Dino Migliorini · 2018. 11. 29. · Giampaolo Trotta Allestimento e presentazione delle sezioni...

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DINO MIGLIORINI arezzo galleria comunale di arte contemporanea PIAZZA SAN FRANCESCO 4 C&M arte a cura di Giampaolo Trotta 5 febbraio 6 marzo 2011

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DinoMigliorini

��������o�n��e��tà

arezzogalleria comunale di arte contemporanea

Piazza SaN FRaNCESCO 4

C&M arte

a cura di Giampaolo Trotta

5 febbraio6 marzo 2011

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Mostra a cura di Giampaolo Trotta

Allestimento e presentazione delle sezioniErica Romano

Coordinamento organizzativoufficio cultura del Comune di Arezzo

Manuela Fabbrini, Francesco Marconcini, Alda Olivieri Elisabetta Giudrinetti

Promossa daAssociazione Culturale Dino Migliorini

via Montelatici, 6 - Firenzee-mail: [email protected]

www.dinomigliorini.it

Si ringraziaufficio stampa Comune di Arezzo

Francesco Bacci, Nicola Grassolini, Luigi Vanghi curatore dell’Archivio Dino Migliorini

un ringraziamento particolare a Piero Bernabei

Autori dei testi siglati:Erica Romano (E.R.)

Giampaolo Trotta (G.T.)

Progetto graficoGiampaolo Trotta

Adolfo Tavanti per C&M Arte

EdizioniC&M Arte

[email protected]

DinoMigliorini

Il Sindaco del Comune di Arezzo

Giuseppe Fanfani

Da quando Dino Migliorini ha intrapreso la sua attività artistica, siamo alla fine degli anni Venti del secolo scorso, è come se avesse proiettato figurativamente una lunga e splendida camminata lungo i “viottoli” e i lastricati cittadini della nostra Toscana.

Campagne, borghi, colline, casolari, vassoi di frutta, macinini da caffé, pagliai, campanili, ulivi. Anche quando il tratto si fa più geometrico, restano evidenti gli indizi di questi soggetti. E quando i paesaggi lasciano il posto ai volti, a meno che non siano quelli di Kennedy ed Einstein, emergono le tracce di donne familiari e di volti sacri sul genere di quelli impressi nei crocifissi lignei che un tempo impreziosivano le pievi e le chiese.Di questo suo mondo contadino, di coloni che si affaticavano nei poderi, già questo ci dice quanto Migliorini sia “inevitabilmente” toscano, l’artista ne ha tratto feconda ispirazione senza tuttavia racchiudere i suoi orizzonti entro l’ambito, mi sia concesso parafrasare Leopardi, di “ermi colli” seppur così “cari”. L’arte di Migliorini ha saputo infatti affinarsi al punto da appropriarsi di accenti espressionisti in una efficace conciliazione tra moderno, storia e tradizione. Fino ad accogliere l’ardire quasi violento dei Fauves: artisti per i quali il colore era tutto. E a proposito di colori, come non la-sciarsi ammaliare dal felice accostamento di intonaci accaldati dal sole, rosse tegole di cotto, azzurro lucente del cielo fiorentino. Certo nel dipingere questo assieme, Dino Migliorini poteva contare su una circostanza “fortunata”: il suo studio era in via Condotta, ospitato in cima a una torre medioevale, con terrazze spettacolarmente affacciate su una Firenze monumentale “diversa”, quella dei tetti e dei comignoli. In mezzo a questi, spiccano simboli di una città spesso ingrata con le sue vicine toscana assoggettate ma orgogliosa della sua identità: i campanili di Giotto e della Badia, la torre del Bargello, la cupola del Brunelleschi.Colore, luce, genuina religiosità primaria, amore per la propria terra, anche se renderla produttiva per i padri è stato spesso duro, retaggi di un passato scolpito al quale la mia generazione resterà sempre legata, nonostante le accelerazioni della modernità e nonostante le ristrettezze che comportava. Tutto questo è Dino Migliorini, e come amministrazione comunale siamo lieti di ospitarne le opere nella prestigiosa sede della Galleria Comunale di Arte Contemporanea. Perché sarebbe bello recuperare il gusto, talvolta, di aggirarsi silenti a osservare la nostra splendida terra.

Bellezza sogno realtà5 febbraio-6 marzo 2011

con il patrocinio di con il contributo di

Presentazioni 3Nota biografica 6Nota sul percorso espositivo 7Dino Migliorini, Piero Della Francescae il quadro di composizione 8La matrice verista “en plein air” 10I novecentismi, tra Rosai e Carrà 14Le influenze espressioniste e fauves 15Tra Metafisica e Chiarismo 18L’Astrazione geometrica 23Lo studio della figura 24Il ritratto 26L’arte sacra 27Le nature morte 29Impressioni del “mio Valdarno” 32La produzione pittorica crepuscolare 38Notizie 40

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Presentando una mostra di Dino Migliorini esattamente dieci anni fa, nel 2001, scrissi di lui come di un artista “dell’anima e del colore”.

Oggi, oramai che egli è scomparso da alcuni anni, possiamo tracciare una sua più ‘oggettiva’ e distaccata analisi del suo lungo percor-

so di artista, ma rispetto ad allora rimane immutata la sensazione di essere stati presenti ad un uomo che dipingeva veramente con la sua

‘anima’, con un’onestà morale ed intellettuale cristallina, in un mondo – quello dell’arte contemporanea – abbagliante di luci e di retorica,

ma che (lasciate che lo dica un critico oramai a metà strada tra i cinquanta ed i sessant’anni) quasi sempre nasconde solo arrivismo, invidia,

bassezze ed una smania esclusivamente per il guadagno e la fama, spesso pretesa a torto da chi artista non è e neppure pittore ma solo

imbratta-tele, tronfio di demagogia, falsità e retorica.

È il momento, quindi, come dicevamo, di cercare di analizzare storicamente il contributo di Migliorini, artista tutto sommato ‘sfortu-

nato’ perché lontano dalle celebrazioni di una critica spesso prezzolata, ma che è stato più artista di tanti suoi coetanei e successori ben più

noti ma assolutamente vacui ovvero pieni della loro nullità travestita di innovazione concettuale.

La lunga parabola pittorica di Dino Migliorini iniziò nel 1928, traendo linfa vitale dallo studio del ‘suo’ paesaggio agrario toscano, cui

era tornato negli ultimi anni, nuovamente e prepotentemente. Opere tutte sospese tra un Verismo di fine Ottocento ed un Postimpressionismo

declinato sulla lezione di Monet. La concretezza della sua pittura, i colori ocra-terragni della grande tradizione pittorica rinascimentale (trat-

ta dalle opere degli artisti della sua terra del Valdarno), il Verismo ottocentesco, la ‘Macchia’, la più moderna pittura – ‘concreta’ e metafisica

ad un tempo – di un Rosai (si veda Via dell’Erta Canina a Firenze), ma anche di un Carrà (si confronti Mare d’inverno) sono alla base

delle sue opere prebelliche e fino a tutti gli Anni Quaranta. Opere di forte spessore ed impatto estetico ed emozionale, dai disegni a car-

boncino degli Anni Venti e Trenta ispirati a scene dal vero en plein air dei mercati fiorentini (ancora nella tradizione ottocentesca, ma che

si aprono alla solidezza epica di “Novecento”, per anticipare visioni annigoniane) agli oli ritraenti le campagne verso Grassina, dal sapore

dell’impressione postmacchiaiola. Le ‘opere’ e i ‘giorni’ si sono susseguiti nella sua tavolozza vestendosi dei rammentati colori ocra e dei

bruni della sua terra, dei gialli e dei verdi della natura, ma anche dei rossi squillanti di una passionalità tutta genuinamente agreste. Se però,

Migliorini si fosse fermato a questo sarebbe stato solo un abile ma attardato seguace di maniere superate dalla Storia e, sinceramente, nulla

ci direbbe come artista. Osserviamo, invece, la sua veduta di Santa Maria a Montici da Ponte a Ema, ancora degli Anni Trenta: la pennellata

si fa ampia e quasi divisionista nella raffigurazione degli ulivi in primo piano, anticipando così quella che sarà la sua principale connotazione

stilistica nei paesaggi più tardi, non alieni da influenze cascelliane.

È con la frequentazione di personalità come Baccio Maria Bacci, Ardengo Soffici o Giovanni Papini che Dino Migliorini, sul volgere

degli Anni Quaranta, approda ad una sua più matura consapevolezza della modernità. Gli Anni Cinquanta e Sessanta divengono, così, quelli

della sperimentazione, sia cromatica che formale: ad iniziare dagli accenti fauves ed espressionisti, dove la linea nera di contorno si fa

marcata, a definire campiture di colore assoluto ed irrealisticamente ed emotivamente espressionista (cfr. Paese d’inverno, Cementificio o

Il mulino sulla Greve a Scandicci), fino a quelli cubisti di alcuni suoi ritratti e scene sacre (cfr. John Fitzgerald Kennedy, La Veronica).

Richiami cubisti che talora, come in Paesaggio italiano o Bimbo che dorme, approdano ad un’astrazione geometrica classica, pur ibrida-

mente ‘impura’, in quanto conserva echi della figurazione cubista celata nella scomposizione geometrica delle campiture cromatiche.

Il colore, uno dei cardini della sensibilità di Migliorini, diviene un veicolo di emozioni, esteso come il pentagramma musicale, at-

tribuendo al segno la capacità di essere insieme spazio e colore, senza però svincolarsi in toto dalla volumetria tradizionale ancora presente

Giampaolo Trotta

in artisti a lui cari, come Carrà, Boccioni e Soffici. E ancora i suoi paesaggi chiaristi e metafisici degli Anni Settanta ed Ottanta (Via medio-

evale ad Assisi, Riflessi sul fiume), alla ricerca di una nuova dimensione della luce, mirando tendenzialmente alla parziale riconquista di

una scioltezza di tratto di ispirazione postimpressionista (pur rimanendo ancorato ad un ossequio per le nitide volumetrie sotto la luce, tra il

morandiano e la semplificazione di un classicismo novecentista) e a cromie libere dalle terre della tavolozza in lui ancora in parte sironiana.

Veniva recuperata una tipica trasparenza e leggerezza della tavolozza, in un anelito di riscoperta dei valori luministici dei chiaristi lombardi

e poi bolognesi, rinnovando la pittura di paesaggio e proponendo spontaneità in composizioni soltanto apparentemente schematiche ma

in verità aggiornate sulla lezione delle avanguardie degli Anni Quaranta. L’essenzialità cui l’artista ha ridotto le sue forme in quegli anni

gli consente di raggiungere ancor più compiutamente la tanto agognata unità ritmo-colore, in un rapporto simultaneo con l’emozione di

un’immagine archetipo di paesaggio (Assisi, l’Arno) che porta in sé.

E poi ancora i suoi nudi con la raffigurazione solo parziale della testa, talora latamente contiani (Risveglio), e le nature morte moran-

diane già iniziate negli Anni Quaranta (cfr. Natura morta con pere) e poi evolutesi in forme più marcatamente espressioniste (cfr. Natura

morta con piatto e pere). E di una continua interazione tra la cloison secessionista, il Liberty, il Fauvismo ed il Chiarismo, che alleggerisce

la massa solidamente novecentista, vive tutta la sua pittura di figura e di ‘pudibondi’ nudi dell’anima, indicativa, più che di una velocità di

ascendenza futurista, di una tonalità di segno che si snoda in cadenze di danza e di sinuosità erotiche da aurorale e solida Mater matuta e

sfiora la fusione con il Cosmo per intuizione folgorante (si veda il Nudo di donna in rosso e viola degli Anni Novanta, una Grande Madre

italica, possente nelle fattezze come il Grande Ventre fecondo della Natura, ma rivestita di albeggiante e lucreziana “rosea luce dell’aurora”,

come la vuole il mito greco di Ino-Leucotea, signora lucente del bianco Mattino).

Egli ha attraversato quasi tutti i movimenti, le esperienze e le correnti che hanno caratterizzato il secolo passato. Nella sua “ine-

stinguibil sete” (per citare un verso dell’Angelica di Pietro Aretino) di apprendere e di conoscere, con quella modesta semplicità e quella

schietta insaziabilità proprie delle persone più sensibili, egli non ha mai aderito ad una corrente pittorica con l’indiscussa certezza di chi

propaga un Verbo, ma ha cercato, con umiltà, di cogliere da ciascun movimento nel quale momentaneamente egli si ‘rifletteva’ ciò che gli

era più congeniale.

La produzione pittorica crepuscolare e a tratti quasi primitivista degli Anni Novanta e quella fino alla morte, quando ha dovuto lotta-

re con la vista che la cecità gli rubava insieme ai ‘suoi’ colori, non ci interessa per la visione della sua perduta Toscana oramai rivissuta come

in un sogno, almeno in quella superficiale accezione oleografica e cartolinesca (cioè ingenuamente retorica) con la quale le masse fiorentine

meno colte apprezzavano e tuttora apprezzano vernacolarmente i quadri di Migliorini, in una sorta di provincialismo regional popolare. Quei

paesaggi ci convincono e ci affascinano forse più di tutta la sua precedente produzione perché sono pennellate emotive e passionali, perché

sono fatti di masse cromatiche dai colori vividi e irreali, forti e talora aciduli, definenti improbabili edifici ed alberi. Migliorini non seguiva

alcuna filosofia nel creare i suoi quadri, ma applicava la logica dell’arte come gliel’aveva insegnata la sua terra d’origine, paragonandola

ad una dolce melodia di sottofondo. Paesaggi dell’anima, quindi, dove il tratto tremulo, incerto e ‘vecchio’ scolpisce immagini interiori

alla ricerca del Mythos che è in noi: non la perfezione formale o il colore puro e artefatto, ma un’istintualità affaticata traccia orizzonti e

edifici che divengono costruzioni metafisiche, corpi irreali di donne solo pensate, astrazioni formali imprecise e vibranti, come l’esplosione

dell’autunno prima della morte, quando tutto l’essere diviene antenna recettiva esistenziale. A differenza di tanta arte contemporanea che

si presenta avviluppata in un discorso criptico e non esteriore, senza possibilità di guardarla come cosa in sé, la pittura di Migliorini è lì, di

fronte a te, nel bene e nel male: la puoi guardare come cosa in sé senza alcun condizionamento strumentale rivolto a ‘iniziati’. Questo è il

Dino Migliorini, pittore intelligente, genuino e moderato, dotato di una seducente capacità di invenzione e di un sapiente mestiere, che più

apprezziamo e ricordiamo: quello ‘imperfetto’ degli ultimi anni, solo nel suo studio, ma aperto nella radiosità del suo mondo interiore pregno

di vita, di ironia, di calore. Solarità, leggerezza poetica, luminosità, un’arte intenzionalmente semplice, votata a individuare un’idea istintiva

del bello: il bello dell’anima. Come già scrisse De Chirico a proposito dell’opera di Michele Cascella – così amata dal pubblico e bistrattata

dalla critica italiana postbellica – forse Migliorini è uno dei pochi artisti che risvegliano ancora in noi la poesia del Paradiso perduto.

DINO MIGLIORINILa reaLtà come un Lungo sogno cromatico

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Dino Migliorini nasce “settimino” in un’umile famiglia di coloni, nel podere “La Badiuz-

za” nei pressi di San Donato in Collina, frazione del Comune di Rignano sull’Arno, il 17 febbraio 1907. Frequenta fino alla terza classe la scuola elementare della vicina Troghi e, mostrando una precoce quanto inusuale abilità per il disegno, è avviato giovanissimo agli studi artistici, grazie all’ interessamento della contessa Giulia Corinaldi Padua della “Villa Torre a Cona”. Dario Buschini, un pittore post-macchiaiolo reduce dalla I guer-ra mondiale, è il suo primo maestro. In seguito è allievo del professor Garibaldo Cepparelli e, per sette anni, studia disegno accademico. Dal 1924 è a Firenze e per finanziare i suoi studi lavora come “portiere di notte” al “Nuovo Giornale”, dove ha la possibilità di mostrare le sue doti di disegnatore ritraendo le personalità che visitano la redazione ed in seguito illustrando gli articoli di Guido Fan-fani. Il “Nuovo Giornale” nel 1928 gli dedica una recensione con la pubblicazione del ritratto della nipote del professor Murri, medico di casa reale. L’articolo è di Otello Masini. In seguito, prova a fare il decoratore alla Richard-Ginori e poi il re-stauratore alle Belle Arti. Nel 1931 alla Galleria Lyceum di Firenze espone per la prima volta con lo scultore Ugo Ciapini. Negli anni Trenta, Mi-gliorini vive già della sua pittura, o meglio, come lui stesso asserisce “sopravvive”, dipingendo “per il vitto e l’alloggio”.

Nel 1934 conosce Baccio Maria Bacci che divie-ne per lui un maestro di vita, oltre che di pittura. Per quattro anni, d’estate, Migliorini accompagna Bacci al Santuario di La Verna (AR), dove il mae-stro di Fiesole è impegnato nella realizzazione di un ciclo di affreschi sulla vita di San Francesco, aiutandolo nella preparazione dei colori. In segui-to conosce Ardengo Soffici, suo compaesano, da sempre ammirato punto di riferimento artistico.

Nel 1936 in una galleria di Via Cavour in Firen-ze, espone per la prima personale. Nel 1938 rea-lizza l’affresco “Il buon samaritano” nella sacrestia della chiesa di Ricorboli in Firenze. La fotografia dell’opera è pubblicata su “L’Avvenire d’Italia”. Nello stesso anno a Rignano il Cav. Rodolfo Bru-schi organizza una mostra d’arte “per incoraggia-re un cittadino nato ed allevato nel nostro Comune: Dino Migliorini il quale da modesto agricoltore si av-via a raggiungere la meta, con l’incoraggiamento di abili Maestri, il Prof. Ardengo Soffici anch’Esso nato a Rignano e l’Esimio Prof. Baccio Maria Bacci Presi-

dente del Sindacato Ingegneri e Architetti di Firenze”. Nel 1939 Raffaello Franchi vede nella sua pittura una “molteplicità serena di visioni contemplative”.

In seguito frequenta Ottone Rosai, che lo ospita anche per un breve periodo e con il quale, negli anni a venire, spesso s’intratterrà la sera alle “Giub-be Rosse”, abituale ritrovo di artisti ed intellettuali fiorentini. Nel 1941 il parroco della chiesa di San Donato in Collina gli commissiona un quadro per il fonte battesimale: Il battesimo del Cristo. Dopo qualche anno, probabilmente nel 1946, la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti acquista due ope-re, un paesaggio ed un ritratto di bambina (Cecilia Marsili Libelli).

Nel 1947 Ardengo Soffici, nel presentare la mo-stra di Migliorini e Warden alla “Galleria Firenze”, rileva “un’energia di esecuzione e una fresca arditez-za di colori senza dubbio notevole”, definendolo “sincero cercatore di verità pittorica”.

Nel 1954 Migliorini partecipa all’esposizione d’arte internazionale “La pittura di piccolo for-mato” a Bergamo e si propone a Milano con una mostra personale che riporta il giudizio favore-vole del critico Leonardo Borgese; la mostra è presentata da Michele Campana, che rileva “la solidità della costruzione” e la “coloritura violenta”. Per alcuni anni soggiorna spesso a Roma (che lo colpisce con la sua “monumentalità storica”, più volte rievocata ed interpretata nelle sue opere), dove ha modo di venire a contatto con gli artisti che frequentano il “Caffè Rosati” a Piazza del Po-polo (Maccari, Monachesi, Fantuzzi) e visitare De Chirico nel suo studio di Piazza di Spagna.

Nel 1960 esegue il ritratto di Maria Pia di Savoia (“Il Corriere della Sera” pubblica la fotografia con la consegna del dipinto alla principessa). Nel 1961 ha l’opportunità di ritrarre Papa Giovanni XXIII e realizza diverse opere, fra cui “la fine della guerra” e “Spazio cosmico” (mosaico), per la sede della Casa del Popolo dell’Antella, località nei pressi di Firenze. Nel 1962 esegue un’opera di grandi dimensioni: “Maremma”, per la sala consiliare del comune di Cinigiano (GR). A Roma nel 1962, alla galleria “Il Camino”, è presentato come un “sensi-bile interprete dell’epoca in cui vive”, che “trasmette nei suoi dipinti il tormento e la scontentezza della sua generazione, caratterizzata da travaglio di ricerche per nuove espressioni”. Espone ancora a Roma nel 1966, alla galleria “Il Babuino”; la mostra è recen-sita dalla RAI nel programma “La ronda delle arti”, che segnala un “gusto per la rudezza, che si fa ap-

nota biografica

prezzare soprattutto nelle nature morte e nelle com-posizioni di stampo cubista”. A Bologna nel 1967 “Il Resto del Carlino” evidenzia “un caldo e acceso pit-toricismo”. Nel 1968 espone a Cortina d’Ampezzo, al circolo artistico dell’Ente Cortinese di Cultura e ad Ancona, dove la mostra è recensita da “L’Uni-tà” che rileva “un mondo geometrizzante dove tutto esprime la malinconia di un artista singolare”.

Nel 1970 il Comune di Rignano gli dedica una mostra antologica “per dimostrare ampiamente a quali schietti valori artistici sia arrivato questo figlio della sua terra”. Nel 1974 partecipa alla “The Ita-lian Season”, allestita alla “Galerie Aziza” di Lon-dra, presentato come “a pupil of the very country-side”. Nel 1975 espone a Lugano alla galleria “La Madonnetta”. Gli anni che seguono sono caratte-rizzati da un’intensa attività espositiva, numerose le mostre organizzate in giro per l’Italia. Di rilievo quelle allestite a Firenze alla “Galleria Pananti” nel 1982 e a Roma, in Piazza Monte Citorio, alla “Gal-leria Paesi Nuovi” nel 1985.

Nel 1974 Biagioni Gazzoli su “L’Osservatore Romano” lo indica come un “punto di paragone e confronto, non solo ad una pittura regionale, ma a quella di un ambito mediterraneo”. Nel 1983, anco-ra su “L’Osservatore Romano”, Maria Bernardini definisce i suoi paesaggi come “visioni di un paese dell’anima”. Nel 1990 il suo dipinto “Il ciclista e la fabbrica” è riprodotto sulla locandina del 45° Gran Premio di Ciclismo - Industria e Commercio di Prato.

Nel 1998 il Comune di Rignano sull’Arno pro-muove la mostra antologica “La copia, il dettato e la composizione”. Una selezione delle opere esposte è riproposta, nel 1999, a Firenze alla “Galleria via Larga” della Provincia di Firenze.

Nel 2000 la Basilica della SS.Annunziata in Fi-renze, accoglie una mostra di opere con soggetti sacri che riscuotono il lusinghiero apprezzamento di Corrado Marsan: “...degne di un ipotetico grande museo dell’arte sacra del Novecento Italiano”.

Nel 2002 il Comune di Loro Ciuffenna (AR) ospita una mostra dedicata all’attività di ricerca dell’artista; la mostra è visitata anche dal Presi-dente della Giunta Regionale della Toscana.

Nel 2003 la “Ratiopharm Italia” dedica alla pit-tura di Dino Migliorini un calendario monografi-

co, con una tiratura di 35.000 copie. Il 3 giugno 2004 Migliorini riceve la medaglia

d’argento della Regione Toscana “in riconoscimen-to della sua opera secolare per Firenze e la Toscana” in occasione dell’inaugurazione della mostra an-tologica: “Dallo studio del vero alla realtà sognata” promossa dal Consiglio Regionale della Toscana.

Il 26 luglio 2004 chiude lo studio d’arte in via Condotta n. 12 a Firenze e smette di dipingere.

Dino Migliorini muore il 18 febbraio 2005 a Contea (FI). Il quotidiano “Il Giornale” nell’arti-colo che ne annuncia la scomparsa, lo ricorda qua-le “ritrattista sensibile e grande paesaggista”.

Il Comune di Firenze, con l’assessore alle tra-dizioni popolari fiorentine Eugenio Giani, nel comunicato stampa diramato ricorda che “con la scomparsa di Migliorini, uno dei grandi allievi di Ar-dengo Soffici, viene a mancare un importante inter-prete della tradizione fiorentina del Novecento”.

Nel mese di maggio 2006 le “composizioni sa-cre” di Dino Migliorini sono esposte nel Museo Diocesano di Arte Sacra della Curia Arcivesco-vile di Firenze e Don Sergio Pacciani, Direttore dell’Ufficio Arte Sacra della stessa Curia, così dice di Migliorini: “Un’artista che ha toccato temi che sono parte del vissuto comune e sono già un ‘co-dice’ di lettura dell’arte pittorica del Novecento”. Le composizioni sacre dell’artista sono collocate nella sala della “sacrestia” che accoglie le opere di importanti autori del passato quali: Giotto, Ma-solino, Paolo Uccello. Successivamente dal 7 ot-tobre al 10 dicembre 2006 le composizioni sacre di Migliorini sono in mostra nella Sala dei Marmi del Complesso Museale di S. Chiara a Napoli. La curatrice della mostra, Roberta Polidoro, lo indica come “punto di riferimento per una pittura che, da regionale, assume un respiro più ampio, fino a rag-giungere una dimensione mediterranea”. Dal 3 al 19 Settembre 2010 la Provincia di Firenze ospita nel Palazzo Medici Riccardi la mostra “Aura-Valdarno: l’armonia del colore”. Il Presidente della Provincia, Andrea Barducci, sottolinea come l’esposizione è tesa proprio a consacrare e “celebrare il talento dell’artista rignanese”.

NOTA SUL PERCORSO ESPOSITIVO a cura di Erica Romano

Il percorso si snoda attraverso sezioni tematiche che intendono illustrare le diverse stagioni artistiche vissute da Dino Migliorini. Un autoritratto apre la mostra per poi seguire, cercando di rispettare co-munque dove possibile una coerenza cronologica, con i nuclei che riguardano non solo tematiche pit-toriche affrontate autonomamente dall’artista, ma anche sperimentazioni tecnico-formali influenzate

da correnti ed artisti a cui egli si è avvicinato. Sessan-tuno le opere esposte per raccontare con semplicità e chiarezza una vita interamente dedicata all’arte. Le sezioni, introdotte da una breve nota storica, sono contraddistinte da una frase che accompagna il visitatore lungo il percorso espositivo, invitandolo a riflettere, a lasciarsi affascinare o semplicemente ad accostarsi alle opere.

Il percorso si snoda attraverso sezioni tematiche

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In una nicchia sopra il piccolo fonte battesimale della chiesa di San Donato, nell’omonima frazione del Comune di Rignano sull’Arno, si trova un quadro di Dino Migliorini rappresentante il Battesimo di Cristo, dipinto ad olio su compensato, firmato e datato 1941 in

basso a sinistra. Per il dipinto di San Donato, dall’impianto essenziale, caratterizzato dalla massima semplicità e dalla diretta trasmissione del messag-gio evangelico, Migliorini trasse evidente ispirazione dal dipinto di un artista rinascimentale, un grande modello, in special modo per artisti che si rivolgevano alla pittura figurativa in un difficile momento storico che proponeva sul piano artistico un “ritorno all’ordine”: il celebre Battesimo di Cristo di Piero della Francesca dal 1861 alla National Gallery di Londra ma dipinto attorno al 1459 per la chiesa di San Giovanni Battista a Borgo San Sepolcro, città natale del pittore.Dalla metà degli anni ’20 si assiste in Italia, primariamente ad opera del gruppo denominato “Novecento”, ad un processo di restaura-zione in pittura dei valori tradizionali, tra naturalismo e classicismo, che propugnava, usando le parole di Margherita Sarfatti, teorica del gruppo, “limpidità nelle forme e compostezza nella concezione, nulla di alambiccato e nulla di eccentrico…”.Anche in Toscana si erano formati gruppi novecenteschi locali: quello di Firenze, dove lavoravano Ardengo Soffici e Ottone Rosai, era caratterizzato dalla combinazione della poetica del semplice di Strapaese, a difesa della tradizione e della cultura contadina e provincia-le dell’Italia, con il purismo quattrocentista. L’ansia sperimentale maturata nel periodo delle avanguardie artistiche anche tra gli artisti toscani, veniva ora annullata da un linguaggio impregnato di storicità e di classicità, e soggiogata, per così dire, dalla tradizione della grande arte medievale e dalla pittura del Quattrocento. Nel determinare questa fase della pittura di Migliorini, oltre alle sue frequenta-zioni di Soffici e Rosai, non può essere stato certo estraneo il suo stretto rapporto, nel corso degli anni ‘30, con Baccio Maria Bacci a La Verna, con il quale lavora agli affreschi con le storie di San Francesco, esperienza sfociata poi nell’affresco oggi perduto col Buon Samari-tano per la sacrestia della chiesa di Santa Maria a Ricorboli in Firenze, e neppure la frequentazione di ambienti culturali ed ecclesiastici fiorentini come i padri francescani di Ognissanti o i domenicani di San Marco e di San Domenico a Fiesole presso i quali egli si recava e soggiornava spesso. L’esperienza con Baccio Maria Bacci a La Verna, che si protrasse per circa quattro estati fino al 1939, fu, senz’altro, una delle tappe fondamentali per la sua vita e per la sua carriera. Bacci fu per lui un grande maestro di vita e di pittura. Era un uomo di grande cul-tura ed aveva un tenero affetto per quel piccolo uomo, “anarchico non di idee ma di vita”, pronto e sveglio più di altri a recepire le più piccole novità. Bacci lo chiamava scherzosamente “Peggiorini” e un po’ si prendeva gioco di lui, ma lo ripagava con preziosi insegnamenti. Comunque è in conco-mitanza con l’esperienza con Bacci a La Verna che Migliorini si accinge al quadro di figura e di composizione, col Buon Samaritano di Santa Maria a Ricorboli, con il Battesimo di San Donato, ma anche con altri dipinti di questo genere che abbiamo individuato.L’affresco col buon samaritano riprodotto nel quotidiano Avvenire del 3 dicembre del 1938 con la didascalia “omaggi dell’arte italiana al Vangelo”, risulta oggi perduto ma potrebbe ancora nascondersi sotto lo scialbo che si ipotizza possa essere stato steso sull’affresco da un parroco poco zelante o poco amante dell’arte all’indomani della grande alluvione del 1966 che devastò l’edificio. L’affresco, come rivela lo stesso Migliorini, “è il quadro che assomiglia di più alla sua pittura (di Bacci), in quel samaritano era en-trato un po’ il Bacci…”. In effetti il dipinto si avvicina agli affreschi del Bacci a La Verna ma si caratterizza per un impronta di essenzialità in virtù di quel paesaggio quasi spettrale che circonda i due protagonisti, osservati dal cavallo che occupa più della metà dello spazio. Il samaritano sembra sussurrare alcune parole rassicuranti al ferito ed appena lo sfiora. Originale e moderna, la struttura della composizione di quest’opera si presenta libe-ra da influenze classiche o rinascimentali che invece altre opere di questo periodo presentano.E per capire il rapporto di Migliorini con i modelli antichi è significativo soffermarsi su come questi si esprimesse a proposito di un pittore affer-mato in campo figurativo come Annigoni, e come invece definisse “polli d’allevamento” i suoi allievi. Secondo Migliorini, infatti, Annigoni si nutri-va nell’intimo dell’arte dei grandi maestri del Rinascimento ma poi sapeva trasformare e rielaborare la portata del loro esempio adeguandola ai tempi

e alla sua propria sensibilità di uomo e di artista; non così, secondo lui, i suoi allievi, che non avevano colto questa capacità trasfiguran-te e rigenerante del maestro che per lui era, evidentemente, l’elemento determinante per affrontare il confronto con l’arte del passato.Gli anni Trenta si caratterizzano dunque, anche per Migliorini, per una ricerca in questo senso, senza che lui l’abbia probabilmente mai teorizzata o razionalizzata fino a farla diventare un elemento programmatico. Si riscontrano, infatti, proprio in questi anni, dipinti di composizione in cui l’artista si rifà ai grandi modelli del Rinascimento, suggestionato evidentemente dalla frequentazione di opere di artisti fiorentini del Quattro e del Cinquecento ma anche di ambienti, i conventi domenicani e francescani di Firenze, dove questa pittura regnava incontrastata. Tra i dipinti esposti nella mostra che Migliorini tenne nel 1938 a Rignano sull’Arno, all’interno del teatro Bruschi, quando era ospite e soggiornava per lunghi periodi presso la famiglia Bruschi, proprietaria di una importante falegnameria nel centro del paese, figurava un grande Trasporto di Cristo al sepolcro, oggi perduto e noto soltanto attraverso una fotografia, nella quale il pittore riferisce di aver preso a modello il Trasporto di Cristo di Raffaello della Galleria Borghese a Roma e di averne capovolto la composizione. Migliorini racconta poi di aver soggiornato spesso, in questi stessi anni, presso il convento di San Domenico a Fiesole dove frequentava un certo padre Spinillo: “una carogna”, racconta il pittore, che però gli voleva bene e, nutrendo velleità pittoriche, sperava di carpire al giovane artista i segreti della pittura. In realtà Migliorini aveva conosciuto padre Angelico Spinillo nello studio di Bacci insieme a Vico Bruckmann pronipote di Arnold Bocklin, il quale viveva nella villa che il pittore svizzero aveva acquistato a Fiesole nel 1895 e dove era morto nel 1901. Padre Spinillo era un religioso domenicano di pochi anni più giovane di Migliorini, nato nel 1909 a Sant’Arsenio ma trasferitosi ben presto a Firenze dove visse fino alla sua morte avvenuta nel 1986, continuando a dipingere e a scrivere presso il convento di San Marco. Nelle sue testimonianze orali Migliorini racconta, anche se molto fugacemente, di aver lavorato con padre Spinillo nella chiesa di Santa Caterina da Siena a Livorno, ma che il quadro che si era accinto a dipingere era stato finito dal frate che lo aveva “sciupato”. Nella nicchia del fonte battesimale, nella prima cappella a sinistra della chiesa suddetta si trova un dipinto ad olio su compensato rappresentante il Battesimo di Cristo, firmato e datato in basso a destra “P. Spinillo O.P. 1937”. C’è un modello tardo quattrocentesco anche per quest’opera, ed un modello che entrambi gli esecutori avevano sotto gli occhi costantemente, il Battesimo di Cristo di Lorenzo di Credi, dal 1786 nella cappella Guadagni della chiesa di San Domenico a Fiesole.Di pochi anni più tardo del dipinto livornese, il quadro di San Donato esprime una forte volontà di essenzialità e di pulizia intorno alle figure, dietro le quali non c’è paesaggio, e nella resa pittorica rivela forti tangenze con un bellissimo ritratto che il pittore eseguì ad un membro della famiglia rignanese che a lungo lo ospitò, il Ritratto di Elena Bruschi, dove si riscontra un’identica qualità pittorica e la stessa ricerca di essenzialità.

Dino migLiorini, Piero DeLLa Francesca e iL quaDro Di comPosizione

Lucia Bencistà

A sinistra: La Verna, 15/09/1934Baccio Bacci, Piero Bargellinie Dino Migliorini

A destra: Il Battesimo del Cristo, 1941, olio su compensato, cm 112 x 105,Chiesa di San Donato in Collina,Rignano sull’Arno

L’AVVENIRE D’ITALIA, 3/12/1938Omaggi dell’arte moderna alVangelo - Dino MiglioriniAffresco del Buon Samaritano

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Il mercato di Sant’Ambrogio a Firenze1928/1932, carboncino su carta, cm 33 x 45

Il cipresso (Campagna a Grassina)Anni ‘30, olio su compensato, cm 60 x 50

Campagna in autunnoAnni ‘30, olio su tavola, cm 51,5 x 62,5

Il mercato di Sant’Ambrogio a Firenze1928/1932, grafite e carboncino su carta, cm 23 x 30

AutoritrattoAnni ’40, olio su tavola, cm 40 x 31,5

1- La matrice verista “en plein air”(1930 – 1950)

Dino Migliorini dal 1924 è a Firenze e per finanziare i suoi studi lavora come “portiere di notte” al Nuovo Giornale, dove ha la possibilitàdi mostrare le sue doti di disegnatore ritraendo le personalità che visitano la redazione ed in seguito illustrando gli articoli di Guido Fanfani. Il “Nuovo Giornale” nel 1928 gli dedica una recensione con la pubblicazione del ritratto della nipote del professor Murri, medico di casa reale. L’articolo è di Otello Masini.

Guido FanfaniAnni ‘30, olio su tela, cm 58 x 39

Dino Migliorini intraprende la sua attività artisti-ca intorno al 1928, muovendosi nell’ambiente del paesaggismo fiorentino dell’epoca. Dal suo mon-do contadino attinge una feconda ispirazione nel ritrarre campagne e paesi. Sospinto dal suo istinto, studia la natura e gli effetti cromatici della luce, realizzando dei dipinti che rivelano un’aura serena e contemplativa.

Primordi di un sentimento che profuma di casa: parlano di sé prati e colline e tutto pare rasserenarsi in un sempre eterno ritor-no in alternanza di silenzi e racconti antichi.

E.R.

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Il campanile della Pieve di GrassinaAnni ‘30, olio su tela, cm 72 x 60

Strada fra gli orti a GrassinaAnni ‘30, olio su tavola, cm 60 x 68

Verso l’AntellaAnni ‘30, olio su tavola, cm 65 x 56

Santa Margherita a Montici (Veduta da Ponte a Ema)Anni ‘30, olio su tavola, cm 43 x 54

Mi ha interessato sempre il vero, nella realtà ho cercato l’invenzione per esprimere la mia personalità.

Dino Migliorini

Dino Migliorini dipinge “en plein air”(foto degli Anni Trenta)

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2- I novecentismi, tra Rosai e Carrà

Filari di vitiAnni ‘50, olio su cartone telato, cm 48 x 39

Nella seconda metà degli Anni Quaranta, spinto dai consigli di Bacci, Soffici e Rosai, Migliorini è alla ricerca di nuove forme espressive, in linea con la modernità dei tempi. Per oltre un venten-nio la sua pittura si accosterà alle ricerche degli Espressionisti e si colorerà della violenza Fauves: artisti per i quali il colore ha la funzione di essere elemento strutturale del nostro modo di vedere.

Le passioni vibrano nel cuore dell’uo-mo fino a solcare i più profondi con-flitti. La realtà è vista attraverso il filtro delle emozioni più forti e insieme con i cambiamenti così profondamente sen-titi producono vivide visioni colpite da colori carichi di materia, tuttavia irreali.

E.R.

Via dell’Erta Canina a FirenzeAnni ‘40, olio su cartone telato, cm. 50 x 40

Mare d’invernoAnni ‘40, olio su tavola, cm 37 x 74

3- Le influenze espressioniste e fauves

Negli Anni Quaranta conosce Ottone Rosai (Firenze, 1895 - Ivrea, 1957), artista dal linguag-gio tipicamente toscano, che esprime tuttavia una toscanità mai vernacolare, ma affinata a tal punto da appropriarsi di accenti cézanniani ed espressionisti. Si avvicina così anche alle opere di alcuni artisti Novecentisti, soprattutto Carlo Carrà(Quargneto, Alessandria, 1881 - Milano, 1966), il cui discorso di una pittura fuori dal tempo cerca una conciliazione tra moderno, storia e tradizione.

La natura è come un canto senza parole, ma orchestrato di suoni…qui viene offerta la chiave per far parte di questo misterioso coro.

E.R.

Paese d’inverno Anni ‘50, olio su faesite, cm 64 x 80

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Paesaggio espressionistaAnni ‘60, olio su faesite, cm 57 x 90

Il mulino sulla Greve a Scandicci Anni ‘60, olio su faesite, cm 60 x 83

CementificioAnni ‘60, olio su faesite, cm 60 x 80

San GimignanoAnni ‘70, olio su faesite, cm 70 x 50

Firenze, 1947Così, basterà dunque dire al presente che il rignanese - e perciò mio compaesano - Migliorini, dotato di un sicuro istinto pitto-rico, sa rappresentare con naturale vigoria quello che vede, e indurre nei paesi e ne-gli oggetti che raffigura l’aura e l’aria che domina e circola in quel mondo a lui caro, e ciò mediante un’energia di esecuzione e una fresca arditezza di colori senza dubbionotevole.

Ardengo Soffici

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Strada di campagnaAnni ‘50, olio su faesite, cm 50 x 40

Via de’ Cimatori a FirenzeAnni ‘70, olio su faesite, cm 70 x 50

Via medioevale (Assisi)Anni ‘80, olio su faesite, cm 70 x 50

Verso il tramontoAnni ‘70, olio su faesite, cm 50 x 70

Mura biancheAnni ‘70, olio su faesite, cm 50 x 70

4- Tra Metafisicae Chiarismo Alla fine degli Anni Sessanta e per tutti gli Anni Settanta, l’attività di ricerca di Migliorini è di-retta verso lo studio della luce fino ad approda-re ad una pittura di tipo tonale, caratterizzata dall’equilibrio tra un cromatismo delicato e sof-fuso e una composizione dall’impianto geome-trico.

E d’incanto ecco una luce soave … essa inonda anche i più improbabili malcelati vicoli perché ogni cosa possa ammantarsi di una sacra aura che lasci spazio alla contemplazione. Ai nostri occhi si offre una così alta poesia a cui non mancano solitudine e nostalgia, le quali solo la nostra anima può sentire.

E.R.

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SolitudineAnni ‘70, olio su faesite, cm 50 x 70

Edifici nel paesaggioAnni ‘70, olio su faesite, cm 40 x 30

MontemignaioAnni ‘90, olio su faesite, cm 60 x 40

Riflessi sul fiumeAnni ‘80, olio su faesite, cm 70 x 50

Riflessi sull’ArnoAnni ‘80, olio su faesite, cm 50 x 70

La pittura luminosa non è mette-re i colori chiari. Si ha dentro, nell’animo. E questa schiavitù mi ha seguito tutta la vita.

Dino Migliorini

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Tetti fiorentiniAnni ‘80, olio su faesite, cm 70 x 50

Tetti fiorentini1989, olio su faesite, cm 50 x 70

Paesaggio italianoAnni ‘60, olio su faesite, cm 85 x 70

Uno studio sui tetti fiorentiniLo studio di Dino Migliorini, a Firenze in via Condotta al n.c. 12, era ospitato in cima ad una torre medioevale, con terrazze spetta-colarmente affacciate su una Firenze mo-numentale “diversa”, quella dei tetti dove i colori degli intonaci scaldati dal sole ed i rossi delle tegole di cotto incupiti dal tem-po e dalle intemperie riempivano le forme geometriche degli edifici raccordandosi con l’azzurro lucente del cielo fiorentino. Collocazione talmente particolare e sug-gestiva che veniva sottolineata anche da Maria Bernardini con un suo articolo su L’Osservatore Romano del 19 marzo 1983 che titolava: “Uno studio sui tetti”. I due di-pinti qui presentati raffigurano due aspet-ti di Firenze che si potevano cogliere dalleterrazze del suo studio. Il primo è incen-trato sui tetti delle antiche case del centro cittadino, pulsanti di vita e commerci, con sullo sfondo solo un accenno ad alcune architetture della città: il campanile del-la Badia e la torre del Bargello. Il secondo, invece, è dedicato alla rappresentazione dei simboli della grandiosità monumentale architettonica e della spiritualità della città: la cattedrale di Santa Maria del Fiore ed il campanile di Giotto, che si stagliano nelcielo adagiati su di un trono di edifici co-muni con intonaci e tetti accarezzati da una luce calda, in una mattina d’estate.

Bimbo che dormeAnni ‘60, olio su faesite, cm 80 x 60

5- L’Astrazione geometricaMigliorini negli Anni ’50 frequenta, senza farne parte, il gruppo “La Base” di Vinicio Berti, che lo definisce “collega sostenitore”. La prima forma astratta Migliorini sosteneva di averla realizzata già nel 1928.

Cos’è l’astrazione se non negazione della descrizione della realtà ed espres-sione del sentimento dell’artista?

E.R.

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Nudo allo specchioAnni ‘60, olio su faesite, cm 70 x 50

RisveglioAnni ‘70, olio su faesite, cm 70 x 56

6- Lo studio della figuraLo studio di figura è affrontato con un colore steso ad ampie e decise pennellate che richia-mano la stessa tensione emotiva della pittura di Matisse (Le Cateau, 1869 – Vence, Nizza, 1954). Il colore possiede una intrinseca potenzialità costruttiva che trasforma e traduce in gesto ciò che l’artista sente.

Corpi immaginari, privi di volto eppuresegnati … la forza del segno racconta caratteri, i colori sono umori, quei pochi tratti si prestano ad essere assunti quale sim-bolo di un’umanità aperta in cui cia-scuno può leggersi, quasi come vedere se stessi allo specchio.

E.R.

Nudo in rosso e violaAnni ‘90, acrilico su faesite, cm 70 x 50

Composizione (Volti )1990/1991, olio su faesite, cm 40 x 30

NudoAnni ‘80, olio su faesite, cm 80 x 40

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Albert EinsteinAnni ‘50, olio su faesite, cm 50 x 40

John Fitzgerald Kennedy1962, olio su faesite, cm 70 x 50

7- Il ritrattoNel lungo corso della sua vita Migliorini ha ese-guito numerosi ritratti. Il più noto è quello rea-lizzato nel 1960 per la principessa Maria Pia di Savoia. I ritratti qui rappresentati testimonianol’interesse dell’artista per tematiche che parten-do dalla ritrattistica la superano ed evidenziano l’influenza del mito Americano, arrivato in Ita-lia tra gli Anni Cinquanta e Sessanta con le sue innovazioni artistiche.

Un personaggio viene trasformato in icona e subito diviene storia.

E.R.

MaternitàAnni ‘60, olio su faesite, cm 90 x 70

La VeronicaAnni ‘60, olio su faesite, cm 50 x 70

8- L’arte sacraLe composizioni sacre sono pervase di una genu-ina religiosità primaria non riconducibile mai ad una insignificante o scontata devozionalità. Una ieraticità ed il dramma umano, ancor prima che divino, pervadono le immagini di Cristo, segnate dalla pittura di Rouault, il suo volto allungato e quasi astratto, come nella policromia di una solenne vetrata gotica.

G.T.

Non c’è inganno, non c’è aureola che abbia il sapore di qualcosa che sia trop-po lontano e stantìo, ma è vera fede: è un Dio davvero vicino, che sembra voler uscire dal quadro per camminare accanto a ogni uomo.

E.R.

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Calvario1967, olio su faesite, cm 60 x 80

CrocifissioneAnni ‘60, olio su faesite, cm 70 x 50

Natura morta con pereAnni ‘40, olio su cartone telato, cm 30 x 45

Natura morta con brocca, mele e cipolleAnni ‘50, olio su compensato, cm 50 x 60

9- Le nature morteIn queste nature morte è assai evidente il richia-mo alla pittura di Cèzanne (Aix-en-Provence, 1839-1906): la densa impurità della matrice pittorica, l’ampia gamma coloristica, la struttura geometrica degli oggetti. La pittura non ripro-duce semplicemente la realtà, ma produce la sensazione.

.Brani … frammenti … la chiamano na-tura morta, eppure è emblema del tra-scorrere del tempo e insieme della vita con i suoi momenti a volte inattesi. Nul-la passa inosservato poiché tutto scor-re, ma nulla può essere dimenticato.

E.R.

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Natura morta con caffettiera, mandolino, mestolo e tegameAnni ‘50, olio su tela, cm 60 x 80

Natura morta con mele e pennelliAnni ‘50, olio su faesite, cm 52 x 49,5

Natura morta con piatto e pereAnni ‘70, olio su faesite, cm 70 x 50

Natura morta con bricchi, bottiglia e macinacaffèAnni ‘80, olio su faesite, cm 50 x 70

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Impressioni del mio ValdarnoAnni ‘90, olio su faesite, cm 68 x 88

10- Impressioni del “mio” Valdarno

Il paesaggio è un’invenzione del pittore che imma-gina un ricordo dei colori di una certa area, più che reali sono un immaginario ricordo di un sogno. La realtà c’è! Ma è composta.

Il cipresso è come una sentinella, guarnisce il paesag-gio, è un segnale, un simbolo. Quelle sfilate in primo piano, o in un viale all’orizzonte, danno toni musicali e ritmo, alla composizione.

Gli olivi nella campagna toscana sono la parte più saliente. Sono belli con quei grigi di diverse tonalità, però guai a farli con tutti i rametti - sarebbe un disastro. E’ sempre la massa dell’olivo che mi interessa. La forma è massa senza particolari.

Dino Migliorini

Le luminose campagne e i paesaggi toscani, le strade bianche ed il fiume, i cipressi, i pini e gli ampi muri intonacati delle case coloniche, resi con pennellate veloci, brevi e vibranti, vicine a certo far pittura che fu anche di Michele Cascella, unito al ricordo della tavolozza rosaiana. La produzione più recente è, forse, quella più gradita ad un più vasto pubblico: colline e vi-gneti, alberi in fiore e cipressi, strade di campagna e coloniche di una Toscana perduta, senza autoveicoli o segni di moderni-tà. Quindi, non una raffigurazione en plein air, ma una rivisi-tazione del paesaggio tra le mura del proprio studio, secondo metodologie ancora in parte presecentesche, che però non vogliono oleograficamente renderci un ambiente ideale o non più esistente, come in una finta foto d’epoca. Ancora una volta il suo è un viaggio interiore e quei cipressi e quegli ulivi, quelle case e quei campi sono frammenti freudiani della sua psiche, accendendosi nei ricordi di una vita centenaria.

G.T.

La nevicataAnni ‘80, olio su faesite, cm 50 x 70

Ulivi a ChiocchioAnni ‘80, olio su faesite, cm 50 x 70

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Colonica tra ulivi e cipressi1989, olio su tela, cm 30 x 40

Campagna a Rignano sull’ArnoAnni ‘80, olio su faesite, cm 40 x 30

Strada di campagna verso Bagno a Ripoli(Il campanile della Pieve di Ripoli)

Anni ‘90, acrilico su faesite, cm 50 x 60

La Lama (Valdarno Superiore)Anni ‘90, olio su faesite, cm 50 x 70

È proprio il suo mondo, la sua casa, sestesso, tutti i suoi affetti e i suoi ricordi più cari: in ogni pennellata un respiro, in ogni quadro un momento di vita e dunque di storia, non solo personale ma di ogni abitante passato in quei luoghi, di ogni foglia che dopo aver cambiato colore è caduta, di ognuno di noi che s’immerge in questi paesaggi e rivive in sé ciò che il suo animo deside-ra evocare. In essi è racchiuso forse il senso della pittura di Migliorini: pare come un albero ben radicato nella suaterra, ma con rami frondosi che si spin-gono molto lontano oltre il proprio orizzonte. Ricercare la semplicità con originalità e perseguire la via dell’es-senziale senza perdere di vista la va-riopinta ricchezza del mondo significa avere a cuore la verità.

E.R.

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Riflessi architettonici su fiume1989, olio su faesite, cm 50 x 60

La solitudine del pagliaioAnni ‘90, olio su faesite, cm 50 x 40

Strada “de’ moccoli”Anni ‘90, olio su faesite, cm 40 x 60

CampagnaAnni ‘90, acrilico su faesite, cm 50 x 60

Il muro di soleAnni ‘90, acrilico su faesite, cm 25 x 50

Che il colore canti come una musica e come una poesia! Mi è sempre piaciuto fare quadri che avessero colore e consistenza.

Dino Migliorini

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Natura morta con lanterna, bricco, bottiglia e macinacaffé Anni ‘90, olio su tela, cm 40 x 60

ValdarnoAnni ‘80, olio su faesite, cm 34 x 50 (Collezione Grassolini)

Fienile tra olivi e cipressi Anni ’90, acrilico su faesite, cm 50 x 70

Campagna all’Antella 2004, acrilico su faesite, cm 50 x 70

ValdarnoAnni ‘90, olio su faesite, cm 40 x50

La produzione pittorica crepuscolare(opere non presenti nell’esposizione)

Per tutti gli Anni ’90 e fino al maggio del 2004, Migliorini continuerà a dipingere: nature morte, figure e soprattutto campagne toscane che trasmettono sensazioni di serenità che placano l’animo ed offrono a chiunque il privilegio di pos-sedere una finestra su un campo assolato e antico, a ristoro di tanta frenetica modernità. In Migliorini la sensibilità pittorica dell’artista e la semplicità contadina dell’uomo provano a realizzare il sogno di Matisse: “un’arte di equilibrio, di purezza e di serenità”.

Campagna fiorentina con vista del Forte di BelvedereAnni ‘90, acrilico su faesite, cm 60 x 75

Chiesa di campagna Anni ’90, acrilico su faesite, cm 40 x 60

Campagna all’Antella Anni ’90, acrilico su faesite, cm 40 x 60

“Babbo, tu hai le nuvole nella testa, non si sa mai da che parte il vento le porti” - mi diceva la mia Anna. Ero un dispersivo in tutto e per tutto.

Ho avuto tanto tempo e mai a disposizione.

A Firenze, a forza di camminare, s’incontra, e così cominciai a frequentare gli artisti fra cui: Baccio Bacci, Ardengo Soffici, Ottone Rosai. A far vedere loro i quadri, mi vergognavo, avevo paura.

La pittura si fa perché é un dono di natura, io questa denuncia la devo fare. Non sonoscontento, ma neanche soddisfatto, io non amo tutta la mia pittura.

In natura c’è tutto, l’uomo non ha creato nulla, mette insieme, manipola, è creatura e non creatore

Se io non avessi dovuto vivere di pittura, ma fare il pittore secondo il mio ideale, avreidistrutto quasi tutti i quadri. Non perché non sono mai contento o per voler essere su-periore, ma perché non s’arriva mai a dire l’ultima parola. Io ho cercato di raggiungere una certa personalità, l’originalità è quasi impossibile. Qui non s’inventa proprio nul-la, la questione è riuscire a dipingere bene, realizzare qualcosa di sensibile ed espressivo, ma come si fa a dire io ho sofferto, ho gioito?

Dino Migliorini

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Page 21: Dino Migliorini · 2018. 11. 29. · Giampaolo Trotta Allestimento e presentazione delle sezioni Erica Romano Coordinamento organizzativo ufficio cultura del Comune di Arezzo Manuela

Galleria d’Arte Modernadi Palazzo Pitti, Firenze

Museo Diocesano di Arte Sacra della Curia Arcivescovile di Firenze

ARCA Museo d’Arte ReligiosaContemporanea, Napoli

Regione ToscanaConsiglio Regionale, FirenzeProvincia di FirenzeComune diRignano sull’Arno (FI)Comune diLoro Ciuffenna (AR)

Comune di Cinigiano (GR)

Banca d’ItaliaFiliale di Firenze

Banca Federico Del Vecchio

1998Comune di Rignano sull’Arno, mostraantologica: “La copia, il dettato e lacomposizione”

1999Firenze, mostra antologica alla “Galleriavia Larga” della Provincia di Firenze

2001Firenze, Basilica Santuario della SS. Annunziata: “Composizioni sacre”Fiesole, Seminario Vescovile: “Campagne e paesi toscani”

2002Comune di Loro Ciuffenna (AR): “Una lunga vita, una ricerca senza fine -La ricerca del colore e della forma”Comune di Pian di Scò (AR): “La mia Toscana e i volti del sacro”2003Comune di Loro Ciuffenna (AR): “Campagne e paesi toscani”2004Firenze, Consiglio Regionale dellaToscana: “Dallo studio del vero allarealtà sognata”

2005Firenze, Basilica Santuario dellaSS. Annunziata: Retrospettiva.2006Firenze, Museo Diocesano di Arte Sacra della Curia Arcivescovile: “Paesi toscani e Composizioni sacre”“2006Napoli, Complesso Museale di Santa Chiara: “I paesaggi dello Spirito” 2010Firenze, Palazzo Medici Riccardi“Aura - Valdarno: l’armonia del colore”

Ricordi di un pittore di Palmira Gigli,G. Pagnini editore, 1983

Monografiaa cura di Saverio Strati, 1992

La copia, il dettato, la composizione a cura di Giovanni GrazianoEd. Prospettive 94, 1998

Dino Migliorinia cura di Giovanni GrazianoEd. A.Falciani Libri, 2001

a colloquio con Dino Migliorini pittore toscanoa cura di Valentina Bicci - Tesi in storia dell’arte, Accademia di Belle Arti di Firenze, Scuola di Pittura, 2003

Dallo studio del veroalla realtà sognataa cura di Riccardo FerrucciEd. Artigrafiche Nencini, 2004i paesaggi dello spiritoa cura di Roberta PolidoroLo Spirito e la vita editio minor -10, 2006

aura - Valdarno: l’armonia del colorea cura di Giovanni Graziano - 2010Ed. C&M Arte - Arezzo

OPERE PRESSO COLLEZIONI PUBBLICHE E PRIVATE

ELENCO MOSTRE RECENTI

BIBLIOGRAFIA

Firenze, 03/06/2004 - Il Presidente del Consiglio Regionale della Toscana On. Riccardo Nencini conse-gna a Dino Migliorini la medaglia d’argento della Regione Toscana “in riconoscimento della sua operasecolare per Firenze e la Toscana”.

Maggio 2006 - Il Museo Diocesano di Arte Sacra della Curia Arcivescovile di Firenze ospita le “composizioni sacre” di Dino Migliorini.

Napoli, ottobre/dicembre 2006 - Il Complesso Museale di Santa Chiara, ospita le “composizioni sacre e i paesaggi” di Dino Migliorini.

Settembre 2010 - A Palazzo Medici Riccardi, la Provincia di Firenze presenta “Aura - Valdarno: L’armonia del colore”.

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