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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MEDICINA E CHIRURGIA TESI DI LAUREA Diabete monogenico in età evolutiva: revisione della casistica della sezione interna di diabetologia pediatrica-Pisa. Relatore Chiar.mo Prof. Giovanni Federico Candidato Leonardo Fiorentino Anno Accademico 2013/2014

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Dipartimento di Medicina Clinica e

Sperimentale

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MEDICINA E

CHIRURGIA

TESI DI LAUREA

Diabete monogenico in età evolutiva:

revisione della casistica della sezione

interna di diabetologia pediatrica-Pisa.

Relatore

Chiar.mo Prof. Giovanni Federico

Candidato

Leonardo Fiorentino

Anno Accademico 2013/2014

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INDICE

RIASSUNTO .............................................................................................. 2

1 INTRODUZIONE ................................................................................. 4

1.1 Diabete Mellito ................................................................................................... 4

1.2 Diabete Monogenico ........................................................................................... 9

1.3 Meccanismo di secrezione dell’insulina ............................................................ 10

1.4 Le forme di diabete monogenico ...................................................................... 19

2 SCOPI DELLO STUDIO.................................................................... 32

3 MATERIALI E METODI..................................................................... 33

3.1 Pazienti .............................................................................................................. 33

3.2 Composizione corporea .................................................................................... 39

3.3 OGTT ................................................................................................................. 40

3.4 Analisi biochimiche ........................................................................................... 40

3.5 Monitoraggio continuo della glicemia .............................................................. 41

3.6 Indagine molecolare ......................................................................................... 42

3.7 Algoritmo diagnostico di 7 punti per mutazione GCK....................................... 43

4 RISULTATI ........................................................................................ 44

5 DISCUSSIONE .................................................................................. 51

6 CONCLUSIONI ................................................................................. 54

BIBLIOGRAFIA ....................................................................................... 56

Ringraziamenti ......................................................................................... 63

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RIASSUNTO

Il diabete monogenico costituisce un gruppo di malattie metaboliche

caratterizzate tutte da iperglicemia, la cui eziologia è attribuita, nella

maggior parte dei casi, a mutazioni di geni coinvolti nella funzione della β-

cellula. In questo lavoro di tesi è stato valutato il comportamento del

controllo metabolico in un gruppo di 12 bambini e adolescenti con diabete

monogenico in cui la diagnosi è stata confermata dall'analisi genetico-

molecolare.

La corretta identificazione del gene responsabile è importante per il

corretto approccio terapeutico e il follow-up a lungo termine.

L'analisi molecolare ha dimostrato in 4 soggetti la presenza di mutazioni di

HNF1α e in 9 soggetti di mutazioni di GCK, dal momento che in un caso

(n°11) è stata riscontrata la presenza di entrambi i geni mutati. Di queste,

4 mutazioni, 2 di GCK e 2 di HNF1α, non sono state ancora descritte.

Durante il follow-up, ad eccezione di un caso, i livelli circolanti di HbA1c

sono risultati sempre <48 mmol/mole (6.5%), indicando un buon controllo

glicemico. L'approccio terapeutico è stato in tutti quello di modificare gli

stili di vita, ottenendo in generale una riduzione del BMI.

Un caso, il n. 11, che ha mostrato la presenza di mutazioni allo stato

eterozigote nei geni GCK e HNF1α, durante il follow-up è risultato positivo

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agli autoanticorpi anti GAD, suggerendo la possibilità di sviluppare un

doppio diabete.

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1 INTRODUZIONE

1.1 Diabete Mellito

Il termine diabete mellito identifica un gruppo di malattie metaboliche

caratterizzate da iperglicemia cronica dovuta a deficit/insufficiente azione

dell’insulina che causa alterazioni del metabolismo dei carboidrati, dei

lipidi e delle proteine. Il deficit o la perdita della funzione dell’insulina

possono essere dovuti a una ridotta o assente secrezione di questo

ormone o a una ridotta sensibilità delle sue cellule bersaglio1.

Dalla precedente definizione di diabete mellito, si evince come non si tratti

di un’entità singola; esistono infatti varie forme diverse per eziologia,

quadro clinico e impostazione terapeutica. La classificazione del diabete

mellito, formulata dall’American Diabetes Association (ADA)2, divide il

diabete in quattro forme principali (figura 1).

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Figura 12: Classificazione del diabete mellito secondo l’American Diabetes

Association.

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I: Diabete mellito di tipo1.

Il diabete mellito tipo 1 (DM1) è caratterizzato dalla distruzione delle β-

cellule e da un deficit d’insulina. A sua volta il tipo 1 si divide in 1A e 1B.

La forma 1A è la più comune delle due ed è caratterizzata da una

distruzione immuno-mediata delle β-cellule. Questi pazienti presentano

autoanticorpi diretti contro antigeni presenti in queste cellule: anticorpi anti

insulina, anti GAD (decarbossilasi dell’acido glutammico), anti tirosin

fosfatasi IA-2 e IA2β. Inoltre il tipo 1A si associa ad aplotipi HLA, in

particolare DQA, DQB e DRB, che possono essere sia predisponenti che

protettivi. La forma immuno-mediata è tipica dei pazienti pediatrici, ma può

essere presente anche nell’adulto, con la differenza che nel paziente

pediatrico la distruzione delle β-cellule avviene solitamente in tempi più

rapidi rispetto al paziente in cui l’esordio avviene in età adulta; ciò

concorda con quanto si osserva nella pratica clinica, in quanto la presenza

di chetoacidosi, all’esordio clinico della malattia, è molto più frequente nel

bambino e nell’adolescente.

La forma 1B differisce dalla precedente per l’assenza di un’eziologia

autoimmune che spieghi la distruzione delle β-cellule e il deficit d’insulina.

Questa forma, definita idiopatica, è poco frequente e si trova

maggiormente in pazienti di origine asiatica o africana.

La terapia del DM1 prevede obbligatoriamente la somministrazione

d'insulina esogena per ripristinare i metabolismi glicidico, lipidico e

proteico, prevenendo così le complicanze sia acute sia a lungo termine

della malattia, evitando l’insorgenza della chetoacidosi.

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II: Diabete mellito di tipo 2.

Il diabete mellito tipo 2 (DM2) è la forma di diabete più frequente. Si tratta

di una condizione caratterizzata da insulino-resistenza cui si associa, con

il passare del tempo, insulino-deficienza per il generarsi della disfunzione

beta-cellulare. I fattori di rischio di questa forma sono molteplici, tra cui gli

stili di vita caratterizzati da una non corretta alimentazione e dalla

sedentarietà che conducono a obesità e insulino-resistenza, l'età e alcuni

fattori genetici.

Nei pazienti con DM2 l’iperglicemia si sviluppa in genere in maniera

graduale e per questo motivo può restare asintomatica per anni; inoltre,

dal momento che i valori dell’insulina sono normali o addirittura più alti1, la

chetoacidosi si sviluppa raramente (salvo in presenza di situazioni di

stress per l’organismo come ad esempio un’infezione). In questo stadio

pre-clinico il soggetto è asintomatico, ma il suo organismo è esposto

all'azione glucotossica dell'iperglicemia che inizia a sostenere i processi

fisiopatologici che portano alle complicanze croniche del diabete. La

terapia del DM2 prevede l'adozione di stili di vita corretti con l'eliminazione

dell'eccesso ponderale, l'uso di farmaci antidiabetici orali, di incretine, di

insulina.

Il DM2 è più frequente nel paziente adulto, ma la sua incidenza sta

aumentando nel paziente pediatrico.

1 dati i valori alti di glicemia presenti in questi pazienti, i valori dell’insulina sarebbero ancora più

elevati se la funzione della β-cellula fosse normale.

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III: Altri tipi specifici di diabete.

In questa categoria rientrano tutte le forme di diabete che non si

classificano come DM1, DM2 o diabete gestazionale (figura 1). Si tratta di

condizioni con varia etiologia, in cui il diabete può essere parte di un

quadro sindromico più ampio, può essere legato all'assunzione di farmaci

o di sostanze chimiche, può essere la conseguenza di un'endocrinopatia o

di una malattia a carico del pancreas esocrino che, secondariamente,

interessa il pancreas endocrino.

IV: Diabete mellito gestazionale.

Si definisce diabete mellito gestazionale quella forma di diabete mellito

che si sviluppa durante la gravidanza. In genere dovrebbe risolversi con il

parto, ma in alcune pazienti persiste. In questi casi non si può escludere la

presenza del diabete o dell’intolleranza glucidica prima della gravidanza.

Si raccomanda perciò di classificare come pazienti affette da diabete non

gestazionale, quelle donne ad alto rischio che alla prima visita ostetrica

sono positive ai criteri standard della diagnosi di diabete (figura 2). Va

precisato che il diabete mellito gestazionale è un fattore di rischio per lo

sviluppo futuro di una forma di DM2.

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Figura 22: Criteri per la diagnosi di diabete mellito.

1.2 Diabete Monogenico

Di questo gruppo fanno parte le forme di diabete causate da una o più

mutazioni di un singolo gene. I geni coinvolti più frequentemente

codificano per fattori che regolano la funzione della β-cellula, ma ci sono

rari casi in cui il diabete si sviluppa per mutazioni di geni che causano una

grave insulino-resistenza3.

Nella classificazione dell’ADA, le forme di diabete monogenico sono

essenzialmente raggruppate al punto IIIA e in casi rari IIIB.

Il diabete monogenico, dunque, nella pratica clinica interessa

prevalentemente geni che regolano la funzione della β cellula e in

particolare la secrezione dell’insulina; perciò prima di parlare delle varie

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forme di diabete monogenico, è necessario illustrare il ruolo di questi geni

e dei relativi prodotti nella secrezione dell’insulina.

1.3 Meccanismo di secrezione dell’insulina

L’insulina è un ormone prodotto dalle cellule β situate nel pancreas.

Queste, insieme alle cellule α, alle cellule δ e alle cellule PP, costituiscono

la componente endocrina del pancreas, ovvero le isole di Langherans.

L’insulina ha un ruolo fondamentale nel metabolismo in generale,

soprattutto in quello del glucosio, il quale rappresenta il principale fattore

di stimolo per la secrezione dell'ormone.

La figura 3 mostra le varie fasi della secrezione dell’insulina e i vari fattori

coinvolti.

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Figura 34: Secrezione dell’insulina.

Glucochinasi5-8

All’interno della cellula, il glucosio viene fosforilato a glucosio-6-fosfato

dalla glucochinasi (GCK), conosciuta anche come esochinasi IV.

La GCK svolge un ruolo cruciale nella funzione della β-cellula, poiché si

comporta, di fatto, come un sensore della glicemia. L’enzima viene

espresso anche nel fegato e in determinate cellule sia dell’intestino sia del

sistema nervoso. L’espressione del gene della GCK è tuttavia regolata in

maniera differente a seconda del tipo cellulare. Quando si assume un

pasto, la glicemia aumenta e di conseguenza aumenta anche l’insulina;

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l’insulina aumenta l’espressione della GCK epatica che, a sua volta,

induce un aumento della fosforilazione del glucosio all’interno della cellula,

mantenendo così un gradiente di concentrazione tra il glucosio

intracellulare e quello plasmatico, facilitando l’ulteriore captazione del

glucosio nelle cellule epatiche. Questo meccanismo è importante poiché

l’insulina stimola, in questo modo, l'accumulo di glucosio nel fegato come

glicogeno. A livello della β-cellula la regolazione della trascrizione della

GCK è finemente controllata dal momento che la costante attività di

questo enzima è necessaria per correlare la glicemia con la secrezione

dell’insulina. Il glucosio entra nella β-cellula trasportato dal GLUT2 in

modo proporzionale al livello di glicemia. La concentrazione di glucosio

all’interno della β-cellula rispecchia dunque, quella plasmatica. La

fosforilazione del glucosio, per opera della GCK, è la prima tappa che

porta alla produzione di ATP dal momento che, più glucosio viene

fosforilato più ATP viene prodotto. L’ATP, come più avanti descritto,

svolge un ruolo chiave nella secrezione dell’insulina.

A livello epatico, la GCK è soggetta a una regolazione post-trascrizionale

da parte di una specifica proteina regolatrice (GCKR) che lega l’enzima,

inibendone la sua funzione biologica, causandone la localizzazione

all'interno del nucleo, a differenza della forma attiva presente nel

citoplasma. L'associazione tra GCK e GCKR è regolata dai livelli cellulari

di fruttosio 6 fosfato che, essendo un prodotto della glicolisi, permette alla

GCK di essere attiva solo in presenza di una elevata concentrazione di

glucosio. L'attività di questo enzima è quindi fondamentale per l’omeostasi

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glicidica non solo per la stimolazione della secrezione dell’insulina a livello

della β-cellula, ma anche per il ruolo che svolge a livello epatico nella

regolazione della glicemia (comunque sotto il controllo dell’insulina).

La GCK ha una struttura che comprende due domini, uno minore e uno

maggiore, tra cui vi è il sito di legame per il glucosio. Quest'ultimo è un sito

di attivatore allosterico; legando il glucosio, l’enzima passa da una forma

inattiva aperta a una attiva chiusa. Quindi, di fatto, nella β-cellula l’unico

fattore che regola la funzione della GCK è il glucosio stesso, che induce il

cambiamento dell’enzima verso la forma attiva (figura4).

Figura 4⁶: Struttura della glucochinasi. (A) Forma aperta; (B) Forma Chiusa.

ATP, canale del potassio e ruolo degli ioni calcio9-12

Il glucosio-6-fosfato subisce i processi biochimici che portano alla

produzione di ATP. L’aumento dell’ATP e del rapporto ATP/ADP è

essenziale per la secrezione dell’insulina. Un aumento dei livelli

intracellulari di ATP determina la chiusura dei canali ATP-dipendenti per il

potassio (K-ATP), determinando la depolarizzazione della membrana

cellulare. Questa condizione induce l’apertura dei canali voltaggio-

dipendenti per il Ca che, entrando nella cellula, causa il rilascio d’insulina

(figura 5).

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Il canale K-ATP è formato da due sub-unità tetrameriche, SUR1 e Kir6.2,

che, nel loro insieme, costituiscono un ottamero. La sub-unità SUR1 è un

tetramero codificato dal gene ABCC8 e fa parte della famiglia delle

proteine ABC (ATP-binding cassette). SUR1 costituisce il sito di legame

per le sulfaniluree, i nucleotidi e il diazossido e svolge una funzione

regolatrice del canale. E’ costituito da 17 domini transmembrana (TMDs),

2 loop intracellulari (NBDs o NBF1 e NBF2) 3 peptidi di connessione (CL3,

CL8, CL7). E’ stato dimostrato che alcuni di questi domini sono importanti

nel legame con la glibenclamide, una sulfanilurea che, legandosi a SUR1,

causa la chiusura del canale e quindi la secrezione dell’insulina. L’altra

sub-unità, Kir6.2, codificata dal gene KCNJ11, appartiene alla famiglia dei

canali Kir (K-inward rectifier) e costituisce il poro del canale. Una molecola

di Kir6.2 è costituita da 2 domini transmembrana, detti M1 e M2, collegati

da un loop intracellulare. L’ ATP prodotto dal metabolismo del glucosio si

lega al canale K-ATP determinando la chiusura di Kir6.2, bloccando la

fuoriuscita degli ioni K dalla cellula. Oltre ai nucleotidi e ai farmaci come le

sulfaniluree, ci sono altri fattori che influenzano l’attività del canale, come

ad esempio il fosfaditilinositolo di membrana, in particolare il

fosfaditilinositolo 4,5-bifosfato (PIP₂). Il PIP₂ infatti rende il canale meno

sensibile all’inibizione dell’ATP attraverso l’interazione Kir6.2 - PIP₂,

aumentando così la probabilità di apertura del canale. Anche SUR1 è

coinvolto in questa interazione, poiché la porzione N-terminale di TM0 è

coinvolta nella stabilizzazione del legame Kir6.2 - PIP₂.

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La sensibilità del canale all’ATP è legata alla presenza di entrambe le sub-

unità. Un canale composto solo da Kir6.2 è, infatti, meno sensibile

all’inibizione da parte dell’ATP di una canale contenente anche SUR1.

SUR1 modula, dunque, la sensibilità di Kir6.2 all’ATP, anche se il

meccanismo con cui ciò avviene non è ancora del tutto noto. Modifiche

della sensibilità all’ATP sono state osservate studiando interazioni tra la

glutammina in posizione 52 (Q52) di Kir6.2 e il glutammato in posizione

203 (E203) di SUR1. Sebbene questi due residui non svolgano

singolarmente un ruolo importante nella modulazione della sensibilità per

l’ATP, la loro reciproca interazione, invece, stabilizza il canale nello stato

chiuso, dimostrando l’importanza dell’interazione tra le due subunità nel

modulare la sensibilità del canale per l’ATP.

Figura 5: Ruolo del canale K-ATP nella funzione della β-cellula.

Fattori di trascrizione

La trascrizione del gene che codifica per la proinsulina (INS) è regolata da

diversi fattori di trascrizione. La comprensione del loro ruolo è molto

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importante dal momento che la mutazione dei geni che codificano per

alcuni di essi porta allo sviluppo di alcune forme di diabete monogenico in

passato definite come “maturity onset diabetes of the young” (MODY). I

pazienti affetti da queste forme di diabete mellito hanno infatti un fenotipo

che richiama il diabete mellito dell’età adulta.

Figura 613: Regione prossimale del promoter del gene dell’insulina 2 del ratto.

Il glucosio stesso costituisce un importante fattore che regola la

trascrizione dell’insulina. Il glucosio si lega alle sequenze A3, E1 e C1 del

promoter, regola lo splicing del preRNA e rende più stabile l’mRNA. Oltre

a questo il glucosio promuove la traslocazione di PDX1 (un altro fattore di

trascrizione del gene INS) dal citoplasma al nucleo e la sua

trasformazione da una forma inattiva ad una forma attiva13.

Il promoter del gene INS è costituito da diverse sequenze regolatrici,

identificate come A, C, E, Z e CRE (Figura 6), ognuna delle quali è

regolata da diversi fattori di trascrizione14.

Tra i fattori di trascrizione, NEUROD114 si lega alla sequenza regolatrice

E. NEUROD1 (conosciuto anche come BETA2) è un fattore di trascrizione

codificato dall’omonimo gene, localizzato in posizione 2q32. Svolge un

ruolo importante sia nello sviluppo embrionale del pancreas endocrino sia

nel determinare la corretta polarità delle cellule del pancreas esocrino15.

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L’assenza di NEUROD1 nel topo causa una forma grave di diabete alla

nascita che conduce a morte l’animale entro pochi giorni. Per quanto

riguarda la funzione della β-cellula, NEUROD1 lega la regione E-BOX del

promoter dei geni GCK e INS, influenzandone l’espressione16,17.

Il network dei fattori di trascrizione è molto complesso e molto spesso i

fattori si embricano nelle loro funzioni, come si può notare anche dal fatto

che NEUROD1 influenza l’espressione di un altro gene, il PDX118

(pancreatic duodenal homobox gene 1). Come NEUROD1, anche PDX1 è

importante per lo sviluppo del pancreas. Il deficit di tale gene è stato

messo in relazione con l’agenesia del pancreas umano19. Questo gene è

anche importante per la secrezione dell’insulina, in quanto media la

trascrizione, stimolata dal glucosio, del gene INS ed è coinvolto nella

trascrizione dei geni che codificano per GCK, GLUT2 e per il polipeptide

amiloide20. PDX1 lega sequenze TAAT21 che si trovano all’interno della

sequenza A del promoter del gene INS14. PDX1 interviene, inoltre, nei

processi di maturazione dell’insulina, regolando la trascrizione di alcuni

geni coinvolti nella formazione dei ponti disolfuro, nel corretto

ripiegamento della molecola dell’insulina e contribuisce al mantenimento

della corretta omeostasi nel reticolo endoplasmatico rugoso (ER)22.

Tra i fattori di trascrizione coinvolti nella funzione della β-cellula, ci sono i

fattori HNF (Hapatocyte Nuclear Factor). Questi fattori sono HNF1α,

HNF4α e HNF1β.

HNF1α ha un ruolo centrale nella regolazione di questa rete di fattori di

trascrizione. Nel ratto regola l’espressione del gene INS, azione che

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nell’uomo sembra essere meno evidente23. Importante nella funzione della

β-cellula è il ruolo di HNF1α per quanto riguarda l’espressione del gene

GLUT2 e della E-caderina24. Una riduzione dell’espressione di GLUT2 si

traduce in un ridotto trasporto di glucosio all’interno della cellula con la

perdita dello stimolo principale alla secrezione dell’insulina. Per quanto

riguarda l’ E-caderina, è stato visto che l’adesione corretta delle β-cellule,

mediata dalle molecole di E-caderina, risulta essenziale per la risposta

secretoria dell’insulina allo stimolo25. Altro enzima regolato da HNF1α è la

piruvato chinasi L (PKL) che tuttavia, sebbene sia coinvolta nella glicolisi,

non influenza il flusso del processo glicolitico26. HNF1α lega il promoter

della subunità E1 del gene che codifica per la 2-ossiglutarato deidrogenasi

mitocondriale (OGDH), enzima coinvolto nel ciclo degli acidi tricarbossilici,

la cui ridotta attività si traduce in una riduzione della produzione di ATP27.

Da segnalare anche la regolazione di geni come IGF-1, ciclina E, Bcl-xL

che partecipano alla proliferazione cellulare e all’apoptosi. HNF1α si lega

all’elemento regolatore di PDX1, anche se non ci sono grandi alterazioni

dell’espressione di PDX1 nei topi dove HNF1α è inattivato23. Altro target di

HNF1α è la collectrina, una proteina che influenza la secrezione

dell’insulina prendendo parte al processo di esocitosi28.

Tra i target di HNF1α c’è HNF4α29, in quanto regola la trascrizione

dell’isoforma più importante di HNF4α nelle cellule del pancreas sia

endocrino sia esocrino30. HNF4α sembra essere coinvolto nell’espressione

del gene che codifica per la subunità Kir6.2 del canale per il potassio31,

svolgendo un ruolo cruciale per la secrezione dell’insulina. HNF4α regola

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anche la fosfoenolpiruvato decarbossilasi, un enzima chiave della

gluconeogenesi epatica32. A rimarcare l’importanza dell’attività svolta dai

fattori di trascrizione, vi è l’osservazione che nelle cellule che hanno

un’alta espressione di mutazioni di HNF4α dominanti negative,

l’espressione di geni come GLUT2, aldolasi B, PKL, OGDH E1 è ridotta.

Questi geni sono, infatti, tutti regolati da HNF1α, la cui espressione è, a

sua volta, modulata da quella di HNF4α. HNF4α regola, infine,

l’espressione di ApoA-II, ApoA-IV, ApoB, ApoC-II e ApoC-III23 indicando

tale fattore come un elemento con importanti funzioni regolatrici in ambito

metabolico.

Un altro fattore di trascrizione è HNF1β che, legandosi ad HNF1α, forma

un eterodimero che regola l’espressione di GLUT2 e contribuisce allo

sviluppo del pancreas19.

1.4 Le forme di diabete monogenico

Il diabete monogenico si può dividere in due tipi principali sulla base

dell’età di esordio. Un diabete insorto nei primi sei mesi di vita orienta per

la diagnosi di diabete monogenico neonatale. A sua volta il diabete

neonatale si divide in una forma transitoria "transient neonatal diabetes

mellitus" (TNDM) e in una forma permanente "permanent neonatal

diabetes mellitus" (PNDM)33. L’altro è il tipo definito in passato come

MODY di cui si discuterà più avanti.

Il TNDM è una forma rara di diabete (1:200000-1:400000 casi), causata

nel 70% dei casi, da aberrazioni genetiche ed epigenetiche della regione

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imprinted 6q24 con conseguente aumento della dose genica di PLAGL1,

che regola l’arresto del ciclo cellulare e l’apoptosi e di HYMAI, la cui

funzione è ancora sconosciuta. Anche le mutazioni dei geni ABCC8,

KCNJ11, INS e HNF1β possono causare TNDM. Questa forma di diabete

mellito è caratterizzata da esordio nei primi giorni di vita, cui segue una

remissione, con normalizzazione della glicemia intorno ai 3-4 mesi di vita,

per ripresentarsi nell'età peripuberale o puberale. I pazienti con questa

forma di diabete sono più frequentemente soggetti nati pretermine con

basso peso alla nascita e iperglicemia che si manifesta molto

precocemente, anche all’età di un giorno. La maggior parte dei ricoveri si

verifica, infatti, nei primi tre mesi di vita. Oltre a ciò, sono state riscontrate

varie alterazioni congenite, tra le quali le più comuni sono macroglossia ed

ernia ombelicale34-36.

Tra le forme di PNDM, le più frequenti sono quella causate da mutazioni

nei geni che codificano per le subunità del canale del potassio SUR1 e

Kir6.2 e da mutazioni del gene che codifica per INS. Le mutazioni di questi

3 geni costituiscono, infatti, più del 50% dei casi di PNDM37.

Le mutazioni dei geni di Kir6.2 e di SUR1 causano, in genere, un fenotipo

leggermente diverso. Nei casi di mutazioni di Kir6.2, il paziente presenta

basso peso alla nascita con un esordio clinico che, nella maggior parte dei

casi, si verifica prima dei tre mesi di vita con iperglicemia e chetoacidosi38.

Questi piccoli pazienti possono, inoltre, sviluppare una particolare

sindrome neurologica, la sindrome DEND (Development-Delay, Epilepsy,

Neonatal Diabetes), caratterizzata da ritardo dello sviluppo psicomotorio e

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epilessia. La sindrome è legata al fatto che il corretto funzionamento dei

canali K-ATP è essenziale anche per i neuroni e per le cellule muscolari39.

La sindrome DEND può manifestarsi anche in forma più attenuata, ovvero

una sindrome iDEND dove manca l’epilessia40. Le mutazioni di SUR1

invece differiscono da quelle di Kir6.2 a livello clinico per due aspetti: il

diabete è più frequentemente di tipo TNDM piuttosto che di tipo PNDM e

raramente si sviluppa la sindrome DEND33.

La corretta identificazione di queste forme è clinicamente rilevante. Il

diabete mellito monogenico causato da mutazioni di Kir6.2 e SUR1

risponde adeguatamente alla terapia con sulfaniluree41 in combinazione

con l'aumento della sensibilità all'insulina nei tessuti periferici42. Le

sulfaniluree si legano alla subunità SUR1 inducendo, in tale modo, la

chiusura dei canali del potassio, determinando il rilascio d'insulina da parte

delle -cellule. Anche i pazienti con mutazioni in SUR1 rispondono alla

somministrazione di sulfaniluree43. Un aspetto importante è che, al

contrario di quanto avviene con la somministrazione d'insulina, nei pazienti

con queste forme di diabete monogenico, l'uso delle sulfaniluree, oltre a

indurre un maggiore controllo glicemico, causa anche un evidente

miglioramento del quadro clinico della sindrome DEND. Ciò è dovuto alla

regolazione dei canali del K-ATP dipendenti a livello neuronale e

muscolare, azione che non può essere svolta dall'insulina44.

L’altra forma più comune di PNDM è quella causata da mutazioni del gene

per la proinsulina (INS). In questi soggetti il diabete mellito esordisce nei

primi sei mesi di vita, o entro il primo anno di vita, con iperglicemia elevata

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e chetoacidosi. Sono soggetti nati di basso peso a causa della ridotta

secrezione d'insulina durante la vita intrauterina. Questo rilievo è meno

evidente nei pazienti in cui il diabete mellito esordisce oltre i sei mesi di

vita. In tali casi, probabilmente, la funzione della β-cellula si deteriora più

lentamente sia durante la vita intrauterina sia nei primi mesi di vita

extrauterina45. I pazienti con mutazioni di INS in omozigosi o eterozigosi

composta hanno un esordio più precoce del diabete mellito, nei primi

giorni di vita, rispetto ai soggetti eterozigoti. In altri casi, la mutazione di

INS può causare la sintesi d’insulina con attività biologica ridotta. In tal

caso l'iperglicemia potrà essere associata a iperinsulinismo46. Alcune

mutazioni di INS possono causare forme di diabete monogenico con

insorgenza più tardiva47, o anche TNDM nel caso in cui il danno genetico

interessi regioni di INS non codificanti, come il promoter del gene19.

Tra le forme monogeniche di diabete, vi è la sindrome di Wolfram. Questa

sindrome è caratterizzata dallo sviluppo di diabete sia in età neonatale sia

nell’infanzia, da diabete insipido, sordità e atrofia ottica (sindrome

DIDMOAD: "Diabetes Insipidus, Diabetes Mellitus, Optic Atrophy, and

Deafness"). Possono fare parte della sindrome anche alterazioni delle vie

urinarie e/o alterazioni psichiatriche. Il diabete, che si sviluppa in genere

nella prima decade, e l’atrofia ottica, che si sviluppa in genere verso gli 11

anni, sono le caratteristiche principali di questa sindrome. I soggetti affetti

hanno un'età media di sopravvivenza di circa 30 anni48. La causa della

sindrome di Wolfram risiede in mutazioni del gene WS1 che mappa in

posizione 4p16.349. Tale gene codifica per una proteina della membrana

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del reticolo endoplasmatico importante per le funzioni degli ioni calcio, per

la maturazione dell’insulina e per proteggere la β-cellula dal processo

apoptotico dovuto ad un eccesivo folding dell’insulina nel ER50.

Diabete Monogenico ex MODY

Questa forma di diabete monogenico costituisce un gruppo eterogeneo di

disordini caratterizzati dalla presenza di diabete non chetosico, da eredità

di tipo autosomico dominante con insorgenza prima dei 25 anni, la cui

causa risiede in alterazioni di geni che regolano la funzione della β-

cellula51. Secondo la classificazione dell’ADA infatti il termine MODY

rientra nella sezione IIIA, ovvero “altri tipi di diabete” che hanno come

eziologia un difetto di un gene che regola la funzione della β-cellula2. Il

termine MODY veniva usato per descrivere una forma di diabete non

insulino-dipendente, insorto in età giovanile, quando il diabete veniva

classificato in insulino-dipendente (tipico del paziente giovane) e non

insulino-dipendente (tipico del paziente adulto). Il termine MODY oggi è

obsoleto per alcuni aspetti: sono stati individuati i geni responsabili delle

varie forme di MODY, la mutazione dei singoli geni coinvolti causa quadri

clinici diversi ed è inopportuno classificare tutte queste forme in un’unica

categoria; inoltre queste forme di diabete monogenico sono differenti dal

DM2 con esordio in età giovanile33. Quindi è opportuno classificarlo come

diabete monogenico indicando il gene interessato dalla mutazione.

Costituisce la causa più frequente di diabete monogenico; si stima che in

Europa rappresenti l'1-2% di tutti i casi di diabete mellito, spesso

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erroneamente diagnosticati come DM1 o DM252. Uno studio nel Regno

Unito ha dimostrato come la prevalenza minima, studiata sui pazienti che

hanno effettuato l'analisi molecolare per queste forme tra il 1996 e il 2009,

sia di circa 6000 casi. Se si pensa che l’1% di tutti i casi di diabete

corrisponde a 26000 casi, che dovrebbero costituire quindi tutti i casi di

diabete monogenico ex MODY, si nota che esistono migliaia di casi non

correttamente diagnosticati, con tutte le implicazioni che ciò comporta

nella gestione del paziente e nel suo follow-up a lungo termine53.

Il paziente con queste forme di diabete monogenico, presenta le seguenti

caratteristiche cliniche54:

-iperglicemia diagnosticata prima dei 25 anni;

-pattern di eredità di tipo autosomico dominante con la presenza di

diabete in almeno tre generazioni e con un fenotipo simile;

-terapia che non richiede la somministrazione d'insulina per almeno 5 anni

dalla diagnosi o presenza di livelli sierici di peptide C rilevabili nei soggetti

che fanno la terapia con insulina;

-livelli d’insulina nei valori normali o non abbastanza bassi da giustificare il

livello d’iperglicemia osservato. Questo parametro suggerisce la presenza

di una disfunzione β-cellulare;

- la presenza di sovrappeso o obesità non è comune in questi pazienti.

A questi criteri si può aggiungere l’assenza di autoimmunità contro le

insule pancreatiche4.

La corretta diagnosi ha delle importanti implicazioni cliniche. Ad esempio,

un paziente pediatrico potrebbe essere erroneamente identificato come

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affetto da DM1 e iniziare la terapia insulinica, quando invece dovrebbe

assumere antidiabetici orali o semplicemente modificare i propri stili di vita.

All’interno di questo gruppo si riconoscono almeno sei sottotipi principali,

ognuno dei quali causato e identificato dalla mutazione di un gene.

Diabete monogenico dovuto a deficit di GCK (ex MODY2): Il gene

GCK mappa in posizione 7p15.3-7p15.1 e sono state individuate 644

mutazioni diverse. Una glucochinasi con ridotta attività biologica, agisce

ad un set-point di glucosio plasmatico e β-cellulare più alto e la secrezione

dell’insulina quindi si verifica a livelli di glicemia più elevati55 generando

livelli più elevati di glicemia. Poichè anche la glucochinasi epatica regola la

glicemia, l’alterazione di questa funzione può contribuire allo sviluppo di

un’iperglicemia.

L'iperglicemia causata da mutazioni del gene GCK rappresenta la forma

più frequente di diabete monogenico diagnosticato in Italia e in Francia8.

Sul piano clinico si possono osservare aspetti molto diversi. Sono stati

descritti sia pazienti con mutazioni inattivanti allo stato omozigote, con

completa assenza dell'attività enzimatica, con fenotipo PNDM sia

mutazioni attivanti che si manifestano con un quadro di ipoglicemia

iperinsulinemica nelle prime epoche della vita56,57.

Il quadro clinico più frequente è sicuramente quello di una lieve

iperglicemia a digiuno.

L’iperglicemia di questi pazienti è in genere lieve, non progressiva e

spesso asintomatica4. In uno studio58 è stato analizzato il comportamento

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della glicemia a digiuno, della glicemia dopo 2 ore dal carico orale di

glucosio (OGTT) e della secrezione dell’insulina. A digiuno la glicemia è

più alta dei valori normali; dopo due ore dall'inizio dell'OGTT l'insulinemia

si innalza poiché la GCK è opportunamente indotta dai livelli glicemici 59,

60. Il profilo glicemico, sia a digiuno sia durante OGTT, dei soggetti con

alterazioni di GCK si colloca nell'ambito della ridotta tolleranza glicidica.

Molto spesso il diabete causato dalle mutazioni di GCK resta asintomatico

e diagnosticato in età adulta33. Una condizione che spesso porta alla sua

diagnosi è la gravidanza, in cui si evidenzia l’iperglicemia nel corso degli

esami di routine61. Un feto nato da madre con deficit di GCK, che non

eredita la mutazione, ha un peso alla nascita elevato per l’iperinsulinemia

fetale in risposta all’iperglicemia materna. Un feto che, al contrario, eredita

la mutazione dal padre, ha un basso peso alla nascita poiché viene meno

l’effetto anabolizzante dell’insulina fetale. Infine, se il feto avrà ereditato la

mutazione dalla madre, avrà un peso alla nascita nella norma poiché non

risponderà, all’iperglicemia materna, con un’iperinsulinemia. Un altro

aspetto importante riguarda il comportamento negli anni del peso del

bambino nato da madre con GCK mutata. In questo caso, al contrario di

quanto avviene se la madre è affetta da DM2, il peso futuro del proprio

figlio non sarà influenzato62.

Per agevolare la diagnosi clinica di deficit di GCK, evitando, ove possibile,

indagini molecolari costose, è stato proposto un algoritmo diagnostico in

sette punti63:

1) assenza di indicatori di autoimmunità contro le insule pancreatiche;

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2) assenza di terapia con insulina in corso o in passato;

3) valore della HbA1c maggiore di 42 mmol/mole (6%);

4) esordio del diabete o dell’iperglicemia tra 6 mesi e 25 anni;

5) anamnesi familiare positiva per diabete mellito o alterata glicemia a

digiuno, con o senza ridotta tolleranza glicidica;

6) assenza di segni e sintomi di altre forme di diabete come

acanthosis nigricans, sordità, cisti renali;

7) assenza di altre patologie gravi concomitanti.

L'approccio terapeutico in questi pazienti prevede la semplice adozione di

corretti stili di vita64. Come già osservato, infatti, questi soggetti sono in

grado di rilasciare insulina, ma con livelli di glicemia più elevati60.

Generalmente questa forma non si associa a complicanze a lungo termine

del diabete mellito. In genere la somministrazione d'insulina è necessaria

nelle donne in gravidanza61. In linea generale solo nel 2% dei pazienti

viene effettuata la terapia con insulina4.

Diabete monogenico dovuto a deficit di HNF1α (ex MODY3): il gene

HNF1α mappa in posizione 12q24.2 e ad oggi sono state descritte 347

mutazioni. Rappresenta la forma più comune di diabete monogenico del

Regno Unito65 e secondo alcuni autori, la più comune nella popolazione

caucasica europea66.

Questi pazienti hanno un'iperglicemia che peggiora nel tempo, associata a

riduzione progressiva della secrezione dell’insulina. Le complicanze

croniche si sviluppano con la stessa probabilità dei pazienti con DM1 o

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DM2, in relazione al controllo glicemico51. Il comportamento della glicemia

osservata dopo OGTT riflette il meccanismo alla base. Al tempo zero i

valori di glicemia sono più bassi dei pazienti con deficit di GCK perché non

siamo in presenza di un set-point più elevato di glicemia; a 120’ invece la

glicemia risulta più elevata nei pazienti con deficit di HNF1α, per il ruolo

che svolge nella secrezione dell’insulina sotto stimolo e il valore a 120’

cade nel range della ridotta tollerenza glicidica (IGT) o nel range

diabetico58-60.

HNF1α regola anche l’espressione del co-trasportatore sodio-glucosio 2

(SGLT2) a livello renale, prendendo parte al processo di riassorbimento

del glucosio nel tubulo prossimale67. La glicosuria, in questi pazienti, è

presente anche per questo meccanismo, non solo per l'iperglicemia. E'

stato infatti osservato che anche nei pazienti portatori di mutazioni di

HNF1α, non ancora associate a iperglicemia, si può riscontrare glicosuria

dopo 2 ore dal carico di glucosio68. Nelle urine dei pazienti con mutazioni

HNF1α è stato riscontrato un aumento di altri metaboliti oltre al glucosio

(betaina, glicina, valina) 69, oltre alla presenza di elastasi fecale che

suggerirebbe una disfunzione del pancreas esocrino70. Di recente è stata

osservata l’associazione tra HNF1α ed espressione della proteina C

reattiva, un indice utile per orientare verso la diagnosi di deficit di HNF1α

invece di HNF4α71.

L’età di esordio in questi soggetti è in genere più alta di quella dei soggetti

con deficit di GCK, a testimoniare che il primo è un diabete mellito

progressivo, che peggiora con il tempo, mentre il secondo inizia

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precocemente ma resta spesso stabile. L’età di esordio dei pazienti con

deficit di HNF1α è, inoltre, influenzata dal tipo di mutazione e dalla sua

posizione. Mutazioni non senso, piccole inserzioni/delezioni, mutazioni del

sito di splicing, che si localizzano nel dominio di transattivazione, causano

l'esordio del diabete mellito a un'età inferiore rispetto a quella determinata

da mutazioni missenso nello stesso dominio. Queste ultime inducono

l'esordio a un'età inferiore se si verificano nel dominio di

dimerizzazione/DNA binding rispetto a quelle situate nel dominio di

transattivazione72. Anche la gravidanza influenza l’età di esordio dei

pazienti con deficit di HNF1α, che risulta più bassa nei soggetti esposti

durante la vita intrauterina a un ambiente "diabetico"66.

Mutazioni di HNF1α sono anche associate con adenomatosi e adenomi

epatici73,74.

La diagnosi clinica di deficit di HNF1α52 può essere suggerita da:

-età di esordio prima dei 25 anni;

-diabete non insulino-dipendente al di fuori del periodo luna di miele

(assenza di chetoacidosi in soggetti non in terapia con insulina; buon

controllo glicemico usando una dose d’insulina inferiore al previsto);

-storia familiare di diabete mellito in almeno 2 generazioni;

-assenza di autoimmunità contro le insule pancreatiche;

-glicosuria per valori di glicemia inferiori ai 180 mg/dl;

-marcata sensibilità alle sulfaniluree;

-assenza di fattori che potrebbero far orientare per una diagnosi di DM2

ad insorgenza giovanile.

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La terapia in questi pazienti prevede l’utilizzo di sulfaniluree o d’insulina,

dopo alcuni anni. A tale proposito è necessario tenere presente che questi

soggetti hanno un aumentato rischio ipoglicemico per l'elevata sensibilità

all'insulina60.

Diabete monogenico dovuto a deficit di HNF4α (ex MODY1): il gene

HNF4α mappa in posizione 20q12-q13 e a oggi sono state pubblicate 174

mutazioni. Il fenotipo di questi pazienti è simile a quello dei soggetti con

deficit di HNF1α per quanto riguarda le caratteristiche della glicemia, la

terapia e il rischio di sviluppare complicanze a lungo termine. Si tratta di

una forma molto meno comune51. I pazienti con deficit di HNF4α non

mostrano la riduzione della soglia renale per il glucosio come i pazienti

con deficit di HNF1α, ma hanno livelli plasmatici più alti di colesterolo LDL,

con riduzione di quelli di colesterolo HDL, interpretati come fattori di

rischio cardiovascolare come nelle altre forme di diabete33. Un'altra

caratteristica di questa forma di diabete è la presenza di macrosomia e

ipoglicemia neonatale, dovuta ad iperinsulinemia, che non si rileva nei

deficit di HNF1α.

Diabete monogenico dovuto a deficit di PDX1 (ex MODY4): Il gene

PDX1 mappa in posizione 13q12.1 e a oggi sono state descritte solo 12

mutazioni.

Questo gene codifica per un fattore di trascrizione importante sia per la

funzione endocrina sia per quella esocrina del pancreas. Una mutazione

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in omozigosi porta ad agenesia pancreatica, mentre una mutazione in

eterozigosi porta a una sindrome di diabete monogenico con alterata

secrezione dell’insulina51.

Diabete monogenico dovuto a deficit di HNF1β (ex MODY5): Il gene

HNF1β mappa in posizione 17cen-q21.3 e a oggi sono state descritte 100

mutazioni. Le mutazioni di questo gene oltre a dare un interessamento del

pancreas endocrino, causano alterazioni extra-pancreatiche caratterizzate

dalla presenza di cisti renali, genitali ambigui, alterazioni metaboliche

come iperuricemia e gotta. In questi pazienti la malattia renale grave può

esordire prima dell’iperglicemia 33, 54. Inoltre si possono avere disfunzioni

del pancreas esocrino70. Un aspetto importante è che questa forma di

diabete monogenico è meno responsiva alle sulfaniluree della forma da

deficit di HNF1α43.

Diabete monogenico dovuto a deficit di NEUROD1 (ex MODY6): Il

gene NEUROD1 mappa in posizione 2q32 e a oggi sono state riportate 9

mutazioni. Questo gene è coinvolto nella regolazione dei geni GCK e INS.

Oltre al fenotipo di diabete monogenico, in soggetti con mutazioni in

omozigosi di NEUROD1, è stata descritta una sindrome PNDM

caratterizzata anche da ipoplasia cerebellare, difficoltà

nell’apprendimento, alterazioni della vista e sordità neurosensoriale75.

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2 SCOPI DELLO STUDIO

Gli scopi del presente lavoro di tesi sono:

-identificare l’alterazione molecolare responsabile del diabete

monogenico;

-valutare l’andamento nel tempo dei parametri clinici relativi al controllo

metabolico dopo la diagnosi di diabete monogenico.

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3 MATERIALI E METODI

3.1 Pazienti

Nella tabella 1 sono riportati 12 casi di diabete monogenico osservati nel

periodo 2002-2014 presso la Sezione interna di Diabetologia pediatrica,

U.O. Pediatria Universitaria, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana. Di

questi, 6 sono tre coppie di germani. La tabella n. 1 riassume alcuni dati

clinici e di laboratorio.

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Caso n. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

Parametri

Età (aa) 12 11 13 8 5 4 5 9 5 14 6 10

Sesso M M F F M F M M M F M M

Peso (Kg) 31,4 30,8 52,7 37 14,8 12 23,5 34,3 25,6 58,3 20,8 30

Altezza (cm) 145 138 156 128 105 95 110 133 118 163 116 136

Z score altezza -0,5 -0,8 0,1 0,1 -1 -1,6 0,1 0 1,9 0,5 0 -0,4

BMI (Kg/m²) 15 16,2 21,6 22,5 13,4 13,3 19,4 19,4 18,4 21,9 15,5 16,2

BMI SDS -1,58 -0,39 1,0 2,4 -2,1 -2,1 2,4 1,5 1,9 0,9 0 -0,1

Glicemia a digiuno(mg/dl) 113 112 135 148 115 140 118 113 111 146 120 137

HbA1c (mmol/mole) 41 43 42 51 31 31 42 48 38 42 42 32

Massa Grassa in % (range valori ideali in %)

6,6 (12-22.9)

12 (13-22.9)

24,7 (16-28,9)

33,2 (15-25,9)

16,2 (12-18,9)

17 (14-21,9)

23,2 (12-18,9)

12,8 (10-20,9)

*

27,3 (13-19,9)

**

26,4 (16-29,9)

18,4 (12-19,9)

14,1 (13-22,9)

Massa Muscolare (Kg) 27,7 25,6 37,7 23,4 11,6 10,5 17 50,1* 24,2** 40,7 16 24,4

OGTT glicemia tempo 0' ; tempo 120' (mg/dl)

n.d n.d n.d. 121 ; 147 n.d. n.d. n.d 108 ; 126 94 ; 127 112 ; 166 n.d. n.d.

OGTT insulinemia tempo 0' ; tempo 120' (μU/ml)

n.d n.d n.d. <0,5 ; 13 n.d. n.d. n.d 6,7 ; 19 n.d. 6,55 ; 16,61

n.d. n.d.

Insulinemia (μU/ml) 2,55 2,93 1,94 2,11 1,81 1,96 2,37 1,7 2,8 2,95 2,73 2,83

Autoimmunità contro le insule pancreatiche

neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg anti GAD65+

neg

Tabella 1: Valutazione dei casi durante la prima osservazione. *eseguito a 15 anni; **eseguito a 7 anni

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Casi n. 1 e n. 2

Si tratta di due fratelli. Il n. 2 è il minore, cui venne occasionalmente

riscontrata, all'età di 11 anni, un'elevazione della glicemia a digiuno di 112

mg/dl, confermata successivamente (117 mg/dl). I livelli di emoglobina

glicata (HbA1c) risultarono di 43 mmol/mole (6.1%). La valutazione della

glicemia dimostrò valori più elevati a digiuno (113 mg/dl) anche nel fratello

(caso n. 1) con HbA1c di 41 mmol/mole (5,9%). In entrambi i casi il

dosaggio della chetonemia risultò normale (beta-OH-butirrato: 0.1

mmol/L), escludendo, come atteso, un'alterazione metabolica. Nella

madre è stata occasionalmente riscontrata un'iperglicemia all'età di 25

anni, seguita da diabete gestazionale, trattato con somministrazione

d'insulina. Il nonno materno ha iniziato una terapia alimentare per

iperglicemia riscontrata a 65 anni. Nel caso n. 2 sono soddisfatti 7 punti su

7 dell’algoritmo diagnostico per la diagnosi clinica del gene GCK, mentre

nel caso n. 1 sono presenti 6 punti su 7, dal momento che il valore di

HbA1c è risultato di 41 mmol/mole. Data la forte suggestione clinica, i due

probandi e la loro madre hanno effettuato un’analisi molecolare del gene

GCK.

Casi n. 3 e n. 4

Si tratta di due sorelle, di cui la minore (n. 4) ha effettuato, all’età di 8 anni,

una visita diabetologica pediatrica avendo anamnesi familiare positiva per

DM2, obesità (vedi tabella 1), valori di massa grassa maggiori di quelli

ideali con valori di glicemia a digiuno di 148 mg/dl e livelli circolanti di

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HbA1c di 51 mmol/mole (6.8%). Durante l’OGTT la glicemia è stata di 121

mg/dl al tempo 0 e di 147 mg/dl a 120’. L'insulinemia è risultata < 0,5

μU/ml e di 13 μU/ml agli stessi tempi. Per quanto riguarda il caso n. 3, è

stata osservata la presenza d’iperglicemia a digiuno (135 mg/dl), con livelli

di HbA1c di 42 mmol/mole (6.0%) e sovrappeso (vedi tabella), con

percentuale di massa grassa nei valori ideali. Il caso n. 4 presenta 7 punti

su 7 dell’algoritmo diagnostico per GCK mutata; anche nel caso n. 3 sono

positivi 7 punti su 7. In queste pazienti, dunque, l’analisi molecolare è

stata effettuata per il gene GCK.

Casi n. 5 e n. 6

Si tratta di un fratello e una sorella. Il caso n. 6 all’età di 3 anni ha

cominciato a presentare poliuria, polidipsia e calo ponderale; il pediatra

consigliò di eseguire lo stick glicemico che fornì un risultato di 140 mg/dl a

digiuno, valori di HbA1c di 31 mmol/mole (5,0%), con assenza di

autoimmunità contro le insule pancreatiche. L’anamnesi risultò positiva per

diabete nei nonni paterni, nel nonno materno e nel padre. Da segnalare la

presenza di chetonemia 0,2 mmol/l alla prima visita. Il caso n. 5 invece ha

avuto un esordio a 5 anni con ripetuti episodi di vomito, glicosuria (4+) e

stick glicemico con 156 mg/dl. Inoltre un altro stick glicemico preprandiale,

effettuato il giorno seguente, dette un valore di 115 mg/dl. Il valore di

HbA1c risultò di 31 mmol/moIe (5,0%). Il paziente presentava inoltre

poliuria, polidipsia, disappetenza e in una sola occasione nicturia. In questi

pazienti è stata effettuata l’analisi molecolare del gene HNF1α.

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Caso n. 7

Questo paziente dall’età di 2 anni manifestò polidipsia ingravescente e, a

circa 4.5 anni, effettuò esami ematici in cui è stata riscontrata una glicemia

a digiuno di 118 mg/dl con HbA1c di 42 mmol/mole (6,0%). All'età di 5

anni, in occasione di una rivalutazione, la glicemia e l'HbA1c risultarono

rispettivamente di 110 mg/dl e 45 mmol/mole (6,3%). L’anamnesi mise in

evidenza un peso alla nascita di 3,8 kg, familiarità per diabete mellito nel

bisnonno materno e nella bisnonna paterna e presenza di polidipsia

primaria. Il paziente era obeso (vedi tabella). In questo caso sono positivi

6 punti su 7 dell’algoritmo diagnostico per GCK, considerando la polidipsia

primaria una patologia concomitante che può dare sintomi riferibili al

diabete. Il paziente ha, dunque, effettuato l’analisi molecolare per il gene

GCK.

Caso n. 8

Per quanto riguarda il caso n. 8, una glicemia a digiuno, eseguita all'età di

8 anni, mise in evidenza un valore di 133 mg/dl. All’età circa di 9 anni

iniziò un programma di sorveglianza presso la Sezione interna di

Diabetologia Pediatrica, dove furono rilevati una glicemia a digiuno di 113

mg/dl con HbA1c di 48 mmol/mole (6,5%). La glicemia durante l'OGTT

risultò di 108 mg/dl al tempo 0 e di 126 mg/dl a 120’, con valori

d’insulinemia di 6,7 μU/ml e 19 μU/ml agli stessi tempi. All’anamnesi

risultavano diabetici il padre e il nonno paterno. Il probando risultò

negativo per autoimmunità contro le insule pancreatiche e in sovrappeso

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(vedi tabella 1). In questo paziente, dunque, 7 punti su 7 sono stati

rispettati alla prima osservazione clinica, orientando verso l’esecuzione di

un’indagine molecolare per il gene GCK.

Caso n. 9

Il paziente ha avuto a 5 anni il riscontro occasionale di iperglicemia. Il

valore di glicemia a digiuno risultò di 111 mg/dl con HbA1c di 38

mmol/mole (5,6%). L’anamnesi familiare era positiva per iperglicemie

nell’infanzia nel padre e per DM2 nel nonno paterno. Durante l’OGTT la

glicemia risultò di 94 mg/dl al tempo 0 e 127 mg/dl a 120’. Questo

paziente alla prima osservazione mostrò obesità (vedi tabella). Il paziente,

dunque, soddisfaceva 7 punti su 7 per la diagnosi clinica del gene GCK.

Caso n. 10

Il caso n. 10 venne ricoverato per proteinuria e glicosuria, in assenza di

poliuria o polidipsia, ma con astenia. Nel corso di esami eseguiti per altri

motivi prima del ricovero, venne riscontrato un valore di 146 mg/dl di

glicemia digiuno e di 42 mmol/mole (6,0%) di HbA1c. In corso di OGTT la

glicemia risultò di 112 mg/dl al tempo 0 e di 166 mg/dl a 120’, con

insulinemia di 6,55 μU/ml e 16,61 μU/ml agli stessi tempi. In questo caso è

stata eseguita l’indagine molecolare anche di HNF1α, oltre che di GCK.

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Caso n. 11

Il caso n. 11 ha avuto il riscontro a circa 6 anni di una glicemia a digiuno di

120 mg/dl con HbA1c di 42 mmol/mole (6,0%). Non erano presenti

alterazioni del peso. Il titolo anti-GAD65 era leggermente positivo. In

questo paziente sono risultati positivi 6 punti su 7 dell’algoritmo

diagnostico per la diagnosi di GCK ma data la presenza nel padre di

mutazioni sia di GCK che di HNF1α, l’analisi venne estesa anche a

quest’ultimo gene.

Caso n. 12

Il caso n. 12 ha presentato nel corso di un esame della glicemia effettuato

per motivi sportivi, a circa 10 anni, valori lievemente bassi al risveglio e

successivamente glicemie al limite. Successivamente è stata riscontrata

glicemia a digiuno di 137 mg/dl e HbA1c di 32 mmol/mole (5,1%). In

questo caso è stata effettuata l’analisi molecolare per il gene HNF1α.

3.2 Composizione corporea

Il peso, la massa magra e la massa muscolare dei pazienti sono stati

rilevati con bilancia bioimpedenziometrica “BC-420MA TANITA” (figura 7).

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Figura 7: Bilancia BC-420MA TANITA.

3.3 OGTT

Il test OGTT è stato effettuato somministrando glucosio per via orale alla

dose di 1,75 g/kg (dose massima 75 g) alla concentrazione del 18% (sono

state utilizzate soluzioni aromatizzate di glucosio al 50% da diluire in

acqua per raggiungere la concentrazione del 18%).

3.4 Analisi biochimiche

Le analisi dei parametri di laboratorio sono state effettuate con i metodi di

laboratorio standard su campioni di sangue periferico.

Il valore di HbA1c è stato rilevato da sangue capillare con “DCA Vantage

Analyzer”(Siemens) (figura 8).

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Figura 8: DCA Vantage Analyzer (Siemens).

3.5 Monitoraggio continuo della glicemia

Il monitoraggio continuo della glicemia è stato effettuato per 7 giorni

consecutivi su un paziente, utilizzando il sistema “Medtronic ipro2

Medtronic minimed Northridge, CA 91325” (figura 9). Brevemente, il

sensore viene inserito nel sottocutaneo con uno specifico applicatore e

fissato alla cute con dei cerotti. Viene quindi connesso il registratore al

sensore. Durante ogni giornata devono essere eseguite almeno 4 glicemie

che, inserite nell'apposito software, permettono di tarare la corrente

registrata dal sensore in base al contenuto di glucosio presente nel liquido

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sottocutaneo, in rapporto alla glicemia. L'analisi dei dati consente la

costruzione dell'andamento glicemico durante i 7 giorni.

Figura 9: Sensore Medtronic ipro2. Nella parte destra della confezione è

presente il sensore che si applica sul paziente. A sinistra, invece, è presente

l’interfaccia che, registrando la corrente prodotta dal sensore sulla base del

contenuto di glucosio nel liquido sottocutaneo, permette al software di effettuare

la costruzione del grafico dell'andamento della glicemia nei vari giorni in cui il

sensore è stato indossato.

3.6 Indagine molecolare

Le tecniche utilizzate sono la PCR e il sequenziamento automatico

mediante 3130x1 Genetic Analyzer. L’analisi è stata effettuata presso

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l’U.O. Laboratorio di Genetica Medica dell’Azienda Ospedaliero-

Universitaria Pisana.

Le mutazioni riscontrate sono state confrontate con il database HGMD.

3.7 Algoritmo diagnostico di 7 punti per mutazione GCK

I parametri clinici sono stati confrontati con quelli dell’algoritmo per la

diagnosi clinica di GCK, descritto a pagg. 26-27.

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4 RISULTATI

Nella tabella 2 vengo illustrati i casi al follow-up. I casi nn. 5, 6, 7, 10, 12

non sono presenti, dal momento che sono di recente diagnosi e non

hanno ancora iniziato il follow-up.

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Caso n. 1 2 3 4 8 9 11

Parametro

Età 14 13 14 10 16 14 10

Sesso M M F F M M M

Peso (kg) 42,9 36,4 53,5 37,6 59 75,5 29,5

Altezza (cm) 162 151 157 135 168 169 135

Z score statura 0 -0,5 -0,4 -0,5 -0,7 0,8 -0,5

BMI (Kg/m²) 16,3 16 21,7 20,6 21 26,4 16,2

BMI SDS -1,3 -1,2 0,8 1,4 0,4 2,2 -0,1

Massa Grassa in % (valori ideali in %) 4,6 (11-20,9) 9,7 (12-22,9) 23,4 (16-29,9) 28,1 (16-27,9) 5,5 (10-19,9) 25,6 (11-20,9) 14,9 (13-22,9)

Massa magra (Kg) 38,8 31,1 37,7 25,5 53,7 53,4 23,7

HbA1c (mmol/mol) 40 40 42 47 42 41 39

Gene mutato GCK GCK GCK GCK GCK GCK GCK HNF1α

Mutazione R36W R36W H50P H50P V408M R447LfsX2 E290X P291R

Tabella 2: Risultati dei pazienti sottoposti a follow-up.

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Nei casi nn. 1 e 2 l'analisi molecolare del gene GCK ha messo in evidenza

la presenza di una transizione C>T al nucleotide 106 nell’esone 2. Tale

mutazione, ereditata dalla madre, porta alla sostituzione dell'arginina con il

triptofano (R36W) nel codone n. 36. La mutazione è stata già descritta in

letteratura76. Come riportato nella tabella 2, entrambi i casi hanno un

normale controllo metabolico, legato anche all'adozione di stili di vita

corretti.

I casi nn. 3 e 4 sono risultati portatori di una mutazione del gene GCK che

consiste in una trasversione A>C al nucleotide 149 dell'esone 2, con

sostituzione della istidina del codone 50 con una prolina (H50P). Si tratta

di una mutazione non ancora descritta in letteratura. Anche in questi due

casi l'approccio terapeutico è stato quello di modificare gli stili di vita,

adottando uno stile alimentare più corretto e dedicando un tempo

maggiore all'attività fisica. Questo si è tradotto in una riduzione del valore

di BMI SDS e di massa grassa in entrambi, ma più marcata nella paziente

n. 4. Sul piano metabolico ciò ha contribuito a determinare una riduzione

sensibile dei livelli di HbA1c, soprattutto nella paziente n. 4 (tabelle 1 e 2).

Il caso n. 8 risulta portatore di una transizione G>A in posizione 1222

dell'esone 9 che determina la sostituzione di una valina con una metionina

al codone 408 (V408M). Si tratta di una mutazione non ancora descritta in

letteratura. Anche in questo caso, il cambiamento degli stili di vita ha

contribuito a modificare la composizione corporea, a ridurre il BMI SDS,

con miglioramento del controllo metabolico (tabelle 1 e 2).

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Nel caso n. 9, l'analisi molecolare ha messo in evidenza la presenza di

una delezione in eterozigosi di 29 nucleotidi nell’esone 9 del gene GCK,

con sostituzione dell’arginina in posizione 447 con una leucina e lo

scivolamento del modulo di lettura con la formazione di un codone di stop

e il prematuro arresto della sintesi della proteina (R447LfsX2). Tale

mutazione è già stata descritta in letteratura56. Attualmente, il paziente

risulta ancora obeso, con un BMI SDS >2.0 (tabella 2), peggiorato rispetto

al momento della diagnosi. Anche i livelli circolanti di HbA1c risultano

aumentati, indicando un peggiore controllo metabolico. Questo paziente,

infatti, non mostra alcuna aderenza con l'adozione di stili di vita corretti.

Nel caso n. 11 l’analisi molecolare ha mostrato la presenza di una doppia

mutazione. Nell'esone 8 del gene GCK è presente una trasversione G>T

del nucleotide 868, con sostituzione del glutammato al codone 290 con un

codone stop (E290X) e la sintesi di una proteina più corta. La mutazione è

già stata descritta in letteratura8. L'altra mutazione è localizzata nell'esone

4 del gene HNF1α, dove è stata osservata una trasversione C>G del

nucleotide 872 che determina una sostituzione di una prolina con una

arginina al codone 291 (P291R). Si tratta di una mutazione non ancora

descritta. I valori di HbA1c del paziente sono migliorati durante il follow-up.

Anche in questo caso l'approccio terapeutico è stato quello di adottare stili

di vita corretti. Recentemente, tuttavia, in questo paziente è stata

osservata la positività degli autoanticorpi anti-GAD65 con fluttuazioni della

glicemia. Per tale motivo è stato effettuato un monitoraggio continuo della

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glicemia per 7 giorni consecutivi, utilizzando il sistema Ipro2 (Medtronic

Minimed). La figura 10 mostra l’andamento notturno della glicemia.

Figura 10: Tracciato notturno del caso n. 11. Si può notare la presenza di valori

elevati di glicemia durante la notte, soprattutto tra le ore 2:00 e le ore 6:00. Va

segnalato che durante i primi 3 giorni di monitoraggio, il paziente ha presentato

un episodio febbrile.

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Caso n. Gene Mutazione

5 HNF1α

A161T

6

7 GCK V408M

10 HNF1α A116V

12 HNF1α G288R

Tabella 3: Risultati dell’analisi molecolare dei casi

in cui non è ancora stato effettuato un follow-up.

Nei casi nn. 5 e 6 l’analisi molecolare del gene HNF1α, ha mostrato la

presenza nell'esone 2 di una transizione G>A in posizione 481 che

determina la sostituzione di una alanina con una treonina al codone 161

(A161T). La mutazione, in omozigosi, è già stata descritta in letteratura77.

La mutazione è presente, in eterozigosi, anche nel padre che ha iniziato

all’età di 48 anni la terapia antidiabetica orale.

Nel caso n. 7 è stata individuata la stessa mutazione del gene GCK

presente nel caso n. 8. Il padre, che ha rifiutato l'analisi genetica, presenta

tuttavia alterazioni del profilo glicemico, suggerendo che sia lui il genitore

che ha trasmesso la mutazione al figlio.

Il caso n. 10 è portatore di una transizione C>T al nucleotide 347

dell'esone 2 del gene HNF1α, che determina la sostituzione di una alanina

in posizione 116 con una valina (A116V). Tale mutazione risulta già

descritta in letteratura⁷⁸.

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Infine, nel caso n. 12, l'analisi molecolare ha dimostrato la presenza di una

mutazione, ereditata dal padre e non ancora descritta in letteratura,

nell'esone 4 di HNF1α caratterizzata dalla transizione G>A nel nucleotide

862, con sostituzione di una glicina con una arginina in posizione 288

(G288R).

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5 DISCUSSIONE

I dati del follow-up, riportati nella tabella 2, suggeriscono che, nella

maggior parte dei casi, l'aderenza a corretti stili di vita ha contribuito al

miglioramento della composizione corporea e del controllo metabolico.

Il corretto inquadramento della specifica forma di diabete monogenico è

essenziale per la loro gestione. I pazienti con deficit di GCK hanno

soltanto una modica elevazione della glicemia a digiuno e raramente

sviluppano complicanze a distanza3. La terapia con insulina non è utile,

non riuscendo a stabilizzare la glicemia3. In questi casi soltanto la terapia

comportamentale può essere di aiuto per migliorare/mantenere un

adeguato controllo metabolico. I casi 4 e 8 rappresentano un esempio di

quanto osservato. Anche il caso 9, mostrando un peggioramento della

composizione corporea con aumento del BMI SDS per scarsa aderenza a

stili di vita corretti, concorda con quanto precedentemente riportato. Un

corretto inquadramento diagnostico è ancora di più necessario nei soggetti

con deficit di HNF1α, in quanto possono sviluppare diabete mellito che,

per molti anni, può essere curato con la somministrazione di sulfaniluree,

evitando per lungo tempo la somministrazione d'insulina3. Questo aspetto

non è trascurabile se si pensa che ciò può avvenire, anche se non

frequentemente, in età pediatrico/adolescenziale.

Il corretto inquadramento diagnostico è utile anche per un altro motivo,

non infrequentemente il bambino/adolescente rappresenta il caso indice

che conduce alla corretta diagnosi del diabete mellito di un genitore,

etichettato come affetto da diabete mellito tipo 2.

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Sul piano più strettamente clinico, la valutazione della presente casistica

ha permesso di confermare la validità dell'algoritmo diagnostico in 7 punti

per la diagnosi di deficit di GCK63.

Nel corso di questo studio sono state individuate 2 mutazioni di GCK e 2

mutazioni di HNF1α non descritte in letteratura.

La correlazione tra la posizione delle mutazioni missenso nel gene HNF1α

e l’età alla diagnosi sembra rispettata. Le mutazioni dei casi nn. 5, 6 e 11

coinvolgono, infatti, il dominio di dimerizzazione/DNA binding ed hanno

un’età di diagnosi più precoce, mentre la mutazione del caso n. 12 cade

nel dominio di transattivazione ed ha avuto un’età di diagnosi più tardiva.

Non bisogna tuttavia ignorare il fatto che la mutazione nei casi nn. 5 e 6 è

presente in omozigosi, mentre l'età alla diagnosi del caso n.11 può essere

stata influenzata dalla copresenza di una mutazione di GCK.

E' tuttavia necessario sottolineare che la mutazione del caso n. 10

coinvolge il dominio di dimerizzazione/DNA binding, ma l’età alla diagnosi

è stata di 14 anni.

L’ OGTT nei pazienti in cui è stato effettuato, ha confermato che i soggetti

con deficit di GCK presentano valori di glicemia a 120’ normali, mentre nel

caso n. 10 (unico paziente con deficit di HNF1α ad aver effettuato

l’esame), la glicemia a 120’ è risultata nel range della ridotta tolleranza

glicidica.

Il caso n. 11 ha sicuramente due aspetti da sottolineare. Il primo riguarda

la presenza di una mutazione sia del gene GCK che di HNF1α ereditate

dal padre, che ha ricevuto la diagnosi di diabete mellito all'età di 37 anni,

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che sta controllando, sul piano metabolico, con il regime alimentare e

l'attività fisica. L’altro aspetto è la presenza di una forte positività degli

autoanticorpi anti GAD65. Il monitoraggio in continuo della glicemia ha

dimostrato, in questo piccolo paziente, la presenza di ampie fluttuazioni

glicemiche. Poichè durante tale monitoraggio, il bambino ha avuto una

malattia infettiva intercorrente, non si può escludere che anche tale evento

abbia interferito con il controllo glicemico. Questo paziente sta eseguendo

un programma di stretta sorveglianza, anche per la possibilità che sviluppi

un doppio diabete (monogenico e autoimmune), con una traiettoria diversa

da quella paterna, che rappresenta una condizione complessa sul piano

dell'approccio terapeutico. I soggetti con deficit di HNF1α mostrano infatti

un'elevata sensibilità sia alle sulfaniluree sia all'insulina, con un maggiore

rischio di gravi episodi ipoglicemici3.

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6 CONCLUSIONI

La corretta identificazione della specifica forma di diabete monogenico è

essenziale per il corretto approccio terapeutico. Come precedentemente

osservato, il deficit di GCK non richiede particolari terapie se non

l'adozione di stili di vita corretti. Altre forme come il deficit di HNF1α,

SUR1, Kir6.2 possono essere trattate con successo, per molti anni, con

sulfaniluree, mentre un deficit di INS deve essere curato con insulina.

L'approccio terapeutico corretto è particolarmente importante in queste

forme, se si pensa che si tratta di soggetti che possono avere l'esordio del

diabete mellito nelle primissime epoche di vita e che, alla sintomatologia

tipica del diabete mellito, si può associare anche un'alterazione dello

sviluppo psicomotorio, come la sindrome DEND3. Questa sindrome

migliora con l'uso delle sulfaniluree, ma non con l'insulina. Ciò suggerisce

che, alla diagnosi di diabete mellito, dopo aver iniziato la terapia insulinica,

inquadrato correttamente il paziente con l'analisi molecolare, sarà

necessario "svezzarlo" dalla terapia insulinica, introducendo gradatamente

quella con sulfaniluree3.

Le forme più comuni di diabete monogenico sono quelle dovute a deficit di

GCK e di HNF1α, le cui mutazioni sono tra l’altro le uniche riscontrate nei

nostri casi. Ancora una volta, l’importanza di differenziare correttamente le

due forme riguarda la differente gestione dei pazienti. Quelli con

mutazione di GCK in genere mantengono/migliorano un buon controllo

glicemico adottando stili di vita adeguati. Il follow-up per le complicanze a

lungo termine è limitato, nella maggior parte dei casi, all'esecuzione di una

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retinografia verso l'età di 25 anni3. Il paziente con mutazione di HNF1α,

come già osservato, deve essere trattato con sulfaniluree in caso di

scarso controllo metabolico, non più correggibile con i soli stili di vita. In

questo caso, la dose di sulfanilurea deve essere adeguata, poichè questi

pazienti hanno un'elevata sensibilità a tali farmaci, con aumentato rischio

di gravi episodi d'ipoglicemia3 se trattati con le dosi utilizzate nel DM2.

Il follow-up per le complicanze a lungo termine di questi pazienti (e in

generale dei pazienti con diabete monogenico non dovuto a deficit di

GCK), deve essere effettuato allo stesso modo dei pazienti con DM1 e

DM2 poiché il rischio di sviluppare complicanze è il medesimo.

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BIBLIOGRAFIA

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Ringraziamenti

Ringrazio il Prof. Giovanni Federico per aver accettato di dedicarmi molta parte

del suo tempo e per la sua pazienza nel guidarmi in questo lavoro rendendosi

disponibile in qualsiasi momento. Desidero ringraziare il Prof. Giuseppe Saggese

per avermi dato l’opportunità di frequentare la Clinica Pediatrica. Ringrazio,

inoltre, la Dott.ssa Benedetta Marchi, la Dott.ssa Vanessa Bianchi e l’infermiera

Caterina Di Donato per avermi aiutato durante lo svolgimento di questa tesi.

Ringrazio papà e mamma perché sono due genitori straordinari e mi hanno

insegnato i valori della vita che porterò sempre con me. Spero, un domani, di

seguire il loro esempio.

Ringrazio i miei fratelli, Antonio e Filippo, che mi hanno sempre protetto e voluto

bene e a cui sarò per sempre legato. Grazie per essere i migliori fratelli maggiori

che si possano avere.

Ringrazio zia Antonietta perché è stata sempre presente per me e mi ha sempre

considerato come un figlio.

Ringrazio le mie nonne che non ci sono più, ma che sicuramente sono felici per

questo mio traguardo.

Ringrazio Paolo e Daniela per tutto l’affetto che mi hanno dato da quando mi

hanno conosciuto.

Ringrazio tutti i miei amici, sia quelli storici sia quelli conosciuti durante questa

esperienza universitaria, per tutti i bei momenti e le esperienze condivise.

Infine vorrei ringraziare Paola semplicemente perché ogni volta che la guardo mi

ricordo di quanto sia stato fortunato ad averla incontrata.