DIPENDENZE ED INDIPENDENZE NELLO STUDIO DELLE ... · giudizio con la legge di riforma del...

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1 DIPENDENZEED INDIPENDENZENELLO STUDIO DELLE INTERRELAZIONI FRA PROCESSO TRIBUTARIO E PROCESSO PENALE Sommario: 1. Breve ricognizione storica; 2. Il nuovo codice di procedura penale; 3. Il rapporto tra il processo penale e il processo tributario: l’art. 654 cpp; 4. La terza via interpretativa; 5. L‘influenza del processo tributario rispetto a quello penale. Conclusioni 1.Breve ricognizione storica : La necessità di regolare i rapporti tra il diritto tributario e il diritto penale è stata sentita già agli inizi del secolo scorso, e fondamentale fu la disciplina di cui all’art. 21 della L. 7.1.1929 n. 4, sulla cd. pregiudiziale tributaria 1 : il processo penale teso all’accertamento del reato era sospeso fino alla definizione del processo tributario; come è noto, peraltro, all’epoca di tale legislazione quest’ultimo era considerato più che un vero processo, una sorta di procedimento amministrativo, in cui mancavano le garanzie tipiche del processo, ed in particolare la terzietà del giudice 2 Il legislatore si era quindi preoccupato di garantire la preminenza del processo tributario rispetto al processo penale, e tanto in base ad una serie di giustificazioni, che possono essere sinteticamente identificate nella necessità di evitare giudizi contraddittori ed evitare al giudice 1 Il terzo comma dell’articolo citato prevedeva che “ per i reati previsti dalle leggi sui tributi diretti l’azione penale ha corso dopo che l’accertamento dell’imposta e della relativa sovraimposta è divenuto definitivo a norma delle leggi regolanti la materia Il principio della pregiudiziale sarà, poi, sostanzialmente recepito dall’art. 56, comma 3, del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600 (in tema di imposte dirette) e dell’art. 58, comma 5, del d.p.r. n. 633/1972 (in materia di Iva). 2 Tra gli altri elementi, la natura amministrativa delle commissione tributarie di primo e secondo grado era provata dalla presenza nell’organo giudicante del rappresentante della amministrazione finanziaria in sede deliberante, e dal controllo e dalla vigilanza del lavoro delle commissioni affidata ad un organo amministrativo, l’Intendente di Finanza, che poteva persino, dietro autorizzazione ministeriale e sentito il Presidente, scioglierle (art. 20 R.D. n.1516 del 1937)

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“DIPENDENZE” ED “INDIPENDENZE” NELLO STUDIO DELLE INTERRELAZIONI

FRA PROCESSO TRIBUTARIO E PROCESSO PENALE

Sommario: 1. Breve ricognizione storica; 2. Il nuovo codice di procedura penale; 3. Il

rapporto tra il processo penale e il processo tributario: l’art. 654 cpp; 4. La terza via

interpretativa; 5. L‘influenza del processo tributario rispetto a quello penale. Conclusioni

1.Breve ricognizione storica:

La necessità di regolare i rapporti tra il diritto tributario e il diritto penale è stata sentita già

agli inizi del secolo scorso, e fondamentale fu la disciplina di cui all’art. 21 della L. 7.1.1929 n. 4,

sulla cd. pregiudiziale tributaria1: il processo penale teso all’accertamento del reato era sospeso fino

alla definizione del processo tributario; come è noto, peraltro, all’epoca di tale legislazione

quest’ultimo era considerato più che un vero processo, una sorta di procedimento amministrativo, in

cui mancavano le garanzie tipiche del processo, ed in particolare la terzietà del giudice 2

Il legislatore si era quindi preoccupato di garantire la preminenza del processo tributario

rispetto al processo penale, e tanto in base ad una serie di giustificazioni, che possono essere

sinteticamente identificate nella necessità di evitare giudizi contraddittori ed evitare al giudice

1 Il terzo comma dell’articolo citato prevedeva che “ per i reati previsti dalle leggi sui tributi

diretti l’azione penale ha corso dopo che l’accertamento dell’imposta e della relativa sovraimposta

è divenuto definitivo a norma delle leggi regolanti la materia

Il principio della pregiudiziale sarà, poi, sostanzialmente recepito dall’art. 56, comma 3, del d.p.r.

29 settembre 1973 n. 600 (in tema di imposte dirette) e dell’art. 58, comma 5, del d.p.r. n. 633/1972

(in materia di Iva). 2 Tra gli altri elementi, la natura amministrativa delle commissione tributarie di primo e secondo

grado era provata dalla presenza nell’organo giudicante del rappresentante della amministrazione

finanziaria in sede deliberante, e dal controllo e dalla vigilanza del lavoro delle commissioni

affidata ad un organo amministrativo, l’Intendente di Finanza, che poteva persino, dietro

autorizzazione ministeriale e sentito il Presidente, scioglierle (art. 20 R.D. n.1516 del 1937)

2

penale giudizi a contenuto estimativo, e, per il privato, evitare processi penali prima che finisse il

procedimento tributario.3 -

4

Se quindi l’istituto era ampiamente giustificabile dal punto di vista teorico, come detto, in

realtà problemi pratici che seguirono furono molteplici, in considerazione soprattutto della estrema

lentezza del processo tributario, che si articolava all’epoca (e fino all’abolizione del quarto grado di

giudizio con la legge di riforma del contenzioso tributario del 1992, abolitrice della commissione

Tributaria centrale) in quattro gradi di giudizio, 5 il che comportava un concreto svuotamento di

qualsiasi efficacia del processo penale che interveniva dopo molti anni dalla commissione del fatto.

Peraltro è stato evidenziato dalla dottrina costituzionalista che ha affrontato la tematica della

pregiudiziale tributaria rispetto al processo penale che la stessa sarebbe stata, ove non abolita,

incompatibile nettamente con i principi della carta costituzionale, ed in particolare con il principio

di cui all’art. 101, (il principio del libero convincimento per il quale i giudici sono soggetti solo alla

legge) e 112 (obbligatorietà dell’azione penale) 6

. In ogni caso il codice Rocco cambiava

completamente ottica, e il legislatore del 1930 stabiliva che la pendenza del processo penale

avrebbe determinato la sospensione del procedimento tributario e che la sentenza penale avrebbe

3 L’introduzione della pregiudiziale tributaria era giustificata dalla relazione di accompagnamento

alla legge 7.1.1929 n. 4 con l’esigenza di assicurare l’unità, la certezza e la coerenza

dell’accertamento giurisdizionale. 4 Secondo un risalente orientamento della giurisprudenza costituzionale, infatti, la pregiudiziale

rappresentava uno strumento di uguaglianza e di corretto uso dei poteri di indagine e di controllo

fiscale; in realtà, una volta accertata la evasione fiscale da parte del giudice tributario, al giudice

penale restava il compito di accertare la sussistenza dell’elemento psicologico e la quantificazione

della pena, evitando di riservare allo stesso giudizi tecnici che il legislatore preferiva riservare ad

organi specializzati, quali le Commissioni tributarie. 5 Si noti che fino al DPR n. 636/1973 erano in realtà sei i gradi di giurisdizione in quanto dopo l’adizione

delle commissione amministrative tributarie, distrettuali, provinciali e Centrale, l’azione giudiziaria poteva

essere proseguita in sede civile. 6 La Corte Costituzionale, infatti, intervenne in materia, con le sentenza nn 88 e 89 del 1982, dichiarando

costituzionalmente illegittimi gli art. 21, 4° comma, L. 4/1929, di cui si è detto, e 58, ultimo comma, DPR

633/1972, nella parte in cui disponevano che fosse applicabile il meccanismo della pregiudiziale tributaria

anche per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, di cui all’art. 50, 4° comma, di tale

decreto.0

3

avuto una efficacia assoluta nel processo tributario, quando nel primo si controvertesse degli stessi

fatti materiali di cui al procedimento tributario 7 .

L’abbandono della pregiudizialità dell’uno o dell’altro si ha solo con la Legge 516 del 1982,

introduttiva del cd. doppio binario relativo, in cui la esigenza di garantire l’autonomia dei due

processi finalmente è regolamentata dal legislatore; in tale legge, superata ormai ogni possibilità di

introdurre qualsiasi forma di pregiudiziale necessaria tributaria o penale, che sarebbe stata come

detto chiaramente incostituzionale e comunque evidentemente anacronistica, per quanto riguarda la

pregiudiziale penale sostanzialmente stabiliva che non vi fosse alcuna sospensione del processo

tributario, ma la sentenza del giudice penale di condanna o proscioglimento avrebbe fatto stato per

l’imposta sui redditi e IVA per quanto riguarda i fatti materiali oggetto del giudizio penale, senza

che il processo tributario fosse in alcun modo però sospeso 8 .

In realtà la legge indicata espungeva definitivamente dal sistema normativo italiano ogni

meccanismo di necessaria pregiudizialità tra i due processi, introducendo il meccanismo diverso

dello svolgimento autonomo dei due, con la conseguente necessità di regolamentare l’efficacia del

giudicato penale in quello tributario, con dei limiti e delle condizioni applicative che poi saranno

definiti, come si vedrà, dalla successiva legislazione e soprattutto dalla Giurisprudenza di

legittimità.

2. IL NUOVO CODICE DI PROCEDURA PENALE

7 La Corte Costituzionale, prima della riforma del codice di procedura penale, aveva già comunque di molto

ridotto l’operatività di tale normativa, dichiarando, con le sentenze nn. 55 del 22.3.1971, n. 99 del 27.6.1973

e 165 del 26.6.1975, l’incostituzionalità delle norme che prevedevano l’efficacia del giudicato penale anche

nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo penale, tenendo anche conto della rilevanza statistica

assai limitata di ipotesi nelle quali la pubblica amministrazione finanziaria aveva partecipato quale parte

nel processo penale, così di fatto limitando moltissimo l’ambito operativo della norma. 8 L’art. 12 della legge n. 516/1982 stabiliva infatti che il processo tributario non potesse essere sospeso, e

che la sentenza irrevocabile di condanna o proscioglimento pronunciata in seguito a giudizio in materia di

imposte sui redditi o IVA avesse autorità di giudicato nel processo tributario in relazione ai fatti materiali

oggetto dell’accertamento effettuato dal giudice penale.

4

Il codice di procedura penale del 1988 ha, quindi, dopo la disciplina di cui si è detto,

sostanzialmente riscritto tutta la normativa in materia di effetti del giudicato penale sul processo

tributario, e l’art. 654 cpp, riadattando e sostituendo l’art. 12 della L. 516 sostanzialmente dice che

nei confronti dell’imputato o parte civile, che si sia costituito nel processo penale, la sentenza

irrevocabile di condanna o assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia, purché si

controverta di diritti il cui riconoscimento dipenda dagli stessi fatti materiali e non vi siano

limitazioni alla prova nel processo civile, se le parti hanno partecipato al processo. La riforma

74/2000 ha ribadito con forza il principio della indipendenza dei due giudizi, e in particolare il

procedimento tributario (sostanziale e processuale) non può essere sospeso in pendenza di processo

penale 9; per garantire però che un fatto non fosse punito due volte, nel caso di contrasto apparente

di norme, tra norma sanzionatoria penale e norma sanzionatoria amministrativa, ha stabilito che

sarebbe quest’ultima a prevalere .10

In realtà tale conclusione, relativa alla assoluta indipendenza dei due processi (in realtà con

numerosi vulnus, come in seguito si vedrà) non risolve un problema evidenziato dalla più accorta

dottrina 11

e cioè quello dell’eventuale contrasto di giudicati, in quanto la prevalenza di uno dei due

sistemi sanzionatori non può che essere lasciato ai giudici stessi, il che creerebbe una impasse

processuale difficilmente risolvibile se il giudice penale decidesse di assolvere perché il fatto è

punito con sanzione amministrativa e quello tributario decidesse che invece costituisce reato,

creando un contrasto di decisioni, che porterebbe ad un blocco dei due processi dal quale sarebbe

difficile uscire, quanto meno in tempi ragionevoli. Il problema, è stato evidenziato, potrebbe porsi

in particolare in relazione alla nozione di imposta evasa, la cui esatta quantificazione è lasciata alla

9 L’art. 20 del D.L.vo 74/2000 infatti prevede espressamente che “ il procedimento amministrativo di

accertamento e il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale

avente ad oggetti i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione. 10

Il meccanismo della prevalenza è espressamente sancito dall’art. 19 del detto decreto, per il quale “

quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni dei titolo II e da una disposizione che prevede una

sanzione amministrativa si applica la disposizione speciale. 11

V. Monfreda, “i rapporti tra procedimento penale e procedimento tributario avente ad oggetto i medesimi

fatti”, in il Foro Penale, raccolta generale

5

libera interpretazione del giudicante, e che, come è noto, costituisce per numerose fattispecie di

reato il discrimine tra fatto penalmente rilevante e fatti di rilievo amministrativo; è stato

accortamente notato che il legislatore ha omesso di indicare esattamente i parametri normativi e

contabili per la determinazione della stessa, il che rende concreto il pericolo che possa determinarsi

una situazione di contrasto tra pronunce giurisprudenziali assai difficile da risolversi.

Proprio per tale motivo ci sono stati autori che hanno auspicato un ritorno alla pregiudiziale

tributaria, 12

senza però che in qualche maniera tale dottrina abbia offerto argomenti validi che

potessero superare le obiezioni relative agli evidenti profili di contrasto con i principi costituzionali

e con l’esigenza di celerità del processo tributario, in quanto appare evidente che, a parte gli

impedimenti costituzionali, in concreto la estrema lungaggine dei due processi comporterebbe

ritardi ingiustificabili, in contrasto con il principio ormai affermatosi soprattutto nella

giurisprudenza comunitaria, della ragionevole durata del processo; da ciò deriva inevitabilmente la

necessità concreta che non vi siano pregiudiziali di sorta tra i due.

3. Il rapporto tra il processo penale e il processo tributario: L’art. 654 cpp

Come si è sopra evidenziato, la attuale normativa prevede, quindi, la autonomia dei due

processi, salve le ipotesi di cui all’art. 654 cpp, che stabilisce che le sentenze di condanna o di

assoluzione abbiano efficacia nel processo tributario, alle seguenti condizioni:

Le parti del processo tributario debbono aver partecipato al processo penale;

Si controverta di un diritto o un interesse legittimo il cui riconoscimento dipenda

dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale;

I fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti dal giudice penale,

12

Cfr. Tinti B. in “un regalo al partito degli evasori” in il “Sole 24 ore” del 17.6.1999, il quale evidenziava che di fatto la determinazione della imposta evasa e il conseguente recupero sarebbe stato in tal maniera demandato alle Procure della Repubblica più che ai competenti uffici finanziari

6

E purchè la legge civile (nel caso che ci interessa processual–tributaria) non ponga

limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa.

Il primo problema interpretativo che si è posta la dottrina e la giurisprudenza è ovviamente

quella della applicabilità di tale norma al processo tributario, in cui vi sono, come è noto, profonde

diversità in ordine alle prove utilizzabili. L’analisi della giurisprudenza di legittimità

sostanzialmente ha individuato tre possibili vie interpretative in relazione al problema ermeneutico

relativo alla applicabilità del disposto di cui all’art. 654 cpp al processo tributario, che vanno

analizzate singolarmente.

In primo luogo numerose sentenze della Suprema Corte hanno escluso nettamente la

possibilità di applicare l’art. 654 cpp al processo tributario, vista la totale diversità tra i due

processi, in relazione soprattutto al divieto di prova testimoniale e al largo uso di presunzioni nel

processo tributario, mentre al contrario la prova testimoniale è fondamentale nel processo penale,

nel quale invece è vietata qualsiasi forma di presunzione, salva, come si è acutamente detto, la

presunzione di non colpevolezza, che è evidentemente fuori dall’argomento in oggetto (sul punto si

tornerà in seguito); in altri termini numerose pronunce di legittimità hanno ritenuto del tutto

inapplicabile tale norma al processo tributario, stante le notevoli limitazioni della prova, (13

) senza

lasciare di fatto nessuno spazio applicativo alla normativa in esame

Altre pronunce, al contrario, hanno adottato una seconda via interpretativa, ed hanno

ritenuto che in linea di principio la norma fosse applicabile anche al processo tributario, tenuto

13 Tra le tante, Sez. 5, Sentenza n. 6337 del 03/05/2002 (Rv. 554075) per la quale “Ai sensi dell'art. 654 del

codice di procedura penale - il quale aveva portata modificativa dell'art. 12 del D.L. n. 429 del 1982

(convertito nella legge n. 516 del 1982), poi espressamente abrogato dall'art. 25 del D.Lgs. 10 marzo 2000,

n. 74 -, l'efficacia vincolante del giudicato penale non opera nel processo tributario, poiché in questo, da un

lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale), e, dall'altro, possono valere

anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna”.

Id., Sez. 5, Sentenza n. 3724 del 17/02/2010 (Rv. 611826).

7

conto del fatto che nessuna disposizione vieta aprioristicamente l’applicazione della stessa, ma

piuttosto occorre solo stabilire in concreto se la pronuncia del giudice penale sia stata emessa in

base a prove che sarebbero state legittimamente utilizzabili anche dal giudice tributario, e se

sussistano in concreto le condizioni di applicabilità della stessa.

Quindi, per esempio, nessuna preclusione assoluta, ma valutazione dell’applicabilità della

norma in relazione al caso concreto, e quindi decisa esclusione se la amministrazione finanziaria

non aveva partecipato al processo oppure se erano state utilizzate per la condanna o la assoluzione

prove testimoniali vietate innanzi al giudice tributario. Questa conclusione appare decisamente

preferibile, in quanto fondata su una interpretazione letterale della norma de qua, che fa riferimento

generico al processo civile e amministrativo, comprendendo in questi chiaramente anche quello

tributario, senza alcuna aprioristica esclusione; di fatto, però, la applicazione concreta della norma è

da ritenersi più teorica che concreta, tenuto conto dei presupposti applicativi della stessa, che si

specificheranno in seguito, tanto da doversi ritenere che sia possibile la applicazione solo ad ipotesi

del tutto residuali, o, più correttamente, che la stessa in teoria sia riferibile al processo tributario,

ma sia in concreto inapplicabile.

In primo luogo, infatti, superato l’esame preliminare inerente la dipendenza della situazione

giuridica sostanziale della quale si controverte nel processo tributario dalla decisione penale, deve

escludersi l’applicazione in tutti i casi nei quali la amministrazione finanziaria non si sia costituita

nel processo penale quale parte civile, cosa statisticamente assolutamente non frequente nella aule

dei tribunali penali o comunque non abbia assunto la qualità di parte nel processo penale.

Va poi, come si è detto, esclusa in ogni ipotesi nella quale vi è stata una utilizzazione per lo

svolgimento del processo penale di prove testimoniali, il che statisticamente è una ipotesi anch’essa

percentualmente minoritaria.

8

In ogni caso, accertata l’identità dell’oggetto dei due processi, tributario e penale, al quale

abbia partecipato la amministrazione finanziaria, e che la sentenza sia stata emanata solo in base a

prove documentali, sarebbe necessario che la pronuncia in oggetto fosse stata emanata all’esito

dell’udienza dibattimentale, il che esclude decisamente che possa avere efficacia nel processo

tributario ogni sentenza che non abbia tali caratteristiche; in primo luogo, quindi, non potrebbe

applicarsi alle sentenze emesse all’esito dell’udienza preliminare, siano queste emesse ex art. 425

cpp o a seguito di giudizio abbreviato, che siano di condanna o di assoluzione, perché le stesse, che

vengono emesse in base a tutti gli elementi probatori legittimamente acquisiti nel corso delle

indagini preliminari, non sono mai pronunciate a seguito di dibattimento.

Vanno poi escluse le sentenze pronunciate a seguito di altri riti alternativi, con particolare

riferimento a quelle di cd. “patteggiamento” che non sono anch’esse emesse a seguito di

dibattimento e non comportano una valutazione di colpevolezza (su tali sentenze si tornerà in

seguito) ma solo una valutazione di non evidenza della non colpevolezza del’imputato.

Vanno aggiunti all’elenco delle pronunce del giudice penale che non rientrano tra quelle di

cui all’art. 654 cpp anche i decreti penali non opposti e quindi definitivi, i quali seguono ad una

semplice richiesta del P.M. ed un accoglimento da parte del G.I.P. senza alcuna udienza, né

preliminare né dibattimentale; va chiarito che tali decreti, alla luce della concreta esperienza

personale, proprio perché ampiamente “premiali” comportando una pena esclusivamente pecuniaria

ridotta alla metà, appaiono uno strumento deflattivo del dibattimento ampiamente utilizzato per i

reati la cui pena edittale è pari o inferiore ai sei mesi di reclusione, per i quali è possibile la

conversione della pena detentiva in quella pecuniaria, quindi per la maggior parte del reati tributari

di minore gravità sociale.

9

Da ultimo ovviamente non potrà avere alcun valore vincolante il decreto di archiviazione,

richiesto dal P.M. ed emesso dal G.I.P., proprio per la sua natura non definitiva, essendo lo stesso

sempre revocabile.

Va poi tenuto conto del fatto che le sentenza di cui all’art. 654 cpp sono quelle passate in

giudicato, in cui per la quasi totalità dei casi vi sono stati tre gradi di giudizio, il che, considerato

che i tempi del processo tributario risultano spesso più brevi di quello penale, comporta che assai

difficilmente è possibile avere una ipotesi di sentenza penale emessa dopo tre gradi di giudizio

senza che il giudice tributario si sia già pronunciato in primo grado. Di conseguenza, ristretto il

campo alle solo sentenze dibattimentali, che siano state emesse sostanzialmente solo su prove

documentali, in ipotesi nelle quali anche la amministrazione finanziaria abbia partecipato, tenuto

anche conto che tali pronunce devono avere valore di giudicato, come si è detto, deve concludersi

per la concreta inapplicabilità, o quanto meno ridottissima applicabilità, della norma di cui all’art.

654 cpp.

Va, quindi, detto, che la regolamentazione dei rapporti tra i due tipi di processo quale

regolata dal vigente codice di procedura penale con la norma indicata è decisamente insufficiente ed

ha profili in ogni caso contraddittori, se solo si pensi che una eventuale sentenza definitiva di

assoluzione pronunciata all’esito del dibattimento, per esempio, potrebbe essere vincolante, per il

giudice tributario, sussistendone i presupposti, mentre una pronuncia emessa all’esito dell’udienza

preliminare, ex art. 425 cpp, che abbia ritenuto l’imputato evidentemente non colpevole, tanto da

non “meritare” neppure il vaglio dibattimentale, e, quindi, ancor di più esplicita nell’affermare la

mancanza di elementi basilari utili per l’accusa, non potrebbe mai avere tale valore vincolante14

;

14

Sul punto, se pure in riferimento alla previgente analoga disciplina, si veda Cass. Sez. 5, Sentenza n. 586

del 13/01/2006 (Rv. 589994) In tema di contenzioso tributario, l'effetto vincolante del giudicato penale, già

previsto dall'art. 12 del d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 1982, n.

516 (abrogato dall'art. 25, comma 1, lett. d, del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), riguardava solamente le

sentenze pronunciate in seguito a giudizio (sempre che l'amministrazione finanziaria fosse stata messa in

10

alla stessa maniera ovviamente, nessun valore vincolante potrebbe essere attribuito ad un decreto di

archiviazione, emesso su richiesta dello stesso Pubblico Ministero che abbia ritenuto non sufficienti

le prove raccolte in fase di indagini preliminari, tanto da non ritenere sussistenti neppure gli

elementi probatori minimi necessari per sostenere l’accusa.

È evidente la disparità di trattamento che si verrebbe a creare nei confronti del cittadino, in

situazioni simili, ed è per questo motivo che la stessa giurisprudenza ha di fatto creato dei rapporti

tra il processo penale, come esso si sia concluso, ed il processo tributario, assai più stretti di quelli

voluti dal legislatore, se pur non vincolanti, come si vedrà.

4. LA “TERZA VIA” INTERPRETATIVA

La concreta esperienza di lavoro in realtà evidenzia, infatti, che il rapporto tra il giudizio

penale e quello tributario è spesso più complesso di questa conclusione, ed anzi molto spesso la

dipendenza “decisionale” da parte del giudice tributario rispetto a quello penale è spesso assai

frequente, è ciò attraverso il meccanismo processuale della produzione documentale, che è poi la

terza “via” seguito di fatto in ordine al concreto atteggiarsi dei rapporti tra processo penale e

processo tributario.

Si è, infatti, detto che il processo tributario è infatti un processo documentale, e non vi è

alcun dubbio che nel concetto di documento rientri anche ogni decisione del giudice penale che se

pure non può avere alcun valore vincolante, perché non applicabile nel caso concreto l’art. 654 cpp,

comunque ha natura di documento, e come tale può essere prodotto nel giudizio tributario, e questo

giudice non solo non può opporre alcunchè alla sua produzione, ma non può non tenere conto della

stessa nell’ambito della sua libertà decisionale, potendo ben fondare la sua decisione, secondo il suo

grado di partecipare al giudizio penale), oltre ad essere limitato ai fatti materiali accertati in quella sede.

Esso, pertanto, non poteva estendersi alle sentenze istruttorie di proscioglimento

11

libero apprezzamento, su tale documento, o disconoscerne l’efficacia, arrivando a conclusioni

diametralmente opposte rispetto a quelle raggiunte dal giudice penale ( 15

)

Di conseguenza non vi è alcun motivo, per esempio, per il quale una sentenza del giudice

penale che sia stata emessa sulla base di prove testimoniali, chieste sia dal P.M. che dalle altre parti

private, non possa essere prodotta nel giudizio tributario, e certamente il giudice tributario dovrà

valutare la stessa quale documento, in base alle regole sostanziali e processuali che regolano questo

processo, ma di fatto appare evidente che un concreto e notevole influenza sulla sua decisione tale

pronuncia non potrà non averla.

Non può disconoscersi che questa conclusione può portare di fatto ad un superamento

persino del divieto di prova testimoniale nel processo tributario, facendo entrare nello stesso

conclusioni alle quali il giudice penale sia giunto attraverso prove vietate nel processo tributario, ma

tale esito della vicenda interpretativa avente ad oggetto i rapporti tra i due sistemi processuali

appare inevitabile, tralasciando il rilievo che comunque va evidenziato, ancor di più, come appaia

ormai necessario superare anche legislativamente le limitazioni di prova nel processo tributario, che

costituiscono un retaggio del passato di tale organo giurisdizionale, che era considerato in realtà

amministrativo, e che sono del tutto anacronistiche e limitative, senza alcuna valida ragione,

dell’efficacia dello stesso a tutela del cittadino.16

15 Tra le tantissime pronunce sul punto della Suprema Corte si può citare, da ultimo, la Sez. 5,

Sentenza n. 19786 del 27/09/2011 (Rv. 619306), ancora più di recente va citata la Sez. 5, Sentenza n.

8129 del 23/05/2012 (Rv. 622685).

16 Peraltro già da tempo la Suprema Corte si è occupata del problema della efficacia delle prove

acquisite nel giudizio penale, chiarendo che (Sez. 5, Sentenza n. 12577 del 22/09/2000 (Rv.

540399) ) In tema di contenzioso tributario, il giudice può legittimamente fondare il proprio

convincimento anche sulle prove acquisite nel giudizio penale ed anche nel caso in cui questo sia

stato definito con una pronuncia non avente efficacia di "giudicato opponibile" in sede

giurisdizionale diversa da quella penale, purché proceda ad una propria ed autonoma valutazione

degli elementi probatori.

12

Da questa conclusioni non può non derivare che qualsiasi altra pronuncia del giudice penale,

anche non definitiva, o emessa a seguito di udienza preliminare o (17

) riti alternativi (giudizio

abbreviato, patteggiamento, decreto penale) o anche non avente carattere decisorio della

controversia, quale il decreto di archiviazione, comunque potrà sempre essere prodotta al giudice

tributario, e questi non potrà che tenere conto della stesso nella sua decisione, pur senza esserne

vincolato. La questione è stata affrontata ex professo con particolare riferimento alla sentenze

emesse a seguito del cd. “patteggiamento” o applicazione concordata della pena, il cui valore di

ammissione o meno di colpevolezza è oggetto ancora ora di discussione, essendo le stesse fondate

solo su un accordo delle parti e su un giudizio del giudice penale non di colpevolezza ma di

mancanza di evidenza di non colpevolezza.

Proprio a riguardo di tali particolari sentenza, la suprema corte ha più volte affermato che

esse sono producibili nel giudizio tributario, quali documenti avente fortissimo valore probatorio,

ma si è spinta ancora più oltre, chiedendo che fosse il contribuente a spiegare il motivo della sua

ammissione di colpevolezza fatta con la scelta del rito, sostanzialmente invertendo completamente

l’onere della prova nel processo tributario 18

17

Sez. 5, Sentenza n. 17037 del 02/12/2002 (Rv. 558883) Nel processo tributario il giudice può

legittimamente fondare il proprio convincimento anche sulle prove acquisite nel giudizio penale ed anche

nel caso in cui questo sia stato definito con una pronuncia non avente efficacia di "giudicato opponibile" in

sede giurisdizionale diversa da quella penale, purché proceda ad una propria ed autonoma valutazione,

secondo la regole proprie della distribuzione dell'onere della prova nel giudizio tributario, degli elementi

probatori acquisiti nel processo penale, i quali possono, quantomeno, costituire fonte legittima di prova

presuntiva. Ne consegue che il giudice tributario non può negare in linea di principio che l'accertamento

contenuto in una sentenza di proscioglimento pronunciata ai sensi dell'art. 425 cod. proc. pen. possa

costituire fonte di prova presuntiva, omettendo di compiere una sua autonoma valutazione degli elementi

acquisiti in sede penale.

18 ex multis, da ultimo, Sez. 5, Sentenza n. 24587 del 03/12/2010 (Rv. 615119) La sentenza penale di

applicazione della pena ex art. 444 cod. proc.pen. (cosiddetto "patteggiamento") costituisce indiscutibile

elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il

dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il

giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo

oggetto di statuizione assistita dall'efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice

tributario nel giudizio di legittimità dell'accertamento. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato con

rinvio la sentenza della Commissione tributaria regionale che aveva ritenuto ininfluente ai fini della prova a

13

In realtà tali pronunce nascondono una obiezione di fondo che non è stata ancora

compiutamente risolta in campo processual penalistico in ordine all’effettivo valore della sentenza

emessa ex art. 444 cpp, e a parere dei sottoscritti le stesse appaiono assai difficilmente condivisibili

essendo le dette sentenze non fondate su alcun giudizio esplicito di colpevolezza emesso da un

organo giudicante e potendo il rito essere prescelto non solo in seguito ad ammissione della propria

colpevolezza, ma per altri motivi, quali l’evitare lo “strepitus fori” , ma di fatto evidenziano una

sussistenza di strettissimo collegamento tra i due processi, tanto che le pronunce dell’uno arrivano

ad avere un valore probatorio se non vincolante comunque difficilmente superabile dalla parte

avente interesse contrario (in questo caso il contribuente, ovviamente) 19

Tali conclusioni sono state fatte proprie da numerose pronunce di legittimità che hanno

confermato la piena legittimità della produzione di ogni provvedimento decisorio del giudice penale

nel processo tributario, tenendo anche conto che se pure questo soffre di forti limitazioni probatorie,

come detto del tutto anacronistiche, comunque non vi è alcuna limitazione legislativa nella

produzione di documenti e tali sono i provvedimenti del giudice penale; deve ritenersi anche che, in

tale scia interpretativa, nulla possa essere opposto alla produzione quale documenti anche di atti

interlocutori del processo penale, quali il rinvio a giudizio, emesso dal G.I.P. all’esito dell’udienza

preliminare, o persino la citazione diretta a giudizio e la richiesta di rinvio a giudizio all’esito delle

indagini preliminari, che pur essendo un atto di una parte del processo, e cioè del P.M., comunque

carico di una società la sentenza di patteggiamento emessa in sede penale nei confronti del legale

rappresentante della società medesima per gli stessi fatti oggetto della pretesa tributaria).

19 Più condivisibilmente infatti altre pronunce hanno chiarito che non vi è alcuna ragione per ritenere che

sia il privato che debba giustificare il motivo della propria ammissione di colpevolezza, ma che la sentenza

di applicazione pena ha un valore di documento, come tale liberamente apprezzabile dal giudice tributario;

si veda Cass Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 26263 del 06/12/2011 (Rv. 620670) “La sentenza penale di

applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e 445 cod. proc. pen. - pur non implicando un accertamento

capace di fare stato nel giudizio civile - contiene pur sempre una ipotesi di responsabilità di cui il giudice di

merito non può escludere il rilievo senza adeguatamente motivar”

14

non vi è alcuna motivazione che possa impedire di farli rientrare nell’ampio concetto di documento

producibile in giudizio.

È chiaro che il valore probatorio dei diversi atti indicati sarà inevitabilmente diverso a

seconda dell’ufficio che li abbia emessi, o a seconda che siano stati preceduti da istruzione

dibattimentale o comunque di contraddittorio delle parti, se siano pronunce di giudici terzi o di una

parte pubblica, ma comunque di essi il giudice tributario, una volta prodotti, non potrà non tenere

conto nella motivazione della sua decisione, il che conferma come in concreto la autonomia dei due

processi spesso si trasformi in uno stretto rapporto di interdipendenza.

5. L’INFLUENZA DEL PROCESSO TRIBUTARIO RISPETTO A QUELLO PENALE.

Aspetto speculare, sul quale conviene effettuare alcune riflessioni, è quello della influenza

del procedimento tributario nel processo penale.

Inquadrato il problema dei rapporti tra processi, vanno indicati, assai sinteticamente, alcuni

principi base del diritto processuale penale e del diritto penale sostanziale, che entrano in gioco

nella materia in esame. In particolare citiamo velocemente il principio di legalità (nessuno può

essere punito dalla legge penale se non per un fatto analiticamente previsto come reato da una

legge) e quindi della riserva di legge, e soprattutto del principio di tipicità, per il quale il fatto

indicato quale reato non può che essere indicato esattamente nei suoi elementi di fatto, e non essere

genericamente indicato. La costruzione giuridica sostanziale dell’illecito tributario è del tutto

diversa; basterebbe per esempio citare le norme sui versamenti e prelevamenti sui conti correnti

bancari che, a certe condizioni, costituiscono reddito presunto 20

, che è una disposizione che non

avrebbe alcuno spazio in campo penale. Nel processo penale, poi, passando ad analizzare i principi

20

Si veda, quale esempio, l’art. 32, 1° comma, n. 2 DPR 600/73, per il quale i versamenti e i prelevamenti su

conti correnti non risultanti dalle scritture contabili costituiscono ricavi, salva la prova contraria fornita dal

contribuente.

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basilari del processo, va detto che ovviamente, è bandita qualsiasi tipo di presunzione, se non

quella della non colpevolezza ex art. 27, 2° comma Cost., v. recente, Trib. Milano, 29 aprile 2011.

Vi sono poi altri principi fondamentali, quali il principio dell’onere della prova a carico

dell’accusa, sempre e comunque, con assoluto divieto dell’inversione dell’onere della prova e il

principio del libero convincimento del giudice, che non può essere vincolato da prove aventi valore

già prestabilito, tanto che è ammessa qualsiasi prova atipica purchè ritenuta rilevante dal giudice, ed

ancora il principio della valenza degli indizi solo se gravi precisi e concordanti, con valutazione di

tali requisiti solo ad opera del giudice, sempre sulla base del suo libero convincimento.

Il giudice penale potrà, quindi, condannare solo in presenza di prova certa e completa, e oltre

ogni ragionevole dubbio

In realtà, chiariti questi punti preliminari del ragionamento, non è neppure possibile ritenere

del tutto inesistenti o non ipotizzabili rapporti tra il procedimento tributario (intesi in senso ampio,

comprendendo anche il procedimento sostanziale e non solo quello processuale) nel senso che la

Giurisprudenza ha chiarito che anche le presunzioni utilizzate dall’amministrazione finanziaria o

dal giudice tributario nelle sue decisioni possono essere sottoposte al giudice penale il quale potrà

tenerne conto nell’ambito della sua autonomia decisionale, insieme ad altri elementi, ma senza in

alcuna maniera esserne vincolato; quest’ultimo potrà tenerne conto dando alle stesse solo un valore

di indizio, al fine di fondare la sua decisione su un quadro indiziario complessivo, che, unitamente

alle presunzioni tributarie, sia sufficiente a formulare un eventuale giudizio di colpevolezza, o di

assoluzione, eventualmente in contrasto con la pronuncia del giudice tributario. 21

21 Tra le molte pronunce della Suprema Corte che hanno applicato tale principio si possono citare la Sez. 3,

Sentenza n. 14486 del 26/11/2008 Cc. (dep. 02/04/2009 ) Rv., Id. Sez. 3, Sentenza n. 9106 del 13/05/1999

Ud. (dep. 16/07/1999 ) Rv. 214535, Sez. 3, Sentenza n. 2246 del 01/02/1996 Ud. (dep. 01/03/1996 )

Rv. 205395.

16

Analizzando però la applicazione concreta di tali principi, del tutto incontestabili,

alla luce della Giurisprudenza più recente della Suprema Corte, non si può non notare che di fatto i

Giudici abbiano ampliato sempre di più la possibilità per il giudice penale di utilizzare strumenti

tipici del giudice tributario, creando di fatto una osmosi tra i due sistemi processuali con conclusioni

ancora tutte da esplorare; numerose sentenze, 22

infatti, tra le quali alcune citate in nota, se pure

partendo dai principi tipici del processo penale, hanno di fatto evidenziato come il reato tributario,

proprio per la sua essenza, non possa che dipendere, per il suo accertamento, proprio dagli strumenti

tipici del sistema tributario, e che indubbiamente, ma questa come si è detto è una prospettiva

ancora tutta da analizzare da parte della dottrina più attenta, il processo penale tributario non può

che di fatto avere delle regole processuali peculiari in relazione alla peculiarità delle fattispecie di

reato ivi giudicate.

In altri termini, se nessuna limitazione nella prova a favore dell’imputato o dell’accusa è

ammissibile nel processo penale, e nessuna preclusione di produzione di qualsiasi documento,

siano atti dell’amministrazione finanziaria, o pronunce definitive o meno del giudice tributario 23

appare evidente che non può che esserci un passaggio continuo di atti tra procedimento tributario in

senso ampio e procedimento penale, comprendendo in tale accezione anche la fase delle indagini

preliminari, e che l’uno non potrà non influenzare strettamente l’altro, e tanto più in ragione della

22

Applicando tali principi ma arrivando di fatto a diverse conclusioni,e comunque utilizzando di fatto

analoghi parametri di giudizio tra i due processi, la Sez. 3, Sentenza n. 26723 del 18/03/2011

Cc. (dep. 07/07/2011 ) Rv. 250958 ha statuito che “Il reato di cui all'art. 4 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74

è configurabile anche in presenza di una condotta elusiva rientrante tra quelle previste dall'art. 37-bis del

D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, quando tale condotta, risolvendosi in atti e negozi non opponibili

all'Amministrazione finanziaria, comporti una dichiarazione infedele per la mancata esposizione degli

elementi attivi nel loro effettivo ammontare. (Fattispecie in tema di sequestro preventivo per equivalente in

cui la Corte ha precisato che il reato di dichiarazione infedele, a differenza di quello di dichiarazione

fraudolenta, non richiede alcuna attitudine ingannatoria nei confronti del Fisco). Id., Cass, Sez. 2,

Sentenza n. 7739 del 22/11/2011 Cc. (dep. 28/02/2012 ) Rv. 252019; Sez. 3, Sentenza n. 5490 del

26/11/2008 Ud. (dep. 06/02/2009 ) Rv. 243089.

23

Si veda sul punto, assai chiara, la Cass. Pen., Sez III, n. 32282 del 2007.

17

estrema tecnicità e complessità, in alcune ipotesi, della materia tributaria, non sempre facilmente

conoscibile dal Giudice penale.

In altri termini è chiaro che tanto più la materia trattata nel processo penale è caratterizzata

da difficoltà tecniche ed interpretative, tanto più l’influenza del procedimento tributario sarà

rilevante nel giudizio penale, il quale dipenderà di fatto spesso proprio dalle conclusioni di un

organo più specializzato, quale il giudice tributario.

Comunque è però certo che mai una responsabilità penale potrà derivare dal fallimento

dell’onere addossato al contribuente di fornire prova contraria rispetto ad una presunzione, ma solo

alla positiva ricostruzione del fatto da parte del giudice penale, utilizzando tutti gli elementi

probatori legittimamente acquisiti ed in particolare utilizzando ogni prova documentale, come detto,

anche discostandosi dalla risultanze e dalle conclusioni dell’accertamento tributario, dando

prevalenza al dato fattuale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano

l’ordinamento tributario, del quale però, come si è evidenziato, non potrà non tenere conto.

CONCLUSIONI.

Appare evidente, quindi, che il punto iniziale della analisi, che era quello dell’abbandono

della pregiudiziale tributaria e all’inverso della assoluta diversità dei principi del processo penale

rispetto a quello tributario, con una incompatibilità tra i due, nella realtà giurisprudenziale è

decisamente superato, apparendo al contrario sempre più stretti i collegamenti tra i due sistemi

processuali, e, si ripete, tanto più quando il processo penale si occupa di materie caratterizzate da

tecnicismi spesso difficili da conoscere da parte del Giudice penale, che non sempre ha una

preparazione contabile e fiscale necessaria, con la conseguente evidente necessità di acquisizione

nel processo penale di conclusioni raggiunte da altri organi più specializzati, in un quadro

complessivo, se non di unità di giurisdizioni, quanto meno di stretto collegamento tra le stesse.

18

Avv. fabio ciani

Università Roma Tre

Tributarista in Milano