova un’intesa fra amministrazione e contribuente. Tutti questi accertamenti non erano immediatamente esecutivi, in quanto il pagamento avveniva a seguito dell’emissione della cartella di equitalia. Per accelerare l’attività di riscossione, tutte queste tipologie di accertamento per i principali tributi sono immediatamente esecutivi.

    Metodo sintetico è un metodo presuntivo puro. Si applica ai soggetti che non sono tenuti a contabilità. Quello induttivo puro è detto anche para-sazionatorio. Si può applicare anche in materia di IVA ed è un metodo molto più ampio del sintetico.

    Metodo analitico. Disciplinato dai primi due commi dell’Art. 38. Questi non fanno altro che dire il sistema ricostruisce reddito per reddito, con riguardo a ciascuna fonte, fino ad arrivare al reddito complessivo della persona fisica. Si possono pure utilizzare delle presunzioni.

    Anche all’Art. 39, nel primo comma, vediamo la disciplina del metodo analitico

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    contabile nei confronti, questa volta, dei soggetti che hanno obblighi contabili. Questo metodo avviene utilizzando i singoli metodi contabili. Il reddito è determinato come differenza fra elementi positivi ed elementi negativi.

    Successivamente è stato introdotto lo studio di settore ovvero uno studio presuntivo, dotato di gravità, precisione e concordanza, di cui l’ufficio si può avvalere per ricostruire i ricavi. Si tratta di una relazione fra variabili contabili e strutturali. Non ci sono coefficienti forfettari di ricostruzione dei ricavi. Questi studi di settore sono costruiti con i dati degli stessi contribuenti.

    Vengono fuori due indici che possono avere rilevanza: L’indice di congruità e l’indice di coerenza.

    Gerico(sistema informatico dell’amministrazione) verifica che quanto dichiarato dal contribuente sia congruo e coerente con i dati statistici medi di quella categoria. Ora se invece si è congrui ma non coerente, questa è una spia a favore dell’ufficio. Non scatta la presunzione grave, precisa e concordante, ma può essere uno degli elementi per cui il soggetto viene inserito nelle liste selettive per essere suscettibile di controllo. Se, invece, si è congrui, ma non perché si è colti il ricavo puntuale, ma perché si è all’interno dell’intervallo di confidenza, allora, anche qui, non può scattare la presunzione, ma si può solo essere inserito nella lista di cui prima. Se, infine, non si è ne congrui ne coerenti allora per presunzione grave, precisa e concordante si può essere soggetti al controllo analitico.

    Tutte queste sono presunzioni semplici. Queste sono quindi rimesse al libero apprezzamento del giudice.

    Sembra desumersi che, stesso discorso fatto dal Russo sul redditometro, anche qui, essendo lo studio di settore un provvedimento amministrativo, il contribuente potrà solo impugnarlo per vizi di legittimità. Non potrà invece contestare con la prova contraria il reddito che gli viene attribuito attraverso la funzione insita nello studio di settore, fatta salva sempre la possibilità di dare la prova contraria della inesistenza dei requisiti per l’applicabilità dello studio stesso.

    In ogni caso l’ufficio è preventivamente obbligato a esperire il tentativo di

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    accertamento con adesione.

    Vediamo a chi si applicano gli studi di settore. Al contribuente in contabilità semplificata o al contribuente in contabilità ordinaria che non abbia un volume d’affari superiore a 10 milioni di euro.

    Accertamenti presuntivi.

    Sintetico ed induttivo puro. L’accertamento sintetico è stato rinnovato da poco. Il principio portante che lo differenzia da quello analitico e che in questo caso il reddito viene analizzato nella sua complessità, così che è possibile individuare redditi di fonte sconosciuta.

    Tutto si basa su una presunzione del tipo: accertato l’ammontare di spesa, se tu sostieni una spesa ogni anno, evidentemente queste spese avranno un ammontare di reddito di pari importo, o quanto meno dovrai dimostrarmi di aver utilizzato del risparmio.

    Se non riesci a dimostrarlo, scatta la presunzione che la differenza è un reddito non dichiarato.

    Distinguiamo:

    Accertamento