Direttore: DENIS UGOLINI Laicità P - energienuove.eu · di civiltà straordinario con tanti...

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Direttore: DENIS UGOLINI NUMERO 3 - NOVEMBRE/DICEMBRE 2015 Pag. 2 - E tutto resta fermo Davide Giacalone Pag. 3 -Un partito al servizio del cambiamento Sandro Gozi Pag. 4 - Il partito Starbucks Francesco Gualdi Pag. 5 - Cosè la sinistra? Giampaolo Castagnoli Pag. 6 - PD Cesena: Un partito aperto e primarie serie? Pag. 7 - Una certa idea dell'Italia Luigi Tivelli Pag. 8/9 - Oncologia in Romagna Dino Amadori Pag. 10 - Riadattare il welfare anche al multiculturalismo Stefano Mancini Pag. 11 - Vaccinazioni: informazioni precise non chiacchiericcio Arturo Alberti Pag. 12/13 - La giusta reazione Massimo Bonavita Pag. 14/15 - Eutanasia e testamento biologico Denis Ugolini Pag. 16 - Il mio testamento Denis Ugolini Pag. 17 - Una nuova società di mezzo Giuseppe Corzani Pag. 18 - Imprese e rappresentanza Maddalena Forlivesi Pag. 19 - Manca ancora una visione del ter5itorio Stefano Bernacci Pag. 20/21 - Innovazione e territorio Franco Pedrelli Pag. 22/23 - Cesena. Il caso "Piazza della Libertà" Pag. 24 - Cittadini protagonisti Emanuele Chesi Pag. 24 - Cinque paletti Pietro Castagnoli Pag. 25 - Collezioni da "privato" a "pubblico" Giampiero Teodorani Pag. 26/27 - Il saluto dei cesenati a Renato Serra Maurizio Ravegnani Pag. 28 - Cesena, città senza Museo Orlando Piraccini Pag. 29 - Un uomo di fede Guido Pedrelli Pag. 30 - La Brigata Ebraica per la liberazione della Romagna Piero Altieri Pag. 31 - "Caro Papa, liberaci dal male" Francesco Ciotti Pag. 32 - L'Italia bella Lucio Cangini Pag. 33/34/35 - Rage against ebola Valeria Burin Pag. 36 - Rete oncologica Romagna. Fare presto per fare bene Laicità Non sono in guerra le religioni. Il fondamentalismo, i fondamentalismi, sempre, hanno fatto e fanno guerra alla ragione, alla ragionevolezza, alla reciproca accettazione: umani, diversi, uguali. Conviviamo se ci accettia- mo, ci rispettiamo, ci diamo regole e leggi che definiscono e tutelano la convivenza dei reciproci rispetti, delle re- ciproche libertà. La libertà che non lede la libertà. L’organizzazione statuale, istituzionale che presidia difende sviluppa questa convivenza. Il sistema di valori che ci fa tutti “occi- dentali”: il fondamentalismo attacca questo sistema. La civiltà, il sistema di vita conquistato. Ideologie dif- ferenti, contrapposte? Sistemi sociali e politici, organizzazioni di potere concorrenti e conflittuali? Storia lunga di guerre, nefandezze di ogni tipo. Il mondo procede, cambia, continua. Migliora, cresce, comprende. Si accultura e responsabilizza. Ci siamo portati a uno stadio di civiltà straordinario con tanti problemi e con ancor migliore futuro, di libertà, convivenza, progresso. La radicalità della guerra fon- damentalista è contro la laicità. Cava questa e depauperiamo le accezioni stesse di sistemi democratici, di sistemi di valori avanzati moderni illuministici; il siste- ma dei valori delle società democratiche di ogni tipo e di quelle occidentali. Quel fondamentalismo, quei fonda- mentalismi vanno duramente combattuti. Comunità internazionale, Stati, popoli. Cultura, po- litica. Visione, coesione, de- terminazione, progetto, re- sponsabilità. La reazione for- te, istintiva, subito; la paura a seguire, la pavidità e la convenienza. Se la laicità invece di crescere e affermarsi comincerà a sgretolare per rivoli infinitesimali e impalpabili, può segnar punti l’oscurantismo dei fonda- mentalismi. Ma quelle radici la storia le ha vieppiù viste penetrare al profondo, con forza crescente. Da quella laicità, inequivocabile connotato, della “superiore civiltà” che viviamo e partecipiamo saranno vinti il fondamentalismo e le sue guerre. Ubaldo. Il nostro Direttore responsabile. Il terribile male ce l'ha strappato. Prepotente, violento, veloce. Il vuoto non è questo, non è editoriale. Il vuoto sofferto, di indicibile commozione, è nel cuore, nella mente, nel ricordo della lunga piena vera amicizia. Fin dall'inizio della conoscenza e dell'incontro con quel trio amichevole che mi è sempre stato innanzi come unicum (invidiabile per quella simbiosi di rara e vera amicizia): Daniele, Ubaldo, Cico. Me ne sono appropriato e con- tinuo a sentirmene interno. Nella militanza della gioventù repubblicana, quando cominciò, e poi a seguire, sempre. Nelle differenze politiche, dentro e fuori il partito. Insignificanti rispetto alla passione, alla convinzione, alla dedizione totale, ideale, morale, di una prospettiva, di un orizzonte motivanti il nostro impegno comune, solido, preciso, senza sbavature. Demagogie, retoriche, imbellettamenti ad effetto: mai avuto bisogno di queste schifezze senza senso, inservibili. Sostanza, piena immediata, empatia piena. Tutto questo sì. Ti guardi, ti senti, anche quando si è lontani molto e per più tempo. Sempre lì insieme di fatto, invece. Arguto, colto, preparato, ironico, gioviale, aperto, laico a tutto tondo, intelligente, simpaticissimo. A fuoco in quell'insieme di persona straordinaria, con me in una emotività intrecciata complessa, l'ho pensato, gli ero appresso, ne sentivo il dolore , la sua sofferenza, lui là in quell'altra clinica, dove quel male lo sapevo lo stava incalzando, violento e prepotente. Pochi giorni fa. Non mi ha neppure sfiorato che stesse vivendo quel dolore indicibile accompagnandosi rabbio-samente a deprecarlo e maledirlo. Gli sentivo un altro dolore, più atroce, ma più vivo della sua più vera intima umanità e personalità. Al cospetto dei suoi affetti più profondi ed intensi, all'avvicinarsi di quel fugace, luminosissimo trapasso che in un bagliore folgorante sei tu, sono la tua vita. Meraviglia e meravigliosa. Poi nulla. Buio. Tu non più. Ma tu ancora. Eccome! Nei tuoi ragazzi, per i tuoi ragazzi; per tua moglie, la tua famiglia. Per i tuoi amici caro Ubaldo. Magari in altro modo, ma anche per quanti ti hanno conosciuto. Mi tradisce l'emozione? C'è un'enfasi che non deve? Senz'altro l'emozione. Mi fermo. Penso. Freddo. Ed eccoti. Pulito, amico, di comuni visioni, ideali, passioni, battaglie. Una gran bella persona. Il mio Direttore responsabile. Lo fai? Ubaldo. Non sono iscritto a nessun albo non posso esserlo io. Sicuro. E credo con gioia e piacere. Ed ecco in coppia questo Energie Nuove, fin dall'inizio. In totale fiducia. Amici veri. Amico Ubaldo

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Direttore: DENIS UGOLINI

NUMERO 3 - NOVEMBRE/DICEMBRE 2015

Pag. 2 - E tutto resta fermoDavide Giacalone

Pag. 3 -Un partito al servizio delcambiamentoSandro Gozi

Pag. 4 - Il partito StarbucksFrancesco Gualdi

Pag. 5 - Cosè la sinistra?Giampaolo Castagnoli

Pag. 6 - PD Cesena: Un partito apertoe primarie serie?

Pag. 7 - Una certa idea dell'ItaliaLuigi Tivelli

Pag. 8/9 - Oncologia in RomagnaDino Amadori

Pag. 10 - Riadattare il welfare anche almulticulturalismoStefano Mancini

Pag. 11 - Vaccinazioni: informazioniprecise non chiacchiericcioArturo Alberti

Pag. 12/13 - La giusta reazioneMassimo Bonavita

Pag. 14/15 - Eutanasia e testamentobiologicoDenis Ugolini

Pag. 16 - Il mio testamentoDenis Ugolini

Pag. 17 - Una nuova società di mezzoGiuseppe Corzani

Pag. 18 - Imprese e rappresentanzaMaddalena Forlivesi

Pag. 19 - Manca ancora una visione delter5itorioStefano Bernacci

Pag. 20/21 - Innovazione e territorioFranco Pedrelli

Pag. 22/23 - Cesena. Il caso "Piazzadella Libertà"

Pag. 24 - Cittadini protagonistiEmanuele Chesi

Pag. 24 - Cinque palettiPietro Castagnoli

Pag. 25 - Collezioni da "privato" a"pubblico"Giampiero Teodorani

Pag. 26/27 - Il saluto dei cesenati aRenato SerraMaurizio Ravegnani

Pag. 28 - Cesena, città senza MuseoOrlando Piraccini

Pag. 29 - Un uomo di fedeGuido Pedrelli

Pag. 30 - La Brigata Ebraica per laliberazione della RomagnaPiero Altieri

Pag. 31 - "Caro Papa, liberaci dal male"Francesco Ciotti

Pag. 32 - L'Italia bellaLucio Cangini

Pag. 33/34/35 - Rage against ebolaValeria Burin

Pag. 36 - Rete oncologica Romagna.Fare presto per fare bene

LaicitàNon sono in guerra le religioni.Il fondamentalismo, i fondamentalismi, sempre,hanno fatto e fanno guerra alla ragione, allaragionevolezza, alla reciproca accettazione:umani, diversi, uguali.Conviviamo se ci accettia-mo, ci rispettiamo, ci diamoregole e leggi che definisconoe tutelano la convivenza deireciproci rispetti, delle re-ciproche libertà. La libertàche non lede la libertà.L’organizzazione statuale,istituzionale che presidiadifende sviluppa questaconvivenza. Il sistema divalori che ci fa tutti “occi-dentali”: il fondamentalismoattacca questo sistema. Laciviltà, il sistema di vitaconquistato. Ideologie dif-ferenti, contrapposte? Sistemi sociali e politici,organizzazioni di potere concorrenti econflittuali? Storia lunga di guerre, nefandezzedi ogni tipo. Il mondo procede, cambia, continua.Migliora, cresce, comprende. Si accultura eresponsabilizza. Ci siamo portati a uno stadiodi civiltà straordinario con tanti problemi e conancor migliore futuro, di libertà, convivenza,

progresso. La radicalità della guerra fon-damentalista è contro la laicità. Cava questa edepauperiamo le accezioni stesse di sistemidemocratici, di sistemi di valori avanzati

moderni illuministici; il siste-ma dei valori delle societàdemocratiche di ogni tipo edi quelle occidentali. Quelfondamentalismo, quei fonda-mentalismi vanno duramentecombattuti.Comunità internazionale,Stati, popoli. Cultura, po-litica. Visione, coesione, de-terminazione, progetto, re-sponsabilità. La reazione for-te, istintiva, subito; la pauraa seguire, la pavidità e laconvenienza.Se la laicità invece di cresceree affermarsi comincerà a

sgretolare per rivoli infinitesimali e impalpabili,può segnar punti l’oscurantismo dei fonda-mentalismi. Ma quelle radici la storia le havieppiù viste penetrare al profondo, con forzacrescente. Da quella laicità, inequivocabileconnotato, della “superiore civiltà” che viviamoe partecipiamo saranno vinti il fondamentalismoe le sue guerre.

Ubaldo. Il nostro Direttore responsabile.Il terribile male ce l'ha strappato. Prepotente,violento, veloce. Il vuoto non è questo, non èeditoriale. Il vuoto sofferto, di indicibilecommozione, è nel cuore, nella mente, nelricordo della lunga piena vera amicizia. Findall'inizio della conoscenza e dell'incontro conquel trio amichevole che mi è sempre statoinnanzi come unicum (invidiabile per quellasimbiosi di rara e vera amicizia): Daniele,Ubaldo, Cico. Me ne sono appropriato e con-tinuo a sentirmene interno.Nella militanza della gioventù repubblicana,quando cominciò, e poi a seguire, sempre. Nelledifferenze politiche, dentro e fuori il partito.Insignificanti rispetto alla passione, allaconvinzione, alla dedizione totale, ideale,morale, di una prospettiva, di un orizzontemotivanti il nostro impegno comune, solido,preciso, senza sbavature. Demagogie, retoriche,imbellettamenti ad effetto: mai avuto bisognodi queste schifezze senza senso, inservibili.Sostanza, piena immediata, empatia piena. Tuttoquesto sì. Ti guardi, ti senti, anche quando si èlontani molto e per più tempo. Sempre lì insiemedi fatto, invece. Arguto, colto, preparato, ironico,gioviale, aperto, laico a tutto tondo, intelligente,simpaticissimo. A fuoco in quell'insieme dipersona straordinaria, con me in una emotività

intrecciata complessa, l'ho pensato, gli eroappresso, ne sentivo il dolore , la sua sofferenza,lui là in quell'altra clinica, dove quel male losapevo lo stava incalzando, violento eprepotente. Pochi giorni fa. Non mi ha neppuresfiorato che stesse vivendo quel dolore indicibileaccompagnandosi rabbio-samente a deprecarloe maledirlo.Gli sentivo un altro dolore, più atroce, ma piùvivo della sua più vera intima umanità epersonalità. Al cospetto dei suoi affetti piùprofondi ed intensi, all'avvicinarsi di quel fugace,luminosissimo trapasso che in un bagliorefolgorante sei tu, sono la tua vita. Meravigliae meravigliosa. Poi nulla. Buio. Tu non più. Matu ancora. Eccome! Nei tuoi ragazzi, per i tuoiragazzi; per tua moglie, la tua famiglia. Per ituoi amici caro Ubaldo. Magari in altro modo,ma anche per quanti ti hanno conosciuto. Mitradisce l'emozione? C'è un'enfasi che non deve? Senz'altro l'emozione. Mi fermo. Penso. Freddo.Ed eccoti. Pulito, amico, di comuni visioni,ideali, passioni, battaglie. Una gran bellapersona. Il mio Direttore responsabile. Lo fai?Ubaldo. Non sono iscritto a nessun albo nonposso esserlo io. Sicuro.E credo con gioia e piacere. Ed ecco in coppiaquesto Energie Nuove, fin dall'inizio. In totalefiducia. Amici veri.

Amico Ubaldo

di Davide Giacalone*

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Attraversiamo da incoscientiuna parentesi di stabilitàfinanziaria. Le condizioni dimercato sono favorevoli, ma leusiamo per galleggiarci sopra,senza navigare. La tradizionalefaziosità della nostra vitapubblica (non solo politica)spinge sempre a leggere le cosein chiave di pro o contro qual-cuno o qualcosa. E’ assaisciocco, come in conclusioneproverò a dire. Prima osser-viamo lo scenario nel quale ci

si muove. E’ irreale il mondo dei tassi d’interesse a zero,quando non negativi. Nel rogo della speculazione sui debitisovrani è stato un buon estintore, azionato dalla Bancacentrale europea con saggezza, sebbene in ritardo. Ma lo siusa per spegnere le fiamme, non per irrigare le piante. Allalunga droga il paziente che aveva prima calmato. Inoltre haagito bene come sintomatico,ma non sprigiona effettiterapeutici.Guardiamo a quel che accadein casa nostra: grazie allariduzione artificiale dei tassid’interesse s’è realizzato ilpiù consistente taglio dellaspesa pubblica, relativa alcosto del debito. Ciò avrebbedovuto favorire gli altri tagli,destinati a comprimere laspesa corrente e permanente,ma non ci sono stati .Mancando quelli manca ilcalo drastico della pressionefiscale, il che riduce a unsospiro la crescita del mercatointerno e dell’occupazione.Eppure tassi così bassi do-vrebbero favorire indebitamento privato, consumi einvestimenti. Perché non partono in misura adeguata? Capitaperché in un mercato dinamico ed a indebitamente diffuso,come gli Stati Uniti, rendere conveniente l’accesso ai soldisignifica spingere cittadini e imprese a prenderli e usarli.Anche lì, però, fra mille dolori e titubanze, sanno che nonpuò durare ed è imminente un iniziale, lento, rialzo dei tassi.Da noi non funziona perché l’indebitamento è per gran partepubblico, sicché renderlo meno oneroso non spinge il mercato,ma la spesa pubblica, che, però, ha già raggiunto vettespropositate, per cui si stabilizza nella sua enormità. E tuttoresta fermo.Perché con tassi negativi, talché prestare soldi allo Statocomporta una spesa, anziché un guadagno, quei titoli sicontinua a comprarli? In parte lo si deve a risparmiatorifossilizzati, cui si rifila una fregatura, impoverendoli (glialtri comprano prodotti che li aiutano a investire i proprisoldi sparpagliando rischi e opportunità in giro per il mondo,con il risultato di spingere la crescita altrove). In parte lo sideve a fondi pensionistici, che è meglio li investano in quelche non rende piuttosto che, come s’è messa a fare la Cassadepositi e prestiti, in quel che perde. In buona parte si deve

al fatto che la massa di liquidità che le banche si trovanoin pancia non si traduce in prestiti, perché banchesottocapitalizzate non possono esporsi a rischi troppo alti,ed è troppo costoso lasciarla in custodia alla Bce, che perinvogliare la circolazione del denaro ha reso onerosi idepositi. Quindi si sceglie l’impiego meno oneroso, benchénon remunerativo. Ecco perché le aste del debito pubblicocontinuano a trovare compratori.Il tasso d’interesse, inoltre, è anche un segnalatore di rischio:più è alto più, ragionevolmente, se ne corrono. Quando èa zero vuol dire che non ci sono rischi? E’ vero il contrario:al primo sobbalzo i rischi schizzano al cielo, tanto che c’èchi vuole introdurre l’ipotesi del non rimborso immediatodei titoli pubblici. E questa è una ulteriore distorsione.Morale: la Bce ha fatto bene ad allargare i cordoni, ma,come ripetiamo dal primo momento, non basta e, da solo,neanche serve. Si compra tempo. Se lo si spreca, comeaccade sotto i nostri occhi, il suo esaurirsi sarà complicatoe doloroso. Usarlo per assumere insegnanti di ginnastica,scarseggiando quelli di matematica, è uno sport

elettoralmente divertente, masi rischia d’arrivare sudatiall’appuntamento con i contiche non tornano. In questomodo ci siamo giocati lariforma intitolata alla “buonascuola”, ma che, in realtà, èispirata all’antica ricerca di“un buon posto”. Poi si vedràse è anche di lavoro.Così anche su altri fronti. Lariforma del lavoro è timida,appena abbozzata, i suoieffetti reali sono stati mar-ginali, ma sembra una grandecosa, s’accompagna a unastorica rottura.Perché? Perché i suoi op-positori non chiedevano dipiù, come servirebbe, ma di

meno. L’Italia è il luogo in cui chi si dice riformista ècontrario alle riforme, segnalando che il nome e la cosaspesso divorziano. Lo stesso vale per la legge di stabilità:produce deficit, realizza una diminuzione minima dellapressione fiscale (se ci sarà), spostandone l’aumentoconsiderevole all’anno successivo. Chiunque sappia leggeree scrivere, nonché sia consapevole della situazione reale,non esita a definirla: conservativa, per nulla innovativa elassista. Invece sembra l’opposto, perché i suoi oppositorinon ne segnalano le enormi insufficienze, ma le minuscolecrudeltà.Tutto ciò ci dice, come altre volte nel passato, anche re-centissimo, che l’Italia della spesa pubblica e delle renditeè sovrarappresentata, mentre quella esposta alla competizioneè sottorappresentata. Finiti i partiti politici, la raccolta deivoti non ha più interpretazioni ideali, ma calamite materiali.E nessuna è più potente della spesa pubblica. Questo è ilfrutto avvelenato del crollo della politica, ridottasi a grottescarappresentazione esclusivamente elettorale. Se c’è ancora(e c’è) chi è in grado d’intendere, apra bene occhi e orecchie.E s’appresti ad aprire la bocca.

*Editorialista per Libero, Il Tempo e RTL 102.5

E tutto resta fermo

L’Italia della spesa pubblica e dellerendite è sovrarappresentata, mentre

quella esposta alla competizione èsottorappresentata. Finiti i partiti politici,

la raccolta dei voti non ha piùinterpretazioni ideali, ma calamite

materiali. E nessuna è più potente dellaspesa pubblica. Questo è il frutto

avvelenato del crollo della politica,ridottasi a grottesca rappresentazione

esclusivamente elettorale.

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di Sandro Gozi*

*Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministricon delega alle politiche europee

Un partito al servizio del cambiamento

Negli ultimi mesi e anni ab-biamo visto più volte come isondaggi non sempre abbianofotografato la giusta situazione.Per questo ogni indagine o ri-levazione va presa con le pinze,e non mi fermerei su questo oquel decimale.L’ultimo sondaggio di IlvoDiamanti per Repubblica,pubblicato sabato 17 ottobre,contiene però un dato inte-ressante: il gradimento delPremier Matteo Renzi è in

crescita, quello del Pd è in calo. Analoghe ma opposterilevazioni c’erano state nei mesi scorsi, per cui alla fine ciòche interessa è questo sfasamento tra il gradimento delPresidente del Consiglio e Segretario del Pd e il partito stesso.A scanso d’equivoci, ripeto: chi vuole fare politica non puòfarsi condizionare dai sondaggi. I sondaggi si cambiano, nonsono la bibbia. Mi interessariflettere invece sul rapportoche c’è tra la leadership diRenzi nel Paese e quella nelPd. Il governo è pienamenteimpegnato nel portare l’Italiafuori dalla crisi, e gli ultimiindicatori economici mostranocome la direzione giusta siastata intrapresa. Il Pd di Renzi,invece, non è ancora statocompletamente costruito.Se fossimo in una qualsiasidemocrazia europea si po-trebbe osservare che la se-greteria Renzi è iniziata danemmeno due anni e che lacostruzione di un partito - o il suo rafforzamento - sonoprocessi che richiedono tempo e risorse. Specialmente quandoil segretario è anche, e per fortuna, il Presidente del Consiglio.In Italia invece viviamo una condizione strana, per cui laminoranza del partito non fa altro che attaccare il segretarioper una sorta di congresso permanente che non ha egualiall’estero. Quando David Miliband perse le primarie per laleadership del Labour (e perse di mezzo punto percentuale)non è che si mise a minacciare il Vietnam nei confronti disuo fratello Ed. Lo stesso si può dire per tanti altri partiti.Nel Pd, no.Dal Vietnam sulla riforma costituzionale, poi rientrato,pensavamo a una pace. Invece almeno per alcuni, pochi perla verità, era solo una tregua; e mentre il governo seppelliscele tasse sulle imprese e sulla casa, altri sotterrano di nuovol'ascia di guerra portandoci ad un dibattito degno nel migliorteatro dell'assurdo di Ionesco: abbassare le tasse (peraumentare crescita e consumi) è di "destra" o di “sinistra"?Certo, essere prigionieri del Novecento non deve esserefacile nell'era digitale...Ma queste sono logiche da vecchia politica che, purtroppo,esiste anche dentro il Pd. Questa vecchia politica gioca altiro al bersaglio contro Renzi. E’ allergica al leader forte.Vorrebbe che il segretario del Pd e il capo del governo fosserodue persone diverse. A me sembrano sofismi da PrimaRepubblica. Una squadra ha bisogno di un capitano: la

coincidenza tra capo del partito e capo del governo è unvantaggio per il Pd, un vantaggio per il governo e un vantaggioper il Paese.Detto ciò, è evidente che se a livello nazionale il Pd di Renziha una sua impronta riconosciuta, quella riformista che trovala propria ragion d’essere nell’azione del governo, sui territoriancora il Pd di Renzi deve essere costruito. Ai passi avantiche il partito ha fatto a livello nazionale non corrispondonosoddisfacenti progressi sul piano locale.Questo si vede soprattutto in occasione delle elezioni locali:il rischio che ogni volta si corre è quello di lotte interne e diriposizionamenti che nulla hanno a che vedere con lo spiritoriformista e innovatore del Pd. Il motivo è semplice: troppospesso anche il Pd - e molto prima di Renzi, a mio avviso -ha rinunciato alla propria funzione di selezione della classepolitica.Eppure, rispetto ai tempi della ditta tanto cara a Bersaniabbiamo un dieci per cento di elettori in più. Ma cosa fa ilpartito per fidelizzarli? Poco o niente.I vecchi rappresentanti della ditta passano il tempo a

contendersi il monopolio dellaparola sinistra, pensando chedifendere il passato sia un’ideaprogressista. Così ci hannolasciato in eredità una situa-zione pesante e un partitopiuttosto sconnesso dalla real-tà. Però, in questo anno e mez-zo noi non ne abbiamo co-struito uno nuovo a livello lo-cale e invece dobbiamo assolu-tamente farlo.Allora dobbiamo ripartire daicircoli, trasformandoli inquello che ancora non sono ecioè in avamposti culturali, nelluogo del dibattito politico e

sociale. Certo, dovrebbero occuparsi molto meno didistribuzione di posti e molto di più di intercettare le esigenzedella società e delle persone.La realtà è che nei territori abbiamo bisogno di dibattitiaperti, anche a persone che non sono iscritte, ma che dobbiamoessere capaci di attirare. Abbiamo bisogno di costruireproposte valide, che siano il motore del confronto civile enon servano a organizzare correnti.A noi serve un partito che, nella maniera più nobile, sia alservizio del cambiamento. Lo sappia interpretare, lo sappialeggere e lo sappia rielaborare. Restituire dignità alla politicavuol dire ascoltare e raccogliere le idee migliori che esconodalla partecipazione della gente, vagliarle e fare il possibileper tradurle in praticaOggi come oggi esistono almeno tre Pd: quello che ha presoil 40% alle europee; quello che ha vinto con fatica alleamministrative; quello dei circoli e degli iscritti. Purtropposono tre piani sfasati, nel senso che è come se ciascuno diessi non riuscisse a parlare con gli altri.Il nostro compito è di allineare questi piani. Torneremo al40% - e cioè al vero Pd di Renzi - solo se sapremo coinvolgerei nostri iscritti e i nostri elettori attraverso la costruzione diuna classe dirigente. Non sarà immediato, non sarà semplice,ma non possiamo permetterci di sbagliare.

Se a livello nazionale il Pd di Renzi hauna sua impronta riconosciuta, quellariformista che trova la propria ragiond’essere nell’azione del governo, sui

territori ancora il Pd di Renzi deve esserecostruito. Ai passi avanti che il partito

ha fatto a livello nazionale noncorrispondono soddisfacenti progressi

sul piano locale.

di Francesco Gualdi

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Non si sa se questa sia vera-mente la volta buona - dopo piùdi vent’anni di annunci e smen-tite - ma il fatto che la notiziasia stata riportata dal Corrieredella Sera fa decisamente bensperare. Pare che nel 2016 leprime caffetterie Starbuckssbarcheranno in Italia: nate aSeattle più di trent’anni fa,rappresentano il sogno proibitodegli italiani che non si accon-tentano di espresso&cornetto,e che per trovare muffin al

mirtillo e Frappuccino devono come minimo varcare lafrontiera.Starbucks rappresenta, per tanti motivi, il simbolo del-l’espansione della classe media americana e lo stesso sipotrebbe dire delle classi medie di tanti altri paesi. E’ unacatena che è stata capace di rinnovarsi, di ampliare il suopubblico, di sfidare un’idea percerti versi antiquata della pausacaffé. Negli ultimi anni, Star-bucks ha avviato programmidi certificazione della soste-nibilità dei propri prodotti, hainvestito sull’innovazione e datipico prodotto americano èriuscita a declinare il propriomessaggio a beneficio di milio-ni di persone in tutto il mondo.Che c’entrano la politica e ipartiti con tutto ciò?All’apparenza poco, ma seandiamo nel dettaglio qualcosadi più si può osservare.In tutta Europa il fenomeno èabbastanza comune: sonosempre di più i partiti, speciei grandi partiti, che si comportano più o meno come il modelloStarbucks. Attenuano il contenuto ideologico, cercano diampliare il proprio consenso anche oltre i tradizionali settorielettorali, fanno un forte riferimento al leader. I politologi lihanno chiamati “partiti pigliatutto”, ma vale la penaapprofondire.Cos’hanno in comune il Pd di Renzi, i Conservatori di DavidCameron e la Cdu di Angela Merkel? Sono senza dubbiopartiti che si rivolgono ad ampie fasce dell’elettorato, conleader forti che governano i rispettivi paesi. Ma soprattutto,occupano il centro.Occupare il centro non è un’espressione molto felice, essendola traduzione di “occupy the centre ground”, che in ingleseha tutt’altro significato. Da noi, banalmente, si riconducetutto alle manovre in quella vasta galassia che va da Casinia Verdini, da Alfano a Mario Monti. Ma occupare il centronon significa fare accordi, accordini e accordicchi con i partitidi centro. Significa essere il perno della scena politica, e nonsolo.La grande forza del Pd, nell’Italia del 2015 – e presumibilmenteanche nei prossimi anni, a meno di crolli improvvisi delsistema - è quella di accentrare le azioni della politica. E’ ilPd a dare le carte, a dettare l’agenda, a essere egemone daun punto di vista culturale ancor prima che partitico. Percapirci: ci sono sondaggi che danno i 5Stelle a pochi punti

percentuali dal Pd. Ma, numeri a parte, la forza del Pd,personificata nella sua leadership, è quella di determinare lescelte politiche di fondo del Paese. In questo i 5Stelledimostrano di essere ancora marginali, o se si preferisce,residuali.Il Pd occupa il centro della scena non perché fa cose di centro(o di destra, come qualcuno vorrebbe far credere), ma perchési rivolge alla maggioranza del Paese con un messaggioprogressista che però fa breccia anche in quelle categoriestoricamente molto diffidenti dalla sinistra tradizionale. Unatteggiamento perfettamente consono con quel “Vero Pro-gressismo” di cui scrisse l’Economist nel 2012: un centrismoradicale, capace di tenere insieme lotta alle disuguaglianzee crescita economica.Analogamente fanno, con ovvie sfumature, in Gran Bretagnai Conservatori e in Germania i Cristiano-democratici. Nonpenso sia un caso se in tutti e tre i Paesi considerati, leopposizioni sono in grande difficoltà. Lo sono i laburisti, allapresa con una difficile transizione che sa molto di Novecento;lo sono i socialdemocratici tedeschi, pure al governo; lo sono

le forze di centrodestra in Italia,ad oggi frammentate e incertesul da farsi.Ecco che allora i partiti piglia-tutto sono diventati i partitiStarbucks. Hanno ampliato illoro discorso, smussato leideologie, instaurato un filodiretto con quella classe mediache è storicamente decisiva perfar vincere le elezioni e per co-struire maggioranze durevoli.In più, hanno messo un po’ dicacao sul Frappuccino.Fuori di metafora: questi par-titi, impegnati nella sfida digoverno, sono stati capaci dicontraddistinguere la propriaazione da politiche innovative,

azioni di rottura con la propria tradizione, che li hannoproiettati nella contemporaneità senza passare dalla caselladi via. David Cameron ha impugnato la bandiera dei diritticivili (sottraendola al Labour e ai Lib-Dem), Angela Merkelha “rubato” temi e voti alla Spd e ai Verdi puntando fortesull’ecologismo.E il Pd? Su scuola, mercato del lavoro e tasse ha dimostratodi sapere creare un profilo di rottura. Ma la vera grandeoccasione sarà quella di puntare con forza su temi che inItalia sono spesso stati ignorati o trattati con eccessivasufficienza.Da questo punto di vista, il tema dell’innovazione digitale èparadigmatico.Nessuno se ne è occupato negli ultimi anni, e molte forzepolitiche sembrano onestamente poco interessate. Se sostenutacon convinzione, l’innovazione digitale può essere lo strumentocon cui portare benefici e vantaggi a milioni di cittadini eimprese nella vita di tutti i giorni.Scommettere sull’innovazione, e spingere il proprio governoa scelte coraggiose in merito, significa proiettarsi nel futurocon la stessa rapidità con cui Starbucks decise di mettere ilwi-fi gratuito nelle proprie caffetterie.Ma soprattutto, significa intestarsi politicamente una battagliache parla alla testa e al cuore del Paese, diventando ancoradi più centrali nel discorso pubblico italiano.

Il partito Starbucks

Occupare il centro non significa fareaccordi, accordini e accordicchi con i

partiti di centro. Significa essere il pernodella scena politica, e non solo.

Il Pd occupa il centro della scenaperché si rivolge alla maggioranza delPaese con un messaggio progressistache però fa breccia anche in quelle

categorie storicamente molto diffidentidalla sinistra tradizionale.

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di Giampaolo Castagnoli*

Cosè la sinistra?

Per quasi tutti i genitori, primao poi, arriva il momento dellafatidica domanda: come nasconoi bambini? Ma a volte un figlioti può spiazzare con un interro-gativo forse più imbarazzante:babbo, cosa è “la sinistra?”.A me è capitato qualche setti-mana fa. Non potendo fare unadisquisizione lunga e complessa,anche perché le nuove genera-zioni pretendono risposte sin-tetiche e chiare, ho pensato dicavarmela dando un’occhiata al

dizionario. Sia quello antico e corpulento di carta, sia la bibbiadi questa epoca 2.0, wikipedia. Ma francamente non ho trovatouna soluzione soddisfacente al rebus. Poi ho avuto una folgo-razione: la risposta è dentro la stupenda prima parte della nostraCostituzione, che non a caso è una sintesi di varie culturepolitiche, anzi direi quasi delle variegate visioni filosofiche dellavita, dell’umanità e dellasocietà che convivono den-tro ogni paese civile, apertoe democratico.Per la precisione, il dnadell’essere di sinistra è amio avviso nell’articolo 3.E non mi riferisco al famosoprimo capoverso (“Tutti icittadini hanno pari dignitàsociale e sono eguali da-vanti alla legge, senza di-stinzione di sesso, di razza,di lingua, di religione, diopinioni politiche, di con-dizioni personali e sociali”),perché dovrebbe esserepatrimonio comune di tuttele forze politiche. E’ la se-conda parte di quell’ar-ticolo, un po’ meno nota, lapiù pregnante per questomio ragionamento: “E`compito della Repubblicarimuovere gli ostacoli diordine economico e sociale,che, limitando di fatto lalibertà e l'eguaglianza deicittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umanae l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazionepolitica, economica e sociale del Paese”. E’ l’affermazione diquella che potremmo chiamare “uguaglianza di fatto”, che vacostruita faticosamente e in modi che cambiano col mutare deitempi e della società. E’ cosa diversa dalla proclamazione, pur“laicamente sacra”, di un’astratta “uguaglianza formale”. E nonè detto che riconoscere quest’ultima comporti automaticamenteil raggiungimento della prima. Credo che mettere al centro deipropri programmi e delle proprie azioni politiche l’attuazionedel secondo capoverso dell’articolo 3 sia la grande sfida di unasinistra che voglia essere degna di questo nome. Il tutto dentrouna più ampia cornice di riferimento, che è la convinzione chel’umanità non sia formata da una miriade di isolotti chiusi in sestessi ma sia piuttosto un’unica grande isola, di cui ciascuno èun pezzettino. Con la conseguenza che tutto l’ecosistema ed

ogni sua piccola porzione ne risultano compromessi se alcunezone vanno in malora.Le cose si complicano quando da questi discorsi generali bisognascendere nel concreto. Il problema non è solo l’esistenza ditante sinistre differenti, in Italia come a Cesena (spesso anchedentro uno stesso partito, a partire dal Pd), ma uno smarrimentodell’orizzonte di ampio respiro che ho citato sopra.Mi pare che nel partito predominante della sinistra (sempre chela proposta renziana possa essere ancora classificata così) troppospesso questo orizzonte rischi di essere oscurato da due nuvoloniche portano temporali: da una parte, le esigenze e le piccolecontingenze di “gestione del potere” (e anche di mantenimento),che finiscono per fare perdere di vista gli obiettivi alti e collettiviper cui quel potere, conferito dall’elettorato, dovrebbe essereesercitato; dall’altra parte, la necessità di fare mediazioni (termineche non va certo demonizzato) tra varie anime difficilmenteconciliabili, che su temi fondamentali come i diritti civili tendonoa diventare compromessi pasticciati.A sinistra c’è chi si accorge di questi limiti e di queste derivee prova a reagire. Ma spesso lo fa rinchiudendosi dietro recinti

di conservazione, quandoinvece servirebbero slancidi immaginazione e ricetteaggiornate ai tempi in cuisi vive. Rimanendo saldamenteancorati a quella rimozionedegli ostacoli che limitanodi fatto libertà ed ugua-glianza citata dalla Costi-tuzione, bisognerebbe avereil coraggio di abbandonarecerti “feticci” che rischianodi essere frenanti.Faccio un esempio. L’aiutoalle persone bisognose èinnegabilmente un pilastrodella sinistra. Ma come attuarlo?Un certo assistenzialismovecchio stile è malsano, siadal punto di vista della“dignità sociale”, sia sottoil profilo della “eguaglian-za”, sia a livello di “parteci-pazione”.Tutte parole chiave diquell’articolo 3 da me tantoamato.

E allora io penso che, per esempio, ogni tipo di sostegno datoa chi ne ha bisogno, a partire dai servizi sociali del nostroComune, dovrebbe avere sempre una “contropartita” da partedel beneficiario, sotto forma di una sua prestazione d’opera (icosiddetti “lavori socialmente utili”) a favore della collettività.Sarebbe un modo per tenere legati in modo stretto diritti e doverie per sottolineare il valore dell’appartenenza ad una comunità.E tra l’altro sarebbe un’occasione preziosa per migliorare tantipiccoli aspetti di Cesena (dall’accompagnamento agli anzianialla valorizzazione di spazi culturali oggi chiusi per mancanzadi personale, fino ad una maggiore cura delle aree verdi), chefanno la differenza a livello di visibilità. Tutti obiettivi che amio avviso dovrebbero stare a cuore ad ogni partito o movimentodi sinistra.

*Giornalista del Corriere Romagna

“E` compito della Repubblica rimuovere gliostacoli di ordine economico e sociale, che,limitando di fatto la libertà e l'eguaglianzadei cittadini, impediscono il pieno sviluppo

della persona umana e l'effettivapartecipazione di tutti i lavoratori

all'organizzazione politica, economica esociale del Paese”.

L’aiuto alle persone bisognose èinnegabilmente un pilastro della sinistra. Ma

come attuarlo? Un certo assistenzialismovecchio stile è malsano, sia dal punto di vista

della “dignità sociale”, sia sotto il profilodella “eguaglianza”, sia a livello di

“partecipazione”.

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Lo stato della politica locale? Non ci pare né bello, né ricco, nédinamico. Se poi lo si raffronta con quel che era la politica anniaddietro (bisogna risalire qualche quinquennio), ne traspare dellapolitica attuale una quasi inesistenza, e altrimenti una impressionantepochezza. Purtroppo; data la tradizione politica di questa nostrarealtà e date le caratteristiche storiche, culturali, economiche esociali di un territorio come il nostro e di una città come Cesena.Meriterebbero ben altro. È il fronte in cui più si è registrato unpoderoso e vieppiù crescente declino. Che ne muove altri; è questoun rischio non avveniristico. Intendiamoci è un quadretto tuttointerno al più generale quadro della crisi della politica. Questacrisi, qui, risalta di più. Ma un impegno avverso a quella crisicomunque si attivi è qualcosa di lodevole. Anche a partire da dovesi sta e si vive, dove concreto e diretto può essere il nostro tentativoe il nostro contributo. L’impegno che abbisogna non è solo esteticapresenzialista. Di questa ce ne è, anche troppo. È di cultura politicache non ce ne è o ce ne è pochissima. I partiti non ci sono più equel che ancora c’è e si chiama così è altra roba da quel che eranoi partiti. Non sono nemmeno, seppur in forme rinnovate, strumentiadeguati di raccordo fra la società e le istituzioni; non sonoselezionatori di classe dirigente, né capaci di una forte e realerappresentanza politica. Ma dove c’è potere, qualsiasi, sia essoamministrativo, regolamentare, di spesa, di iniziativa pubblica,istituzionale, c’è qualche predisposizione organizzata eorganizzativa che se ne occupa; che lo vuole ottenere, mantenere,espandere ed accrescere. C’è politica. Non è e non sarà quella diprima; è, sarà in forme differenti, ma c’è politica. Migliore?Peggiore? C’è. È un dato di fatto. Imprescindibile. Disconoscerloè solo indice di ottusità. La politica che si vede, quella che sitraveste ancora di nominalismo partitico, o con innovati nominalismidi movimento, di lista (robe da episodico momento elettorale,soprattutto), è di una pochezza impressionante. Non è una Politicacon la P maiuscola, con un buon retroterra culturale, di studio, diapprofondimento, di forte impegno e di passione civile, ideale emorale. È prevalenza di antipolitica, di demagogia, di ribellismopancista, di moralismo, di narcisismo, di mero carrierismo, dipersonalizzazione, di mal supposto leaderismo. Eccezioni ci sonoe possono essercene, guai disconoscerle. Ma la prevalenza è quella,oggi, purtroppo. Di carenza crescente di classe politica e dirigentenelle nostre istituzioni, a livello locale, ne parliamo da tempo eper questo siamo stati spesso rimbrottati e criticati. Succederàanche adesso. Ma quel che si vede è solo la conferma di un assaimisero panorama. Resta l’appello a una attiva partecipazione, aun impegno attivo dei cittadini attrezzati di passione, di senso eresponsabilità civili, di cultura, preparazione, competenza edesperienza. A quella borghesia che è (sarebbe) classe dirigente.Che invece è pavida (in gran quantità), chiusa nel proprio circoscrittointeresse. È un appello vano, probabilmente. Né si vede chi sia echi voglia spronare in altro modo quella partecipazione e quellacittadinanza. Non quelli che solo gareggiano a chi le spara piùgrosse con la sola finalità di raccoglierne le spaturnie e lerecriminazioni, di pancia e di istinto, per finalità elettoralistiche:il massimo della concezione cui è ridotta la politica politicante.Non chi si appaga di narcisismo presenzialista. Che non si occupadi radicarsi in ambito sociale, di farne coinvolgimento. Non nehanno interesse nemmeno quelli che si pensano “padroni delvapore” (ce ne sono?), quelli che se si sentono comandanti edhanno un certo comando, di sicuro ben si guardano dal stimolarequalcosa che possa disturbarli. C’è in giro varietà di capetti (talisono anche se si auto suppongono capi). Roba da poco per metterein piede roba di una certa consistenza. Roba non da poco, maanche pericolosa, se sono in posti di una certa responsabilità edimportanza. È una località nella quale sono grandi potenzialità,non fosse altro perché grandi tradizioni culturali e politiche l’hannopermeata in modo assai ampio. C’è ancora cultura, c’è ancoraeffervescenza culturale. Se ne distinguono le aree di un certoriferimento e di provenienza. Ma non c’è più una loro trasposizionepolitica come c’era attraverso i partiti che non ci sono più. È vero

non c’è più nemmeno quel sistema politico. Ma seppur nellecondizioni confuse e tutte nuove del sistema attuale ci sarebbebisogno che quelle culture, quelle ispirazioni e quegli indirizziculturali, potessero forgiare e determinare adeguate trasposizionipolitiche, attraverso rinnovate forme di quella trasposizione.Difficilmente possono corrispondere a questa attesa i movimentie le liste smaccatamente “antipolitiche”; non sembrano attrezzate,quanto meno, neppure le sigle del tormentato post berlusconismose si esclude qualche formazione più coesa perché ciellina. Nonche questa varietà, quando è il momento, non prenda i voti. Neprendono con varietà di motivazioni anche da quelle aree culturaliormai prive di una trasposizione più diretta e coerente sul pianopolitico. Vale anche per l’area laica e democratica, di consistenzain questa realtà. Sul piano elettorale ormai variamente indirizzata.Permane il Pri, ma è più un nominalismo che una realtà politica.C’è il Pd. È una forza politica più di ogni altra. Non è un partitocome li abbiamo intesi in passato. Non è neppure come uno deipartiti (principali) che lo hanno fatto nascere. Non è il Pci e nonè neppure la Dc. Qui localmente è soprattutto dal Pci che proviene.Poi un connubio con organizzate correnti della ex sinistra Dc.Apporti, di poco peso, dal mondo laico e socialista. Il Pd localeè anche il partito dove Renzi ha avuto gran messi di voto alleprimarie. Molti subito, altri all’ultima ora. Una scelta diconvenienza che è tornata utile e che ancora è cavalcata. Fino aquando dura. Qui c’è “ditta” tutt’altro che sprovveduta. C’è unaristretta oligarchia dove è ben chiaro chi ne tira le redini, nonessendo secondario il ruolo di comando nell’istituzione locale.È uno strumento-partito, ma non un partito come tale e neppuredi esplicita rinnovata forma. Comunque espressione, nel contestodel suo consenso più vasto politico ed elettorale, del più ampiotravaglio e dibattito che è del Pd sul piano generale. Dove nuoveinfluenze sono straordinariamente in movimento. È sperabile chediventi un partito più aperto, definito nel suo modo d’essere (nonsolo lo strumento del gruppo d’ordine ristretto), capace dicoinvolgere e far partecipare, di forgiare classe dirigentestimolandone la creazione, non facendo allevamenti in “batteria”.Questa parte politica è comunque quella dove attualmente meritadi prestare attenzione e se possibile impegno. Lo diciamo datempo: è l’unica metà del campo, della politica cesenate, dovesi gioca. A porta americana, perché nell’altra metà campo nonc’è gioco e non ci sono squadre. Qui si apre uno squarcio diparticolare interesse, sul quale merita diffondersi e lo faremo piùavanti. Ne indichiamo alcuni termini non secondari. Data lasituazione, le primarie del Pd (o centrosinistra o quel che sarà)sono fondamentali. Almeno sono momento di partecipazione didibattito e di coinvolgimento. Si sono fatte, con non pocastrumentalità, per la ricandidatura al secondo mandato per ilsindaco. A maggior ragione sono indispensabili per la designazionedel nuovo sindaco al suo eventuale primo mandato. E ben vengaun buon gioco aperto di candidature. Senza di questo il Pd rimanechiuso nello stretto e la candidatura si estrapola dalla “batteria”e tutto il resto deve subire di mangiare quella minestra o ciccia.Occorrono primarie serie e fatte bene, aperte ma non in modogenerico: solo a chi inequivocabilmente e pubblicamente scegliedi essere elettore di quella parte e che si mantiene tale anchequalora il suo candidato preferito alle primarie non le vincesse.Il fatto che si tratterà di una nuova candidatura per una nuovasindacatura consente di aprire un dibattito vero sulla città. E fracandidati di profilo differente. E il profilo del candidato, insiemealle idee e ai propositi che lo distinguono, può fare la differenzadi tante cose. È già un positivo terreno di dibattito e dipartecipazione quello della ricerca e dello sprono alle candidature.Non sarà la soluzione della crisi della politica locale cheattraversiamo. Ma è un terreno e l’indirizzo di un processo diqualche maggiore concretezza per cercare un rilancio della politica,per immettervi dosi maggiori di cultura politica, amministrativae di governo. Comunque a Cesena e alla nostra realtà localesarebbe di gran utilità.

PD Cesena

Un partito aperto e primarie serie?

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Una certa idea dell'Italia

Esce in questi giorni in libreriail libro di Lamberto Dini (conLuigi Tivelli) “Una certa ideadell’Italia”, Guerini e Associati.Nel libro, l’ex Premier tecnico edex Ministro degli esteri, sulla basedi un dialogo ragionato con LuigiTivelli, politologo e già suoconsigliere a Palazzo Chigi, ri-percorre cinquant’anni tra scenae retroscena della politica edell’economia e presenta nel-l’ultimo capitolo un progettoliberal democratico per il ri-sanamento e il rilancio del Paese.

Anticipiamo di seguito un estratto dal capitolo su i limiti dellariforma istituzionale e della politica economica di Renzi.Nell’Italia di Renzi sembra ormai superata la sindrome del“riformismo immobile”: come vedi le riforme elettorali e istituzionaliche sta conducendo Renzi?Indubbiamente, Renzi ha contribuito a dare al sistema Italia quellascossa che era più che mai necessaria dopo anni e anni di sostanzialeimmobilità riformatrice. Va ascritto a suo merito aver avviato unaserie di riforme da tempo attese, anche se forse, in qualche caso,con scarsa attenzione all’appropriatezza dei contenuti delle singoleriforme. Ad esempio, la riforma del jobs act è indubbiamentemigliore della riforma della scuola, e anche la riforma della pubblicaamministrazione andava preparata e costruita meglio.Vedo invece con qualche preoccupazione il filone delle riformeistituzionali di Renzi. In una recente colazione di lavoro, colProfessor Joseph La Palombara, volevo confrontarmi con lui cheè uno dei più anziani e autorevoli scienziati politici viventi, e anovant’anni è ancora docente di scienza politica all’università diYALE. Il professor La Palombara è abituato a osservare dagli StatiUniti le vicende italiane, e ha un occhio particolarmente attentoproprio ora sulle riforme istituzionali di Renzi. Volevo sentire lasua opinione, non essendo io né un giurista né un politologo, levivo con un certo allarme. Un allarme, però, che non sento né daparte della comunità dei costituzionalisti e addetti ai lavori, né daparte delle forze politiche, salvo pochi oppositori di professione. Mi ha colpito trovare un La Palombara ancor più preoccupato dime. Entrambi abbiamo riconosciuto che si sta costruendo unpercorso istituzionale per certi versi pericoloso, bacato sindall’origine. L’origine, anche nella narrazione che fa Renzi conil suo abile storytelling sta nella primarie. Le primarie, importatein modo dilettantesco in Italia dal pur bravo Arturo Parisi, primoideologo di Romano Prodi, servirono allora per trovare unpiedistallo, una investitura a quell’Ulivo abilmente inventato daProdi e Parisi, per creare un’alternativa a D’Alema e ai leaderdell’ex PC. Poi quel precedente ha fatto scuola.Peccato, però, che le primarie all’italiana sono come certe merciimportate dagli Stati Uniti senza rispettare le regole sulle confezionidei prodotti. Negli Stati Uniti, infatti, le primarie sono disciplinatedalle leggi dei singoli stati e i cittadini per poter votare alle primariedevono prima registrarsi nelle liste elettorali dello Stato, comedemocratici, repubblicani o altro. . Da noi, invece, di tanto in tantosi celebra il rito delle primarie aperte, senza alcuna regola giuridicavincolante, che di fatto si prestano a tutte le forzature omanomissioni. La Palombara non a caso ha definito le primarieche hanno dato l’investitura a Renzi un “beauty contest”, unconcorso di bellezza. Quindi, sostanzialmente, Renzi, che purapprezzo per altri aspetti, quali il suo coraggio e la sua vitalità,trae l’investitura da un beauty contest e da una congiura, quellapugnalata al pur da qualche mese dormiente ex Presidente delConsiglio del suo stesso partito, Enrico Letta, subito dopo il famosotweet “Enrico stai sereno”.Se questa è l’investitura, però, Renzi da lì in poi ha portato moltaacqua al mulino istituzionale e ha fatto quella grande riforma cuitanti aspiravano senza riuscirvi, senza bisogno della doppia lettura

da parte delle due Camere, perché con la nuova legge elettorale,più una serie di riforme di fatto, ed emendamenti a disegni di leggein corso, ci ritroviamo oggi con la figura di Primo Ministro piùforte d’Europa, altro che Italia Paese modello per forma di governoparlamentare tradizionale.Sono anche io preoccupato di questo netto rafforzamento dellafigura del Primo Ministro, senza adeguati checks and balances, macon la netta diminuzione degli attuali balances in atto, come avvienecon la sostanziale cancellazione del Senato e con il sostanzialeindebolimento del potere della Camera. Ciò che poi mi colpisceancor più è che ciò avvenga nella latitanza dei costituzionalisti edei politologi e nell’incapacità sia degli oppositori interni del PDsia dell’opposizione di centrodestra di prospettare una lineaalternativa.Ho frequentato ampiamente il Senato e mi chiedo: se pur si volevaeliminare alcuni “costi” del bicameralismo paritario e perfetto, nonera meglio prevedere un senato di 100 membri, ma elettivo? Chesenso ha nominare senatores boni viri gli appartenenti alla peggiorcasta politica, quella dei consiglieri regionali, tanti dei quali risultanooggi inquisiti? Del resto, proprio mentre stiamo scrivendo, vedoche si profila l’ipotesi di una modifica in seconda lettura al Senatoper cercare di tornare in qualche modo a un Senato elettivo.Quanto poi ai contrappesi in seno al Governo, nonostante PierCarlo Padoan sia persona egregia, come abbiamo già visto, il ruolodel Ministro dell’economia viene sovrastato da quello del PrimoMinistro Renzi, quanto all’effettiva conduzione della politicaeconomica e quanto alle nomine negli enti e nelle imprese pubbliche.Ora, come ci ha insegnato Alexis de Tocqueville e come ci insegnail caso degli Stati Uniti o dell’Inghilterra o anche della Francia,una democrazia vive del gioco dei pesi e dei contrappesi, il potereha bisogno di checks and balances, e noi abbiamo rafforzato “ilpeso” principale, quello del Presidente del Consiglio, e, invece dicecare nuovi contrappesi, abbiamo eliminato vari dei pochi chec’erano. Questo dovrebbe preoccupare tutti coloro che hanno acuore il buon funzionamento di una democrazia. Non basta gridarelai e lamenti su “Renzi uomo solo al comando”: la funzione diforze politiche critiche e di opposizione è quella di proporre epreparare modelli alternativi. Io vedo invece una grave latitanzadella cultura politica e della cultura istituzionale nel nostro Paese.Al Presidente del Consiglio vorrei ricordare che il compromessonon è un peccato, ma che è la risposta che serve a evitare assolutismoe intolleranza.Renzi è stato molto abile nel confezionarsi su misurasulla propria gobba il vestito di una nuova forma di Governo, mal’ha aiutato molto certa stupidità politica istituzionale dei suoicompetitor e di certi suoi oppositori interni. Renzi si è rivelato unerede della versione deteriore del macchiavellismo, perché primaha stipulato il patto del Nazareno, stabilendo il principio che leregole istituzionali si devono scrivere tutti insieme, poi, venutomeno a quel patto, ha forzato la mano ponendo la questione difiducia e costringendo la Camera a votare con l’emiciclo vuoto ametà la nuova legge elettorale, quell’Italicum che è un unicumnelle democrazie europee e che ci restituirà sostanzialmente unParlamento di nominati. Si è cucito un vestito sul dorso del PD osu quello che Ilvo Diamanti definisce il Partito di Renzi, che lui,mutuando senza saperlo un concetto di Giovanni Spadolini, primache di Alfredo Reichlin, chiama Partito della Nazione.Siamo quindi in presenza di preoccupanti forzature istituzionali.Vedo riforme fondamentali fatte a pezzi e bocconi con l’intendimentoquasi esclusivo di rafforzare il potere di chi oggi comanda. Questonon può non essere fonte di preoccupazione. Stando così le cose,la mia proposta sarebbe di mettere uno stop e di convocareun’Assemblea Costituente, fatta di un centinaio di componenti,eletti con criterio proporzionale (perché non spetta a una costituentegarantire la governabilità ma solo la rappresentanza), con l’incaricodi procedere a quel necessario ridisegno della seconda parte dellaCostituzione non a favore di tizio o di caio ma nell’interesse dellademocrazie italiana. È sconcertante che non si levino altre vociche sentano ed esprimano questo fondamentale fabbisogno.

di Luigi Tivelli*

*Politologo e scrittore

di Dino Amadori*

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Oncologia in Romagna

La popolazione residente inRomagna è suddivisa in tre areeprovinciali (Forlì-Cesena,Ravenna e Rimini) e settan-tacinque comuni distribuiti suuna superficie complessiva di5.102,7 km2. La popolazioneresidente in Romagna constadi 1.128.570 abitanti rispetto ai59.685.227 residenti in Italiacomplessivamente.L’Istituto Scientifico Roma-gnolo per lo Studio e la Curadei Tumori (IRST) IRCCS

opera in un contesto caratterizzato da un buon livello diqualità della vita, contraddistinto da una popolazione piùanziana rispetto alla media nazionale, distribuita in manieraomogenea sul territorio (il 67% dei Comuni ha meno di10mila abitanti). L’elevata performance della Rete Oncologicadella Romagna nelle attività di prevenzione, screening ecura, contribuisce a determinare una minore mortalità perpatologie tumorali e una necessità di presa in carico delpaziente per un periodo più lungo (cronicizzazione).I dati epidemiologici di incidenza di nuove patologie tumoralinel complesso in Romagna ammontano a 4637 nuovi casidi tumore nei maschi all’anno e 3776 nuovi casi di tumorenelle femmine all’anno per tutte le sedi di tumore esclusocute non melanomi, con un tasso standardizzato per età (inriferimento alla popolazione standard europea) di 528,5 per100.000 abitanti maschi e 394,9 per 100.000 abitanti femmine.La popolazione italiana nel suo complesso ha un tassostandardizzato di incidenza di tumore per età di 467,7 per

100.000 abitanti maschi e 339,6 per 100.000 abitanti femmine,quindi si deduce che la popolazione romagnolatendenzialmente si ammala di cancro più di quanto avvengain media nella popolazione italiana.(Fonte epidemiologica ITACAN: AIRTUM ITACAN, Tumoriin Italia, Versione 2.0. Associazione Italiana dei Registri

Tumori – periodo di analisi 2004-2008 per la Romagna e2005-2009 per Italia/AIRTUM).Relativamente alla mortalità per tumore in Romagna, ilnumero di morti per anno è 2056 maschi e 1569 femmine,con un tasso standardizzato (in riferimento alla popolazionestandard europea) di 213,1 per 100.000 abitanti maschi e di125,1 per 100.000 abitanti femmine.La popolazione italiana nel suo complesso, pur ammalandositendenzialmente di meno come abbiamo visto sopra, ha una

mortalità per tumore pressoché analoga a quella romagnola,con un tasso standardizzato di 219,7 per 100.000 abitantimaschi e 122,5 per 100.000 abitanti femmine.Fonte epidemiologica ITACAN: AIRTUM ITACAN, Tumoriin Italia, Versione 2.0. Associazione Italiana dei Registri

Tumori – periodo di analisi 2004-2008 per la Romagna e2005-2009 per Italia/AIRTUM).Lo sviluppo nelle tecnologie mediche e biomediche negliultimi decenni è stato caratterizzato da un consolidamentodi strumentazioni molto sofisticate che ci permettono diosservare in profondità l’organismo umano. Il progressodella medicina si è basato su un progresso soprattutto di tipotecnologico con un progressivo perfezionamento delletecnologie, oltre ad un progresso anche metodologico, cioèuno sviluppo della metodologia clinica costituita dai principigenerali, dalle regole e dalle procedure cui il clinico conformail suo operato. Risulta pienamente giustificato sostenere cheproprio lo sviluppo della metodologia medica abbia costituitola guida per lo stesso sviluppo tecnologico.In questo contesto, si assiste al cambiamento e all’evoluzionedella medicina, intesa come approccio al malato e ai suoi

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*Direttore scientifico IRST

Oncologia in Romagna

bisogni: il passato è stato caratterizzato da una medicinacosiddetta “d’organo” in cui la sede del tumore costituival’indice che determinava l’approccio al paziente e il suopercorso diagnostico-terapeutico. L’oggi e il domani sonoinvece contraddistinti da una medicina molecolare, ovveronell’identificazione di mediatori e di meccanismi d’azioneresponsabili delle malattie, nello sviluppo di strategieterapeutiche farmacologiche, cellulari e molecolari perrallentare la progressione delle malattie e lo studio delle basimolecolari e genetiche di malattie rare; valutazione dialterazioni genetiche responsabili dello sviluppo di malattierare e caratterizzazione di polimorfismi genetici che prediconola risposta dei pazienti alla terapie farmacologiche per malattiemono e poligeniche.L’assetto classico di un’oncologia diffusa sul territorio siscontra con questo nuovo modus operandi e si rende semprepiù stringente la necessitàdi operare un cambia-mento negli assetti orga-nizzativi con lo sviluppodi nuovi modelli orga-nizzativi.I nuovi scenari culturali,scientifico-tecnologici esocio-sanitari impongonouna riflessione sul ruolodegli IRCCS che non puòprescindere dalla consape-volezza che assistenza ericerca devono interagirein modo forte con il terri-torio di competenza. Inaltre parole, la ricercascientifica non deve piùessere considerata prero-gativa esclusiva degliIRCCS bensì deve essereportata capillarmenteanche sul territorio.L’Istituto Scientifico Ro-magnolo per lo Studio ela Cura dei Tumori IRST, è il mezzo attraverso il qualesperimentare, nell’ambito della programmazione sanitariadella Regione Emilia-Romagna, un diverso rapporto pubblico-privato per la realizzazione di programmi comuni e coordinatida parte degli enti partecipanti.Tale intervento si configura in primo luogo quale ra-zionalizzazione dell’assetto dell’assistenza oncologicaromagnola già esistente, ricercando soluzioni gestionali,supportate da economie di scala, tendenti a realizzare ilmiglioramento e la qualificazione dell’assistenza attraversolo sviluppo della ricerca, nel quadro di un programmacomplessivo di riorganizzazione e riqualificazione degliinterventi in materia di assistenza, ricovero e cura dellemalattie oncologiche per l’intero bacino della Romagna.Anche sulla base delle esperienze già condotte, di cui la piùrecente ed evoluta riguarda la gestione IRST del Servizio diRadioterapia del Presidio ospedaliero di Ravenna a partiredal 1° gennaio 2014, si ritiene pertanto utile perseguire larealizzazione del modello organizzativo e gestionale chetrasferisca nel territorio la disponibilità di facilities ad elevataspecializzazione, le competenze e le iniziative di un IRCCS

oncologico, con standard assistenziali aggiornati alle piùrecenti conoscenze scientifiche.Per mantenere l’intero sistema di presa in carico dellapopolazione del territorio romagnolo, al passo con il livelloqualitativo dell’IRCCS e garantire il governo della ricercascientifica oncologica, si pone una nuova riflessione sulruolo degli IRCCS nel perseguire e verificare obiettivicondivisi che evolvono verso un approccio “popolazionale”e di sistema, garantendo l’autosufficienza territoriale, la nonridondanza dei servizi, senza tralasciare l’ottimizzazionenella gestione del personale (equipe unica nel territorioromagnolo).Questo approccio implica un coordinamento centralizzato,non necessariamente una gestione, delle funzioni e delleattività oncologiche, con attenzione all’appropriatezza degliinterventi, al miglior utilizzo delle risorse limitate, ai risultati

di salute, alle garanzie diuniformità, accessibilità,universalità e prossimitàSi tratta di creare una reteoncologica “geogra-ficamente delocalizzata”,massimizzando il ren-dimento delle risorsedisponibili e favorendola transizione concettualeda Comprehensive Can-cer Center (CCC) a Com-prehensive Cancer CareNetwork (CCCN), in li-nea con le recenti in-dicazioni della Pre-sidenza del Consiglio deiMinistri.La scelta di struttureCCCN sembra la piùidonea e sostenibile,anche se un programmadi questo tipo non puòprescindere da diversenecessità, in primis quella

di implementare un sistema di monitoraggio che si basi,dapprima, su una serie di indicatori relativi alleraccomandazioni emesse.In accordo con i vertici delle Aziende Sanitarie, è statonecessario articolare un rapporto strutturato tra le attivitàproprie dell’Istituto ed alcune altre attività, che ricadonoall’interno di un percorso di approccio globale al pazienteoncologico. Un gestore unico delle attività di ambitooncologico con riferimenti territoriali aziendali che possanofungere da “ponte” con le rispettive strutture chirurgichepotrebbe contribuire enormemente all’aumento di efficaciae di appropriatezza, a tutto vantaggio dei pazienti.Prerequisito primario e sostanziale per la realizzabilità delloscenario che viene configurato oltre a una popolazione di1.100.000 abitanti, che costituisce una base ottimale per unprogetto di riorganizzazione, è la strutturazione di uncomplesso unitario che raccolga al proprio interno le risorseprofessionali, umane, tecnologiche e scientifiche perl’assistenza e la ricerca oncologica nel territorio romagnolo,legando quindi tra loro strutturalmente i nodi della rete.

L’assetto classico di un’oncologia diffusa sulterritorio si scontra con questo nuovo modusoperandi e si rende sempre più stringente lanecessità di operare un cambiamento negliassetti organizzativi con lo sviluppo di nuovi

modelli organizzativi.

I nuovi scenari culturali, scientifico-tecnologici e socio-sanitari impongono unariflessione sul ruolo degli IRCCS che nonpuò prescindere dalla consapevolezza che

assistenza e ricerca devono interagire in modoforte con il territorio di competenza. In altre

parole, la ricerca scientifica non deve piùessere considerata prerogativa esclusiva degliIRCCS bensì deve essere portata capillarmente

anche sul territorio.

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Torna di prepotente attualitàl’analisi dell’ l’evoluzione delnostro sistema di sicurezzesociali, il welfare, globalmenteinteso.E torna di urgente necessità ladiscussione ed ancor più ladecisione sulle modalità difinanziarlo e di assegnarlo.E’ sotto gli occhi di tutti noiquanto le spinte della modernitàe della necessità stiano modi-ficando i regolamenti e i serviziche, anche se datati, ci mette-

vano a disposizione una comoda rete di protezione ed unabuona dose di tranquillità.Cresce l’ansietà perché crescono i pericoli, ma cresconoanche le possibilità.Un mio caro amico mi ha ricordato molto recentemente emolto opportunamente, è persona di eccezionale valoreumano e professionale, che Churchill soleva affermare chela persona ottimista vede opportunità in ogni pericolo, mentreil pessimista vede pericoli in ogni opportunità.Ci iscriviamo, questo amico ed io, d’ufficio fra gli amici diChurchill ed alla categoria degli ottimisti raziocinanti.Le innovazioni normative che nell’ultimo periodo sono stateintrodotte nel nostro Paese sono molteplici, di estremointeresse, alcune decisamente coraggiose, ma tutte di sicuroimpatto sulle nostre vite.Basti pensare al Jobs Act, alla modifica degli ammortizzatorisociali, alla rivisitazione dei livelli essenziali di assistenza,vale a dire delle prestazioni sanitarie che lo stato devegarantire ai propri cittadini.Alla base di tutte queste scelte di politica sociale c’è lanecessità di tenere in equilibrio il conto economico del nostroStato. Pena il default. Meglio evitare.Il tentativo di chi ci governa è quello di offrire il massimodei servizi, che hanno costi crescenti per il benedetto edauspicabile allungamento della vita media e per il ricorso asempre più nuove e costose tecnologie, avendo a disposizionerisorse finanziarie limitate da molteplici fattori, congiunturalie strutturali.Il problema è complesso, coinvolge schemi e modelli culturalipolitici ed economici; ha a che fare con la giustizia sociale,con la produzione e la ridistribuzione della ricchezza e dellerisorse, col modello di società evoluta che vogliamo proporreper i prossimi venti anni, con il coraggio e la paviditàdell’uomo. E’ altresì ovvio, ma giova ripeterlo, che se risorse e ricchezzenon vengono prodotte, non possono neppure venir ridistribuite;ci si può quindi risparmiare la fatica e la noia di trovare lalogica politica sul come ed a chi distribuire ciò che, di fatto,non si possiede. Grecia docet.“Extend and pretend”, nel mondo finanziario significa cheil creditore accetta di allungare i tempi di restituzione di unprestito e assume che il debitore abbia ancora la capacità dionorare l’impegno a rendere quanto ottenuto alle condizionipattuite. Qualora però questa capacità e/o volontà da partedel debitore invece non ci fosse, si tratterebbe solo di unescamotage per guadagnare tempo e rinviare, assegnare aqualcun altro decisioni dolorose e impopolari ma necessarieed ineluttabili e giuste.Extend and pretend è un concetto che è stato colpevolmente

applicato anche alle relazioni sociali, col risultato di aversolo rinviato la presa di coscienza dell’esistenza di unproblema e di averne complicato e resa assai più difficile lainevitabile soluzione.E’ richiesta a tutti sobrietà, onestà, ciglio asciutto, visionestrategica sul lungo periodo.Ha ragione Holman Jenkins, membro del board delnewyorchese Wall Street Journal, quando sostiene che unelevato livello di coesione sociale è ciò che ha permessol’esistenza di un diffuso sistema di welfare in Europa, comequello che tutti noi abbiamo conosciuto fino ad oggi.I cittadini accettano di pagare in imposte più del 50% delloro reddito perché attribuiscono pari valore ai servizi, alwelfare, che ricevono in cambio dagli Stati cui versano leimposte. E inoltre, come annota argutamente M.V.Lo Pretesul Foglio, lo fanno perché credono che anche gli altricittadini paghino, proporzionalmente, per ottenere la quotadi servizi di loro spettanza; senza raggiri o sotterfugi. Questo gentleman agreement è il postulato su cui si basaogni ipotesi di stato sociale. Se questo postulato vacilla,diventa periclitante anche lo stato sociale che ad esso fariferimento.E qui si innesta un altro elemento di vibrante attualità, valea dire il tema dell’immigrazione e dell’inclusione.L’immigrazione, se non accortamente governata e distribuitanel tempo, può ingenerare conflitti, contrasti e sfiducia ancheall’interno di società inclusive, compassionevoli, evolute edefficienti.Uno scienziato italiano con cattedra ad Harward, A. Alesina,alcuni anni fa dimostrò, con uno studio rigoroso, che gli StatiUniti non hanno potuto adottare un sistema di welfareuniversalistico come il nostro a causa della “animosità” edella scarsa coesione esistente fra le etnie che li compongonoin un melting pot multirazziale e multiculturale.La direzione cui anche l’Europa intera sta andando è quelladi un melting pot multirazziale come quello che gli StatiUniti hanno già conosciuto. Appare pertanto ragionevolepensare che, siccome si troverà a dover fronteggiareproblematiche analoghe, l’Europa possa trarre insegnamentodall’esperienza americana filtrandola, ovviamente, attraversola propria diversa sensibilità e millenaria cultura.Di certo il welfare va ripensato, riadattato al multiculturalismoin essere, forse un po’ più focalizzato ad ambiti fondamentalie non delegabili ad altri attori, ma in questi reso ancora piùefficace ed efficiente.Essendo impossibile “dare tutto a tutti”, va fatto il nobiletentativo di eliminare e governare le rendite di posizione, glisprechi e le anchilosi di varia natura.Si potrà contare sempre meno sulla fiducia incondizionatae aprioristica dei cittadini e sempre più sarà necessarioconquistarla col consenso che genera un sistema pronto edefficace, con regole certe ed economicamente sostenibile.L’alternativa, da evitare con ogni mezzo, sarebbe l’insorgenzadi conflitti sociali non governabili.Per concludere e per aprire però la strada a futuri ap-profondimenti e contributi, cerchiamo di prendere confidenzacon i termini:Finanziamento. Ottimizzazione.Compartecipazione.Credo che siano in grado di rappresentare i punti crucialicon i quali confrontarsi per gestire il nostro sistema di welfarealle prese coi baby boomers, i millennial e le ondatemigratorie.

Riadattare il welfare anche al multiculturalismodi Stefano Mancini

di Arturo Alberti*

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Vaccinazioni:informazioni precise non chiacchiericcio

“La vaccinazione è uno deimodi migliori attraverso cuii genitori possono proteggerei neonati, i bambini e i ragazzida 16 malattie potenzialmentepericolose.Questo è un buon momentoper ricordare ai genitori che ivaccini sono sicuri ed effica-ci.”Michael McNeil, CDC Centerfor Disease Control and Pre-

vention è l’ente più importante al mondo per il controllodelle malattie infettive..I vaccini sono l’intervento medico più sicuro e più efficace.Il rapporto rischi-benefici è ottimale.Un recente studio del CDC di Atlanta ha documentato, adesempio, che i casi di anafilassi, cioè di reazione aller-gica grave per25.173.695 dosi divaccino sono stati33:1 caso per unmilione di dosi.L’encefali te damorbillo è una gra-ve complicazioneche accade in uncaso su mille malati.L’encefalite da vac-cino del morbillo,molto meno grave,accade in un casosu 1 milione: millevolte di meno.Le malattie non so-no scomparse, masono tenute “a ba-da” dalle vacci-nazioni. Quando lapercentuale dei vaccinati scende sotto il 90% possonoricomparire, come è successo per la polio in molti paesidell’Est europeo e come sta succedendo col morbillo inItalia. In questo anno 2015 sono morti quattro bambini inCampania per il morbillo e un lattante è morto pochesettimane fa a Bologna per pertosse. Il blocco dellavaccinazione anti influenzale, che si è verificato l’annoscorso per un ingiustificato allarme, ha causato ben 460morti. Abbiamo quindi uno strumento fondamentale, moltoefficace per prevenire le malattie.Ma perché è cresciuta l’opposizione alle vaccinazioni cheha portato all’attuale situazione di rischio? Ci sono varimotivi.Innanzitutto ci sono associazioni di cittadini come ilCOMILVA che hanno un approccio ideologico senza alcun

nesso con la realtà. L’uomo deve combattere per qualcosa;oggi sono scomparsi i partiti e gli ideali politici, qualcunoha scelto la lotta ai vaccini come ragione di vita. Questigruppi, inoltre, hanno insinuato che ci sia un vantaggioeconomico per i pediatri, una sorta di comparaggio tra leaziende produttrici dei vaccini e i pediatri che li prescrivono.Tutto questo è assolutamente falso e fa parte del bagagliodi menzogne che viene usato per propagandare l’ideologianaturalista.C’è poi un uso improprio di internet. Molti non sanno onon vogliono distinguere tra ciò che è una comunicazionescientifica da quello che è chiacchiericcio senza sostanza.Chiunque può mettere su internet qualsiasi sciocchezzache va però presa come tale.Molti altri sono preoccupati per il loro figlio. Sono confusida tutti questi “rumors” e pensano che la scelta miglioresia di non correre alcun rischio.Occorre che i medici aiutino questi genitori a fare la scelta

giusta, non nascon-dendo i possibili po-chi rischi ma evi-denziando che inogni attività umanasi corrono rischi. E’più rischioso attra-versare la via Emiliasu un passaggio pe-donale al tramontoche effettuare unavaccinazione.Quello che è certo èil rapporto rischi-benefici. Aiutare igenitori non signi-fica presentare unapagina di dati e distatistiche, di frontealle quali molti siconfondono, ma

affermare con decisione – e per questo il medico devecrederci – che la vaccinazione è per il bene del bambino,del proprio figlio.Chi non vaccina confidando nella cosiddetta “protezionedi gregge” (se il 95% della popolazione si vaccina è protettoanche il restante 5%) esprime una forma di egoismo socialeche è riprovevole.In conclusione, mi sembra veramente paradossale che inItalia, pur avendo la grande opportunità di vaccinare ibambini, si facciano queste dannose battaglie contro,mentre nel sud del mondo e, in particolare, in Africa nonci sono le risorse per vaccinare milioni di bambini checorrono il rischio grave di morire a causa di malattieprevenibili.

*Medico pediatra

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di Massimo Bonavita

Non mi è mai piaciuto scriveredelle mie vicende personali eprivate, ma questa volta nonpotevo tirarmi indietro di frontealla richiesta di “Salute eLibertà” di raccontare la miaesperienza che, purtroppo, ècomune a molte altre persone.Ero negli Stati Uniti, esat-tamente a Minneapolis, dovedi solito trascorrevo parte delmio tempo. Minneapolis e lacontigua St.Paul formano le

Twin Cities, le città gemelle, e sono il centro della piùimportante area metropolitana, oltre due milioni di abitanti,del Minnesota, che è uno stato del Midwest, il cuore delcontinente nord americano che confina a nord con il Canada.Il clima è caratterizzato da un inverno molto freddo, dovepraticamente non esiste la primavera, e si passa direttamenteall’estate, con un autunnobello pieno dei colori dellefoglie che vanno dalle di-verse sfumature del giallo edel marrone al rosso fiam-mante. Siccome il Minnesotaè pieno di laghi e laghetti,oltre 10.000, ed il suo nomenella lingua dei nativi (chenoi - sbagliando - conti-nuiamo a chiamare indiani)vuol dire terra delle acque,vedere i colori delle foglierispecchiarsi nelle acque deilaghi è uno spettacolomeraviglioso. Mi sono tro-vato da quelle parti al seguitodi Anna, che ho conosciuto a Cesena e viveva nelle TwinCities, e che, dopo alcuni anni di relazione a “distanza” edi convivenza, ho sposato. A Minneapolis ho fondato unCentro Italiano di Cultura con il compito di promuovere lalingua e la cultura italiana, le cui attività principali vannodell'offerta di corsi di lingua italiana all’organizzazione dieventi culturali come l’Italian Film Festival che è unarassegna del cinema italiano contemporaneo. Lo scorsoNatale, appena tornato dall’Italia, ho cominciato a sentiredolori alla schiena che è il mio punto debole e sempre miha creato qualche problema. Siccome non riuscivo a dormirela notte, su suggerimento del medico, ho cominciato aprendere degli anti infiammatori con la conseguenza dibruciori allo stomaco, reflusso e stitichezza. Dopo averfatto i vari esami clinici il medico di famiglia, la dottoressaAlina di origine albanese e di fede islamica con tanto dicapo coperto dal velo, mi disse che poteva essere unainfluenza gastrica, consigliandomi di fare per sicurezza unacolonscopia, che in America è un esame di routine perquelli che hanno superato i 50 anni. Avendo già effettuatolo screening in Italia per verificare la presenza di sangueocculto nelle feci con risultato negativo ed essendo lacolonscopia un esame abbastanza invasivo, ho manifestatoalla dottoressa le mie perplessità ed insieme abbiamo deciso

di aspettare un po’. Intanto, dopo un periodo di relativatranquillità, ricominciai ad avere gli stessi disturbi con calodell’appetito e del peso. Alla fine di febbraio incontrai unamia amica, dottoressa italiana che lavora in un centrooncologico del Minnesota e, vedendomi dimagrito, mimanifestò le sue preoccupazioni e mi disse di chiamarlasenza indugio se avessi continuato a perdere peso ed adavere dolore. Dopo un mese, siccome la situazione nonmigliorava, presi un appuntamento con la dottoressa Alinae telefonai alla mia amica oncologa per avere qualchesuggerimento. Ci incontrammo a casa sua, mi visitò e miconsigliò di fare subito una Tac. La Tac venne effettuatail 6 aprile ed evidenziò dei noduli ingrossati nel sistemalinfatico: questo sarebbe potuto essere un linfoma, che è uncancro del sistema linfatico, o una semplice infezione. Eranecessario quindi una biopsia aspirando con un ago il tessutodi un nodulo. La mia amica oncologa mi assicurò che illinfoma è in genere curabile e questo mi diede speranza esollievo. Purtroppo il tessuto estratto non era sufficiente

per fare la biopsia, per cui sidoveva estrarre direttamenteun nodulo per via chirurgicae, poichè i noduli evidenziatidalla Tac erano posizionativicino al pancreas ed al fegatocon un alto rischio per unintervento, il chirurgo suggerìdi estrarre un nodulo vicinoalla gola. Era necessario unaltro esame diagnostico il Petscan, per verificare se i nodulisu cui si voleva intervenireerano interessati dal male omeno; in caso negativosarebbe stata inutile la loroestrazione e bisognava

trovare altre soluzioni. Il Pet scan diede risultato negativoper quanto riguarda i noduli che si volevano estrarre, mentremise in rilievo un inspessimento sospetto nello stomaco. Aquesto punto si fece la biopsia tramite endoscopia perestrarre tessuto necessario sia dello stomaco che di unnodulo per avere una diagnosi il più possibile precisa. Hocominciato così a frequentare gli ambienti oncologici, afare la fila in attesa di una visita o di un esame insieme adaltre persone sconosciute ma che avevano con me qualcosain comune, a vedere la sofferenza ed i segni della malattiasui loro visi e senza rendermi conto a diventare uno di loro.Si comincia a prestare attenzione a quello che dicono gliinfermieri, i dottori ed il personale tecnico, a come ti salutanoo con che tono della voce ti augurano “good luck”. I tempidi attesa ti sembrano sempre lunghi, ma tu aspetti conpazienza nella speranza che siano segni premonitori positivi.Con queste ansie e speranze passano i giorni e soprattuttole notti, quando ti chiedi cosa farai se avrai una diagnosinegativa, quali saranno le priorità nelle cose che devi faree al dolore che dovrai sopportare. Molte cose che tisembravano complicate diventano chiare e altre semplicicomplicate. I valori cambiano, non hanno più importanzamolte delle preoccupazioni precedenti, mentre l’affetto e

La giusta reazione

Molte cose che ti sembravano complicatediventano chiare e altre semplici

complicate. I valori cambiano, nonhanno più importanza molte dellepreoccupazioni precedenti, mentre

l’affetto e l’amore di quelli che ti stannovicino diventano indispensabili, anchese, paradossalmente, proprio con lorofinisci per scaricare i tuoi momenti d’ira

frutto delle tue ansie e tensioni.

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l’amore di quelli che ti stanno vicino diventanoindispensabili, anche se, paradossalmente, proprio con lorofinisci per scaricare i tuoi momenti d’ira frutto delle tueansie e tensioni. Così ho passato i giorni dell’attesa, facendoe rifacendo continuamente i bilanci e gli esami di coscienzadi quello che sono stato e di quello che avrei voluto essere.Trascorsi 14 giorni dalla prima Tac ero ancora in attesa diun responso definitivo su quello che mi attendeva, finchèmartedì 21 aprile alle 13.30 squillò il telefono. Ero solo incasa, dall’altra parte c’era una infermiera o impiegata delReparto di Anatomia Patologica del Southdale Hospital diEdina, dove avevo fatto i prelievi per la biopsia, che michiese il mio nome, la data di nascita e l’ indirizzo per esseresicura di parlare con la persona giusta. Terminate questeformalità mi informò che il referto della biopsia diceva cheavevo un cancro allo stomaco. Cercai di saperne di più, chetipo di cancro avevo e se era curabile, ma dall’altra partela stessa voce metallica e professionale mi rimandò allavisita medica prevista per il giorno dopo e chiuse con “almedico potrà fare tutte ledomande che vuole”. Unmisto di rabbia e spavento miassalì, mille domande e ragio-namenti mi frullarono per latesta, che fare adesso? Decisidi non dire nulla ad Anna,che almeno lei pas-sasse unanotte tranquilla, poi mi misia navigare su internet peravere tutte le informazionisui tumori allo stomaco e dopo un’ora decisi di smettere,dovevo rilassarmi e sembrare tranquillo e sereno. Ho passatola notte senza dormire, pensando alle cose urgenti da fare,a quelle che ho rimandato quando ritenevo ci fosse tempo,ora mi sembrava che non ce ne fosse più e tutto diventavaurgente. La mattina prima di andare dal dottore ho informatoAnna di quello che avevo perchè fosse preparata. Il dott.Paul Thurnes confermò che avevo un cancro primario allostomaco che si era esteso a parte del sistema linfatico. Ildottore tergiversava dicendomi che la situazione era gravee che dovevo affrontare dei cicli di chemioterapia. Alloradecisi di stanarlo con domande precise. “ A che stadio sitrova il tumore? E’ curabile? Sono operabile? Sono unmalato terminale?” A tutte queste domande il dott. Thurnescon voce monotona rispose che ero al IV stadio dellamalattia, quello più avanzato, che non ero curabile o operabilee a tutti gli effetti ero un malato terminale. Lo incalzaichiedendogli quanto tempo mi rimaneva da vivere senzachemioterapia e quanto se la facevo. Sei mesi nel primocaso ed un anno nel secondo fu la risposta. “Ma su che baseafferma questo”. Sulla base dei dati statistici fu la risposta.A questo punto mi ribellai e gli dissi che il mio nome èMassimo Bonavita e non mi chiamavo“Statistica”. Siamopassati a parlare delle cure e lui iniziò con un “se lesopporterà”, al che gli rispondo “Mi guardi in faccia bene,io le cure le sopporterò benissimo, ne sono convinto e leiche ne pensa?” Ero stanco di parlare con una persona chemi descriveva solo gli scenari peggiori, che non miincoraggiava e privava di ogni speranza un malato chedoveva affrontare delle situazioni poco piacevoli, così da

ultimo gli chiedo se queste cure le potevo fare in Italia conla stessa affidabilità. II dottore mi assicurò che essendoterapie previste in protocolli internazionali era possibilecurarsi in Italia tranquillamente. Non ne potevo più diquesta medicina disumanizzata in cui sei solo un numeroe non una persona. Ho pensato che ritornare a curami ladove sono nato e vissuto per la maggior parte della miavita, dove ancora vive la mia famiglia ed ho amici, miavrebbe aiutato ad affrontare questo brutto momento.Informai immediatamente mia figlia ed i miei fratelli etelefonai a Denis Ugolini che ha affrontato con coraggiouna situazione simile, per avere suggerimenti e consigli.Denis appena informato mi disse “Massimo ricordati cheil miglior medico sei tu stesso e ricordati che mi avevanodato per spacciato. Ora è il momento di tirar fuori la grintae di non scoraggiarsi". Finalmente parole positive e disperanza!! Mi consigliò di curarmi all’IRST di Meldola,di mandargli la diagnosi che ci avrebbe pensato lui a fissareun appuntamento. Ho passato il giovedì ed il venerdì a

raccogliere le varie immaginidiagnostiche e referti,acquistare i biglietti aerei, ilsabato ho preparato levaligie, lunedì 27 aprile sonoarrivato in Italia e due giornidopo sono andato a fare laprima visita a Meldola. Imedici, senza illudermi, mispiegarono le terapie e tuttipartivano dal principio che

nulla fosse incurabile, che molti erano i fattori in gioco edin parte dipendeva anche da me e dal modo in cui affrontavoquesta situazione. Mi raccomandarono di non chiudermiin me stesso e di avere una normale vita sociale. Il personaleera gentile e molto professionale e tutti ti incoraggiavanoad affrontare questo difficile momento in modo sereno. Hodeciso di seguire i loro consigli e di non chiudermi a pensaresolo al mio male, di non tenerlo nascosto ed ho subitoinformato i miei amici della situazione.In questo modo ho potuto scoprire e gustare più pro-fondamente i valori dell’amicizia, sentire con più intensitàl’affetto delle persone che ti vogliono bene realmente, chesono tutte cose che spesso, travolti dagli affanni delquotidiano, ci dimentichiamo. Poichè in ogni caso la vitaè legata ad un filo sottile era il caso di godere ogni giornocome se fosse l’ultimo a disposizione. Questo mi ha datola forza di sopportare la chemioterapia ed i suoi effetticollaterali poco piacevoli e fastidiosi. So che il percorsosarà lungo, tortuoso ed incerto, ma che comunque vale lapena provare a superare questa situazione.A chi mi chiede dove trovo la forza e le energie, o dice diammirare la mia determinazione, non posso che rispondereche non c’è nulla di straordinario in quello che faccio perchènon ho alternative ed il pessimismo o il concentrarmi sulmio male non mi aiuterebbe certo a vivere meglio ne atentare di guarire. Ognuno deve sforzarsi di trovare nel suo profondo le ragionie le motivazioni di vivere, bisogna contare su se stessi, maiabbassare la guardia o demoralizzarsi, perché, come diceil vecchio proverbio, “Aiutati che il ciel ti aiuta”.

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La giusta reazione

Ognuno deve sforzarsi di trovare nel suoprofondo le ragioni e le motivazioni divivere, bisogna contare su se stessi, maiabbassare la guardia o demoralizzarsi,perché, come dice il vecchio proverbio,

“Aiutati che il ciel ti aiuta”.

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di Denis Ugolini

Non ho motivo di inserirmi nellosviluppo che abbiamo dato aldibattito su testamento biolo-gico ed eutanasia in questi annicon considerazioni nuove ri-spetto a quelle che espressi nel2009, quando lo cominciam-mo.aperto, allora con Laura Bian-coni anche promotrice di unaproposta di legge al riguardo.Nella circostanza, pertanto, eal fine di rendere ancora megliola mia posizione, mi limito a

riprendere e trascrivere perché in nulla ho mutato opinionee convinzione.“Questioni eticamente sensibili. Riguardanti la vita e la mortee la concezione che si ha di esse. Che pure non sono questionislegate. Non c’è l’una senza l’altra. E comunque si devemorire. La morte è la naturale conclusione di un processo divita e “ciò che non muore non vive”. Quel che si vorrebbeè che la nostra vita fosse di valore, tranquilla, serena, lamigliore possibile. Vissuta con dignità. Che la morte, checomunque ci tocca, fosse anch’essa la più tranquilla possibile.Magari priva del dolore al quale molti l’associano e chesoprattutto per questo tanto la fa temere. Personalmente nontemo la morte. Temo il dolore. Il dolore cruento del corpo equello dello spirito. Temo il dolore che deriva dallamenomazione della vita, dalla radicalità che impedisce divivere, di vivere in modo dignitoso, che io sento dignitoso,che sento di valore. Se sentissi che la mia vita non ha piùalcun valore; che invece di una vita dignitosa sarebbe soloil trascinare un’esistenza amorfa senza alcuna dignità, questosì che sarebbe un dolore impossibile tutt’altro che associabilealla morte che invece anelerei come straordinario e beneficoatto di liberazione, di ultimo atto di vita piena. La invocherei.La sceglierei. Deciderei fra la mia vita e una esistenza senzavita. E se fossi nell’impossibilità di provvedere a me stessoin conseguenza di una o più di quelle radicalità dimenomazione (che può vestire diversi e variegati abiti), vorreiche fosse possibile che “altri” potesse dar corso alla miascelta libera e pienamente cosciente. Considerereiirragionevolmente vessatorio che, solo per il fatto che mi èimpossibile da solo, altri non sentisse il dovere e la solidarietàdi dare corso alla scelta della mia libertà e che, invece,determinasse proprio la sopraffazione di quella, l’annullamentoe la soppressione di quella libertà che è così linfa profondadella vita vissuta. E’ la mia concezione. Il mio sentire. Il mioconsapevole pensiero che, sono certo, tanti altri non hannoeguale e non condividono. Avendo altre e diverse concezioni.Che io rispetto. Che devono essere assolutamente rispettatee tutelate. Non deve essere sopraffatta e lesa la libertà diognuno di attenersi, uniformarsi e vivere la propria concezionedella vita. E’ un rispetto totale che ho. Sarei pronto a tuttoper fare sì che quelle libertà non fossero precluse. Non haalcuna importanza se sono diverse le nostre concezioni divita. Non è diversa la libertà che abbiamo e dobbiamo averedi nutrire diverse concezioni. Che non ci hanno impedito enon ci devono impedire di continuare a vivere in un sistemadi convivenza condivisa. Ed essa lo è in quanto rispetta lereciproche e le diverse libertà individuali, di pensiero, dicredenza o non credenza, teologiche, religiose, ideologiche,

politiche. Ho riflettuto molto e da molto tempo intorno aqueste così complesse e straordinarie questioni. Attraversodiversi stadi della mia anagrafe ed anche passando attraversoi più disparati stati d’animo che talvolta inducevano adapprofondire e ad indagare ulteriormente ed altre volte,magari, erano semplicemente seguenti ed effetto di quelleprolungate riflessioni. Anche attraversando momenti evicissitudini che mi hanno portato, per così dire, più prossimoa queste problematiche, più a contatto con i molti che levivono e le affrontano ognuno con la propria sensibilità enella propria originale soggettività. Mi si sono dischiusi pianidi approfondimento ulteriore e soprattutto mi si è aperta unaulteriore diga di emozioni, per cui il riflettere e ragionarenon era solo un esercizio per così dire intellettuale e filosofico(nel mio caso è bene dire pseudofilosofico data la mia modestalevatura in materia e sul piano generale della conoscenza edella cultura). Riflessioni che incrociavano, interconnettevanoemozioni, sentimenti fortissimi, fra i quali quello di pietànei confronti del dolore vissuto ed insopportabile con il qualetanti si misurano e devono misurarsi. Rispetto ai quali tuttidobbiamo avere un forte dovere di solidarietà e di aiutoeffettivi. Ne ho ricavato e continuo a trarre questa forteconvinzione che ho cercato, seppur con il tratto limitante delmio ristretto linguaggio di esprimere. Sinceramente econvintamente.Sono andato a riprendere quanto scrisse Indro Montanellialcuni mesi prima della sua morte proprio sull’eutanasia.Come vedi (interloquivo con Laura) vado subito al cuore delproblema intorno al quale ruotano le tue stesse argomentazioniche sono proprie del tuo credo che io rispetto profondamentee lo sai. Mi è tornato alla mente il grande giornalista perchéquello che scrisse lo condivido tutto e pienamente. Montanelliscriveva ad un lettore che gli attribuiva una critica neiconfronti della Chiesa. Scritto ripreso anche nel libro diUmberto Veronesi “il diritto di morire. La libertà del laicodi fronte alla sofferenza”. “io non mi sono mai sognato –scriveva Indro Montanelli – di contestare alla Chiesa il suodiritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti chele vengono dalla Dottrina. Ch’essa sia contro l’eutanasiaperché la Dottrina, cioè il verbo attribuito al Signore, prescriveche l’uomo debba ignorare il giorno della propria morte, èpiù che naturale, e non vedo come potrebbe essere altrimenti.Ma ch’essa pretenda d’imporre questo comandamento anchea me che non ho la fortuna (e prego di fare attenzione allemie parole: dico e ripeto non ho la fortuna) di essere uncredente, cercando in ogni modo e attraverso tutte le influenzedi cui dispone – e che non sono, come lei sa, poca cosa – ditravasarlo nella legge civile, in modo che diventi obbligatorioanche per noi non credenti, le sembra giusto? A me, no. Ame sembra che l’insegnamento della Chiesa debba valereper chi crede nella Chiesa, cioè per i “fedeli”. Ma non per i“cittadini”, fra i quali ci sono – e in larga maggioranza – imiscredenti, gli agnostici, i seguaci di altre religioni. Perchécostoro devono adeguarsi a un “credo” nel quale non credono?La Chiesa ha tutto il diritto di continuare a predicarlo e difare tutti i suoi sforzi per svogliare, per esempio, i medicidal praticare la cosiddetta “ dolce morte” anche nei casi incui la vita è diventata, per il paziente, una tortura senzasperanza. Finch’essa opera e si appella alla Legge Divina,è libera di dire e fare ciò che vuole. Ma quando cerca diinfluenzare la Legge Civile, commette un abuso perché toglie

Il dibattito

Eutanasia e testamento biologico

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al cittadino una scelta che gli appartiene”.Di fronte a leggi come quella olandese, per la quale l’eutanasia,rispettate certe condizioni, non è un reato, taluni sono portatiad inscenare equivoci del tipo addirittura di una specie di “suicidio di Stato”. “ questo è un equivoco – diceva il grandegiornalista – al quale non posso rassegnarmi. “La mia opinioneè semplicemente questa: che quando un invalido, perqualunque motivo lo sia, non ha più la forza di sopportare lesofferenze fisiche e morali che l’invalidità gli procura, e senzasperanza di sollievo se non quello procurato dagli analgesici,ha il diritto di esigere dal medico il mezzo per abbreviarequesta Via Crucis; e il medico ha il dovere di fornirglielo, siapure riservandosi la scelta di una procedura che lo metta alriparo dalle conseguenze penali di una legge che andrebbe,come tante altre, aggiornata; ma che nessun Parlamento, népresente né futuro, mai sarebbe capace di affrontare senzatrasformarla in una rissa di partito a scopi puramentedemagogici ed elettorali”. L’unica cosa che non vorreicondividere con Montanelli è questo suo irriducibilepessimismo nei confronti delle iniziative future del nostroParlamento che, mi auguro, possano contraddirlo anche semolto in ritardo rispetto alla sua dipartita. Sotto quel titolo“Due o tre cose sulla dignità” Montanelli mise anche labattuta. “ Lo dico nei termini più espliciti: per dignità intendoanche (dico “anche”) l’abilitazione a frequentare da solo lastanza da bagno”. Nessuna banalità, perché essa sintetizza lapenosa situazione di perdita di autonomia alla quale ho fattoriferimento all’inizio. È mia convinzione e rivendico anch’io,con Luca Goldoni “il diritto di andarmene appena viene ilbuio, decidendolo ora, quando la luce è ancora accesa”. Ilproblema si pone così come si pone il dolore, la sofferenza,la perdita di dignità della vita. Anche la qualità della vita èsoggettiva non è un cliché che si impone a tutti in un modosolo. Ideologicamente o religiosamente. Si pongono questequestioni a fronte dei mutamenti intervenuti nella nostra vitain seguito alle scoperte scientifiche e mediche che hannodeterminato la possibilità stessa di interferire nel processo divita. Alcuni decenni fa riscontravamo due concetti di morte.Quella per malattia e quella per evento violento. Oggi potendocurare molto, ma non per questo potendo guarire tutto, si èarrivati ad allungare e procrastinare l’esistenza anche oltrecerti limiti naturali. In molti casi, dove pure il processo divita è giunto al suo termine naturale, dove la morte sarebbel’inevitabile esito se solo si lasciasse procedere il naturalecorso degli eventi, sono possibili interventi che interromponoed allontanano questo esito ultimo. Artificiali interventipossibili grazie alle scoperte scientifiche e alla dotazione distrutture tecnologiche consentono di oltrepassare i limiti“usuali” che riconducevano a quei concetti. Ciò pertanto haaperto uno spettro più ampio di circostanze e possibilità cheimpegna la ragione e la morale di tutti noi. Da tempo citroviamo di fronte a casi che inducono complesse e difficiliriflessioni. Esistenze che si prolungano artificialmente talunenella completa assenza di attività cerebrali, di percezioniemotive. Nella assenza totale di una coscienza di sé. Altreche implicano la convivenza con il dolore e la sofferenzacontinue, fisici e spirituali. In presenza di una coscienza pienadi sé che a volte si impone di reagire a quello stato, che vuolereagire ad esso, sospinta dalla forte speranza di vita, dall’amoree dagli affetti che sono intorno, o da qualsiasi altro si vogliae ci sia che costituisce linfa, spinta, motivazione. Che chiedonoe non disdegnano l’uso di sostanze che riducono attenuano

o eliminano il dolore. O che le rifiutano per qual si voglialoro ragione. Che avvalendosi di analgesici ed antidolorificihanno coscienza, oppure non l’hanno, o semplicemente nonsi pongono la questione, che mentre allevianotemporaneamente dolore e sofferenza, contemporaneamentepossono determinare ed influire sul percorso della loro stessaesistenza, accorciandone la lunghezza. E ci sono persone chenon sopportano, invece di trascinare una esistenza oramaisolo carica di dolore e sofferenza inauditi, sia fisici chespirituali. Che non intendono più di fronte alla irreversibilitàdi quel loro stato che può solo acuirsi e trascinarsi inperdurevoli tormenti, che vogliono farla finita, che nonaccettano di essere oggetto di accanimento e di cure che sonosolo sempre più miseri palliativi di riduzione momentaneadel solo dolore fisico. Che in piena coscienza di sé nonsopportano e non vogliono più trascinare un’esistenza didolore in assenza di una vita che con quella non puòconfondersi, né essere di essa sinonimo. La vita e la morte,per il progredire della scienza e della tecnica sono semprepiù fenomeni anche artificiali. Il testamento biologico èquestione importante e di assoluta attualità e necessità. “ Ilprimo passo verso il riconoscimento legale di questa nuovarealtà del rapporto medico paziente è stata l’introduzione delconsenso informato alle cure, ovvero che nessun medico puòsomministrare un trattamento a un malato senza prima averloinformato dei risultati previsti, dei rischi connessi e deglieffetti collaterali legati alla cura stessa. È un diritto del malatoed un obbligo del medico.Divenuto “regola di vita”, il consenso della persona permetteuna responsabilità di sé che copre tutto l’arco dell’esistenzae diviene così anche la regola fondamentale del morire”“Siamo di fronte a fenomeni artificiali e culturali che hannobisogno di normative giuridiche capaci di conciliare i desideridei singoli con gli interessi della collettività. Scienza e tecnica– per dirlo con Scalfari – continuano e continueranno adevolversi, a sperimentare a consentire opzioni sempre migliori,ma non vogliono né possono sostituire la natura. Se non altroper il fatto che l’umanità, la specie e gli individui che ne sonoparte, è una delle innumerevoli forme della natura.Scienza e tecnica sono prodotti mentali dell’uomo e quindiprotesi della natura. In questo stadio dell’evoluzione esistonozone grigie dove le protesi consentono risultati al prezzo disofferenze e/o limitazioni a volte sopportabili, a volte radicali.Di fronte ad esse l’individuo rivendica legittimamente libertàdi scelta: se accettare le soluzioni o rifiutarle. Piena libertàai depositari di fedi religiose di indicare e raccomandaresoluzioni conformi all’etica da essi predicata senza però chequelle soluzioni possano essere imposte a chi (fosse unosoltanto) non condivide quelle raccomandazioni.Questo è il limite di uno Stato laico, pluralista e non teocratico”.È bene e doveroso si sviluppi questo confronto dal quale èbene siano tratte soluzioni appropriate, legislative e giuridiche.Ma è mia convinzione che esse debbano collocarsi in questoquadro e nella forte e condivisa consapevolezza che non videvono essere soluzioni che si impongono, ma libertà che situtelano. Spero vivamente che il Parlamento affronti questequestioni, quella del testamento biologico, facendo seri econcreti passi avanti rispetto all’attuale impasse ed assenzalegislativa. Spero lo faccia avvalendosi di un ampio e riccoconfronto di posizioni e di sensibilità: E che faccia tuttoquesto sapendo che deve legiferare non per obbligare alcunoma per tutelare i diritti e le libertà di tutti.”

Eutanasia e testamento biologicoIl dibattito

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Nel numero precedente diEnergie Nuove abbiamo svi-luppato, ancora una volta, ildibattito su “eutanasia” e “te-stamento biologico”. Il primonumero di questa forma diEnergie Nuove, nel 2009,apriva proprio con un dibattitosu questi temi, confrontandodiverse posizioni e differentiispirazioni culturali. Quandoho presentato alla stampalocale, alcuni mesi fa, l’ultimonumero di Energie Nuove dissi

che in questo ci sarebbe stata la pubblicazione del miotestamento biologico. Nel vuoto legislativo che continuiamoad avere a questo riguardo taluni potrebbero asserire che èuna semplice provocazione. No. Non è una provocazione.E’ una reale, ampiamente meditata, convinzione. In pienacoscienza e consapevolezza. Dentro la mia concezione dellavita. Che non vuole in alcun modo imporsi, prevalere eneppure contendere e competere con altre visioni e concezionialtrettanto legittime e assolutamente rispettabili. Spero siapprodi, prima possibile, a sopperire l’attuale vuoto legislativo.Quando finalmente si arriverà a qualche riferimento legislativo(di sicuro, pur essendo già qualcosa sarà ampiamente sottole mie aspettative). Voglio nutrire la speranza fondamentale(almeno per me) che l’impronta di fondo, il principioinformatore della nuova legislazione sia quello di nonobbligare alcuno, ma di tutelare la libertà di tutti.Non vorrei mai che le proprie concezioni di vita, le propriecredenze religiose, culturali, filosofiche, la propria libertàfossero violentate da una “verità” che si sovrappone ad altreverità. In alcun modo la legge deve obbligare alcuno a lederela libertà dell’altro.Per fare riferimento almeno a testi di una certa confutatavalenza ho mutuato dalla “Dichiarazione di volontà anticipataper i trattamenti sanitari” dell’Associazione Luca Coscionidi cui seguo il meritevole impegno.Dovrebbe bastare che esprimessi con coscienza e chiarezzala mia volontà, riguardante solo me, la mia libertà, la miavita. Non lesiva di fatto e neppure nella più recondita delleintenzioni la volontà e la libertà di altri. Dovrebbe bastare.Ma riprendo da quella dichiarazione e la trascrivo con tuttala forza affermativa di una piena coscienza. Ne guadagna informa e chiarezza.Come ho detto, già alcuni mesi fa, assunsi la determinazionedella pubblicazione di questa mia “dichiarazione di volontàanticipata” attraverso Energie Nuove. Mi piace di ribadirloa scanso di qualsivoglia equivoco.In questi giorni il caso ha voluto che un altro “animaletto”(ne ho incrociati altri in questi anni) abbia voluto farmi visita e insediarsi con prepotenza in me. A qualcosa devo davveropiacere. Tant’è. E’ il caso di non dismettere lotta e battaglianecessarie. E’ una digressione. Non c’entra nulla. Se nonche una lunga, meditata, riflettuta convinzione che quitrascrivo in questi giorni ha potuto ulteriormente rafforzarsie determinarsi.Ed ecco:"Nel pieno delle mie facoltà mentali, in totale libertà discelta, dispongo quanto segue in merito alle decisioni daassumere nel caso necessiti di cure mediche. Voglio essere

informato sul mio stato di salute e sulle mie aspettative divita, anche se fossi affetto da malattia grave e non guaribile.In caso di perdita della capacità di decidere o nel caso diimpossibilità di comunicare, temporaneamente opermanentemente le mie decisioni ai medici, formulo leseguenti disposizioni riguardo i trattamenti sanitari:non siano iniziati e continuati se il loro risultato fosse ilmantenimento in uno stato di incoscienza permanente esenza possibilità di recupero; non siano iniziati e continuatise il loro risultato fosse il mantenimento in uno stato didemenza avanzata senza possibilità di recupero; non sianoiniziati e continuati se il loro risultato fosse il mantenimentoin uno stato di paralisi con incapacità totale di comunicareverbalmente, per iscritto o grazie all’ausilio di mezzitecnologici.Qualora io avessi una malattia allo stadio terminale, o unalesione invalidante e irreversibile, o una malattia che necessitil’utilizzo permanente di macchine o se fossi in uno stato dipermanente incoscienza (coma o persistente stato vegetativo)che secondo i medici sia irreversibile dispongo che sianointrapresi tutti i provvedimenti volti ad alleviare le miesofferenze (come l’uso di farmaci oppiacei) anche se ilricorso a essi rischiasse di anticipare la fine della mia vita.In caso di arresto cardio-respiratorio (nelle situazioni sopradescritte): non sia praticata su di me rianimazionecardiopolmonare se ritenuta possibile dai curanti; nonvoglio che mi siano praticate forme di respirazionemeccanica; non voglio essere idratato e nutritoartificialmente; non voglio essere dializzato; non voglio chemi siano praticati interventi di chirurgia d’urgenza; nonvoglio che mi siano praticate trasfusioni di sangue; nonvoglio che mi siano somministrate terapie antibiotiche.Qualora io perdessi la capacità di decidere o di comunicarele mie decisioni, nomino mio rappresentante fiduciario, chesi impegna a garantire lo scrupoloso rispetto delle mievolontà espresse nella presente carta, mio figlio AlbertoMaria Ugolini.Conferisco al fiduciario, in caso di mia incapacità, il poteredi rappresentarmi in ogni controversia giudiziaria oamministrativa scaturente dal presente atto, nonché procuraper promuovere ricorsi, in ogni competente sede giudiziariao amministrativa, in caso di rigetto o mancata considerazionedella volontà da me espressa, con facoltà, ove necessario,di sollevare, nei relativi giudizi, eccezione di incostituzionalitàdelle norme di legge eventualmente invocate per giustificareil rifiuto.Ulteriori disposizioni: non desidero l’assistenza religiosa;desidero un funerale civile; autorizzo la donazione dei mieiorgani per trapianti; autorizzo la donazione del mio corpoper scopi scientifici e didattici; dispongo che il mio corposia cremato."Non chiedo a mio figlio di pensarla come me. Pensi lui comevuole. Gli chiedo di essere leale con me e con le mieconvinzioni e scelte, compiute ed espresse in totale, completa,consapevole, responsabile e libera coscienza. Questo me lodeve a prescindere dalle sue personali, soggettive(probabilmente anche diverse) opinioni e convinzioni.Questa lettera la invio anche ad uno studio notarile (fossemai che si renda necessario) ed anche al Sindaco della miacittà, magari per inserirsi, se già c’è, o per inserirlo, se siriterrà di dotarsene (sarebbe a mio modo di vedere buonacosa), in un apposito registro dei testamenti biologici.

di Denis Ugolini

Il mio testamento

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di Giuseppe Corzani

Diceva Toscani qualche annofa,” vecchi, siete vecchi, l’Italiaè un Paese di giovani vecchi.”Non so se sia perfettamentevero, ma sono sicuro che lo èquanto meno per quelli dellamia generazione, quelli con icapelli bianchi, quelli cheappena possono vogliono an-cora pontificare e che a voltesono utili, ma che spesso sonotappi.Noi siamo quelli che abbiamooperato in un Paese dove aveva

un ruolo quella “società di mezzo” di deritiana memoria, cheoggi non c’è più.Che è stata spazzata via dalla personalizzazione della politicasia a livello nazionale che locale. Questo scorcio di secoloha evidenziato la crisi prorompente della rappresentanza chepassa dalla crisi del sistema dei partiti, ossia di quegliorganismi ai quali la democrazia rappresentativa avevademandato il difficile e delicato compito di raccogliere esintetizzare gli interessi che interagiscono all’interno dellesocietà complesse.Ma ancora di più, è la crisi totale dei così detti corpi intermediin tutti i suoi più variegatimodi di fare rappresentanza.Questi sono, o meglio erano,di vitale importanza perchéhanno il compito di renderela rappresentanza nonformale, ma attiva e legata siaai territori che agli interessisoggettivi.Senza una società di mezzo viva, vitale ed autorevole è moltodifficile che una democrazia possa essere in grado di governareun paese ed un territorio.Alla fine del secolo scorso tutto si giocava dalla parte delleautonomie locali, sia quelle istituzionali che sociali.Oggi tutto questo è stato spazzato via, non ci sono più equilibritra centro e periferia, i corpi intermedi hanno un ruolo appenadi facciata ed i partiti vivono in simbiosi con la paurosa crisidella politica.Ora senza volermi addentrare troppo nel campo minato dellariforma del titolo V, della riforma elettorale, e di quella co-stituzionale mi domando se la ricomposizione di una societàdi mezzo adeguata ai tempi ed ai nuovi scenari sia dellaglobalizzazione che della migrazione sia utile e necessaria?Potrà sembrare che da vecchio mi attardo a volere difendereciò che non è più difendibile: dai piccoli comuni, alle giàcomunità montane, o alle già province, alle regioni, alle forzesociali con la loro crisi di rappresentanza dei lavori,dell’impresa e delle stesse Camere di Commercio. Dobbiamodecidere se vogliamo o meno una società senza la dimensioneintermedia. In alto la politica che se la fa con l’economia etutto il resto in basso.Urge che tutti i soggetti della società di mezzo affrontinoseriamente la sfida di autoriformarsi. Anche la rappresentanzadel lavoro e dell’impresa diventa sempre più debole per nondire inutile se continuerà ad essere organizzata in perfettostile novecento, con le liturgie dei congressi e delle assemblee

plenarie, come dice Bonomi,” per canne d’organo settorialie fordiste nel territorio e tavoli romani ove negoziano piùche le risorse i tagli.”Dobbiamo prendere atto che la società come l’avevamoimmaginata nella seconda metà del secolo scorso non esistepiù, è in atto una decomposizione del sistema che deve esserecapito specie nelle sue novità.C’è da capire il radicarsi del processo migratorio con tutti isuoi risvolti innovativi anche nel mondo dei lavori, ci sonoda capire le eccellenze dei saperi in giro per il Paese chestanno cambiando il mondo del tradizionale terziario e dellostesso artigianato.Per fare un ragionamento nuovo e pensare ad un nuovo mododi organizzare una qualche forma di società di mezzo, rivistaed ammodernata dobbiamo smettere di essere vecchi e dipensare al passato.Quando parliamo di corpi intermedi smettiamo di pensarealle grandi organizzazioni sindacali dei lavoratori subordinati,di quelli autonomi e dei datori di lavoro.Oggi il sistema non è più rappresentabile dal classico conflittocapitale-lavoro e di conseguenza dai relativi soggetti piùtradizionali: sindacati e organizzazioni datoriali.Oggi nel territorio ci sono nuovi soggetti che stanno con-quistando la scena, una dei più significativi è certamenterappresentato dalle fondazioni di origine bancaria che la

Corte Costituzionale definì asuo tempo “organizzazionidelle libertà sociali”.Da semplici erogatori di prov-videnze, le fondazioni stannodiventando laboratori capacidi sfornare progetti, studi,ricerche e iniziative sia incampo economico, che infra-

strutturale, sociale, sanitario, culturale e didattico.Un’altra novità importante che vediamo sempre più presentenei midia ed ormai anche nei territori sono le organizzazionidei consumatori.Anche il mondo delle professioni se e quando riformato insenso meno corporativo, ma più aperto, potrà dare ancorameglio un contributo complessivo ed oggettivo al futuroammodernamento della società.La nuova società di mezzo non potrà non tenere conto dellepiù svariate forme di aggregazione che si sono create inquesti anni con interessi molto diversificati: dalla Compagniadelle Opere, ai gruppi di acquisto solidale, le banche etiche,tutto il mondo del terzo settore.In questi anni molte di queste iniziative si sono sviluppateanche perché hanno riempito un vuoto.Con una politica sempre più lontana dal cittadino questerealtà orizzontali si stanno imponendo sia da un punto divista della legittimazione che della incisività, tanto da poterespesso assumere quel ruolo di sussidiarietà in molti compitiche una volta erano ad esclusivo appannaggio del pubblico.In futuro, ma ancora meglio già oggi, la politica dovrà tornarea confrontarsi con questi nuovi temi del lavoro autonomo edell’innovazione, al sociale vero, smettendo di guardare iltutto dall’alto con la logica politica che tutto ciò di fatto nonrappresenta altro che la minoranza delle minoranze.Non vorrei mai che invece dei vecchi a fare da tappo allasocietà del futuro, fosse la giovane politica.

Una nuova società di mezzo

Senza una società di mezzo viva,vitale ed autorevole è molto

difficile che una democrazia possaessere in grado di governare un

paese ed un territorio.

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di Maddalena Forlivesi

Il modo migliore per valutare leperformance di un’associazionedatoriale e il suo appeal sugliassociati è indubbiamente quellodi ascoltare l’opinione degliimprenditori iscritti e da essarappresentati, ma è un eserciziocon il quale non si ama cimentarsi,perché alto è il rischio di scoprireche il re è nudo ed avere quindiconferma della propria ina-deguatezza.Ma fingere di non vedere cer-tamente non serve a risolvere ilproblema: è infatti fuor di dubbio

che un ciclo di sviluppo si sia compiuto ed uno nuovo se ne siaaperto. Dalla fine del 2008, quando è iniziata la grande crisieconomico-finanziaria che ha stravolto le economie di mezzomondo, all’indebolimento del sistema produttivo italiano si èaccompagnato anche l’indebolimento del sistema dellarappresentanza ed è gradualmente cambiato il modo di intenderla,con conseguenze ancora oggi difficili da prevedere.Non si può non riconoscere che negli ultimi anni siano intervenutimutamenti più o meno radicali che hanno interessato soprattuttoi corpi intermedi, ma le associazioni datoriali, in larga parte, hannomantenuto inalterato un modello molto simile a quello originario,pur essendo passate attraverso trasformazioni politiche edeconomiche, spesso epocali, sia a livello nazionale che in-ternazionale.L’unica soluzione messa in campo per superare questa impasse,pare però essere quella di perseguire processi di aggregazione, siaall’interno del medesimo sistema associativo, in un’ottica di merarazionalizzazione e ottimizzazione delle risorse, spesso peraltronemmeno realizzata, sia fra sistemi associativi dello stesso settore,erroneamente ritenendo che l’eliminazione della concorrenza diper se stessa rappresenti un vantaggio competitivo. Nulla di piùsbagliato, come recenti esempi, anche a noi vicini, hanno dimostrato.Nel primo caso il rischio che si corre è quello di dar vita, su unabase territoriale più ampia, ad una organizzazione che altro non èche una mera sommatoria dei soggetti preesistenti, spesso senzaalcuno sforzo di ridisegnare strutture più efficienti, più efficaci oin grado di produrre innovazione, né di assumere maggiore attrattivitào soddisfare maggiormente le esigenze delle imprese. Anzi, ilrischio che si corre è semmai quello di perdere il contatto con gliassociati. Nel secondo caso, invece, risulta quanto mai erratoritenere che il venir meno della concorrenza possa significareautomaticamente un incremento degli associati, poiché resta semprecentrale la proposta di servizi, soprattutto innovativi, che si è ingrado di offrire e la cui inadeguatezza, anzi, determina unallontanamento delle imprese.Tale immobilismo ha di fatto indotto ad una sorta diautoreferenzialità, che ha indebolito più di un sistema associativoe, quando non lo ha compromesso, ha tuttavia contribuito a ledereil rapporto con gli associati, essendo profondamente mutato ilcontesto politico, economico e sociale di riferimento, quindi leesigenze delle imprese e le motivazioni su cui si fonda la loroadesione. Questo è tanto più evidente laddove si tratti di sistemiassociativi particolarmente verticistici, articolati e complessi che,non a caso, più di altri registrano fuoriuscite di associati.Sempre più la decisione di aderire ad una associazione dirappresentanza si fonda su valutazioni qualitative dell’offerta deiservizi e della loro efficacia, sull’efficienza organizzativa e latempestività della risposta, nonché sulla rete di relazioni, sulrapporto fiduciario che si crea con le persone che vi operano, piùche nei confronti dell’organizzazione in quanto tale.Una recente indagine effettuata sulle associazioni di rappresentanzaha infatti evidenziato come, nella percezione delle imprese, è giàlargamente diffusa l’esigenza di ricevere in via prioritaria risposteconcrete e qualificate ai propri bisogni, mentre pesa sempre meno

il fattore identitario e il senso di “appartenenza”. Ciò rappresentaun deciso cambiamento di rotta, poiché molte associazionistoricamente hanno fatto leva più sull’appeal del proprio brand esul potere della lobby, che sulla loro effettiva capacità di darerisposte concrete ed efficaci alle singole imprese. Oggi questaimpostazione mostra sempre più i suoi limiti, anche se l’opposizioneal cambiamento è ancora molto forte, soprattutto da parte di chidovrebbe fare un passo indietro e, con umiltà, mettere in discussioneanche se stesso, le proprie competenze, il proprio ruolo.Sarebbe necessario un cambiamento, prima di tutto sul pianoculturale, il che rappresenta un primo ostacolo di non facilesuperamento, ma anche su quello organizzativo, a partire dallerisorse umane disponibili, che devono essere sempre più qualificatenell’erogazione di servizi a misura di impresa, rispetto a quelleimpegnate nella classica rappresentanza politico-sindacale.Infatti, le principali esigenze espresse dalle imprese e cherappresentano le principali leve per la loro crescita sonol’internazionalizzazione e il supporto tecnico ai processi di aperturadi nuovi mercati, l’accesso al credito e ai nuovi strumenti difinanziamento, l’innovazione, sia essa di processo, di prodottooppure organizzativa, la formazione di personale qualificato ed inuovi modelli di business: è principalmente su questo terreno che,oggi, un’associazione viene misurata.L’indebolimento del ruolo storico delle associazioni e losbilanciamento a favore di un’offerta qualificata di servizi alleimprese induce, quindi, ad alcune riflessioni sul loro ruolo: sempremeno lobby e rappresentanza, quindi meno ruolo politico, semprepiù servizi e consulenza, quindi sempre più ruolo tecnico. Non acaso, le razionalizzazioni in corso in tante associazioni datorialihanno toccato più il versante politico-sindacale, che quello deiservizi. Quindi, in sostanza, meno apparato burocratico e piùoperatività concreta.Inoltre, in alcune associazioni esiste ancora una organizzazioneestremamente verticistica ed un forte centralismo, che fa sì che ledecisioni vengano prese nelle sedi nazionali per poi essere calatesul territorio, spesso senza che vi sia alcuna valutazione sullaattinenza di quelle scelte alle esigenze e peculiarità locali. L’evolversidel sistema istituzionale e la più marcata tendenza allaregionalizzazione, ha poi fatto sì che nella percezione delle impresesia man mano diminuito il peso del “fattore romano” e quindi dellalobby che in quella sede si può esercitare, mentre l’interesse si èandato sempre più polarizzando verso altri due luoghi decisionali:la Regione e l’Europa.In questo contesto, nuove realtà associative sono nate da più partisul territorio nazionale, proprio per dare risposta a quelle impreseche nei sistemi tradizionali non credono o non si riconoscono piùe che oggi, non a caso, hanno acquisito una visibilità impensabilein passato, grazie alla capacità dimostrata di non inseguire interessicorporativi, spesso anche distorsivi della concorrenza, ma che sifondano sul conseguimento dell’interesse generale e non su interessiparticolari. Un modo di fare associazione fondato sulle reali esigenzedelle imprese, con una struttura “corta” e “snella”, che non sidisperde in riti e liturgie oramai superate, ma che si fonda su diun approccio bottom-up e problem solving, che sta avendo successofra gli imprenditori in varie parti del nostro Paese.E’ del tutto evidente che la diffusione di nuove associazioni va aderodere la centralità delle associazioni di impresa tradizionali econ esse dei sindacati, disegnando un panorama inatteso e tutto dascoprire.Le imprese avvertono sempre più l’esigenza che la loro associazioneelabori e sappia interpretare la visione complessiva che esse hannodel proprio sviluppo e sappia collocarli negli scenari futuri,traducendo poi gli obiettivi in progetti concreti. Il ruolo delleorganizzazioni datoriali deve quindi essere di guida e di proposta,deve saper sciogliere i nodi di oggi, per poter supportare gli obiettividel domani.Per questo diventa fondamentale per le associazioni affrontare perprime processi di innovazione culturale, organizzativa e di servizi,

Imprese e rappresentanza

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di Stefano Bernacci*

il che passa anche attraverso la sperimentazione di modelli dicollaborazione strategica, alternativi e innovativi anche sotto ilprofilo operativo e che intelligentemente fondano le proprie radicinei bisogni delle imprese, in una dimensione più ampia e trasversale,più lungimirante e aperta di quanto a volte i rigidi vincoli associativie i limiti territoriali non consentano.Del resto i cambiamenti in corso rendono sempre più evidentecome il sistema delle imprese tenda spontaneamente ad abbatterele tradizionali barriere fra categorie economiche, una voltacaratterizzate da profonde rivalità.

Oggi i confini spesso si confondono, rendendo sempre più difficilee di dubbia efficacia perseguire politiche di sviluppo che sianolegate al solo settore di appartenenza di un’impresa e in questosenso anche la diffusione delle reti, con la loro trasversalità, ne èuna conferma.Conseguentemente, la necessità delle imprese di cogliere opportunitàspesso non percorribili singolarmente, specie se di piccole-mediedimensioni, rende necessaria l’adozione di un nuovo modelloassociativo che sia in grado di supportane i processi di crescita inambito locale e internazionale.

I primi passi verso la costruzionedi un perimetro istituzionale,economico e sociale di area vastaprocedono tra molte incertezzee contraddizioni.Al di là del fatto che sarebbebene cominciare a definire unaterminologia più consona edeterminata dell'attuale AreaVasta, riuscire a superare annidi campanilismi e di identitàterritoriali consolidate nellacultura e nelle prassi risultaestremamente difficile ecomplicato.

Scontano evidenti criticità di consolidamento e sviluppo i progettifin qui avviati (dalla sanità alle esperienze associative) e nonpartono progetti che naturalmente dovrebbero avere comeperimetro ideale la configurazione del territorio romagnolo.E' di questi giorni la notizia che non si riuscirà a fare, per ledivergenze fra il territorio ravennate e gli altri territori, unaCamera di Commercio a tre (Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini)e che anche una delle poche esperienze di successo in ambitoromagnolo come il Gal L'altra Romagna si è sdoppiato per lescelte del territorio riminese di dar vita ad un proprio soggettoautonomo.Cosa sta succedendo rispetto ad un progetto sul quale a paroletutti si dichiarano d'accordo ma che nelle scelte conseguentitroppo spesso non riesce a trovare coerenti modalità direalizzazione? Sarebbe facile liquidare la questione come fattoriculturali e difesa di superati modelli di potere.Certo è anche questo ma non solo.La mancanza di un progetto complessivo di territorio condizionapesantemente lo sviluppo di percorsi di collaborazione edintegrazione.La strada delle progressive integrazioni, partendo dalle cose piùfacili che le amministrazioni intenderebbero perseguire, lasciaaperti spazi enormi di autonomia e discrezionalità cheindeboliscono il progetto complessivo. E' un problema dicontenuti ma anche di messaggi.Se a tutti i livelli non c'è una chiara e coerente intenzione diprocedere con un nuovo quadro istituzionale ed operativo leresistenze e le differenze prevalgono sull'innovazione.Non si tratta soltanto di un problema romagnolo.Come è accaduto nella sanità, mentre i nostri territori cercavanodi innovare il sistema scegliendo la strada dell'integrazione nellealtre parti della regione tutto è rimasto fermo.Il cambiamento pur essendo necessario è estremamentecomplicato ed ogni insuccesso o criticità viene visto dai sostenitoridell'attuale quadro come rafforzamento delle proprie convinzioni.Non è sufficiente sostenere che una dimensione più grande

produce economie di scala e di specializzazione ma occorre aiutarei vari soggetti a comprendere e valutare il ruolo che vorrebberoe potrebbero giocare nella nuova configurazione e lavorare, conun impegno collettivo, per il riconoscimento delle diverse posizioni.Va benissimo tentare di uscire da angusti e superati perimetriterritoriali a condizione di aver chiaro quale potrà essere ilvantaggio effettivo per i territori e come si svilupperanno gliimpegni e le opportunità per gli attori locali.Non è solo un problema istituzionale o associativo ma vale perl'Università, le infrastrutture, le reti dei servizi alle imprese ed ifuturi assetti del mondo bancario.Non nascondo di provare un grande timore quando soggetti chenon hanno mai cercato collaborazioni improvvisamente e spessopassivamente vedono nella strada delle integrazioni l'unico scenariopossibile. Mi sembra che dal punto di vista culturale il dibattitosia quanto mai povero.Avere una visione di territorio più allargata significa definiremodelli di sviluppo economico e sociali coerenti ed innovativi,comprendere che il rapporto con la città metropolitana di Bolognanon potrà essere che collaborativo e, per esempio, che per tanteragioni lo sviluppo lungo la dorsale adriatica può rappresentareuna grande opportunità al di fuori dei confini regionali.E' necessario a mio avviso che il fragile e precario processo diintegrazione venga supportato da un ampio e articolato dibattitosu una visione moderna del nostro futuro.Questo è un compito di tutti ma all'appello non può mancare unapolitica che troppo spesso si concentra sugli slogan e non ha ilcoraggio o la capacità di alimentare e condizionare un dibattitoadeguato finalizzato ad assumere nei territori scelte conseguenti.Quella politica che mentre da una parte dichiara che la Romagnarappresenta una grande opportunità dall'altra non perde occasioniper affermare distinguo su scelte che dovrebbero essere coerenticon tale progetto e che dà la sponda a coloro che consapevolmenteo inconsapevolmente ostacolano un processo di cambiamento.In questa fase abbiamo bisogno di più politica e di buona politica.Siamo di fronte ad una grande opportunità di cambiamento chenon è fatto solo di prodotti preconfezionati ma di tante esperienzeche possono muoversi con modalità differenti a condizione chevadano tutte nella stessa direzione.Nel nostro orizzonte non c'è solo la dimensione delle strutture suscala romagnola ma uno sforzo collettivo di persone che vedononella collaborazione e nell'integrazione fuori dagli attuali perimetriun modo per creare un ambiente economico e sociale miglioree maggiormente competitivo.Questo sforzo va coltivato e supportato per evitare che si inaridiscae perda molte delle sue potenzialità di innovazione.Per fortuna la società delle relazioni e delle reti dinamiche dipendesempre meno dagli assetti istituzionali e dagli attori pubblici eprivati che operano sui territori anche se un'azione coerente econtinua di questi potrebbe sicuramente essere di grande aiuto.

Imprese e rappresentanzaContinua da pag. 18

*Segretario Confartigianato Federimpresa Cesena

Manca ancora una visione del territorio

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di Franco Pedrelli

Nelle settimane scorse il ter-ritorio ha visto due importantieventi, il primo al CEUB diBertinoro, strettamente con-nesso all’innovazione, al mondodelle start up; il secondo aCesena, sullo stato delle impresedell’Information Commu-nication Technology (ICT), set-tore deputato per missioneall’impiego dell’innovazionetecnologica.Il CEUB ha ospitato l’eventoBest Entrepreneurial Experience

(BEE), secondo il modello di accelerazione di impresa mutuatodalla Silicon Valley, dove in 48 ore 60 partecipanti neo-imprenditori provenienti da tutta Italia sono stati sollecitatie guidati da mentori nel far emergere i migliori progetti difattibilità. Diverse le società e le istituzioni che hanno aderito,tra cui, quale principale sostenitore, Sviluppo Imprese Romagna(SIR), il cui presidente Mario Riciputi ne ha così spiegatoalla stampa gli obiettivi: "L'iniziativa vuole contribuire adiffondere la cultura imprenditoriale in Italia e far crescerele migliori startup creandoconnessioni internazionalie un organico collegamentocon il tessuto produttivo delterritorio".34 i progetti presenti, 12quelli scelti tra i parte-cipanti, 3 finalisti ed infineil vincitore. Ognuno ha mes-so in luce la grande vogliadei giovani partecipanti difare impresa, a conferma diquel che il professore boc-coniano Carnevale Maffèafferma dei suoi studenti: “Prima si diceva: faccio i colloquicon le grandi aziende. La quantità di persone che oggi miviene a dire “ho una business idea” è superiore”. Tra queipartecipanti alcuni erano veramente neo-imprenditori, con iloro progetti già a mercato, che cercavano figure da inserirenel business, oppure, il più delle volte, capitali di investimentoe supporto marketing. Altri erano allo stadio di pura definizioneprogettuale, interessati ai suggerimenti e agli aiuti alla lorobusiness idea. Tanti altri avevano realizzato solo il prototipo,desiderosi di agganciare l’attenzione di investitori pronti asupportarli nel lancio sul mercato. La business idea haabbracciato a 360° il panorama dell’immaginabile, dal prodottotangibile del kit per bici elettrica, al servizio di spedizioneespressa di frutta e verdura refrigerata, dall’applicazione peril controllo del calibro di crescita dei frutti, allo stoccaggiodi contenitori di cartone per oggetti personali, dalriconoscimento automatico da foto dei monumenti, allapiattaforma per la comunicazione tra ente locale e cittadinonell’ottica della smart city e così via.L’evento ha prodotto sicuramente positivi effetti suipartecipanti, ma queste gare di start up “Servono per farsiconoscere, per avere contatti, ma a una startup serve altro.Fiducia, investimenti, e il coraggio da parte delle istituzioni”.Se culturalmente non sei predisposto ad assumerti rischi eresponsabilità, condanni la tua impresa o istituzione alla

massima tranquillità data dal passato e noi, per quanto riguardail territorio che lo ha ospitato, la Romagna, siamo in attesadi verificare la ricaduta di questo evento.L’ondata parossistica riguardante l’innovazione, leggi startup, sta attraversando anche l’Italia, eppure il fenomeno è daanni sulla scena internazionale, accontentandoci magari digioire quando un nostro connazionale assurge alle cronacheper aver venduto la propria idea alla grande corporation diturno o al venture capital d’Oltreoceano.E se fossero da rivedere? Abbiamo sì cervelli, capacità, in-ventiva secondi a nessuno, solo una cosa ci manca, la po-tenzialità di un grande e unico mercato, dove il nuovo siainterpretato come opportunità e non come rischio, il riferimentoè ovviamente l'America. I soldi là di conseguenza arrivano,dai privati, con due ordini almeno di grandezza maggiori deinostrani e per dare gambe alle idee c’è bisogno di tanti soldi.Che fare allora? Focalizzarci dove ci è possibile farlo, mafacendo sistema. Allora per prima cosa vai con cultura, arte,turismo, validi per tutto il Paese, ma anche agricoltura,food&wine, benessere; quindi agire sui segmenti di mercatomarginali, ma di norma molto più profittevoli, quelli doveritroviamo le nostre eccezionali piccole e medie imprese.Forse sarà da rivedere anche il mito della laurea magistrale

con master(s) annesso(i), perchési può trovare tanta soddisfazionemolto prima.Avremo forse qualche milionarioin meno...all'estero, ma tantabuona occupazione di esperti inItalia.Le opportunità poi ci sono, bastasaperle cogliere, ma ancor primaoccorre avere coscienza e scienzadi dove si vuole andare, qualisono gli obiettivi comuni che sivogliono perseguire, smetterlain altre parole di essere i cam-

pioni del proprio campanilismo o, ancora peggio, mettere incantiere azioni col solo scopo di giustificare la propriaesistenza. Un esempio? Spulciando tra i progetti presentatisegnaliamo due tra i tanti, come Get COO, un’applicazioneper smartphone per il riconoscimento automatico deimonumenti da foto, senza l’utilizzo della geolocalizzazione.Può avere grande potenziale nella valorizzazione delpatrimonio monumentale, dove si può ipotizzare ilcollegamento verso piattaforme esistenti di promozioneturistica. Pensiamo per un attimo di avere turisti che viaggianoin Romagna, che fotografano un monumento, ecco, possonoimmergersi immediatamente nella sua storia, collegarsi adaltre sezioni turistiche, aggiungendo valore aggiuntoall’insieme. Il team è alla ricerca di figure da inserire alproprio interno, di contatti e capitali per promuovere l’idea,attività queste ultime di competenza di norma del businessangel, cioè di quella figura che accompagna la crescita dellastart up, grazie alle sue competenze di business e ai contatticon gli investitori, leggi venture capitalist.Oppure ad Hortycultural Knowledge, soluzione web di analisipredittiva del calibro dei frutti, per ora specializzati su pero,melo e kiwi. Questa start up è già a mercato, con clienti qualiAgrintesa, Apoconerpo, Apofruit, Modì, Mela Più, Salvi,Zani, Patfrut, Mazzoni, Zevio, Melavì, Minguzzi SpA, Zespri.

Innovazione e territorio

Abbiamo cervelli, capacità, inventivasecondi a nessuno, solo una cosa ci

manca, la potenzialità di un grande eunico mercato, dove il nuovo sia

interpretato come opportunità e noncome rischio. Che fare allora?

Focalizzarci dove ci è possibile farlo,ma facendo sistema.

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Innovazione e territorio

Operano già in Francia e Spagna, dove vi sono estese realtàa frutteto. Sono alla ricerca di finanziamenti e supportomarketing per espandere rapidamente il mercato, ovvero ancheloro hanno necessità di un business angel.A Cesena invece è stato rilasciato il primo rapporto sullo statodell’ICT riguardante la provincia di Forlì-Cesena. Momentointeressante, se non altro perché si è cercato per la prima voltadi capire quale sia esattamente il mercato dell'ICT, il quale,nonostante gli sforzi di analisi, assomiglia per gran parteall'araba fenice, che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun losa. Eppure il mondo intero associa a questo mercato potenzialitàenormi, grande capacità di trasformazioni economiche esociali.I principali attori presenti cosa hanno detto?Le istituzioni locali, rappresentate da Camera Commercio eRegione, si sono focalizzate sugli obiettivi del digital divide,vedi banda larga e ultralarga, nonché spinta sull'innovazionee sulle start up. Sono stati sfiorati gli obiettivi strategici delterritorio, quali trend si vogliono spingere, come affrontarel'ancora ridotta internazionalizzazione.L'Università, da parte sua, ha lasciato un po’ a desiderare,apparsa arroccata su posizioni difensive e poco innovative.Abbiamo ascoltato che gliingegneri sono fortementerichiesti dal mercato, ergooccorre semplicemente au-mentare il numero di studenti,molto utile, si aggiunge, permantenere i corsi di laurea.Nello stesso tempo il mercato,leggi le imprese dell’ICT, devepremiare le lauree magistrali,per la maggiore seniorityacquisita con le stesse: tesiquesta smentita poi dalla stessavoce del "mercato", il qualeha fatto notare che l'impresapremia il saper fare. Qui siintroduce un primo livello di potenziale disallineamento trauniversità e imprese, indice di un colloquio imperfetto tra chicostruisce competenze e chi quelle stesse competenze le deveimpiegare.Sempre l’Università si è lamentata di una ricerca che stentaad andare a mercato, dimenticando un deficit atavico italiano:il bilancio del CNR serve essenzialmente per pagare stipendied immobili, mentre i ricercatori sfornano pubblicazioni ebrevetti, sperando che qualche impresa sia interessata. Anchein questo caso emerge l’autoreferenzialità di una ricercascollegata dal mercato, ma anche di un mercato non propensoad investire in ricerca…specie in Italia.Triste invece la croce lanciata contro i propri studenti, accusatidi non avere spirito di imprenditorialità, che a questo puntosi immagina sia finalizzata nel dare nuova linfa all’incubatorecittadino CesenaLab: ci si dimentica però che gli studenti nonsono altro che il prodotto ultimo dell'Università, diretta,condotta e gestita da quegli stessi professori che non neapprezzano il risultato finale, ignorando oltre più che a queglistessi studenti non è necessariamente negato poi lo slancioimprenditoriale nella Silicon Valley.Allo scollamento tra formazione e impresa si deve risponderecon azioni dirette di contaminazione, dove ciascuno scendedal proprio piedistallo, magari partecipando ad incontri tipo

“alcolisti anonimi”, ma dove si definiscono in modo chiaroprima gli obiettivi comuni, di territorio, per poi calarli nellapropria realtà, per poi infine verificare periodicamente glistati di avanzamento e le eventuali azioni correttive.Unindustria e CNA hanno rappresentato interventi di categoria,dove difficilmente sono emersi gli aspetti di cambiamento,l'attenzione più sottesa alla cura del modello di businessattuale, quindi attenta alla richiesta di nuovi progetti da partedell’ente pubblico, di finanziamento e di sostegno alle imprese.Nessun accenno ai cambiamenti che questi anni hannointeressato il mondo dell’ICT, trasformandone i connotati, ilperimetro, con l’ingresso di nuovi modelli dove tutto stadivenendo virtuale, immateriale, con grandi playersinternazionali a dettare le regole di mercato. Ma oggi l’ICTè anche quell’arena dove si gioca su servizi e applicazioni,riducendo di molto le necessità di competenze tecniche, questesvolte da sempre meno persone e in forma concentrata: l’esattocontrario del vecchio modello ICT, quello che chiede sostegnoper il suo mantenimento. E alla fine, con Assinform e NetConsulting, le associazioni nazionali di categoria dell'ICT,è venuta la sveglia, fermandosi non tanto all’analisi delpresente, quanto verso i trend futuri. Sono così stati evidenziati

i nuovi paradigmi, non tantodell'ICT, quanto del mondodigitale nel suo complesso,dove l'ICT costituisce fattoreagevolante, ma non neces-sariamente strategico. Eccoallora alcuni esempi, quale lasharing economy (i nuovimodelli di condivisione deibeni, vedi l’auto con Uber),l'IoT (l’internet delle cose,quello che connette in reteoggetti, dispositivi e li fainteragire, base del concettodi smart city), e-market place(i nuovi mercati di digitali di

prodotti e servizi, vedi Amazon), il clouding (i grandimagazzini di dati e applicazioni sparsi per il mondo, vediAmazon, Google, Microsoft) , esempi che pongono in risaltol'inadeguatezza dei modelli di business attuali, che già oravengono erosi, ma che appena la consapevolezza da parte delmercato esploderà, saranno spazzati via d'un colpo. Un invitoinsomma a darsi una mossa, detto direttamente fuori dai denti.In conclusione, la strada da percorrere dovrebbe essere chiara,occorre fare rete, dialogare, contaminarsi, aprirsi alle in-novazioni, tra cui l’importante mondo dei maker e dei fablab,ovvero del nuovo artigianato. Quindi definire le eccellenzestrategiche del territorio con cui andare sul mercatointernazionale, l’unico che compra, oltre a quello europeo.Per farlo le associazioni e gli enti dovrebbero dare il lorocontributo di facilitatore, poi fare subito un passo indietro,affinché le forze in gioco si sviluppino al meglio.Probabilmente occorrerà rivedere alcuni “giocatori”, perchévale sempre la massima: quando il mercato è in espansione,premia tutti, per cui basta esserci e i “giocatori” devono esserepiacioni e non spaventare alcunché; viceversa, quando ilmercato è in subbuglio, occorrono “giocatori” che sappiamoindicare le nuove mete e le perseguano in modo deciso erapido. Sta a noi decidere se vogliamo essere “deserto deitartari” o il nuovo Cristoforo Colombo.

La strada da percorrere dovrebbe esserechiara, occorre fare rete, dialogare,

contaminarsi, aprirsi alle innovazioni, tracui l’importante mondo dei maker e dei

fablab, ovvero del nuovo artigianato.Quindi definire le eccellenze strategichedel territorio con cui andare sul mercato

internazionale, l’unico che compra, oltre a quello europeo.

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Da “parcheggio si-parcheggio no” a un caso vero e proprio, inquanto richiama più questioni, su fronti differenti, perché no?,anche politici e culturali, non meno che caratteriali e personali.Ci diffondiamo qui in Energie Nuove, perché possiamo farlo.È da qui che è nato il primo comitato e la prima raccolta difirme (oltre sei mila) per perorare la realizzazione di unparcheggio interrato a rampe in Piazza della Libertà. Parecchianni fa. Perfino una lista civica per le elezioni del consigliocomunale nel 1999, Cesena cambia, propose questa soluzione.Una lista, “oltre la destra e la sinistra, solo per Cesena” chediceva: il parcheggio interrato a rampe in Piazza della libertànon sappiamo se è di destra o di sinistra, sappiamo che sarebbeutile per il centro storico. Non fu male il risultato di quella lista(5% circa); ovvio non fu bastevole. A gògò, invece, il voto“politico”, altro che i contenuti! E poi, a seguire, l’autorefe-renzialità crescente dell’Amministrazione comunale: un carroarmato di mera gestione nella diffusa pochezza di cultura digoverno. Ancor prima di tutto questo, in un convegno pressola sala della Banca popolare di Cesena, affrontammo il temadel centro storico di fronte al diffondersi della grandedistribuzione, nelle differenti tipologie dell’”urbanisticacommerciale” della Regione.A Cesena erano anni di dibattitosu questioni rilevanti di assettoterritoriale e sviluppo. La “Va-riante Catapane” interessavaquella che è oggi l’area exZuccherificio. Inizialmente ciinsisteva una previsione com-merciale di nemmeno un mi-gliaio di metri.L’insediamento, a Cesena, nel-l’area industriale di Pieve-sestina, di Cic della Coop (al-lora Romagna-Marche) ,“portò” l’allora Amministra-zione comunale a inserire inquell’area ben altra previsionecommerciale: per la possibilitàdi un centro almeno “infrare-gionale”, per quanto non dei più grandi. Adesso c’è “il lungoSavio”. La questione posta in quel convegno era scevra da ognipregiudiziale verso l’evolvere dei nuovi sistemi distributivi. Sepregiudiziali si manifestavano erano quelle del consolidatosistema commerciale contro le nuove forme distributive, chenella nostra regione (fra le prime) venivano incentivate. Peraltropregiudiziali condotte in modo strano. Per il centro commerciale(coop) di Modena, ad esempio, era furibonda l’avversità dellaconfcommercio, mentre c’era l’adesione della confesercenti;per quello (coop) di Parma le parti erano capovolte: a favorela confcommercio, contro la confesercenti. Perché? Dipendevada chi aveva in cura la galleria dei negozi intorno alla piattaformadello despecializzato alimentare del centro. Il dio convenienzafaceva la differenza. L’asse della nostra riflessione era, invece,cosa avrebbe significato, per il centro storico l’avvento di centridistributivi nuovi nella cinta urbana più prossima. La nostrariflessione non era solo sulla “verticalità” della questione e dellaconcorrenza commerciali. Per quanto sia un aspetto nontrascurabile e da tener presente.Centrale era la considerazione sulla vita cittadina, sul suo “cuorepulsante” (il centro storico) che deve continuare a battere, e chenon deve perdere la peculiarità di principale centro gravitazionaledella nostra vita cittadina. Il capolavoro dell’impuntatura control’accessibilità al centro della città che, in particolare, questa

Amministrazione ha incarnato sfocia, invece, nella trasformazionedel nostro centro, facendogli perdere la connotazione e la forzadi principale centro gravitazionale della vita cittadina. Laquestione non è la lotta ai ferri corti fra le più o meno grandistrutture di vendita che sono sorte intorno e il centro storico(per antonomasia anche centro commerciale). La questione chesi è venuta (e si sta) ponendo con grande evidenza è la mancanzadi una adeguata e avanzata visione della nostra città e la pochezzadi cultura e di capacità amministrative e di governo del nostroComune. Di fronte al resto dello sviluppo non si è posto ilproblema di come, contemporaneamente, rilanciare il centro emantenere ad esso (e non far perdere) la sua forza gravitazionale.Questa è la questione che scontiamo: sorgente di “cicatrici amemoria”. L’impuntatura contro l’accessibilità al centro violentala connotazione “calamita” del centro storico. La grande questioneè questa. Non quella di un parcheggio-si o parcheggio-no. Perquanto fa molta differenza fra due posti se a uno è possibileparcheggiare vicino e all’altro no. Il parcheggio di piazza dellaLibertà è diventato questa questione ben più ampia e trascendela sua specificità pur importante. Perché chi come noi volevail parcheggio interrato a rampe, come è in tantissime altre città,

voleva favorire l’abbellimentodel centro; l’estensione dellasua pedonalizzazione; lafruibilità che è nelle corde dellaconcezione e del costume,lungamente assimilati, delnostro centro cittadino. E seesso è cuore che pulsa, lo ènella sua interezza, e anche, ene è gran parte, nella sua vitacommerciale. Dove gravitagente c’è commercio e op-portunità di commercio e questeattività a loro volta sono ele-menti determinanti e fon-damentali di arricchimento divita e di gravitazione sociale ecivile. Insieme alle altre attività,agli uffici, agli studi profes-

sionali, agli sportelli bancari e di pubblici servizi, agli spazipubblici della cultura, agli spazi e alle attività dell’incontro.Disincentivare l’avvicinamento al centro e pregiudicarne lafruibilità comporta problemi su questo intero vasto fronte. Laspaccatura che sta passando a Cesena non è quella, politica econtestativa, fra le “cocciutaggini” del Sindaco e dei manifestanticontro la chiusura di Piazza della Libertà. È la spaccatura piùampia della città e nella cittadinanza: il modo con il quale si èperseguito la rottura con un costume e una concezione di vitacittadina. Si parla di “arroganza”, non di soluzioni. Poi, molti– giacchè bisognano di individuare un nemico specifico perdare distinzione a una battaglia - sono corsi ad identificare il“soggetto cattivo” dell’epilogo, che si sta vivendo, nellacontrapposizione fra centri commerciali di cinta urbana (inparticolare quello del Conad) e centro storico. La vulgata è: siuccide il centro storico per favorire il Conad (e gli altri centri,non c’è solo il Conad, infatti); è una questione di favoritismopolitico interno alla sinistra e fra amici della stessa parte politica.È, a nostro parere, una vulgata (e non vorremmo doverciricredere), ma la percezione di tanti è questa: da una parte sisprona ad andare, è facile parcheggiare e c’è spazio, nell’altrase ne impedisce l’avvicinamento e si elimina anche quel pocoche c’era. Così, però, si incancrenisce una sorta di contesa e di

Il caso "Piazza della LibertàCesena

La spaccatura che sta passando aCesena non è quella, politica e

contestativa, fra le “cocciutaggini” delSindaco e dei manifestanti contro lachiusura di Piazza della Libertà. È la

spaccatura più ampia della città e nellacittadinanza: il modo con il quale si èperseguito la rottura con un costume euna concezione di vita cittadina. Si parla

di “arroganza”, non di soluzioni.

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conflitto che non devono avere, invece, ragione d’essere e dicontinuare. Anche su quell’area, la Montefiore, si potrebbetornare e metterne a fuoco il dispiegarsi nel tempo e nelle forme.Le prime richieste per centro commerciale in quell’area non lefece Conad. A seguire la situazione divenne quella checonosciamo adesso. Oggi se Conad ragiona del suo ulterioresviluppo aziendale nel contesto delle possibilità di quell’area,non è cosa che possa stupire. Non può stupire che una aziendacerchi di consolidare e sviluppare la propria attività. Né che chidetiene quell’area ne pensi uno sviluppo che va anche oltre le circoscritte problematiche commerciali; se e nella misura nesussistano le condizioni urbanistiche e regolamentari. È chiaroche - se si guarda la situazione cesenate dei punti di gravitazionecommerciale, considerandoli, tutti, quelli di cinta urbana, e sesi considera lo sviluppo cui volge nel suo complesso l’areaMontefiore - ne deriva una istantanea che insieme a quelle“calamite” che già conosciamo lascia facilmente intravedereche ce ne sarà anche una (Montefiore) ancor più forte, perchénon solo commerciale, ma anche in senso più ampio, economicoe sociale. Ciò che deve stupire è che questa istantanea la si vedain tanti tranne che l’attuale Amministrazione comunale. Chenon dovrebbe essere cieca. Però si mostra orba. E a ben guardaredovrebbe trarre indirizzo. Ilcontesto evidenzia che c’è un buco,un vuoto, che si stanno con-sumando da tempo. Mentre tuttoil resto, di cui sopra, procedeva eprocede (nei modi di cui pur sipoteva e si può discutere), unarealtà importante cittadina, il nostrocentro storico, non solo venivalasciato al palo, non solo non haavuto l’onore di una politica chene cercasse condizioni di rilancioe sviluppo, ma le poche, episodichepolitiche, che lo hanno interessato– tolte rarissime eccezioni – sonostate e continuano ad essere di“verso contrario”. Per aiutare il centro storico non si devecontrastare qualche cos’altro. Né qualche cos’altro può (o deve)avvantaggiarsi per il declino del centro storico. Il centro storicodeve tornare ad essere un cuore che pulsa. Ma ha bisogno diuna politica e di un governo che sono stati mancanti. Nonpolitiche “contro” qualcosa o qualcuno, ma politiche “per”. Eil vuoto eclatante che si vede è quello che riguarda le politiche“per” il rilancio e lo sviluppo della vita e delle attività del e nelcentro storico. Da Salvatore Settis (da un articolo recente suRepubblica): “I centri storici si svuotano e fronteggiano untriste bivio: ora decadono a ghetto urbano riservato agliemarginati; ora, al contrario, subiscono una gentrification cheli svilisce …. a enclaves riservate agli abbienti, e da centri divita si trasformano in aree per il tempo libero (che da noi sarannole sagre dei cibi e quant’altro che già si fanno di tanto in tanto-ndr), assediate da periferie informi ed obese”. Occorreva eoccorre rendere fruibile il centro storico; facilitarne l’accessoe la frequentazione e renderlo più ampiamente pedonalizzato.Dopo la nostra prima petizione e le iniziative che seguirono siarrivò al concorso per la Piazza e vinse un progetto checontemplava il parcheggio interrato a rampe e il recuperosoprastante. Da lì l’Amministrazione è tornata indietro e condifficoltà si può addurre ragioni che non siano “impuntature”.Né ci sta la giustificazione che probabili eventuali reperti storiciche si possono trovare scavando siano di impedimento allarealizzazione. Ce ne fossero! Intanto li potremmo vedere e ne

potremmo godere tutti. Sarebbero pur sempre storia di questacittà. Fin dal suo primo mandato l’attuale Sindaco (di questogli si deve dare atto) si è posto contro il parcheggio di Piazzadella libertà, non solo sotto ma anche sopra. Ha preso i voti peril secondo e attuale mandato, il suo ultimo. Ha preso voti ancheda chi su Piazza della libertà ha posizioni diverse. Un votopolitico e amministrativo per quanto significativo per gli indirizzidi fondo non è una sorta di “unzione”. Governare vuol direanche saper parametrare quegli indirizzi alle situazioni che simodificano, ai cambiamenti che sovvengono, alle esigenze chesi palesano con accresciute forze e consistenze. La mancanzasu questo fronte ingenera la classificazione a impuntatura dicerte pervicaci azioni. Ancor più allor quando si fa esercizio distrumentale tatticismo mettendo in campo idee fantasiose,improbabili soluzioni, così tanto per tirare per le lunghe e nullacambiare davvero. Diceva il Sindaco: è vecchio questo confronto-dibattito su piazza della libertà, andiamo oltre. L’oltre raggiuntoè quello che abbiamo sotto gli occhi. E non è chi ha vinto o chiha perso nel braccio di ferro sul parcheggio. È la spaccaturaprofonda intervenuta nella città e nella cittadinanza cesenate.Ben oltre la questione del parcheggio e di ben più ampiesignificanze. E la perdurante assenza di una politica degna di

questo nome per il centrodella città.Una città come Cesenamerita che ci arrabattiamotutti intorno a delle con-trapposte impuntature senzavedere che manca proprioquesto? Bisogna uscire dalpensiero corto, cortissimo,invalso in questi tempi. Conun pensiero più lungo e diqualità. Intanto guardiamoche succede scavando inpiazza della libertà.E riflettiamo da subito sututto quanto compreso

questo. Resettiamo il passato, le impuntature, gli scontri e icontrasti e andiamo oltre. Come rilanciare il cuore della città,quale sviluppo alla sua consistenza culturale e storica, comerilanciarne la vita quotidiana, come non ridurlo a un solo granvivere di episodiche sagre. Dibattiamone seriamente con pensierilunghi e forti senza improvvidi tatticismi e senza mal posti“orgogli” di posizione. Quanto da un simile impegno (semprese ci sarà davvero, forte e serio) potrà scaturire (anche a propositodi quali risultino essere in quel quadro le soluzione migliori,più congrue, compatibili e più utili a proposito della facilitazionedell’avvicinamento al centro, del o dei parcheggi necessari),sarà un appropriato “andare oltre” benefico per Cesena. Perquanto sia possibile, quasi inevitabile, che in quell’andare oltrefacciano capolino spunti e posizioni che pur erano e sono delleparti al momento in stallo di contrapposizione. Un vero rilanciodel centro, un buon programma, una forte progettualità. Dariflettere e da dibattere.Intanto che si scava, adesso, nello scorcio di questa seconda edultima sindacatura. Il cuore e la testa oltre la siepe. E nessunosi mangia la faccia; nessuna questione sta e si riduce a contenderefra zone della città.È tempo di ragionare con più concorso e partecipazione a meglioattrezzare e adeguare il governo e l’amministrazione cittadinialle potenzialità, all’importanza e alla tradizione di una città edi un territorio come i nostri. Qui sta il punto: c’è volontà verae seria a mettersi in questo verso?

Il caso "Piazza della LibertàCesena

Il centro storico deve tornare ad essereun cuore che pulsa. Ma ha bisogno diuna politica e di un governo che sonostati mancanti. Non politiche “contro”qualcosa o qualcuno, ma politiche “per”.E il vuoto eclatante che si vede è quelloche riguarda le politiche “per” il rilancioe lo sviluppo della vita e delle attività del

e nel centro storico.

di Emanuele Chesi*

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A Forlì cinquemila firme dicittadini sono riuscite a fermareil progetto del Comune di ab-battere diciassette piante incorso Diaz. Settemila e passafirme a Cesena non hannostoppato il progetto di riqua-lificazione di piazza della Li-bertà con la cancellazione delparcheggio. Nella nostra cittàil contrasto tra l'epilogo dei dueepisodi di mobilitazione civica

ha fatto scalpore, a tutto danno della più volte annunciatadisponibilità al confronto da parte dell'amministrazionecomunale di centrosinistra guidata da Paolo Lucchi. Sarebbefacile glorificare il dietrofront del sindaco forlivese DavideDrei come dimostrazione di resipiscenza democratica. Inrealtà, brutalmente, la giunta del cittadone ha preso attodell'impopolarità dilagante di un progetto comunale tuttosommato secondario (la sostituzione di vecchi bagolari conpiù ambientalmente corretti peri in fiore). Ben diverso ilcaso cesenate, dove il progetto di pedonalizzazione di piazzadella Libertà - a torto o ragione - è uno dei punti qualificantidel programma elettorale del sindaco. E probabilmente ancheun atto decisivo per lasciare un "segno" sulla città del-l'amministrazione lucchiana al secondo mandato.Segnalate le dovute differenze, resta però sul tavolol'immagine di una città dove lo scollamento tra una buonafetta dell'opinione pubblica e il partito di maggioranza appareormai evidente. Oltre settemila firme con l'amministrazioneraccolte in larga misura nel bacino del centro storico hannoun peso ragguardevole. E' commisurabile col consenso al54% raccolto dal centrosinistra alle ultime comunali?Ovviamente no. Si tratta di due piani diversi, non ne puòuscire in automatico una delegittimazione delle scelte dellagiunta. Ma il problema, specialmente in chiave futura, resta.E' un problema che riguarda da vicino il Pd, così come ilcentrodestra. Per i democratici si pone in particolare laquestione del rapporto col mondo del commercio, dove finoad oggi ha goduto di buone aperture di credito. Basti pensareche anche il presidente del comitato di piazza della Libertàsi è dichiarato ex elettore Pd. Un elettorato in obiettivasofferenza che per questo si va sempre più radicalizzando.Ma anche il centrodestra ha di che ragionare, visto che lamobilitazione dei comitati prescinde ormai dalla mediazionepartitica. D'altra parte però il protagonismo dei cittadini èun segnale positivo per una città da troppo tempo abituataa un sottofondo di conformismo e di timore reverenzialeverso qualsiasi forma di potere.Un groviglio di questioni che amministrazione e partitihanno il dovere di raccogliere e interpretare. E che devonoispirare società civile e corpi intermedi ad assumere unapresenza più forte ed attenta.

Cittadini protagonisti

*Capocronista Il Resto del Carlino Cesena

Cinque palettidi Pietro Castagnoli

Ernesto Galli Della Loggiain un recente articolo sulCorriere della Sera (7ottobre) fissa cinque paletti,da storico quale è, per i nostrirapporti con l’Islam. Il suovuole essere un confrontoaper to che co invo lgereligione, politica e cultura.Papa Francesco di ritornodall’America ha sostenuto lalogica del dono nei confrontid i u n a s o c i e t à c h eall’apertura del Sinodo sulla

famiglia non esita a definire “disidratata, arida e anonima”,parole dure contro l’individualismo dell’avere, ma cherivelano un atteggiamento di cristianesimo autentico di frontealle guerre, alle ondate di immigrazione che invadonol’Europa, ai pericoli dell’Isis che innalza bandiere nere eatterrisce con i rituali dei tagliagole.Il primo paletto riguarda l’Islamofobia, l’avversione ciecacontro un mondo che non ci appartiene, in particolare perla sottomissione e il trattamento della donna, che ci appareuna forma di schiavitù per chi considera gli esseri umaniuguali. Anche da noi il problema della liberazione delladonna, la sua emancipazione, ha lunga e triste storia nonsempre esemplare per i tentativi di mercificazione del suocorpo.Il secondo paletto è la diversificazione all’interno dellereligioni monoteiste. Anche se si riferiscono a un unico Dio,quando si scende sul piano delle difesa dei diritti naturalisi spalanca un abisso, tra chi si afferma con il diritto allaviolenza e chi predica la pace e la comprensione.Il terzo paletto riguarda l’alternanza delle sopraffazionistoriche e le loro motivazioni di fondo, o come si potrebbedire i “torti storici”. La domanda che ci facciamo è comemai Maometto con la spada si conquista il potere e l’islamsi estende in Asia, in Africa fino ad accerchiare l’Europadopo la caduta dell’impero bizantino. La reazione con leCrociate e la battaglia di Lepanto è puramente fallimentare,per i dissidi interni alle coalizioni, mentre non lo è ladissoluzione dell’Impero Ottomano dopo la prima guerramondiale. Le varie forme di colonialismo che si sonosusseguite in America, in Africa e in Asia stanno creando leritorsioni con le ondate di immigrazione di popolazionidevastate dalla fame e dalle guerre.Il quarto paletto riguarda non l’esplicita condanna dellaviolenza, ma il ricorso alla mediazione nel riconoscimentoreciproco di una convivenza possibile.Il Quinto paletto verte sul dialogo interreligioso perché nonsia una mistificazione. Si tratta di ritrovare i punti in comuneche realizzino una vera comunità nella parità dei diritti edei doveri prima di ogni altra cosa. Una vera cultura deldialogo non può fondarsi sulla distruzione di chi comandaper mettersi al suo posto, ma sulla tolleranza che nasce dalriconoscimento reciproco e dalla limitazione delle proprieaspirazioni.Intanto si combatte in Siria per eliminare un despota che siconsidera una garanzia di una tradizione, per un posto inCrimea per una flotta che deve affacciarsi sul Mediterraneo,o per mantenere una egemonia tra potenze. La storia non sicura dei paletti, ma noi abbiamo bisogno di capire che cosac’è tra i moti emotivi e sentimentali della storia.

Cesena Cultura

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di Giampiero Teodorani

Grandi e piccoli musei e gal-lerie d'arte moderna e con-temporanea in Italia si sonoformati e sono cresciuti neltempo prevalentemente graziea donazioni ed acquisizioni daprivati, enti e associazioni ter-ritoriali. Anche a Cesena, spe-cialmente nel recente passato,si sono verificati episodi digenerosità da parte di artistiimportanti e collezionisti, chehanno contribuito a accrescere

il patrimonio della città. Un episodio su tutti, la donazionedella “Collezione Morello Morellini”: intitolata ad unmedico cesenate trasferitosi a Roma e diventato il dottoredegli artisti, che alla sua morte e in suo onore, donaronopropri dipinti destinati alla creazione di una galleria d'artecontemporanea nella città natale dello stesso Morellini.Sono così entrati a farparte del patrimonioartistico comunale 30opere di Guttuso,Maffai, Turcato, Mo-nachesi, Greco, Faz-zini e tanti altri artistiimportanti e famosi.Un nucleo veramentefondante a cui si sonoaggiunte le donazionidi Schifano, Bogoni,Vacchi, Lanfranco,Piraccini, Sughi, dopola realizzazione disignificative mostremonografiche. Da nondimenticare il lascitodi Mario Bocchini allasua città natale di diverse opere. Si potrebbe ovviamentecontinuare nell'elenco.Ma questa generosità è stata ricambiata dalla città? E inche modo? Credo di poter dire in maniera insufficiente emolto parziale. Vecchie e più recenti donazioni hannotrovato posto nella quadreria della Biblioteca Malatestiana,poi nella Pinacoteca Comunale, che è oggi totalmente saturaperfino nei suoi precari depositi.Quindi, sono state in parte ospitate nei diversi corridoi delpalazzo municipale ed in ambienti attigui alle sale delconsiglio comunale e della giunta e in tanti uffici. Si potrebbeconcludere che donare arte oggi alla collettività vuol direcreare più problemi che altro all’amministrazione comunale.Così come è naturale che senza l’offerta di una adeguatavisibilità il collezionista, come pure l'artista, o eredi dipittori e scultori, si sentano del tutto demotivati dal renderepubblico il proprio patrimonio d’arte, stante il desiderio(credo più che legittimo!) di tramandare, a chi verrà dopodi noi, il segno dell'esistenza di una attività o della passione

di una vita.Questo proposito va invece sicuramente incoraggiato daparte dell’ente pubblico, e devono essere date garanzie a chicompie gesti di alto civismo, che sarà fatta correttaconservazione con adeguata valorizzazione delle cose donate.Valga per tutti, l’esemplare pubblicazione che è stata dataalle stampe dall’Istituto regionale per i beni culturali sullapiù recente donazione di opere d’arte e fotografie voluta daRenzo Ravegnani a favore della Biblioteca Malatestiana.Non posso dimenticare la confidenza che alcuni anni fa mifece un caro amico collezionista, oggi scomparso, circa lasua volontà, condivisa dalla moglie e in assenza di figli, didonare all'ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali) l’interapropria collezione di arte contemporanea. Per tutta la vitaquell’appassionato d’arte aveva raccolto dipinti di Vespignani,Ferroni, Banchieri, Fieschi e tanti ancora (i Cappelli e i Sughipiù belli degli anni sessanta sono stati suoi) e ora quelleopere sono destinate ad essere disperse in un'asta, il cuiricavato sarà impiegato per fare stare meglio cani e gatti,

che tanto il collezio-nista amava. Un gestonobile, nulla da dire!Ma quanta tristezzasapere che forse, pro-prio per una mancanzadi fiducia nelle capacitàdel nostro Comune diessere un buon gestoredi tanto patrimonio,opere d’arte di rari va-lore e bellezza saran-no per sempre disperse,a favore del miglioreofferente.Ho ricordato un caso,ma sono tante, a Cese-na, le situazioni che co-nosco e riguardano col-

lezionisti, artisti “storicizzati” e anche famiglie di celebriartisti scomparsi, interessati a rendere pubblici propripatrimoni, e la città farebbe bene ad attrezzarsi adeguatamente,cominciando dal dotarsi di una struttura museale che oggi,come ben sappiamo, non c’è. Conosco meglio le cose cheriguardano la pittura, ma sono sicuro che il discorso valeanche per la scultura, i vetri e le ceramiche, l'alto antiquariatoe l'archeologia. Oggetti il cui “tramando” alle futuregenerazioni di cesenati, deve essere assolutamente tentato.Soggetti, che definirei “facilitatori”, interessati all’incrementodel patrimonio artistico locale possono essere tanti: il Comune,la Fondazione della Cassa di Risparmio, la Curia, i diversigruppi industriali importanti e le banche attive sul nostroterritorio. A loro il compito di creare finalmente quel “museodella città”, entro il quale anche a nuove auspicabili“accessioni” possano essere garantiti non semplicementespazi di visibilità, ma strumenti e mezzi per essere conosciutie apprezzati, come parti costituenti di quel bene comune chesi chiama patrimonio artistico-culturale.

Collezioni da "privato" a "pubblico"Cultura

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di Maurizio Ravegnani

E’stato grande il saluto che icesenati hanno tributato aRenato Serra venerdì 18 set-tembre scorso, a partire dalle17, nella sala “Rimbomba”diCorso Mazzini 46. Una salagremita sia nel pomeriggio chenella serata, un pubblico at-tento, curioso, partecipe eaccaldato dalla torrida tem-peratura estiva, che ha ascoltatocon grande interesse e coin-volgimento i diversi rel-toriche si sono succeduti nel corso

della giornata. Al tavolo i due presidenti delle Associazioniorganizzatrici, Maurizio Ravegnani per Paese Nuovo e DenisUgolini per Energie Nuove e il Prof. Marino Biondi. Dopoil saluto ed i ringraziamenti, doverosi e sentiti, di Ravegnanial folto pubblico, ai relatori che avevano aderito all’iniziativa,all’Amministrazione Comunale e alla Fondazione Cassa diRisparmio di Cesena che hanno patrocinato l’iniziativa, èintervenuto l’Assessore alla Cultura Christian Castorri, cheha portato il saluto della Città in cui, a cura del-l’Amm.Comunale, è stato organizzato un fitto calendariodi iniziative in ricordo di Serra, coinvolgendo tutte leistituzioni culturali e che, grazie all’apporto delle Associazioniculturali, è stato reso ancor più ricco e denso. Poi l’incontroè entrato nel vivo con l’apertura ufficiale da parte dell’artistacesenate Aurelio Barducci, che tutti conosciamo comeSilvano, che ha proposto non solo la mostra “Diario ditrincea” con disegni ispirati al Taccuino, protrattasi fino al25 settembre, ma anche la trascrizione dello stesso e dellaedizione censurata del 1917 di Luigi Ambrosini. Da unodei disegni in mostra è stato tratto il manifesto ed è stataeseguita dal Maestro Giampiero Guerri una incisione, innumero limitato, che è stata data in omaggio ai relatori.“Farò qualcosa per la Città” ha detto Silvano nel suointervento ed ha così espresso la volontà di donare allaCittà, in questo caso alla Biblioteca Malatestiana, il suolavoro in onore di Serra. A seguire un altro artista cesenate,Silvano Tontini, che ha presentato il video “Il nastro rosso…#-285”, inserito all’interno della trilogia dedicata a Serra “2.0Renato Serra” e comprendente “Compound forms x Renato”installazione, prima presso la Sala Lignea della Bibliotecae poi al Teatro Bonci, e i “Demoni di Renato” la vetrataposta nella monofora della residua parete della ex Chiesadi S.Francesco.Primo dei relatori Roberto Casalini che, con la consuetaverve e capacità oratoria, nel plaudire l’iniziativa fra “uncenacolo di amici”, ha ricordato di come Cesena abbiasempre onorato nel migliore dei modi le celebrazioni serriane,chiamando in Città l’olimpo degli intellettuali e studiosi diSerra. Ha ricordato così il celebre convegno del 28-30 marzo1980, che fortemente volle come Assessore alla Culturaportando a Cesena i migliori studiosi serriani fra cui ilgiovane Marino Biondi. Da grande amatore di Serra “manon con le competenze da studioso ho letto e riletto nellemie vacanze agostane a Tagliata di Cervia gli scritti serriani”ha detto Casalini, ricordando che Serra, una volta letto, losi riconosce sempre, perché in ogni scrittore c’è “una essenzadella sua scrittura che ce lo fa sempre ricordare: la forma

cava dello scrittore”.A seguire l’intervento di Daniela Savoia che, in qualità diBibliotecaria e già Direttrice della Malatestiana, ha ricordatol’impegno della Biblioteca, custode delle memorie di Serra,rendendo testimonianza di questo con il ricordo deiBibliotecari cesenati” che si sono cimentati intorno allafigura di Serra”, ripercorrendo un secolo di storia. DinoBazzocchi, Torquato Dazzi, Alfredo Vantadori, AntonioBrasini, per citarne alcuni, hanno contribuito alla creazionee implementazione del Fondo Renato Serra, grazie alla loroattività e alle donazioni della Famiglia Serra, di amici,studiosi, critici, semplici cittadini, ”ognuno ha depositato lasua storia” ha detto Daniela Savoia. Per giungere ai giorninostri con la nascita della Fondazione Renato Serra nel 2005.La parola è poi passata alla figlia di Renato Turci, Lilia, chein un toccante e commovente intervento ha ripercorso lavita del padre, dalla Francia alla Malatestiana, i suoi scritti,le sue poesie e il suo amore smisurato per Serra. ”Pensarea mio padre mi porta a pensare a Renato Serra, all’enormeimportanza che Serra ha avuto nella sua vita. C’est obbligè,dicono i francesi : è impossibile prescindere da Renato Serrase si parla di Renato Turci. E, per me, è vero anche l’inverso:non posso imbattermi in uno scritto o in una fotografia diRenato Serra senza che il mio pensiero vada immediatamentea mio padre.”Pietro Castagnoli, che non ha potuto essere presente, hainviato un suo saggio dal titolo “Renato Serra e il doverenecessario, Ludwig Wittgenstein e la guerra comeesperienza”, letto da Maurizio Ravegnani, che si concludecosì: “Renato Serra non è soltanto un letterato, ma unacoscienza libera che parte per un dovere necessario per stareaccanto a chi è chiamato forse senza saperne il perché”.Ludwig Wittgenstein non è soltanto un filosofo in cerca dilogica, ma un essere umano che di fronte alle stragi avvertela propria impotenza umana e non gli resta che pregare. Nonci sono più parole. Per entrambi.”Roberto Caporali ha proposto invece una profonda e accuratariflessione sul rapporto fra Serra e Croce, indagando i diversiaspetti di consonanza e dissonanza nelle loro vite intellettualie personali attraverso il loro carteggio e gli incontri a Cesena.Il Croce che richiamava Serra ad un impegno costante perevitare una vita disordinata e dispersiva e il Serra presoinvece dal “corpo a corpo” con l’autore e a mantenernesempre vivo e aperto il colloquio. Un diverso modo diintendere il mondo, di sentirlo, di comprenderlo. E dellaprofonda umanità e del sentire profondo delle cose che èproprio di Serra, Croce ne fu ben consapevole.Dopo una breve pausa di ristoro con un gustoso buffetromagnolo, i lavori sono ripresi con l’intervento di GiordanoConti che ci ha accompagnati nella visita alla Cesena serriana,indagandola nei suoi luoghi, dalla Biblioteca al PonteVecchio, dal Viale Carducci con i suoi pioppi a PortaMontanara, dallo Sferisterio alla salita di Via MalatestaNovello, proponendo le foto di quei luoghi accompagnatedalla lettura di brani dei suoi scritti. “Attraverso le paroledi Serra scopriamo la Città - ha detto Conti - così comeattraverso le mappe, le carte, le piante leggiamo la Cittàromana, umanistica, pontificia”. Testimonianza ne è la bellapubblicazione, a cura di E. Ceredi e R. Greggi, ”La Cesenadi Renato Serra” di Cino Pedrelli edito nel 2009 dal Ponte

Il saluto dei cesenati a Renato SerraCultura

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* * *

Vecchio di Cesena.Roberto Balzani, assente per improcrastinabili impegni, hafatto pervenire un saggio dal titolo “Renato Serra e il giudiziosulla Romagna” che è stato puntualmente letto e di cui cipiace ricordare il seguente passo: “Le stereotipie nonpiacevano a Renato Serra, che le descriveva con precisione,ma sempre con un certo distacco; a lui, anticonformista pernatura, garbavano piuttosto le dissonanze, le deviazioni dalcanone, le alterazioni del ritmo, che tradivano - nellasingolarità fortuita degli accostamenti - note più intime eprofonde. Più umane, insomma. Lo si capisce benenell’Esame di coscienza, dove la bardatura retoricadell’interventismo, pure evocata come presupposto culturalenecessario, lascia il posto, via via che i ragazzi comincianoa fraternizzare, marciando insieme per la campagna, ad unarelazione più semplice e schietta e vera”.Prima delle conclusioni di Marino Biondi è intervenutaAnna Lia Pedrelli, figlia di Cino, che nel ricordare la vitadel padre e il suo stretto legame con Aldo Spallicci, instauratodurante gli anni di guerra (a breve uscirà la pubblicazionedel carteggio) ha messo in rilievo come suo padre, colpitoda una frase di Spallicci in una lettera del marzo 1944 “lapace ricostruttiva”, abbia,da questo punto in poi,deciso di dedicarsi a tremissioni: alla pace rico-struttiva, che per lui erarappresentata dallo studioe dal recupero del dialetto,non solo come lingua macome espressione di unacultura (le sue poesie sonostate raccolte in una operaomnia di prossima uscita)alla Biblioteca Malatestianache riteneva “cosa sacra” ea Renato Serra cui ha de-dicato la vita. Al terminedell’intervento, vista anchela sollecitazione fatta pre-cedentemente nel suointervento da Giordano Conti, affinchè sia la BibliotecaMalatestiana a far tesoro dell’archivio Pedrelli, custoditooggi dalla figlia Anna Lia, il convegno ha fatto propriol’impegno di sollecitare la Biblioteca e l’AmministrazioneComunale affinchè questo preziosissimo materiale venganon solo accasato in Biblioteca, ma censito, catalogato ereso disponibile e fruibile agli studiosi ed ai ricercatori,arricchendo il Fondo Serra. Denis Ugolini ha infatti presol’impegno con Ravegnani di individuare il percorso piùadatto per addivenire a questa soluzione, presentando istanzaall’Amministrazione Comunale e coinvolgendo il ConsiglioComunale.La parola finale è passata poi a Marino Biondi che, purprendendo spunto e richiamo dai qualificati e autorevolissimiinterventi precedenti, più che le conclusioni ha svolto unamemorabile “lectio magistralis”. Per più di un’ora ha tenutoincollato alle sedie il pubblico, per nulla provato dal caldoafoso della giornata e dalla durata dei lavori, con il suo stilegarbato ma avvolgente, scandendo le parole e calcandole,componendo e scomponendo concetti, legami, storie

personali, aneddoti in un crescendo di emozioni e di sapere.Con la capacità innata che ha di farsi seguire ci ha trascinatoin un meraviglioso viaggio serriano solcando cieli e mari,nella luce del giorno e nell’oscurità della notte, scrutandoe indagando, ingrandendo e restringendo. Dal legamefortissimo di Serra con Cesena “sua città, suo nido, suocarcere, sua prigione” ad un altro legame indissolubile,quello con la madre, ”sempre l’ultima voce negli scritti diSerra”, ai richiami di Croce che lo invitava a una disciplinainteriore, a non cadere in preda dei demoni “che Vi tentano”e a quelli dell’amico Ambrosini “lascia Cesena, Porta Santi,Porta Trova cosa sono” “ma a Cesena mi vogliono bene”replicava Serra; dalla drammaticità della vita di Serra,“tempo di dramma” come dice Raimondi, da cui scaturiscel’opzione per la guerra che nulla ha a che fare con il suicidio,alla presenza di nessuna ambizione personale; dal Serrabibliotecario, che è tutt’altra cosa rispetto a quello di oggi,alla sua attrazione nei confronti del silenzio e della pacecome “un custode di una dimora del silenzio”; dalla suaverificata fine della vocazione letteraria “la letteratura mifa schifo” alla inattualità di Serra come elemento della suadrammaticità; dalla invenzione di nuove forme di scrittura

con “Ringraziamento a unaballata di Paul Fort” al-l’abbandono dell’identitàprofessionale; dall’Esamedi Coscienza “che non è untesto sulla guerra ma sullavita e sulla morte” alla fi-gura dell’intellettualesolitario che ha scopertol’esistenza degli altri; “dal-l’andare insieme, unicaragione per cui scegliere diandare in guerra” alle“carte sporche e ambi-ziose”; dalle carte Rollanda Fides, dalle passioni amo-rose al gioco; dal Taccuino“reliquia viva di unagenerazione di morti” a

Ferruccio Maz-zocchi il fido scudiero; dagli amici, alledonne ai commilitoni, “i nuovi fratelli”; tutto in un turbiniodi accostamenti, legami e passaggi Marino Biondi ha tracciatodi Serra un ritratto meraviglioso e a tutto tondo.E’ volontà delle Associazioni Paese Nuovo ed EnergieNuove andare alla pubblicazione degli atti perché va lasciatatraccia e testimonianza di una giornata di studio importantecome questa. E pensare che doveva essere solo un saluto.E’diventata invece una partecipazione sentita e forte, unostudio approfondito, una ricerca continua, a testimonianzadell’amore che i cesenati nutrono per Serra. “Raramenteuna Città ama un suo figlio come fa Cesena con Serra” hadetto Marino Biondi. E’ vero, e di questo ne andiamo fieri.In attesa degli atti, grazie alla sensibilità e generosadisponibilità di Pier Paolo Magalotti della Società di Ricercae Studi della Romagna Mineraria, che ringraziamosentitamente per aver ripreso i lavori, è possibile vedere esentire su You Tube la registrazione degli interventi.Si è concluso così questo “saluto a più voci”, ringraziandonuovamente i relatori e il gradito pubblico.

Il saluto dei cesenati a Renato SerraCultura

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di Orlando Piraccini*

In quest’era dell’indistinto, dovetutto va bene e tutto va male,dove tutto è buono e tutto ècattivo, dove tutto è bello e tuttoè brutto, son tempi contradditorianche per i beni culturali. Purequi dalle nostre parti.A Forlì fanno grandi mostremilionarie e intanto Palazzo delMerenda, storica sede dellaPinacoteca e della Bibliotecaciviche, è interdetto al pubblico.E però nel “cittadone” hannosaputo tirar su da tempo il San

Domenico e l’hanno riempito d’arte e appena due anni fahanno dato un palazzo intero alla Collezione Verzocchi (unadelle più strepitose raccolte di arte italiana del Novecento) ea pezzi pregiati della modernità romagnola. A Rimini c’è unartista assessore che fa mostre lì e là, però intanto funzionaeccome, anche se ancor fermoall’ 800, il Museo della cittàprogettato dall’ottimo PierGiorgio Pasini (lo stessostudioso che una decina d’annifa mise a punto un pianomuseografico per il Sant’A-gostino di Cesena, poi dimen-ticato in un qualche cassettodel palazzo). Tra esposizionie strutture museali, poi, ancheRavenna, Faenza e perfino lanon lontana Imola salgono difrequente agli onori dellecronache artistiche.E a Cesena cosa succede? Sesi dice nulla si dice il vero. Quinon si fanno grandi e bellemostre né esistono musei degnidi questo nome, in una cittàche sta buttando via la propriastraordinaria tradizione diluogo d’arte. E la domanda chesi rivolgono quelli che voglionobene a Cesena e alla cultura(non solo quella figurativa),che non si adattano a talearretratezza suona più o meno così: ma è pensabile che questacittà, consumato l’orgoglio per aver fatto diventare “nuova”(dicono) la propria biblioteca (antica), continui ad essere privadi una rimarchevole struttura museale idonea a tutelare,conservare, valorizzare e divulgare la propria storia, la propriaciviltà, la propria arte dall’antichità ai giorni nostri?E’ sotto gli occhi di tutti una realtà, nella quale sopravvivonomalamente taluni “spezzoni” di un sistema museale “diffuso”nella città in una stagione molto diversa da quella attuale, trala fine degli anni ’60 e quelli ’80. Basti considerare su questo:1) lo stato di “costrizione” nel quale si trova da tanto tempoil Museo dell’Antichità entro il comparto malatestiano;2) l’incompatibilità oggi palese del Museo della CiviltàContadina con una struttura quale la Rocca Malatestiana che“pretende” di diventare quanto prima il museo di se stessa,con la sua storia di “monumento” inserito da secoli nel cuoreantico della città;

3) lo stato di abbandono della Pinacoteca Comunale all’internodell’ormai ex Centro Culturale del San Biagio;4) la dimenticanza che ha investito la progettualità volta a“connettere” la storia urbana di Cesena con il suo territorio,segnato da fenomeni importanti come la centuriazione romanae le miniere sulfuree.Grave è lo stato di sofferenza che sta riguardando in particolareil patrimonio artistico, in parte alloggiato in depositi incongruiall’interno della civica pinacoteca o nuovamente “disperso”nelle più diverse collocazioni, come “arredo” degli ufficicomunali e di altre sedi pubbliche; grave è il fatto che a unacittà come Cesena manchi uno spazio rappresentativo dellavicenda figurativa locale della modernità, specialmente conla sua pagina gloriosa della stagione neorealista.In compenso, ultimamente, in occasione delle celebrazioniserriane, si è dato lustro a una cosiddetta “casa museo”, quellanatale, appunto, di Renato Serra, con facciata sul trafficatissimoviale Carducci.Buona cosa, se non fosse un gran “falsone” ciò che è stato

messo in scena all’in-terno di quel palazzotto,dove un appartamentopreso in affitto dalComune è stato anniaddietro arredato conmobili d’epoca acqui-stati alla bisogna e conquadri e sculture diprimo ‘900 prelevatidall’interno (sezionemoderna, gipsoteca,depositi) della civicapinacoteca.Altro che casa museo;in questo luogo di Serrac’è da vedere ben poco,la divisa di guerra equalche documento, chesappia evocare lo spiritodello scrittore, che stainvece nascosto (e pocosi fa per farlo rivivere)con tutte le memorie checontano nella suadimora vera, la Biblio-teca Malatestiana.

Non c’è dunque tempo da perdere, a mio avviso: occorre conestrema sollecitudine decidere il “da farsi”, ripartendo daquella progettualità che era stata espressa in anni recenti, circal’opportunità di convertire in un vero e proprio “museo dellacittà” comparti disponibili all’interno del Centro Storico: dallostesso ex Convento di San Biagio, al Convento diSant’Agostino, dal monumentale Palazzo dell’OIR al sistemaedilizio già occupato dal Roverella.Nel “sistema” policentrico regionale dei musei, Cesena meritasenz’altro di rientrare con tutto il peso della propria storia edella propria arte. Forte segno di civiltà e lascito straordinarioper le generazioni future sarebbe la creazione di un polomuseale della città interagente con una Biblioteca Malatestiana,capace anch’essa di riconoscersi come effettivo “serviziopubblico” volto a favorire, prima di ogni altra cosa ed anziesclusivamente, la crescita culturale della nostra comunità.

*Studioso d'arte

Cesena, città senza MuseoCultura

Ma è pensabile che questa città, consumatol’orgoglio per aver fatto diventare “nuova”la propria biblioteca (antica), continui adessere priva di una rimarchevole struttura

museale idonea a tutelare, conservare,valorizzare e divulgare la propria storia, lapropria civiltà, la propria arte dall’antichità

ai giorni nostri?Occorre con estrema sollecitudine decidere

il “da farsi”, ripartendo da quellaprogettualità che era stata espressa in annirecenti, circa l’opportunità di convertire in

un vero e proprio “museo della città”comparti disponibili all’interno del Centro

Storico.

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di Guido Pedrelli*

Passato il fronte, terminata laguerra, nel 1945 a Cesenamancava tutto: cibo, vestiti, riscal-damento e case al minimo con-fortevoli. E tutti, giustamente,davano la responsabilità a lui, a“e tistoun ad Predappio”, che laguerra l'aveva voluta.Con i liberatori era arrivata nonsolo la pace ma anche l'aiutoconcreto per sopravvivere.Incredibilmente, la gioia per laritrovata libertà, aveva fattodimenticare che le bombe e legranate che avevano seminato

morte e distruzione erano proprio di loro, degli alleati, deiliberatori. Che però avevano riportato la democrazia e con essa i partiti, liberi di rinascere e organizzarsi.Riaprono le sezioni, i circoli e, infine, tornano alla luce le bandiere.Spesso modesti pezzi di stoffa colorate, simboli degli ideali cherappresentavano. Quasi tutte dello stesso colore: rossa quellacomunista con la falce e il martello, rossa la socialista col solenascente e rossa la repubblicana con una bell'edera verde. Ognibandiera aveva la sua storia, storie di venti anni di nascondigli,nelle cantine, nei granai, sotterrate dentro olle da olio, ricucitecome camicie sul seno inviolabile delle donne. Tutte testimonianzedi una fede che, se scoperte, avrebbero portato repressione ecarceri. E così, dopo la liberazione, dopo il 20 ottobre del '44, aCesena le bandiere erano ritornate tutte a garrire, ad essere appesealle finestre delle sezioni, dei circoli e delle case dove erano stateconservate. Qualcuno le portava con entusiasmo alla provvisoriasede del partito, altri erano reticenti a farlo, forse perché dopotanti rischi corsi, le sentivano più loro che della causa e altriancora non si fidavano, quasi a temere il ritorno di una dittaturavecchia o nuova. Ma una cosa accomunava tutti: la voglia diricominciare e di farlo possibilmente insieme.Anche Angelo Zoffoli, a tutti noto come Angiulein, ferventemazziniano, aveva fatto prima due anni di guerra, poi un annonascosto da renitente e, sopratutto, aveva generato sette figlie,proprio così, in otto anni, era riuscito nella bella impresa di mettereincinta la moglie otto volte, aborto compreso.Con tanti figli aveva diritto all'esenzione da militare, ma le autoritàconoscendo la sua ardente fede politica sovversiva, nascoste lesue pratiche per il congedo, lo avevano spedito in Africa, da doveera ritornato nel '42 per la quinta figlia. Nel '43 dopo il rimpatrioper la sconfitta in Libia, aveva generato la sesta figlia, perconcludere l'attività procreatrice nel '44, dopo la liberazione.Durante la sua contumacia non aveva tralasciato di fare visitaalla moglie per tenere in esercizio la macchina da figli, temendoche qualcosa, per il mancato uso, si fosse inceppato. E così aliberazione avvenuta il nostro pluricombattente accolse gli alleatiattorniato dalla sua bella famiglia esultante e gemente. Gemente?Sì, per la fame e per tutte le privazioni. Angiulein non avevafatto figli per onore e ordine del Fascio, che dava un premio perogni nuovo nato, al contrario. Erano arrivati per grazia di Dio e...di Mazzini. Amava, riamato, la sua Gigina e le figlie erano stateil frutto di quella passione travolgente. Mussolini e il fascio nonc'entravano. Non si lamentavano o disperavano per quella nidiatadi figlie che mancavano di tutto.“I figli non portano miseria, vedrete, quando avranno dodici annile mando tutte a lavorare da e Tluzz (magazzino frutta di ToninoManuzzi, anch'egli repubblicano) e io sarò l'uomo più ricco diCesena.” Sentenziava il nostro uomo. Ma nel frattempo cosaavrebbero mangiato? Non si poneva il problema, in una laicarassegnazione mistica. Lui prima del militare faceva il braccianteagricolo e la Gigina, fra uno sgravio e l'altro, andava a servizioda una signora che gli regalava i vestitini smessi delle sue bambine per le figliole, che lei a sua volta trasmetteva dalle grandi alle

piccole. Una specie di catena di montaggio e smontaggio umanache copriva alla meglio le piccole indigenti.Mazzini e Garibaldi, quest'ultimo meno, erano stati gli ispiratoridei nomi delle figlie. La prima ovviamente fu Giuseppina, seguitada Maria, non la madre del Signore, sia ben chiaro, ma quella diMazzini, la signora Maria Drago, poi Anita, sposa dell'eroe deidue mondi, e quando fu terminata la litania dei nomi dell'Olimporepubblicano, per non attingere alle aborrite laudi dei santi, siaffidò alla natura e ai fiori. Ci fu Silvia, poi Viola e Margherita.E mentre stava per chiudere con Ortensia, qualcuno lo avvisòche non era il caso, poiché si poteva risalire ad Ortensia Bonapartela madre dell'odiato Napoleone III, che per poco non era cadutosotto le bombe del mazziniano Felice Orsini. E cosi finì in bellezzacon Randolfa, nome tremendo per una fanciulla, ma che ricordavaRandolfo Pacciardi, comandante delle brigate internazionali nellaguerra antifascista di Spagna, capo del partito repubblicano deldopo guerra. Gli amici e i parenti chiamarono la sventurata condiminutivo accattivante di Dolfina.La famiglia viveva in un tugurio di due stanze. La prima, allaquale si accedeva direttamente dalla porta d'ingresso, fungevada cucina, sala da pranzo, salotto e camera da letto, con le povereragazze che dormivano in letti strapieni, adagiate e impilate comepere in una cassetta, girate una da piedi e una da capo. La secondacamera era quella degli sposi con il lettone matrimoniale e duebrandine dove dormiva il resto della famiglia. Difficile saperequali fossero le ospiti dei giacigli, dipendeva dai turni per i postimigliori. Nella sua laicità, Angelo Zoffoli detto Angiulein, facevai miracoli dei pani e dei vini di cristiana memoria. Sulla poveratavola riusciva con la sua Gigina sempre mettere qualcosa. Comefacesse nessuno la sapeva, ma un tocco di pane e due fette diformaggio raramente mancavano. Ma il massimo di sé stesso edella fede mazziniana lo diede una sera di fine gennaio del '46.Dopo la liberazione, il Partito repubblicano si era dato una solidae capillare organizzazione. Il primo impegno dei dirigenti erail tesseramento che avveniva entro il mese di gennaio del nuovoanno. E quello del '46 era il secondo dopo la liberazione.La tessera costava 10 lire. Poi, se qualcuno, dava di più, tantomeglio.La sezione di Angiulein, l'Oltre Savio, si era insediata in unastanza messa a disposizione da un iscritto. Naturalmente non erafornita di riscaldamento. I presenti stavano seduti conservandoil cappotto, chi ne era fornito. Il nostro uomo non lo possedeva,si arrangiava alla meglio con una caparella sbrindellata, lascitodi generazioni di Zoffoli. Dopo il discorso del segretario OddoBiasini e un breve dibattito, si passò alla distribuzione delletessere con relativo pagamento. Per l'ordine alfabetico Zoffoli ful'ultimo. L'assemblea si stava sciogliendo e, avendo tutti ricevutola propria carta di adesione, c'era poca attenzione a quanto stavaavvenendo. Ma un improvviso e animato battibecco zittisce ipresenti. Angiulein stava discutendo con Elmo Rossi, l'addettodella segreteria alla consegna e riscossione delle adesioni.“An la voj a gratis la tu tessera. O a la pegh o ta t'la tin.” E perrafforzare il concetto seguirono due sonore bestemmie.Era successo che il partito, considerate la miserabile situazionedello Zoffoli, aveva deciso di non fargli pagare la tessera.Non ci fu verso, le dieci lire dovettero accettarle. Altrimenti nonsolo non avrebbe ritirato il documento, ma non sarebbe mai piùentrato in un circolo o una sede del partito. Il suo orgoglio, lasua onestà, la fede per la causa erano più forti di tutto. Dellafame delle figlie, della legna da ardere e di un po' di lana perricoprire la sua ultima nata vestita alla meglio che per cullaaveva una cassetta da frutta.Il partito, poche sere dopo, per fargli tirare su qualche lira,affidarono ad Angiulein e la Gigina il servizio di guardaroba alveglione della Rimbomba. Ma lui, inflessibile, il ricavato, quasicento lire, lo versò al partito. Non tenendo per se un centesimo.La storia è vecchia di settant'anni.Oggi quanti Angiulein esistono nei partiti?

Un uomo di fedeIl racconto

*Scrittore

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di Piero Altieri*

L’anniversario della “libe-razione” (autunno 2015) cirichiama a doveri di rico-noscenza per quanti si impe-gnarono, pagando anche conla vita, a sconfiggere le armatetedesche con le quali Hitleraveva tentato di sovvertire l’i-dentità dell’antico continente,l’identità del nostro Paese, l’I-talia, per costruire il progettoneopagano del Reich mille-

nario.Inserita nei reparti della VIII armata che operarono losfondamento della Linea Gotica, per poi proseguire, colritorno della primavera, oltre il fiume Senio, è da registrare la “Brigata ebraica” che fu schierata il 1° marzo 1945. Findallo scoppio della guerra l’Agenzia ebraica aveva rivoltoal governo inglese la richiesta di costituire un reparto diebrei residenti in Palestina, per partecipare al conflittoscatenato dal Nazismo. Il governo inglese aveva rimandatola risposta per non entrare in contrasto con gli Arabi delMedio Oriente.Peraltro da subito, ebreiresidenti in Palestina o cheavevano raggiunto la “terradi Israele” quando inEuropa era esploso ilprogetto della Shoah, sierano arruolati nelle forzearmate della Gran Bre-tagna. Il progetto tuttaviadi una brigata di soli Ebreiera rivendicato per dimo-strare alla diaspora diIsraele e a tutto il mondolibero che gli Ebrei eranodecisi a battersi contro ilregime nazista che stavatentando, con tragici ri-sultati, di farli scompariredal continente europeo, e così porre le premessedell’organizzazione militare che avrebbe poi contribuitoalla futura costruzione dello Stato di Israele. Era il 3 aprile1945 quando a S.Ruffillo di Brisighella avvenne la consegnadella bandiera di combattimento al comandante della BrigataEbraica da parte di Moshe Sharrat rappresentantedell’Agenzia Ebraica che aveva sede negli USA. La bandieracon al centro la stella di Davide sarà il vessillo del futuroStato di Israele. Anni fa per le edizioni Bacchilega di Imola,Romano Rossi aveva raccontato e documentato questastoria con il volume “La Brigata ebraica. Fronte del Senio1945”.Nell’aprile 2015 (Longo editore Ravenna) Primo Fornaciarici ha donato il bel libro intitolato “I ragazzi venuti dallaterra di Israele. Luoghi e storia della Brigata ebraica in

Romagna”.Fornaciari ripercorre i “luoghi” della nostra terra dove sonovenuti gli uomini della Brigata, dove hanno combattuto,dove hanno sepolto i loro caduti (Cimitero di guerra diPiangipane, vicino a Ravenna), ricorrendo anche ai ricordidei sopravvissuti. Non è, tuttavia, il suo, un racconto chesi limita alle operazioni militari, ma una specie di riletturadelle antiche Sacre Scritture che motivano il nuovo “esodo”percorso per ritornare in Eretz Israel, nella terra promessada Dio agli antichi patriarchi. E’ in questa prospettiva cheFornaciari racconta dell’impegno profuso da questi uominie dagli altri Ebrei inquadrati in diversi reparti della VIIIArmata, per risollevare il morale degli ebrei scampati eincontrati a mano a mano che il fronte avanzava verso ilnord, indirizzando (con gravi rischi, per superare l’ostilitàdel governo inglese) i profughi provenienti da vari Paesieuropei, reduci dai campi di sterminio, verso la terra diIsraele.E tra questi, migliaia di bambini rimasti orfani, sopravvissutiperché accolti generosamente da famiglie e comunitàreligiose. Significative le incursioni, nell’immediatodopoguerra, nei territori oltre le Alpi, per mezzo di spre-

giudicati commando, perassicurare, incominciare adassicurare, criminali nazistiindividuati dalle testimo-nianze dei sopravvissutialla tragedia della Shoah.Rimaniamo debitori a Pri-mo Fornaciari per questasua ricerca. Ci aiuta a risco-prire gli antichi rapportiintessuti in tante nostre cit-tà (non sempre purtropponel segno dell’accoglienzaevangelica) con i nostri“fratelli maggiori” e anchea comprendere le ragioniprofonde del dramma cheancora oggi compromettela pace nel Medio Oriente.

Piccola postilla: nel settembre 2012, per iniziativa delsettimanale della diocesi di Pesaro “Il Nuovo Amico”,rappresentanti delle comunità ebraiche d’Italia con leautorità civili e religiose della città si sono dati convegnoper ricordare la costruzione del ponte che attraversa il fiumeFoglia, distrutto dai tedeschi in ritirata, e appunto ricostruitoda una compagnia di genieri della VIII Armata, formatada soldati e ufficiali ebrei; sigillarono la loro opera con laStella di Davide.Questo prima dell’assalto alla Linea Gotica, successivamente(primavera 1945) a Faenza per consentire la ripresa delleoperazioni militari ormai a conclusione del conflitto.Ponti per attraversare corsi d’acqua; ponti per far incontrarei costruttori di pace.

*Canonico. Già direttore del Corriere Cesenate

La Brigata Ebraica per la liberazione della RomagnaIl racconto

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di Francesco Ciotti

Ho scritto questo libro appenaedito dal “Ponte Vecchio”ispirandomi a Fra Michele daCesena. Fra Michele da Cesena,ministro generale dell’OrdineFrancescano, nel 1328 fu con-vocato da Papa Giovanni XXIIad Avignone con f ra teGuglielmo da Occam per unchiarimento definitivo. In realtàil papa voleva esautorarlo dallacarica, processarlo e condan-narlo a morte.

Con un sotterfugio i due frati riuscirono a fuggire da Avignoneimbarcandosi su di un battello che li condusse in salvo dallaProvenza a Pisa presso l’imperatore. Lo scontro fra Ordinee Papato verteva su alcuni temi decisivi. Il Papa voleva chel’Ordine Francescano sciogliesse il voto di povertà dei benie diventasse come tutti gli altro Ordini. L’Ordine criticavala Corte Papale perché aveva rinunciato alla povertà dellaChiesa primitiva e attaccava il dominiotemporale del Papa che imponeva iprincipi cristiani per legge attraversol’imperatore anziché per fede e liberoconvincimento, sottraendo la Chiesaalla povertà e alla libertà evangelica.Vinse il Papa. Egli nominò un nuovoGenerale dell’Ordine ubbidiente allesue volontà e mise a tacere larivoluzione francescana.Dopo cento anni il movimento fran-cescano, che si era diffuso in Europaraccogliendo milioni di proselitisoprattutto fra i laici e contribuendoal profondo rinnovamento dellaChiesa, entrò in una crisi lunga eprofonda. D’altro canto le gerarchieecclesiastiche continuarono a volerimporre i principi cristiani con la leggedegli Stati sostituendo alle armi lemacchinazioni politiche. Solo riformaluterana prima e rivoluzione francesepoi portarono in gran parte del mondolibertà degli uomini e libertà di fede.Libera Chiesa in libero Stato, unprincipio sacro perché solo in unoStato libero la Chiesa può essere liberae i cristiani liberi di professare la fedeper diffonderla con il convincimento e non con la costrizionedelle leggi. Fa eccezione l’Italia dove dopo 700 anni nulla ècambiato nei rapporti fra Stato e Chiesa e se non cambia conpapa Francesco non cambierà mai più. Partendo da questoconvincimento ho fatto scrivere a Fra Michele una lungalettera di preghiera a Papa Francesco, accompagnata da undicilettere di bambini e ragazzi d’Italia, che ho incontrato nellamia vita di pediatra girando per il nostro paese. Sono bambinie ragazzi di diversa età ed etnia, credenti e non, che espri-mono con innocenza le sofferenze patite in uno Stato senzacultura o meglio dominato dai divieti di una cultura clericaleintollerante ed emarginante. Sofferenze nella famiglia, nella

scuola, nella chiesa.Nella chiesa dove simonia e discriminazione sessualeallontanano dal Vangelo. Una bambina che non può serviremessa né può aspirare al sacerdozio perché è femmina. Unsacerdote bandito dalla comunità ecclesiale perché non puòformare una famiglia. I genitori di un bambino che devonorinunciare al matrimonio in chiesa per il conto che gli presentail prete. Nella scuola dove Stato e Chiesa convergono permantenere la discriminazione sociale, etnica e religiosa. L’oradi religione cattolica che costringe i tanti bambini atei ostranieri e di diverso credo alla solitudine o all’ipocrisia diessere presenti senza esserci. Le scuole private cattoliche cheselezionano ceti e fedeli e obbligano tutti i contribuenti italianialla loro sovvenzione con esclusioni e privilegi rispetto aibambini di altre appartenenze.Nella famiglia in cui un dogmatismo cieco e chiuso nega idiritti delle persone a una genitorialità libera e responsabilee al testamento biologico.Il divieto di fare un figlio per offrire un midollo nuovo allasorellina leucemica, il divieto di eseguire un aborto eugenetico,

il divieto a una prostituta di essereuna madre rispettata e di praticareil proprio lavoro in un luogo protetto,il divieto di genitorialità per gliomosessuali, il divieto di eutanasia,il divieto di maternità alle donne chenon producono ovociti.Se senza libertà e senza cultura nonc’è progresso, questi bambini, questiragazzi, e le loro famiglie sono senzafuturo. Ho scritto questo libro con FraMichele per contribuire a risvegliarele coscienze laiche e cristiane diquesto paese, convinto che la rinascitadell’Italia provenga dai movimentidi liberazione civile prima che dal-l’economia. E’ indubbio che tutte lelettere sollevano temi di grandeattualità e tuttavia quelle sulla famigliaa me paiono le più cruciali.Il punto di vista dei bambini sopraogni vicenda getta una luce ancorapiù forte e drammatica su questoconnubio Stato-Chiesa che finiscecon l’apparire diabolico per le conse-guenze laceranti che comporta su diloro.Nella lettera del ragazzo ebreo adot-

tato da un padre omosessuale, quando questi muore, alcompagno del padre è vietato di accompagnare il ragazzoall’ospedale, al funerale, a scuola, perché per la legge lui è unestraneo.Dove è qui la misericordia? Domanda il ragazzo al Papa. Epoi aggiunge di pregare l’unico Dio comune e il Papa perchèrinunci non alle idee della Chiesa, che appartengono alla suacomunità religiosa, ma ad ogni intolleranza verso tutti quelliche hanno un altro credo e un altro pensiero. Una preghieracommossa ed accorata che non può essere ignorata da un Papache si ispira al francescanesimo e che vuole essere un Papasimbolo di misericordia e di pace per tutti, credenti e non.

"Caro Papa, liberaci dal male"Il libro

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Sino all'ultimo sono statoincerto su cosa scrivere. Qualeargomento trattare. Poi, mi èpulsato in testa di parlare dicultura. Ma non in sensogenerale, bensì di cultura gene-rata nella e dalla quotidianità.Quel modo di vivere sorgivoe identitario praticato, fra sa-peri manuali e innovazione,dalla Gente di Romagna.Lo faccio raccontando di una

Italia Bella e di alcuni straordinari incontri avuti con ilcompianto Mons. Pietro Sambi che, pur essendo NunzioApostolico negli USA, allorquando rimpatriava, se netornava nella sua casa di famiglia, a Sogliano al Rubicone.Al contrario dell'attuale Nunzio Apostolico Mons. CarloMaria Viganò il quale ha mantenuto, a sua totale ed esclusivadisposizione, un appartamento di 250 metri quadri e settestanze, nel palazzo della Gendarmeria Vaticana.Stavo bene in compagniadi Mons. Sambi.Immancabilmente, miconciliavo con me stesso.Con l'alieno che mi portodentro.Sapeva ascoltare e acco-gliere col sorriso. Con luiti sentivi a casa tua. Purea Washington, nel suostudio di Nunzio Apo-stolico.Siamo due romagnoli, dinome e di fatto. Entrambiconsapevoli di esserci nu-triti nel corpo, come nellospirito creativo, colmandotradizionalmente il cuc-chiaio di "minestra delladomenica". Quella mine-stra che le nostre famiglie,storicamente, mettono in tavola nel giorno sacro del riposo.Quando mi capitò la buona ventura di conoscerlo, ad unasua precisa domanda risposi di essere un non credentebattezzato.E lui, benevolmente, senza fare una piega, mi accolsedicendomi, dopo una fragorosa risata, che al mondo c'èbisogno anche di autentici non credenti battezzati...purchèromagnoli.Sapeva scherzare seriamente, essendo vero uomo di parola,come ogni buon pastore. Sapeva essere testimone e portatoredi quella parola di fede che, anche i bestemmiatori piùincalliti, volenti o nolenti, assaporano ogni domenica,quando siedono a tavola con familiari e "compagni di

viaggio". E' questo, il nutrimento salubre e generazionale,nella cui mistura - etica, estetica e gioia di vivere - vengonoamalgamate in un solo sapore.Il più gradevole e buono al palato della coscienza e dellacivile convivenza. Proprio quel sapore di nicchia identitaria,di cui le Antiche Terre Italiane sono vitale placenta originariadi valore universale. Quel sapore inconfondibile eineguagliabile della compartecipazione umana fra singolepersone e famiglie, che si ritrovano insieme a lavorare congran sudore, giorno dopo giorno, in comunione di intentie speranza.Per fare luce sul futuro. Insieme, genitori e figli. Mai, comein questo caso, ha significazione esistenziale pregnantel'affermazione "il futuro ha un cuore antico".La minestra della domenica è null'altro che alimento dicomunicazione generazionale, senso eucaristico dellafamiglia e della comunità di appartenenza.E' edificazione quotidiana compartecipata del lievito dellademocrazia, intesa quale più alta e nobile conquista civiledell'umanità.La minestra della domenica è, tuttora, fattore

primario e fondamentale dello stile di vita italiano e dell'unitànazionale, nonchè connotazione culturale e storica dellademocrazia equosostenibile, generata e rigenerata, ognisanto giorno, con creatività e altrettanta laboriosità negliantichi habitat territoriali del Made in Italy, quello vero,non taroccato.E, così, nel ricordo di Mons. Pietro Sambi e delle sueNunziature in Cina, Gerusalemme, Africa e USA, ciaccingiamo ad apparecchiare il desco della globalità permettere in tavola e nei piatti drammaticamente fragili dellapolitica economica contemporanea e di questa nostra "de-mocrazia borderline", l'ospitale e conciliante minestra delladomenica.

L'Italia belladi Lucio Cangini

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di Valeria Burin

Il 13 settembre 2015 si è svoltoa Cesena l’evento organizzatodall’Associazione Salute e Li-bertà onlus, “Rage Against Ebo-la”, un concerto rock con lo sco-po di raccogliere fondi per laricerca scientifica, la formazionemedica e di personale dilaboratorio contro le malattieinfettive.Tutto ha avuto inizio nell’in-verno 2015 da un’idea di DenisUgolini, Presidente di Salute eLibertà onlus dopo un incontro

con Mons. Biguzzi, Vescovo emerito di Makeni (Sierra Leone).Il progetto aveva due finalità: il contributo alla ricerca scientificae alla formazione medica, l’aggregazione e il coinvolgimentodei giovani in questa solidarietà. Quei giovani che spessoappaiono così distaccati dalla realtà, dai problemi della società,dell’epoca in cui vivono, i giovani “sdraiati”. Oggi possiamodire che per entrambi gli obiettivi se ne è ricavata una certasoddisfazione.Il primo risultato dell’iniziativa è quello che ha permesso didestinare, attraverso Monsignor Biguzzi ed il Rettore Joseph

Turay, la somma di € 13.500,00, all’ Università di Makeni perorganizzare corsi di laurea in medicina e percorsi di studio performare tecnici professionali di laboratorio atti a combatterel’ebola ed altre malattie virali.Un ringraziamento particolare va ancora una volta a tutti coloroche hanno voluto sostenere l’iniziativa sia con la partecipazionesia con le donazioni che hanno determinato il buon risultatodei 13.500,00 euro.Il secondo obiettivo è essere riusciti a unire un gruppo digiovani che si sono adoperati con grande spirito di solidarietà

e impegno per la realizzazione dell’evento. Dai ragazzi chehanno pubblicizzato l’evento per le vie di Cesena, ai tecnici,ai musicisti, giovani artisti cesenati che sono saliti sul palcodel Teatro Verdi regalandoci momenti di grande emozione conla loro musica e le loro canzoni. E’ stato oltremodo gratificanteconstatare come, nonostante le differenze di età, di cultura, diidee, tra le persone che hanno fatto parte del gruppo di lavoro,sia stato possibile un impegno congiunto, con grande entusiasmo,per raggiungere l’obiettivo prefissato. E’ stata una giornata digrande coinvolgimento di artisti, molti ragazzi che pur congeneri musicali differenti, hanno dato motivo di grande diver-timento e partecipazione. Si sono alternati sul palco Le Char-leston, Next Time Mr.Fox, Black Bishops,Dogfaces, Rainakbà,Black old Peo-ple. Poi lameravigliosa esibizionedei ragazzi del Conser-vatorio Maderna con ladirezione di Chiavacci.In chiusura di serata ilcomplesso dei Rangzen.Bella e accogliente la lo-cation del Teatro Verdi(grazie all’impegno dellocale sotto la regia diLuigi Di Placido) dovesi è tenuta una moltopartecipata cena che haconcorso al risultato de-voluto all’Università diMakeni.Fra i molti che si sonoimpegnati un gruppo piùcircoscritto è stato attivonella messa a punto del-l’iniziativa, la promo-zione e l’allestimento del variegato ed intenso intrattenimentomusicale e concertistico.Fra questi Stefano Capuano (detto Lucio) di Studio Arte3D, il“designer” dell’evento, che è stato ideatore del logo e che cidice cosa ha voluto rappresentare.“Prima di tutto - comincia Lucio - vorrei fare un passo indietroa circa 8 mesi fa, quando Denis Ugolini, mi telefonò e miparlò della sua idea.Premetto che Denis per me era un perfetto scono-sciuto. Midiede subito l’impressione di una persona determinata, dicarattere. A dir la verità ne ero anche un po’ intimorito, maquando ci incontrammo mi mise subito a mio agio, mi resepartecipe di questa iniziativa dandomi la possibilità di esprimerele mie idee ed ascoltando i miei suggerimenti.Inizialmente rimasi spiazzato - è ancora Lucio che parla - inquanto mi sorprese vedere come un “signore” avesse tantaenergia e voglia di fare, in un ambito non prettamente proprio.Ciò che mi colpì maggiormente fu la voglia di dare delleopportunità. Ricordatevi bene questa parola perché se vi fermatea riflettere non sono molte le opportunità che vengono date anoi giovani. Tornando alla domanda iniziale, ciò che mi ispirònella scelta del logo furono le parole dette durante l’incontrocon Denis. Partendo da quelle ho voluto riprendere 3 elementifondamentali: musica/mondo/libertà”.Dice Lucio “ Per la musica quale simbolo migliore di unachitarra? Per la libertà quale simbolo migliore delle ali?

Rage against ebolaL'evento di Salute e Libertà

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E visto che l’obiettivo dell'associazione era aiutare la ricercain Sierra Leone per la cura dell’ebola, che non è solo unproblema del continente africano bensì del mondo intero, hovoluto inserire un mondo stilizzato. In questo logo ci sononaturalmente la voglia di non fermarsi a questo evento e lavolontà di sposare altre cause”.Eh sì, perché mi è parso di intendere che lo stesso Ugolini, infuturo, abbia intenzione di pensare un altro “Rage Against…..”.Il nome di questo evento lascia infatti spazio a numerose altreoccasioni di solidarietà. Alessandro Medri, il Direttore di

Accademia49, un altro particolarmente attivo nell’iniziativa.La partecipazione dei giovani gruppi e complessi, si deve ingran parte a lui e a Libero Cola. Alessandro Medri ha ispiratoil nome dell’evento.“I Rage Against The Machine” sono un gruppo musicaleimportante della scena metal crossover anni ’90. Il messaggioche porta la loro musica è politico. Il loro intento comunicativoè sempre rivolto verso il risveglio della coscienza collettivaverso una rivoluzione che parte da una rinnovata consapevolezzadei propri diritti e del proprio potere. Personalmente, continuaMedri, non sono mai stato interessato al colore politico cheutilizzano come strumento sotteso al loro messaggio: la politicanon potrà mai essere all'altezza della luminosa bellezza dell’arte,quindi la trovo sempre di poco interesse e di scarsa efficacia.Mi piace pensare che la morale sia la parte più profonda diuna favola, tanto quanto la forza che scaturisce dalla parolacantata sia la parte più importante di una bella canzone. Ilrock è duro per definizione. E’ una parola contenitore cheidentifica chi sente il bisogno di urlare al mondo qualcosa diimportante, qualcuno che ha bisogno di fare molto rumore perfarsi sentire più lontano possibile. Di questo urlo volevo parlarequando ho pensato al nome Rage Against Ebola. Urlare lapropria rabbia contro qualcosa di sbagliato può aiutare adinfuocare animi pronti a combattere, a far loro vedere con

chiarezza qual è il male da sconfiggere e unire le forze versoun comune obiettivo. Il nostro è stato un urlo concreto, diceAlessandro, perché abbiamo fatto un gran baccano al TeatroVerdi quel 13 settembre. Perché è stato l’urlo di battaglia delRe che ha infuocato l’animo di generosi cavalieri che hannopermesso al loro popolo di sopravvivere un giorno in più percombattere un male invisibile, ma non invincibile”.Nel suo lavoro Alessandro, é quotidianamente a contatto congiovani che si avvicinano alla musica ed al canto. Ed èinteressante ascoltarlo a proposito di quanto secondo lui oggicome oggi gli strumenti con i quali i giovani riescono piùfacilmente ad esprimersi in una società dove la loro voce hapoco risalto.“La musica - dice Medri - è lo strumento che permette a chisa come ascoltarla di non perdere mai il contatto con la purezzache il tempo tenta di portarsi via con se. La parola cantata èposta in versi e di versi sono fatte le poesie. A pochi chilometrida qui un famoso poeta ha fatto conoscere al mondo il poterealchemico racchiuso nell’arte. La nostra scuola è un luogodove convogliano molte persone che sentono un richiamo edecidono di seguirne la traccia. Hanno tutte le età ma quandoimbracciano uno strumento o usano quello col quale hannosalutato il mondo la prima volta, il tempo smette di esistere,talvolta. Io l’ho visto di fronte a me, spesso. E ho avuto il

piacere di provarlo tantissime volte. Quindi credo che lapassione o la frustrazione siano solo gocce di un mare diemozioni che coinvolgono chi sceglie di salire sul palco emettersi a nudo per raccontare qualcosa. Credo che chi scegliedi fare musica, giovane o vecchio, lo faccia perché porta pace,in un modo o nell’altro. Fa sentire vivi. Fa sentire.La passione - continua Alessandro -, è un fuoco che si alimentasulla concretezza di una risposta emotiva tangibile, potente.Più si è consapevoli e padroni del mezzo più forte brucia la

L'evento di Salute e Libertà

Rage against ebola***

lavorato con una squadra eccezionale, tutte persone rodate ecoinvolte nelle più grosse produzioni mondiali (U2, Guns &Roses, Prince, Pink Floyd, Rolling Stones, Muse).La cosa fantastica è che molti di questi sono romagnoli.Dato il tipo di artista non poteva essere altrimenti”.Conclude Libero Cola su "Rage Against Ebola".“Conosco Denis dal 1972 e con piacere mi sono lasciatocoinvolgere.Gran bella esperienza sia professionale che umana. ConoscereMonsignor Biguzzi e sentirgli citare il “Restiamo umani” diVittorio Arrigoni è stato toccante”.In conclusione possiamo dire che tutto è difficile prima di esseresemplice.L’importante è crederci ed essere fortemente motivati.Il logo c’è, la squadra pure. Aspettiamo solo di vedere cosa ciriserverà il prossimo “Rage Against…”.Prima del concerto finale dei Rangzen i ringraziamenti sentitihanno espresso l’ampio e caloroso consenso di chi si è strettoin quella giornata di settembre intorno all’iniziativa di Salutee Libertà.Ugolini ha cercato di non trascurare alcuno e in-sieme a Mons.Biguzzi e al Rettore Turay ha ringraziato per il loro patrocinioed il loro contributo il Comune di Cesena, la Fondazione Cassadi Risparmio, la Fondazione Romagna Solidale, le testate

giornalistiche il Resto del Carlino, il Cor-riere di Romagna, laVoce di Romagna, il Corriere Cesenate, Teleromagna.Per la sua presenza il Vescovo di Cesena Douglas Regattieri.Le aziende e i negozi che hanno in varia forma favorito l’evento;il Teatro Verdi, l’Accademia49, il Vidia Club, lo Studio Arte3D.Ugolini si è soffermato ad un particolare grazie verso i ragazziimpegnati per “Rage against ebola” e soprattutto verso i gruppie gli artisti che sono stati protagonisti: Le Charleston, NextTime Mr. Fox, Black Bishops, Dogfaces. Rainakbà, Black oldPeople, il Conservatorio Maderna di Cesena, i Rangzen.

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sua fiamma perché più persone riescono ad intravederne laluce”.Come vede Medri in futuro un nuovo Rage Against.....?“Lo vedo vincente. Di nuovo”.Quando si parla di rock a Cesena non si può non parlarne conLibero Cola e Ugolini non voleva fare assolutamente a menodella sua preziosa collaborazione.Nella sua esperienza trentennale nel settore musicale Colaha visto passare sul palco del Vidia Club diversi giovani artistiche sono poi riusciti ad affermarsi con successo.In occasione del 13 settembre abbiamo avuto modo di sentire

musica rock suonata, cantata, urlata. Che cos’è il rock oggi?O meglio, che cos’è diventato? E chi meglio di Libero Colapuò rispondere a questa domanda.“Il rock è una continua evoluzione di rabbia, energia, ri-bellione, emozione e proposta. Ha avuto anni di splendoreassoluto ed anni più bui ma continua a coinvolgere edemozionare milioni di persone, tra le nuove e le vecchie gene-razioni”.A differenza degli anni d’oro del rock gli chiedo se ritiene chesiano pochi i gruppi che oggi suonano bella musica, quellache colpisce veramente e non soltanto per il ritmo, ma ancheper la voce del cantante, i testi e il significato che essa esprime?Libero è netto:“No assolutamente sono tanti i gruppi validi”.I Foo Fighters sono uno di questi gruppi dell'era moderna.Faccio riferimento al grande evento che segue il magnificoRockin 1000 radunato questa estate all’ippodromo.Cesena si è presentata al mondo con un’iniziativa senza eguali.Libero ha avuto modo di stare a stretto contatto con questaband essendo nel team organizzativo del concerto.“E’ stato un piacere avere i Foo nuovamente a Cesena. Laprima volta risale al 1 dicembre 1997 al Vidia.Per l’organizzazione del concerto del 3 novembre abbiamo

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Bimestrale - Direttore: Denis Ugolini - Direttore Responsabile: Ubaldo MarraRedazione: Emanuela Venturi, Piero Pasini, Franco Pedrelli, Giampiero Teodorani, Natali Randolfo, Maurizio Ravegnani

Registrazione n. 4/09 - Tribunale di Forlì del 24/02/09N. iscrizione ROC 18261

Poste Italiane spa-Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 - CN7FOProprietà: Associazione Culturale Energie Nuove - Cesena, Via Mattarella 60

Stampa: Litografia Tuttastampa Cesena.

ENERGIE NUOVE è su www. Cesenainfo.it.Per intervenire: [email protected]

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Torniamo sulla sanità. Sull’Asl unica di Romagna, finalmenteinsediatasi da alcuni anni, e adesso davvero in moto per riordinarsie ristrutturarsi in quella grande realtà curativa ed assistenziale chepuò essere, migliorando un già elevato livello sanitario. NuovoDirettore Generale è Marcello Tonini. È stato Dg dell’Asl di Rimini(quando ancora erano quattro le Asl in Romagna). Fu nominato Dgdell’Irst (Irccs). Ci sono state le elezioni regionali e la nuova giunta(nuovo Presidente e nuovo Assessore alla sanità): lo hanno nominatoDirettore Generale dell’Asl romagnola. Dopo un decollo inizialedella nuova Azienda (con il precedente Dg De Dorides) totalmenteinappropriato alla sfida di tale importante novità. Marcello Toniniè partito mettendo a punto un Piano differente da quello che erastato in precedenza improntato: non era un piano di riorganizzazione,ma di “sistemazione” di posti. Con favore ne abbiamo registratoanche la decisone di ridurre (almeno) l’unità operativa che era stataprevista per il raccordo fra la Conferenza dei Sindaci e l’Asl. Unospreco senza alcuna giustificazione che non fosse la sistemazionedi qualcuno. Se ne poteva fare a meno. È già qualcosa la riduzione.La sanità è questione rilevante e fondamentale. Abbiamo subitochiesto che un’unica Asl fosse istituita per la Romagna, un territoriodi circa un milione e centomila abitanti, una dimensione appropriataper rafforzare le specializzazioni ospedaliere di fronte agli enormiprogressi della medicina e della tecnologia e della strumentazionediagnostica e terapeutica, con annessi progressi dei livelliorganizzativi ed operativi e la valorizzazione delle accresciutespecificità professionali. Per evitare ridondanze inefficaci. Perspalmare con più efficacia l’intervento di prossimità territoriale diassistenza, considerando il mutamento sociale di crescenteinvecchiamento della popolazione, delle cronicità e disabilità. Inquesti mesi abbiamo inteso guardare e seguire, con giusta distanza,l’avvio dell’azione del nuovo Direttore Generale, osservarne gliatti, le iniziative; cercare di comprendere in che modo e con qualiscelte egli intende l’azione di governo. Impegnativa e decisamentenon facile, per quanto, però necessaria. Dentro l’Asl c’è dibattito.Fuori ce n’è meno. Di politica buona al riguardo ci sono pochisegnali. Ma occorre tenere attivo un dibattito più ampio, comenecessita la sanità che val anche la pena rammentare impegna oltreil settanta per cento della spesa regionale. In un contesto dove laspesa sanitaria è di centrale attenzione nazionale. Pur aumentandola si considera tagliata e in calo. Le Regioni se ne lamentano. Nonentriamo qui nel merito. Per quanto ribadiamo che i servizi sanitarisono migliori se si riorganizzano e se la spesa si rende produttivae non spreco. Con le compatibilità delle risorse disponibili si devefare conto. L’accrescere dei bisogni richiama anche una maggiorespesa, non c’è alcun dubbio. Ma un conto è innestarla su andazzisoliti, un conto è innestarla su efficaci innovative soluzioni diservizio e cura all’altezza dei bisogni degli ammalati. Sonofondamentali processi di riorganizzazione. Mal sopportati solo davisioni corte di interessi carrieristici, da conservatorismi sindacalie resistenze campanilistico-localistiche. Bisogna avviare il riassettoorganizzativo e la ristrutturazione dell’Asl di area vasta. Il progettodi messa in rete dell’oncologia in Romagna partendo da quellostraordinario centro che si è venuto sviluppando che è l’Irst e cheoggi è anche Irccs (in pagina interna interviene Dino Amadori,Direttore scientifico) costituisce l’avanzata ed ottimale soluzione

cui tendere per l’efficace servizio agli ammalati oncologici. Peraumentare ed alimentare sempre più il campo della ricerca scientifica,peraltro partendo da punti di partenza interni ad Irst di grande eindiscussa qualità e ricchi di ulteriori potenzialità. Questo progettoche l’attuale DG di Irst Giorgio Martelli, insieme al Direttorescientifico Amadori ed altri, sta presentando e discutendo con leistituzioni e le forze sociali, rappresenta altresì una impostazionedi impegno programmatorio, di impostazione di scelte di governo,di messa in relazione territoriale e di forte unificazione coordinativae gestionale che da un lato massimizza, ribadiamo, l’efficacia delservizio di rete oncologica, e dall’altro rappresenta un indirizzo,una impostazione che sarebbe bene usare anche per altri compartie specializzazioni. In sede di presentazione di questo progetto hopotuto ascoltare le considerazioni del Dg di Asl unica MarcelloTonini. Circostanziate, ponderate. Ho colto un taglio che meritaattenzione. Tonini dice che affronta con cuore e mente la questione.Il cuore sente totale corrispondenza. La mente lo porta a collocareil progetto nel complesso della realtà di area vasta e del suo piùampio processo di riorganizzazione. E qui ovviamente egli hapresente un coacervo di complessità e di percorsi che lo determinano,questo mi è parso di cogliere, in una sorta di rallentamento delpercorso che si deve invece accelerare per sostanziare la qualitàprogettuale che deve realizzarsi, presto e bene nell’interesse degliammalati e del progredire della cura e della ricerca. Le condizionioperative in essere in situazioni precedenti il vorticoso progressoscientifico e dei metodi stessi di approccio alla cura e alla ricerca;il pregresso delle condizioni operative nelle diverse Asl, delleorganizzazioni separate più che coordinate, dell’organizzazione delpersonale e professionali, non ultime le loro localizzazioni distintenel precedente assetto della sanità romagnola, costituiscono lacomplessità che il governo di Asl unica deve affrontare. Ma deveessere appunto un governo che le affronta non un governo chemanca la sua funzione perché ne viene rallentato se non fermato.Peraltro si deve trattare di scelte di governo che portanomiglioramento al sistema e che non significano una riorganizzazioneche premia e penalizza, ma che valorizza al meglio le operativitàdi rete e le professionalità. Dentro la progettualità che ne esalta lacompatibilità, le coerenze, e le migliori espressioni funzionali. Ilprogetto che occorre non può essere una somma di ridondanze.L’indubbia complessità del governo dell’Asl non deve vanificarela totale corrispondenza del cuore alla validità del progetto di rete(riprendo da Tonini) dovuta da una ponderazione dei percorsi edelle tappe che necessitano talmente improntate a cautele (maidisprezzabili) che finiscano però con essere frenanti e più in usoa conservatorismi e resistenze che a meglio sviluppare processicondivi e forti. Se la gerarchia dei valori assegna, come è giusto,il primo posto alla cura migliore degli ammalati la realtà esistentedeve sapersi innovare e adeguare con coerenza ai mutamenti e aiprogressi intervenuti e in continuo processo, in campo medico,scientifico, tecnologico e di approccio organizzativo e funzionale.L’accelerazione sul processo di rete oncologica è banco di provadel governo di Asl unica Romagna. Presto e bene. Le condizionidella fattibilità sono esplicite e in campo. Necessitano le decisioniche le attivano e che siano in sequenza coerente. Presto per farebene.

Rete oncologica Romagna. Fare presto per fare bene***