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  • Bimestrale dei corsi di studi in Sociologia e Ricerca Sociale (triennale) e in Sociologia (specialistica interfacolt) Direzione: Arnaldo Bagnasco, Mario Cardano, Manuela Olagnero, Rocco Sciarrone. Redazione Michele Manocchi

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    Edizione n.2/2008 Anno V Aprile 2008

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    .: Sommario

    Professione Sociologo | La casa tra vissuti e politiche: Forme dellabitare e del non-abitare

    | a cura di Emanuela Struffolino e Stefania Querio | 2

    Professione Sociologo | Intervista a Manuela Olagnero su Forme dellabitare e del non-abitare

    | a cura di Emanuela Struffolino e Stefania Querio | 5

    Professione Sociologo | La formazione in servizio degli insegnanti: alcuni interrogativi di ricerca | di Arianna Santero 9

    Professione Sociologo | Non valutare costa, valutare si pu. Risultati di ricerca dal Quaderno bianco sulla scuola | di Arianna Santero 12

    Professione Studente | Etnografia dei mondi contemporanei: soggetti, oggetti e pratiche sociali | a cura di Giulia Farfoglia | 13

    Professione Studente | Francesco Remotti, Contro natura, Un lettera al papa, Editori Laterza, 2008 | a cura di Manuela Ronco | 18

    Professione Antropologo | Francesco Remotti, Contro natura, Un lettera al papa,

    Editori Laterza, 2008 | Prima Lettera | 20

    Sociologie | PISA amara per meridionali e immigrati | www.lavoce.info di Giovanni Ferri e Vito Peragine | 22

    Sociologie | Sognando Catalogna | www.lavoce.info di Massimo Bordignon | 24

    Sociologie | Un esercito nascosto nella guerra dei sondaggi | www.lavoce.info

    | di Laura Fumagalli e Emanuela Sala | 26

  • .: Professione Sociologo La casa tra vissuti e politiche: Forme dellabitare e del non-abitare A cura di Emanuela Struffolino e Stefania Querio Come evolvono i modi di abitare e governare la casa? Quali i significati simbolici di cui questa investita? Come affrontare le ambivalenze del concetto di casa guardando ai vissuti di chi con-divide / divide lo spazio abitativo? Come rispondo-no le politiche ai bisogni abitativi? Questi sono solo alcuni degli interrogativi cui si cercato di rispondere durante lincontro del 22 febbraio, tenutosi presso la Sala Lauree della facolt di Scienze Politiche di Torino, dal titolo Forme dellabitare e del non-abitare. Pratiche, rappresentazioni sociali, politiche. Si trattato dellultima di tre giornate di confronto coordinate dalla Sezione Vita Quotidiana dellAIS (Associazione Italiana di Sociologia), svoltesi tra il 2007 e il 2008 a Padova, Ancona e infine a Torino. Durante la prima parte della conferenza si privi-legiata la dimensione macro, guardando alle rela -zioni tra i cambiamenti sociali e la questione abi-tativa. Gli interventi della seconda parte della giornata hanno focalizzato lattenzione sulle espe-rienze, sulle pratiche, sui vissuti e le rappresenta -zioni degli abitanti della casa con la finalit di evidenziare limportanza del fare ricerca sulla vita familiare e domestica assumendo una prospettiva multidisciplinare . La ricchezza della discussione stata garantita da relatori afferenti a campi di indagine e analisi diversi fra loro. La coordinatrice, Nicoletta Bosco, ha presentato i relatori, tra cui professori della nostra universit e del Politecnico, ma anche di altri atenei, Ca Foscari di Venezia, Universit di Trento, e del Politecnico di Milano, un architetto del Comune di Torino e una responsabile del Programma Housing della Compagnia di San Paolo. La Nicoletta Bosco lascia lintroduzione a Giuliana Chiaretti (Universit Ca Foscari di Venezia). Chiaretti ha evidenziato i focus dei due incontri precedenti: a Padova, a gennaio 2007, era stato sondato il mutamento dei confini della domesticit guardando ai soggetti che abitano la casa e alla quotidianit; ad Ancona, a maggio 2007, il filo conduttore stato la produzione di cura e salute nellambito domestico, guardando alle trasforma-zioni materiali e simboliche che lo toccano. Gli organizzatori e i curatori auspicano di poter orga-nizzare un seminario conclusivo per tracciare un quadro completo alla luce degli incontri precedenti

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    e esporre i risultati a cui le ricerche sono giunte. La parola passa a Manuela Olagnero, docente di Sociologia presso la facolt di Scienze Politiche, che ha delineato un percorso sui dilemmi della questione abitativa in Italia, privilegiando un punto di vista analitico-metodologico. Innanzitutto ha introdotto la distinzione tra il risiedere, lessere localizzabile in termini anagra -fici, e labitare, che implica una dimensione pi complessa in cui si cerca benessere. La questione abitativa rappresenta una sfida per lanalisi e i processi di policy, perch si tratta di un ambito di analisi aperto nel tempo e nello spazio, che riguarda gli individui lungo tutto il loro percorso di vita. possibile trattare il tema guardando a differenti dimensioni: micro/macro, abitanti/terri-torio, condizioni/conseguenze, uniformit/diffe -renze, trasversalit/longitudinalit. In particolare Olagnero propone di studiare la casa e le politiche abitative attraverso i concetti della teoria del corso di vita. Si sottolinea come la questione abitativa sia localizzata e, dunque, sia necessario il coinvolgimento delle istituzioni del territorio e una particolare attenzione alle politi-che di rigenerazione, ristrutturazione e recupero. La relatrice conclude il suo intervento proponendo alcuni interrogativi a cui potrebbero cercare di rispondere i ricercatori e i costruttori di policyriguardo, ad esempio, il rischio sociografico. Antonio Tosi, del Politecnico di Milano, propone una riflessione sul ruolo e il nuovo spazio occupa-to dalla questione abitativa nel dibattito pubblico e nellagenda politica. Il primo riferimento alla complessificazione dei bisogni e della domanda abitativa, che vede lingresso di nuove istanze, tra cui quelle degli immigrati, e lestensione del rischio abitativo, che rende necessario considera -re il legame tra questione abitativa, impoverimen-to e vulnerabilit sociale. Tosi descrive il ritardo italiano nel considerare la questione della casa: persiste una concezione limitata, incentrata sul-laspetto fisico del problema, e conseguente -mente le politiche si concentrano sullaccesso alla dimora. Si chiama in causa uno sguardo qualita -tivo sul disagio abitativo: la casa non incorpora automaticamente la capacit di abitare, ma risponde a modelli di benessere. La proposta, dunque, quella di ampliare lo sguardo passando dal concetto di casa a quello di abitare: si introduce cos un attore attivo e le sue relazioni con lo spazio circostante. In questo modo si potrebbe parlare di adeguatezza della casa ai bisogni di chi la abita, di giustizia locale e

  • risoluzione dei problemi di equit, di investimenti nei rapporti di prossimit, di performativit della casa. Il relatore ha poi toccato la questione del legame tra marginalit e casa: questa incorpora un senso di normalit, divenendo centrale nel processo di reintegrazione dei soggetti esclusi nella societ. Spesso, infatti, chi sta a i margini convogliato in situazioni non abitative, come case-famiglia, dormitori o collegi. Dopo la pausa caff ha preso la parola Silvia Sac-comani, del Politecnico di Torino: il suo intervento ha messo a fuoco il tema della rigenerazione urbana a partire dal caso di Torino. La citt ha differenziato gli obiettivi delle politiche sulla casa cercando di mediare tra interessi pubblici e privati, prestando unattenzione particolare ad alcune fasce sociali (tra cui i giovani), alla que-stione dellaffitto e alla costruzione di maggior mixsociale che eviti la ghettizzazione, attraverso diversi programmi sperimentali. Saccomani ha presentato una ricerca di respiro europeo condotta da Francesca Governa (docente di Geografia politica ed economica presso Universit di Torino) illustrando diversi casi di politiche innovative e funzionali al soddisfacimen-to del bisogno abitativo di diverse categorie socia-li. Infine ha identificato delle criticit nelle politi-che pubbliche per la casa: la scarsa attenzione al disagio abitativo grave; la carente conoscenza delle condizioni, dei tempi e delle traiettorie che caratterizzano il disagio meno acuto e molto diffe-renziato; lindifferenza allarticolazione territoriale della domanda. Lintervento successivo di Giovanni Magnano, architetto presso il Comune di Torino, che ricorda come il diritto alla casa non sia acquisito da tutti e come le istituzioni pubbliche lo possano tutelare solo in relazione alle risorse disponibili. Le Regioni hanno autonomia nel campo delle politiche abita -tive: il diritto alla casa presente solo nello statu-to di quattro Regioni ed esiste un mosaico di politiche sul territorio, ricche di sperimentazioni a livello sublocale, soprattutto nelle citt. Larchitet-to auspica una lettura di geografia urbana appro -fondita alla base delle politiche per la casa e sottolinea limportanza di creare mix abitativi per evitare sacche di marginalit, la cui segregazione contribuisce ad implementare la discriminazione. Lultimo intervento della mattinata stato quello di Grazia Tomaino, che ha presentato il Program-ma Housing della Compagnia di San Paolo: questo non si configura solo come un programma di studio, ma anche di intervento sul territorio, a cui partecipano esperti di molte discipline che coope-rano per affrontare le problematiche di disagio abitativo, caratterizzate da uno scontro tra defini-

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    zione di bisogni e operativit. I comportamenti abitativi e le rappresentazioni dellabitare sono stati oggetto degli interventi pomeridiani. Giuseppe Micheli (Universit di Milano-Bicocca) ha introdotto il rapporto tra generazioni e case: co-me gli spazi vengono addomesticati, organizzati e riorganizzati quando pi generazioni si trovano a vivere insieme, ma soprattutto come si configura -no le strategie di radicamento nei processi di con-finamento debole e forte. Linvecchiamento della popolazione ha fatto variare i tempi di coabitazio -ne tra adulti: le malattie croniche complicano il quadro e impongono una riflessione su come ge-stire i confinamenti (termine forte e duramente evocativo) guardando alle relazioni tra spazi esterni e spazi interni. La casa un bisogno: perdere la propria dimora uno degli ultimi stadi sulla strada dellemargina-zione. Antonella Meo (Universit di Torino) parla dei processi che portano alla costruzione di homein assenza di house. Non possibile guardare a chi senza dimora solo come a persone con una difficolt sociale: necessario piuttosto conside-rare il loro bisogno di una casa e far luce, per differenza, sugli elementi che caratterizzano labi-tare. importante capire quali siano i funziona-menti del soggetto che labitare implica e che in assenza di home si rischia di perdere. per questo che non per tutti laccesso ad una casa una soluzione: per molti senza dimora sarebbe buona cosa un aiuto capace di riattivare quei funzionamenti necessari per costruire house e, dunque, nuove routine radicate nella casa. Per guardare al rapporto tra tema abitativo e life styles, mobilit e flanerie, Giampaolo Nuvolati (Universit di Milano-Bicocca) propone di utilizza-re la metafora del riempimento e svuotamento quotidiano dellabitazione. Questultima oggi risponderebbe ai bisogni del consumo, configu-randosi come una soluzione differente di time consuming: da una parte si svolgono in casa attivit che ieri avevano luogo allesterno e labi-tazione si riempie di componenti della famiglia che si dedicano, per, ad attivit privatizzate. Dallaltra i processi di mobilit quotidiana sul ter-ritorio svuotano la casa: pendolarit delle donne oltre a quella degli uomini; moltiplicazione delle case in seguito alla frammentazione delle fami-glie; pluralit dei luoghi in cui si crea e radica lidentit individuale; carriere abitative che si snodano sul territorio in base alle opportunit. Da ultimo importante evidenziare due tendenze strettamente correlate (interessanti oggetti di approfondimento), ovvero la privatizzazione dello spazio pubblico e la pubblicizzazione dello spazio

  • privato: nel momento in cui viene a mancare lop-portunit di avere privacy, si privatizza uno spazio pubblico. Gli interventi successivi di Letizia Mencarini (Universit di Torino), Irene Ponzo (FIERI Torino), Giovanna Spolti (Ires-CGIL Torino) hanno con-dotto la riflessione verso alcune ricerche svolte a Torino e provincia nellambito delle politiche abitative, edilizia popolare, uscita dei giovani dalla famiglia dorigine e strategie abitative per/degli immigrati. Al termine degli interventi programmati, il contri-buto di Valerio Milone (Regione Piemonte) ha arricchito il quadro fatto emergere dalle preceden-ti relazioni: Milone ha presentato alcuni progetti sperimentali nellambito dei contratti di quartiere, accennando anche allutilizzo della demotica nel campo del welfare.

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    La giornata stata interessante e una dimostra -zione concreta di come temi come quello trattato si prestino, o meglio necessitino, di uno sguardomultidisciplinare: una riflessione attenta ed effica-ce in termini di programmazione delle politiche non pu prescindere dallassunzione di diversi punti di vista. Questi, infatti, riescono a dar conto della complessit e della poliedricit che carat-terizzano le questioni sociali, in primis quelle in cui si intrecciano gli ambiti dellidentit, della di-suguaglianza, dellintervento pubblico, della quoti-dianit e delle traiettorie di vita: come labitare.

  • .: Professione Sociologo Intervista a Manuela Olagnero A cura di Emanuela Struffolino e Stefania Querio Manuela Olagnero ha aperto la serie di relazioni della giornata dedicata alle Forme dellabitare e del non abitare: nella sua introduzione ha con-siderato la questione abitativa e i suoi dilemmi, offrendo una panoramica di approcci di studio e analisi della questione abitativa. Labbiamo inter-vistata per approfondire alcuni dei temi toccati nel corso del suo intervento. Nel convegno del 22 febbraio sulle forme dellabitare e del non abitare emerso quan-to il tema sia complesso e ricco di ambiguit: a suo avviso quali sono le tensioni che la questione abitativa chiama in causa? Loggetto abitare convoca pi elementi di que-stionabilit e controversia, perch labitare sagomato dalla convergenza di almeno tre ele -menti analitici: la casa/alloggio materialmente intesi, gli abitanti, il territorio. questo un trian-golo in cui si intrecciano (ma anche si mettono in tensione) i livelli micro e i livelli macro di orga-nizzazione della societ. Lesistenza di una possibile tensione tra questi nessi ben incorporata nei requisiti richiamati dalla parola abitare: questa (etimologicamente: occupare abitualmente, ma anche possedere) presuppone lesistenza di nessi di adeguatezza/ normalit a regolare il rapporto tra abitante/allog-gio, una casa con dimensioni adeguate alle esi-genze del nucleo che ci vive, sostenibile economi-camente. Potremmo aggiungere altre condizioni di normalit /adeguatezza relative allo spazio (una casa situata in un territorio non deprivato n segregato, possibilmente scelto) e requisiti relativi al tempo (una casa disponibile nel momento giusto ed eventualmente da poter lasciare nei tempi desiderati). Tutti i giorni noi incontriamo o sappiamo di indivi-dui e famiglie che stanno da lungo tempo e faticosamente costruendo le condizioni di questo difficile matching, o che, addirittura, vi hanno rinunciato. Un alloggio sostenibile ma troppo pic-colo, un quartiere scomodo e per un alloggio grande abbastanza, un alloggio accessibile in un quartiere attrezzato, ma in cui non ci si pu fermare: la narrativa dellabitare intessuta di asimmetrie di tempo e di spazio.

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    La questione della casa quindi si configura nei suoi termini essenziali a partire dal difficile incon-tro di tutti gli elementi dellabitare nel segno delladeguatezza e della sostenibilit complessive. Una caratteristica che ha contraddistinto lincontro stata la presenza di esperti di varie discipline: difficile coordinare punti di vista diversi? Mi sembra che una non troppo lontana parentela leghi sociologi, demografi, geografi e urbanisti: tutti condividiamo lo sforzo di localizzazione nello spazio e nel tempo della problematica abitativa, sottraendola a paradigmi di tipo individualistico/u-tilitaristico, anche a grandi narrazioni. Diversamente dalleconomia, queste nostre disci-pline mettono tra parentesi la possibilit di spie -gare i comportamenti abitativi in termini di utilit individuali, per immergere la questione in contesti pi ampi di relazione in cui si costruiscono e si confrontano strategie e comportamenti abitativi. Questi contesti sono pi ampi perch costitui-scono lo spazio-territorio dove la casa diventa residenza, dove il bisogno si organizza attraverso il ciclo di vita, il succedersi delle coorti, lavvicen-darsi delle generazioni, la crescita e linvecchia -mento di individui e famiglie. La questione abitativa certamente comple-ssa e ricca di spunti per la ricerca sociale: quale pensa possa essere il ruolo dei socio-logi? Per i sociologi la questione della casa una fucina/selva di argomenti che si moltiplicano a seconda della piegatura che diamo gli oggetti che guardiamo. Certamente la nostra disciplina ha (e ha avuto) un ruolo importante nelle analisi del welfare, della povert, dei rapporti tra genera -zioni, delle transizioni biografiche, delle relazioni tra generi, delle reti di aiuto, nelle analisi dei bilanci familiari, nella sociologia urbana (la citt per sempre meno fatta di abitanti e sempre pi di city users) e poi della governance. Questa sua polivalenza, questo doppio passaporto micro e macro si realizza, almeno nelle nostre societ, attraverso polarizzazioni di significati e di posizioni della casa nei circuiti causali dellorga-nizzazione sociale. La casa un oggetto verso cui sindirizzano stra -tegie e investimenti di valore e da cui discendono risorse economiche sociali e identitarie, un costrutto sociale incardinato nelle relazioni tra individui e tra gruppi, oltre ad essere un fatto simbolico, veicolante significati culturalmente normati.

  • La casa intercetta e realizza interessi economici e al tempo stesso d forma a valori; costituisce veicolo di cittadinanza sociale, ma anche strumen-to di privatizzazione dello spazio pubblico; indicatore di capacit individuali e familiari, ma anche di riconoscimento dei diritti; condizione, ma anche conseguenza dellesercizio di empower-ment e ancora strumento di sociabilit, (che si incardina nella vita di vicinato o di quartiere), ma anche della intimacy che si genera nella domesticit delle relazioni di convivenza; pista di accesso e mantenimento di status sociale, risorsa di mobilit sociale. Certamente il mandato dei sociologi quello di presidiare gli sviluppi di unazione (che sia essa riferita a vincoli oppure a desideri, a spinte normative o a obiettivi strategici) in modo da evitare che questa azione venga pensata come isolata dal contesto, sottratta alle interdipendenze sistemiche, immune dallinterferenza con altri attori situati. Quali possono essere, secondo lei, i percorsi di analisi su cui sviluppare la ricerca? Possiamo individuare due percorsi analitici. Lungo un primo asse si pu parlare di casa come problema da avvicinare lungo il percorso macro-micro-macro, intercettando problematiche comuni a intere popolazioni, per spiegare le quali non necessario muoversi a livello dellinterazione perch la struttura della situazione postulata come esogena. Sono le politiche, i mercati, anche i modelli culturali che fissano mete e mezzi. In alternativa ci si pu muovere lungo circuiti di tipo micro, per capire i quali si deve ricorrere alla causalit situata a livello dei sistemi dinterazione, anche se ci non impedisce di introdurre nella spiegazione anche elementi sovraindividuali di natura strutturale o istituzionale (macro). Per capire le dinamiche dello stare o non stare in una casa o in un territorio occorre avvicinare lo sguardo, nel segno della crescente eterogeneit di situazioni e di non sempre prevedibili aspettative e strategie. Un secondo asse che pu essere utile tematizzare fa riferimento alla posizione della casa in un cir-cuito causale che riguarda vantaggi e svantaggi, opportunit, unit e destini sociali. Da un lato linteresse si concentra sulle condizioni per lac-cesso alla casa, secondo certi modi socialmente preferiti; dallaltro lattenzione va alle conseguen-ze per chi ne privo, o ne ai margini.

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    Quale paradigma pu aiutarci ad assumere una prospettiva di tipo macro? Il paradigma della disuguaglianza sociale realizza un modo di lavorare sulla casa che possiamo ricondurre a un approccio di tipo macro e a programmi di ricerca orientati allanalisi della casa come conseguenza di opportunit e destini sociali. Quello della disuguaglianze abitative affronta la questione abitativa individuando relazioni siste -matiche tra dotazioni/privazioni di risorse indivi-duali e modi (e altres luoghi) dellabitare . La sostenibilit economica il principale osserva -torio e indicatore di disuguaglianza dellabitare, che trova nel cleavage affitto-propriet una sede per svilupparsi e riprodursi. Tuttavia la linea di divisione tra proprietari e affit-tuari oggi sempre meno netta e permanente. Infatti, da una parte, anche lappartenere al gruppo favorito dei proprietari non sottrae al ri-schio del sopraggiungere endogeno di condizioni di insostenibilit economica dellabitare, magari provocate da incidenti personali (la perdita defi-nitiva del lavoro, una crisi familiare) o da processi di erosione che compromettono la esiguit del patrimonio iniziale. In seconda battuta, la dispo-nibilit di reddito vale non in assoluto (sia per chi cerca casa, sia per chi lha trovata), ma al buon sincronizzarsi di certe condizioni esogene: se non si intercettano congiunture avverse del mercato finanziario (si pensi alla crisi dei mutui per chi ha comprato) e abitativo (o scelte di policy locale) tali cio da ipote care la capacit di spesa o investimento della resistenza a lunghi tempi di attesa, lautonomia, lorientamento strategico. Tutto ci pu accadere in funzione di particolari eventi a circostanze biografiche (instabilit delle convivenze, precarizzazione del lavoro, crisi eco -nomica, malattia), ma anche di congiunture esterne, economiche o istituzionali, che non solo allargano e frastagliano il fronte della domanda abitativa aggregata ma movimentano ciascun percorso e ne rendono problematiche intercetta -zione, codifica e trattamento. Ci sembra stia suggerendo di considerare lesistenza di una nuova questione abita-tiva: quali sono le sue caratteristiche? La nuova questione abitativa sorge, appunto, non solo dallemergere di una nuova domanda abita -tiva (ad esempio quella proveniente dagli stranieri immigrati), ma anche dal complicarsi e frasta -

  • gliarsi della domanda abitativa di persone da tempo insediate in un territorio. Si fa capo qui a una dimensione emergente, qualitativa, del disagio, che deriva dallincongruenza tra ledilizia esistente e le trasformazioni demografiche e dei comportamenti e stili di vita della popolazione. Lo scarto si produce tra domande nuove (anziano solo, professionista in trasferta, studente, separa -to, turista, famiglia piccola, ecc.) e caratteristiche dimensionali e localizzative degli alloggi su un territorio, nonch caratteristiche di sicurezza/lega-lit del regime abitativo. possibile immaginare, accanto a situazioni di privazione estrema (quasi sempre definitiva) dellabitazione (come nel caso dei senza-fissa-dimora), altre situazioni definite dal carattere complesso della domanda. Si pensi alle situazioni in cui, pur essendoci capa-cit, non c autonomia abitativa: sono queste, ad esempio, le situazioni di perdita o lontananza temporanea della casa (il caso delle badanti immi-grate che vivono presso il domicilio della persona che assistono). Si pu pensare poi a situazione dove a capacit e autonomia si accompagnano incertezza temporale e indecidibilit circa il futuro: si pensi ad esempio alle condizioni di precariato abitativo di chi non ha la possibilit di programmare la propria vita abitativa oltre lorizzonte corto della scadenza di un contratto, magari in nero, chi rischia lo sfratto; ma anche chi, pur nella zona protetta dellinter-vento pubblico, quindi in presenza di un diritto riconosciuto, si trovi in situazione di stallo, in attesa di un bando, o gi in procinto di entrare, in un alloggio di edilizia pubblica. C inoltre la fattispecie degli adattamenti forzati a sistemazioni abitative non pi appropriate: a mancare qui sono occasioni di mobilit volontaria che assecondino e consentano, senza i drammi del big move, luscita da precedenti sistemazioni abitative non pi compatibili con una nuova situazione. questa la situazione ad esempio di anziani che vivono soli in case troppo grandi o di malati alle prese con insuperabili barriere archi-tettoniche o viceversa di persone che si trovano a

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    dover coabitare allinterno di spazi ristretti (siano essi immigrati o semplicemente giovani adulti costretti a posticipare scelte abitative autonome a causa del prezzo troppo alto di ingresso nel mercato abitativo); o ancora la situazione di una famiglia che cresce di dimensioni ma rimane intrappolata dentro un alloggio troppo piccolo. Riassumendo: un troppo di mobilit (ai limiti del nomadismo) e un troppo di stanzialit (ai limiti della reclusione) a contendersi lattenzione delle politiche. Le politiche si trovano a doversi confrontare con situazioni caratterizzate dalleterogenei-t: con quali strumenti la affrontano? Le politiche abitative cosiddette di seconda gene-razione mostrano una chiara consapevolezza della necessit di intercettare leterogeneit sottostante alla crisi dei grandi blocchi sociali e al modificarsi del paesaggio urbano anche in seguito allavvento di nuovi e consistenti flussi migratori. Le difficolt, sia teoriche che pratiche, sono tutta -via numerose. La nuova questione abitativa complica in qualche modo il rapporto tra casa e territorio. Oggi lo spa-zio urbano sottoposto a numerosi interventi di rifunzionalizzazione di parte pubblica e privata (dismissioni, rilocalizzazioni) che, modificando morfologia e milieu di assetti territoriali preceden-ti, modificano altres, e spesso in breve tempo, quantit e qualit dellofferta abitativa, e quindi anche la desiderabilit sociale dellabitare in un determinato quartiere e i costi di accesso a deter-minate zone. Inoltre, gli indirizzi abitativi delle nuove politiche integrate (casa/territorio) hanno comunque un impegnativo mandato di integrazio -ne sociale: il territorio fatto oggetto di policy integrate che tra i loro obiettivi hanno non solo quello di dare un alloggio, ma anche la volont creare o ri-creare un tessuto urbano di communi-ty a partire da interventi di tipo edilizio. Se vero che i confini dellabitare non possono essere circoscritti alle mura fisiche di un alloggio, non meno vero che un intervento integrato pre -suppone logiche e strumenti di realizzazione e di controllo di una certa complessit e incertezza di esiti.

  • Se il bersaglio la qualit sociale (che significa tra laltro inclusione, coesione, empowerment) il progettare e costruire attorno a un intervento edilizio una piazza per i giovani, un orto per gli anziani, botteghe per artigiani, presuppone che questa operazione fisica produca plusvalore socia-le, cio vita di relazione, legami sociali, reti. Questo genera una serie di impegni delle politiche a costruire milieu (cio territori che abbiano unidentit culturale riconoscibile e durevole). Bisogna dire che il milieu qualcosa che non sempre facile costruire in direzione top-downsenza tenere conto del fatto che reti e legami sociali vanno non solo attivati, ma poi mantenuti nel tempo.

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    Quali sono le questioni che rimangono aperte e su cui utile interrogarsi? Innanzitutto importante domandarsi quali livelli di compatibilit sia possibile raggiungere tra gli interventi standard e lindispensabile sguardo da vicino richiesto da politiche che cercano di ade-rire a bisogni situati e mutevoli. Inoltre bisogna considerare quali gradi di integrazione sia possibi-le concretamente realizzare (e in che tempi) tra interventi cosiddetti la pierre (cio limitati allofferta di una struttura fisica) e interventi la persone (che cio estendono lintervento alla creazione di strutture e occasioni di empowerment individuale e familiare). Da ultimo fondamentale guardare a come un intervento pubblico possa creare effetti di comunit senza tener conto che questi non sono ancora sfera pubblica di partecipazione e che, per questo, bisogna pro -muovere coltivando continuamente spazi di prossimit e familiarit.

  • pezzi. Io credo che in questo momento il fenomeno sia pi diffuso di quanto non sia la sua percezione, un fenomeno sociale che non era stato sufficientemente previsto. Non era stato

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    il motivo per cui essendoci una stima allinizio del 2007 di circa 900mila figli di immigrati, esclusi gli irregolari, facile capire che si arriva gi adesso molto vicini alla quota di un milione,

    .: Professione Sociologo La formazione in servizio degli insegnanti: alcuni interrogativi di ricerca di Arianna Santero Perch la formazione continua importante? La formazione in servizio una delle dimensioni fondamentali del lavoro dei docenti, per diverse ragioni: cambia continuamente il contesto sociale in cui la scuola inserita, mutano non solo le composizioni sociali delle classi scolastiche, ma anche le esigenze formative dei singoli bambini, adolescenti e adulti che usufruiscono dei percorsi di istruzione e formazione, in concomitanza con la stabilizzazione dei flussi migratori, le trasforma-zioni dei modi di fare famiglia, le ristrutturazioni del mercato del lavoro, delle modalit e dei significati della partecipazione politica, dei mezzi di comunicazione e delle nuove tecnologie. La ricerca sociologica, didattico-pedagogica e psico-antropologica, inoltre, produce in continuazione dati e riflessioni sul processo dellapprendimento-insegnamento e sul ruolo della scuola e dei docenti dal punto di vista degli obiettivi e delle finalit sociali e etiche allinterno delle societ in movimento, per esempio per quanto riguarda le questioni della cittadinanza1, dellecologia, delle pari opportunit. I contenuti specifici delle singole discipline trattate a scuola (italiano, storia, geografia, scienze, matematica, ecc.) vengono costantemente ridefiniti, emergono nuove nozioni e vengono modificati, pur lentamente, i quadri concettuali di riferimento. Anche le politiche educative a livello locale, nazionale e internazio -nale possono introdurre mutamenti nellorganizza-zione scolastica, oppure orientare verso modalit di risposta specifiche a cambiamenti pi ampi. Nellultimo decennio (con anticipazioni nella lette -ratura socio-psico-pedagogica, in particolare sullEducazione degli Adulti, a partire dagli anni Settanta) si sviluppata una nuova concezione della formazione dei docenti con il passaggio

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    dallaggiornamento inteso come la mera informa-zione sulle novit, alla formazione in servizio inte -sa come apprendimento permanente che coinvol-ge globalmente e profondamente la persona. Nella societ della conoscenza, infatti, il mo-mento dellimparare non pi concepito come un periodo che si conclude e si completa con la tran-sizione allet adulta, ma piuttosto come un pro -cesso di formazione lungo tutto larco della vita. C ormai un accordo piuttosto generale sul fatto che gestire la propria formazione continua faccia parte delle competenze chiave degli insegnanti2, non solo per restare al passo con i tempi e svolgere meglio la professione docente, ma anche per sostenere lapprendimento continuo di tutti gli utenti delle is tituzioni scolastiche. In questo momento storico, dunque, si rivolgono agli insegnanti una pluralit di nuove richieste, tra le quali: affrontare una maggiore eterogeneit dei gruppi-classe, personalizzare e individualizzare i percorsi degli allievi, sostenerne lautonomia per incoraggiarne lapprendimento permanente. La formazione continua per i docenti assume quindi una valenza cruciale, sia che si sviluppi a livello disciplinare o culturale in generale, sia che riguar-di tematiche strettamente didattiche e pedago-giche. Quali sono le disposizioni in materia? Nonostante limportanza della formazione per gli insegnanti, non solo per il senso di auto-efficacia e la valorizzazione professionale dei docenti stes-si, ma anche per gli effetti di innovazione sulla didattica e, attraverso di essa, sui risultati di ap-prendimento dei bambini e dei ragazzi, tutti as-petti riconosciuti e evidenziati nelle direttive uffi-ciali nazionali e internazionali sulla scuola, rimane irrisolta lannosa questione del tempo reale da impiegare per la formazione3. Nel Contratto Collettivo Nazionale del Comparto Scuola per il 1 Sciolla L. e DAgati M., La cittadinanza a scuola. Fiducia, impegno pubblico e valori civili, Rosenberg & Sellier, Torino,

    2006. 2 Perrenoud P., Dieci nuove competenze per insegnare. Invito al viaggio [ed. or. Dix nouvelles comptences pour einsegner. Invitation au voyage, Paris, 1999], Anicia, Roma, 2002. Le indicazioni del Consiglio europeo, e in particolare il Memorandum di Lisbona del 2000, il quale riprende il Trattato di Maastricht del 1992, inseriscono chiaramente tra gli obiettivi educativi prioritari quello di assicurare processi di formazione permanente per tutti. Pi recentemente, nella Raccomandazione votata da Parlamento europeo e Consiglio dellUnione il 18 dicembre 2006, tra le 8 competenze chiave per lapprendimento permanente compare quella di imparare a imparare, che consiste nella abilit di perseverare nellapprendimento: organizzarlo attraverso una efficace gestione del proprio tempo e delle informazioni a disposizione, individualmente o in gruppo, essere consapevoli dei propri processi apprenditivi e dei propri bisogni formativi, saper riconoscere le opportunit disponibili, sapersi orientare e superare le difficolt in modo da apprendere in modo efficace e impiegare le conoscenze e le esperienze acquisite in contesti diversi. 3 D.P.R. 419/74, C.M. n. 82 del 26 marzo 1976, legge n. 517 del 4 agosto 1977, C.M. n. 166 del 23 maggio 1981, art. 14 della legge n. 270 del 20 maggio 1982; cfr. Toni, in Guasti L. (a cura di), Il sistema della formazione in servizio dei docenti, Editrice la Scuola, Brescia, 1986.

  • Quadriennio Giuridico 2002-05 si continua a cogliere una contraddizione di fondo: da un lato la formazione viene definita una leva strategica fon-damentale per lo sviluppo professionale del perso-nale, per il necessario sostegno agli obiettivi di cambiamento, per una efficace politica di sviluppo delle risorse umane [...] nonch di interventi formativi finalizzati a specifiche esigenze (Art. 61 del CCNL 26/05/1999), dallaltro si prevedono principalmente i limiti entro cui usufruire del dirit-to alla formazione: i docenti che intendono parte -cipare a iniziative formative possono richiedere fino a 5 giorni di esonero dal servizio nellintero anno scolastico e i rimborsi per le eventuali spese di viaggio (ma solo dove siano previsti appositi fondi a discrezione delle singole istituzioni scolastiche). A parte questi incentivi, normalmen-te la formazione si deve svolgere al di fuori dellorario di insegnamento, quindi senza alcuna remunerazione. I permessi per motivi di studio inoltre sono decentrati a livello di contrattazione presso gli Uffici Scolastici Regionali (Art. 62), anche se sono previste a livello nazionale alcune limitate risorse aggiuntive per il personale delle scuole in aree a rischio o a forte processo immigratorio o frequentate da nomadi (Art. 18 e 19 del CCNI 31/08/1999). Il contratto nazionale per i docenti recentemente entrato in vigore per il quadriennio 2006-09 e alcuni interventi previsti dalla Finanziaria 2008 sembrano promettere miglioramenti per quanto riguarda la possibilit di detrazioni per le spese di auto-aggiornamento di tutti i docenti fino a un massimo di 500 euro, lo spostamento della contrattazione sulla distribuzio -ne delle risorse sulle finalit e i modi per la formazione del personale a livello nazionale, listi-tuzione di una commissione bilaterale avente per obiettivo la programmazione e lorganizzazio -ne di percorsi formativi nazionali per gli insegnan-ti. Anche se i consistenti tagli della legge Finanziaria 2007, che hanno portato tra laltro allo smantellamento degli Istituti Regionali Ricerca Educativa con una riduzione del 50% del persona-le, e le ultime gravi decurtazioni per quanto ri-guarda per esempio lorganico per il sostegno, unitamente al programma di ridurre la spesa pub-blica del nuovo governo, suggeriscono di mante -nere un atteggiamento quanto meno prudente sui concreti effetti delle proposte.

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    Se la mancanza di rigide prescrizioni sugli spazi da dedicare alla formazione pu essere coerente con il principio della libert di insegnamento e con il rispetto della facolt di stabilire autonomamente il proprio percorso di apprendimento permanente in base a esigenze e caratteristiche soggettive, la carenza di disposizioni chiare e di una copertura finanziaria adeguata per la formazione possono avere conseguenze nefaste in termini di reale coinvolgimento della globalit del corpo docenti nellapprendimento permanente. In proposito si nota che relegare implicitamente nel tempo libero la formazione professionale pu essere particolarmente gravoso per le insegnanti costret-te a gestire la doppia presenza, numerose soprat-tutto in un Paese come lItalia in cui il lavoro di cura allinterno delle famiglie non equamente ripartito tra uomini e donne4, in cui il sistema delle politiche sociali ancora lontano dal raggiungimento degli obiettivi di Lisbona per quanto riguarda lerogazione di servizi per la prima infanzia e per i grandi anziani fragili, in cui il tasso di femminilizzazione del corpo docenti tra i pi alti dEuropa5: tre processi le cui interconnessioni meriterebbero analisi approfondi-te. Quali piste di ricerca si aprono? Dal quadro della situazione accennato si possono evincere alcune piste di ricerca per indirizzare lo sguardo sociologico6 sul tema, in particolare per approfondire criticamente il tema della professio -nalizzazione-deprofessionalizzazione dei docenti7. Nelle indagini finalizzate alla elaborazione di tipo-logie di insegnanti, infatti, viene sovente inserita anche la propensione alla formazione, il tempo ad essa dedicata, i temi ritenuti pi urgenti e il signi-ficato che ad essa attribuiscono i docenti, come indicatore utile per risalire alla motivazione, alla vocazionalit e allimpegno, ma anche al significa-to attribuito dagli intervistati al proprio lavoro 8. Sarebbe utile unanalisi comparativa, oppure longitudinale, per verificare come gli interventi centrali di erogazione, sostegno, finanziamento e certificazione della formazione in servizio favoriscano o meno il mantenimento di compe-tenze elevate e di status dei docenti.

    4 Cfr. ad es. Saraceno C., Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, il Mulino, Bologna, 2003; Id., La conciliazione di responsabilit familiari e attivit lavorative in Italia: paradossi e equilibri imperfetti, in Polis, XXVII, 2, pp. 199-228, 2003; Saraceno C. e Naldini M., Sociologia della famiglia, il Mulino, Bologna, 2007. 5 Su questo si vedano per esempio i lavori di Simonetta Ulivieri. 6 Collins R., The Sociological Eye and Its Blinders, in Contemporary Sociology, XXVII, 1, 1998, pp. 2-7. 7 Fischer L., Lineamenti di sociologia della scuola, il Mulino, Bologna, 2007. Vedi anche Ribolzi L. (a cura di), Formare gli insegnanti. Lineamenti di sociologia delleducazione, Carocci, Roma, 2002. 8 Cfr. ad es. ISFOL, Insegnare agli adulti: una professione in formazione, I libri del FSE, Roma, 2006.

  • Oltre a considerare la remunerazione delle ore strettamente dedicate alla formazione, andrebbe analizzato se esistono vantaggi per gli insegnanti pi formati in termini di aumenti salariali, ruoli che possibile ricoprire, incarichi che si possono svolgere, ecc. La questione della formazione, o non formazione, e degli eventuali differenziali re -tributivi, infatti, solleva il fondamentale problema del merito9, connesso con quello della valutazione non solo della preparazione dei docenti, ma anche degli effetti delle politiche educative su di essa10, tasti dolenti per il sistema istruzione della peni-sola. Per contestualizzare le ragioni del divario tra Paesi e ordini di scuola, dunque, interessante osserva -re se si inserisce esplicitamente il tempo della formazione allinterno del tempo di lavoro degli insegnanti, ma anche a quali condizioni e con quali conseguenze relativamente al rapporto numerico docenti-studenti, alla progressione di carriera, alla disponibilit al reclutamento e alla permanenza in servizio dei docenti. Collocarsi a livello meso-istituzionale11, poi, consentirebbe di seguire le modalit di costituzione e adesione alle occasioni formative delle scuole, studiando il funzionamento dellorganizzazione scolastica in relazione ad altre Agenzie formative del territorio, come per esempio le Universit, gli Enti Locali, le Associazioni, i Centri educativi. A seconda degli Enti promotori, degli obiettivi formativi, dei soggetti coinvolti e delle risorse fisiche e simboliche a disposizione, i percorsi di approfondimento, infatti, possono assumere modalit di svolgimento differenziate. Il momento formativo potrebbe essere indagato come punto di incontro di culture istituzionali diverse, andandone a vedere le procedure per la presa di decisioni, gli arricchimenti reciproci, ma anche gli eventuali conflitti, le sovrapposizioni di competenze. Inoltre si potrebbe ipotizzare che la maggiore facilit di comunicare attraverso il web abbia consentito lo sviluppo di reti formative transnazio -nali, facilitando il confronto e lo scambio di idee, ma che, dal momento che il fare scuola si con-cretizza in contesti locali, le scuole rimangano fortemente embedded nella realt territoriale in cui si collocano, esprimendo esigenze formative radicate nelle caratteristiche della popolazione scolastica e della societ di appartenenza.

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    Attraverso questionari inviati alle singole scuole, ai Dirigenti o alla Funzione strumentale che si occupa di formazione si potrebbe tentare di verifi-care questa ipotesi. Sarebbe interessante indagare anche come la formazione in servizio si innesti sulla preparazione precedente degli insegnanti, verificando se le nuove modalit di reclutamento favoriscono la motivazione allapprendimento permanente for-nendo gli strumenti cognitivi necessari, attraverso questionari rivolti ai docenti, ma anche ai super-visori e coordinatori di tirocinio delle SSIS (Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Seconda-rio) e delle Facolt di Scienze della Formazione Primaria. Analisi qualitative, condotte attraverso studi di caso, osservazione partecipante, interviste di pro -fondit o focus group, consentirebbero di coinvol-gere i docenti stessi nella ricerca, provando a definire anche con le loro parole il concetto di riflessivitintuizione alla base della pratica didattica e linfluenza che possono esercitare le occasioni formative su queste caratteristiche. Attraverso la modalit della ricerca-azione, come stato dimostrato, si possono progettare inter-venti che mirino allintroduzione di innovazione nella prassi scolastica (di tipo didattico, di conte -nuto, gestionale, organizzativo, ecc.), valutando insieme agli insegnanti come agisce la formazione nel ristrutturare le caratteristiche dellinterazione con gli studenti e tra colleghi, nella negoziazione con le famiglie, nella rielaborazione culturale delle discipline, nellapprendimento-insegnamento. Si aprirebbero quindi spazi per indagini interdiscipli-nari, che potrebbero coinvolgere, insieme alle fi-gure organizzative emergenti tra gli insegnanti, sociologi, ma anche psicologi e scienziati delledu-cazione. Ripercorrendo con il metodo delle storie di vita il percorso professionale e umano degli insegnanti, si potrebbe anche indagare se la pre -parazione iniziale e la formazione in servizio ab-biano avuto un peso significativo nella percezione del prestigio e dellimportanza del proprio lavoro, e anche nel senso di efficacia e della qualit degli effetti della propria metodologia di insegnamento. Guardare alla formazione degli insegnanti risulta dunque importante per comprendere il rapporto scuola-societ, e in particolare le implicazioni so-ciali del mestiere dellinsegnante.

    9 Sulle concezioni di meritocrazia e solidariet espresse da studenti e docenti si veda per esempio la discussione emersa durante la presentazione del volume di Sciolla e DAgati (2006) in Pozzan M., Perch la scuola non educa alla cittadinanza? (Edizione n.1/2007 Anno IV Febbraio 2007). 10 Indicazioni sulla valutazione delle politiche per listruzione in Italia si trovano nel Quaderno bianco sulla scuola, 2007, www.interno.it. 11 Brint S., Scuola e societ , il Mulino, Bologna, 1999.

  • .: Professione Sociologo Non valutare costa, valutare si pu. Risultati di ricerca dal Quaderno bianco sulla scuola* di Arianna Santero Secondo i risultati dellindagine realizzata dal gruppo inter-ministeriale costituito da Ministero dellEconomia e delle Finanza, Ministero della Pub-blica Istruzione e Ministero dello Sviluppo Econo-mico, in collaborazione con Banca dItalia e Uni-versit di Trento, Milano e Roma Tre nel 2006/ 2007 (Quaderno bianco sulla scuola, www. tesoro.it), la scuola italiana inefficace e ineffi-ciente rispetto a quella degli altri Paesi europei. I miglioramenti in termini di quantit degli stu-denti coinvolti sono ancora al di sotto della media Ue e agli obiettivi di Lisbona: pi di un quinto dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni non riesce ad acquisire credenziali educative di scuola secondaria, pi del 40% degli studenti promossi ha debiti formativi e solo il 25% di loro li colma. Inoltre la qualit degli esiti scolastici contenuta: le ricerche inter-nazionali sulle competenze possedute dagli stu-denti (PISA, PIRLS, TIMSS e IEA) mostrano livelli di apprendimento nel Sud Italia nettamente infe -riori a quelli medi dellarea euro e OCSE, e anche al Centro la situazione preoccupante, nonostan-te di solito non venga considerata problematica. Questi risultati variano notevolmente non solo da unarea territoriale allaltra, ma anche da una scuola allaltra, come mostrano le indagini INVA-LSI: il sistema scolastico italiano fortemente iniquo, poich caratterizzato dalla concentrazio -ne delle difficolt in determinati plessi e dalla segmentazione nella qualit dellofferta didattica tra le scuole, con leffetto di penalizzare gli allievi soprattutto in base alla classe sociale di origine. Oltre a essere inefficace, la scuola italiana ineffi-ciente nellallocazione delle risorse: le retribuzioni e gli incentivi per gli insegnanti sono contenuti rispetto agli altri Paesi, tuttavia la spesa pubblica per studente pi elevata. Questo anche per la specificit del rapporto studenti-insegnanti: la media italiana di 11,5 docenti ogni 100 allievi, 1,7 punti percentuali in pi rispetto alla media OCSE. Anche a questo riguardo le situazioni sono molto diversificate e finora scarsamente monitora -te nelle diverse aree italiane: le scuole dei piccoli Comuni con un numero molto basso di alunni di solito non vengono accorpate ad istituti pi grandi per linefficienza della rete scolastica, la carenza delle infrastrutture necessarie alla razionalizzazio -ne delle risorse e lincertezza degli amministratori locali di poter utilizzare le economie sviluppate nel

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    territorio. Tra le ragioni degli insuccessi delle precedenti ri-forme dellistruzione, hanno giocato un ruolo di primo piano lassenza di un sistema valutativo complessivo e lo scarso impiego se non addirit-tura loccultamento e il discredito dei risultati delle analisi nazionali e internazionali disponibili. Le proposte contenute nel Quaderno si basano sullesame delle caratteristiche del sistema scola -stico italiano e dei processi attraverso cui si ripro -duce la situazione attuale. necessario utilizzare con cautela i risultati degli studi, guardando come il sistema scolastico nazionale si struttura nei diversi contesti. Anche per questo auspicabile la costituzione di un organismo centrale per la valu -tazione della qualit dellistruzione, dotato di cre-dibilit e finalizzato a stabilire e misurare gli stan-dard di offerta e riuscita scolastica. In questo mo-do si potrebbero programmare i fabbisogni terri-toriali degli insegnanti sul breve, medio e lungo periodo, dando vita a ristrutturazioni graduali dellorganico, accompagnati da adeguate prassi di reclutamento e di formazione in servizio. Le stra -tegie andrebbero concertate tra Stato e Regioni attraverso lindividuazione di obiettivi concreti raggiungibili a livello locale e la definizione delle spese necessarie, in relazione alle priorit della-rea (per es. sostegno agli alunni migranti, ecc.), con la possibilit di re -investire in loco le risorse risparmiate. Il cambiamento verrebbe cos inteso come processo, e coinvolgerebbe gli insegnanti e i dirigenti scolastici con il sostegno di un team di supporto nazionale, formato da docenti o esperti di gestione e di didattica che possano recarsi nelle scuole e discutere sulla validit delle valutazioni e degli interventi nazionali, mettendo in circolo le competenze e le esperienze di chi fa scuola con unoperazione bottom-up. Questo e altri interventi potrebbero essere sperimentati in aree circoscrit-te e diffusi dopo eventuali rettifiche. Il fatto che esistano realt locali in cui le sperimentazioni vir-tuose e le valutazioni intese come strumento di miglioramento dellofferta formativa sono gi consolidate, insieme alla positiva ricezione delle proposte laddove sono state presentate, fanno pensare che le raccomandazioni contenute nel Quaderno potranno essere accolte, con latten-zione politica adeguata. * In questo articolo si tiene conto dei risultati di ricerca contenuti nel Quaderno bianco per la scuola e del con-tributo di Fabrizio Barca, direttore del gruppo intermini-steriale che ha preparato il Quaderno, alla presentazio-ne dellIrvapp, Istituto per la ricerca valutativa sulle politiche pubbliche (irvapp.fbk.eu), svoltasi a Trento presso la Fondazione Bruno Kessler il 1 marzo scorso. Sulliniziativa consultate www.consiglioscienzesociali.org

  • .: Professione Studente Giulia Farfoglia, redattrice della Newsletter da alcuni anni, sta frequentando la Specialistica in Sociologia presso lUniversit di Trento. Abbiamo voluto mantenere i rapporti, cos da avere una inviata che pu raccontarci come vanno le cose da quelle parti. Giulia ha frequentato un seminario dal titolo Etnografie, organizzato dal Professor Giolo Fele, docente di Sociologia della comunicazione e Metodi e tecniche della ricerca sociale (Metodi qualitativi ed etnografici) dellUniversit degli Studi di Trento. Il primo incontro stato tenuto da Attila Bruni, il quale, non molto tempo fa, ha tenuto anche un seminario presso la nostra Scuola di dottorato in Ricerca Sociale di Torino, dedicata all'etnografia organizzativa. Etnografia dei mondi contemporanei: soggetti, oggetti e pratiche sociali. Seminario tenuto da Attila Bruni. di Giulia Farfoglia Marted 4 marzo 08. Sono le 15:15 sta per iniziare il primo incontro del seminario ETNOGRAFIE, interverr Attila Bruni ricercatore presso il dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale della Facolt di Sociologia dellUniversit degli Studi di Trento. Attila si presenta e fin da subito precisa che terr banco per unora e mezza precisando che se vogliamo fare etnografia e se ci interessa il lavoro delletnografo alle parole conviene che ci faccia-mo labitudine!. Questo pu anche significare lannoiarsi: la noia un sentimento che va messo in conto, non tutto sar cos appassionante e interessante e se vogliamo addentrarci nelletno-grafia dobbiamo fin da subito sapere che questul-tima consuma parole. Quel che Attila vuole proporci in questo incontro sar parlare del dietro le quinte, di quello che non c scritto sui libri, quello che lui definisce il pettegolezzo, un interessante materiale di conversazione fra etnografi o aspiranti tali. La ricerca etnografica si impara anche attraverso i racconti degli altri ricercatori, tramite gli aneddoti e i particolari che talvolta risultano difficilmente formalizzabili in un articolo specialistico. Ci ricorda che alla fine il ricercatore sa sempre di pi di quel che scrive; ogni sentimento, ogni episodio, ogni azione stata esperita unicamente da lui, presente in un dato momento, in un preciso luogo con particolari attori; sar lui lunico depositario

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    della conoscenza di quella specifica realt che ha vissuto in quanto individuo immerso e partecipan-te in quel contesto, al di l di quello che sar scritto sul rapporto di ricerca. Lui ci consegna una sfaccettatura di quella che la sua intera espe-rienza e a noi sar dato conoscere solo quello. Letnografia deve piacere, precisa ancora, altrimenti si pu trasformare in un calvario. Prima di addentrarci in un lavoro del genere dovremmo quindi tener conto di tutti i pro e i contro che potremmo incontrare e cui dobbiamo far fronte: stare a stretto contatto con una nuova cultura sconosciuta, negoziare il proprio accesso e la propria identit, studi intensivi sul campo e lavoro a tavolino con il riordino delle note di campo. Dunque, sinteticamente, gli elementi che costituiscono unetnografia sono: il rapporto tra campo e ricercatore; la permanenza sul campo; il fare da ombra ed il prendere nota; linterpre -tazione delle note di campo e la scrittura della ricerca. Moltissimi aspetti che potrebbero rendere il lavoro delletnografo poco attraente. Fatta questa premessa Attila inizia con il racconto di alcune sue ricerche e soprattutto di alcuni particolari curiosi. Chiarisce fin da subito che cosa intende nel titolo dato a questo incontro. I MONDI CONTEMPORA-NEI sono i mondi sociali che si caratterizzano sempre di pi per la loro eterogeneit; il mondo in cui viviamo sempre pi caratterizzato da processi sia di globalizzazione che di localizzazio -ne. Da Schtz in poi si inizia a parlare di mondi sociali che si articolano attraverso una pluralit di soggetti, oggetti e pratiche sociali. Fare etnogra -fia significa entrare in un mondo sociale, in una particolare realt di cui il ricercatore potrebbe essere parzialmente (ma anche totalmente) igno-rante; potrebbe non condividere tutto ci che si trova davanti e deve imparare una nuova lin-gua. SOGGETTI, OGGETTI E PRATICHE SOCIALI sono il trittico fondamentale che ha trovato nelle sue ricerche. Ma andiamo a fondo nello scoprire que-sti tre elementi. I. Decide di iniziare a parlarci delle PRATICHE SOCIALI illustrandoci alcuni episodi tratti da una sua recente ricerca sulle disuguaglianze nellac-cesso ai Servizi Sanitari [Bruni, A., Fasol, R. Gherardi, S. (2007) Laccesso ai Servizi Sanitari. Traiettorie, differenze, disuguaglianze. Carocci, Roma]. Come gi detto non ci dir quello che potremo ritrovare nel libro, ma ci illustrer particolari episodi cui letnografo pu andare incontro.

  • Questa sua ricerca era stata commissionata da una Regione interessata a vedere come si verifi-cassero le disuguaglianze nellaccesso ai Servizi Sanitari. La Regione fornisce, cos, ad Attila precisi riferimenti, dati e informazioni permetten-do di risolvere liniziale questione dellaccesso del ricercatore al campo. Da questo punto di partenza a come poi si sono verificate le cose ci sono stati momenti informali di raccolta di infor-mazioni che hanno delineato scenari inaspettati. Da chiacchiere con amici, Attila viene a sapere dellesistenza di un Ambulatorio per migranti senza permesso di soggiorno. Iniz ia cos a delinearsi una mappatura privata dei Servizi e si scopre che la Regione aveva attivato Servizi che non sapeva di aver attivato, potremmo dire che si era dimenticata della loro esistenza. A questo punto viene il dubbio: Non che la Regione ha chiamato il ricercatore per scoprire quali Servizi ci sono veramente e quali no?. Ma al di l di queste ipotesi, la ricerca procede proprio allinterno di questi nuovi mondi ma con una precisazione della Regione: Visto che li hai scoperti tu, ti dia -mo i numeri dei responsabili e gestisci tu lacces-so!. Armato di santa pazienza inizia il lavoro. Il primo Servizio cui accede proprio lAmbula-torio per migranti senza permesso di soggiorno. Si tratta di un luogo gestito da volontari, alla mano, un posto molto informale dove non si indossano camici bianchi; sembra piuttosto un luogo di incontro per migranti, potremmo definirlo un ambulatorio autogestito. Laccesso di Attila a questo posto non presenta particolari problemi, viene subito accolto a braccia aperte dal ragazzo che gli apre la porta (che poi si riveler essere un medico). Ma tutta questa gentilezza e disponibilit a che cosa dovuta? Beh, il medico di turno era da solo e aveva proprio bisogno che qualcuno stesse allaccettazione, dato che fuori cerano molte persone. Attila capitava a pennello, subito il primo giorno di osservazione era stato piazzato allaccettazione ad accogliere pazienti, a sentire le loro storie e a riempire moduli. Posizione privilegiata del ricercatore? Vedremo che questa domanda torner pi volte e avr risposte duplici come in questo caso: vero che stata unoccasione doro essere messi subito, alla prima osservazione, in un luogo comunque centrale, dove si incontrano e si accolgono le persone e si possono osservare le dinamiche e le pratiche sociali che avvengono in un ambulatorio ma, come gestire quella situazio -ne? Ad esempio, come prendere gli appunti, le note di campo, mentre devi governare particolari circostanze di una cultura ancora da esplorare? Spesso, quindi, la posizione privilegiata del ricer-catore risulta essere la pi scomoda. Ci ricorda a

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    questo proposito alcuni episodi che ha vissuto in altre ricerche: stipato nel sedile posteriore di una macchina oppure seduto un una sala subito sotto laria condizionata con tutte le conseguenze pi negative per la sua salute Attila ci ricorda quali sono i suoi attrezzi da etnografo: giro sempre con un quadernone A4, astuccio e tutto larmamentario di cancelleria e esclama ragazzi, ricordate e badate bene che le penne finiscono! Non ve lo dicono i libri di Metodologia Ma le penne finiscono! Questo per mostrarci che letnografo sul campo scrive, prende appunti, fa schemi e piantine perch ci necessario per ricordarsi dei particolari, non possiamo fare totalmente affidamento alla nostra memoria. In una situazione come quella che si presentava ad Attila, tutto ci era difficile e per ovviare a questo ecco che, una volta finita losser-vazione, una volta a casa, entro 24 ore redigeva le sue note etnografiche in modo da ricostruire le cose in modo chiaro e per non perdere i particolari essenziali. Nei giorni seguenti la sua identit era quella di volontario. In ogni modo non poteva certo met-tersi in un angolo a scrivere su un quadernone. Ricorda che quello era un ambulatorio per immi-grati senza permesso di soggiorno e quindi anda-re l per loro significava anche scoprirsi, svelarsi alle istituzioni. La presenza di Attila non avrebbe sicuramente agevolato e messo a proprio agio queste persone. Il secondo luogo cui accede un pronto soccorso. Al primo giorno, ci descrive, la sua presenza diventa come un codice verde: dopo che gli operatori avevano ascoltato le motivazioni della sua presenza, lo lasciano l ad aspettare senza considerarlo particolarmente. I medici e gli infer-mieri si comportano con lui, appunto, utilizzando le stesse pratiche che solitamente usano con i pazienti definiti codice verde: facciamolo aspettare, se urgente e sta male veramente attender anche 12 ore, se se ne va significa che non stava poi cos male! Questo si mostrer essere, ad Attila, il gioco dei codici, la tecnica utilizzata dagli infermieri per districarsi nel loro lavoro, che segue anche un principio organizza-tivo particolare. In ogni pronto soccorso esistono, appunto, diversi codici che identificano lurgenza e la gravit dello stato di salute del paziente: Codice Rosso: paziente molto critico con priorit massima, imminente pericolo di vita. Codice Giallo: paziente mediamente critico, con compromissioni parziali e in via di probabile peg-gioramento. Codice Verde: paziente poco critico con priorit bassa; qui vi rientrano la maggior parte dei

  • problemi non compromettenti le condizioni gene-rali del paziente. Codice Bianco: paziente non urgente, la prestazio -ne non di pertinenza del pronto soccorso ma, ad esempio, del proprio medico curante. Ora, questa classificazione si trasforma, appunto, in un gioco che prevede quale regola il far aspettare le persone di modo che si verifichi unautoselezione dellutenza. Se qualcuno aspet-ter anche 12 ore per essere visitato e curato allora si trattava di un codice verde tendente al giallo; se andr via, si trattava di un codice verde tendente al bianco. Si uniscono il linguaggio tecnico e il linguaggio gergale e questo si impara facendo etnografia, attraverso lespe-rienza diretta delloggetto di osservazione. Nellaccesso ai Servizi Sanitari Attila nota una ricorrenza: il suo accesso al campo rispecchiava, pi o meno, le stesse dinamiche dellaccesso ai Servizi dellutenza. Cos come i pazienti devono sottostare a determinate pratiche, cos Attila le ha dovute ugualmente seguire. Perci, ad esempio, nel caso dellAmbulatorio per immigrati, prima citato, ha avuto unaccoglienza pi aperta mentre nel pronto soccorso era un codice verde. Nellaccesso ai Servizi Sanitari si riflettono gli stili di vita che si ritrovano nella societ pi in generale. A questo proposito ci racconta un episodio cui aveva assistito. Un giorno ad un CUP (Centro Unificato Prenotazioni) si presenta un signore distinto, ben vestito, stile manager, che voleva prenotare una visita specialistica. Dopo essersi documentato tramite internet sulla sua malattia (scopre addirittura che il 45% della popolazione maschile della sua et soffre della stessa sindrome), inizia a spiegare allimpiegata dellufficio che proprio la clinica che si trova sopra il suo garage si occupa di casi come il suo ed una delle pi specializzate. Alla fine riesce ad avere lappuntamento proprio l entro breve tempo. Ma se ci fosse andato un anziano o un immigrato, privo di tutte quelle informazioni, avrebbe ricevuto lo stesso trattamento? Questo per dire che anche nellaccesso ai Servizi Sanitari, per dirla con Pierre Bourdieu, lhabitus condiziona la vita sociale riproducendo le disuguaglianze esistenti. Emergono limportanza delle reti sociali in cui un individuo inserito, il capitale sociale che ha a disposizione, la possibilit di accedere a fonti di informazioni. Ci sono tutta una serie di ritmi sociali, di modi di fare che si riflettono nellaccesso ai Servizi e, in quanto esterni allorganizzazione sanitaria sono difficili da controllare. Anche uneducazione alla sanit, il senso civico del cittadino risulta essere fondamentale.

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    Ad esempio, quando si va al pronto soccorso? Ci sono delle ricorrenze interessanti che si verificano nellaccesso al pronto soccorso. Quando piove, ad esempio, la sala di attesa si affolla, vuoi perch si scivola di pi, vuoi perch un ottimo posto per ripararsi dal maltempo. Anche la domenica dopo le 17:00 risulta essere un momento critico; il luned, infatti, si lavora! Nel pronto soccorso Attila vestiva in uniforme organizzativa col camice bianco e faceva finta di essere un nuovo arrivato; gli specializzandi nuovi arrivati, infatti, girano solitamente con un quadernone sul quale prendono appunti e stanno zitti, fanno gli etnografi!. Anche qui, posizione privilegiata del ricercatore? Duplice risposta, perch come possiamo immaginare, in un pronto soccorso appena un utente (pazienti e parenti) vede una persona col camice bianco la blocca chiedendo le pi svariate informazioni. Questo da un lato era unottima occasione per cogliere le domande della gente e osservare i loro comporta -menti, ma daltro canto, come gestire questa situazione? La risposta che Attila aveva imparato a dare era la seguente : il mio primo giorno di lavoro, sono uno specializzando e non so molto!. Ecco, chi vorrebbe farsi visitare da un medico specializzando al primo giorno di lavoro? Questo stato un ottimo escamotage per sbrogliarsi da una situazione difficile e impegnativa. C da dire anche che i pazienti sono furbi, dopo un po riuscivano benissimo a capire che Attila non era un vero medico. Lidentit di ricercatore di Attila era svelata agli operatori del Servizio, ma celata ai pazienti. Talvolta svelarla a questi ultimi era unottima occasione per ricevere molteplici informazioni e per vedere anche la percezione che loro avevano del SOCIOLOGO: Ah lei un sociologo? Ma non mi fa un questionario?. Questa risultata essere spesso la visione del sociologo come colui che fa sondaggi e questio -nari, come una persona a cui raccontare molto e si sa le persone in ambulatorio hanno tanto da dire!. Questo era ottimo anche per i medici, perch Attila poteva fungere da catalizzatore di attenzione, alleviare lo stress dovuto al tempo dellattesa e poi quando si parla, si sta un po meglio!. II. Il secondo elemento della triade inizialmente nominata sono GLI OGGETTI che Attila ha incon-trato, in particolar modo, nella sua ricerca di dot-torato, che aveva come oggetto di studio il tele -consulto. Il teleconsulto medico consiste nella possibilit per i medici, di valutare un particolare caso clinico attraverso lanalisi del maggior nume -ro possibile di informazioni a loro disposizione e richiede l'attivazione di un sistema interattivo di

  • comunicazione tele -audio-visivo il quale, attraver-so lo scambio di immagini e di informazioni clini-che, consente di sottoporre a giudizio diagnostico i dati teletrasmessi dagli specialisti del settore situati in sedi distanti tra loro. Questa unattivit che si verifica non solo a livello specialistico ma anche nei casi in cui, ad esempio, un paziente chiama il proprio dottore dicendogli che ha 39 di febbre e lui gli risponde di prendere la tachipirina. Questo iniziale progetto di ricerca si trasformer fin da subito perch nella struttura in cui Attila doveva fare etnografia non era stato ancora realizzato il suddetto teleconsulto. Cambia log-getto di ricerca, quindi, che diventa le Cartelle Cliniche Informatizzate (CCI) introdotte in un reparto di oncologia. Questo un esempio di come durante letnografia dobbiamo essere pronti agli imprevisti, a cambiamenti repentini perch il materiale con cui si ha a che fare vivo, in movimento e mutamento continuo. Ecco che Attila si trova a dover seguire, a fare da ombra ad un oggetto fisico, una cartella clinica. Il problema che incontra a livello organiz zativo e burocratico risulta essere il fatto che fino al 2000 cerano solo cartelle cliniche cartacee, circa 33.000, che farne? Non si informatizzano, riman-gono nellarchivio. Dal 2001 inizia la fase di infor-matizzazione e quindi lintroduzione delle CCI. Altri problemi: il software non riconosce la firma del medico responsabile, necessaria per la chiusura di ogni caso e, inoltre, la numerazione che le CCI prevedono riparte da 1 e non sussegue quella delle cartelle cartacee; ecco che gli infermieri devono comunque stampare la CCI per farla firmare dal medico e per rinumerarla in mo-do congruo con la precedente numerazione. Servi-r quindi larchivio per le copie cartacee delle CCI. Questultime, quindi, se da un lato permettono di avere un database comune con le informazioni dei pazienti, non diminuiscono i passaggi burocratici e, anzi, probabilmente aumentano le difficolt gestionali. Attila ci racconta della sua esperienza di visita dellarchivio delle cartelle accompagnato da un infermiere. Cerano delle teche bianche ed altre rosse. Attila chiede come funziona una cartella, linfermiere prende una cartella dalla teca bianca spiegando che si trattava di una cartella cartacea e gliela mostra. A questo punto Attila deduce che la differenza di colore corrispondeva alla informa-tizzazione o meno della cartella (le rosse erano quindi CCI). Ma non era cos, sarebbe stato troppo semplice! In realt attraverso poi varie fonti arrivato a capire che la differenza di colore coincideva con il cambio del primario del reparto che appena giunto la prima cosa che ha cambiato stato il colore delle cartelle!. A dirla

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    tutta poi Attila non si era sbagliato pi di tanto perch il cambio del primario era avvenuto poco dopo lintroduzione delle CCI ma, comunque, la ragione era unaltra. Questo mostra come il confronto con gli altri, il porre domande, anche quelle che si ritengono stupide o ovvie sia un importante backtalk, un modo per interpellare i nativi sullappropriatezza delle proprie interpretazioni della loro cultura. Per seguire loggetto, e quindi fare da shadowingad un oggetto, Attila ha iniziato a recarsi in tutti i posti in cui quelloggetto (la CCI) si manifestava: cos entrato a contatto con ambulatori pubblici, luoghi di accettazione (in cui le CCI servono per gestire le prenotazioni), studi medici dove i dottori si riunivano per discutere di casi clinici. Ha scoperto anche i luoghi in cui non si manifestava loggetto come, ad esempio, al letto del paziente nellospedale dove si ha invece la cartella cartacea ( ancora difficile, anche se non fantascienza, pensare ad un medico che fa il suo giro dei pazienti con un palmare o un portatile, e poi ci sono anche infermieri che non sanno utilizzare la procedura informatizzata). Ma perch focalizzarsi su gli oggetti? Questa scelta ha a che vedere con la materialit del mondo in cui viviamo, ogni giorno abbiamo a che fare con oggetti di ogni tipo e anche in un ospedale molteplici attivit si appoggiano ad un oggetto, a partire dalla cartella clinica. III. Il terzo elemento, i SOGGETTI, sono stati incontrati nelle prime ricerche. Ci illustra a propo-sito una ricerca in cui, utilizzando la tecnica dello shadowing, ha seguito una consulente per quattro mesi. Ci suggerisce come esempio di shadowingun testo del 2001 di David Lodge Ottimo lavoro professore, in cui si racconta, a grandi linee, di una ricercatrice che, nel periodo di governo di Margaret Thatcher nel Regno Unito (anni 80-90), viene mandata in una fabbrica a fare da ombra ad un manager. Il significato del fare da ombra ha una duplice lettura: da un lato si lombra, si riflette lombra di qualcuno, dallaltro lato facciamo ombra, si riflette un ombra su qualcuno. Questo implica un gioco di reciprocit, di scambio continuo fra le parti. Nella ricerca di Attila, in particolare, questo gioco stato spesso pesante, difficile e anche stressante per vari motivi: primo a lui non piaceva lei; secondo a lei non piaceva lui; terzo, nel mondo della consulenza in cui era approdato lo trattavano come un punkabbestia. Questa ultima questione si riferiva al fatto che Attila aveva un modo di vestire poco consono a quel mondo fatto di giacca e cravatta; i suoi capelli lunghi, gli orecchini, le scarpe da ginnastica

  • stonavano in quella realt, tant che fu ripresto anche dalla segretaria mamma di tutti dellor-ganizzazione che un giorno gli disse: Labito non fa il monaco e la scrivania non fa il manager! (Trasposizione odierna de Letica protestante e lo spirito del capitalismo, di Weber). Attila not, tra laltro, che questo comportamento della segretaria si ripet anche con degli altri nuovi arrivati che entro una settimana non avevano adeguato il loro abbigliamento a quello previsto dallazienda. La signora suggeriva, addirittura, il negozio dove andare! Da questo aneddoto vediamo come il ricercatore debba continuamente negoziare la propria identit per evitare di perdere il legame col campo e la fiducia con i nativi. Gli ultimi chiarimenti, precisazioni fanno riferi-mento alla reattivit, il cambiamento del compor-tamento altrui dovuto alla presenza del ricercato-re; un problema? Attila risponde dicendo: Fa parte del gioco!. Il ricercatore sta sul campo per molto tempo ed difficile che gli attori fingano per tutto il periodo della ricerca. Nei contesti in cui Attila entrato, inoltre, trattandosi di ospedali, le persone stavano lavorando e non potevano astenersi dal farlo o farlo in modo molto diverso da come avrebbero fatto solitamente. Perci la reattivit va messa in conto ma risulter un fattore che non necessariamente provoca distor-sione, almeno non in modo uguale per tutta la durata del lavoro sul campo. Altro momento cui deve far fronte il ricercatore la sensazione che non stia succedendo nulla, possono esserci anche ore in cui sembra che non accada niente di particolarmente rilevante. Come riempire questi vuoti? Attila li impiega per fare disegni e piantine dei luoghi. La mappatura dei luoghi molto importante per letnografia, permette di chiarire lorientamento dello spazio, degli oggetti e delle stanze e pu risultare molto utile anche ai lettori futuri che potranno capire meglio lorganizzazione spaziale del luogo osser-vato e potranno muoversi insieme al ricercatore. Tutto pu essere un dato.

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    Un consiglio per riprendere fiato dopo i lunghi momenti di lavoro sul campo alternare questi ultimi a periodi di studio a tavolino, in cui stac-care la spina per curare le parti del diario e riordi-nare gli appunti e il materiale acquisito. Attila, ad esempio, alternava due settimane di lavoro sul campo ad una settimana a casa. Questi sono momenti utili per il confronto del ricercatore con la documentazione empirica che di volta in volta acquisisce dalle osservazioni. Ma come interpreta -re i dati? Non esiste una ricetta precisa e a questo proposito ci propone un testo di Becker H. Trucchi del mestiere, dove sono contenuti alcuni indizi e suggerimenti utili per interpretare i dati raccolti. Attila, ad esempio, per interpretare la ricerca che aveva svolto sul mondo della consulenza ha utiliz-zato la metafora della pallacanestro, riferendosi anche al linguaggio spesso usato dai membri dellorganizzazione (parlavano spesso di team, gioco ). Questinterpretazione stata il frutto di unilluminazione venuta fuori durante una chiac-chierata con amici che gli spiegavano il funziona-mento della pallacanestro, dei vari ruoli dei gioca -tori e, ad Attila, sembrato calzare con quello che fino ad allora aveva osservato. Ci saluta con un ultimo riferimento a Hess, D.J. (2001, Ethnography and the Development of Sciente and Technology Studies, in The Sage Handbook of Ethnography, edited by Atkinson, P., Coffey, A., Delamont, S., Lofland, J. and Lofland, L., Thousand Oaks, Ca: Sage): com fatta una buona etnografia? 1.Deve dimostrare una conoscenza approfondita

    dellambiente e del fenomeno in studio. 2.Deve contribuire ad un qualche dibattito

    teorico. 3.Deve contenere delle sorprese, degli elementi

    inaspettati.

  • .: Professione Studente Francesco Remotti ha recentemente pubbli-cato un libro dal titolo Contro natura, Un lettera al papa, (Editori Laterza, 2008). Di seguito pubblichiamo una scheda del libro, curata da Manuela Ronco, e la prima delle due lettere riportate nel testo. A cura di Manuela Ronco Negli ultimi anni, dai discorsi di Papa Benedetto XVI e di altri esponenti della Chiesa Cattolica, emerge una forte preoccupazione per la diffusio -ne di una cultura moderna ispirata a laicit, consumismo, logica del profitto e altri principi in contrasto con il cristianesimo. Un monito in particolare diretto alla societ europea, o pi in generale occidentale, la quale starebbe perdendo di vista le sue radici cristiane e il suo compito di diffondere nel mondo il messag-gio di Dio. Secondo Ratzinger, lEuropa non pu ignorare lesistenza di ununica verit sulluomo e non farsi portatrice di una legge morale naturale e universale. La Chiesa afferma di rispettare le culture diverse dalla propria, ma rifiuta di porle tutte sullo stesso piano. Essa disapprova apertamente quelle forme di umanit che si allontanano dal proprio modello stabile e perfetto, in quanto rivelato da Dio e che vengono perci bollate come contro natura. Ma la condanna rivolta soprattutto a quelle posizioni relativiste (assunte spesso dalle istituzio -ni internazionali), che vedono nel pluralismo etico la base per la difesa della democrazia e dei diritti umani. Di fronte agli attacchi sferrati da Benedetto XVI contro il relativismo, un antropologo e docente di antropologia culturale sente il dovere di risponde-re in difesa di questo atteggiamento, punto di partenza del proprio sapere e della propria disci-plina. ci che si propone Francesco Remotti, nel suo saggio intitolato Contro natura. Una lettera al Papa (Edizioni Laterza). Con la stessa umilt che lantropologo deve usare nello studio dellAltro, egli si rivolge a Benedetto XVI e ai suoi seguaci senza intenti polemici, cercando invece di comprendere e di offrire una chiave di lettura a un dibattito che va avanti da tempo. Nella prima parte del libro, Remotti porta come e-sempio alcuni pensatori del Seicento francese per presentare due prospettive diverse con cui pu essere interpretata lumanit. Mentre la prima cerca di stabilire un modello universale, la secon-da accetta la propria incertezza e parzialit. Ai relativisti va riconosciuto almeno un vantaggio:

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    quello di poter comprendere sia la diversit e la mutevolezza delle soluzioni umane, sia gli sforzi degli altri di individuare una natura umana certa e fissa. Laspirazione alla stabilit non , infatti, una caratteristica esclusiva dei pensatori assolutisti. Essa si ritrova, in misura diversa, in tutte le societ, tanto da sembrare una necessit insita in ogni uomo. Ma una distinzione pu essere tracciata tra due modelli di soluzioni trovate, in tempi e luoghi diversi, per rispondere a questo bisogno. Ci sono gruppi in cui il tentativo di consolidare e concettualizzare la propria societ riconosce la pluralit dei tipi umani e dei loro costumi, tutti legittimi e validi al pari dei propri. In altre societ, invece, la stabilizzazione assoluta, definitiva. Essa pu fondarsi su concetti diversi come quelli di Natura, Ragione, Storia o Rivelazione Divina, per individuare un modello di umanit che ammette le alterit solo come devia -zioni o imperfezioni. Dalla questione della stabilit, la riflessione di Remotti si sposta su un tema che mette daccordo due ideologie spesso altrove discordanti: quella della modernit occidentale e quella della Chiesa Cattolica. La seconda parte del testo, intitolata Forme di famiglia, tratta di come la pretesa naturalit della famiglia nucleare monogamica sia in contrasto con lestrema variet di soluzioni famigliari presenti nel mondo e nella storia. Dopo aver analizzato questa molteplicit, e i diversi tentativi di interpretarla, la proposta dellantropo-logo quella di rinunciare a farvi ordine o a defi-nire in modo certo i confini di ci che pu essere considerato una famiglia. Pi utile cercare le somiglianze e le differenze, comprendere i legami che intercorrono tra i modi in cui le societ organizzano la vita domestica, le relazioni amoro -se e sessuali, la procreazione, eccetera. La parte conclusiva del libro si intitola Chi contro natura? e si apre con lillustrazione di alcuni casi che possono apparire chiari esempi di deviazione o di perversione. Tuttavia, alcune societ sono riuscite ad inglobare queste forme di alterit, a trovare loro uno spazio in cui fossero non solo tollerate, ma addirittura valorizzate. Largomenta -zione rivolta a dimostrare come il concetto stesso di natura abbia ben poco di naturale e molto di costruito. Non esiste una natura umana definita solamente da fattori biologici, indipenden-temente da fattori culturali. Alcune culture ricono-scono esplicitamente il carattere di finzione e di incertezza dei propri processi antropo-poietici. In altri casi larduo compito di stabilire il modo pi

  • giusto di essere uomini affidato ad una divinit, che ne garantisce la validit e lassolutezza. Ma poich si tratta sempre di costruzioni, possiamo ritenere che non esista cultura che non si allontani in qualche modo dalla condizione naturale. Anche quella del Cristianesimo rappresenta un grande tentativo di edificazione dellumanit, che contiene molti elementi contro naturali e contraddittori. Alla loro analisi dedicato lultimo capitolo. In esso appare chiaro che lantropologia pu trattare il concetto di contro natura solo come uneti-chetta che alcune culture usano nei confronti di altre, e cercare di indagarne i motivi. Nellepilogo lautore torna a rivolgersi direttamen-te al Papa. Tirando le fila del proprio discorso, egli osserva di essere andato oltre ad una mera apolo -gia del relativismo. Questo certamente un punto di partenza irrinunciabile dellantropologia, ma constatare la pluralit di culture e valori non sufficiente. Lobiettivo principale quello di indivi-duare temi comuni e cercare connessioni, affinit e divergenze. Linvito finale quello che tutti, non solo gli antropologi, possano riprendere un po di quella saggezza propria di molte culture altrui: una saggezza permeata dal senso di relativit, e che per questo tende a comprendere piuttosto che escludere. Contro natura unopera che si inserisce certa-mente in un dibattito molto attuale. Le posizioni che la Chiesa ufficiale assume su diverse questio -ni, in particolare quelle considerate eticamente sensibili, sono forti e non negoziabili. Se, da un lato, esse hanno un peso rilevante sulle coscienze individuali, dallaltro lato sono spesso contestate dai sostenitori della laicit, credenti o non credenti che siano. Ritengo che lelemento interculturale giocher un ruolo importante nel

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    delineare gli esiti di queste diatribe. Nella nostra societ convivono ormai culture diverse e sappiamo come questo incontro possa sfociare tanto nel dialogo, quanto nella chiusura, nel fondamentalismo, nella violenza. La Chiesa deve decidere in modo chiaro da che parte vuole stare, in che direzione vuole lavorare. Insistere nel proporre una morale assoluta, unica o comunque superiore a tutte le altre, non pu portare che allo scontro. Ci si pu domandare se esista unalter-nativa, che non si traduca nella rinuncia ai propri valori e nellaccettazione della decadenza della propria cultura. Sembrerebbe di s. Non solo mol-te persone che continuano a dichiararsi fedeli si ritengono libere, nelle loro scelte individuali, di interpretare in modo autonomo il messaggio cristiano. Anche diversi teologi ed esponenti della Chiesa hanno assunto posizioni a favore della laicit, del riconoscimento alle altre religioni di pari dignit e diritti, del confronto aperto e dispo-nibile. Essi accettano di scendere dalla cattedra e di fare autocritica, consapevoli che relativismo non necessariamente indifferenza o qualunquis -mo, ma ricerca, interscambio, mettere la propria identit a servizio degli altri ed essere disponibili ad apprendere da essi (Cfr. "Cristianesimo e societ non confessionale. Manifesto sottoscritto da 35 teologi spagnoli, riportato su http://www.cdbitalia.it/SCH_22.htm. Vedi anche le riflessioni di don Franco Barbero in http://donfrancobarbero.blogspot.com/2006/10/laicit-nella-bibbia-nella -chiesa-nella.html).

  • .: Professione Antropologo Pubblichiamo, di seguito, la lettera al Papa che apre il testo di Remotti, lasciando al lettore il piacere di scoprire la seconda, scritta dallautore al termine della stesura del libro. Francesco Remotti, Contro natura, Un lettera al papa, Editori Laterza, 2008 Lettera al Papa (parte prima) 24 luglio 2007 Santit, come molti altri cittadini italiani e del mondo, seguo con attenzione le manifestazioni del Suo pensiero n del resto si pu dire che i mezzi di comunicazione siano mai stati avari nel diffondere le Sue idee e far conoscere le Sue opinioni in merito ai molti problemi che caratterizzano il nostro tempo. Di questi tempi, in Italia, stato aperto un dibattito culturale, politico e parlamen-tare sulla possibilit di riconoscimento civile delle unioni o delle forme di convivenza che per un qualche aspetto non coincidono con la famiglia normalmente intesa, e Lei intervenuta, e di continuo interviene, su questo tema con argo-menti, principi e concetti, che a mio modo di vedere meritano - prima di essere accettati o rifiutati - una riflessione adeguata e possibilmente approfondita. Mi rendo conto che ben difficilmente le considerazioni contenute in queste pagine giungeranno direttamente fino a Lei. Confido per che alcuni uomini di Chiesa, interessati alla problematica citata, avvertano un qualche interes-se per quanto potranno o vorranno leggere in questo scritto, anche se si tratta di idee e di riflessioni contrarie, per la loro maggior parte, a quanto la Chiesa Cattolica Romana va predicando in questo periodo. Il primo tema di riflessione riguarda la mia posizione e i motivi che mi inducono a scriverLe superando un comprensibile ritegno iniziale: la prima volta (e suppongo anche lultima) che mi decido a indirizzare un mio scritto direttamente a un Papa. Mi succede di pensare che anchio occupo una cattedra, una cattedra universitaria, dalla quale cerco di trasmettere ai miei studenti una serie di concetti e di nozioni, di dati e di problemi, di teorie e di prospettive, che presumo siano loro di qualche utilit e che, di questi tempi, si incrociano per in maniera conflittuale con quanto Lei va diffondendo, insieme ad altri uomini di Chiesa. La materia che insegno si chiama Antropologia culturale, e devo dire che gli studenti seguono tale insegnamento con interesse ed

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    Edizione n.2/2008 Anno V Aprile 2008 2007 Anno IV Maggio 2007

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    entusiasmo. forse proprio questo entusiasmo ci che mi spinge a scriverLe, giacch ripeto i contenuti del mio insegnamento rischiano troppe volte, di ques