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MATERIALI Suppl. al n. 36/2008 di Rassegna Sindacale - Poste italiane spa - Spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l.46/04) art. 1, comma 1, DCB. Roma - euro 1,20 I conti del Mezzogiorno Il Sud tra sviluppo e spreco All’interno il documento Cgil, Cisl e Uil “La manovra penalizza il Mezzogiorno” luglio 2008 Dipartimento per le politiche di coesione economica e sociale e del Mezzogiorno supp 36 Mezzogiorno 25-09-2008 13:48 Pagina 1

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Suppl. al n. 36/2008 di Rassegna Sindacale - Poste italiane spa - Spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l.46/04) art. 1, comma 1, DCB. Roma - euro 1,20

I conti del Mezzogiorno

Il Sudtra sviluppoe sprecoAll’interno il documento Cgil, Cisl e Uil “La manovra penalizza il Mezzogiorno”luglio 2008

Dipartimento per le politichedi coesione economica e socialee del Mezzogiorno

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PrefazioneUN NODO DA SCIOGLIERE NELLA VITA POLITICA E SOCIALE DEL PAESE 3

Andrea Montagni

RelazioniI DATI DELLA QUESTIONE E LE PROPOSTE IN CAMPOI conti del Mezzogiorno 5

Franco Garufi

Il Rapporto annuale 2007 del Dipartimento politiche di Sviluppo e coesione del ministero dello Sviluppo economico 8

Paola Casavola

Fondi, investimenti e politiche di coesione: il caso Puglia 12Francesco Saponaro

Tendenze strutturali dell’economia meridionale 14Ugo Marani

Le regioni a metà del guado: il Molise tra ritardo e sviluppo 15Micaela Fanelli

ComunicazioneIl rilancio del Sud attraverso una proposta organica dalla parte del lavoro 20

Andrea Del Monaco

InterventiDIVARI DI SVILUPPO, FEDERALISMO E POLITICHE CONTRATTUALI 24

Maurizio CalàItalo StellonMauro MacchiesiGiuseppe ErricoMimmo PantaleoGiancarlo SaccomanEnzo CostaAntonio PepeNatale Di SchienaGianni Di Cesare

ConclusioniIL RILANCIO DEL MEZZOGIORNO E LA QUESTIONE PAESE 42

Vera Lamonica

AppendiceLA MANOVRA PENALIZZA IL MEZZOGIORNO 46

Documento Cgil, Cisl e Uil - luglio 2008

Il Sud tra sviluppo e sprecoAtti del Seminario del 3 luglio 2008 a Roma

indice

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6 Andrea MontagniVicepresidente Comitato direttivo Cgil nazionale

P ubblichiamo, con notevole ritardo, ma con lagiustificazione del periodo estivo che ha provocatocome sempre un rallentamento delle attività, gli

atti del Seminario del Dipartimento Coesione sociale emezzogiorno della Cgil, tenutosi a Roma il 3 luglio 2008. IlSeminario era dedicato all’illustrazione e alla discussione delRapporto annuale 2007 del Dipartimento per le politiche disviluppo e coesione sugli interventi nelle aree sottosviluppate.Il Rapporto rappresenta da alcuni anni un significativocontributo del ministero dello Sviluppo economico allaconoscenza dello stato dell’arte sulle politiche regionali disviluppo e coesione e quest’anno, per la fine anticipata dellalegislatura, ha rappresentato, insieme al protocollo d’intesasulle regole partenariali firmato dalle parti sociali e dalministro Bersani, il 22 aprile, sostanzialmente l’ultima azionedi politica per il Mezzogiorno compiuta dal governo Prodi.Il senso politico dell’iniziativa è ampliamente illustratodall’ampia introduzione ai lavori di Franco Garufi,coordinatore del Dipartimento Coesione sociale eMezzogiorno della Cgil. Il seminario era stato organizzatointorno a due relazioni di “respiro”, quella della dottoressaPaola Casavola, di guida ragionata al Rapporto, e quella delprofessor Ugo Marani, sulle tendenze strutturalidell'economia meridionale, e due relazioni legate all'analisiconcreta della situazione concreta, quelle dell'AssessoreSaponaro della Regione Puglia e della dottoressa Fanelli dellaRegione Molise. Questa divisione di scuola è saltata subito,certo non nell’impianto, ma nella felice commistione dei temiimposta non solo dall’attualità, ma dalla capacità dei relatoridi mettere in relazione riflessioni di carattere generale edesperienze concrete, con un’analisi impietosa delle cose emettendo in risalto – talvolta anche in modo provocatorio –letture di maniera delle realtà del Mezzogiorno, responsabilità

politiche e datoriali e – quello che più preme a noi – difficoltà,limiti, incoerenze dell’agire sindacale. Un utile contributo èarrivato nel corso dei lavori dalla comunicazione del dottorAndrea Del Monaco, che ha lavorato, durante il governo Prodi,con il ministro Ferrero, con particolare attenzione all’utilizzodei fondi Fas.Gli argomenti introdotti da Garufi, le provocazioni delladottoressa Casavola e il resto del materiale messo adisposizione dai relatori hanno dato vita a un dibattito dimerito, di cui questi atti danno pienamente conto. Ladiscussione segnala una condivisione ampia dell’analisi, maanche una difficoltà dell’azione sindacale, aggravata dallasvolta determinatasi nella politica nazionale con il ritornodella destra al governo, ma che esisteva anche prima.Mentre la Cgil, attraverso il Dipartimento per la Coesionesociale e il Mezzogiorno, ha mantenuto in questi anni unprofilo coerente nei rapporti con il governo sulle politichemeridionalistiche, è altrettanto vero che dentro la Cgil letematiche del Sud e la questione meridionale sono state inquesti anni presenti, ma non sempre centrali nel dibattitopolitico e della determinazione delle scelte strategiche. Ancheper questo l’elezione di Vera Lamonica nella segreterianazionale è vissuta non solo come riconoscimentodell’esperienza di direzione di una donna ma, proprio perchéesperienza si è svolta in una grande regione del Mezzogiorno,quale la Calabria, come riconoscimento e restituzione divalore dentro l’organizzazione ai quadri del Meridione, al loroportato culturale e organizzativo.Il quadro d’insieme è dato: declino industriale del paese,stagnazione economica e rischi di recessione, spinte inflattive,impoverimento relativo di vasti settori della popolazione,specie nelle fasce marginali, mancato riconoscimento delvalore del lavoro, accentuazione dei fattori di disgregazionesociale e di degrado culturale. Dentro questo quadro, divienedrammatica la situazione del Mezzogiorno, con la sua pesanteeredità e i guasti aggravati da una debolezza strutturale, dauna presenza aggressiva della criminalità organizzata nelle

PREFAZIONE

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Un nodo da sciogliere nella vita politica e sociale del paese

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regioni continentali e in Sicilia, da un sistema di consensobasato sull’assistenzialismo. È dentro questo quadro che sidebbono fare i conti su una politica nazionale che haun’impostazione punitiva verso il Sud, nel senso che dà perscontato un paese a diverse velocità e teorizza perfino unadivisione di vocazioni tra Nord e Sud e che allo stesso tempopuò produrre una sorta “leghismo meridionale” di ritorno.Il “federalismo” diventa la cartina di tornasole percomprendere gli orientamenti del governo, delle forzepolitiche e sociali, le prospettive del Sud. Sul federalismo laCgil sta predisponendo una traccia di discussione checonsenta di dare concretezza di azione politica erivendicativa alla posizione generale “di principio”, che èstata formalizzata in più atti, ultimo il Documentoconclusivo del XV Congresso e le valutazioni sulla modificadel Titolo V della Costituzione. Qualche ritardo èdeterminato dalla mancanza di una posizione attiva perstare dentro la discussione di merito che è stata aperta dallamaggioranza di governo, per contrastare le spinte alladivisione, per difendere un modello di stato sociale solidale euniversalistico, per portare dentro quella discussione laquestione meridionale che resta nodo irrisolto della vitapolitica e sociale del paese.Da qui l’urgenza e l’impegno che alla fine del seminario lasegreteria della Cgil ha preso per promuovere, dentro ilpercorso della Conferenza di programma, un momento diriflessione alta sul Sud, non come iniziativa separata, macome tappa del percorso unitario d’organizzazione.In appendice pubblichiamo il Documento unitario dellesegreterie Cgil, Cisl e Uil, licenziato il 31 luglio 2008.Un’ultima considerazione, prima che inizi la lettura degliatti. La relazione della dottoressa Casavola ha costituito unelemento provocatorio e vero di stimolo, attraverso unaanche irriverente lettura dei dati, raffrontati con gliorientamenti e le posizioni anche nostre. La dottoressaCasavola, dopo il cambio di governo, ha cessato il propriorapporto con la Pubblica amministrazione ed è impegnata inuna nuova esperienza. Siamo lieti di ospitare il suo ultimo“atto pubblico” come dirigente del Dps.

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I datidella questionee le proposte in campo

RELAZIONI

I CONTI DEL MEZZOGIORNO

Franco GarufiCoordinatore del Dipartimento Coesione economicae sociale e Mezzogiorno

L’accelerazione impressa al confronto politico esindacale dalla decisione del Governo di anticipareall’inizio dell’estate la manovra economica ha

modificato il quadro di riferimento esistente nel momento incui abbiamo pensato il seminario.L’esecutivo, innovando una prassi consolidata, ha inserito laparte più rilevante della manovra nel Dl 112/2008 del 25giugno, affidando il resto ad un disegno di legge del qualenon abbiamo ancora il testo definitivo, ma che è – proprio inqueste ore – oggetto di confronto in sede di Conferenzastato-regioni. È cambiata anche la composizione dellasegreteria confederale Cgil: com’è noto, Vera Lamonica, èstata eletta nella segreteria confederale ed ha avuto affidatala delega per il Mezzogiorno, la legalità, il federalismo. Laprima donna meridionale chiamata a far parte del verticedella nostra organizzazione, è destinata ad occuparsi di temiche avranno un ruolo decisivo per il futuro dell’intero paese:una scelta di rilievo, un impegno oneroso ma affascinante.Approfittiamo dell’occasione per rivolgerle gli auguri piùsinceri di buon lavoro e l’impegno di piena e lealecollaborazione. La mia introduzione si limiterà a fare il punto sulle questioniin campo, lasciando ai nostri cortesi ospiti ed alle compagneed ai compagni che interverranno il compito di entrare nelmerito. Il Mezzogiorno è andato ancora indietro: il Dpef2009-13 registra, per il quinto anno consecutivo, una minorecrescita dell’area meridionale rispetto al Centro-Nord, conun’ulteriore divaricazione del divario territoriale.

Nel 2007 la crescita del Pil nel Sud si è fermata allo 0,9 percento, a fronte dell’1,6 del Centro-Nord. È minore ladisponibilità di infrastrutture funzionanti e inferiore laqualità dei servizi pubblici offerti a cittadini e imprese.Nell’“Allegato infrastrutture” del Dpef, che trovate incartellina, si destina a quest’area solo il 22 per cento degliimporti disponibili. Per quanto riguarda le priorità vasegnalato che, a fronte di 46 miliardi di opere da cantierarenei prossimi tre anni, per il Sud è previsto soltanto il pontesullo stretto di Messina, mentre è scomparso ogniriferimento all’autostrada Salerno-Reggio. Su questo, poi,dirà meglio Mauro Macchiesi.L’analisi del Dpef ripropone elementi noti; sono i rimediproposti che suscitano le nostre perplessità. Innanzi tuttonon ci convince l’idea di affidare le prospettive di crescitaeconomica e sociale di un’area nella quale vive oltre unterzo della popolazione italiana e che rischia di andare alladeriva, esclusivamente alla realizzazione di poche grandiopere pubbliche, in particolare il redivivo ponte sullo stretto.Si tratta di un modo per sfuggire alla complessità ed alladifficoltà dei problemi del Sud: i dati Istat riportano unulteriore aumento della disoccupazione meridionale,concentrata tra le donne e i giovani, è ripreso un massiccioflusso migratorio che coinvolge anche le giovani generazioniad alta scolarizzazione.Non esiste un’idea di politica industriale per il Sud:l’apparato produttivo meridionale mostra segni di ulterioreindebolimento e la crisi morde anche nei settori innovativi,come dimostra la vicenda dell’elettronica siciliana, e nellepoche realtà organizzate in forma distrettuale, per esempio ilsettore del mobile imbottito in Puglia e Basilicata. UgoMarani potrà dirlo con ricchezza di dati, ma in questa fasesta reggendo quasi esclusivamente l’avionica concentrata traPuglia e Campania. Per il resto, quel poco di grandeindustria nazionale che è sopravvissuto nel Sud attraversauna crisi profonda. Per esempio, la Fiat a Termini Imerese in

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poco più di tre mesi ha cambiato indirizzo produttivo,scaricando la responsabilità sulla Regione – che hacomunque le sue colpe – e trasferendo all’estero unimportante investimento che avrebbe qualificato e rilanciatoquello stabilimento, salvato all’inizio degli anni 2000 dallelotte dei metalmeccanici siciliani.Pochissimo, al di là di roboanti dichiarazioni di principio, siè fatto per attrezzare il Mezzogiorno a intercettare i granditraffici marittimi che attraversano il Mediterraneo. Come sipuò continuare a proporre la prospettiva di una grandepiattaforma logistica proiettata al centro del Mediterraneoquando (l’abbiamo scoperto quasi per caso), tra gli entipubblici con meno di cinquanta dipendenti che il Dl 112abolisce con un colpo di penna, ci sono le autorità portuali diGioia Tauro e Cagliari, due dei principali porti italiani ditranshipment? Le periferie urbane restano abbandonate a se stesse: tra lenovità interessanti del Qsn 2007-13 si pone certamentel’asse sesto, con l’ipotesi di mettere mano a un intervento diriqualificazione economica e sociale delle periferie delleprincipali città meridionali centrato non sui centri storici,come nel precedente ciclo di programmazione, ma sulle areepiù povere e degradate. Che fine faranno ora questiinterventi? La condizione della legalità permanedrammatica, nonostante i risultati positivi messi a segnodagli apparati dello Stato e sentenze importanti come quella,recentissima, che ha condannato i camorristi casalesi.Un qualificato gruppo di lavoro del Cnel, del quale ho avutoil piacere di far parte, ha lavorato sulle infiltrazioni nelsistema degli incentivi, in particolare a proposito dellal.488/92. Il rapporto sarà pubblicato dopo le ferie: possoanticipare che emergono fenomeni pericolosi che devonoindurci ad alcune riflessioni. Io, per esempio, sono convintoche la presa di posizione di Confindustria Sicilia contro ilpizzo è una delle cose più significative che larappresentanza imprenditoriale abbia realizzato in questianni. Ora serve un ulteriore passo in avanti perché alcunisettori della criminalità organizzata tendono ad invaderel’economia “normale”. Cosa sono stati i casalesi? Come cispiega anche “Gomorra”: un sistema criminale che si ètrasformato in sistema economico ed attraverso questo èpervenuto ad una forza tale da influenzare la politica. Sepenso a cosa sono la mafia siciliana e la ‘ndranghetacalabrese, appare evidente una condizione del Sudestremamente precaria dal punto di vista del rapporto traistituzioni, economia, legalità. Occorre estrema attenzione arecidere fili che si potrebbero esser intrecciati e questo èsenza dubbio un’altra utilissima occasione di confrontoanche con la rappresentanza imprenditoriale.Il modo in cui si sta avviando il dibattito sul federalismofiscale, poi, suscita ulteriori elementi di inquietudine. Finoa qualche giorno fa un ministro della Repubblica haripetuto che il punto di partenza dell’azione governativarimane il documento del Consiglio regionale dellaLombardia. Se quell’impostazione diventasse legge delloStato, verrebbe compromesso in modo irreversibile ilprincipio costituzionale della solidarietà tra le aree piùricche e quelle meno sviluppate d’Italia. La Svimez hapubblicato di recente un volumetto dedicato alleconseguenze per il Sud dell’ipotesi di federalismopresentata dal governo Prodi e che è decaduta con la fineanticipata della legislatura: già in quella versione si sarebbeposta una serie di problemi, in particolare relativi alrapporto tra spesa ordinaria e spesa aggiuntiva.

Nell’odierna temperie politica il Mezzogiorno non ha,francamente, alcun motivo di tranquillità. Nel Sudconvivono in equilibrio precario arretratezza e sviluppo,realtà virtuose e degrado delle amministrazioni locali, in unacondizione segnata dalla crisi profonda nel rapporto tra icittadini e le istituzioni pubbliche, di cui la vicenda deirifiuti in Campania è una testimonianza inquietante. Abbiamo l’esigenza di aggiornare la nostra analisi dellarealtà meridionale, attivando una riflessione che dovràtrovare spazio adeguato nella prossima Conferenza diprogramma della Cgil. Ugo Marani contribuirà alla nostraanalisi mettendo in luce come le tendenze strutturalidell’economia meridionale stiano determinando fenomenieconomici e sociali di qualità assolutamente nuova. In questo scenario, la maggioranza di governo sembrainteressata soltanto a mettere le mani sulle risorse destinateallo sviluppo: tale appare, infatti, il senso delle norme dellamanovra finanziaria che riguardano il Mezzogiorno. Unaforte resistenza delle regioni si è contrapposta all’inizialeintenzione del ministro Tremonti di collocare gli interventipiù significativi nel decreto; tuttavia, allo stato, è tutt’altroche scontato che la parte più significativa di essi vengaspostata nel disegno di legge. In ogni caso, l’intenzione dell’Esecutivo è, come scritto nelDpef, di concentrare le risorse del Fas su alcuni settoristrategici con particolare riferimento alle infrastrutture,anche energetiche, alle reti di telecomunicazione, ai servizidi trasporto, alla sicurezza, alla tutela dell’ambiente, altrattamento dei rifiuti ed all’internazionalizzazione delleimprese. Riappare l’idea di costituire una “banca delMezzogiorno” partecipata dallo Stato, dagli enti locali e daaltri organismi pubblici che avrebbe lo scopo di favorire lacrescita delle regioni del Sud: un’istituzione della quale,francamente, non riusciamo a comprendere la composizionee le finalità e la cui utilità ci sembra assai discutibile.Per quanto riguarda gli interventi con ricadute nelMeridione contenuti nel Decreto 112/08, due ci sembrano diparticolare rilievo. L’art. 43 assegna all’Agenzia perl’attrazione di investimenti e lo sviluppo d’impresa (exSviluppo Italia) le funzioni relative alla gestione degliinterventi per la concessione delle agevolazioni finanziarie asostegno degli investimenti privati e per la realizzazionedegli interventi ad essi complementari e funzionali. Ilcomma 3 istituisce un apposito fondo presso il ministerodello Sviluppo economico, nel quale affluiranno le risorse,disponibili a legislazione vigente, già assegnate al ministeroin forza di piani pluriennali di intervento del fondo per learee sottoutilizzate nell’ambito dei programmi previsti dalQsn e in coerenza con le priorità ivi individuate. È forte ilsospetto che dietro tale formulazione si celi uno deglistrumenti per attuare la dichiarata intenzione di modificare icriteri di utilizzo delle risorse del Fas. Provvedimenticontraddetti, comunque, da atti dello stesso Esecutivo: siassegnano nuove funzioni all’Agenzia ma,contemporaneamente, per finanziare l’accordo con gliautotrasportatori, si sottraggono oltre 300 milioni al suocapitale sociale. L’art. 60 del Dsl 112/08, invece, realizza un taglio delle“missioni” dei ministeri che incide per circa 2160 milioni dieuro nelle disponibilità del ministero per lo Sviluppoeconomico. Al di là della dubbia costituzionalità di attiamministrativi che modificano norme di legge, è assaipreoccupante la riduzione del fondo per il riequilibrioterritoriale, nel quale sono allocate le risorse del Fas.

RELAZIONI

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IL SUD TRA SVILUPPO E SPRECO

Vengono meno nel triennio circa 7.700 milioni di euro, di cui1.700 già da quest’anno. L’idea di utilizzare il Fas come unasorta di bancomat cui accedere per la spesa correntedistrugge le politiche regionali di sviluppo e deprime laqualità degli interventi nel Mezzogiorno.Tutto il resto, per quanto riguarda il Meridione, è diventatooggetto di una vivace dialettica tra il governo e laConferenza delle regioni e delle province autonome. Nellaformulazione iniziale dell’articolo che si propone dirafforzare la concentrazione delle risorse Fas venivanorevocate le assegnazioni operate dal Cipe in favore delleAmministrazioni centrali, Regioni o province autonome conle delibere adottate fino al 30 aprile 2008. Le risorse liberatesarebbero state quantificate e destinate al finanziamento diprogrammi di interesse strategico nazionale e di progettispeciali coerenti con le priorità fissate nel Qsn e con quantocontenuto nel piano decennale delle infrastrutturestrategiche di cui alla legge 21 dicembre 2001 privilegiandogli obiettivi strategici indicati nel Dpef. Non conosciamo ancora il testo definitivo del Ddl, ma per lenotizie di cui siamo in possesso – e di cui chiediamoconferma all’assessore Saponaro ed alla dott.sa Fanelli – ledisposizioni ivi contenute avrebbero subito modifichesostanziali. In primo luogo le revoche di precedentiassegnazioni al Cipe sono limitate a quelle in favore diamministrazioni centrali con delibere adottate fino al 31dicembre 2006. Sono inoltre escluse le risorse giàimpegnate o inserite in Accordi di programma quadro e “leassegnazioni per progetti di ricerca, anche sanitaria”.Sparirebbe infine l’elenco dei settori da privilegiare nellariassegnazione, a favore di un più generico riferimento agliinterventi di rilevanza strategica nazionale. Tuttavia, se nel testo permanesse il riferimento alla “leggeobiettivo”, temiamo che la manovra si risolverebbe in unospostamento di risorse dalle aree più povere a quelle piùricche del paese, dal momento che la maggior parte delleopere cantierabili in tempi rapidi inserite in quelprovvedimento sono collocate nel Centro-Nord. Perciò vatenuto fermo l’obbligo di assegnare alle otto regionimeridionali l’85 per cento delle risorse, destinando alCentro-Nord il restante 15 per cento.L’articolo dedicato alla ridefinizione del Qsn istituisce nellostato di previsione del ministero per lo Sviluppo economicoun fondo per il finanziamento di interventi finalizzati alpotenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale,ivi comprese le reti di telecomunicazione e quelleenergetiche. Il fondo è alimentato con gli stanziamentinazionali assegnati per l’attuazione del Qsn.Anche su questo argomento si è sviluppata una fortedialettica di posizioni tra Governo e Regioni. Il fondo includegli stanziamenti a favore di programmi di interessestrategico nazionale e interregionale, di progetti speciali e diriserve premiali, con una serie di deleghe per risorsevincolate. Si prevedrebbe che, nel rispetto delle procedurepreviste dalla Commissione europea (Regolamento Cen.1083/2006), i programmi operativi nazionali einterregionali, finanziati dai fondi strutturali e dal Fas,possano essere rivisti in direzione della concentrazione daparte delle Regioni su infrastrutture di interesse strategicoregionale. Allo stato degli atti questo impianto mette indiscussione il cofinanziamento Fas dei programmi nazionaliper l’istruzione, la sanità, la sicurezza. Come fa l’Esecutivo anon considerare l’istruzione e la legalità le principaliinfrastrutture di cui ha un urgente bisogno il sud?

Confesso che, se sommo il modo in cui procede ladiscussione sul federalismo, al tentativo di affermare l’ideache i soldi per il Sud sono sprecati, all’attacco al Fas, avvertoun forte odore di bruciato e mi rafforzo nella convinzioneche bisogna aprire una discussione seria e costruireiniziative adeguate per consentire al Mezzogiorno di usciredall’isolamento in cui è precipitato nell’ultima fase.Altrimenti rischiamo che si laceri in modo irrimediabile iltessuto connettivo del paese.A nostro avviso il governo si appresta e dare una risposta deltutto insufficiente ed in gran parte errata allo scontropolitico che, nei mesi scorsi, si è consumato attornoall’utilizzo delle risorse europee e alla loro efficacia permigliorare la condizione socio-economica e occupazionaledei territori che ne hanno goduto. Gianfranco Viesti, che hail gusto della provocazione, ha scritto di recente che sui fondistrutturali si è sviluppato un dibattito fondato non su daticerti, ma sulla tesi pregiudiziale che i finanziamenti europeisono stati gestiti nel silenzio, che essi non hanno prodottoalcun risultato, che sono stati per gran parte soldi sprecati,quando non sono serviti ad alimentare la criminalità Si è giustamente centrata l’attenzione sugli scarsi risultati esulle inefficienze di Agenda 2000, ma si è spesso trascuratodi ricordare che in quel ciclo di programmazione è venutameno l’addizionalità delle risorse europee che hanno in molticasi finito per sostituire la spesa ordinaria. Sostienel’economista barese che “i fondi europei, incluso ilcofinanziamento, sono una parte minoritaria della spesapubblica in conto capitale nel Mezzogiorno. Al 2006 su 21,4miliardi di spesa in conto capitale essi rappresentavano circail 30 per cento; il 70 per cento era altra spesa: ordinaria deiministeri e della pubblica amministrazione allargata, risorsedi politica regionale per le aree sottoutilizzate”. I dati del Rapporto 2007 del Dps che la dott.sa Casavola trapoco presenterà aiutano a capire meglio cosa è avvenuto.“Nel periodo 2000-06 la spesa pubblica in conto capitale delMezzogiorno mostra una crescita nei primi due anni ed unasostanziale stabilità negli anni successivi… Esaminando idati a prezzi costanti lo scenario tuttavia muta: lasostanziale stabilità del valore delle erogazioni alMezzogiorno, registrata in termini nominali nel periodo2001-06, si tramuta in un trend decrescente se espresso intermini reali… Per il settore pubblico allargato la quota dispesa destinata al Mezzogiorno, che ha toccato il suo livellomassimo nel 2001 (36,8 per cento) registra unadiminuzione fino all’anno 2004 e una modesta negli ultimidue anni del periodo, nei quali si è passati dal 31,5 percento al 32,1. Una dinamica simile è registrata per lapubblica amministrazione, con un calo dal valore massimodel 41,1 per cento del 2001 al minimo di 36,6 per centoregistrato nel 2004”.Alla luce di queste cifre viene da dare ragione a quantiaffermano che “l’esistenza di una questione settentrionalesta nel fatto che il Nord del paese disconosce ormaisistematicamente l’esistenza di una questione meridionalecome vera questione nazionale”.In ogni caso restano da spendere circa 14 milioni delprecedente ciclo di programmazione: in occasione delComitato di sorveglianza di marzo scorso proponemmo diconcentrarne più della metà (8 miliardi) per contribuire allamodernizzazione della rete ferroviaria meridionale: leregioni, che qualche responsabilità nella frammentazionedella spesa l’hanno pur avuta, non si dimostraronoentusiaste e la cosa purtroppo non ha avuto seguito.

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RELAZIONI

Non ha avuto miglior fortuna la proposta che scaturìdall’iniziativa unitaria di Cgil-Cisl-Uil e Confindustria del27 marzo, nel pieno di una campagna elettorale nel corsodella quale il Sud sembrava sparito dall’agenda politica.Segnalammo allora ad entrambi gli schieramenti, che ilnuovo Esecutivo avrebbe dovuto sottrarsi alla tentazione diricominciare tutto da capo, optando invece per unintervento mirato sui fattori di criticità emersidall’esperienza di Agenda 2000 e dal primo anno e mezzodi vita del nuovo ciclo di programmazione. Innanzi tuttol’eccessiva frammentazione degli interventi: 66 programmioperativi nel nuovo ciclo di programmazione, cui andrannoaggiunti i Pan finanziati dal Fas, sono troppi, anche se ilnumero è conseguenza – almeno in parte – della norma sul“monofondo”.Siamo convinti che la concentrazione degli interventi è lascelta giusta da compiere e, a tale proposito, riteniamonecessario venga attivata una sorta di “cabina di regia”, unosservatorio che assuma il compito di monitorare gliinterventi strategici e favorire la loro attuazione. Ciò che vamantenuta è la programmazione unica dei fondi strutturali edelle risorse Fas in una strategia unitaria di medio termine,come previsto dalla legge finanziaria 2007 e dallasuccessiva delibera Cipe n.166. Da tempo la Cgil ha denunciato i ritardi, la scarsa efficacia,i risultati scadenti degli interventi, spesso incapaci diincidere significativamente sulle condizioni economiche esociali nei territori interessati. Siamo convinti dellanecessità di operare correzioni sostanziali in grado digarantire un utilizzo delle risorse del ciclo diprogrammazione 2007-2013, l’ultimo delle politiche dicoesione nella forma finora nota, capace di dare risposteconcrete alle esigenze reali del Mezzogiorno.Tutto ciò non ha a che fare con la centralizzazione degliinterventi e con il tentativo di ribaltare i contenuti e leindicazioni del Quadro strategico nazionale, frutto di unlungo lavoro di partenariato tra amministrazioni centrali,regioni ed autonomie locali, forze sociali ed economiche, macon la necessità di costruire percorsi condivisi con leregioni, le amministrazioni locali, le forze economiche esociali per individuare le scelte più opportune e garantirnela coerente ed efficace realizzazione. Solo così si eviteràun’ulteriore spaccatura tra il Mezzogiorno e il resto delpaese che potrebbe avere conseguenze pericolose per lacoesione economica e sociale dell’Italia.

IL RAPPORTO ANNUALE2007 DEL DIPARTIMENTOPOLITICHE DI SVILUPPOE COESIONE DEL MISE

Paola CasavolaDirigente Unità di Valutazione investimentipubblici del ministero dello Sviluppo economico

F ranco Garufi ha messo molta carne a cuocere.Quando mi aveva chiesto di intervenire a questovostro seminario per spiegare un po’ di numeri del

Rapporto del Dipartimento Politiche di sviluppo e coesionedel ministero dello Sviluppo economico era oltre un mese fa.In questo mese sono effettivamente successe molte cose: viracconto ugualmente i numeri del Rapporto, ma cercoanche di darvi qualche segnale, così come la leggo io, suicontenuti della manovra economica, del perché questa siacosì oggettivamente allarmante per le politiche di sviluppo.Il Rapporto lo conoscete, ma c’è un’unica cosa che vogliodire, perché molto ha a che vedere con il dibattito che si fasul Mezzogiorno: Gianfranco Viesti, in un recenteseminario ristretto in cui siamo stati entrambi discussants,ha detto esplicitamente che era abbastanza disturbato daquanto la discussione sulle politiche di sviluppo, ed ingenerale la discussione sul Sud, in Italia fosse sciatta.Chiunque, insomma, si sente libero di aprire bocca senzasapere nulla dei numeri, delle politiche, senza avereesperienze dirette, ma si sente anche libero di scrivere sulgiornale, sia che sia un giornale locale che sia un giornalenazionale, partendo dal presupposto che queste si tratta dipolitiche confuse, delle quali nulla si capisce.In realtà c’è un punto cui io tengo molto: su queste politichee sul Sud in generale, anche grazie alla Svimez, si sa quasitutto dei numeri; si sono fatte ricostruzioni molto accuratedi una materia molto intricata e non soltanto per merito delDipartimento che è obbligato per legge a pubblicare unrapporto in cui ci sono i numeri. È una materia che è statatradizionalmente molto studiata in Italia ed effettivamentela motivazione per cui la discussione politica ed il dibattitosiano così sciatti, non dipende da quanto oggettivamente sipuò sapere su questi temi. Questa di per sé è una questionesu cui riflettere: perché un tema così importante per unterritorio vasto come il Sud è affrontata in questo modo?Queste “ragioni” vanno capite un po’ meglio perché nondipendono certamente dal fatto che l’argomento è ignoto.Veniamo un attimo al titolo del seminario: mi ha moltocolpita il fatto che il seminario avesse questo titolo “Sud trasviluppo e spreco”, perché lo spreco viene solitamenteassociato con ingenti quantità finanziarie. Ora, è benediscutere della categoria dello spreco, ma questaassociazione di idee per il Sud può essere veramentepericolosa. Nel Rapporto è raffigurata la spesa totale pro-capite del settore pubblico allargato dal 1996 al 2006, percui sono ricostruiti dati omogenei. È normale che neldibattito si tenga un po’ nascosto il fatto che la spesapubblica pro capite totale nel Mezzogiorno è molto inferiorea quella del Centro-Nord? Naturalmente ciò non significache non vi siano trasferimenti tra le aree (tra l’altro in Italiaci sono forti trasferimenti di riequilibrio interregionaleall’interno del Centro-Nord che sono assai poco dibattuti)perché la capacità fiscale del Mezzogiorno è più bassa, ma

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significa semplicemente che, per tradizione, in questopaese non c’è mai stato un obiettivo di compensazioneassoluta o comunque di forte compensazione delle diversecapacità fiscali. Già oggi è così e potrebbe molto peggiorarein un sistema con un federalismo poco accurato, perché èvero che ci sono molte risorse che vengono accentrate alCentro e poi ridistribuite, ma, per come funziona il sistemaitaliano, una parte consistente di risorse tornano da dovesono venute per molti motivi legati al funzionamento delsistema pensionistico e anche della sanità, per esempio.Ora il tema dello spreco è certamente accattivante, perché sipossono sprecare risorse finanziarie, però il grande sprecodel Sud riguarda soprattutto le sue risorse umane e questose volete è il tema che è un po’ documentato nel Rapporto.Nel Sud c’è un enorme spreco di risorse umane perché cisono bassissimi tassi di occupazione, perché ci sono bassilivelli di qualità dell’istruzione, bassi livelli di servizio,bassi livelli di servizi al cittadino e si sprecano anche molterisorse pubbliche. Nel Sud abbiamo una serie di evidenze didue tipi, alcune che sono quelle che vi mostrerò io, piùoggettive, che riguardano le difficoltà delle politiche, altre,che leggiamo un po’ più sulla cronaca, che riguardano leappropriazioni indebite di risorse pubbliche moltosignificative perché il Mezzogiorno è un’area in cui laproduttività delle risorse pubbliche è potenzialmente assaiimportante, perché c’è pochissimo altro mercato. Inoltre ilMezzogiorno è un’area in cui le istituzioni pubblicherilevano di più perché ci sono assai meno istituzioni private,perché il tessuto della società civile è decisamente menopresente e meno capace d imporre il proprio indirizzo anchealle politiche. Una prova di questo, per esempio, ve lapossono dare le Regioni nel raccontarvi le loro difficoltà nelcapire che cosa vuole il territorio. Colpisce molto, neldisegno delle politiche per il Mezzogiorno, che le Regionihanno un’enorme difficoltà a leggere i proprio territori,perché essendo territori molto vari, ma anche poco densi epoco organizzati, spesso il programmatore non sa bene checosa succede, non conosce il suo territorio allo stesso livellodi quanto avviene in alcune regioni del Centro-Nord nellequali l’organizzazione della società civile ha più voce equindi dà segnali più chiari. Comunque una modalità percapire meglio quello che mi appresto a raccontare suinumeri del Rapporto, è “condividere” un po’ i termini diquesta famosa manovra finanziaria.Il Documento di programmazione economica finanziaria cheè stato presentato dal nuovo Governo, e che copre il periodo2009- 2013, non parla di policy. Ci sono due innovazioni: unanella policy, si anticipa questa manovra di lungo periodo, dicui vi dirò tra un attimo nei numeri, e l’altra è che nel testodel documento mancano le politiche: esso cioè non contienela parte, tradizionale, soprattutto a inizio legislatura,giustamente spesso molto criticata per la sua vaghezza, nellaquale tutti cercano di raccontare quello che fanno.Il Dpef 2009-2013 non racconta nulla di quello che si farà.Nel corpo del documento la parte delle politiche non c’èperché è stata assorbita dalla promessa politica che invece èmolto ampia, ma che per tecniche redazionali è molto piùlibera. Per esempio, non ha le tavole, non deve entrare indettagli. L’altra novità, che però è un po’ dovuta dall’attualesituazione in cui si trova l’Italia nei confronti dell’Unioneeuropea, è l’anticipo di una manovra finanziaria di lungoperiodo dal 2009 al 2013. Il Dpef ha un unico obiettivo dipolitica economica molto chiaro che è quello del pareggiodel bilancio nel 2011.

Il pareggio di bilancio nel 2011 è effettivamente un obiettivoche questo governo ha ereditato dal precedente; l’entitàdella manovra necessaria al pareggio del bilancio del 2011 èin parte determinata dal fatto che l’Esecutivo ha deciso diraccogliere la Raccomandazione che venne fatta dall’Unioneeuropea nel momento in cui l’Italia subì l’apertura dellaprocedura di inflazione per deficit eccessivo due anni fa:una volta che chiudete la procedura – e la procedura si èchiusa a maggio – il Consiglio d’Europa vi raccomanda dirientrare del deficit nell’ordine dello 0, 5 punti di Pilall’anno. Questa cosa succede adesso e la manovra èorganizzata tecnicamente per ottenere questo risultato, ed èuna manovra imponente dal punto di vista delle tavole; perònon ha necessariamente già oggi tutti gli elementi “micro”definiti, per esempio tutte le norme, ma dal punto di vistadelle tavole è piuttosto imponente, perché taglia in manieramassiccia la parte più discrezionale che è tipica dellepolitiche pubbliche, cioè il conto capitale. La spesa pubblicain conto capitale viene tagliata drasticamente per riusciread ottenere i soldi necessari per arrivare a questo bilancio inpareggio nel 2011. Tutto quello che oggi sta succedendodeve essere letto, almeno in parte, in questa chiave perchémolte delle cose che succedono oggi non hannonecessariamente già una finalizzazione esplicita delladestinazione delle risorse che vengono spostate o sottratte,ma c’è certamente questo cappello stringente. È unacamicia di forza la manovra presente nel Dpef, se verràdavvero portata avanti; una manovra di forte riduzione dellaspesa, che protegge abbastanza la spesa corrente ancheperché, per molti motivi, nel breve periodo non è facilissimochiudere la spesa corrente.Una cosa che non tutti sanno è che in Italia la spesapubblica al netto degli interessi non è particolarmente piùalta che negli altri paesi europei; l’altra cosa che forse nontutti sanno è che la spesa per interessi passivi sul debito èpiù elevata di tutto il conto capitale. Vi faccio un esempio: laspesa per interessi passivi sul debito è 5 punti di Pil nel2007 e la spesa per il conto capitale intera era intorno al 4.Tenete conto che nel conto capitale c’è tutto, gliinvestimenti, i trasferimenti delle imprese, gli investimentipubblici di tutte le amministrazioni centrali e regionali.Questo è il quadro in cui ci muoviamo e quando parliamo dipolitiche di sviluppo stiamo dentro un mondo più vasto dicui guardiamo un pezzetto: infatti le politiche regionali disviluppo che abbiamo dibattuto in questi anni sono unpezzo dell’impegno politico che noi chiederemmo al policymaker per lo sviluppo delle aree arretrate. Non sono tutto, ilfatto di essere diventato tutto è già un forte arretramento.Insomma, pensare che le politiche di promozione per losviluppo nel Sud si possono fare solo con le politicheregionali di sviluppo, parlare tanto di fondi strutturali è laprima grande trappola in cui cadono gli osservatori perchéqueste sono delle risorse aggiuntive, ingenti se guardate nelloro insieme, ma in realtà non così tante rispetto non soloalle necessità, ma all’insieme del mondo che si muove. Tral’altro vengono sempre raccontate con questo numero interoper l’intero ciclo di programmazione che dura 7 o 8 anni; ciòne dilata la dimensione. Questo non significa che nonparliamo di politiche importanti – sono le politiche su cuicome Dipartimento ci siamo più concentrati in questi anniperché era la nostra missione – però non sono tutta lapolitica economica. Ci sono tre elementi delle politiche regionali che sonoimportanti per lo sviluppo del Mezzogiorno:

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RELAZIONI

a) sono politiche un po’ più libere, nel senso che i policymaker hanno margini per decidere che cosa fare inmaniera strutturata;

b) sono politiche che possono potenzialmente avere deglieffetti enormi anche superiori alla loro portata finanziaria;

c) però sono politiche difficili, quindi la loro efficacia dipendecrucialmente da quanto sono fatte bene, da quanto sonopensate bene, perché sono politiche attive di interventi.

Fa una grande differenza se si cominciano sei cose e silasciano tutte a metà o se se ne cominciano solo due, sifiniscono in tempi brevi e si fanno utilizzare ai cittadini!La questione gestionale della tecnica è molto rilevante e sidiscute poco di questo aspetto nel dibattito delle politiche,mentre si parla troppo di soldi; invece la tecnica è unelemento che conosciamo, anche dalle analisi dellepolitiche, essere un elemento importante. Senza soldi non siva da nessuna parte, ma solo con i soldi, senza capacità digestione e di strutturazione o di intervenire sul dibattito, sipuò determinare questa famosa condizione dello spreco.Noi ci siamo molto battuti per evitare che passasse la lineache tutto era solo e soltanto spreco, però non si può averesoltanto un argomento etico: esiste un problema che èoggettivo nel senso che le politiche attive in Italia, nonsoltanto quelle regionali di sviluppo, hanno enormidifficoltà di gestione e nelle politiche regionali di sviluppo(in cui c’è solo la parte attiva) tutta questa difficoltà digestione viene molto fuori. Ora il tema di capire dove siamocome Italia nel suo complesso è rilevante, anche allo scopodi comprendere perché è tanto acceso e cruento il dibattitosul federalismo che è molto un dibattito sui soldi: questo èun paese che da 15 anni cresce molto poco e sta soffrendo diun impoverimento relativo, ma ha ancora nel Centro-Norduna delle aree ai livelli più ricchi del mondo (cioè il Centro-Nord d’Italia è un’area straordinariamente “affluent,”).Esiste un problema del paese-Italia: perciò il problema deidivari interni non può essere trattato isolatamente, non sipuò parlare dei divari interni così come se ne parlava 25anni fa quando l’Italia continuava ad andare abbastanzabene. È il motivo per cui alcune questioni generali devonoessere affrontate per quello che valgono generalmente e conuna buona declinazione territoriale, ma immaginare dipoter porre il discorso sul Sud astraendo dal fatto che questopaese nel complesso oggi cresce poco è complicato dalpunto di vista politico e forse non del tutto corretto dal puntodi vista analitico. Negli ultimi anni, tra l’altro, né lepolitiche, né l’andamento dell’area hanno dato sorpresenella crescita: il Sud, che pure è una vasta area che avrebbeenormi potenzialità di crescita se non altro per le risorseumane, non ha dato – nella media dell’area – segnaliparticolari di accelerazione (sono i dati che trovate nelRapporto) e tende a comportarsi comunque sempre in modoomogeneo all’insieme dell’Italia; soltanto va un po’ peggio.Questo significa che se si misura sulla distanza deldecennio, (la cosa è stata un po’ meno vera nella secondaparte degli anni 90, ma è sicura per gli ultimi 5 o 6 anni),l’area è sostanzialmente stagnante e perciò il tema dellacrescita è comunque ineludibile per il Mezzogiorno. Il Suddeve crescere, l’Italia deve crescere per mantenersi ricca edeve crescere, perché se non si cresce si arretra anche dalpunto di vista del dibattito culturale. Però il Sud devecrescere dal punto di vista economico “per forza”, perché senon cresce è molto difficile risolvere anche le questioni diiniquità individuale che ci sono nell’area. Nel Sud, c’è anchemolta correlazione fra povertà e tasso di occupazione; come

sapete, l’incremento del tasso di occupazione non ènecessariamente una cosa che ti fa uscire dalla povertà, main queste condizioni economiche dell’area questo deveessere un obiettivo. È molto difficile immaginare unmiglioramento delle condizioni generali nel medio periodose l’area non cresce anche dal punto di vista economico.Tuttavia, in tempi difficili, non è necessariamente vero chequesto debba essere l’unico obiettivo perseguito, soprattuttodal punto di vista del funzionamento territoriale. Vi anticipo una cosa che dirò alla fine: la novità principaleche si è condivisa nell’utilizzo delle politiche regionali degliultimi anni è avere non solo obiettivi di crescita, ma ancheobiettivi di funzionamento diretto dei territori, quindiobiettivi che riguardano la capacità dei territori di fornireservizi di qualità con una copertura ragionevole. È una cosaimportante, perché questi obiettivi prima non c’eranodavvero, e dal momento che si tratta di politiche attive in cuisi decide di fare cose e si devono mettere in fila, avereobiettivi di funzionamento dei territori, che nel Quadrostrategico nazionale (Qsn) si chiamano “obiettivi di servizio”,significa – a parità di risorse –fare le cose in un altro modocon una sequenza diversa rispetto ad altre, avendo nellatesta – se volete in maniera un po’ ingegneristica – che,avendo un pacchetto di cose da fare, le ordino in un certomodo. Ciò allo scopo di ottenere prima dei risultati difunzionamento, sia nella convinzione che alla fine questiaiutano alla crescita, sia per il fatto che così la gente stameglio, mentre speri di crescere di più: la promessamacroeconomia che era stata fatta 10 anni fa nel Dpef chesegnò l’entrata dell’Italia nell’euro. Le politiche per il Sudfurono rilanciate da Ciampi 10 anni fa non parlando didualismo, ma affermando che, essendo il paese abbastanzaavviato sulla strada del risanamento, ci si poteva occupare disviluppo e anche di Sud. È stata l’ultima volta in cuiquell’obiettivo è stato annunciato in questi termini. Ma già inquegli anni la politica nazionale e la (ancora) non enormecapacità di guadagnare il proprio spazio, ha comunque fattomolto meno delle promesse, anche in termini finanziari. Nel Rapporto c’è un grafico che vi fa vedere quali erano lepromesse di spesa nel Mezzogiorno nella fase iniziale e checosa si è realizzato fino al 2007: lo sforzo quantitativo dalpunto di vista finanziario è decrescente, in termini reali,ormai dal 2001. Non siamo di fronte a un’emergenza natanelle ultime quattro settimane, legata alla manovra delDpef. Tra l’altro, è ancora una manovra su carta quindi nonè detto che si facciano le cose in questo modo, anche se èmolto probabile per la solennità con cui sono stati presi gliimpegni a livello comunitario sul pareggio di bilancio.Il punto è che lo sforzo quantitativo è stato comunqueinferiore alle promesse ed è una cosa su cui non si puòsoltanto recriminare, bisogna capire perché è avvenuta. Unpo’ accade perché, in un paese che si impoverisce, è difficilemantenere il tema del dualismo territoriale sull’agendapolitica; ma neanche la linea politica di quelli chedovrebbero proteggere il Mezzogiorno è chiara per unanalista, perché un giorno si danno botte da orbi e un altrogiorno si chiedono i soldi. Per esempio, nei documenti citatida Franco, sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil e Confindustria, cisono delle cose schizofreniche: c’è l’analisi, la diagnosticaper proporre della policy ha un suo senso, ha degli effettiattesi, ma alla fine rimane molto rumore attorno alladiagnostica per il Sud e basta. Sul Mezzogiorno circolano un sacco di bugie: ad un certopunto ha cominciato a circolare la voce che fossero stati

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sprecati tutti i soldi di Agenda 2000, che il programma erafinito e che tutti i soldi erano stati usati e sprecati e quindi c’èstata una grande cagnara in cui tutti cacciavano la loro listadi sprechi, ognuno presentava la sua. In realtà in tutti idocumenti ufficiali è stato sempre detto che l’Italia non sipuò permettere di perdere finanziamenti dal bilanciocomunitario e questo è il motivo per cui si rendicontano aBruxelles su questi programmi anche spese che sono inrealtà già coperte da altre fonti finanziarie (cosa accettata dalregolamento comunitario). Non è che sono cose brutte,trattasi però di spese ordinarie ancorché coincidentitemporalmente con il programma. Ho ricostruito questo el’ho inserito coraggiosamente nel Rapporto: che i programmidei fondi strutturali dal 2000 al 2007 hanno un pezzo che erala coda del ‘94-’99, che tra l’altro ha visto realizzare le cosemigliori in fase finale, ma nessuno ne parlava più perchétutti volevano parlare solo di Agenda 2000, mentre il ‘94-’99chiudeva e oggi per fortuna con quei soldi a chiusura delprogramma sono state fatte cose importanti.C’è una parte consistente di spesa che è stata effettivamenterealizzata sui nuovi programmi comunitari, ma in questaquota c’è soprattutto la parte soft: c’è, per esempio, moltaspesa per politiche del fondo sociale, che come sapete è unmondo pieno di luci e ombre, e c’è una parte moltoconsistente – la parte che è andata per la spesa delleinfrastrutture – che è parte di progetti che erano già copertida altre fonti. Ci sono delle difficoltà nello spiegare questofatto, ma si può spiegare. Non c’è nulla di male a dirlo: unpaese con questo debito, con questi interessi passivi si puòpermettere di non avere rientri dal bilancio comunitario?No. E le Regioni questo lo sanno bene e sanno che questo è ilmotivo per cui tentano a tutti i costi di rispettare i tempistabiliti dal meccanismo “enne + 2” (si tratta delmeccanismo comunitario che consente di completare laspesa entro i due anni successivi al completamento delperiodo di programmazione, ndr).Alcune evidenze segnalano che ci sono dei problemi, ancheseri: per esempio, abbiamo molte evidenze empiriche sullalentezza dell’intervento pubblico in Italia, questa lentezzanon è particolarmente maggiore nel Sud per leinfrastrutture, lo è un po’ di più, ma non così tanto di più,solo che ovviamente nel Sud è più grave. Ci sono, invece,assai meno evidenze conclusive sulla dispersione. Questastoria della frammentazione degli interventi deve finire!Quali sono i numeri che mi presenti per dirmi che c’è laframmentazione? Soprattutto nei programmi dei fondistrutturali effettivamente ci sono tanti progetti e funzionacosì: ci sono alcuni pezzi di risorse che vengono dati peressere un po’ frammentati, perché sono progetti che vannosugli individui e sulle persone, ma in linea di massimaqueste politiche non sono particolarmente piùframmentate del resto e possono permettersiconcentrazioni relativamente modeste fronteggiando iltrade-off fra durata del completamento di un intervento erendicontazione comunitaria. Se per fare un’operainfrastrutturale nuova in Italia ci metti 15 anni, non la puoifare con un programma comunitario. È inutile, rassegnati:potrai fare al massimo un singolo lotto. La questione della lunghezza dei tempi è molto rilevante, èun grave problema dell’Italia e una di quelle variabili che tifa vedere le differenze fra l’Italia e altri paesi dell’UnioneEuropea, che pure hanno lo stesso gradi di protezionelegislativa, e spesso hanno lo stesso grado di densitàistituzionale; però in Italia per un’opera sopra i 5 milioni di

euro ci si mette attorno ai 10 anni ma ci sono opere per cuiabbisognano 25 anni o 30 anni.Non voglio dilungarmi ulteriormente, però l’altra cosa cheabbiamo molto imparato sulle politiche di questi anni è chela promessa di policy che è venuta sicuramente meno,anche per pressioni, è quella relativa agli interventi dicontesto. Se voi guardate la spesa delle sole politiche disviluppo, sia quelle finanziate con i soldi aggiuntivinazionali (il Fas) sia quella che dipende dai i fondicomunitari, è ancora molto massiccia la componente ditrasferimento alle imprese, cioè gli incentivi. Avevamoriavviato un programma, 8 o 9 anni fa, discutendo di quantosi dovesse parlare di funzionamento del territorio e abbiamospeso, invece, circa metà dei soldi per trasferimenti alleimprese. Non sono ideologicamente contraria alla spesa pertrasferimenti alle imprese, però lo sono da analista, perché èla spesa che in assoluto è più valutata e di cui sappiamo lascarsità dell’efficacia. È un fatto importante, però nessunodavvero in Italia ha mai trovato l’occasione di dire che seproprio vogliamo usare il meccanismo dell’incentivazionenel settore privato, lì abbiamo bisogno certamente diridurre le risorse disponibili. Perché non succedeassolutamente niente anche se le togli, quindi le valutazioniche noi abbiamo – che sono numerose –, ci dicono chequella non è una spesa che serve a nulla e su questo però disolito il partenariato è molto preoccupato di capire che cosasuccede. Un po’ serve, ma è una spesa che è molto difficile,l’attività promozionale diretta per l’operatore pubblico; èdifficile infatti fare la promozione diretta, è difficile perl’operatore pubblico giudicare le imprese come fanno iprogrammi di incentivo, soprattutto per un attore pubblicoche è un po’ arretrato sia al centro sia sul territorio. Nonabbiamo invece una grande evidenza di frammentazione,abbiamo evidenza di sostituzione, nel senso che abbiamoevidenza che la spesa cosiddetta aggiuntiva si sostituiscealle necessità ordinarie perché le necessità ordinarie nonhanno grandi finanziamenti. Molti soggetti territoriali tichiedono soldi per fare anche delle cose piccole (dal tuopunto di vista non necessariamente dal loro), la spesa di cuimolto si parla, i marciapiedi, le fontanelle. Ci sono tuttiquesti sociologi che vivono nel Nord e scrivono deimarciapiedi e delle fontanelle: effettivamente ce ne sonotanti di questi progetti ma se voi guardate il valore cumulatodi quest’esborso, parliamo di pochi soldi rispetto al totale. L’ultima cosa: alcuni risultati si vedono se uno guarda lecose in maniera un po’ diversa. Insomma si vedono irisultati in due casi concomitanti: si vedono i risultati difunzionamento quando si scopre che l’attore di terreno hafatto delle buone alleanze tra i nuovi soldi che aveva, cioèl’occasione che gli davano questi programmi el’impostazione delle questioni più ordinarie, gestionali, inqualche caso vediamo anche un incremento di servizi. Peresempio, l’offerta della variazione di servizi di trasportoregionale. È un tema caldissimo nel dibattito locale, untema caldissimo al Centro-Nord, perché ci sono problemienormi e disagi fortissimi per il pendolarismo che usamolto il servizio ferroviario regionale; tuttavia la quartaregione ad avere incrementato di più il servizio ferroviarioregionale tra il 2001 e il 2006 è la Campania. La Campania,che pure ha usato un sacco di progetti coerenti e che stanell’occhio del ciclone sul tema dei rifiuti, invece sulservizio del trasporto ferroviario regionale è riuscita amettere insieme un po’ di cose vecchie, un po’ di cosenuove, a fare delle alleanze, suggestioni e investimenti per

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RELAZIONI

cui questa cosa si vede addirittura nei dati. L’altra regioneche ha fatto delle alleanze strepitose recenti sulla raccoltadei rifiuti è la Sardegna: nel 2005/6 ha incrementato inmodo rilevante la raccolta differenziata, non sono soloattraverso nuovi investimenti o investimenti diimpiantistica di ricezione che vanno a regime, maattraverso un grande capacità di riorganizzazione dellagestione del sistema di raccolta, smaltimento, riuso. Infine, anche per dare qualche risposta a Franco, è vero chele prospettive di adesso, sono molto complicate dal fattoche il dibattito su cui si innestano è stranamente ancora,pure in un mondo di cui si sa quasi tutto, poco informato, equindi continua a essere solo e soltanto sulle cifre, suisoldi, sui punti politici che sono molto importanti ma cheforse non sono nuovi. Non è una novità, è una novità finalequella che nel Dpef non ci sono indicazioni sulla locazionedella spesa in conto capitale, che è un enorme problemaperché noi costruiamo gli impegni di addizionalità suquesto. Però questa è una storia lunga: in questi anni ladifficoltà di attenzione della politica nazionale per ilMezzogiorno ha avuto molti segnali quindi ci sono dellenovità ovviamente importanti perché sono collegate a unamanovra così grande. Però c’è qualche cosa in più sotto cheera presente anche prima. Non è utile, a mio parere, capire dove si deve stare dicendoquesta cosa che diceva prima Franco Garufi sullaframmentazione dei programmi. A me può anche nonpiacere, sono troppi 66 programmi ma sono obbligatori.Quei soldi si possono usare solo così. I regolamenti diconoche tu devi fare un programma per regione, uno per fondo,un altro per i programmi nazionali. Allora questo non puòdiventare un argomento di dibattito perché non è una cosavera, la cosa vera è dove metti i soldi dopo; per cui tu puoiavere anche 66 programmi che finanziano 10. Resta il fattoche è preoccupante concentrarsi moltissimo nelladiscussione sulle cose che dicevamo superficiali, perrimandare molto oltre il momento in cui si discute dellequestioni vere.

FONDI, INVESTIMENTIE POLITICHE DI COESIONE:IL CASO PUGLIA

Francesco SaponaroAssessore al Bilancio e Programmazionedella Regione Puglia

V orrei innanzi tutto ringraziare la Cgil di questoinvito e dire che il ringraziamento non è formaleperché sono profondamente convinto che i

grandi soggetti sociali, e la Cgil è uno dei pochi che puòfarlo in questa fase, abbiano una grande responsabilità dilotta permanente contro alcuni luoghi comuni che hannocostruito in Italia una cultura politica negativa peraffrontare in modo adeguato problemi come quelli dellepolitiche per il Sud. La dottoressa Casavola ha fattobenissimo, e mi ha preceduto, a criticare il titolo di questoconvegno “Tra sviluppo e spreco”. Questa categoria dellospreco è uno dei luoghi comuni che dobbiamo mettere indiscussione se non vogliamo rimanere tutti vittime di unacultura giornalistica, dietro di cui c’è in fondo una precisapolitica e c’è la preparazione che è durata molti anni di unclima che rende sicuramente più semplice far passarenell’opinione pubblica delle soluzioni come lacentralizzazione che in realtà sono pseudosoluzioni.Siccome non si può prescindere parlando del Mezzogiornoda un esame delle risorse ordinarie, qui i partiti, isindacati, i soggetti sociali dovrebbero veramente studiareun po’ di più la materia del federalismo fiscale e prenderequalche vera decisione. Che cosa intendo dire? Sulla base del rapporto Svimez cheha criticato il disegno di legge approvato dal Consiglio deiministri in data 3 agosto 2007, una coerente decisionepotrebbe essere quella, e sfido un tabù, di dire: siamocontrari a proseguire questa messa in scena delfederalismo fiscale in Italia. Ho letto che lo dice Follini;non sto sposando necessariamente questa tesi, sto dicendoche ha una sua coerenza intellettuale e politica. Oppure,se i partiti, le forze sociali, eccetera, ritengono diproseguire nell’assunzione culturale, politica, di dire chequalche forma di federalismo fiscale ci vuole allora,cerchiamo di studiare insieme le stesse cose, diapprofondire le stesse simulazioni e di arrivare anche quiad una qualche definizione perché, in materia difederalismo fiscale il Sud non esiste, non per la proposta diGianfranco Viesti di abolire il Mezzogiorno, ma perché cisono, aprendo le carte, tre Sud in materia di federalismofiscale: c’è il Sud delle piccole regioni (Molise, Basilicata)che hanno un determinato algoritmo di riparto; c’è il Suddelle regioni a statuto speciale, (Sardegna e Sicilia), chehanno diverso trattamento, poi c’è il Sud continentale, ecioè Calabria, Campania e Puglia, che per ragioni siastoriche relative alla storia della finanza regionale e localein Italia che per l’essere prive di un qualche plus come lostatuto speciale, o la piccola dimensione, sono oggi agliultimi posti come spese procapite. La Puglia ad esempio èal penultimo posto, secondo i conti Cpt, in Italia comespesa pro capite regionale, ed è all’ultimo posto in Italiacome spesa pro capite della spesa degli enti locali, cioèsommando comuni e province.Naturalmente gli analisti dovrebbero aiutarci a capire leragioni anche storiche, che cosa è accaduto per esempio

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IL SUD TRA SVILUPPO E SPRECO

nella finanza locale dai Decreti Stammati in poi,dovrebbero aiutarci a capire in che misura questo dato cheio ho riferito è anche influenzato dal basso volume dientrate dei tributi propri; però questi sono i dati e sono datimolto simili per Puglia, Campania e Calabria. Allora, o noipartiamo dal disegno di legge approvato dal governo Prodiil 3 agosto e cerchiamo, magari anche capitalizzandoalcune osservazioni della Svimez, di proporre deimiglioramenti relativamente all’impatto sulle regionimeridionali, e soprattutto sulla Calabria, oppure si parleràallusivamente e metaforicamente di federalismo fiscale manon se ne verrà a capo. Perché parto di qui? Per affrontare il terzo punto, e cioèattenzione a ragionare dei fondi strutturali collegando ildiscorso immediatamente agli indicatori finali essenzialicome il Pil, il tasso di occupazione. Vi prego, facciamomolta attenzione perché questo è un altro luogo comuneseppure indotto dall’approccio dell’Unione europea. Vi dicodue numeri: in Puglia il prodotto interno lordo è di 64miliardi di euro. Se io azzero gli 8,5 miliardi del bilanciodella regione, questo sì che è un colpo. Attenzione quindi aparlare di spesa corrente quasi che spesa corrente sia unaparolaccia spregiativa perché per esempio in Puglia i 6,5miliardi di spesa sanitaria attivano anche un campo diinvestimento. A fronte di questi numeri nel 2007 il recorddi spesa dei fondi europei è stato di 1 miliardo di euro su 64miliardi del prodotto interno lordo. Allora il vero punto nonè ritenere che la spesa di investimento possa avere unafacile e diretta influenza sulla dinamica del prodottointerno lordo, sul tasso di occupazione qualificata e viadicendo (anche se ovviamente un obiettivo, se nonl’obiettivo principale, dovrebbe essere questo), ma il veropunto è in che misura si riesce ad attivare un moltiplicatorenel tempo. Io sono contrario alla retorica dei grandiprogetti. Questo non significa ovviamente che non ci sia unproblema di eccessiva frammentazione, però significa chebisogna capirsi: se un progetto inferiore ai 5 milioni di europermette nella mia regione, accompagnato inevitabilmenteda condizioni organizzative ed imprenditoriali, di rendereil Museo degli ori di Taranto uno tra i 15 attrattoriprincipali del Mezzogiorno (oggi non c’è nessun beneculturale pugliese che è nell’elenco dei primi 15 attrattori),allora questo significa che un progetto anche piccolo,accompagnato a condizioni imprenditoriali e organizzative,avrà di qui al 2040 un moltiplicatore duraturo nel tempo, sispera esponenziale. Io sono convinto che gli storici deifondi strutturali diranno che uno dei casi di successo piùrilevanti nel 2000-2006 è l’accordo di programma perl’Alenia in Puglia, perché abbiamo già le prove per dire inun seminario scientifico che il moltiplicatore nel tempodurerà almeno 25 anni (che corrispondono alle commessedella Boeing), e sono anche gli eventi che si accumulanomese dopo mese di imprese che si localizzano, di fornitori,di mille addetti allo stabilimento di Grottaglie e, attenzione,il sottoprodotto di questo evento è la pista cargo più grandedel Mezzogiorno d’Italia che è quella di Grottaglie. Perché dico questo passando dall’esempio di meno di 5milioni di euro del Museo degli ori di Taranto all’accordo diprogramma dell’Alenia? Per dire che, sì, c’è il problemadella frammentazione; però i dati sono quelli che diceva ladottoressa Casavola, e cioè che, anche sommando i piccoliprogetti dei paesi turistici della Puglia che hanno rifatto ilbasalto della piazza o anche la chiesetta chiamandolafattore di attrazione turistica, non si arriva ai grandi

numeri. I grandi numeri, per esempio nel caso nostro,stanno sulle risorse idriche, ma il vero dramma è il fattoche i dissalatori non si possono fare perché i comuni non livogliono. Allora dove voglio arrivare? Voglio arrivare amettere a fuoco che nel 2007-2013, anche nell’attivitàimportantissima di confronto partenariale non retorico, ilbandolo della matassa nell’utilizzo dei nuovi fondi, il verobandolo della matassa è come su ogni progetto medio,grande, frammentando il meno possibile, si riesce aadottare un criterio di selezione che verifichi l’esistenza diun moltiplicatore di valore nel tempo. Questa è la verasfida. Faccio un ultimo esempio: sul 2007-2013 la Puglia hafatto delle scelte consistenti nel campo delle reti dimobilità, stanziando una percentuale molto più altarispetto al passato, e nel campo dell’inclusione sociosanitaria. Il problema del moltiplicatore economico si poneanche per i servizi sociali. Vi faccio questo esempio: l’altro giorno Università di Leccedei ricercatori hanno presentato dei sensori che possonosopportare un’importante innovazione nella fornitura deiservizi agli anziani mediante la web tv. Il vero punto anchequi è il seguente: se io mi limito a incentivare l’acquisto diun edificio, o anche l’acquisto di una tecnologia, e non sicreano le condizioni sociali, organizzative, imprenditoriali(io quando dico imprenditoriali parlo anche di privatosociale, parlo anche delle cooperative), non si produrràsviluppo duraturo e le influenze della spesa diinvestimento sul Pil dureranno al massimo lo spazio di unanno. Ecco, se noi per ogni cosa, dal Museo degli ori agliinvestimenti nel campo sociale ai grandi investimenti diprogramma, ragioniamo in termini di verifica preventivadel valore nel tempo credo che faremmo veramente tesorodelle valutazioni critiche, anche quelle più serie,scientifiche e sobrie che vengono dai rapporti annuali cheil Dps ci propone.

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RELAZIONI

TENDENZE STRUTTURALIDELL’ECONOMIAMERIDIONALE

Ugo MaraniPresidente Ires Campania

Q uando con Franco Garufi concordammo ilcontenuto di questa mia comunicazione su “letendenze strutturali dell’economia

meridionale” avevamo quale unico riferimento la relazioneannuale del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo. Daallora a oggi sono stati prodotti altri documentisull’argomento e tra questi l’ottimo lavoro realizzato dallaBanca d’Italia e in particolare i due capitoli dedicati aiproblemi del Mezzogiorno su “Economia del Mezzogiorno epolitiche territoriali” e “Struttura produttiva e politichestrutturali”, quest’ultimo a mio avviso di estremo interesse. La relazione della Banca d’Italia ricostruisce la genesi deiproblemi meridionali come una più generale problematicariconducibile alla crisi della struttura produttivadell’economia nazionale. Nel corso di questi anni ildibattito sul Mezzogiorno è stato caratterizzato dasciatteria metodologica e da una tendenza sistematicaall’utilizzo di acronimi quali Pit, Pon, Por e così via. Questaimpostazione fa perdere di vista alcuni caratteri generalisui quali vorrei ritornare. Il dibattito sul Mezzogiornonegli ultimi anni ha toccato principalmente quattro temiprincipali: il primo, i differenziali salariali; il secondo, lacarenza o la sovrabbondanza di risorse, ancorché le duecose siano metodologicamente differenti concordo con ladottoressa Casavola nel ritenere che spesso lo spreco èconsiderato quale sinonimo di sovrabbondanza. Il terzo: lacentralizzazione delle decisioni. Mi spiego: lo spreco dirisorse, come dice Nicola Rossi, impone un ritorno allacentralizzazione delle decisioni. Per capire questoconcetto basta citare come esempio l’esperienza diindividuazione delle comunità montane sulle rive delmare così come deciso dalle amministrazioni locali cheinevitabilmente determina pressioni verso il ritorno ad unaccentramento decisionale. Quarto e ultimo problema ilfederalismo fiscale. Questi quattro temi hanno caratterizzato nel dibattitonazionale la scomparsa, o la ricomparsa, della questionemeridionale nell’ultimo decennio. Infatti, simili tematiche,individuate sia come fattori positivi sia, al contrario comefattori negativi, hanno determinato le modalità e laconsistenza delle politiche destinate allo sviluppo delMezzogiorno. A solo titolo di esempio, tornando al primotema individuato, nonostante i differenziali salarialirilevati da Banca d’Italia e Istat pari al 15 per cento, e ancorpiù quelli rilevati da Svimez, 20 per cento, si continua aproporre l’introduzione di gabbie salariali come estremarisposta antimeridionalista al problema degli sprechi mache in realtà andrebbe a determinare una “ulteriore”differenziazione salariale. Così come questo dibattito hatanto impegnato i politici nazionali così poco si è avutaattenzione ai problemi della struttura produttivameridionale che, nonostante tutto, esiste e ha una suadimensione di interesse. Anche non volendo riprendere leconsiderazioni finali di Draghi, perché le considerazionisono una cosa e la relazione della Banca d’Italia un’altra,ritengo utile citare il passaggio nel quale egli afferma che

“gli ulteriori elementi di flessibilità e di differenziazionesalariale potrebbero destabilizzare il mercato del lavoro”.Rispetto all’impostazione di questi ultimi anni data dalprecedente governatore della Banca d’Italia Fazio, questaaffermazione segna un netto cambio di cultura e fa rilevareil livello di lacerazione del dibattito rispetto al lavoro e almercato. Lo stesso Draghi nella relazione rileva come il Pilprocapite relativo all’anno 2007 nel Mezzogiorno risultiinferiore addirittura al dato di 30 anni fa. Piuttosto vorrei portare alla vostra attenzione il pervasivo ecapillare processo di ristrutturazione delle imprese,soprattutto la piccola e media impresa sia del Nord che delSud, definito dal Dps come “processo dinamico strategicodi reazione” e dalla Banca d’Italia come “distruzionecreativa”. Che cosa è successo? Le imprese hanno ripresocon modalità diverse, a vendere sui mercatitradizionalmente difficili, quali l’area euro caratterizzatada differenziali di inflazione positivi con una rivalutazionereale del prezzo. Ciò è avvenuto attraverso varie modalitàche potremmo definire alte, quali miglioramento dellaqualità, diversificazione dei prodotti e investimenti inmarchi, e basse, quali delocalizzazione della produzioneriformulazione dei mercati di sbocco, spostamento susegmenti alti o bassi della filiera, crescita dimensionale,partecipazione al capitale di imprese estere, sommersionedi una parte della produzione. Questo processo deve, a mio avviso, interessareparticolarmente la Cgil e i suoi responsabili tenendo contoche nel corso degli ultimi cinque o sei anni è avvenuto unostraordinario mutamento nella struttura produttiva edorganizzativa delle imprese a Nord del paese, così come aSud, e questo è un fenomeno che non riguarda più lagrande impresa che, come spiegava Augusto Graziani, havissuto queste trasformazioni nel corso degli anni 70. Oggile riconversioni e le ristrutturazioni sono realizzate daimprese che occupano da 50 a 250 addetti, e sonodeterminate, così come afferma la Banca d’Italia da duefattori: l’euro e la Cina. Nel primo caso la nuova moneta impone una politica diprezzi fissi e determina, quindi, la darwiniana condizionedel “sopravvivi o muori”; nel secondo caso, in base allestime del modello econometrico della Banca d’Italia, perogni aumento di un punto percentuale di mercato mondialein qualsiasi settore da parte del “colosso Cina”,diminuiscono di 0,2 punti i prezzi delle imprese italiane.Ciò significa che, all’aumentare della competitività cinesesui mercati, si determina un effetto calmiere che per leimprese italiane è calcolato in 1/5 di punto. In tal modo per contenere questo incremento competitivosiamo costretti a diminuire i prezzi. Il Mezzogiorno aquesta condizione ha reagito utilizzando modalitàristrutturative basse, tant’ è che al determinarsi delleprime difficoltà nel 2005, mentre le performanceesportative delle imprese settentrionali continuava, quelladelle imprese meridionali si sono arrestate. Inoltre il Dps cifa rilevare che dal 2000 al 2007 si è accentuato il ritardotecnologico determinando gradi di libertà della strutturaimprenditoriale del Centro-Nord superiori a quello delMezzogiorno. In questo contesto avremmo avuto bisogno diun sistema bancario all’altezza di questi processi così comeè avvenuto in Germania dove la grande banca (la BancaUniversale) ha prodotto infinitamente meno danni alsistema produttivo tedesco di quanto il sistema italiano neabbia prodotti nel Mezzogiorno, dove, per stessa

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ammissione della Banca d’Italia, negli ultimi dieci anni,ricominciano a crescere i prestiti come modalità direazione agli effetti di mercato che impongono ladarwiniana condizione di sopravvivere o morire. Su questi temi sarebbe necessario organizzare unospecifico seminario per affrontare ed analizzare il ruolo delsistema bancario nazionale in questi processi ditrasformazione e sviluppo del sistema imprenditorialemeridionale. In questo modo la questione meridionale nontrova soluzioni, riproponendosi non come “la vecchiaquestione meridionale” ma come problema di politiche disviluppo territoriali che toccano un gruppo di regioni chenon hanno capacità autonoma di crescita strutturale nelmedio e lungo periodo. Non sono sufficienti pochi esempidi eccellenze sul territorio a poter far mutare questacondizione che esiste ed è strutturale. Ho seguito con particolare attenzione le relazioni delladottoressa Casavola e dell’Assessore Saponaro; io non so seeffettivamente c’è stato spreco di risorse, ma sicuramentel’enfasi con la quale si è pensato di intervenire nelMezzogiorno rispetto a tutte quelle sigle ed acronimi primamenzionati (Pit, Por, Pon ecc) e agli slogan che hannosostenuto questo processo, piccolo è bello, animazionesociale, modello distrettuale ecc., non hanno prodotto irisultati attesi. A mio parere bisogna individuare unindicatore in grado di rilevare i mutamenti della strutturaproduttiva e sociale di una comunità che cambiaindipendentemente dai piccoli fenomeni di eccellenza aiquali accennavo, in grado cioè di rilevare se le risorseimpegnate in questi processi siano state utilizzate in modopositivo o negativo. La cartina di tornasole in grado di rappresentare tutto ciòche funziona o non funziona in un territorio e in unasocietà è, a mio parere, il mercato del lavoro, sul quale siripercuote tutte le efficienze/inefficienze del sistema,credito, beni, infrastrutture, risorse. Il Mezzogiornosembra, in questo momento, offrire un quadroestremamente negativo, senza speranza. Dal 2001 il tassodi emigrazione ha registrato andamenti altalenanti inrelazione alle variazioni di una serie di indicatori diconvenienza. Ciononostante resta alta la percentuale dipopolazione dai 25 ai 35 anni altamente scolarizzata chepreferisce trasferirsi per incontrare il lavoro.Nella regione Campania, in particolare, registriamo untasso di attività pari al 48 per cento, e ben il 52 per cento dipopolazione scoraggiata e non più interessata alla ricercaattiva di occupazione, che lavora di nascosto, che emigra,che produce economia sommersa. Questo dato rappresentauna società che ha rinunciato allo sviluppo.

LE REGIONI A METÀDEL GUADO: IL MOLISETRA RITARDO E SVILUPPO

Micaela FanelliVicedirettrice Nucleo di Valutazione Investimentipubblici Regione Molise

Ovviamente, intervenendo per ultima, molta dellastrada l’hanno già fatta i relatori che mi hannopreceduto e, altrettanto ovviamente, il manuale

del buon convegnista ci ricorda che dovremmo ringraziarechi ci ha invitato. Io però lo faccio non perché c’è un manualedel buon convegnista che lo dica, ma perché ne sonoconvinta; sono convinta che questa organizzazione – e oggi èuna prova di questo – ha finora svolto un ruolo rilevantenell’animazione del dibattito sulle politiche di sviluppoaddizionali, in particolare per quello che riguarda le Regionied in particolare per quello che riguarda il tema delMezzogiorno. E lo ha fatto con forza, come poche altreorganizzazioni, soprattutto negli ultimi anni, richiamandol’attenzione su questo tema, e di questo ne va dato atto, conuna forza che da parte di molti non è stata messa e anche – avolte – da parte delle Regioni non è stata messa. Quindi, ilringraziamento non è formale ma è sostanziale, perché, al dilà delle schizofrenie che Paola metteva in evidenza (e cheesistono non soltanto nella diagnosi ma anche spessonell’evidenza delle medicine per la terapia), alle quali non sisottrae nessuno, ha avuto un grande merito, insieme ad altreorganizzazioni – poche – che è quello di riportare la rotta suquello che è il tema centrale del dibattito delle politicheaggiuntive, ma non solo, il dibattito della coesione: di comeriequilibrare il paese, di come riavvicinare il Sud al Nord. Elo ha fatto in particolare nella fase di avvio di questo ciclo diprogrammazione. Voglio al riguardo richiamare due tappe importanti in cui leRegioni hanno affiancato questa organizzazione, oppurepotremmo dire il reciproco: in cui questa organizzazione haaffiancato le Regioni e altre organizzazioni, in un’azione che,un po’ con retorica, si dice di sistema, ma che io credo abbiafunzionato e portato ad alcune affermazioni fra le piùcondivisibili riconosciute nel Quadro Strategico Nazionale.Sono le tappe che hanno visto la nascita del documento per ilMezzogiorno, nel quale erano riassunte alcune priorità chevolevamo prevedere per il nuovo periodo di programmazione. La seconda tappa, quando avete richiamato l’attenzione sultema del divario Sud/Nord in occasione della tornataelettorale quando, lo ricordava Garufi nella sua relazioneiniziale, il dibattito forse più importante che contrassegnavail tema delle politiche nazionali era completamente uscitodall’agenda politica perché non era di moda, non facevaaudience. Avete avuto un grande merito, che era quello dirichiamarlo e di ricordarlo, dando in qualche modo unasottolineatura importante dal partenariato economico esociale a quelle che era la richiesta del Presidente delleRepubblica di riportare questo tema al centro del dibattito,cosa che non era più avvenuta. Per cui oggi, e chiudo la parteiniziale di premessa non doverosa, è soltanto un ulterioremomento di questo percorso che l’organizzazione staconducendo e che come Regione del sud reputo di estremaimportanza, soprattutto in un momento in cui il pericolo èappunto non soltanto l’elevata disattenzione ma anzi unprocesso di cancellazione del percorso fatto assieme per le

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RELAZIONI

politiche del Mezzogiorno. Oggi è una di queste tappe e me loconferma anche la relazione iniziale che veniva svolta,laddove io credo che i temi più importanti che riguardano ildibattito sul Mezzogiorno siano stati tutti evidenziati: credoche non soltanto la relazione di Franco sia condivisibile ecompleta, ma mi resta a questo punto un lavoro moltosecondario da fare rispetto a quella. Il lavoro è argomentarlacon dei numeri e delle valutazioni, offrendo un altro punto divista e un altro esempio, partendo dal territorio. Leaffermazioni sono in quella contenute, a me resta un ruolo,se volete, più di secondo piano, ma anche più noioso, perfornire elementi puntuali e dare conferma alle cose cheerano state dette in premessa. Quindi, al di là delle schizofrenie di diagnosi e di cura, restal’importanza della rotta che tracciate e che credo sia dimonito anche per le Regioni che come la mia si trovano inquesto momento a dibattere del tema di cosa facciamo diqueste politiche del Mezzogiorno e del come ci comportiamodi fronte ad un’Amministrazione statale che sta provando amodificare alcuni dei pilastri di impostazione delle policynon soltanto economiche dell’Italia. La mia relazione era, inun primo momento, incentrata sull’analisi del rapporto.Questo ci era stato chiesto. Eravamo, come hanno ripetutoanche gli altri relatori, in un momento in cui l’accelerazionedella manovra finanziaria consentiva una riflessione un po’più a bocce ferme della situazione. Per cui ero partitadall’intenzione di fare un’analisi del rapporto fornendoovviamente il punto di vista della mia Regione e con questocomprovando molte delle affermazioni contenute nelrapporto e al tempo stesso confrontando quei dati conulteriori studi. Il tutto era travasato nell’impianto diprogrammazione complessiva. Però l’intera impostazionedella relazione, come dicevamo all’inizio, è stata modificatada quello che sta succedendo nello scenario nazionale e inquello che è il dibattito e soprattutto gli atti che il governo staassumendo. Per cui sposto l’asse della relazione e provo adimostrare come i dati contenuti nella relazione che haillustrato Paola, così come calati nel territorio della regioneMolise, comprovano la necessità di non invertire la rottadell’attuale programmazione, di non cambiare la strategia dibase, seppure con delle necessità di riprogrammazione e diconcentrazione che tutti riconosciamo, ma di non cambiarela strategia di base presente nel Quadro Strategico Nazionaleperché questo, e proverò a dimostrarlo, significherebbesostanzialmente quello che diceva Franco all’inizio: nonriconoscere più quali sono i nodi di criticità strutturale cheriguardano il Mezzogiorno e quindi sostanzialmente, al di làdelle diagnosi, eliminare le cure. Questo è il vero pericolo cheio credo stiamo correndo, nella convinzione che il cambio dipasso dal ritardo allo sviluppo, il vero salto per lacompetitività, si fa soltanto attraverso l’utilizzo del mezzodelle grandi infrastrutture strategiche nazionali. Credo chequesto sia uno degli errori più grandi del dibattito in corso.Seppure sono fondamentali, strategiche e rilevanti sono solouno degli elementi. È una lettura incompleta di quelli chesono i problemi reali del Mezzogiorno. Alla fine provoovviamente a chiudere il cerchio partendo appunto daldialogo partenariale che ha contraddistinto anche la fase diprogrammazione del Qsn in qualche modo richiamando lanecessità di un più forte tavolo partenariale, così comeabbiamo fatto al tavolo del Mezzogiorno, per riaffermare lestrategie che a quel tavolo abbiamo condiviso. Farlo oggiforse è importante, prima che quelle impostazioni venganodefinitivamente cancellate.

Poi avevo intenzione di lanciare uno sguardo anche verso lefuture politiche di coesione post 2014, ma oggi mi pare chele urgenze siano ben anticipate rispetto a quella data. Due otre esempi. A questo punto vado molto velocemente e vilascio le slide e le considerazioni che ci sono nei lucidiproprio perché rappresentano l’argomentazione piùpuntuale. Partendo dai dati del rapporto, metto in evidenzainnanzitutto come c’è una necessità di concentrazione ditipo infrastrutturale. La mia Regione ovviamente statentando di evitare il pericolo frammentazione, utilizzandole risorse del nuovo Quadro Strategico, per concentraresoprattutto su due assi infrastrutturali significativi: uno èquello autostradale e l’altro è la rete ferroviaria. Oggi lamanovra porta alla cancellazione probabilmente del Poninfrastrutture per il Mezzogiorno per riallocare in modostrategico, non meglio definito, verso infrastrutture acarattere strategico nazionale, quindi in qualche modoaprendo il pericolo del drenaggio delle risorse dal Sud alNord, poiché le infrastrutture strategiche nazionali sonoquasi esclusivamente concentrate nel Nord del paese. Noi,come Regione, abbiamo, come sa bene Italo, come sa beneSpina ed Erminia, noi abbiamo tentato di fare un’opera diforte concentrazione su due grandi interventiinfrastrutturali e basta; oggi trovare cancellata la quotanazionale sul Pon e trovare l’allocazione finanziaria nel Porregionale Fesr rispetto a un’opera infrastrutturale è quantomeno un’operazione di incoerenza programmatica; cioèsignifica sostanzialmente che quello che avevamoimmaginato di fare negli ultimi tre anni può vanificarsiperché abbiamo appostato un po’ di risorse sul bilancioregionale, che è piccolo, il resto del grande co-finanziamentoera appostato sul Pon nazionale. Se oggi, attraverso lamanovra del disegno di legge che veniva citata innanzi e chepoi riprenderò nei numeri alla fine, venisse cancellato ilPon, io quanto meno mi ritrovo nell’impossibilità di fare lapiù grande operazione di concentrazione che la mia regioneprova a realizzare. Provo a farvi capire che cosa vuol direquesto sia in termini di infrastrutture significative,autostrada, sia in termini di infrastrutture ferroviarie. Siapre una “crisi” nel mio assetto di programmazione, che poisignifica ovviamente problemi di efficacia. La seconda riflessione riguardava, invece, come è possibilepensare che soltanto l’approvazione con delibera Cipe diprogrammi quali il Pon competitività, che rappresenta ilpilastro per invertire i problemi delle imprese nelMezzogiorno puntando sulla ricerca e l’innovazione, soltantoquesto ci consenta di salvare l’assetto di programmazione? Ildisegno di legge delega fa un’operazione di questo tipo: “èbuono tutto ciò che abbiamo approvato in Cipe, non è buonotutto quello che non abbiamo approvato”. Ma non può esserequesto il criterio. Non può essere che se ho la fortuna che ilPon competitività ha avuto un’approvazione in coda, con unagrande accelerazione a Maggio scorso, di una delibera chemi consente di appostare la risorsa finanziaria del Fas, salvoil principio dell’innovazione e delle ricerche nelle imprese.Va benissimo averlo salvato, ma non può essere che acontrario le altre cose che avevamo detto nel QuadroStrategico Nazionale si cancellano. O sono valide quellestrategie e quelle scelte allora un’approvazione prima o dopodi una data è irrilevante, oppure non è valido l’impianto. Cosìpoteri fare una serie di altri esempi che riguardavano,partendo dal rapporto e dai aspetti puntuali del rapporto,alcune scelte di programmazione, ma qui vado molto veloce. Un esempio ancora più importante sugli obiettivi di servizio.

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Sempre tornando a quello che prevede il disegno di leggedelega: gli obiettivi di servizio sono, credo, una delleintuizioni sia di merito che di merito più importanti di questociclo di programmazione. Sostanzialmente abbiamocondiviso tutti insieme che c’erano dei grandi gap per ilMezzogiorno, che erano quelli collegati ai servizi allapersona, in particolare per gli asili nido, per l’Adi, cheriguardavano il problema dell’inserimento della donna nelmercato del lavoro e più in generale i problemi dei servizisociali ai cittadini e i grandi problemi della competitività delterritorio legati alla questione dei rifiuti e dell’idrico. Suquesti temi abbiamo cercato di impostare delle sceltepuntuali misurabili con un metro collegato a degli indicatorie quindi alla fine ad una premialità, l’intero meccanismovalido sia per l’individuazione degli obiettivi che per ilmetodo individuato, oggi rischia di cadere per il disegno dilegge. Ancora una volta qui viene fatta un’operazione dicancellazione della scelta di base che è quella che riguarda ilFas legato all’istruzione, al Pon istruzione; sostanzialmente,se oggi andasse avanti il disegno di legge per come èimpostato, per il raggiungimento degli obiettivi di servizionoi non avremmo più le quote relative ai finanziamenti perl’istruzione. Il disegno di legge non ci consentirebbe più diraggiungere quello che abbiamo condiviso assieme perché èuna fortissima necessità del Mezzogiorno, in particolare diriequilibrare le competenze linguistiche, matematiche deglistudenti, di dare dei titoli di studio validi (non entro neitecnicismi) e di fare le altre cose che sono fortementenecessarie per i cittadini e per le imprese. Salva viceversa lapremialità. C’è anche qui una forma di incoerenzaprogrammatica nel disegno di legge che direi è anche un po’grossolana: salva l’appostamento finanziario della premialitàsugli obiettivi di servizio e toglie buona parte delle risorsenecessarie per raggiungerli. C’è qualcosa evidentemente chenon torna dal punto di vista anche di coerenzaprogrammatica interna. Ulteriori esempi che venivano, spunti del rapporto, sono tuttiinteressanti, rimando alle slide. Probabilmente il primopoteva più interessare Erminia, che si occupa di politicheindustriali, il secondo invece più il mio amico Spina, che èpiù attento alle tematiche ambientali. Anche qui c’è unrischio di incoerenza programmatica nel momento in cui sicancellano determinate disposizioni e noi non abbiamo piùle risorse per fare alcune operazioni: sia sul versante dellefonti energetiche alternative, sia sul versante delle politicheindustriali e delle necessità di coordinare gli interventi difinanziamento per le politiche industriali. Anche su questo,richiamo l’attenzione perché è essenzialmente quello chenoi in sede locale in un’ottica realmente federalista stiamoprovando a programmare e che invece il rischio di perditadelle risorse evidentemente vanificherebbe. Non entro neglispunti di metodo né tanto meno comparo le conclusioni delrapporto illustrate da Paola con altri rapporti, però un’unicariflessione mi preme farla comparando alcuni dati, inparticolare quelli da noi analizzati per verificare che le realtàdel Mezzogiorno non sono, e dico una banalità ma lacomprovo con qualche elemento anche di tipo economico,non sono tutte uguali. Franco mi dice che io sono delMezzogiorno rurale e lo confermo, il Molise, la Basilicata,l’Abruzzo e la Sardegna appartengono ad una realtà che èsicuramente molto diversa da quelle di molte altre Regionidel Mezzogiorno. Mi serve questo argomento per direun’altra cosa importante per rafforzare le scelteprogrammatiche del Qsn: il Mezzogiorno è sostanzialmente

fatto di due mezzogiorni, ora la forzo ma per rendere piùcomunicativo il concetto, questi due mezzogiorni hannodelle caratteristiche fra di loro fortemente diverse. Ce lodicono per esempio gli indicatori dell’innovazione, quelli delritardo agricolo, quello dell’infrastrutturazione per la bandalarga, per i servizi più avanzati; questi due mezzogiornihanno fra di loro la necessità di colmare questi gap in mododiverso. Questi due Mezzogiorno hanno dei livelli di Pilsostanzialmente analoghi, cioè le quattro regioni delMezzogiorno rurale hanno un Pil leggermente superiore, avolte anche significativamente superiore, alle altre regionidel Mezzogiorno. Questo è un grafico che cerca di metterlo inevidenza, raggruppando le quattro regioni del Mezzogiornocitate, rispetto alle altre, per cui c’è una situazione che seguardiamo i macro indicatori dimostra che ci sono duemezzogiorni, ma se guardiamo gli indicatori che inveceentrano nel merito delle singole inefficienze delle aree delMezzogiorno, invece ritroviamo delle forti similitudini fratutte le regioni del Mezzogiorno. Questo che vuol dire? Vuol dire che quando il Dipartimentodelle politiche di sviluppo ha individuato i programminazionali sui quali fare le politiche per tutte le otto regionidel Mezzogiorno che avevano dei gap simili, seppure conritardi diversi o parzialmente diversi, ha centrato unanecessità forte. È un’intuizione efficace ma è un’intuizioneche hanno difeso, e con questo io dò atto anche all’operagrande di negoziazione con l’Unione europea, hanno difesocon forza anche nei confronti della Commissione, che haripetutamente provato a dire all’Italia che l’unico metro cheloro utilizzavano, che era quello del Pil che tagliava in due leregioni a ritardo di sviluppo con quelle invece avanzate, percui la media del 75 per cento era una linea netta, ferma,rispetto alla quale nessuno poteva fare eccezioni, era unalinea che per l’Italia non andava bene perché su alcuniritardi, al di là dei macro indicatori che portavano peresempio il Molise a essere una “Regione Competitività”come la Lombardia che è di per sé, “ictu oculi” una cosa nonvera, ebbene l’Unione europea ci continuava a dire che noiinvece eravamo “Competitività”. Che poi c’erano le regioniconvergenza che erano un po’ sopra e un po’ sotto questo 75per cento, non rilevava perché bisognava pur trovare unmetodo per dividere le regioni dell’Europa! Su questo, ilDps, sostenuto dalle regioni e dal partenariato in modo forte,ha detto no, l’Italia ha una serie di sfumature e ilMezzogiorno ha una serie di ritardi che accomunano ottoregioni; su queste otto regioni ha montato dei programmiper colmare i ritardi in modo uguale: sull’istruzione, sullasicurezza, sulle infrastrutture, sull’energia, sugli attrattori…sono scelte di una validità enorme perché partono da unpercorso di analisi che viene da anni di riflessione, ma partedal nostro vissuto quotidiano, i programmi non si studiano,si fanno nella vita di tutti i giorni.Questa impostazione che è alla base del Qsn, che riconoscequesto Mezzogiorno unitario al di là dei Pil un po’ su e unpo’ giù, è oggi quella che con più forza io mi sento di doverdifendere, che difendo qui, che la mia Regione difenderàtra un’oretta alla Conferenza delle regioni e che io miauguro difenderemo ancora insieme se riusciremo ancoraa fare un rilancio del patto per il Mezzogiorno frapartenariato economico e sociale ed istituzionale. Quindic’è tutta questa parte delle slide che vi lascio sulle tre italieche porta soltanto a dimostrare che la scelta del Quadrostrategico nazionale è tuttora valida, che un’approvazionecon Cipe prima e dopo di una data non può cancellarla,

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RELAZIONI

perché i bisogni restano prima o dopo di una data inalteratie questi bisogni sono uguali per tutto il Mezzogiorno masono ancora più necessari nel momento in cui noiregistriamo l’arretramento di alcuni valori. La Spagna ci habattuto nel calcio, ma non solo. Ci sta battendo inriferimento ai dati economici. In questo usiamo uno sloganmolto diffuso per richiamare l’attenzione di tutti sul fattoche oggi in particolare per il Mezzogiorno non si puòpensare di cancellare quelle scelte, perché nel mentre glialtri Stati europei avanzano, noi, il sud, indietreggia. Ilritardo quindi raddoppia. Gli interventi mirati per il riequilibrio sono più necessari.Sugli obiettivi di servizio, appunto, facevo tutta questadisamina che partiva dal Molise per argomentare cheavevamo bisogno delle quote di co-finanziamento nazionalee poi citavo in qualche modo il terzo degli studi comparando ivalori che citava Paola Casavola all’inizio che è quello dellaBanca d’Italia dove, secondo me, ci sono due affermazionigrandi che sottolineo come macro delle analisi che stiamofacendo: la prima, appunto è che esistono due Mezzogiorno eche lo riconosce la Banca d’Italia; la seconda, è che non è cosìscontato che tutto è andato male perché la relazione di unodei più grandi soggetti che riflette sugli andamentieconomici, e la uso soltanto a questi fini, è che i risultati sonostati sicuramente inferiori alle attese ma è che i risultati cisiano stati, il punto è questo. Oggi, noi non siamo in grado divalutare appieno tutti i risultati e questo seminario all’inizio,se non fosse stato travolto dalle argomentazioni sullamanovra, puntava a fare una riflessione sui numeri esull’efficacia dei risultati. Non è che i risultati non ci sianostati, sono stati risultati inferiori a quelli delle attese. Io non voglio essere afflitta dalla sindrome di Stoccolmacome dico a volte, sono una di quelle che lavora su questamateria e ci lavora dalla mattina alla sera e alla fine per mediventa una schiavitù, per cui me la difendo perché ormaisono affezionata a questa schiavitù, non è così, io pensoancora di mantenere una forma di lucidità rispetto a questecose e quando ne ho comunque una riprova nei numeritutto sommato ho una forma motivazionale rispetto al miolavoro personale, ma è quello che un po’ tutti facciamo inquesta sala. Sicuramente ci sono delle possibilità direnderli migliori questi risultati, possiamo analizzarli davari punti di vista. Anche qui non voglio essere lapalissianaperché chiaramente il dato a me pare evidente ogni voltache analizzo un intervento. Io faccio parte del nucleo divalutazione degli investimenti pubblici, sono nata, comePaola Casavola sa, in un periodo storico in cui lavalutazione di quello che facevamo era considerata uncaposaldo per l’impostazione delle policy pubbliche. Vogliodire una cosa molto banale: ogni volta che analizzo unintervento pubblico di questo tipo, piccolo o grande,infrastrutture secondarie o principali, frammentazione onon frammentazione, a me alla fine viene fuori soltantouna constatazione banalissima: se le cose si fanno beneservono, se le cose si fanno male non servono.Allora, quando diciamo quella semplice frase “che non ètanto le risorse ma la qualità dell’investimento” è verissima,lo comproviamo ogni volta, si comprova banalmente suipiccoli e sui grandi numeri. Allora che fa la manovra? Entronel vivo dell’ultima parte dell’intervento che era quella sucui mi volevo soffermare di più ma insomma, la manovra chefa? La bozza del Dpef e i due allegati del decreto legge e deldisegno di legge sostanzialmente non riconoscono più lepolitiche per il Mezzogiorno, non riconoscono più l’utilità di

questo dibattito, non riconoscono più il perché ci stiamovedendo oggi e parliamo di queste cose. La politica per ilMezzogiorno scompare nella premessa del Dpef. DicevaPaola Casavola: “sta leggero il Dpef”. Ha usato un eufemismo:sta leggero perché non vuole dire alcune cose, io credo nonvoglia, comunque non ci sono più alcune affermazionigrandi come era quella dell’incrementare la spesa in contocapitale del Sud fino al 45 per cento del totale, ma ci sonoaltre affermazioni come quella di una cabina di regia suifondi europei o come altre affermazioni che sono in qualchemodo significative per far capire qual è la rotta che si staseguendo e qual è l’intenzione reale per le politiche delMezzogiorno che al tempo stesso scompaiono nella diciturastessa del documento programmatico. Il decreto legge, lodiceva Franco Garufi sinteticamente dando il numerocomplessivo del taglio, prevede che il totale della manovraper portare l’Italia al pareggio e al rispetto dei patti conl’Unione europea sia 35 miliardi in tre anni. Noi dobbiamotagliare 35 miliardi di risorse. Quest’anno lo Stato ha chiesto agli enti locali e alle regioni inparticolare, un taglio di 1,4 miliardi. Abbiamo molto discussocon lo Stato su questo taglio, abbiamo aperto un tavolo che èdurato 20 giorni, quasi un mese, un tavolo che non aveva maicitato il taglio del Fas. Io oggi trovo nell’allegato 1 del disegnodi legge un taglio di 1,7 miliardi. Probabilmente non toccheràqueste politiche, io non lo so però. Credo che le tocchidirettamente. C’è un taglio che è molto superioreall’ammontare totale del sacrificio richiesto alle regioni permantenere i patti con l’Unione europea. Non può essere! Nonè corretto che in modo occulto in un allegato ad un decretolegge si faccia una scelta di questa portata e tutto questo nonè discusso con una attimo di calma, di riflessione – nonvoglio dire di pathos – ma quanto meno con un po’ diriflessione da parte della “politica”. È un modo di procedereche non va bene; ci hanno tenuto ad un tavolo, parlo comeRegioni, 20 giorni a dire dove dovevamo limare 220 o 230milioni di euro per il taglio alla sanità rispetto al patto dellasalute, ci hanno tenuto sul fondo per la casa per giorni e poiti ritrovi 7 miliardi di tagli? È un po’ grossa! Invece, il disegno di legge entra nel merito e in qualchemodo è probabile che rappresenti la sede del confronto piùsignificativo su queste politiche e che oggi si sta aprendo,perché le Regioni ne stanno discutendo. Entro nel merito delle cose che diceva Franco Garufiall’inizio, dando contezza di un taglio anticipato nel decretolegge. Pare che il disegno di legge “tornerà” come maxiemendamento nel decreto legge e accelerano l’interamanovra e quindi faranno un’accelerazionesull’accelerazione. Cioè se il disegno di legge delega entranel maxi emendamento del decreto legge significa chequeste cose qui non le potremo nemmeno discutere in unasede di confronto ufficiale con il governo perché fannoun’ulteriore accelerazione. Non lo so se andrà così, fatto stache siamo tutti in allarme per quello che può succedereperché dalla lettera, seppure con qualche puntointerrogativo, del disegno di legge i conti che a me vengonofuori sono questi. La revoca totale delle risorse delMezzogiorno è di circa il 50 per cento delle risorseappostate dal Qsn nazionale. Mi sembrerebbe, leggendo ededucendo varie interpretazioni. Ma, tutto sommato, iocredo che tengano questi numeri che adesso vi provo aspiegare. Il taglio totale dal disegno di legge delle risorsedel Fas è di oltre 22 miliardi di euro, circa 10 sulla primaparte dei Pan, circa 12 sulla parte della cosiddetta riserva di

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programmazione; nel dettaglio circa 2,5 al Nord, circa laparte restante 20 per il Mezzogiorno. È la metà delle risorsedel Fas che per 3 anni con metodo partenariale abbiamodiscusso e che per 3 giorni adesso ci troviamo a discuterecon un’ansia che chiaramente è l’ansia di chi ha lavorato alungo credendo in alcuni obiettivi e che oggi vedevanificare quel lavoro ma soprattutto quella ricercadell’obiettivo (che è un po’ l’obiettivo macro che dà senso allavoro nostro quotidiano) che è quello della coesione, delriequilibrio fra Nord e Sud. Allora se è vero che non si trova più il principiofondamentale del disegno di legge del riparto 85/15 fraMezzogiorno e Nord, (mettiamolo ancora con il puntointerrogativo perché voglio dare il beneficio dell’inventariofino in fondo, e auspico che così non sia e ci stiamomuovendo proprio per questo), ci sono errori di metodo e dimerito su cui non mi fermo, ma ci sono dei grandi pro e deigrandi contro sull’intera manovra e su questi vorreichiudere. I pro sono la concentrazione che veniva enunciatapiù volte nel disegno di legge ma che sicuramente è unprincipio a cui tutti stiamo cercando di stare attenti, cheviene ribadito. Mi pare che nessuno abbia mai detto un “no”alla concentrazione ma diceva bene Paola, diceva beneSaponaro, poi decliniamola questa concentrazione suifabbisogni ma soprattutto sulle regole perché delle voltediventano facilissimi luoghi comuni, come diceva PaolaCasavola all’inizio. Non concentriamo se facciamo 43programmi? Dobbiamo fare dei programmi che abbiano ache fare con i nostri territori, quindi sono programmiregionali, le Regioni sono quelle, le regole sono quelle, manon vuol dire che non si concentra se ogni regione ha un suoprogramma. Dipende ovviamente dai contenuti, dagliobiettivi coincidenti, dai coordinamenti funzionali,dall’integrazione degli strumenti e, soprattutto,dall’efficacia. Poi c’è un altro tema che probabilmente ponebene questa manovra e questo disegno di legge che è lanecessità di trovare delle disponibilità di risorse perché è dievidenza che ci sono dei problemi che sono emersi con piùforza e che forse a questi va trovata con forza una soluzioneanche di tipo finanziario. Penso ai rifiuti. E queste sono dueverità; non credo che nessuno di noi le voglia disconoscere.Ci sono poi una serie di contro che sono qualitativi equantitativi: c’è il primo grande tema che è un po’ il fil rougedi questa relazione che ho tentato di fare ed è che con questamanovra all’intero impianto programmatico che abbiamofatto, sono è un po’ un’offesa al 119, V comma dellaCostituzione e all’obiettivo del riequilibrio, forse Robin Hoodal contrario per davvero. Se io cancello l’appostamentodell’85/15 e metto tutto in un unico fondo e cancello i Ponche sono per il Mezzogiorno, per fare le grandiinfrastrutture strategiche di cui 9 su 10 – a eccezione delPonte sullo Stretto, che devo dire è già un puntointerrogativo di per sé – al nord, annullo ogni interventoinfrastrutturale per il Mezzogiorno. Questa operazione èsicuramente da Robin Hood al contrario, sposta dal Sud alNord. Ora possiamo parlarne, può essere positivo, puòessere negativo, può essere il principio della locomotiva chepiù accelera e più deve accelerare, non lo so. Però quantomeno parliamone! Perché questo punto non è dibattuto senon oggi qui fra noi affezionati e da poche altre parti. Nonpuò essere. Il secondo è un principio di un antifederalismoenorme: la manovra finalizza le risorse all’interno di ununico fondo, all’interno di un unico ministero, conun’operazione di cabina di regia, dice il Dpef, di fortissimo

accentramento e lo fa sui fondi del Fas, sui fondi della casa,come lo fa sul Tpl, lo fa su tutte le altre poste di cui il 117investe come competenza primaria o ripartita le Regioni. Èun’operazione antifederalista che poche volte abbiamo vistocome Regioni caratterizzare un’amministrazione centrale, èun’operazione che prova a ridurre la capacitàprogrammatica delle Regioni in antitesi all’indirizzo teoricodel Governo. L’ultimo comma del secondo articolo deldisegno di legge dice che bisogna ricercare con le risorseanche regionali, quindi anche del Fas regionale, leinfrastrutture strategiche nazionali, cioè dice a noi Regioniquali sono le scelte che noi dobbiamo compiere e per fare ciòutilizza i principi generali dell’art. 117 della Costituzione, unarticolo cioè che stabilisce come si attua l’indirizzo inriferimento alla competenza legislativa, quindi nonamministrativa, non programmazione, di cui si occupa il118, e quindi è anche scorretto dal punto di vistacostituzionale. Ora, è evidente che noi abbiamo condiviso dei programminazionali sui quali è ben possibile che un governo chearriva abbia qualcosa da dire, è giusto, è legittimo, èpoliticamente normale; ma che però poi si provi a dire: con iprogrammi operativi nazionali e regionali, condivisi eapprovati dall’Unione europea, dobbiamo fare le e cose chelo Stato attraverso l’uso dell’indirizzo previsto dal 117decide che vadano fatte, forse c’è qualcosa che non va: c’èun germe di antifederalismo. C’è poi il rischio di incoerenzaprogrammatica che ho provato a mettere in evidenza con gliesempi riferiti al Molise, con l’autostrada che la Regione co-finanzierebbe se ci sarà ancora un Pon infrastrutture;l’energia che la Regione finanzia ma con il pericolo del Poienergia che può non essere finanziato, della ricerca. Provoa dire alle mie imprese che sono indietrissimo perché nonsanno fare ricerca e innovazione, che la devono fare, che hoil Pon ma che ho paura perché se non ho più il Fas che co-finanzia queste cose, le relative infrastrutture, io gliele hodetto per 3 anni che loro si dovevano riorientare ma ora ionon so, al netto della disamina che faceva Paola Casavolasull’efficacia delle politiche di investimento per le imprese,come fargliela fare. E poi c’è un rischio di rallentamento enorme: azzerare oggi 3anni di attività che noi abbiamo condotto con sacrificio,arrivando ad un punto di condivisione corale com’è il Qsn(Regioni, Enti Locali, Amministrazioni centrali e tutto ilpartenariato, voi, Confindustria, le associazioni non profit,tutti abbiamo condiviso un testo) e annullare questo lavoroper ripartire, è pesante. Possiamo stimare un altro anno diritardo, un anno e mezzo. E noi abbiamo tenuto fermi i motoriun anno, per fare una cosa che abbiamo condiviso tutti, perripartire dopo un anno, un anno e mezzo, con una cosadiversa e non condivisa? Quanto meno è prevedibile unostallo ulteriore. In totale quindi diventano due anni e mezzo,abbiamo bisogno di uno stallo di due anni e oltre? Per me no.Rispetto a tutto questo percorso a questo punto non puòesserci che una disaffezione del processo di programmazione,di un processo che abbiamo comunque condotto insieme eche oggi probabilmente vede un momento di avvilimentocorale (e uso un termine forte volutamente), checontraddistingue tutti quelli che l’hanno costruito e chesicuramente avrà un effetto quanto meno di generare minoreimpulso, minore impeto, minore energia, minore voglia,minore speranza, rispetto al percorso che adesso si costruirà.Una nuova condivisione con le Regioni e il partenariato è ilsolo metodo corretto per restituirci di nuovo questa energia.

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COMUNICAZIONE

IL RILANCIO DEL SUDATTRAVERSO UNAPROPOSTA ORGANICADALLA PARTEDEL LAVOROComunicazionedi Andrea Del MonacoConsulente alla programmazione Fondi europei-Fasdel governo Prodi

R ingrazio la Cgil di avermi invitato a questa bellainiziativa. La premessa da cui dobbiamo partire èl’assenza del Sud nell’agenda politica del

governo e il trasferimento ingente di risorse aggiuntive dalSud al Nord. È un dato su cui si è soffermato più volte Il Sole24 Ore. Ciò è dovuto a due elementi: 1) il tentativo ditrasferire al governo le risorse aggiuntive regionali (Fondieuropei e Fondo aree sottoutilizzate), uno dei noccioli dellabozza di legge finanziaria; 2) nell’originaria destinazione lerisorse aggiuntive regionali per il 75 per cento sarebberoandate al Sud. Poiché i soldi ora assegnati alle regioni ilGoverno vorrebbe usarli per 10 opere infrastrutturali di cuisolo il Ponte Sullo Stretto è nell’Italia meridionale si spiegafacilmente la ragione nordista del provvedimento. Berlusconi pensa alla campagna elettorale per le elezioniregionali del 2010 (la Sardegna nel 2009): se conquistassele regioni svanirebbe l’unico vero elemento di contrasto algoverno nazionale sul piano istituzionale nell’elaborazionedelle scelte strategiche per il paese. Poiché l’opposizioneparlamentare è inefficace e debole l’unica opposizione veraviene esercitata dai governatori di centrosinistra versus ilgoverno di centrodestra nell’importante sede dellaConferenza Stato-regioni. Poiché la spesa ordinaria èassorbita dagli stipendi e dalle bollette, uno dei principalistrumenti d’azione politica rimane la programmazionedelle politiche di sviluppo. Per esempio, in Puglia o inPiemonte, il cittadino al voto nel 2010, dovrebbe sceglierevalutando la differenza tra la qualità del governo nazionaledi centrodestra e la qualità del governo regionale dicentrosinistra. Ma se il governo nazionale avocasse a sé lerisorse regionali e iniziasse a spenderle, il cittadinopugliese o piemontese potrebbe pensare che il Pdl sia piùefficace del centrosinistra nel risolvere i suoi problemi.Ignorando che un governo federalista ha sottratto alleregioni uno degli strumenti cardine della propriaautonomia, le risorse aggiuntive. Entriamo nel merito. A Caserta, nel gennaio 2007, alseminario dell’Unione Prodi aveva lanciato laprogrammazione delineata nel Qsn (Quadro strategiconazionale): 124 miliardi per l’Italia, di cui 101 al sud(53,782 miliardi di Fas, fondo aree sottoutilizzate, 47,311miliardi di fondi strutturali europei e cofinanziamentonazionale), di questi più del 55 per cento attribuiti alleregioni. Si aggiungono poi più di 14 miliardi di risorseliberate, i resti della programmazione precedente2000/2006 per l’ex obiettivo 1 (tutto il Sud trannel’Abruzzo). Berlusconi sostiene che le regioni non sianostate capaci di spendere le proprie risorse europee. Vero inassoluto per le regioni meridionali, relativamente se siconfronta la bassa capacità di spesa delle amministrazioniregionali meridionali con l’equivalente bassa capacità dispesa dei Ministeri nei territori del Sud.

Il governo ha deciso di assumere la riprogrammazionedella spesa delle risorse aggiuntive. Secondo la bozza difinanziaria del 18 giugno 2008, sono «revocate» leassegnazioni del Fas operate dal Cipe, ma non impegnate,verso le regioni e le province autonome (18 miliardi al sud,5,5 al Centro Nord), sono «destinate» al governo le risorseliberate, e, per avere un procedimento di spesa più efficace,il governo può «rimodulare» l’uso dei fondi europei adisposizione delle regioni (12, 5 miliardi per il centro nord,31,8 per il Sud). Secondo fonti del ministero dell’Economiaall’inizio il governo aveva intenzione di varare un decreto.La protesta delle regioni ha bloccato un provvedimento chepotenzialmente avrebbe trasferito le competenze diprogrammazione di 82 miliardi dalle regioni al Governo. Laversione definitiva della finanziaria dirà se il tentativo èfallito. Il centrodestra, capendo quali sono gli strumentifinanziari delle politiche di sviluppo (e della riproduzionedel consenso), ha tentato subito di assumere il controllo diquelli in mano alle regioni. Sul Fas non sarebbe statopossibile se il governo Prodi e le regioni avessero vincolatol’oggetto della spesa regionale programmata stipulando gli« accordi di programma quadro». È una dimenticanza graveche i governatori di centrosinistra rischiano di pagare cara.Al contrario, per vincere le elezioni del 2010, è necessariousare i fondi regionali per creare lavoro stabile e di qualitàsostenendo le filiere generatrici d’innovazione o iniziandola raccolta differenziata dei rifiuti. Altrimenti perché unprecario o chi protesta a Chiaiano dovrebbe votare ilcentrosinistra? La sconfitta del 13 aprile è dovuta all’assenza di un progettosul paese e alla scarsa efficacia nell’uso della macchinaamministrativa. Dei 124 miliardi del Qsn non è stato ancoraspeso nulla: per evitare che Berlusconi spenda tutto sarebbenecessario che il centrosinistra, nelle regioni dove governa,bloccasse il tentativo di scippo delle risorse regionali innome di un grande proposta sul sistema produttivo italiano,in particolare per quello meridionale che ne ha granbisogno per uscire fuori della sua crisi. Data la debolezzaprogrammatica del centrosinistra, la Cgil ha il diritto-doveredi elaborare un grande progetto che affronti il crucialeproblema del modello di specializzazione produttivoitaliano e del suo ruolo internazionale, a partire dalMediterraneo. Per assumere l’orizzonte del lavoro ènecessario esprimere un’avanzata cultura politica checoniughi la doverosa azione per la redistribuzione dellaricchezza e la capacità d’intervento nelle fasi di produzionedelle risorse; alla vertenzialità, al contrasto delle politicheliberiste è necessario aggiungere una generale proposta disviluppo qualificato del meridione dalla parte del lavoro.Poiché in questa impresa di elaborazione è necessarioevitare errori del passato che hanno contrassegnatopolitiche inefficaci e costose si impongono treconsiderazioni: 1) negli ultimi anni siderurgia, meccanica, elettronica,chimica e farmaceutica hanno trainato le esportazioni delSud; tutti settori con imprese di grandi dimensioni etecnologie avanzate, il cui insediamento nel Mezzogiorno èdovuto agli investimenti pubblici operati negli annidell’intervento straordinario o a scelte localizzative digrandi gruppi multinazionali. D’altra parte, a proposito dioccasioni perse, l’Italia tra gli anni settanta e novanta non èentrata come partner con Germania, Spagna, Inghilterra eFrancia nell’Airbus, la più avanzata filiera tecnologica,industriale e logistica europea; le nostre industrie avrebbero

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potuto essere principali committenti che scelgono, nonfornitori o subcontractors (come Alenia aeronautica cheproduce i componenti per l’Airbus): per Gallino 27000 postidi lavoro mancati (tra dipendenti ed indotto).2) Nell’elaborare una proposta per il Sud dalla parte dellavoro è necessario superare provvedimenti inefficaci comegli incentivi automatici. È necessario sottolineare che unrecente leit motiv bipartisan è quello dello spreco dellerisorse pubbliche per le imprese meridionali. Precedenteleit motiv bipartisan nella prima repubblica invece eraquello sul sostegno agli investimenti nel sud. Pochi peròsottolineano come la politica industriale, dopo la finedell’intervento straordinario, sia consistita in incentivi alleaziende per l’occupazione e per il trasferimento tecnologico:nel primo caso, finito l’incentivo, i nuovi occupati sono statilicenziati, nel secondo le imprese hanno comprato benistrumentali prodotti in Germania o in Francia (dandocommesse ad imprese tedesche o francesi e quindi lavoro alavoratori stranieri con risorse italiane). Bene, durantel’esame in Senato della legge finanziaria 2008, con SergioFerrari scrissi un emendamento presentato dai senatoriTecce, Mele, Russo Spena e Sodano: esso contrapponevaagli incentivi automatici dell’art. 70 della finanziaria unprogramma nazionale di ricerca e reindustrializzazione perselezionare le filiere produttive generatrici d’innovazione edisponibili a trasferire sul piano industriale i risultati dellaricerca finanziata. L’emendamento non passò poiché incommissione bilancio prevalse l’idea secondo cui le impreseper assumere hanno bisogno di liquidità (credito d’imposta,stages pagati dallo stato): nessun vincolo d’innovazione eincentivi per tutti. In caso contrario le filiere non meritevoli,se non più incentivate, sarebbero insorte. Del resto unautorevole esponente di Confindustria, di fronteall’obiezione sull’inutilità degli incentivi automatici, mirispose: “Lei ha ragione, ma io rappresento tutta laConfindustria, quindi se non sostenessi gli incentivi pertutte le filiere quelle escluse protesterebbero”. 3) È preoccupante l’assenza di un’approfondita e rigorosaanalisi della programmazione precedente 2000/ 2006. Il sudrimane spesso la terra delle opere non utili e delle opereincompiute. Il Cipe previde nel dicembre 2001 il primoprogramma d’infrastrutture strategiche della legge-obiettivonel Sud: 55 miliardi per realizzare (tra le tante cose) l’asseferroviario Salerno-Catania, completare la celebre autostradaSalerno-Reggio Calabria-Palermo, ammodernare la reteidrica meridionale, potenziare gli hubs calabresi, campani epugliesi. Tali opere strategiche non sono state completate,mentre altre, meno utili, sono state concluse. Nicola Rossi inMediterraneo del Nord sottolinea come nel catalogo deiProgetti per lo sviluppo del 2003 rientrasse per esempio ilcampo da golf di Santi Preturo e non la bretella autostradaleSan Vittore- Termoli per unire l’A1 alla A14; oppure laristrutturazione dell’ex convento di san Domenico a Molfettainvece che della Bari-Matera. Quanti posti di lavoro stabili e di qualità sono stati creatinella programmazione precedente? Quali filiere sono statefinanziate efficacemente in modo da divenire competitive alivello globale e non necessitare più del sostegno pubblico?Per il sindacato, la sacrosanta difesa del contratto collettivonazionale sarà meno difficile se accompagnata da unaproposta che ricollochi l’Italia nella fascia alta della divisioneinternazionale del lavoro individuando tre criteri: a)generazione d’innovazione; b) anticipazione della domanda;c) riduzione del disavanzo della bilancia tecnologica,

massimo fattore del disavanzo della bilancia commerciale. Come accennavo prima, di fronte all’insufficienzaprogrammatica del centrosinistra la Cgil può assumersi laresponsabilità politica di una proposta complessiva disviluppo qualificato del sud che includa la difficilesoluzione dello smaltimento dei rifiuti, il rilancio dellaricerca pubblica e del ruolo sociale ed economico deigiovani cervelli in fuga verso gli Stati Uniti. Esistonosoluzioni adeguate che non incontrano né la politica né laclasse dirigente italiana nel suo complesso. La Cgil puòassumerle come suoi strumenti di battaglia politica. Farò tre esempi.1) Una delle poche proposte di sviluppo innovative estrutturate è quella formulata da Marco Canesi in L’altraglobalizzazione. Per l’autore, il problema di fondo del Sud èla debolezza della sua economia: un deficit commerciale –quasi tutto in prodotti industriali – che è quasi il 20 percento del suo Pil. Inoltre si sono costruite opere per daregrandi commesse pubbliche ad aziende private senza alcunriferimento a un condiviso attendibile quadro di struttura,nazionale e internazionale. Poiché la struttura produttiva delpaese è stremata da un trentennio (in cui il gruppo dirigenteha tirato a campare sfruttando le risorse accumulate duranteil boom economico) e poiché la politica per la concorrenza (acominciare dalla liquidazione della grande industria di Statodella meccanica e della petrolchimica) ha ormai rivelato lasua impotenza, i 100 miliardi per il Sud (di fondi europei eFas nel 2007-2013) potrebbero essere occasione di unasvolta: fare del Mezzogiorno la base di un nuovo svilupponazionale, a favore di una globalizzazione alternativa aquella oggi imposta dalle grandi multinazionali e dalle lororeti transnazionali. L’autore suggerisce un bacino produttivoautocentrato esteso dal Napoletano alla Sicilia basato su dueinterventi: a) l’Alta capacità (non Alta velocità) Napoli-ReggioCalabria dovrebbe essere spina dorsale delle regionimeridionali, attraversando i territori interni; inoltre con unanuova linea ferroviaria Potenza-Foggia-Melfi, Potenzapotrebbe divenire un nodo ferroviario irrinunciabile,realizzando una connessione est-ovest, in grado di offrire adogni treno l’opportunità di scegliere tra la direttrice adriaticae quella tirrenica, secondo le loro specifiche condizioni dicarico. b) Il secondo intervento riguarda, tout court, lacreazione di due nuove città policentriche, una città apolo-lucana (Potenza, Tricarico, Ferrandina, Matera, Altamura,Gravina, Genoano, oltre ad un polo di fondazionenell’intersezione tra la ss 96 Bis Potenza-Bari e la Bradanica,che unisce Foggia e Taranto) e una calabrese (Cosenza,Rogliano, Serrastretta, Catanzaro, più gli insediamentilimitrofi) entrambe di circa 250 mila abitanti, con un intornointerurbano di almeno 500 mila abitanti. Basterebberelativamente poco: un adeguato servizio ferroviarioregionale che, in sinergia con l’Alta capacità, legasse inrelazioni urbane (60 minuti) tali gruppi di comuni checomporrebbero le due città policentriche. Il nuovo bacinoproduttivo, oltre a valorizzare le esistenti attività del made inItaly, potrebbe puntare sulla filiera dei prodotti intermedi (dicui il Sud è carente) e su alcuni suoi porti come snodo deiflussi commerciali tra Est ed Ovest. Con la crescita delle“tigri asiatiche” ai fronti portuali del Nord America (LosAngeles-New York) e del Nord Europa (Rotterdam,Amburgo…) si è aggiunto quello Singapore-Oriente. Comesostiene Ugo Marchese in “Economia dei trasportimarittimi”, la conseguenza è stata l’affermazione nel sistemadei trasporti del modello hub and spokes: in primis, le merci,

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COMUNICAZIONE

quasi tutte containerizzate, sono imbarcate su navi grandi(navi mother) e sbarcate in pochi grandi porti (hub) situatilungo rotte pendulum, itinerari di diretta connessione tra isistemi portuali delle maggiori aree economiche; insecundis, le merci sono reimbarcate su navi di minoridimensioni (navi feeder) e recapitate alle loro specifichedestinazioni (spokes). Le economie di scala, dovute ad unuso più produttivo di navi più grandi, compensanoabbondantemente l’incremento dei costi causato da maggiorirotture di carico e dal ricorso all’intermodalità ferro-acqua.In particolare Taranto, Gioia Tauro e Crotone,opportunamente attrezzate, potrebbero competere con iporti olandesi e tedeschi: le merci provenienti dal Sud-Estasiatico, in rotta verso il Nord America, potrebbero farescalo per il Mediterraneo invece che per l’Atlantico. PerCanesi, usando i porti italiani, l’itinerario marittimosarebbe più breve, si potrebbero usare più sicuramente navidi maggiore dimensione, gli armatori potrebbero guardarecontemporaneamente al mercato europeo e nord americanoe, in prospettiva, a quello nord africano e mediorientale. Itre porti italiani, oltre che nella scomposizione-ricomposizione dei containers, potrebbero specializzarsi sianelle lavorazioni finali (assemblaggio, confezionamento,reimballaggio, spedizione) d’importanti produzionimanifatturiere, sia proporsi come polo della meccanicastrumentale pesante necessaria all’industria di base. Isettori interessati sarebbero quelli dei beni strumentali persiderurgia, raffinazione del petrolio, petrolchimica, per lacostruzione dei mezzi di trasporto ferroviari, per lamovimentazione merci, per la cantieristica, oltre lacantieristica stessa, e infine la produzione d’energia:attenzione particolare merita il programma di ricercasviluppato da Rubbia (finanziato in Spagna invece che inItalia) nell’ambito dell’energia solare di tipo termodinamico,unica fonte energetica rinnovabile e pulita in grado disoddisfare in modo economico e globale la domanda. Lameccanica pesante sarebbe chiamata a produrre, insieme aitradizionali componenti di una centrale a gas (turbina,alternatore..), nuovi componenti: ad esempio serbatoi econdotti d’alta qualità. L’Italia potrebbe assumere un nuovo modello dispecializzazione produttiva, le attività di logistica, sia per lereti lunghe sia per le reti corte, potrebbero assumere unruolo di terziario cardine di un modello di sviluppoalternativo. Le piccole e medie imprese meridionalipotrebbero darsi la rete stretta come forma di governo ecompletare le filiere produttive di cui necessitano,assegnando ai paesi del Sud Mediterraneo le proprie fasiproduttive a maggior intensità di lavoro e fornendogliformazione professionale e beni strumentali. L’Italia e ilresto del Mediterraneo potrebbero così formare una nuovaautonoma area economica per fornire su scala mondialeun’offerta produttiva alternativa a quella dellemultinazionali e delle loro reti, un’offerta produttiva dallaparte del lavoro e dei lavoratori.Il sindacato, se vuole incidere, si deve assumere laresponsabilità politica ed intellettuale di proposte di talelivello e portarle nei tavoli nazionali di partenariato socialedove il governo concorda con le parti sociali l’uso dellerisorse nazionali ed europee. Le regioni di centrosinistra, seconcordi, possono fare lo stesso.2) Per quanto concerne il paradigma del fallimento di unaclasse dirigente meridionale, l’emergenza permanente deirifiuti di Napoli, Guido Viale lo propone da tempo

inascoltato: è sufficiente applicare le priorità dellanormativa nazionale, campana e dell’Unione europea:riduzione dei rifiuti, riciclo, recupero di ciò che èimpossibile riciclare, smaltire l’irrecuperabile; la Campaniaproduce 6/7000 tonnellate di nuovi rifiuti urbani ognigiorno, di cui in peso il 40 per cento sono imballaggi e il 10per cento prodotti usa e getta, di cui, in volume, vetro, carta,plastica e cartone occupano il 60 per cento in discarica e neicassonetti il 90 per cento dello spazio disponibile; ilrimanente è composto da materiale organico e mobili edelettrodomestici che non hanno specifici centri di raccolta.Per fermare tale flusso di rifiuti si deve: a) fino al ritorno allanormalità, proibire la vendita dei prodotti usa e getta: insostituzione dei pannolini, i comuni, potendo risparmiaresullo smaltimento, possono anche regalare a chi ne habisogno moderni prodotti lavabili (come avviene a ReggioEmilia) più economici, igienici e meno costosi da smaltire;b) proibire stoviglie usa e getta, e, temporaneamente, fornireservizi mobili di lavaggio a mense e fast food; c) bloccareall’uscita della catena distributiva tutte le bevande edetersivi in vuoti a perdere (tranne l’acqua minerale dovequella di rubinetto non è potabile) organizzando la semplicedistribuzione con riutilizzo del contenitore; d) imitando ilNord Europa e alcune distribuzioni italiane, eliminare tuttigli imballaggi superflui aspettando che tutti i distributoriabbiano i servizi logistici per garantire l’uso di vuoti arendere e dispensatori di prodotti sfusi. Nell’attesa, hic et nunc, si devono spacchettare alle cassedei supermercati e ai banchi dei negozi i prodotti acquistatiper inviare gli imballaggi superflui agli impianti diriciclaggio. I volontari di Lega Ambiente a Natale, con lacampagna “disimballiamoci”, hanno dimostrato aiconsumatori come disfarsi degli imballaggi superflui:analogamente i lavoratori campani addetti ad una raccoltadifferenziata inesistente possono essere utilizzati subito pertale azione di spacchettamento; essa deve essereobbligatoria sottolineando ai campani che è l’unicasoluzione per eliminare i cumuli di rifiuti. Ci sono i soldi?Assolutamente sì, sono una quota congrua dei suddetti 100miliardi. Basta programmarne la spesa con gli obiettiviappena descritti. La Sinistra in Consiglio e Giunta regionale,se vuole, può assumere questa proposta come priorità,usarla come strumento di battaglia politica, rivendicarla alleprossime elezioni. Ma anche il sindacato può fare suaquesta idea nei tavoli di partenariato sociale istituiti dallaregione Campania per la programmazione 2007/2013. 3) La soluzione sul lungo periodo dell’emergenza rifiuti èovviamente connessa con la generazione d’innovazione.Ricerca-innovazione-sviluppo? Si fa tanta retorica su questatriade, mentre nel 2006, secondo i dati Svimez, gli emigratimeridionali sono arrivati alla cifra di 260000 (compresi ipendolari). Non si toccava tale quota dal picco del 1962.Tanti sono diplomati e laureati, parecchi compongono lafamosa fuga dei cervelli. Citerò un esempio particolare cheassurge a paradigma universale del declino del nostropaese, della sua classe dirigente che non valorizza le sueintelligenze, della politica che non assolve il compito dellaprogrammazione pubblica (un’invenzione, è benericordarlo, nemmeno dello stato socialdemocratico bensì diquello liberale). Ridurre notevolmente i rifiuti a Napoli,eliminando il percolato e i pannolini? Alessandro Sanninopotrebbe farlo ma non trova finanziamenti adeguati.Sannino, ricercatore d’Ingegneria dei Materiali pressol’Università di Lecce, ha realizzato un idrogelo

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iperassorbente, un materiale in grado di assorbire un litrod’acqua in un grammo di materiale secco completamentebiodegradabile e biocompatibile. Quali applicazioni perl’idrogelo? 1) Per i pazienti dializzati, si ingerisce in formasecca, assorbe acqua dall’intestino per ridurre la quantitàdi liquido da eliminare durante la seduta dialitica: poiché ipazienti dialitici, lo 0,6 per cento della popolazione italiana,incidono per il 6 per cento sulla spesa sanitaria nazionale,è evidente il risparmio potenziale. 2) Potrebbe sostituirenei pannolini la parte assorbente interna, che, attualmentecostituita da prodotti non biodegradabili, aumenta la massadei rifiuti; 3) Potrebbe essere usato per assorbire ilpercolato dei rifiuti ed abbattere il quantitativo di sostanzetossiche rilasciate in atmosfera. In un’Italia normaleSannino guiderebbe un progetto presso l’Enea e invece ècostretto a vendere quote importanti dei risultati di questaricerca a fondi privati (Quantica Sgr di Milano e State StrettGlobal Investment, non degli stupidi, hanno fornito 1milione di euro: nulla rispetto ai 14 miliardi del ProgrammaRicerca dell’omonimo ministero): essi agiscono,legittimamente, per il profitto e non per il bene comune. Di Sannino sparsi per l’Italia ce ne sono tanti. Ilcentrosinistra dovrebbe ricercare figure simili e metterlealla guida di centri di ricerca pubblica opportunamentefinanziati dall’asse ricerca dei Programmi operativiregionali Fesr: sono tanti miliardi di euro che rendonotrascurabile il milione fornito a Sannino dai due venturecapitalist: eppure questi ultimi sono stati gli unicifinanziatori. Uno stato che non sostiene i suoi cervelli simerita il declino.Ho illustrato le possibilità ancora ampie per la Cgil didifendere meglio il lavoro e i lavoratori giocando un ruoloprotagonista nella programmazione con un’idea strategicadi sviluppo. Mi sovvengono i pensieri di due figure lontanema utili ancor oggi. Secondo Mazzini (credo nel 1834, allaFondazione della Giovine Europa) “l’Italia sarà ciò che saràil Sud”. E allora per uscire dal declino è bene riandare allospirito, non per similitudine data la fase completamentedifferente, ma almeno per analogia, delle parole diGiuseppe Di Vittorio in un dialogo ipotetico del febbraio1950 con l’allora presidente di Confindustria Angelo Costa.La conversazione è tratta dal volume della Laterza “StorieInterrotte” curato da Fabrizio Barca, Leandra D’Antone,Renato Quaglia. Dice Giuseppe Di Vittorio a Costa: “Lei miparla di condizioni che gli industriali hanno tollerato. Manon vede qual è la realtà profonda del nostro paese? L’Italiaè segnata dalla miseria, sia dalla miseria di quei milioniche non hanno lavoro o che hanno un lavoro minimo,insufficiente, sia da quelli che lavorano, ma per un salarioche non basta a garantire loro una vita decente… Ora stoper partire per il Nord e sa perché? Per aiutare i nostricompagni che stanno sostenendo dure lotte contro ilicenziamenti, contro le smobilitazioni industriali, per illavoro e la produzione. La Cgil non rivendica migliori salariper i suoi iscritti. Vuole una prospettiva di sviluppo pertutti i lavoratori italiani. Quel che la Confindustria e gliindustriali non riescono a dare al paese…”. Mutatismutandis, data la svalorizzazione del lavoro, il sindacatodovrebbe recuperare l’afflato del compagno di Cerignola.

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INTERVENTI

6Maurizio CalàSegretario generale della Cdlm di Palermo

Mi pare una discussione interessante, la considero laprima delle discussioni che dobbiamo fare nella Cgil con lestrutture del Mezzogiorno. È stato interessante l’approcciocon cui i nostri relatori hanno provato a mettere indiscussione alcune cose, dalla schizofrenia sindacale aglistereotipi culturali che stanno facendo opinione e scuolaanche nel campo dell’economia.È sempre complicato fare sindacato al Sud: ho sempregrande invidia per il mio collega di Milano perché lui nonha il problema di accettare il fatto che, per esempio, inSicilia si aumentano i dipendenti pubblici con i Pip, gli Lsu,gli Asu e quanti altri acronimi si possono mettere, perchéci sono 60.000 precari, che io non vorrei ma cheovviamente devo rappresentare e quindi devo andare achiedere i soldi per i precari, piuttosto che i finanziamenti.Oppure, che quando si va alla Regione a rinnovare uncontratto dei regionali noi chiediamo 100 euro secondol’inflazione e dall’altra parte ce ne danno 300, e diventacomplicato rappresentare qualcuno… Per questo hofrancamente qualche dubbio a fare un attacco allostereotipo tremontiano del Sud che spreca eccetera,dicendo che in fondo noi abbiamo governato bene.Francamente non me la sentirei, e immagino nessuno qui dentro, pur non accettando le descrizioni stereotipate e le esagerazioni.Il problema è d’altra natura: rimanda all’irrisolto delrapporto Nord-Sud. Il problema Nord-Sud è un problemanazionale, per le incidenze che ha sul sistema economiconazionale. Considerazione non di poco conto, che noi non

viviamo un problema soltanto meridionale, ma viviamo unproblema nazionale: il declino industriale del paese non èun problema del Sud, a dire la verità, è soprattutto unproblema del Nord. Faccio L’esempio della Fiat di TerminiImerese, La Fiat di Termini Imerese era il polmoneproduttivo della Fiat di Torino. Se la Fiat di Torino è indeclino perché l’industria dell’auto “declina”nazionalmente, è chiaro che i polmoni produttivi del Sud, oquello che rimane del sistema produttivo che comunqueera d’appoggio ai sistemi del Nord, hanno più problemidegli altri. Mettiamola così.La discussione sulle risorse locali è il punto centrale,dobbiamo però capire di che cosa discutiamo. In Sicilia,siamo già autonomi. Il federalismo lo abbiamo dacinquant’anni – e francamente qualcuno dice chen’avremmo fatto volentieri a meno, ma detto questo, ancheperché su questo si dovrebbe aprire un dibattito molto piùserio e complesso e non avremmo il tempo per farlo oggi –la questione delle risorse locali è molto semplice: laRegione e i Comuni hanno con le risorse ordinarie i bilancisostanzialmente bloccati dalla spesa “ordinaria”.Chiamatela come volete: ma insomma con il bilancio dellaRegione non riusciamo a fare più investimenti, perchépaghiamo stipendi pubblici (sono circa 17.000 i dipendentiregionali), poi ci sono le “aziende” partecipate dalleRegione con le quali si finanziano ulteriori sacched’assistenza pubblica.Il punto è che le uniche “risorse”in conto capitale che cisono, fresche, sono quelle che vengono dallaprogrammazione e dalle risorse europee. È vero che sonostati spesi i soldi ma il problema non è di quantità –ovviamente la discussione d’oggi e quella che dobbiamofare partono dal problema della qualità –. Tutte queste

Divari di sviluppo, federalismoe politichecontrattuali

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vagonate di soldi che cosa hanno prodotto in termini disviluppo? Qualche problema c’è e non possiamo ribattere aTremonti soltanto dicendo che mediamente i soldi liabbiamo spesi. Per cosa li abbiamo spesi? Questo è il punto.Questi soldi non hanno avuto sia un effetto che ha incisosullo sviluppo quanto, piuttosto – mi permetto di dirlo e lodimostrano le ultime elezioni in Sicilia con quasi l’80 percento dato a quel sistema di potere, non voglio dire centro-destra perché lì in mezzo ci sta di tutto, ma a quel sistemadi potere molte volte trasversale che lo difende – su unsistema di ripartizione assistenzialistica in cui lo scambioc’è, continua e avviene attraverso quei fondi, quelliregionali, quelli nazionali e quelli europei strategici.Questo è il punto. Va rotto questo meccanismo, dobbiamocapire come si rompe e dobbiamo capirlo evitando di fareharakiri, cioè evitando di dirci che il problema sono imeridionali e che se non ci fossero i meridionali in Italiasarebbe meglio…, evitando di prestare il fiancoall’operazione culturale tremontiana, per capirci.Però un problema di questa natura c’è e, paradossalmente,è la mancanza di programmazione, perché su che cosa siprogramma, adesso faccio un esempio, se la regione Sicilianon ha i piani-programma su ambiente, energia, rifiuti,trasporti… Come fa a fare la programmazione di tipoeuropea sui fondi strutturali? La programmazioneordinaria, allora, come si fa? La si fa sulla base di unaripartizione più o meno di scambio. La programmazione dicui dobbiamo discutere non è relativa a quanto spendiamoe se riusciamo a drenare tutte le risorse, ma è su come lofacciamo e quanto questo sia allineato e intersecato con ilsistema strutturale di crescita dello sviluppo della regione.I fondi strutturali in Sicilia sono utilizzati per tutto, cioènon sono più risorse aggiuntive, ma sono diventate risorseordinarie. Fanno la formazione con i fondi strutturali; mala finanziamo “sottobanco” con una parte dei quei fondi. Ela formazione professionale in Sicilia conta 8.000 docenti,professori, eccetera, organizzati dal sindacato, checontinuano a formare parrucchieri, eccetera, con tutto ilrispetto che ho per i parrucchieri, con qualcheproblemuccio di relazione con il mercato del lavoro. Eancora: Agenda 2000 ha avuto 40.000 interventi di cui20.000 sono per incarichi. 20.000 su 42.000 interventisono per incarichi, io non sono in grado di ricavarne sudue piedi una statistica. È impossibile e sarebbe troppofacile dire che anche questa è stata spesa “ripartita”, peròè chiaro che non è possibile che il 50 per cento degliinterventi venga collocato sul piano degli incarichi!Ovviamente c’è un problema di tipo strutturale – anchequi, io sto andando per punti per andare più veloce, mancatutto il pezzo che riguarda le infiltrazioni mafiose e lamafia – ma voi pensate veramente che il problemad’investimento al Sud sia soltanto incentivare qualcunoall’investimento? Oltre alle infrastrutture che non ci sonoe quant’altro, il punto centrale è quello della sicurezza chediventa fondamentale perché la realtà è che spesso nelMezzogiorno diventa complicato investire, perché sei fuorida regole e norme che controllano e che regolano i mercati“normali”. Ci sarebbe bisogno di un intervento particolaree ci sarebbe bisogno sapendo che c’è lì una realtàparticolare, perché senza intervento sulla sicurezza nonriusciamo ad andare avanti. L’altra questione è la totalemancanza della concertazione e questo è un punto, unnodo, che riguarda il sindacato, riguarda il nostro ruoloperché è chiaro che gli altri non hanno voluto fare

concertazione, perché hanno fatto quello che hannovoluto. Però il punto è che su questo non abbiamo dedicatosforzi, azione, non abbiamo dedicato forse anche tempo.Su queste cose dobbiamo agire.In Sicilia in queste ore – cose da matti! – il ponte sullostretto è diventato l’elemento di sviluppo del Mezzogiorno,diciamo la cartina tornasole, l’indicatore di sviluppo delMezzogiorno. Ma, attenti, è anche molto di più, perché cisarà da gestire il ponte e già si stanno modificando gliequilibri politico-mafiosi. La sanità era l’unico elementoall’interno dei bilanci regionali che consentiva l’equilibriodi potere del al sistema cuffariano che adesso si stamodificando e orientando tutto sul ponte, perché è chiaroche per il ponte arriverà una vagonata concentrata dirisorse su cui si stabiliranno i nuovi equilibri politici delMezzogiorno, in particolare della Sicilia.Un’ultima annotazione: vi faccio un esempio sui soldi chesono stati tagliati al Sud in modo particolare alla mia cittàPalermo per finanziare l’Ici; una parte ci sono stati ridati(ora vi dico quali, perché hanno tagliato ovviamentepassante ferroviario, anello ferroviario, tram, tuttequestioni infrastrutturali importanti), ci hanno ridato 55milioni d’euro che servono a finanziare gli Lsu, i precari delComune, chiaro? Ho dovuto dire, e non poteva esserealtrimenti, sì ai i55 milioni…Due ultime considerazioni. Dobbiamo fare una discussionemolto seria sull’autonomia e il federalismo perché io noncredo che la cosa possa essere liquidata così. L’autonomiain Sicilia è stata per molti versi una palla al piede nel sensoche avevamo la possibilità di legiferare, ma, se nonlegiferavamo, non valevano le leggi nazionali ed è andata afinire che su alcune questioni noi abbiamo avuto una pallaal piede. Ma non siamo in una condizione in cui si possaparlar male del federalismo e dobbiamo assumere le nostreresponsabilità. La questione federale delle autonomie vadiscussa a partire dal Mezzogiorno con una nuovaconcezione, ma va ridiscussa e da noi elaborata in unaforma che mantenga le solidarietà e che alla fine spinga sulfronte dell’autonomia e del federalismo, ovviamente conregole nuove rispetto al passato.La seconda e ultima considerazione riguarda la Cgil. Cidobbiamo dire la verità, non c’è fra noi, dentro la nostraconfederazione, una politica sul Mezzogiorno; non laabbiamo, non mi pare e noi siamo quelli più sensibili,diciamo. Questo determina un problema, perché non toccaalla Cgil essere risolutiva di tutti i problemi d’Italia.Peggiore è che non c’è un peso politico del Mezzogiornosul piano nazionale. Questo è il vero grave, enormeproblema. Nella maggioranza che sta governando, chepure ha livelli enormi di rappresentanza al Sud, non c’è unpeso politico meridionale. C’è la necessità da parte delsindacato di diventare elemento di pungolo, di tentareappunto di ribaltare gli stereotipi culturali di cui parlavoall’inizio, producendo un elemento d’aggregazionetrasversale rispetto a una politica che è di centro-destra,ma con la quale ci dobbiamo confrontare perché ilMezzogiorno, il grosso del Mezzogiorno, da quella politicaè governato. La Cgil deve riprendere una discussione eproporre un’idea di sviluppo del Mezzogiorno che ripetonon può essere quella più stereotipata, che deveaumentare il peso politico di tutto il Mezzogiorno, siaquello politico che quello sociale. È una discussione che vafatta. Spero e penso che questo sia un primoappuntamento e che prima della Conferenza di

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INTERVENTI

programma della Cgil si riesca a fare una riflessione – nonla voglio chiamare “conferenza”, perché se no ci sarebberola conferenza del Sud e quella del Nord, per carità – chefaccia partire un’iniziativa per il Mezzogiorno che indichialcune questioni che diventano nel nostro carnet elementid’azione sindacale giornaliera.

6 Italo StellonSegretario generale Cgil Molise

È molto utile questa riflessone tutta interna nostra che cipermette di confrontarci analizzando la situazione generalee, congiuntamente, i problemi reali con i quali fare i contitutti i giorni nelle singole realtà. La concretezza servemoltissimo così com’è indispensabile avere il quadroaggiornato e articolato della realtà sociale di ciascunterritorio nel quale siamo chiamati a operare. Lo dico perchéspesso siamo portati a riflessioni generiche, a sfruttareluoghi comuni, a non conoscere quei dettagli essenziali perpoter agire positivamente. Lo dico perché oggi mi rendoconto del valore dell’esperienza maturata facendo da dueanni il segretario generale del Molise: se avessi svolto altriincarichi, magari nella mia regione di provenienza, nonavrei quella lucidità necessaria a non confondere la realtàcon i luoghi comuni. Non avrei, in sostanza, acquisito queglielementi che caratterizzano positivamente o negativamentela vita di un territorio senza i quali va in secondo ordine ilvissuto delle persone, dell’economia, delle imprese, dellapolitica e qualsiasi altro elemento che influenza lo sviluppodelle comunità locali. Anche nel Molise, dopo una prima parziale ricognizionedell’esperienza programmatoria del 2000-2006, uno deifattori caratterizzanti i documenti di programmazione siesplicita con i concetti di “Concentrazione o di Diffusione”degli interventi. Certo la dispersione in mille rivoli dellerisorse non è il modo più efficace per determinare azioni disistema ma, tale condizione, non è di per sé portatrice di unvalore negativo nelle attività di sviluppo. Per questoconcordo con la semplificazione del concetto fattadall’assessore alla programmazione della Puglia che provoa riassumere così: l’efficacia delle azioni di sviluppo è nonsi misura con la quantità di interventi ma dalla capacità diindurre trasformazioni positive e di generare valoreaggiunto anche oltre alla semplice realizzazionedell’intervento stesso. Questa modalità presuppone lacapacità programmatoria, di controllo, di verifica deirisultati anche in corso d’opera, la disponibilità amodificare o correggere l’azione stessa. Questametodologia dovrebbe essere, ad esempio, lo strumento conil quale si analizza il 2000-2006 per non cadere nellasindrome che tutto è stato fatto male, o in quella opposta digiustificare tutto ciò che s’intendeva realizzareindipendentemente dai risultati raggiunti.Per questo, nel valutare la programmazione nel Molise2000-2006, abbiamo inteso adottare questo metro di misurache ci permette di esprimere un giudizio severosull’efficacia della programmazione intervenuta. Il nostro èun giudizio che si ritrova nelle osservazioni comunitarie aquella fase di programmazione e negli stessi documentiaccompagnatori della fase 2007-2013 predisposti dallaamministrazione regionale. La contraddizione nell’azionedella regione sta proprio in questo: da un lato si esprime un

giudizio severo sui risultati e sulle metodologie adottate peril periodo 2000-2006, contestualmente, nelle occasioni dievidenza politica, si giustifica tutto o, peggio ancora, ditrasformano metodologie e risultati discutibili in fattivirtuosi. La sindrome politica di giustificare anche ciò chenon può essere sostenuto nelle sedi tecniche! Si trattanormalmente di azioni che non hanno prodotto nessuncambiamento, nessuna trasformazione, nessun impattooccupazionale, nessun sviluppo territoriale. Non solo, sitratta di interventi che non produrranno nella prospettivaalcun miglioramento e che, anzi, spesso condizionanonegativamente gli elementi di crescita dell’intera comunità.Salvo che sul piano elettorale.Il sistema di relazioni nella fase di gestione dei fondistrutturali 2000-2006 è stato ovviamente influenzato daquesta situazione al punto che le organizzazioni sindacaliconfederali hanno unitariamente deciso di non partecipareai tavoli di un confronto che appariva significativamente dimera natura informativa. La stessa analisi del partenariatoimprenditoriale appariva molto severa. Basterebbe leggerela relazione annuale di Confindustria Molise del 2006 percogliere la profonda critica sia metodologica che di meritonei confronti della Regione Molise per le modalità adottatenella programmazione 2000-2006.Considerando però la rilevanza dei processi già avviati perla programmazione 2007-2013, Cgil Cisl e Uil del Molisehanno provato a riannodare i fili del confronto conl’obiettivo di influenzare le scelte che si dovevano compieree di sostenere tutte quelle azioni intese a favorire realmentelo sviluppo economico della regione e il miglioramento dellecondizioni di lavoro e di vita dei cittadini. Un primosignificativo risultato si è concretizzato il 19 marzo 2007con la sottoscrizione del protocollo di relazioni tral’amministrazione regionale e tutte le parti sociali. Risultatoimportante nato dalla pervicace volontà di sfidare laRegione sul versante delle politiche di sviluppo e perché icontenuti predisposti assieme all’Assessorato allaProgrammazione e le segreterie confederali, sono statiinteramente accettati dalle associazioni datoriali. Ma, comesi sa, non basta sottoscrivere una buona intesa se poi chi hala responsabilità primaria di garantirne l’efficacia,disattende gli impegni presi. È nei fatti saltato il concettoguida della concertazione e, ancora una volta, si èdeterminata la condizione di semplice ascolto, diacquisizione dei punti di vista senza cercare mai un puntodi convergenza collettivo e, normalmente, mantenendoinalterate le idee e le impostazioni della regione stessa.Certo, le differenze si sono evidenziate negli atteggiamentidei vari assessorati: c’è stata una discussione aperta con peril Fers, una discussione meno incisiva per il Por Fse, nessunconfronto per il Piano di sviluppo Rurale. Ciò che è mancatao comunque non ha ben funzionato è stata la cabina di regiapiù volte annunciata ma mai effettivamente praticata.La concertazione è una cosa diversa, si sviluppa a un tavoloin cui ciascuno mette le proprie osservazioni, ciascuno èdisponibile innanzitutto all’ascolto non pregiudiziale,ciascuno è alla ricerca della possibile sintesi comune.L’esempio più eclatante si è determinato proprio nella fasefinale della discussione sui vari assi di intervento.Confindustria Molise ha cercato una posizione comune conle parti sociali in un incontro poco partecipato: anche inquesto caso la stessa Confindustria ha chiesto il parere allediverse associazioni datoriali e sindacali e, a noi cheabbiamo su un punto esprimevamo un parere diverso e

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IL SUD TRA SVILUPPO E SPRECO

chiedevamo di evidenziarlo, la risposta è stata negativa.Non abbiamo preteso che gli altri condividessero il nostropunto di vista ma semplicemente di annotare a margineuna nostra diversa utilizzazione dei fondi Fas. La Regioneha ricevuto il documento confindustriale sottoscritto dauna parte importante del partenariato: nel contempo lestesse parti che avevano sottoscritto la bozzaconfindustriale si sono premurate di far pervenire lorospecifiche posizioni. La Cgil ha ovviamente mandato unsuo documento e la regione si è limitata a registrare l’inviodi tanti punti di vista ma non si è mai adoperata perverificare la possibile convergenza su una sintesi unitaria.La nostra diversità era determinata dalla sollecitazione diConfindustria di utilizzare una parte importante dellerisorse del Fas sulla costruzione del sistema autostradalemolisano. Un’opera di grande rilievo se pensata nella logicanazionale dei sistemi trasversali di collegamento traadriatico e tirreno. Un’opera costosa e poco significativaper l’economia molisana che necessita sì di una rete viariapiù adeguata percorrendo l’ipotesi di una strada ascorrimento sicura più che veloce, sul modello della OrteRavenna, della Bari Brindisi, dello svincolo per Potenza,della bretella Perugia A1, della Firenze Siena. Si è intesopercorrere la suggestione autostradale: 160 Km circa diautostrada, un primo tronco che si fermerà a Campobasso,un proseguimento futuro verso Termoli, 32 caselli percorrispondere ai bisogni di ciascun comune affacciato alfondovalle, per un traffico che rischia di essere estraneoall’economia molisana e di semplice attraversamento “piùcomodo” per i tanti Tir che dall’Adriatico al Tirreno eviceversa renderanno il percorso “Camionabile”.L’esempio autostradale vale per sottolineare che nonabbiamo un’idea strategica dello sviluppo. Gli interventisono parte delle promesse elettorali perché basterebbeleggere l’analisi della Camera di Commercio diCampobasso sui flussi di traffico e sulla mobilità molisanaper capire che serviva ben altro. E intanto si disegna uninterporto, si dice poco o nulla sul sistema ferroviario, non èchiaro se si pensi ad uno sviluppo industriale, del terziario,del turismo o dell’agricoltura per ridare tono allo sviluppomolisano. Il tutto passa esclusivamente per finanziamentiesterni alle risorse proprie del Molise. Il bilancio dellaregione Molise del 2008 è di 889.303 milioni di euro, di cuiben 726 sono destinati alla sanità. Ne restano 163 dei quali97 servono a far funzionare la macchina burocratica, 9.666utilizzabili per l’area della competitività, 6.965 per l’aereadel welfare, 244 per ambiente ed efficienza energetica,23.914 per territorio ed accessibilità, 25.249 per lagovernante. In sostanza si può affermare che non ci sonorisorse proprie disponibili. A ciò si aggiunge la condizionestrutturale del sistema industriale molisano. Se prendiamoi fondi Fers destinati all’innovazione, allo sviluppo dellacompetitività, a quella azione virtuosa di promuovereimprese in grado di generare a loro volta benessere e lavoro,bene, se prendiamo quei sfondi e cerchiamo impreseinteressate a investire nel cambiamento, rischiamo ditrovare un silenzio assordante. Il rischio allora è che si torni ai finanziamenti persopravvivere. Quelli che consentono alle imprese di tirareavanti, di non fallire subito e di scaricare sulla collettività laloro inefficienza alimentando cassa integrazione e mobilità.In alternativa risorse destinate alle grandi imprese: nelMolise di grande impresa ne esiste una sola, la Fiat diTermoli, ed è chiaro che interventi eventuali in quella

direzione possono produrre interesse nell’Azienda mabenefici inesistenti per la comunità molisana. Questo è il quadro a grandi linee molisano. Non ho parlatodell’Fse né dello sviluppo rurale. Il primo cammina in uninevitabile sincronia con le azioni di sviluppo. Senza diqueste si possono fare cose eccellenti dal punto di vistatecnico ma inutili a dare tonalità allo sviluppo regionale. Ilsecondo è l’incognita in mano a Coldiretti e alle clientelepolitiche della regione e delle amministrazioni locali.Due valutazioni politiche e ho finito. Le dico soprattutto perVera Lamonica che ha assunto questo un incaricoimportante di segreteria da qualche giorno. Credo chedobbiamo fare intersecare due tempi: quello dellaconferenza di programma che è un appuntamentoimportante, ma troppo lontano dalle nostre esigenze; equello della discussione ordinaria negli organismi perassumere decisioni rilevanti e di straordinaria importanzaper lo sviluppo delle regioni meridionali.Dobbiamo riportare l’analisi fatta in questa giornata e neirecenti appuntamenti che hanno coinvolto le regionimeridionali, all’interno del comitato direttivo. Al direttivo vapresentata un’ipotesi di iniziativa che colga i problemi oggianalizzati e traduca l’analisi in azione. Poi bisognaricostruire le alleanze a partire da quelle che due anni fa siespressero, Regioni e Imprenditori, con un importantedocumento di indirizzi che deve essere ripreso.Ciò vale a livello nazionale, regionale, e nell’intreccio tra leregioni per tutte quelle azioni che producono interventi disistema utili all’intera area meridionale se non all’interopaese. Per farlo dobbiamo riprendere un confronto dimerito, dove ognuno mette i propri punti di vista, li sostienecon analisi coerenti, li modifica se altri sono piùinteressanti. Ma le alleanze partono da una comunesensibilità sindacale con Cisl e Uil. Se devo misurarel’attenzione a questi problemi e la tensione sociale chedovrebbe caratterizzare i nostri punti di vista devoamaramente dire che Cisl e Uil sono impegnati in tutt’altrefaccende. C’è indifferenza che si misura in incontri dovenon c’è mai nulla da dire, non c’è approfondimento, non c’èneppure il punto di vista del lavoro inteso come strumentodi emancipazione per la gente che rappresentiamo. Con lapazienza del ragno tutto ciò va ricostruito o meglio costruito.Non bisogna fermarci alle statistiche e magari a quelletruccate per indicare che tutto sta andando un po’ meglio. Ciaspetta un grande lavoro, che si lega a ciò che sta accadendoa livello generale. Non possiamo aspettare.

6Mauro MacchiesiSegreteria Fillea Cgil nazionale

La Fillea Cgil ha tenuto nei giorni 11 e 12 giugno 2008 la sua“2° Conferenza Meridionale delle Costruzioni”.Focalizzando l’iniziativa su tre questioni prioritarie:sviluppo del sistema infrastrutturale del Mezzogiorno, casae innovazione in edilizia, riciclo dei materiali ed ediliziaecocompatibile. Visti gli interventi che hanno approfondito itemi legati agli investimenti il mio si limiterà allo sviluppodelle opere viarie e ferroviarie.I primi provvedimenti legislativi del governo Berlusconi chespostano risorse destinate ai lavori in Calabria e Sicilia, di làdalla portata quantitativa, costituiscono un segnale politicorilevante, perché inverte la programmazione del governo

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INTERVENTI

precedente, che prevedeva la realizzazione delleinfrastrutture con finanziamenti privati o a partecipazionepubblica – al Nord, perché in quale parte del nostro paese èpossibile realizzare “progetti di finanza”? –, poiché le operea tariffazione hanno una logica di mercato e dal Sud gliinterventi si basano su finanziamenti pubblici. Questosistema programmatorio consentiva di mantenere unequilibrio, che la stessa legge-obiettivo del 2001 prevedeva,con un rapporto di 48 per cento al Sud e 52 al centro nord.Le dieci priorità definite dal Ministro delle Infrastruttureper il triennio 2009-2011 non comprendono la Tav Napoli-Bari e la Salerno-Reggio Calabria. Viene invece inserito ilPonte sullo Stretto, dove il Piano finanziario già a suo tempoera debole, oggi è del tutto deficitario a detta degli stessiamministratori della società. I tecnici sostengono che ilProgetto è invecchiato e che una rivisitazione porterebbe adiminuire l’impatto ambientale e un risparmio di 1,600miliardi di euro, senza tenere contro che i recenti aumentidelle materie prime come i derivati del petrolio e gli acciairendono quell’opera sempre più velleitaria. Porsi ilproblema di recuperare il gap infrastrutturale nelMezzogiorno rispetto al resto del paese non è soltanto unaquestione di disponibilità finanziaria, ma è una questioneanche di contesto, nel mezzogiorno e più frequente che alNord i casi di lavori iniziati e mai terminati, a causa di lavoriandati in gara senza copertura completa, progettazionescadente, presenza della malavita organizzata sul territorio.A tale proposito in questi mesi abbiamo aperto un ”Focussulla Calabria”. Quattro maxilotti per complessivi2,200miliardi di euro, due sulla Salerno-Reggio Calabria edue sulla ss. 106, i cui lavori dovevano essere iniziati dueanni fa invece solo uno è in piena produzione, uno stainiziando in queste settimane, per due ancora non èprogrammato l’inizio dei lavori. Questi ritardi in partedovuti al fallimento delle procedure della Legge Obiettivo,ma in gran parte dovuti alla presenza della malavitaorganizzata, i continui attentati nei cantieri, le difficoltà areperire i materiali di inerti e calcestruzzo proveniente dalavorazioni non inquinati delle organizzazioni malavitose,mette in dubbio anche il proseguimento dei lavori in corso.Come Federazioni sindacali delle costruzioni di Cgil Cisl Uilabbiamo elaborato delle proposte che riteniamo possonoessere utili alla prevenzione e alla Bonifica del territorio:1. Il servizio per l’Alta sorveglianza delle grandi opere dovrà

essere strutturato, sul territorio, con unità operative inogni Prefettura, in modo tale da bonificare lo steso erendere più cogenti ed efficaci gli strumenti di controllo eprevenzione delle infiltrazioni delle attività malavitose;

2. al Contraente generale (l’aggiudicatario dei lavori)occorre consentirgli il superamento delle percentuali diaffidamento dichiarate in sede di gara, e dispone affinchélo stesso dovrà essere vincolato a “introitare lelavorazioni oggi esternalizzate”.

3. Obbligo a carico del Contraente generale dellaproduzione diretta nell’area di cantiere della produzionedel calcestruzzo.

4. Occorre prevedere nei capitolati di appalto l’obbligo delriciclaggio dei materiali proveniente dalle escavazionidovuti alla lavorazione per la realizzazione dell’opera.

5. Occorre procedere alla confisca delle cave senzacertificazione antimafia e alla nomina dei Commissari eActa per la gestione delle stesse.

6. Presso le Prefetture vanno realizzati degli Osservatori ingrado di monitorare i flussi di manodopera.

L’abbandono dei lavori di imprese a qualsiasi titolo presentenei cantieri sarebbe una sconfitta della democrazia e dellostato. La Cgil e le Federazioni di categoria devono provare amettere in pratica quanto deciso all’ultima conferenza diorganizzazione, quello di ripartire dalla vertenzialità sulterritorio, quello dello sviluppo del Mezzogiorno puòcostituire un terreno fertile su cui misurare la nostracoerenza e riuscire a costruire delle vertenze che mettono insintonia le Grandi Infrastrutture e lo sviluppo locale.Vertenze intorno alle quali costruire la coesione sociale perrilanciare le politiche sul territorio e dare un contributo piùcomplessivo alle politiche della Cgil.Per quanto ci riguarda nei rapporti con questo governooccorre dotarci di sistemi in grado di teneresott’osservazione gli impegni di spesa già assunti e chiederela dovuta coerenza. Il quadro generale che abbiamo nelleotto regioni meridionali per gli investimenti ininfrastrutture con gli accordi stato regioni ed allocati nelDpef 2008/2011 è di 66 miliardi di euro e la disponibilitàfinanziaria è di circa il 30 per cento. Nel chiedere coerenzanel mantenimento di questi impegni da parte del governo,occorre monitorare le procedure per creare le condizioni dispendibilità e cantierabilità di tali risorse.Il piano decennale delle infrastrutture strategiche dellalegge obiettivo del 2001 prevede un valore di 174 miliardi dieuro (già deliberati dal Cipe 115,6 miliardi di euro,disponibili 60 miliardi di euro: quindi ne mancano 113miliardi da reperire nei prossimi quattro anni). Nelfrattempo servono 55,6 miliardi di euro per portare avanti leopere già deliberate su tutto il territorio nazionale.Per le esigenze dell’Anas e Rfi nel prossimo triennio, per losviluppo e manutenzione della rete attuale sono previsti22,2 miliardi di euro nella finanziaria 2009 non c’ènemmeno la posta di bilancio. Nella 10 priorità previste nelprossimo triennio del Mezzogiorno c’è solo il Ponte sulloStretto che come già detto in precedenza è un’operavelleitaria e se pensiamo che nel prossimo trienniodovranno partire due opere cui siamo vincolati da accordiinternazionali come la Torino-Lione e il Brennero, che laquota parte dell’Italia corrisponde all’ammontarecomplessivo delle ultime tre finanziarie per i lavori pubblicidel nostro paese. Proprio sulle risorse finanziare, nasce laprima perplessità, poiché, se è vero che alle otto regioni delMezzogiorno la “Legge Obiettivo”, la “Legge Obiettivo”, hadestinato risorse finanziarie pubbliche pari al 42 per centodell’ammontare complessivo, è altrettanto vero che:- il 42 per cento del costo delle opere, si raggiunge con iprogrammi destinati ai sistemi idrici i quali, sonoprogrammati, con poche disponibilità finanziarie, solo inquesta area del paese;- lo scarto, in percentuale ed in importo assegnato, esistentetra il costo delle opere e le risorse finanziarie da reperire, perla copertura dei programmi di intervento riguardanti ilCentro/Nord Italia, rispetto a quelli di pertinenza del Sud delpaese, scende, attestandosi intorno al 25/30 per cento.Quanto sopra sta a significare che, mentre nelle aree delCentro/Nord Italia, un qualche ragionamento diprogrammazione temporale si può fare, nelle regioni del Suddel paese, diventa arduo e complicato pensare a come,quando e dove programmare l’avvio di un’attività economica.Quindi, il reperimento delle risorse economiche e lacertezza della copertura finanziaria, rimane la questionecentrale di ogni ragionamento sulla programmazionetemporale e sulla costruzione di opere infrastrutturali. E

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diventa “la problematica di massima criticità” dalla qualepartire per costruire una proposta, compatibile con ilquadro economico nazionale. Nell’insieme del pacchettodelle priorità e nell’individuazione dei canali difinanziamento pubblici o privati certi, è possibile affrontareanche la questioni della destinazione dei fondi difinanziamento dell’Unione europea, in un contesto, però,nel quale che i fondi dell’Ue devono essere aggiuntivi e maisostitutivi a quanto già destinato dal bilancio dello Stato odagli Enti locali, oppure, da risorse finanziarie di operatorieconomici privati. Un siffatto sistema, ancorché che puòrappresentare una soluzione alla questione finanziaria(altri sistemi, diventano puramente sostitutivi alle risorsefinanziarie dello Stato e non invece aggiuntivi così com’è lanormativa europea), può essere lo strumento gestionale,attraverso il quale, si creano le condizioni per “seminare” lecertezze alle popolazioni meridionali, al mercato produttivoe occupazionale. Nell’altro caso, quello di allocare, alleinfrastrutture pubbliche, solo i finanziamenti dei fondiaggiuntivi, l’ampiezza del gap infrastrutturale tra le zonedel Centro/Nord Italia e quelle Sud è destinato adaumentare; così come, però, è destinato ad arretrare l’intero“sistema paese” nei confronti degli altri paesi europei. Per il sindacato, l’impegno di rendere operativo l’interoPiano delle priorità, è la prima delle necessità, soprattuttonelle aree più deboli del paese; poiché, proprio le aree piùdeboli del Paese che, quasi sempre, coincidono con quelledel Meridione, soffrono ancora delle scelte non compiutecon le leggi straordinarie per il Mezzogiorno (ad esempio: larealizzazione delle 57 dighe nel Meridione comprese nelprogramma “Acqua”, o degli interventi finanziari destinatiad “accontentare” e non a programmare lo sviluppoeconomico e produttivo nel Mezzogiorno.Per quanto riguarda il programma “Acqua”, progettato allametà degli anni 50, iniziato nei primi due anni del 1970,ancora oggi non è ultimato, nonostante la penuria d’acqua,della quale soffre il Mezzogiorno d’Italia. A conferma diquanto appena sostenuto, il Piano delle Priorità, prevede larealizzazione di alcune opere di questo programma “Acqua”come: lo schema idrico Basento-Bradano nella regioneBasilicata. Il completamento degli schemi irrigui dellaPuglia – comprensorio Ofanto e Rendina –. I quattroprogetti della regione Sardegna. I tre progetti della regioneSicilia – in particolare, il progetto Favara di Burgio e quellodi Gela Aragona –. In una siffatta situazione, fatta diclientelismo, di favoritismi e di “opportune” non scelte, siscontrano gli interessi nel Mezzogiorno. Questo scontro,investe alcune aree del Meridione le quali, sopportano unaberrante abbandono e degrado, dovuto anche da unadevastazione dell’abusivismo. Diversamente da questiscenari, in queste aree – e non solo in quelle del Meridione–, è indispensabile e urgente che lo Stato eserciti tutte le sueprerogative e inizi a dare forti segnali di discontinuitàrispetto il passato come, ad esempio, il ripristino dellefunzioni della “cabina di regia” a suo tempo costituita, ma,per quanto a nostra conoscenza, “poco praticata”.Crediamo invece nelle funzioni di una “cabina di regia” laquale, assolva il compito di monitorare l’andamento deiprogrammi del Piano delle priorità e intervengaprontamente per “sciogliere” i nodi che si frappongono trale scansioni temporali definite e la realtà realizzativa. Pernoi, questa “cabina di regia”, ha la necessità, in primis, diun forte coordinamento tra i ministeri interessati agovernare lo sviluppo economico, produttivo, occupazionale

e imprenditoriale del nostro paese. In mancanza di questocoordinamento, più o meno forte, ogni ministero intervienecon proprie scelte, senza confrontarle con gli altri soggettiche operano sul territorio. Questo modo di progettare egovernare lo sviluppo del territorio, inevitabilmente,porterà, nella migliore delle ipotesi, ad incomprensioni, atutto discapito del paese. Quindi, una “cabina di regia”quale luogo d’incontro, di dialogo e di ricerca dell’efficienzaper promuovere il “fare”, e per fluidificare le operazioniburocratiche. Altresì, dev’ essere pronta a intervenire pereliminare gli impedimenti che si frappongono tra le volontàdella Committente e il rispetto dei tempi e dei costinecessari alla costruzione di un’infrastruttura. Con questipresupposti siamo convinti, che i soggetti, componenti la“cabina di regia”, sono in grado di avviare un circuitovirtuoso tra le stazioni appaltanti e gli operatori economicionesti e, tra questi e le forze del lavoro. Questo “incontro” trai vari soggetti interessati ad un diverso modo di operare nelterritorio, e la partecipazione politica e tecnica della “cabinadi regia” genera, oltre a quel circuito virtuoso appena detto,embrioni di certezza tra i cittadini poiché sentono lapresenza dello Stato nel loro territorio.Per questo, la costituzione di questa “cabina di regia” deverappresentare anche un modo diverso di fare laprogrammazione dello sviluppo del territorio; vale a dire,che la programmazione delle opere per un determinatoterritorio devono essere fatte con quel territorio e con lapartecipazione dei rappresentanti Istituzionali dei cittadinidi quel territorio, così com’è stato fatto per l’individuazionedelle infrastrutture da inserire nell’elenco del Piano dellepriorità. In altre parole, è necessario allontanare il pericoloche i programmi sono decisi “dal Centro per la periferia” o,ancora peggio, programmate contro le volontà del territorio.Quindi una “cabina di regia” che assuma la funzione di uncentro di controllo forte, autorevole e partecipato: dallo Statoin tutte le articolazioni, dagli enti interessati allarealizzazione dell’opera, dai soggetti portatori d’interessi,sani e onesti, diffusi sul territorio. In assenza di un centrocosì fatto, la costruzione di una qualsiasi infrastrutturadiventa un affare fine all’affare stesso, e si perderebbequell’unico rapporto, costi-benefici, dal quale dipende omeno la costruzione di una piccola o grande opera. Infine riteniamo che, se nelle aree del Meridione (ma anchenelle altre) fossero realizzate le opere infrastrutturaliprogrammate (ovviamente, rispettando i tempi e i costipreventivati) e le stesse aree fossero diversamente utilizzatee sfruttate, rispettando e valorizzando l’ambiente e l’ecosistema esistente, queste aree possono diventare unagrande risorsa produttiva ed economica per tutto il paese.Di notevole importanza sono i programmi d’intervento per ilavori d’ammodernamento dell’Autostrada Salerno-ReggioCalabria. Questi programmi riguardano sia i sette macro-lotti e sia i restanti tratti lasciati fuori dai macro-lotti.L’insieme di questi programmi – che interessano oltre 300chilometri di autostrada su 440 dell’intero itinerario – e illoro inserimento nell’elenco delle opere del Piano dellepriorità, fermo quanto detto al capitolo “le opere prioritarienelle otto regioni del Sud”, fanno sperare che è stataintrapresa una direttrice di marcia diversa e più rapidarispetto quanto fino ad ora fatto. Analogo discorso, lodobbiamo fare per i programmi di costruzione della “Nuovastatale ionica”. Nel merito degli altri comparti diinfrastrutture, oltre a quanto detto in precedenza a riguardodegli schemi idrici, sono di particolare importanza i

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programmi di intervento sulle tratte ferroviarie. Inparticolare vogliamo ricordare gli 8.570.000.000 di euro pergli interventi nella regione Sicilia; i 5.673.010.000 di europer gli interventi nella regione Campania; i 4.273.350.000di euro per gli interventi nella regione Puglia.Rivestono grande interesse i programmi sulla trattaferroviaria Messina-Palermo (per nostra memoria, vale lapena di ricordare che quest’intervento era inserito nel PianoIntegrativo dei Trasporti – 1985 –). I programmi diammodernamento ed efficentamento della tratta ferroviariaBattipaglia-Reggio Calabria. Gli interventi sulle tratteferroviarie nella regione Sardegna. Inoltre, di notevoleimportanza sono i programmi nella regione Basilicatagiacché, quelli sull’area di Potenza mettono incomunicazione il polo industriale di Melfi e la provincia diPotenza, da un versante verso la dorsale tirrenica e dall’altrosulla dorsale adriatica, mentre, quelli sull’altra provincia,sono finalizzati a dotare la provincia di Matera di un sistemaferroviario, gestito da Rfi, in grado di collegarsi, da una parte,con Ferrandina quindi con la linea tirrenica, dall’altro, conl’ausilio di un gestore privato, verso Modugno Bari.Per definire le priorità vanno assunti almeno tre parametri: a) le opere i cui lavoro sono in corsa;b) le opere con procedura di affidamenti definitivo;c) le opere con procedura di gara pubblicata in ordine di

importanza.

6Giuseppe ErricoSegretario generale della CdLM di Napoli

Sono qui e sto ascoltando diligentemente e mi fa moltopiacere questa discussione; ovviamente ho delle perplessitàsulle questioni sollevate. È vero, come ha detto Ugo Marani,la questione meridionale c’è, esiste e si ripropone e io nonso se la Cgil sarà in grado, farà, riuscirà a fare quelragionamento complessivo che sentivo poc’anzi volermettere in piedi con una riflessione alta sul Mezzogiorno;ho dei dubbi. Ho dei dubbi, perché la questione meridionalea volte appare e scompare anche nelle nostre discussioni.Possiamo dare per scontato che una prossima discussionedel direttivo della Cgil si occuperà delle questionimeridionali meglio di come ce ne siamo occupati noi inquesti anni? Abbiamo aspettato 15 o 20 anni per avere unanuova responsabile non del Nord, meridionale, a dirigerequesto pezzo dell’organizzazione e delle politicheconfederali e le facciamo tanti auguri.Vorrei partire dalle difficoltà che abbiamo e quindisostanzialmente dalle cose che diceva Marani; su quantoabbiamo speso e se abbiamo speso bene o male. Spese pergli investimenti non ne abbiamo più fatte o le abbiamo fattemale. Siamo riusciti a portare risposte alle questioni cheabbiamo posto in questi anni oppure abbiamo utilizzatoqueste risorse, com’è stato detto anche dal compagno dellaSicilia, e da tutti quanti – e come mi pare sia stato così nonsolo in particolare per opera dei governi di centro-destra, maanche di centro-sinistra –, per spesa ordinaria, dandorisposte ad alcuni elementi di difficoltà che c’erano nellenostre regioni? Queste spese hanno portato aumento disviluppo, occupazione? Mi pare di no, dati Istat alla mano.Marani si è soffermato sulla vicenda dei giovani che vannoal Nord, sottolineava che la vicenda dei giovani non è più uneffetto dello “spostamento di mobilità” come nel passato.

Pure noi vedevamo con enfasi e con piacere che si andava aReggio Emilia e molte volte mi ricordo che c’è stato unrapporto fra noi e i compagni di Reggio Emilia per ragionareintorno a questo fattore di mobilità. Ma non è più così. Sitratta, di nuovo, di vera e propria emigrazione. Tutto il ragionamento che stiamo facendo, impattaovviamente con le difficoltà che ci sono, con i problemi cheabbiamo avuto e con le questioni che dovremo affrontare estiamo affrontando anche con questo governo sullequestioni del Dpef, sulle questioni del Mezzogiorno, sullequestioni della Finanziaria. Gli effetti negativi di questamanovra sono ovviamente forti per tutte le Regioni e inparticolare per le Regioni meridionali, perché queste nonpotendo aumentare le imposte dovranno distogliere risorsee tenteranno di ridurre i servizi, tenteranno di aumentare lacompartecipazione sulla spesa sociale, sulla spesa dellasanità, come stiamo vedendo in questi giorni. Saremoancora di più affossati da questo tipo di problemi.Allora cosa fare? A fronte di risorse calanti per tutte leRegioni, ed in particolare per le Regioni meridionali, ilragionamento che stiamo facendo è quello di concentrare ecoordinare gli interventi e la programmazione tra i diversisettori e i settori meridionali. I settori strategici lo sappiamo quali sono, sono stati detti,c’è tutto l’elemento della portualità, c’è il ragionamentodelle reti che noi abbiamo fatto per quanto riguarda ilMezzogiorno, la Campania, la Puglia. Preoccupa anche mese oggi si ripropone il problema del ponte dello Stretto diSicilia e si dimentica la vicenda Salerno-Reggio Calabria. Gli interventi vanno coordinati e concentrati, quindi, versola ricerca, verso il sistema produttivo, verso le infrastrutturedi supporto. Questo vale ovviamente anche per i servizi pubblici locali.Sui rifiuti. Non è un problema solo nostro, perché poi conquesta cosa dei rifiuti si parla sempre della Campania – laCampania e va bene, siamo sommersi dalla mondezza –. Maqui c’è un problema nazionale: quello di non aver saputofare una politica dei rifiuti, così come una politica dellerisorse idriche, dell’energia, ecc. e ce ne accorgeremo. Nonmi auguro il peggio. Mi auguro che gli interventi che ilPresidente del Consiglio si è impegnato a fare a lugliosaranno risolutivi. Lo stesso Niki Vendola in Puglia stacercando di affrontarli. Fino ad oggi tutto questo non è statofatto. C’è una responsabilità? Io penso di sì, c’è unaresponsabilità di tutti noi.Manca la concertazione. “Non c’è stata concertazione” è unariflessione che la Cgil dovrebbe fare. La mancanza diconcertazione non è solo un problema di Napoli e dellaCampania, mi pare di capire che è un ragionamento che staanche in altre realtà. Come recuperiamo questo tipo diproblema, che tipo di ragionamento costruiamo rispetto alleRegioni e ai Comuni che le risposte su queste questioni nonle danno? Come rispondiamo? Sulla risposta da dare, suilivelli di mobilitazione, sulla sanità ad esempio, ci sono stateopinioni diverse con il Centro confederale e tra la CgilCampania e Cisl e Uil. Sulla sanità, è stata fatta unadiscussione confederale, proprio qui in questa sala qualchegiorno fa, discussione alla quale ha partecipato MorenaPiccinini. Sulla sanità ritorneremo perché quei tagliincideranno sul sociale e ridimensioneranno le spese dellasanità e la Campania non è una Regione “virtuosa” come laLombardia e quindi avevamo il prestito. Abbiamo questa specificità in più rispetto agli altri,ovviamente poi valuteremo anche noi come e cosa

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riusciremo a fare. Nei servizi pubblici la dimensione delleaziende pubbliche locali è sostanzialmente insufficiente perla dimensione dei problemi che abbiamo. C’è la necessità di forme di collaborazione nei rapporti traimprese dei servizi anche con quelle del Centro-Nord, per irifiuti, ma anche per quanto riguarda l’energia, l’acqua, ecc. Abbiamo la necessità di ridiscutere la questione deldimensionamento anche con il sistema delle imprese.Bisogna scegliere di puntare ad una crescita delle imprese.“Il piccolo è bello”, si diceva – lo ricordava Marani – e anchenoi siamo stati dentro quel ragionamento. Ma ora, dobbiamocapire quale ruolo vuole assumere la Confindustria.Ovviamente, parlo anche delle nostre associazioniindustriali, degli industriali che abbiamo nel Mezzogiorno.Verifichiamo se ci sono le condizioni per puntare e lavorare,verso la crescita della dimensione di impresa con forme dipremialità e di supporto alla crescita. Abbiamo bisogno di tutto questo; abbiamo bisogno che lestrutture sindacali regionali meridionali sulla vicenda dellerisorse, sulla difficoltà delle risorse stiano un po’ più attente.Se l’iniziativa di oggi fosse un’iniziativa per vederci tuttiquanti qua e nella quale ognuno dice la sua come sfogo epoi se ne ritorna a casa e se si misura o non si misura con laRegione, con gli enti locali, diventasse un problema tuttosuo da riportare poi ad un’altra discussione, non mistarebbe bene. Non mi starebbe bene, perché abbiamo la necessità diessere coordinati su questo tipo di ragionamento, di esserecoordinati con una proposta e la proposta deve partireattraverso una riflessione che coinvolga anche Cisl e Uil. La Cgil è forse più attenta a queste questioni, ma in Cisl eUil non c’è assolutamente questa attenzione; non c’èun’attenzione né locale, né nazionale. In queste condizioni dove pensiamo di andare? C’è lanecessità di creare un osservatorio di verifica per l’insiemedella spesa, di verificarla per un ritorno effettivo sul sistemameridionale che produca effetti e miglioramenti nel sistemaeconomico sociale; abbiamo necessità di proposte; abbianonecessità di lavorare nei nostri territori. Se questo lavoro sarà supportato da idee, da proposte, dainiziative, vorrà dire che sì la questione meridionale c’è,c’era e c’è sempre stata, e viene riproposta con minore omaggiore enfasi, ma che sapremo dare risposte. Se non le daremo, aumenteranno i giovani che tornerannonel Nord come migranti e noi ne faremo solo una questionepolitica perché poi giustamente potremo solo parlarnesenza dire niente di nuovo o parlar d’altro, perché sullaquestione meridionale si è scritto tanto, ci sono tanti libri,ne parlava Di Vittorio, ne parliamo noi, ne parleranno glialtri con pochi risultati. Non abbiamo bisogno di questo. Mi auguro che la Cgil diaprime indicazioni concrete, elaborando con Cisl e Uil unarisposta legata anche alla nostra discussione sulfederalismo fiscale. C’è chi non vuole questo federalismo:conviene, non conviene, a chi conviene? Avremo solo unaproposta di Formigoni o avremo anche un’idea nostra sulfederalismo? Su tutto questo dovremmo continuare a lavorare. Mi auguroche il ragionamento di oggi sia in continuità con le cose cheabbiamo fatto nei mesi passati. La Cgil lavora su queste questioni. Faremo il nostro, apartire da dove noi lavoriamo, però Roma sa bene qualisono le questioni e di che dimensione e, soprattutto, cosa sifa per affrontarle.

6Mimmo PantaleoSegretario generale Cgil Puglia

Vorrei partire da alcune riflessioni sullo scenario perchénon possiamo ragionare di Mezzogiorno se non partiamodal quadro generale sul versante economico e sociale, daicambiamenti di questi anni per elaborare risposte chestiano dentro i processi reali, le potenzialità ma anche irischi di un più accentuato divario tra Nord e Sud cheminerebbe ulteriormente la coesione e l’unità dell’Italia.Come è noto le previsioni di crescita del paese sono stimateallo 0,5 e per il Mezzogiorno praticamente zero se nonintervengono novità sul versante internazionale e se non sirilanciano i consumi interni e gli investimenti. I trendstorici ci indicano le seguenti dinamiche: quando il nostroPaese complessivamente cresce il Mezzogiorno crescequasi sempre meno, quando rallenta arretra molto piùsensibilmente ed è da questa dura realtà che bisognerebbepartire nelle scelte del governo.I dati pubblicati ultimamente, da tutti i maggiori centristudi, ci dicono come i divari tra Nord e Sud si allarganorispetto a tutti i fattori presi in considerazione, da quelli dicarattere produttivo, all’occupazione, alla precarietà dellavoro, alla spesa sociale, alle povertà, alle retribuzioni, allaqualità complessiva della vita. Le stesse fonti indicano come nei prossimi anni non ci saràalcun miglioramento nelle tendenze e anzi la forbice siallargherà ulteriormente.Le politiche economiche e sociali del governo Berlusconi,non solo ignorano del tutto quella condizione, marimuovono qualsiasi idea strategica, oltre a tagliare ingentirisorse, sul come e con quali strumenti intervenire conrischi evidenti di regressione civile e sociale. L’operazione dei tagli agli investimenti, senza alcuna logica,la revoca e l’accentramento delle risorse da parte diTremonti, la drastica riduzione della spesa sociale, a partiredalla sanità, la deregolamentazione del mercato del lavoro,oltre a non sostenere la crescita del paese, nei fattipenalizzano in forte misura il meridione, accentuandonetutte le fragilità.Le grandi opere strategiche sono tutte concentrate nelle areedel centro-Nord e nello stesso tempo Tremonti si appropriadelle risorse già programmate dalle Regioni per fareoperazioni clientelari e discrezionali in maniera tale darafforzare un ampio blocco sociale e di interessi intorno algoverno di centro-destra. In quella logica si mandano segnalidevastanti sulla possibilità di ritornare a forme di illegalitàdiffusa, non rispettando la legalità, basti pensareall’allentamento della lotta alle evasioni fiscali, al lavoronero, alla possibilità di eludere le normative in materiaambientale e della sicurezza, al ridimensionamento deidiritti nel lavoro. Se non affermiamo una radicale svolta nellescelte generali del governo non andiamo da nessuna parte eperaltro può arretrare quella faticosa opera di costruzione dianticorpi contro mafie, fenomeni di corruzione e diviolazione della legalità realizzati negli anni scorsi.Altro punto di riflessione riguarda il rapporto tra quantitàdelle risorse a disposizione, qualità della spesa esuperamento dei nodi strutturali. Occorre fare unaoperazione verità a proposito degli sprechi. Oltre il 50 percento della spesa storica è andata a favore delle imprese enon dei bisogni più complessivi delle popolazioni

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INTERVENTI

meridionali, con l’idea che più risorse si sarebberotramutate automaticamente in più posti di lavoro.Tantissimi soldi sono andati alle imprese sotto diverseforme dalla 488, con tutte le degenerazioni riscontrate dicui si sta occupando la magistratura, al credito di impostaper le attività produttive, ai contratti d’area, ai contratti diprogramma che sono stati uno dei pochi strumenti che inPuglia hanno funzionato, a diverse forme di incentivazionipreviste dagli interventi comunitari. Non ho mai sentito da parte della Confindustria e delleassociazioni imprenditoriali una seria autocritica suirisultati non in linea con la quantità di risorse impiegate esul fatto che in parti ampie delle imprese si è fatta strada laconvinzione che il fine fosse quello di ottenerefinanziamenti piuttosto che mettere in campo progettiindustriali innovativi, attraverso un rapporto con la politicavista come intermediaria per ottenere benefici in modo deltutto discrezionale. Quella fase va chiusa puntando maggiormente sullecondizioni di contesto e finalizzando gli incentivi su pochiobiettivi: innovazione, crescita dimensionale, attraverso ilsostegno alle aggregazioni d’imprese,internazionalizzazione. In Puglia, da parte della Regione, siè proceduto esattamente in quella direzione e con un ampioconsenso sociale, si è passati da 19 forme di incentivazioni a5 con procedure più snelle.Il Mezzogiorno ha bisogno di politiche industriali checonsentano, non solo l’estensione delle presenze industriali,ma soprattutto l’affermazione di nuove specializzazioniproduttive, della maggiore articolazione delle filiere neisettori tradizionali e nell’agricoltura, di un maggiore numerodi imprese di media dimensione. L’attrazione di investimentiesterni deve essere fortemente indirizzata verso quegliobiettivi, evitando, come successo nel passato, insediamentirispondenti più a logiche di delocalizzazione di processiproduttivi che dopo qualche anno sono stati spostati altrove osemplicemente chiusi, piuttosto che a garantire la crescita eil consolidamento di sistemi industriali all’altezza delle sfideglobali. Ma se non partiamo dalla difesa di quelle parti delsistema industriale in crisi in tante parti del Mezzogiorno,penso ai salotti dove abbiamo perso già 9 mila posti di lavoroe corriamo il rischio del ridimensionamento e in alcuni casidella chiusura delle principali aziende leader, alleristrutturazioni continue nel tessile-abbigliamento-calzaturiero, alle difficoltà crescenti nel comparto agricolo,all’aumento del ricorso alla cassa integrazione rischiamo unarretramento in tante aree con risvolti sociali drammatici.Naturalmente non dobbiamo assumere un atteggiamentotutto difensivo ignorando i tanti fatti interessanti. Nei settoriche ho citato vi sono tantissime imprese che si sonoriposizionate in termini di marketing, di prodotto, diorganizzazione ottenendo risultati importanti in termini dicompetitività. Come pure si afferma una maggiorediversificazione attraverso investimenti nelle energiealternative, della meccanica e nel settore aeronautico conprocessi virtuosi sullo stesso indotto. Il restante 50 percento delle risorse utilizzate ha riguardato le infrastrutture,crescita delle competenze, innovazione e ricerca. Se analizziamo gli interventi infrastrutturali che attengonoa una pluralità di settori dai trasporti, all’irriguo, alle retimateriali ed immateriali l’analisi andrebbe articolataperché i risultati sono stati molto diversi. Hanno avuto inalcuni casi un impatto positivo, in altri non hanno risolto iritardi strutturali, in altri ancora sono rimaste opere

incompiute. Nella mia Regione gli investimenti sulle retiferroviarie hanno consentito di avere i doppi binari, pensoalla Bari-Lecce, l’elettrificazione di quasi tutte le tratte,garantendo una migliore e più veloce mobilità di merci epersone. Non si sono integrati adeguatamente al trasportolocale e giustamente la Regione investe prioritariamente inquella direzione, così come pure non si è investitoadeguatamente sul materiale rotabile. Se parliamo di opere irrigue dobbiamo ammettere che nonabbiamo avuto gli stessi miglioramenti perché si è investitotroppo sulle dighe, poco sulle reti di trasporto, suidissalatori, sul recupero delle acque reflue per l’agricoltura;sulla portualità abbiamo avuto un notevole impatto positivopenso a Taranto ma anche a Brindisi e Bari, con lo sviluppodel sistema portuale che assume sempre di più unarilevanza strategica nel Mediterraneo. Così pure i processidi ammodernamento nel sistema aeroportuale hannopermesso una crescita rilevante dei volumi di traffico conbenefici significativi sul turismo. Quello che è carente nonriguarda tanto o solo la dotazione di singole infrastrutturema l’affermazione di una vera intermodalità, cioè diun’effettiva integrazione tra le diverse reti, tra funzionimateriali e immateriali facendo del territorio l’effettivoriferimento per una profonda sinergia tra infrastrutture epolitiche generali di sviluppo. Ed è verso tale obiettivo cheandrebbe rivolta l’attenzione nei prossimi anni.Mi rendo conto che il Mezzogiorno non è tutto uguale, lestorie e le tradizioni sono molto diverse ma occorre avereuna strategia capace di produrre fatti nuovi e anche diparlare alle altre aree del paese un linguaggio comune diinteresse generale, assumendo fino in fondo il valore dellaresponsabilità. Da dove partiamo? Dobbiamo rafforzare il concetto di Mezzogiorno comesistema, superando la sommatoria di tante politicheregionali spesso senza un filo logico comune tra loro. Sel’ambizione è quella di essere determinante nel rapporto traEuropa e Mediterraneo bisogna potenziare, in una logicacomune di specializzazione, di funzione e di ruoli, il sistemainfrastrutturale, le università, la ricerca, i distrettitecnologici e produttivi, quel grande patrimonio fatto ditradizione e cultura facendo interagire risorse e progetti.Bisogna aprire i diversi territori meridionali alle relazionicon il resto del mondo più che rinchiuderli in angusti spazidi vocazioni localistiche che non producono nulla, nei qualiognuno programma i fondi comunitari ed ordinari senza unrespiro più ampio e troppe volte guardando più alle quantitàdi risorse spendibili che alla loro capacità di determinare unavanzamento reale nelle possibilità di crescita e di sviluppoInfine il tema sul come utilizzare al meglio le risorse. Leopinioni sostenute dall’Assessore al Bilancio e allaProgrammazione della Puglia, Francesco Saponaro, circa lanecessità di puntare sugli effetti moltiplicatori degli interventi,evitando la frammentazione in mille rivoli imporoduttivi, miha trovato d’accordo nel confronto che abbiamo avuto per ladefinizione del Psr. Ciò significa utilizzare le risorse inmaniera integrata e plurisettoriale, avendo il coraggio direspingere quelle pressioni che trovano consenso nellapolitica perché ovviamente più si frammenta la spesa e piùsoddisfi le clientele, le lobby e le pressioni malavitose.Vi è la necessità di avere un migliore sistema dimonitoraggio attraverso la valutazione ex-ante e soprattuttoun costante rapporto con le diverse articolazione del sistemaistituzionale e delle rappresentanze sociali ed economiche.Ma è sicuramente quella la strada. Si può ragionare di

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IL SUD TRA SVILUPPO E SPRECO

industria se non si affrontano i nodi infrastrutturali, si puòragionare di infrastrutture e di industria se non ci si rapportaalle vocazioni ed ai bisogni del territorio e si può affrontareefficacemente la dimensione territoriale se non si discute diformazione, di mercato del lavoro, di welfare locale, diambiente, di qualità urbana? Bisogna quindi operare in senso trasversale individuando efinanziando quei progetti capaci di connettere le diversedomande, assicurando miglioramenti sostanziali in terminidi benessere per i cittadini che ridiano fiducia nelleistituzioni, restituiscano dignità alle persone, indichino lapossibilità di un futuro migliore perché il concetto disviluppo non può essere riassunto solo dalla dimensioneeconomica. I progetti strategici di area vasta, all’interno del nuovo ciclodi programmazione, dovrebbero assumere quella valenzaanche se corrono il rischio di rispondere a una visionetecnocratica piuttosto che essere un’opportunità per unadiffusa concertazione che stimoli voglia di fare e creatività.L’ultima questione che voglio affrontare riguarda il rapportotra qualità della programmazione e qualità della spesa chenon sono sempre coerenti tra loro. Molte volte il rallentamento, se non proprio il blocco, dellaspesa, pur in presenza di disponibilità delle risorse, è laconseguenza proprio dell’assenza di adeguati strumenti diprogrammazione. Nel ciclo 2000-2006 si è determinata inPuglia l’impossibilità di avanzare speditamente negliinvestimenti perché per trasporti e irriguo, quindi risorseFers, pur avendo progetti non erano stati approntati e adeguatiil piano dei trasporti e dell’acqua con il conseguente vincolo dipoter utilizzare solo un terzo delle risorse a disposizione. Una conferma di come si allungano, anche per queste ragioni,i tempi di realizzazione di importanti interventi. Con ladefinizione da parte dell’Assessorato all’Urbanistica dicriteri precisi in materia di pianificazione territoriale, dellavelocizzazione nell’approvazione dei piani regolatoricomunali, raccordando il tutto alle normative ambientali, siè riusciti a ottenere risultati significativi nella realizzazionedi interventi fermi da mesi e anni evitando il disimpegnoautomatico delle risorse. La programmazione integrata, che deve essere sostenuta conmeccanismi premiali, implica la riorganizzazione dellapubblica amministrazione ma anche dei livelli dellaresponsabilità politica. Senza superare la dimensionepuramente assessorile in direzione di quella dipartimentalee interdipartimentale delle scelte, accorpando le diversecompetenze, diventa complesso rendere moderne ed efficacile politiche regionali.La dimensione sempre più complessa dellaprogrammazione, le articolazioni delle competenzeistituzionali per effetto del federalismo, la tempestività con laquale occorre definire i progetti, i vincoli imposti dallenormative comunitarie richiedono migliore organizzazione esempre più ampie competenze che vanno adeguatamenteformate. Non è più possibile sopperire a tali carenze con ilricorso continuo a consulenze esterne, che oltre a costaretantissimo, rendono meno trasparente ed efficace il processodecisionale e progettuale finendo per alimentare una sorta dimercato esterno alle pubbliche amministrazioni.Cgil CIsl Uil possono svolgere una funzione fondamentalenel rimettere al centro del confronto con il governo, leRegioni e il sistema delle autonomie locali, il rilancio dipolitiche all’altezza della difficile fase che vive il Sudpartendo dalle piattaforme presentate in tantissimi territori.

6Giancarlo SaccomanSegreteria Spi Cgil nazionale

Le regioni europee presentano una notevole eterogeneità disviluppo anche all’interno di ciascun paese, per cui alcunecrescono a ritmi sostenuti, ben superiori alla media, mentrealtre si sono quasi fermate: le dieci regioni più ricchedell’Ue hanno un prodotto pro-capite che è circa 4 voltequello delle regioni più arretrate ed un tasso di occupazionepiù che doppio. L’Italia è tuttavia il paese dove questodualismo si manifesta in forme più accentuate, con una verae pro-pria frattura economica e sociale, perché la parte piùcompetitiva dell’economia rimane accentrata al Nord.Occorre dunque riflettere su quale tipo di sviluppo siintende dare all’intero paese e in questo ambito valutare uilruolo da assegnare al Mezzogiorno. L’Italia opera inun’Europa che, nelle sue aree più forti, ha scelto la stradadella innovazione tecnologica, delle nuove fonti energetiche,delle produzioni ambientalmente sostenibili. Nel contempodeve confrontarsi con una globalizzazione ove emergononuovi forti competitori, come Cina, India, Brasile,caratterizzati da un basso co-sto del lavoro, da elevatiinvestimenti in formazione, ricerca, innovazione, da unaquota crescente di esportazioni tecnologicamente evolute.L’Italia cresce poco, assai meno della media europea a causadella scarsa presenza di attività ad alto valore aggiunto,ovvero alla bassa qualità del lavoro incorporata nellaproduzione, rispetto alla media europea (14 per centocontro il 27 per cento). Tutto deriva da una specializzazioneproduttiva di basso livello rispetto alla media europea, maper innalzarla occorrerebbe un forte intervento pubblico,per produrre quella innovazione tecnologica che le impreseprivate non fanno, vuoi per la loro esigua dimensione, cheper la vocazione finanziaria e speculativa, anzichéproduttiva, di gran parte delle grandi imprese private. L’attuale crisi non fa che accentuare le criticitàdell’economia italiana, determinando una situazione disofferenza che esige un mutamento di prospettiva, finoradel tutto assente anche nella nuova manovra economica chetraccia uno scenario di legislatura. I tagli a istruzione ericerca e la precarietà del lavoro, che caratterizzano l’attualemanovra economica, ove manca qualsiasi strategia disviluppo, aumentano ulteriormente la distanza dall’Europa.La crisi allarga anche la distanza fra centro-nord eMezzogiorno, sia dal punto di vista occupazionale cheeconomico, con una crescente desertificazione industrialedel sud. Dobbiamo perciò affrontare il problema, da temporimosso, di come promuovere lo sviluppo, ovvero seaffidarsi, secondo i dogmi neoliberisti, alla spontaneità delmercato, nonostante i recenti fallimenti della speculazionefinanziaria e l’impossibilità per un tessuto di Pmi direggere da sole la competizione globale, oppure ridare unruolo alla programmazione degli interventi economicifondandola non su un dirigismo burocratico centralisticoma su relazioni democratiche e partecipate. Il problema del Mezzogiorno è divenuto marginalenell’agenda politica nazionale, praticamente cancellatodall’emergere con forza, sul piano politico ed elettorale, della“questione settentrionale”. A fronte di una riserva di spe-sapari al 45 per cento entro il 2010, oggi essa ammonta al 25per cento del totale, contro il 36 per cento della popola-zione.Anche l’attuale Dpef, che traccia le linee della nuova

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INTERVENTI

finanziaria, ma anche quelle dell’intera legislatura, non soloignora sostanzialmente il problema, ma opera anche undirottamento dei fondi dalla politica di coesione europea al fi-nanziamento dei Tir e della infrastrutture, mentre ilfederalismo fiscale in salsa lombarda significa cancellare, aldi là di qualche intervento meramente cosmetico, ognielemento di solidarietà nei confronti delle regionimeridionali. È illusorio pensare, come viene fattoattualmente, a un abbandono del Mezzogiorno, perché anchel’economia del nord sarebbe condannata alla irrilevanza nelcontesto dell’economia globalizzata che tende amarginalizzare la stessa matrice produttiva italiana. Anche il Quadro Comunitario di Sostegno (126 miliardi dieuro per il periodo 2007-2013, di cui 101 al Mezzogiorno),che conteneva alcuni elementi di novità in tema di sviluppoqualitativo, viene privato delle risorse del Fas (Fondo AreeSottoutilizzate), che erano state incluse nella gestionecoordinata dei Fondi europei, e che vengono ridislocateverso investimenti infrastrutturali di dubbia utilità. Talescelta si spiega non solo in una spasmodica ricerca dirisorse, ma anche in un atteggiamento ideologiconeoliberista del governo di centro-destra, che mal sopportauna logica dei Fondi europei basata su unaprogrammazione pluriennale degli interventi condivisadalle parti sociali. Per delineare un nuovo orizzonte occorreindividuare e superare i limiti che hanno contrassegnato ilprecedente periodo 2000-2006, a cui va riconosciuto unmiglioramento, rispetto al passato, della capacità di spesa.Tali limiti riguardano una dispersione degli interventi suprogetti a volte poco innovativi e incapaci di generaresviluppo, non corrispondenti agli obiettivi strategici cheerano stati definiti, con un evidente spreco di risorsepubbliche determinato dalla mancata individuazione dellepriorità, da una insufficiente discriminazione fra interventiordinari e aggiuntivi, con un uso improprio su “progettisponda”, derivanti a volte dal riciclaggio di vecchi progetti,non integrativi ma sostitutivi al mancato finanziamentodella spesa ordinaria. I ritardi nella realizzazione deiprogetti hanno determinato, dopo 2 anni, il previstodisimpegno automatico, con un reindirizzamento dei fondia favore di altri paesi del Mediterraneo.Ai fini di una riqualificazione dell’economia italiana nonpossiamo sprecare un’occasione di sviluppo strategico checi viene offerta per il prossimo ciclo settennale degliinterventi cofinanziati della politica di coesione economico-sociale. Occorre per questo operare una svolta netta,assicurando una coerente finalizzazione degli interventiattraverso un’accurata selezione delle priorità, unmiglioramento della governanza, progetti chiaramenteaggiuntivi senza funzioni sostitutive alle carenze degliinterventi ordinari e una rapida attuazione dei progetti conprecisi criteri di valutazione dell’efficacia dei risultati.Dobbiamo soprattutto cogliere la grande novità checaratterizza il nuovo ciclo di programmazione, costituita dauna di-versa concezione dello sviluppo, estesa dal terrenomeramente economico a quello della convivenza e dellacoesione sociale, dalla centralità dell’impresa almiglioramento del benessere dei cittadini come metrodecisivo del confronto politico e sociale sulla politicaregionale, coniugando la crescita economica alla inclusionesociale, ad un miglioramento della qualità della vita, dellasicurezza, dell’accesso ai servizi, ai trasporti, alleconoscenze, alla partecipazione alla vita pubblica e socialeda realizzare attraverso lo sviluppo di nuovi strumenti di

inclusione sociale. Si tratta di un importante mutamento delclima culturale che prende così finalmente atto delle granditrasformazioni intervenute nel modello produttivo non piùincentrato sulla grande fabbrica ma diffuso nel territorio edunque strettamente intrecciato alle prestazioni sociali edalla costruzione di una comunità solidale e coesa. Infatti la nuova programmazione dei Fondi europei sidifferenza da quella precedente proprio per l’inserimentodelle tematiche sociali come obiettivo delle strategie disviluppo, attraverso la nuova priorità della “inclusionesociale e i servizi per la qualità della vita e sicurezza”. Ciò ètanto più vero per il Mezzogiorno, dove tutte lecontraddizioni economiche e sociali si manifestano in formapiù acuta e dove assai più stringente risulta la connessionefra le prospettiva di sviluppo economico e la necessità di unprofondo rinnovamento del contesto sociale. Né è piùpossibile ignorare il fatto che in una società caratterizzata daun progressivo innalzamento dell’età media e da unasperanza di vita che è raddoppiata in un secolo il problemadelle integrazione degli anziani nel tessuto sociale divienesempre più ineludibile e deve caratterizzare l’intero modellosociale. Per questo i fondi europei devono essere finalizzatianche alla costruzione di una politica di coesione che si fondisu di un nuovo patto generazionale. La crescente importanza assegnata alla innovazione comestrumento di competitività ha richiamato l’attenzione sulrapporto esistente tra crescita economica e sviluppo socialee sulla capacità del sistema produttivo di valorizzare ilpotenziale ruolo positivo delle istituzione della protezionesociale. Smentendo un dogma neoliberista, esiste unacorrelazione fra livello elevato dei servizi e sviluppoeconomico, determinato dalla coesione sociale. Ciò chedistingue i paesi europei più avanzati è l’esistenza di uncircuito virtuoso in cui la protezione sociale favoriscel’innovazione produttiva, la competitività e la crescita,agevolando per questa via la stessa capacità difinanziamento della spesa sociale. Pertanto una strategia disviluppo dovrebbe prevedere una attenta politica diespansione dei servizi, ma ciò non è avvenuto, e laconvergenza ha riguardato solo una parte delle regioni,mentre la tendenza attualmente prevalente è quella di unariduzione delle prestazione della protezione sociale. L’Italiaha un sistema produttivo che ha difficoltà a innovarsi epensa di difendersi attraverso una competitività di prezzo,considerando perciò la spesa sociale come un costo daridurre, ma in tal modo si determina una corsa al ribasso tragli equilibri economici e sociali, in una china discendentedeterminata dal mancato utilizzo della qualità del lavoro eda un’erosione della spesa salariale e sociale che soffoca ladomanda interna e l’economia nel suo complesso. Il problema non riguarda solo la dimensione della spesasociale ma anche le modalità della sua erogazione. Infattiuna delle ragioni principali dei divari di sviluppo fra i paesidell’Europa meridionale rispetto ai paesi nordici è stataindividuata proprio nella diversità tra modelli di protezionesociale. Nell’Europa meridionale, specie nelle regioniarretrate, prevalgono i trasferimenti monetari alle famiglie,che assumono perciò un ruolo di produttori informali diquei servizi sociali che gli stati nordici erogano invecedirettamente. Ciò ha ridotto l’impegno della pubblicaamministrazione, e in particolare delle amministrazionilocali, nella produzione e nel finanziamento di tali servizi,rallentandone l’espansione e la relativa quota dioccupazione anche in situazioni di bisogni crescenti. Il

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IL SUD TRA SVILUPPO E SPRECO

limitato sviluppo dei servizi alla persona e alla comunitànelle regioni del Mezzogiorno è causato prevalentementedal carente finanziamento dei servizi e della loro scarsaqualità. Ciò evidenzia l’importanza della dimensione e dellaqualità degli interventi pubblici volti ad aumen-tare laqualità e l’efficienza delle prestazioni.Un errore diffuso riguarda anche l’orizzonte temporaleassunto nella valutazione della produttività della spesasociale. I servizi alla persona vengono generalmenteconsiderati, a differenza di quelli alle imprese, comedestinati al consumo finale, producendo effetti sulbenessere ma non sulla produttività del sistema economico.Ma si tratta di una valutazione inesatta e riduttiva che silimita a registrare gli effetti immediati di sostegno delreddito e delle attività correnti, ma non considera leconseguenze sulla crescita futura, come, ad esempio, nelcaso dell’educazione, che produce nuovo capitale sociale.Occorre dunque valutare i benefici di prospettiva per lacomunità che vanno al di là di quelli immediatamentepercepibili dai singoli individui.La programmazione italiana dei Fondi europei èsicuramente una buona prassi, perché è riuscita amodificare in positivo i punti deboli del confrontopartenariale, fornendo ai partner sociali competenze chehanno consentito loro di confrontarsi sulle base di unaautonomia di progetto e non solo attraverso emendamenti siprogrammi elaborati dalle autorità di gestione. Ha orientatoi responsabili istituzionali verso un’idea diprogrammazione come processo, in cui competenzeamministrative responsabilità politiche e individuazione diobiettivi condivisi con i partner economici e sociali possonoprodurre risultati efficaci di sviluppo e non solo diefficienza nella spesa. Sono risultati importanti dimiglioramento della macchina amministrativa e diallargamento della partecipazione sociale che rischiano diessere vanificati da una ridestinazione dei fondi,prospettata dal governo in modo ancora non ben definito,che distruggerebbe il prezioso lavoro già svolto, con unaperdita di tempo risorse e competenze. Propriol’inserimento delle politiche di inclusione sociale fra lepriorità della politica regionale per lo sviluppo e laparticolare insistenza con cui si fa riferimento a progettiinnovativi offre un vasto spazio di proposta ai quei soggettiche, come i sindacati dei pensionati, hanno accumulato inquesti anni una vasta esperienza in tale materia e che, datoil ruolo decisivo assegnato nella progettazione congiunta alpartenariato sociale, si trovano nella condizione miglioreper suggerire alle regioni una serie di progetti di alto profiloper una complessiva riqualificazione della spesa in sensosociale. Fondamentale è lo sviluppo delle pari opportunità,intese non solo in termini di genere ma estese ai diversisoggetti e territori, comprendendo le strategie di riduzionedel disagio e il recupero della marginalità sociale, lacentralità della qualità dei servizi, la definizione di criteri eregole comuni. Ma l’apertura sociale del nuovo ciclo deiFondi europei non è stato immediatamente recepito dalleamministrazioni regionali e neppure dalle stesse strutturesindacali, troppo legate a una concezione tradizionale diinvestimenti industriali e infrastrutturali. Da una prima ricognizione dei contenuti presenti nei Por sievidenziano infatti questi avanzamenti, anche se non tutti iprogetti sono riusciti a cogliere in modo adeguato le grandiopportunità offerte dalla nuova impostazione dellaprogrammazione dei fondi strutturali europei, aperta verso

la qualità sociale dello sviluppo, perseguendo obiettivi epriorità operative volte ad integrare le finalità dellainclusione sociale negli obiettivi di crescita economica.Spesso sono state riproposte, in modo spesso difforme daglistessi obiettivi del Quadro strategico nazionale, vecchielogiche fondate unicamente su investimenti industriali einfrastrutturali. Inoltre molti governi regionali hanno elusoquel rapporto progettuale con il partenariato sociale checostituisce un carattere fondamentale dellaprogrammazione dei fondi strutturali europei, o ne hannosminuito il valore, riducendo il confronto al disbrigo di unasemplice formalità svuotata di ogni contenuto effettivo. LoSpi ha perciò intrapreso una vera e propria battagliaculturale di sensibilizzazione che ha dato i suoi frutti,riposizionando in senso sociale l’approccio del sindacato econvincendo anche le stesse strutture regionali, che si sonoconvinte, in molti casi, ad allargare la loro progettualitàanche su questo nuovo terreno, producendo progetti assaiinnovativi ed interessanti in numerose regioni.Abbiamo perciò proposto e sollecitato interventi coerenti congli obiettivi del Quadro strategico nazionale in materia dipolitiche per l’inclusione sociale, i piani di zona perl’integrazione sociosanitaria, le economie sociali, lasicurezza e il sostegno alla legalità, la riqualificazione dellearee urbane degradate. Ciò ha riguardato in particolare:- la realizzazione di progetti di “casa della salute” e la

prevenzione negli ambiti di vita e di lavoro;- la promozione di una concezione della “sicurezza

partecipata”, da realizzare attraverso una strategia dirassicurazione legata alla ricostruzione del legamesociale, del senso di comunità, della cultura dellalegalità, di un clima di fiducia capace di garantire unamaggior corrispondenza fra la sicurezza effettiva equella percepita dai cittadini;

- l’attivazione di processi virtuosi di risanamento civile esociale delle aree urbane degradate intervenendo sulla ri-qualificazione urbanistica delle periferie, l’accessibilità ela mobilità, la qualità dei servizi, valorizzando le espe-rienze realizzate attraverso i progetti Urban, i contratti diquartiere, gli accordi sulla sicurezza;

- la realizzazione di una formazione permanente perl’intero arco di vita per fornire le competenze necessarieper rispondere alla crescente complessità della vitasociale, dalla frattura digitale ai percorsi di accesso aiservizi, ecc.;

- un’attenzione da prestare all’impatto di ogni progettorispetto alla promozione delle pari opportunità di generee dell’integrazione degli anziani.

Il nuovo corso dei fondi strutturali europei per il ciclo 2007-2013 ci indica una strada estremamente proficua per realiz-zare una sperimentazione di progetti innovativi capaci difar avanzare una concezione sociale dello sviluppo, di pro-muovere un nuovo clima culturale, un nuovo senso comunecapace di rispondere in modo efficace ai problemi ineditiposti dalla nuova realtà sociale. Esiste ancora uno spazioimportante di intervento su cui dobbiamo attivarci pertrasformare questa possibilità in una azione concreta edefficace, capace di contribuire al miglioramento della nostrasocietà. Per questo dobbiamo combattere ogni ipotesi di unoscippo perpetrato dal governo, tagliando gli interventisociali per spostare risorse verso investimentiinfrastrutturali di dubbia utilità. Dobbiamo impedire cheanche questa opportunità di sviluppo, che riguardaprincipalmente il Mezzogiorno, venga cancellata da una

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INTERVENTI

strategia neocentralista e dirigista incentrata su unagestione statale dei fondi per il finanziamento delle opereinfrastrutturali.

6Enzo CostaSegretario generale della CdLM di Cagliari

Della questione meridionale se ne parla dall’Unità d’Italia,era il 1861, in quel periodo il Nord e il Sud del paese eranocaratterizzati da economie profondamente diverse, al Nordnasceva la prima rivoluzione industriale insieme ai grandiagglomerati urbani, mentre nel Mezzogiorno permaneva unsistema economico basato sul latifondo, caratteristicacomune a tutte le regioni del Sud. Lo stesso Gramsciquando, all’inizio del ‘900, rilanciava la questionemeridionale la rilanciava proprio come una rivolta chedoveva partire dalla terra. Oggi il meridione è una cosacompletamente diversa, oggi non si può più parlare diun’unica questione meridionale sarebbe più logico parlaredella questione Campana, della questione Siciliana, dellaquestione Sarda e via dicendo. Popolazioni diverse, constorie, filosofie di vita e tradizioni differenti non possonoessere accomunate solo perché hanno un unico comunedenominatore che è l’indice di sottosviluppo, lo abbiamovisto prima nei dati, questo non giustifica una ricetta unica,io non sono convinto che bisogna continuare ad affrontare iproblemi del mezzogiorno sempre come un sistemaaggregato. Esistono poi delle questioni che hanno deiriflessi negativi per lo sviluppo del mezzogiorno mariguardano tutto il paese. La mancanza di strategienazionali è una costante degli ultimi 15 anni checaratterizza il nostro paese, mancano politiche nazionalisull’industria, sui porti, sui trasporti. Per esempio ilriassetto dell’apparato chimico non è un problema solosardo perché quello che sta succedendo a Marghera haimplicazioni a Ravenna, in Sardegna e in Sicilia. Comeriguarda tutto il paese lo sviluppo della portualità ditranshipment, attività che oggi vede il porto di Cagliarifortemente in crisi. In Sardegna abbiamo degli indiciinfrastruttrali che sono ridicoli per strade e per ferrovie,l’ultimo taglio lo ha realizzato il governo Prodi insieme aTrenitalia cancellando i collegamenti merci fra la Sardegnae la penisola, queste non sono politiche di coesionenazionale. Se io oggi analizzo la questione sarda in terministatistici riscontro dei dati che sono profondamentefuorvianti, lo abbiamo visto anche nel grafico, rispetto alleregioni meridionali era posizionata nella fascia alta, noiabbiamo un indice di attività che è del 53 per cento, quellodell’intero Mezzogiorno come media è del 46 per cento,quello nazionale è del 58, però se vado a guardare le attivitàmi accorgo che cresce il numero di occupati ma decresce laqualità d’impiego tanto è vero che il fenomeno della ripresadell’emigrazione, che veniva denunciato in relazione, hauna nuova caratteristica perché riguarda sopratutto laureatie personale specializzato. Il nostro Presidente della giunta regionale, che ogni tanto hadelle idee innovative, ha messo in piedi un programma“Master and back” che consente ai giovani laureati sardi difrequentare le più importanti scuole di alta specializzazione,purtroppo quello che accade e che partono e non ritornanoperché non ci sono opportunità di lavoro per laureati inregioni povere come la nostra, per cui chi va a Londra a

specializzarsi rimane nel sistema lavorativo inglese. Ilsistema produttivo sardo negli ultimi 10 anni ha perso10.000 occupati nell’industria e ha creato circa 14.000 nuovioccupati nei call center, non è esattamente la stessa cosa,anzi è una cosa totalmente diversa. Dopo di che se vado aspaccare il prodotto interno lordo oggi il dato è drammatico,l’industria anno dopo anno sta regredendo, io parlo dellaSardegna e poi vi spiegherò perché è un po’ particolare, danoi sta diventando sempre più difficile reggere il passo conla globalizzazione soprattutto nel settore produttivomanifatturiero. Noi rischiamo davvero di avere un’economiache è fatta di investimenti pubblici e servizi dove per servizisi intende per la stragrande maggioranza pubblicaamministrazione. Badate: uno sviluppo così squilibrato nonè uno sviluppo che dà stabilità, non è uno sviluppo che puòinvestire sui giovani, sulla cultura, è uno sviluppo che ècondannato nel tempo a subire quelle fasi altalenanti chenon dipendono da te. Lo sviluppo del mezzogiorno non solo èincompiuto ma è anche “distorto”. Il disagio del Sud è aggravato, infatti, da una serie dimeccanismi concatenati tra loro che non solo rischiano didiventare un circolo vizioso difficile da spezzare, ma stannodeterminando un’ulteriore regressione del Mezzogiorno. Ilsuo essere stato più “oggetto” che “soggetto” del propriosviluppo ha favorito una dipendenza verticale dalleistituzioni. I rapporti di potere politico, soprattutto neiconfronti dello stato, considerato spesso solo comeerogatore di risorse, da un lato ha enfatizzato la politicadell’intervento pubblico straordinario, bloccando la crescitaautopropulsiva del Mezzogiorno, dall’altro ha finito colgenerare una rete di piccolo e grande clientelismo. Perrimuovere gli aspetti che impediscono lo sviluppo delMezzogiorno bisogna liberarsi da una concezione disviluppo che guarda a modelli lontani dalla nostra realtà.Probabilmente lo squilibrio tra Nord e Sud deriva anche dalfatto che si è sempre creduto di poter salvare il meridioneguardando al Nord, imponendo quindi una culturaeconomica che mal si sposa con la filosofia della vita dellanostra gente. I modelli di sviluppo e di organizzazioneindustriale imposti al Sud non solo non si sono integrati neinostri modelli socio-culturali, ma hanno avuto un effetto didisgregazione del precedente tessuto economico, sociale eculturale. Noi in Sardegna abbiamo un Presidente regionaleche si è innamorato della verticalizzazione del territorio, èuna scelta azzardata che però può essere forte e vincente.Lui è profondamente convinto che le percentuali di prodottointerno lordo sardo dell’agricoltura e del turismo, che oggicontribuiscono entrambi per il 5 per cento. Sono dellepercentuali bassissime rispetto alle potenzialità che unterritorio, intatto da un punto di vista ambientale, potrebbee dovrebbe avere. Per cui si è deciso di puntaresull’ambiente come prima risorsa della nostra isola, da lì ènato il decreto salva coste, il piano paesaggistico regionale,ecc., con un’idea fissa: puntare tutto sui saperi tradizionali,orientando anche la spesa dei fondi comunitarisull’integrazione dei progetti. Premiare l’integrazionesignifica mettere un incentivo a favore di chi si integra equello serve a fare sì che non ci siano i soliti 30 o 40 noti chesi mangiano tutto e gli altri che non arrivano mai a niente. Verticalizzare il territorio può essere la ricetta vincente diun sistema che cerca di essere attore primario delle propriescelte. È un esperimento interessante, vi posso garantireche è interessantissimo, l’animazione territoriale l’abbiamofatta tutti, ma questa è stata qualcosa di più nel senso che

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IL SUD TRA SVILUPPO E SPRECO

riuscivi davvero a costruire delle filiere che si integravano eche dove tanti piccoli riuscivano a fare massa critica. Èvenuto fuori qualche progetto interessante chiaramente èuna fase sperimentale però io credo che dovremo tentare dianalizzarla e approfondirla. Oggi siamo qui a raccontareognuno il suo pezzetto e tentare di farlo in 5 minuti èsempre utile però io credo che dovremmo cercare di fare unqualcosa di più proviamo a studiare i problemi dellaCampania, i problemi della Sardegna, i problemi dellaSicilia e a capire quali possono essere gli interventi piùurgenti per ogni territorio. Ve ne dico alcuni e chiudo perchénon voglio abusare del tempo: sapete quanto incidel’incremento dei prezzi petroliferi per un’isola, solo intermini di trasporto? Lo sapete che Cagliari ha l’incidenzasui generi alimentari più alta in termini di inflazione perchétrasportare per nave o per aereo un bene ha un costoinfinitamente superiore a quello che aveva ieri? Sapete checosa significa se viene meno anche il trasporto pubblicolocale, oggi si sta decidendo se il low cost ha ancora unavalidità o non ha una validità? Sapete qual è il differenziale,calcolato dalla Camera di Commercio e dall’Università diCagliari, per un’impresa che si insedia nella nostra isolaoggi, rispetto alla stessa impresa che si insedia nel resto delpaese? Il 20 per cento di differenziale negativo, manca ilriconoscimento dell’insularità sia nel paese che in Europa,può la Sardegna con questo differenziale competere in unsistema globale, è un differenziale che è uguale alle altreregioni del Mezzogiorno? No, perché è una specificitànegativa ma è una specificità. Dovremmo metterle in filaqueste specificità perché se non lo facciamo noi non lo farànessuno, e io credo che insieme al dipartimento delMezzogiorno possiamo colmare questa lacuna peròdobbiamo partire dalle specificità. Non siamo tutti uguali. Ilproblema della mafia in Sicilia è un problema gravissimo, inSardegna non ce lo abbiamo, però abbiamo l’altro problemache vi ho detto e i due problemi non sono assimilabili peròfanno entrambi un differenziale negativo pesante che sicombatte con armi e con strumenti diversi.

6Antonio PepeSegretario generale Cgil Basilicata

Credo che bisogna salutare positivamente l’iniziativa d’oggianche perché la compagna Vera Lamonica è entrata a farparte della Segreteria nazionale della Cgil e quindi unadirigente del Mezzogiorno dopo molto tempo è stata elettanella Segreteria nazionale della Cgil. La discussione diquesta mattina è stata interessante sicuramente, provoanch’io a dare un contributo a partire dal fatto che non puòessere questa un’iniziativa isolata, ma bisognaassolutamente riprendere fra di noi una discussioneapprofondita nel merito rispetto alle trasformazioniintervenute con analisi puntuali e altrettanto sul piano delleproposte operative nonché del percorso che il sindacatomette in campo, anche rispetto al quadro nazionale cheabbiamo davanti a noi e, se devo guardarla in questamaniera, rispetto anche alle cose che ci stiamo dicendo ecioè alle specificità di un Mezzogiorno che è cambiato inquesti anni, noi abbiamo bisogno di rimettere in piedi unapiattaforma del sindacato per una vertenza Mezzogiorno. Senoi dovessimo affrontare la nostra discussione construmenti che sono superati, idee che sono superate, credo

che sarebbe un grave errore, anche perché di fronte al fattoche è difficile mobilitare i lavoratori del Mezzogiorno se nonquando si chiudono le fabbriche, vuol dire che il ruolo stessodel sindacato va rivisto. Allora il punto qual è? Un diverso approccio ai temi dellaqualità dello sviluppo e dei servizi di una vasta area delpaese che richiede una responsabilità in primo luogodell’intero sistema politico-istituzionale e di quelloimprenditoriale nonché del sindacato confederale tutto, ciònaturalmente a partire dalle classi dirigenti meridionali; lacondivisione di un disegno strategico organico e sistemicoche faccia leva essenzialmente sul lavoro. In Basilicataabbiamo provato rispetto allo sviluppo a condividere con ilgoverno regionale e le articolazioni territoriali alcuniimportanti accordi che alla verifica dell’attuazione stentanoa produrre risultati concreti anzitutto sotto l’aspettooccupazionale e, sabato scorso (28 giugno) abbiamorealizzato un’importante manifestazione. Introduco quest’elemento non perché vi voglio raccontare lastoria di un pezzo della Basilicata, di un posto chiamato ValD’Agri dove si estrae il 10 per cento del petrolio dell’interofabbisogno nazionale, ma perché credo che ciò rappresentil’emblema paradigmatico di una Regione sospesa fraenormi risorse naturali e gravi arretratezze sociali edeconomiche che rischia di tornare al passato. Eviterò disoffermarmi sulle questioni che riguardano l’incidenza chehanno avuto i fondi strutturali sul Pil perché questadiscussione non la possiamo fare in questa maniera ma ladobbiamo fare su quelle modificazioni strutturali delsistema produttivo e dei servizi, le infrastrutture, se vi sonostate, in che misura e dove. Dicevo, abbiamo fattoquest’iniziativa unitaria con Cisl e Uil in Val D’Agri dove si ècostruito un primo accordo sullo sviluppo locale con unadotazione di risorse finanziarie certe, 350 milioni di euro(che non sono noccioline) per un’area vasta che hasicuramente in sé tutte le potenzialità per uno svilupposostenibile e che tuttavia dal 2003 ad oggi non ha sortito,non solo quegli effetti che tutti speravamo, ma non hainvertito dal punto di vista strutturale né la base produttiva,né il sistema dell’impresa, né il sistema della ricezioneturistica, né il sistema della formazione. In pratica si sonofatti soltanto alcuni degli interventi che pure erano previstiin quest’accordo per lo sviluppo locale che attenevano alleresponsabilità della gestione di una parte degli enti e quindidei comuni che sono stati anche nostri alleati. Perché hocitato questa vicenda? Perché credo che tra le questioni cheriguardano la programmazione dello sviluppo delle risorseeconomiche e la fase di gestione di questa programmazionec’è uno scarto molto forte nel Mezzogiorno e su questo noidobbiamo piegarci a ragionare perché è del tutto evidenteche non possiamo far finta di nulla rispetto a quanto si ègestito, come si è gestito e allo spreco che vi è stato, perchévi è stata una parte di spreco e non guardarla significa darragione esattamente al nuovo guru della finanza pubblica, eda questo punto di vista è possibile provare noi, il sindacato,a far avanzare un’iniziativa che non può essereesclusivamente frutto della sommatoria di territori, ma deveprovare a fare una sintesi sulle questioni più complessiveche abbiamo di fronte. In particolare, non sentivo nessunragionamento su cosa è accaduto del fondo sociale europeoe della formazione nelle regioni meridionali.Se dovessimo ragionare su quelle risorse non c’è unaregione che ti dice cosa è accaduto, quali risultati hannoprodotto l’impiego di queste risorse. Allora diciamola così: il

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INTERVENTI

punto di ricaduta che noi abbiamo bisogno da questadiscussione è esattamente questo cioè verificare laprogrammazione 2000-2006 che cosa ha prodotto e da quifar partire un’operazione verità che possiamo fare solo noicome sindacato. Credo, e dobbiamo vedere nel camminoinsieme a Cisl e Uil se ci stanno e provare a coinvolgere altrisoggetti sociali e politici, ma dobbiamo fare un’operazioneverità che riguarda l’utilizzo dei fondi strutturali, cheriguarda la questione di come sono state spese le risorsedella 488 ma non solo, di tutte le incentivazioni che ci sonostate, non avendo ad oggi alcuni strumenti che sonofondamentali nelle politiche di sviluppo e cioè come quelliche richiamavano gli interventi che mi hanno preceduto peresempio la questione di non avere una politica industriale inquesto paese è grave, è gravissima, e quindi ogni regione siè attrezzata come ha potuto. Noi abbiamo fatto unavanzamento per esempio in questo, stiamo provando anormare per legge alcune questioni che riguardano i criteriper l’accesso agli incentivi pubblici nei settori industriali,poi io non sono d’accordo, che la questione del declinoindustriale appartiene solo al Nord, no, riguarda tutto ilPaese ed anche il Sud, perché alcuni pezzi importanti delsistema industriale c’è, abbiamo ancora delle lodevoli realtà,come la Fiat, l’agroindustria, il mobile imbottito ecc, ereindustrializzare alcune aree per noi è fondamentale.Quanto è accaduto nell’area del salotto per esempio èsintomatico di un declino, però dobbiamo riuscire aconiugare all’interno di questa dimensione politicheindustriali che sono e devono riguardare il Mezzogiorno el’intero paese, da qui la sfida al governo, non tanto e nonsoltanto sulla quantità delle risorse, ma esattamente dentrouna dimensione che riguarda una diversa visione difederalismo. Sono d’accordo con le cose che venivano dette,però, compagni, le dobbiamo fare con estrema chiarezza edeterminazione, non aspettare il governo. Anticipare questa discussione politica e culturale cheattraversa non solo il governo nazionale ma l’intero centro-destra e centro-sinistra, le classi dirigenti meridionali tutte,non solo, quelle politiche ma anche quelle sindacali eimprenditoriali anche quelle della burocrazia, ciò significaqualificare anche l’azione del sindacato. Di fronte allaquestione del federalismo che ridisegna il paese, nonpossiamo stare a guardare e allora credo che noi dobbiamoriaprire una discussione profonda su queste questioni e vene dico una per tutte di come questo Robin Hood alcontrario si permette di fare delle cose che sono fuori di ognilogica di federalismo e quindi quelle politiche che stamettendo in campo il governo sono contraddittorie edemagogiche. Sono ispirate da un’idea che loro hanno dicome cambiare questo paese in peggio ce l’hanno in mente,la stanno attuando e noi non possiamo continuare ablaterare e a guardare esclusivamente ma abbiamo bisognodi disegnare noi una nostra idea di sviluppo delMezzogiorno, dell’area del Mediterraneo, oltre che del paeseche non può guardare con gli stessi strumenti con cuiguarda la politica del centro-destra e se volete anche unpezzo della politica e della cultura del centro-sinistra che siè adeguata. Che significa parlare di federalismo quando lerisorse naturali e il capitale umano e sociale di qualità delMezzogiorno vengono utilizzate in modo particolare per leentrate delle casse dello Stato e mandare avanti l’economiadel nord? Questo è un federalismo al contrario, se le risorsestanno posizionate sul territorio per quale motivo quellerisorse non devono ritornare su quel territorio se si vuole

parlare di federalismo? Sono perché da questo punto di vistanoi ragioniamo per un moderno paese che possa assicurarea tutti i suoi cittadini diritti eguali, non solo pari opportunitàma servizi di qualità che abbia alla base l’equità e lacoesione sociale, dall’istruzione ai servizi essenziali dicarattere universale ovvero riguarda tutta la societàitaliana. Credo che noi abbiamo bisogno di fare due cose:una grande operazione verità sui fondi strutturali e sulMezzogiorno, per quello che è accaduto sulle politiche dicoesione in questi anni, e preparare una grande iniziativache parte da queste questioni e rimette al centro il lavoroperché soltanto così noi riusciamo a riannodare i fili di unosgretolamento dell’intero Mezzogiorno e del paese. Poi su tutte le questioni che riguardano le infrastrutturecredo che da questo punto di vista non possiamo continuarea sbagliare, anche qui noi abbiamo un limite di sommatoriedi infrastrutture trasportistiche senza avere un disegno disistema per quelle di carattere materiale che immateriale,che riguarda la qualità della vita, i servizi alle persone;perché sistemi infrastrutturali che attengono la sanità el’istruzione, il sistema degli ospedali, il sistema scolastico, laqualità degli edifici, la sicurezza, eccetera. Quindi credo chenoi dobbiamo, perché noi abbiamo il compito e il dovere diriprendere una discussione per dare una prospettiva esperanza ai giovani e coinvolgerli partendo dai loro bisognicome soggetti del cambiamento, fermare lo svuotamento delMezzogiorno, fermare il depauperamento di quel capitalesociale fondamentale per il futuro di interi territori egenerazioni. La Basilicata credo è forse l’unica regione delMezzogiorno che ha un problema in più ed è serissimo che sichiama “situazione demografica”, già adesso noi perdiamocirca 5.000 residenti l’anno in particolare giovani laureati ediplomati quindi per noi è ancora più complicato provare arimettere in moto uno sviluppo che guarda al territorio. Ogniregione ha i suoi punti di eccellenza e problemi per faravanzare altri che hanno debolezze strutturali, ladiscussione di questa mattina se ha un limite è quello di nonaver affrontato la qualità della classe politica e dirigente chein questi anni si è mossa esclusivamente all’interno di unoschema vecchio, con metodi che guardano esclusivamente alconsenso ed al rafforzamento dell’egemonia di gruppi più omeno organizzati conseguenza diretta della crisi del ruoloche rivestivano i partiti politici oggi definitivamente mutatinella natura e nelle funzioni.Ragionare in questa ottica significa provare a fare questagrande operazione, è un’operazione verità che dà risposte auna società meridionale disincantata. Evidentemente, nonper fare appunti, i limiti che vi sono stati in questi anni,anche per quanto riguarda la questione della gestione, nonpossono passare inosservati, e attengono esattamente acome sono state spese alcune risorse che rispondevano a unalogica che è stata quella del consenso delle classi dirigentimeridionali e non della responsabilità in modo particolare diquella politica, e da questo punto di vista ma anche di quellasociale ed economica, non andiamo da nessuna parte se nonavviamo un confronto che sia di questo tenore con chiimmagina di avere un peso specifico in questo paese. Sono emblematiche le ultime lettere che ha scritto a unquotidiano locale l’onorevole Emilio Colombo, già ministro egià presidente del Consiglio negli anni d’oro dellaDemocrazia cristiana. Lui dice che il peso specifico delMezzogiorno è diminuito e continuerà a diminuire daquando abbiamo liquidato le leggi speciali, cioè la Cassa peril Mezzogiorno. Questa non è la discussione che deve

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IL SUD TRA SVILUPPO E SPRECO

informare noi, sono anche i governi regionali e larappresentanza politica, in modo particolare quella delcentro-sinistra con cui dovremmo cercare di stanare, inquesto momento particolare, anche per evitare, che ilMezzogiorno sia ridotto ad esclusivo bacino di consenso siaper il centro-destra ma anche per il centro sinistra, e quindianche di prendere in mano il destino dei nostri territori. Credo che uno sforzo di questo tipo ci può consentire,almeno per la parte che dobbiamo fare noi, ovviamente, ecredo che sia questa una parte importante, quella di avviareun’iniziativa che possa far ritornare il Mezzogiorno alcentro delle discussioni, anche con le contraddizioni che cisono e che sono tante. Si tratta, insomma, di alimentare esollecitare la società meridionale a far ripartire unmovimento nei territori per contrastare le politiche delcentro destra, attraverso un’assunzione di responsabilitàvera delle classi dirigenti al fine di evitare che ilMezzogiorno passi da territorio in ritardo di sviluppo adarea marginale del paese che finirebbe per romperedefinitivamente il delicato equilibrio venutosi adeterminare in 150 anni di storia unitaria.

6Natale Di SchienaFunzione Pubblica Cgil

Volevo riprendere alcuni nodi che mi pare emergessero daldibattito. Non credo che si possa parlare del Mezzogiornocome se ne parlava in passato, cioè come se fossimo in unafase di crescita, o come se fossimo in una fase di riduzionedel divario, come se fossimo – insomma – in una fasenormale. Non siamo più nel 2005, quando ci fu la fasedell’avanzamento forte delle regioni meridionali, ora siamoin un momento difficile.Il dato elettorale siciliano è impressionante. Se ilMezzogiorno dovesse diventare come la Sicilia non cirimarrebbe che andare ai Caraibi. Questo è il punto politico.Non riusciamo ad intercettare quello che avviene. Dico noi,le federazioni nazionali di categoria, la Cgil, le forzepolitiche democratiche e di sinistra, a livello nazionale e conle loro strutture locali. È incomprensibile che cosa staavvenendo in questo paese. Non sappiamo quello cheavviene in questa parte del paese. E, d’altro canto, ilgoverno, con la svolta politica che sta attuando, dà dellerisposte nette. Il fatto che tutte le infrastrutture meridionalivengano messe in discussione e venga valorizzata soltantol’idea della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina,che significa? Quale patto sociale, istituzionale e politico èin campo? Mi pare di capirlo chiaramente: un patto con lacriminalità organizzata, un patto con la mafia in Sicilia econ la ndrangheta in Calabria, con tutti gli accoliti. Ilrallentamento della Salerno-Reggio Calabria, sta diventandouna cosa da ridere: si potrebbe finire nel 2035 e forse se loporteranno al 2100! E però non c’è nessun allarme. LaSalerno-Reggio Calabria non va avanti, cambianocostantemente, le infiltrazioni della ndrangheta sonoaddirittura documentate, ma non c’è nessuna battaglianazionale su questo. Non c’è nessuna forza politica che dicache non soltanto siamo al limite della legalità, ma anche chec’è un problema. C’è un problema nel senso che il peso dellacriminalità organizzata in questo paese sta diventandocrescente. E quando diventa crescente credo che ladiscussione diventa molto difficile al nostro interno: è molto

faticoso fare il lavoro sindacale, è molto faticoso farrispettare lo Stato, e quindi tutto diviene complesso. Ediventa complessa la funzione pubblica.Come settore pubblico si faceva notare lo spreco, ma non c’èun problema di spreco. C’è un problema che massefinanziarie vanno comunque alla criminalità organizzata.La compagna Lamonica è calabrese, sa quali problemi cisono stati a lungo in alcuni comuni della Calabriasull’affidamento dei lavori di manutenzione. In queiconsigli comunali che avrebbero dovuto affrontare lasituazione, era evidente la solitudine nostra, dei nostricompagni, dei nostri militanti. Quindi la questione diventaforte. E qui nasce un nodo. La questione dell’appaltopubblico, a che punto è? La Fp, probabilmente alla ripresa disettembre, farà un convegno nazionale sulla questionedell’appalto, ponendo due questioni. La prima: comel’appalto diviene di dominio pubblico, cioè come fare sì chenelle aree si sappia che ci sono gli appalti, si sappia qualiaziende concorrono e si sappia quali sono i consiglicomunali che li affidano e si discuta su come vengonoaffidati, non solo nelle forme, ma anche a chi vengonoaffidati. La seconda: che si faccia un albo di garanti, attornoalla legalità dell’appalto per aree, per zone, per situazione,per verticalizzazione, in modo che non si verifichi mai, peresempio, che si forniscano materiali sanitari scadenti, o cheuna delle tendenze nella sanità sia quella di non lavorareper mandarla dal pubblico al privato, per rendere ilpubblico meno efficace in modo tale che si va perun’appendicite, che diventa peritonite, si fa l’intervento equello muore. E questo offre lo spazio per dire che la sanitàfa schifo. Su questa questione, sul ruolo dello Stato, occorreun grande ragionamento. La Cgil deve modificare il proprioatteggiamento. Nell’Italia meridionale va fatta una battaglia,non è accettabile che ci siano tonnellate d’immondizia, chea Napoli nessuno dica nulla. È un problema nazionale, maadesso. Perché prima era un problema di Napoli, unproblema della Campania. E qui non è possibile unamediazione, il governatore della Campania deve chiarire leragioni del perché c’è tutta questa spazzatura. Non è il fato!Così come chiarire perché ci sono problemi a Roma, perchéci sono problemi al Sud. Le questioni vanno poste.Altrimenti, e giustamente, quando si fanno i ragionamentisulle discariche, c’è l’opposizione dei comuni. Di centro-destra e di centro-sinistra, anche lì. È probabile che se si va adecidere si superano anche forme di democraziaistituzionale, con la partecipazione della gente, dellepersone che indicano. E quindi noi dobbiamo sollecitarequeste cose. Altrimenti se facciamo solo questiragionamenti: programmazione, gestione, ecc. abbiamo unafunzione di carattere eminentemente burocratico. La Cgil non è questo, deve essere evocatrice di lotte. Se unasituazione non va bene, se quell’appalto non è limpido siscende in lotta. Altrimenti, non si capisce più qual è lanostra funzione, che è sì quella di partecipare allaconcertazione, e ma anche di esserci quando scendono incampo le persone. Se le persone non scendono mai incampo, mai non si modifica nulla, è questo il puntodrammatico che io trovo. Quando ero ragazzo sono statosegretario di una regione meridionale: mi pare che daallora i problemi sono sempre gli stessi. Inefficienza,difficoltà della spesa pubblica, i contropoteri, ecc. e ilsindacato che fa? Come scendiamo in lotta, comecondizioniamo, questo è un po’ il punto politico. Altrimentinel Sud è sempre necessario essere assistiti. Non solo

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assistiti, ma anche assistiti nei gruppi dirigenti. E anchequi, voglio dire, non esistono tante questioni meridionali,esiste una differenza fondamentale fortissima, tra il CentroNord e il Centro Sud, il resto sono chiacchiere. Dobbiamointervenire per sollecitare un rapporto forte. Queste cosedella rapina, dei fondi impegnati, questo deve costituire unfatto nazionale enorme.E anche qui va sottolineato come questo paese vada, di fatto,alla separazione. Perché badate bene, se va avanti con ilfederalismo, e con lo spostamento di fondi, noi avremo unCentro Nord forte e ricco e un Sud sempre più povero emiserabile. Ma allora perché il Lombardo-Veneto deverimanere legato a questa situazione? Questo è un po’ il puntodrammatico da tenere in conto. E se non agiamo e nonragioniamo su queste cose, secondo me andiamo a caccia difarfalle. Questo è un po’ il rischio. Che vadano a caccia difarfalle i nostri amici politici, che gliene importa? Magari inSicilia si prende il 30 per cento ma si è senatori nazionali.Noi, invece, se non contiamo, non contiamo da nessunaparte. Il problema esiste e credo che sia molto forte, c’è unproblema di legalità, molto forte, che va portato avanti. Il mafioso Pietro Madonia, sentivo stamattina, non sta più al41 bis. In altri momenti sarebbe successa l’ira di dio. Eadesso che è successo? È normale? Perché sono finiti itermini? Pietro Madonia è diventato un gentiluomo? Manessuno si alza e dice, signori, perché accade questo, forseperché Berlusconi è presidente del Consiglio? Il tema c’è enon può essere un tema delegato alle forze politiche.

6Gianni Di CesareSegretario generale Cgil Abruzzo

L’Abruzzo sembra semplicemente “espulso” dal Meridione.Capita anche nei convegni come questo. Istituzionalmenteinvece, nella ripartizione delle risorse, l’Abruzzo per laparte che riguarda il Fondo Fas è Meridione. Siamo stati laprima Regione del Mezzogiorno a uscire dal vecchioobiettivo 1, condizione che adesso raggiungono ancheSardegna e Molise, e, per un tempo assai breve, si è pensatoche automaticamente diventassimo una regione del centro.La realtà evolve in modo più complesso rispetto agliindicatori europei e spesso si usano schematismi che nonaiutano a comprendere, come quello per cui le regionimeridionali andrebbero divise in tre nodi, quello delleisole, le piccole regioni e quelle continentali. Per esempionella mia regione, una piccola Regione con un bilancio di 2miliardi e mezzo, siamo in una situazione molto, ma moltodifficile se pensiamo che 2 miliardi 286 sono spesi solosulla sanità! Poche le briciole per “tutto il resto” di qualitàdi cui ci sarebbe bisogno per essere a pieno titolo regionedel centro. Penso allora che per le regioni meridionalioccorra individuare punti trasversali unificanti, peresempio sul federalismo fiscale e su quello istituzionale,altrimenti le regioni del Sud (grandi o piccole) nonriusciranno a garantire neppure tutti i servizi delle materiea legislazione concorrente che oggi possono già essereesercitate. Almeno in Abruzzo non si garantiscononeppure quelle già delegate dal Titolo V. I fondi Fas e i fondi europei, che in Abruzzo sono presenti inquota minore, sono esclusivamente usati in funzione dellagestione dell’ordinario. Faccio un esempio: abbiamoaffrontato un negoziato sulla riorganizzazione di un pezzo

della ricerca in agricoltura in crisi occupazionale; lasoluzione proposta? Ci s’inventa di creare una fondazione(con i fondi dell’agricoltura) attraverso cui determinare lapossibilità di far sopravvivere quei tre soggetti confinanziamenti freschi, altrimenti non ci sarebbero state lecondizioni per altri finanziamenti senza far pagare tasse aicittadini. Quindi, i fondi assumono quella forma giuridica difondazione solo perché offrono la possibilità di farsopravvivere quei centri in difficoltà, nulla di straordinarioné misurabile come “investimento” o “innovazione”, no,oggi i fondi Fas e i fondi europei sono usati in funzionedell’ordinario, e a volte della sopravvivenza. Si sta aprendo una discussione su un consorzio industriale?Si rischia che la discussione diventi come privatizzare ilconsorzio industriale, e quindi il territorio, in modo daattingere a quei fondi. In sostanza è l’emergenza ordinariache sta mangiando i finanziamenti europei, la culturadell’investimento nella quotidianità di crisi economichestrutturalmente gravi. È un passaggio diverso, e forse non èneppure spreco perché conserva, permette di salvarel’ordinario, la vita quotidiana. I fondi della non autosufficienza, per esempio, dovrebberoessere la quarta gamba dello Stato sociale, invece diventanouna funzione economica d’uso dei fondi europei; quando lanon autosufficienza riguarda il 10 per cento dellapopolazione è lo Stato che deve intervenire, non è, nondovrebbe essere l’eccezionalità del fondo strutturale, anzi la“premialità” addirittura del fondo strutturale. Quindi,questa è la questione, è un cambiamento radicale. Tutti inostri incontri con la regione sono fondati su questo. E inRegione Abruzzo abbiamo vissuto un dramma vero neigiorni in cui si dava per certo che il governo stesse tagliandoseccamente altre risorse perché l’Abruzzo non avrebbepotuto neppure fare il bilancio preventivo, non sarebberoneppure tornati i conti con i calcoli elaborati dalla Cgilregionale. Questo è il punto in cui siamo se il governonazionale persegue con la sua politica di tagli.Un altro punto di attenzione per il Mezzogiorno riguarda lefondazioni universitarie che non sono per niente neutristrumenti “giuridici” ma governano il territorio e lacostruzione di fondazioni da parte delle universitàdetermina un sistema universitario tripartito: pubblico,quando si può, le fondazioni, dei ricchi, e privato, che giàesiste. Non diremo neppure più che i nostri cervelli vanno alnord né parleremo di spreco di risorse perché l’inefficienzadell’Università sul diritto allo studio sarà totale e ciòcambierà il concetto giuridico di diritto allo studio,cambierebbe in sostanza la parte essenziale dello Stato, e lepoche risorse che esso versa per la ricerca nelle regionimeridionali, non ci sarebbero più. Stiamo rischiando che saltino tutti i meccanismi difinanziamenti dei “diritti di cittadinanza”, e che si arrivi aduna finanza co-finanziata, si chiami finanza di progetto, sichiami fondazione, si chiami compartecipazione di spesa...È vero che noi stessi abbiamo inventato queste forme perchéspesso non abbiamo le risorse economiche, c’è il debitopubblico, c’è una spiegazione “politica” certo, ma il rischio èche realmente avremo uno Stato minato nelle sue stesseregole costituzionali. Io stesso ho potuto laurearmi al Nord30 anni fa. La quantità di risorse che la società investivanell’Università, era alta, lo permetteva. Biblioteche di primoordine, diritto allo studio..., c’era una capacità di spenderebene i soldi e di garantire a tutti il diritto allo studio,compreso me che venivo da un’altra regione. Questo mi

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sembra un punto essenziale ancora oggi, l’economia e lasocietà della conoscenza non si possono affermare senzapensare a questa trasversalità dei diritti.Se c’è una novità nella crisi economica abruzzese è che essanon tanto industriale: i dati del 2007 indicano una crescitadi dieci mila addetti nell’industria, abbiamo la seconda piùgrande azienda d’Italia, ma stiamo perdendo pezzi diterziario, anche industriale, che si è riorganizzatospostandosi fuori dalla regione addirittura in Romania,persino la contabilità è lì. Perché gli strumenti informatici lopermettono ed i costi sono inferiori. Quindi le crisieconomiche e le dinamiche occupazionali sono diverse, lacrisi occupazionale più forte in questo momento in Abruzzosi ha sul settore terziario, nella sanità privata, per come èstata favorita finora, nel settore socio-assistenziale,sull’assistenza domiciliare in particolare e su questi nodi sisono spesi i pochi soldi europei che restano dopo la spesasanitaria, per cercare di garantire ancora servizi, anchel’industria nei servizi, di cui facevo l’esempio prima, oprestazioni fondamentali come quelle che ruotano intornoall’emergenza scolastica.Infine noi abbiamo anche la questione della montagna, peralcuni aspetti simile a quella delle isole. Le isole, e lemontagne sono anche esse isole, hanno le loro specificitàche andrebbero identificate con nuovi ragionamentinazionali, come per esempio sui trasporti e il prezzo delgasolio, come si diceva prima. Perché in una zona dimontagna tutti i servizi hanno costi infrastrutturali moltoalti se misurati solo sul rapporto legato al numero dipersone che ne usufruisce, ma spesso si tratta di dirittiessenziali costituzionali, come il diritto all’istruzione ed allasalute e l’Appennino attraversa l’intero paese e crea unadinamica complessa nell’intero paese. Quindi alcuni temi (ecosti) non sono di un pezzo del territorio né uno specifico,ma dovrebbero essere del paese.Ho portato alcuni esempi su cui ci stiamo confrontando eche stanno avvenendo in Abruzzo, cercando di intrecciarlicon le questioni nostre nazionali. Nel documento nazionaledella conferenza di organizzazione, per fare introdurrequelle quattro righe sul Mezzogiorno e sul federalismo si èfatta molta fatica, ma sono quattro righe abbastanza chiare.Quelle quattro righe devono diventare, proprio perchéintrecciano diversi piani, punti politici pieni. La Bancad’Italia anche ha assunto questa analisi e dentro la Cgildovrebbe essere un po’ più considerata culturalmente,come egemonia culturale. Se il settentrione diventa unproblema, con regioni “ricche” come la Lombardia di certo ilmezzogiorno resta ancora un nodo politico storico, con lasua endemica povertà, e deve restare una questionenazionale che la politica affronta per lo sviluppo del paese.

IL SUD TRA SVILUPPO E SPRECO

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CONCLUSIONI

6 VERA LAMONICASegretaria nazionale Cgil

V orrei ringraziare Franco Garufi e gli altricompagni per gli auguri di buon lavoro che mihanno rivolto. Com’è evidente a tutti, io sto

attraversando la fase del passaggio da un’esperienzaesclusivamente regionale a un’esperienza dicoordinamento nazionale su questo tema che, ovviamente,peraltro cadendo nel momento particolare in cui cade, nonè particolarmente facile. Come potete capire, avverto moltoil peso di questa responsabilità. E però, dopo la riunione diquesta mattina, le molte cose che sono state dette, la tracciadel lavoro, la discussione che in fondo è emersa da questariunione (mi limiterò a prendere in considerazione quasiesclusivamente questa) mi conforta in un punto, e cioè cheè nella consapevolezza di tutti che siamo arrivati a unmomento in cui questa discussione va fatta fino in fondo inCgil. Ed è una discussione, poi ci ritorno un attimo, checerto dobbiamo fare tra meridionali, ci mancherebbe,dovremmo farla tra strutture, compagni, intelligenzemeridionali, anche fuori di noi. Ma questa discussione, conle difficoltà storiche ed attuali che conosciamo, dobbiamoprovare a farla fare a tutta la Cgil, comprese le strutture delnord, già abbastanza impegnate sul tema del federalismofiscale e sulle ricadute, anche d’elaborazione, che questotema necessariamente porta con sé. Questo èprobabilmente il primo punto che ci consente, anche neldefinire il metodo del prosieguo del lavoro dopo oggi, adavere presente per i prossimi mesi come proviamo aragionare sull’impostazione del lavoro che dobbiamo fare.Intanto c’è la questione che già oggi è stata evocata.Abbiamo all’orizzonte, in primavera, la Conferenza diprogramma: è evidente che dobbiamo costruire, insiemecon le strutture meridionali – pensavamo di riunire anche i

segretari meridionali per avere un confronto più ravvicinato– un punto di metodo condiviso e tracce di rilettura deiproblemi del Mezzogiorno alla luce delle trasformazioni inatto nel panorama economico-sociale e dei fenomenicomplessi che vengono sempre più alla luce man mano chesi fanno più preoccupanti le condizioni generali del paese edestano sempre nuove e complesse preoccupazioni iprocessi d’approfondimento del disagio sociale.Una riflessione sul Mezzogiorno non può che ripartire daidati oramai più che noti dell’approfondirsi del divario, sulterreno della crescita, dell’occupazione,dell’infrastrutturazione, della quantità e qualità dei servizipubblici, a partire dalla sanità e dall’istruzione,dall’ambiente. Rispetto alle grandi trasformazionistrutturali di cui si parlava, quelle che attengono alla fase didifficoltà e di ristagno dell’economia, ai grandi processinazionali e internazionali che abbiamo davanti, allecaratteristiche inedite di questa fase della globalizzazione edei suoi fenomeni di crisi, dobbiamo ricollocare lariflessione rispetto alla situazione del paese, dell’Europa edel Mediterraneo, avendo a mente che, pur con tutte lediscussioni tra noi fatte sulle diversità interne alMezzogiorno, pur tuttavia non siamo di fronte ad un’areache presenta solo più accentuati fenomeni di difficoltàrispetto al resto del paese, ma una caratteristica unitaria difondo che la propone ancora come grande nodo irrisoltodella storia italiana e condensato di contraddizioni eproblemi che hanno incidenza pesante sulle caratteristichedell’economia e della società italiana. Anzi, per tanti aspettiio penso che alcuni di questi problemi e di questecontraddizioni si siano aggravate con l’avanzare di quellache è stata definita, con un parallelo un po’ scorretto, laquestione settentrionale; che dal 2001 in poi alcuniparametri, per esempio quello generale delle spesed’investimento sul totale della spesa pubblica, hannosegnato arretramenti consistenti e che oggi anche alcuni

Il rilancio del Mezzogiornoe la questionepaese

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IL SUD TRA SVILUPPO E SPRECO

segnali positivi, seppure non sufficienti, dati dal governoProdi, rischiano di essere cancellati e anzi, alla luce dellescelte annunciate dal governo, si manifesta il rischioconcreto che al Sud venga inferto un colpo dal quale sarebbemolto difficile riaversi.Il tutto alla vigilia dell’apertura della discussione concretasul federalismo fiscale che, oggettivamente, rischia dipresentarsi non come strumento che, valorizzando leAutonomie ed esaltando le responsabilità e la qualitàdell’amministrazione regionale e locale si propone di farfare un salto in avanti al paese, ma come strumento che,riassumendo gli egoismi localistici e l’attitudine allasemplificazione dei problemi che sta prendendo così tantopiede, assuma le differenze territoriali come un datoimmodificabile, e anzi le consolidi e le approfondisca. Siimpone, quindi, una ricollocazione dal punto di vistadell’analisi, della prospettiva e della proposta che facciamoal paese, ma anche, insieme, una riflessione su comeorganizziamo una risposta che affronti anche le tematichedell’oggi che incombono.Cambia anche di parecchio l’agenda delle nostre iniziativese, per esempio, le questioni su cui discutiamo a propositodel Disegno di legge sulla manovra in rapporto alMezzogiorno diventassero decreto e quindi ci sarebberotempi di discussione e d’approvazione più veloci, piùcomplicati per noi, visto il tempo e l’atmosfera, la fasestagionale che stiamo attraversando, ma che comunque cipongono il problema di come organizziamo una risposta e dicome l’organizziamo dentro e fuori del Mezzogiorno, suquestioni che, però, attengono a questioni di fondo della vitadel nostro paese e al complesso sindacale e della Cgil. Sono d’accordo con chi ha detto che sulle spalle della Cgil,per gli infiniti motivi che avete argomentato e che nonriprendo, c’è una responsabilità molto, ma molto forte, ed ènaturale che sia così. Siamo di fronte a una situazione dellapolitica in generale, del centro sinistra e dintorni, conproblemi importanti. Vediamo quello che sta succedendonell’opposizione parlamentare al governo, le sue difficoltà eincertezze, con un rischio d’afasia che su alcune questioni,prima di tutte quella del Mezzogiorno, rischia di consegnarealle articolazioni stesse del centro-destra il compito di fare ilgoverno e nel contempo di agitare le rappresentanzeterritoriali su un terreno di pura difesa dell’esistente, penso ad esempio proprio al rapporto tra centro-destra del Sud e Lega.E vediamo le difficoltà della sinistra fuori del parlamento aritrovare senso e politica ed ad uscire da una qualche formad’auto distruttività che l’ha pervasa dopo le elezioni. Ilquadro rischia d’essere pericoloso e devastante. Noiabbiamo questa responsabilità di rappresentare il disagiosociale crescente, di fare delle piattaforme unitarie ilterreno su cui costruire settimane di discussione edimpegno nei territori e nei luoghi di lavoro, per organizzare,in autunno, le forme di una mobilitazione, speriamounitaria, che provi a ottenere risultati sul terrenoeconomico-sociale e a mantenere viva l’idea che un’altrapolitica, un altro modo di affrontare i problemi del paese,può costituire una risposta più efficace ai problemi e nelcontempo bloccare questa deriva di qualità dello spiritopubblico e degli stessi livelli di civiltà di questo paese. Si prepara un periodo convulso, che ci chiamerà afronteggiare questioni di una certa rilevanza. Credo che cisarà una ricaduta, avremo l’esigenza di fronteggiare lequestioni più immediate in tutto il paese, quelle delle

politiche sindacali, quelle che incidono sul mercato dellavoro, quella che incide sulla questione dei diritti.E il primo punto per noi è qui. Il Mezzogiorno non è unacosa che si aggiunge, il Mezzogiorno non è il capitoletto checomunque mettiamo nei nostri documenti, perché loabbiamo presente nella nostra testa. Lo abbiamo sempredetto, a volte ci siamo riusciti, nella nostra vicenda storica avolte no, ma di sicuro questa è la fase nella quale dobbiamoriproporre politiche per lo sviluppo, ma anche la politica deidiritti, il welfare, la questione dell’assetto di quelle società,contrastare i tagli. Questo lavoro di approfondimento, didiscussione, dobbiamo farlo partire da subito. Dobbiamofarlo con un’ottica di sistema, perché è evidente chedobbiamo tenere il ragionamento sul Mezzogiorno dentroun’ottica in cui l’area e i problemi del Mezzogiornocostituiscono la questione paese, nel modo in cui l’abbiamosempre fatto e che ripropone il Mezzogiorno come grandequestione unitaria del paese.Detto questo – e sono d’accordo con i compagni che l’hannosottolineato, del resto è cultura nostra abbastanzaconsolidata – è evidente che dentro il Mezzogiorno ci sonodifferenze e specificità, non solo tra regione e regione, maanche tra macro-aree, le cose che dicevano i nostri relatori,parliamo delle piccole regioni, parliamo delle tre grandiregioni che vivono il punto più alto di crisi di legalità dellastoria della Repubblica, Sicilia, Campania e Calabria, o delleisole, o di Puglia e Basilicata con le loro peculiarità. Regionidiverse, con caratteristiche diverse. Dobbiamo provare, anche nella riflessione che proporremoin occasione della prossima Conferenza di programma, acollocare dialetticamente l’ottica di sistema e le opportunespecificità per provare a ricavarne un’idea di rilancio delMezzogiorno. Sono d’accordo – mi pare che lo dicesse ilprofessor Marani – che stiamo attraversando una fasepolitica, culturale, mediatica, che in un certo senso ha giàconsumato alcune cose. E consumate non già nel corso degliultimi mesi, ma purtroppo in un periodo più lungo della vitadi questo paese. Per esempio, la questione dello spreco,quest’idea di un paese che ha grandi criticità sul terrenodella crescita, dello sviluppo, dell’armonizzazione dellestrutture produttive, delle infrastrutture e dell’innovazionee che, pur in presenza di un grande debito pubblico e conproblemi enormi sul terreno degli investimenti, cose tuttevere, non può permettersi il grande fiume di denaro checosta la dipendenza del Sud che peraltro, appunto, spreca.Perché c’è la vulgata di un paese – e ciò fa ormai parte delcomune sentire della pubblica opinione – nel quale il primoatto del risanamento sarebbe di dare le risorse “a chi le saspendere, a chi sa produrre opere e ricchezze e crescita”. Eanche da sinistra, soprattutto dagli amministratori dellasinistra del Nord, viene l’invito, che rischia di sembrareragionevole agli stessi meridionali, di provare invece adimpegnare le risorse nei luoghi dove c’è responsabilità, nonc’è malaffare né mafie, e dove, soprattutto, esse nonsarebbero inghiottite dal grande buco nero dell’arretratezzae del sottosviluppo. Noi dobbiamo provare a ribaltare questo paradigmaculturale che si sta diffondendo. È una visione politicainteressata, questa; è uno dei luoghi comuni di cui parlavaMarani, ma è un luogo comune che rischia di radicarsi nellacoscienza del paese. Questa consapevolezza, penso,dobbiamo averla, perché se non ci rendiamo conto di quantoè profondo e di quanto è pericoloso questo approccio –culturale prima che politico – non affronteremo come

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CONCLUSIONI

dovremmo e come dobbiamo tutta la discussione relativa alfederalismo fiscale.Non sono meridionalisti peraltro tutti coloro che negano,sulla base dei dati d’investimento e di spesa pubblicaallargata, e sull’analisi comparata della serie storica dei dati,e sui dati ultimi, questi del Dps, che abbiamo sentito cosìefficacemente commentare stamattina, che questaconvinzione poggi su dati di fatto reali. Tutt’altro. Uno deiproblemi più rilevanti nell’uso delle risorse comunitarie delciclo 2000-2006, accanto alla dispersione, alle strozzatureburocratiche, alle diffusissime pratiche clientelari, alletruffe, alle incapacità amministrative e gestionali, allapessima qualità della politica ed al peso indiscutibile dellemafie, su cui la Cgil ha espresso e non da oggi le principalicritiche, è stato proprio l’aver costituito, queste risorse, unaspesa che da aggiuntiva che doveva essere, per affrontare lestrozzature principali di sistema cui doveva esseredestinata, si è trasformata in spesa ordinaria, sostitutiva diflussi in realtà insufficienti ad affrontare le dinamiche diun’economia dipendente e gravemente sottodimensionatanei suoi livelli produttivi. Con ciò ovviamente venendomeno agli obiettivi di convergenza che sarebbe stato, ed è,necessario perseguire.Dobbiamo aprire una battaglia culturale nel paese, esottolineo non solo politica, anche culturale. Sono per direcon nettezza alcune cose, e senza trincerarmi dietro lecautele di un momento che mi vede ancora con la sola otticadi segretaria della struttura confederale delle regione piùdisgraziata ed indietro su tutti i terreni (la Calabria, ndr), eritorno al tema del federalismo fiscale per dire che se ilterreno di discussione è quello che ha quell’impianto allespalle e parte dalla proposta della Regione Lombardia, sitratta di un terreno che per la Cgil non può che essereinaccettabile. Perché questo sarebbe, non la messa indiscussione o la messa in crisi di questo, o quel pezzo, delrapporto tra ordinarietà o aggiuntività, no, questo, per unagrossa parte del Mezzogiorno, non lo so se per tutto ilMezzogiorno, di sicuro per la realtà che meglio conosco delMezzogiorno, la fine di un impianto da paese che sta inEuropa, che pretende di starci e che si pone il problemadella crescita. Se quella fosse l’impostazione, non siporrebbe più il problema del superamento odell’attenuazione del divario, si porrebbe un altro problemache è quello di come sopravvivranno le strutture elementaridi governo, del welfare, della spesa pubblica nelMezzogiorno e quindi le strutture che garantiscono i dirittidi cittadinanza, ma io credo sarebbe anche l’assumere solomezzo paese come soggetto della e nella globalizzazione edecidere di fare del Sud Italia la periferia irredimibiledell’Europa e nel contempo di far perdere al Paese leopportunità che vengono dal nuovo ruolo che ha assunto eche ancora più può assumere il Mediterraneo. Del resto ledinamiche di crescita di paesi europei che avevano al lorointerno aree in ritardo ci dicono che è proprio dalla fortedinamicità che si è impressa a quelle aree che sono venutele affermazioni più significative.Tuttavia, anche se a volte mi viene la tentazione, non sonotra coloro che pensano che, siccome c’è questo pericolo,bisogna assumere un atteggiamento di richiusura e di difesadell’esistente. Nel dibattito interno al Mezzogiorno sonoparecchi coloro che nutrono riserve profonde sull’idea stessadi federalismo. Non mi colloco tra quanti sostengono che èmeglio non parlarne. Penso invece che il tema vada ripreso eche occorre discutere su come lo decliniamo in funzione

della crescita, della qualità di governo del Mezzogiorno. Nonmi iscrivo, però, neanche al partito di coloro che voglionorinunciare ad affrontare il nodo storico dell’incapacitàamministrativa e gestionale delle classi dirigentimeridionali, il nodo della qualità e dell’efficacia della spesa.Penso che vadano garantite le condizioni di fondo, le pariopportunità di partenza, un quadro chiaro di regole, dichiarezza istituzionale in un disegno ordinato di competenzee funzioni cui sia assicurata, anche con la perequazione edun’idea di fondo di solidarietà, il necessario finanziamento.Sulla manovra è stato detto. Franco Garufi l’ha illustrataperfettamente, il giudizio è stato ripreso da tutti i relatori. Iopenso che, innanzitutto, possiamo sintetizzare in duequestioni. Nel quadro di tagli consistenti al sistema diwelfare e d’interventi sul mercato del lavoro e sull’impiegopubblico che oltretutto mettono sostanzialmente indiscussione il protocollo del 23 luglio, sul mezzogiorno siaccentra la spesa e si effettuano tagli al Fas d’assolutaconsistenza, dopo che per l’abrogazione dell’Ici si sonousate le risorse destinate dal precedente governo alleinfrastrutture di Calabria e Sicilia.Non è vero che si discute sulla questione, vecchia per noi,che abbiamo proposto noi per anni, della questione delconcentramento delle risorse, cioè su modalità di spesa cheevitino la dispersione, la spesa a pioggia, e che quindi civiene proposta una modalità più efficiente e più efficaceconcentrando la spesa su alcuni macro-obiettivi. L’idea delgoverno è quella della centralizzazione delle decisioni edell’uso della spesa, che non solo è un’altra cosa dalfederalismo ma è un’altra cosa dal metodo del partenariatoistituzionale e sociale che ha lavorato nelle regioni, e cheperaltro oggi rischia anche di produrre ritardi nell’avvio deiprogrammi di spesa, la messa in discussione di progetticostruiti e deliberati dalle regioni e rischia persino dicreare, alle regioni, problemi nei rapporti con laCommissione europea.Allo stato questo, soprattutto, rischia di mascherare ancheun’altra operazione, un travaso secco dall’aggiuntività peril Mezzogiorno a politiche di spesa pubblica di risoluzioned’altre problemi nel resto del paese, quindi ditrasferimento di risorse dal Sud al Nord. Questo rischio c’èdavvero. C’è sulle infrastrutture, per la discussione e letabelle che conosciamo e per l’impostazione generale dipolitica economica che dà Tremonti e c’è perché nelmomento in cui tu dovresti andare a una rimodulazione delquadro strategico nazionale che mettesse in discussione iluoghi e le forme della programmazione, cioè l’idea chel’aggiuntività si gestisce in un quadro di programmazionee d’integrazione delle risorse, ordinarie, straordinarie,nazionali e comunitarie, eccetera, tu produci una ferita aquell’impianto, su cui, poi, possiamo discutere se ècorreggibile, se l’impianto si può migliorare, ma non seavviene senza costruzione d’ipotesi alternative e senza unragionamento né un tavolo con Regioni e forze sociali,come del resto sta avvenendo sul complesso della manovra.Dopodiché, è vero che se così fosse il quadro della manovraprodurrebbe dei danni immediati, prima di tutto unrallentamento vero del processo di spesa sui fondicomunitari che, unitamente ai tagli che si annunciano alFas, è destinato ad avere effetti pesanti. Noi proveremo aformulare con Cisl e Uil un giudizio comune ed a chiedereun tavolo col governo sulla questione del Mezzogiorno,sempre che il quadro generale dei rapporti con il governopossa consentire una richiesta del genere.

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L’ultima cosa che volevo dire, davvero l’ultima, è che noneludo la questione dentro il Mezzogiorno, e come vanno lecose nel Mezzogiorno sulla qualità della spesa. E siccomel’ho sempre detto, da Segretaria regionale, non ho cambiatoidea. Noi non ci difendiamo, non difendiamo il Mezzogiornose saltiamo questo nodo. Certo che bisognerà fare quadrato,sinergie e alleanze, io penso ad una fase di confronto con leregioni, con i sindaci, cioè noi dobbiamo mettere sulterritorio e sul tappeto tutte le possibilità d’alleanze che noiabbiamo per sconfiggere la politica governativa cheabbiamo di fronte, ma non daremo forza a questa battagliase salteremo il nodo della qualità della spesa e della qualitàdel governo regionale e locale nel Mezzogiorno. Perché èvero, io sono d’accordo con voi, se lo dico dalla Calabria loposso dire diversamente, credo in quello che dicono icompagni, ancora non ho letto tutte le programmazionidelle regioni, avrò il tempo di farlo e di farmene un’idea, maio sono convinta, anche teoricamente, che non tutto èandato male nel Mezzogiorno, e che non tutta la spesa èusata male, è sprecata, non ha prodotto effetti, eccetera.Discuto, con il termine che usavano prima i nostri relatori,che la spesa sia stata sempre un meccanismo che si ètrasformato in moltiplicatore, la discussione che facevamoprima. C’è un problema di differenze anche tra regioni,perché quello che ha fatto sul sistema ferroviario laCampania, non ha nulla a che vedere su quello che ha fattosul sistema infrastrutturale la mia regione, o in Sardegna,per esempio, dove c’è il problema grosso della mobilità,della viabilità e così via. Come probabilmente non ci saràparagone tra quello che ci diceva l’assessore Saponaro perla Puglia e le tante cose importante che anche lì hanno fattocon i fondi strutturali, e quanto invece è stato fatto eaggiunto da giunte d’analogo colore politico in altri zone delMezzogiorno. C’è un problema di qualità della strutturaamministrativa, c’è un problema di equilibrio istituzionale,c’è un problema di qualità sociale, che è vero che incidesulla qualità della spesa. Un punto mi pare che possa essereunitario rispetto a questa questione qui, nel senso che ilnodo vero della spesa è che non è stata aggiuntiva, si èappunto troppo spesso sostituita alla spesa ordinaria, il chedi per sé a volte porta dispersione, frammentazione, spesa apioggia. E quindi è chiaro che il nodo non è la questione deifondi strutturali, che poi come ci diceva la dottoressaCasavola non sono neanche tantissimi in un quadro dispesa pubblica allargata e che il problema rimane lasottodotazione di spesa allargata per il Mezzogiorno. Èchiaro che questo è un punto centrale della nostra analisi,sul quale penso che non ci sono differenze tra di noi. Ilpunto che mi preoccupa, rispetto alla nuova fase diprogrammazione, alla fase che viviamo adesso, è che io nonpenso che il negativo del Mezzogiorno sia fermo.L’impressione che ho io è che ci sono cose positive che simuovono, ma che alcuni processi, negativi, hanno avutodelle accentuazioni. Per esempio il quadro generale dellalegalità e del potere delle mafie che cresce e soffoca inCampania, Calabria e Sicilia.Io penso che noi dobbiamo contemporaneamenterappresentare il Mezzogiorno che si difende e chiedesviluppo e allargamento della spesa ed efficacia di questaspesa, verso il nord, verso il governo e verso l’Europa,d’altra parte dobbiamo, dentro il Mezzogiorno, mentrericerchiamo alleanze, non abbassare il tiro sulla qualitàdella nostra proposta e sulla qualità del conflitto checomunque dentro il Mezzogiorno può esserci. Perché se no,io penso che noi saremo travolti. Dopodiché, non possiamo

fare una discussione sul Mezzogiorno senza i soggetti delMezzogiorno, non solo il mondo del lavoro cherappresentiamo ma quei nuovi soggetti che ne incarnano lecontraddizioni più macroscopiche. A partire dai giovani, ilcapitale umano ad alta qualificazione che se ne va,proviamo come Cgil a dargli voce, a dargli soggettività. Cioè,proviamo a trasformarlo in ragionamento sindacale e darlivisibilità e intorno a questo creare nuove basi culturali,politiche e sociali di discussione intorno al Mezzogiorno.Perché se no, in una realtà che rischia di essere letta inblocco col paradigma leghista, la difesa di una prospettivaper il Mezzogiorno rischia di assumere nell’opinione delNord, anche operaia e di sinistra, i caratteri di una posizioneconservatrice. Del resto il blocco culturale di giudizio sulMezzogiorno a me sembra bello che formato. Noi, rispetto a questo, abbiamo un problema: di riportare leforze vive, i soggetti sociali, a misurarsi con la questioneoggi del Mezzogiorno. Io penso che questo è il compito checi tocca, ci tocca come Cgil e spero di poter dare uncontributo a questo lavoro.

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APPENDICE

I l rapporto Svimez 2008 sull’economia delMezzogiorno conferma un divario di crescita a sfavoredel Mezzogiorno pari a circa 1 punto percentuale (0,7

contro 1,7%). Nel periodo 2000-2007 il Sud è cresciuto adun tasso medio annuo dello 0,7% contro l’1,2% del Centro-Nord; sette anni di crescita del Sud inferiore di mezzopunto l’anno. Le prime informazioni relative al 2008 confermano leprospettive di un ulteriore peggioramento, e indicano latendenza verso la crescita zero dell’economia meridionale. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, dopo un 2007di sostanziale stasi dell’occupazione al Sud a fronte diuna crescita dell’1,4% nel Centro-Nord, nel primotrimestre del 2008 gli occupati meridionali sonoaddirittura in calo, dello 0,2%. In tale contesto le scelte per il Mezzogiorno contenutenella manovra del governo appaiono del tutto insufficienti. Il dato dominante è l’assenza nel Dpef, tra gli obiettivifondamentali dell’azione di Governo, del riequilibrioterritoriale tra Mezzogiorno e Centro Nord: in particolare,viene abbandonato l’impegno di incrementare la spesa inconto capitale nel Sud fino al 45% del totale (giàprogressivamente ridotto negli anni precedenti).Continua così a venire meno la natura aggiuntiva delfinanziamento per lo sviluppo non adeguatamenteintegrato dalla spesa ordinaria per investimenti. Il documento non parla di politiche specifiche per ilMezzogiorno ma soltanto, in generale, della necessità dispingere l’apparato economico dell’intero Paese verso losviluppo. Si fa riferimento alla opportunità di accentrarein un’unica cabina di regia la programmazione dei fondi europei. Le priorità del Governo in ordine alla semplificazione ealla concentrazione degli interventi vengono così

declinate all’interno della manovra: la riduzione delladotazione di spesa del Ministero dello SviluppoEconomico finalizzata a “Sviluppo e Riequilibrioterritoriale”; la revoca delle risorse Fas ante 2006 nonancora impegnate; la revoca dei programmi Fas nazionalidel periodo 2007-2013 non ancora approvati e laconcentrazione delle risorse in un fondo per gli interventiinfrastrutturali; la riprogrammazione delle risorse“liberate”; il riordino degli strumenti di sostegno agliinvestimenti di medio grandi dimensioni; la creazionedella Banca del Sud. Il principale aspetto problematico riguardante ilMezzogiorno è costituito dalla consistente riduzione delladotazione di spesa della missione “Sviluppo e riequilibrioterritoriale” del Ministero dello Sviluppo Economico (incui sono allocati gli stanziamenti del Fondo AreeSottoutilizzate), per un importo pari a 1.811 Milioni dieuro per il 2009, 2.210 per il 2010, 3.963 per il 2011. Lariduzione totale nel triennio è pari a 7.9 miliardi di euro,pari ad oltre 1/4 delle riduzioni complessive (26 miliardidi euro nel triennio).Dal punto di vista del merito, va osservato che gli obiettividi contenimento della spesa vengono perseguiti soprattuttomediante la riduzione degli investimenti pubblici nelMezzogiorno (tale è infatti la spesa del Fas), proprio nelmomento in cui sarebbe viceversa opportuno un interventoanticiclico per l’ammodernamento delle retiinfrastrutturali e per la valorizzazione delle risorse umane. Si prevede, infine, la creazione di una banca del Sud dicui non sono chiare né le finalità né la composizione. Lamanovra è caratterizzata da una profonda rimodulazionedelle risorse del Fondo Aree Sottoutilizzate, sia di quelleresidue sia di quelle derivanti dalla programmazione20072013.

La manovrapenalizzail MezzogiornoDocumento di Cgil, Cisl e Uilluglio 2008

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L’esigenza di una maggior concentrazione delle risorseè stata più volte esplicitata dal sindacato: sisottolineano tuttavia i rischi connessi ad un’eccessivacentralizzazione, che appare contraddittoria con lostesso percorso del federalismo fiscale e che mette indiscussione la programmazione unitaria del Qsn,spostando risorse dalle Regioni del Mezzogiorno versoaltre aree del Paese. Sono note le principali criticità che caratterizzano laprogrammazione dei fondi strutturali, manifestatesicon evidenza nel periodo di programmazione 2000-2006: ritardi, scarsa efficacia, risultati scadenti,frammentazione degli interventi, spesso incapaci diincidere significativamente sulle condizionieconomiche e sociali nei territori interessati. Tutto ciòanche per responsabilità da parte delle Regioni nellagestione delle risorse e dell’attuazione dei ProgrammiOperativi Regionali. Il complesso apparato di programmazione definito peril prossimo settennio può essere rimodulato all’internodella cornice definita dal Qsn, aumentando lafocalizzazione degli interventi e superando l’attualepolverizzazione. Vanno tuttavia evitate “rotture”traumatiche che rischierebbero di far perdereimportanti risorse nazionali e comunitarie neiprossimi anni, compromettendo la capacità di azionedelle istituzioni pubbliche centrali, regionali e locali.Senza trascurare il rischio che sia vanificato il lungo epaziente lavoro di partenariato che ha visto coinvolte,insieme alle istituzioni le forze sociali ed economiche. A tale proposito, perplessità suscitano le modalità peril riordino del Ministero dello Sviluppo Economico, inparticolare con riferimento al Dipartimento Politiche di Sviluppo. In definitiva, Cgil Cisl Uil esprimono preoccupazioniper gli esiti di una manovra che, se non venisserispettata la chiave di riparto territoriale adottata findal 1999, ridurrebbe le risorse a disposizione delMezzogiorno (comprese quelle destinate agliinvestimenti in istruzione e formazione), evanificherebbe il pur necessario sforzo dirazionalizzazione della politica regionale unitaria. Ciòsignifica che le risorse in tal modo rimodulatedovranno rispettare,anche per quanto riguarda lacosidette risorse liberate del precedente ciclo diprogrammazione, la chiave di riparto per leassegnazioni territoriali (85% al Mezzogiorno, 15%Centro Nord), confermando al tempo stessol’aggiuntività della spesa della politica regionale. Nel testo finale della conversione in legge del decretova esplicitamente previsto il rispetto della chiave di riparto. Ulteriori preoccupazioni suscita la modifica dei criteriper la concessione del credito d’imposta investimenti,contenuta nel decreto c.d. milleproproghe, che ne fadecadere la caratteristica di automaticità riproponendomodalità di accesso (tetto e criteri di selezione) che inpassato si sono dimostrate inefficaci. Alla luce delle considerazioni svolte, appare quantomai opportuna la riapertura di un tavolo di confrontocon il Governo sulle politiche per lo sviluppo delMezzogiorno. In esso, potranno essere precisati gliindirizzi e gli obiettivi di una politica regionalerinnovata e del ruolo delle risorse ordinarie, conparticolare riferimento per le priorità più volte

segnalate (promozione degli investimenti e fiscalitàcompensativa, società della conoscenza e sviluppodelle competenze, sicurezza e legalità nelMezzogiorno, infrastrutture, turismo e riqualificazionedei centri urbani). Il tavolo potrà favorire l’instaurarsidi un confronto sistematico sulle politiche di coesionecosì come previsto dal Protocollo tra le parti sociali eil Ministero dello Sviluppo Economico.

Cgil Cisl UilV. Lamonica G. Santini G. Loy

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Chiuso in tipografia il 25.9.2008 • Stampa Grafica Romana

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