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Direttore Responsabile: Rino Pessina

Vice Direttore: Sonia Villi

Collaboratori:

Carlo Fossati, Carla Capelli, Anna Franceschini,

Teresa Tolardo, Matteo Fossati, Mara Ghidinelli,

Antonella, Tina Campolonghi, Teresina e Ornello

Barollo, Stefano Rijoff, Rino Pessina, Davide

Colombo, Maurizio Bianchi, Andrea Perego, Erika e

Andrea Barollo, Walter Fossati

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INDICE

Copertina Matteo Fossati

Mario, Angelo, Dora e Mariuccia: quattro amici ci hanno lasciato - 3 - Carlo Fossati

Il Cielo - 6 - Rino Pessina

Il ricordo di lei - 7 - Rino Pessina

Le nerine e … - 9 - Walter Fossati

Conoscere con amore – Bionaz 2013 - 12 - Antonella

Camminare lungo il sentiero che porta al Col de Champillon, riflettendo sul

senso della vita. - 15 - Maurizio Bianchi

E’ sempre bella una vacanza con gli amici in Val D’Aosta - 17 - Carlo Fossati

Gli amici ‘politici’ di Carlo - 19 -

Il “Boscalatore” - 20 - Teresa Tolardo

Il campeggio Les Cornaches 2013 a Bionaz è... - 21 - Teresina Benasciutti

Autunno, anticipato, in campeggio - 25 - Ornello Barollo

Leggerezza e... novità - 26 - Anna Franceschina

Pronti … via! - 29 - Tina Campolonghi

Gita alla vecchia miniera - 30 - Stefano Rijoff

Una gita all’insegna della tranquillita’ - 31 - Erika e Andrea Barollo

Una vacanza particolare - 34 - Mara Ghidinelli

Piccoli record - 36 - Stefano Rijoff

2

Risveglio - 37 - Stefano Rijoff

Grazie Marta! - 38 - Davide Colombo

Salita alla croce, tratto attrezzato con Davide S. e Giuseppe - 40 - Andrea Perego

Il rifugio Nacamuli - 42 - Carla Cappelli

Elenco gite - 46 -

«La Saggezza parla presso le porte, all'ingresso, negli androni» (Pr 8,3) - 48 - Card. Angelo Scola

Grignone l’ultima cima del papa alpinista - 49 - Rino Pessina

Insieme su 150 vette (Festa tra storia e natura ) - 52 - Rino Pessina

lL CAI, una storia lunga 150 anni - 54 - Rino Pessina

Letture in campeggio - 56 - Walter Fossati

Angolo della solidarità - 63 - Ornello Barollo

3

Mario, Angelo, Dora e Mariuccia: quattro amici ci hanno lasciato Carlo Fossati

Quando con l’aiuto di Ornello, che mi aveva chiesto di ricordare sul nostro giornalino gli

amici del campeggio che erano mancati nell’ultimo anno, ho cercato di individuarli, quale non

è stata la mia sorpresa nel constatare che essi erano ben quattro: Mario, Angelo, Dora e

Mariuccia.

La morte è entrata anche nel nostro gruppo e in un anno ha falciato quattro nostri amici.

Questa è la dura realtà, anche se vogliamo non pensarci. Lo capisco: non si pensa volentieri

alla morte e, tanto meno, se ne parla con gli altri. La morte fa paura, anche a coloro che

credono e che sanno che la morte non è la fine di tutto, ma è piuttosto come una porta da

varcare che si affaccia sull’al di là. La morte fa parte della vita. Diceva il poeta e pensatore

libanese Kalil Gibran Kalil: “La vita e la morte sono una cosa sola, come il fiume e il mare”. La

morte esiste e bisogna darle un senso. Asseriva Jean Paul Sartre, filosofo francese: “Se la morte non ha senso, allora neanche la vita ha senso. La ricerca di un indirizzo da dare alla vita deve essere in ogni caso preceduta dalla ricerca del significato da dare alla morte”. Anche per un credente è difficile pensare e

parlare della morte. E’ come ritrovarsi su un crinale

affilatissimo, sul quale è arduo muoversi e mantenersi in

equilibrio: da una parte c’è la morte intesa come

oscurità, come distacco dagli affetti più cari, un evento

che fa paura e dall’altro c’è la morte come luce, la luce

del Risorto, che ha definitivamente sconfitto la morte.

Mi è stato di gran conforto scoprire che anche il cardinal

Martini, grande arcivescovo e maestro di vita per molti

di noi, di fronte alla morte avesse mostrato un’inattesa e

molto umana fragilità: “Mi sono più volte lamentato col Signore perché morendo non ha tolto a noi la necessità di morire. Sarebbe stato così bello poter dire: Gesù ha

affrontato la morte anche al nostro posto. Invece, Dio ha voluto che passassimo per questo duro calle che è la morte ed entrassimo nell’oscurità, che fa sempre un po’ paura ... Mi sono rappacificato col pensiero della morte quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio … Ma, in punto di morte, lo pregherei di inviarmi angeli, santi o amici che mi tengano la mano e mi aiutino a superare la mia paura”. Ho voluto condividere con voi queste brevi riflessioni per parlare dei nostri amici, che ci

hanno lasciato, in un contesto di speranza: essi hanno già attraversato questa stretta

porta, sono stati inghiottiti in un gorgo di luce e accolti fra le braccia misericordiose del

Signore. Ecco sono nella luce, non nel buio … e aspettano di ricongiungersi a noi. In questa

luce li rivedo, attingendo allo scrigno dei miei ricordi.

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Mario, ‘il giornalaio’, è stato un campeggiatore della

prima ora, in val Ferret prima e in val Veny poi. Lo

rivedo impegnato con tutti noi a costruire sul

terreno accidentato del nostro primo campeggio uno

spiazzo ben livellato su cui posare il nostro tendone-

cucina. Quante carriole di sabbia, strappata con

sudore al greto del torrente che scendeva dal

ghiacciaio di Prà Sèc. Avanti e indrè, avanti e indrè

fino al compimento dell’opera. Ma la fatica non la si

sentiva perché si era circondati da amici allegri e

operosi, e se alzavi lo sguardo sopra le cime dei larici

ti sorrideva il profilo solenne di sua maestà il monte

Bianco: era una ricompensa più che congrua per

quella gioiosa fatica. Vi ricordate, poi, gli esilaranti

siparietti con Augusto (Lavezzari), suo competitor

per il primato

della levataccia

mattutina?

Diceva Augusto:

“Me sun sveglià ai cinq ur e gh’era gnanca una nivula”. E

Mario di rimando: “Invece mi me sun sveglià ai quater

e mesa e gh’era un nivulùn ner su la crapa del munt

Bianc”. Il giorno dopo, logicamente, si invertivano le

parti, in una divertente e interminabile sfida.

Un’immagine della val Vény per concludere questi brevi

flashes: quella della casupola in legno, tipo chalet

molto nostrano, che nonno Mario aveva allestito con

fantasia e tanto amore per i suoi due nipotini, le ‘belve’

di Enrico e

Antonella. Ciao,

Mario, amico

discreto e

sincero.

Angelo: una presenza discreta la sua, in punta di

piedi, come per non disturbare. Quante volte l’ho

incontrato mentre, da solo, camminava per i sentieri

che si inoltravano nei boschi di Bionaz attigui al

campeggio. Allora mi accompagnavo con lui e lo stavo

a sentire mentre parlava dei suoi argomenti preferiti,

il calcio, la guerra a cui aveva partecipato e i suoi figli

(“L’è brava la mia Elda e anca ‘l me Walter”). Caro

Angelo, anche tu fai parte della storia della Cornache

e noi ti ricordiamo con affetto.

Di Dora mi ha sempre colpito lo spirito di

adattamento, la capacità – alla sua ragguardevole età

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- di sopportare i disagi di una sistemazione – quella in campeggio – che non garantiva il

comfort di un albergo o della propria casa. Eppure non ha mollato fino all’ultimo, circondata

dalle mille attenzioni di Sonia e di Walter, innanzitutto, e di tutti i campeggiatori poi.

Grazie alla sua scelta e alla sua tenacia ha sempre consentito a Sonia e a Walter di fare la

loro vacanza in montagna. Che fosse circondata dall’affetto di tutti è stato testimoniato

dalla corale partecipazione al suo funerale degli amici della Cornache: una presenza e una

partecipazione che ha colpito anche il parroco che ha officiato il rito e che Dora si era

ampiamente meritata.

Mariuccia: tutte le volte che penso a lei mi viene un groppo in gola e gli occhi mi si

inumidiscono. Ho seguito il suo lungo calvario, cercando di starle vicino come medico e come

amico, ed è nato così un legame di amicizia

del tutto particolare. La voglio ricordare

allegra, gioiosa, come quando partecipava

attivamente al gioco della ‘bottalla’.

Eravamo in Val Ferret e questo rito si

ripeteva ogni anno a ferragosto, quando il

tempo lo permetteva. Ci spostavamo

accanto al ruscello che lambiva il

campeggio, muniti di secchi e bacinelle: li

riempivamo d’acqua e poi rincorrevamo gli

amici; quando erano finalmente a tiro

rovesciavamo su di loro l’acqua contenuta

nei recipienti. C’era inoltre una pozza

d’acqua abbastanza profonda in campeggio

nella quale buttavamo a turno gli amici ...

che ci stavano. Si dava e si riceveva; alla

fine eravamo tutti … inzuppati e contenti.

Mariuccia è stata fra le prime donne della

Cornache: quante vacanze fatte insieme,

quante gite, quanti ricordi! Negli ultimi anni la permanenza a Bionaz era condizionata dalle

terapie cui doveva sottoporsi. Nel suo sguardo trasparivano sofferenza e preoccupazione,

ma i suoi occhi tornavano a sorridere e a brillare di gioia quando, circondata da Mattia e

Marta, si calava nei panni della nonna. Ecco, la voglio ricordare così … col sorriso sulle

labbra. Arrivederci Mariuccia, amica carissima.

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Il Cielo Rino Pessina

Quest’anno, in campeggio,chissà perché, ho rivolto molto

spesso lo sguardo al cielo alla ricerca di….

Allora ho pensato che Il cielo ci può sollevare dai pensieri di

una quotidianità monotona, soffocante, proviamoci. Non è

possibile non provare nulla di fronte ad un cielo illuminato dai

colori di un giorno alla fine, ma certamente non è sempre così,

l’azzurro quando torna prima della notte, subito prima che

muoia il giorno, è carico dei nostri pensieri più profondi.

Le stelle non si sono ancora affacciate e verso quell’azzurro

volano le nostre malinconie, quasi che poi le stelle possano

essere quelle malinconie finite là a fissare il cielo.

Azzurro è il colore del cielo prima della notte, e tutto

diventa azzurro, le nuvole, i monti, l’orizzonte lontano, mentre

le case dei villaggi si ritagliano in quell’azzurro sagome nere,

anticipazione della notte.

Chi della mia generazione non si è mai seduto su un sasso, una sera d’estate, in campeggio, a

guardare le stelle, ascoltando il rumore dell’acqua, lo stormire delle fronde, il vento, il

sussurrare delle foglie e dei pensieri, e quel pensiero che raggiunge le stelle vaghe, vaghe

stelle dell’orsa, vaghe

stelle dell’orsa io non

credea … mi è scappata

la penna. Del resto

quando si lascia il

tendone per andare

verso la casetta con le

ruote non si può fare a

meno di levare lo

sguardo al cielo, e lei,

l’orsa maggiore appare

li davanti prima di

scomparire piano piano

dietro la montagna, allora, come dice un

poeta di cui non ricordo più il nome, … e percepisco guardando le stelle, che la morte è poca cosa

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Il ricordo di lei Rino Pessina

Appena arrivato in campeggio, i ricordi sono venuti giù come una grandinata.

Il pensiero è andato alle vacanze di tante estati lontane passate insieme, e a quelle più

recenti segnate dalla malattia, e spesso interrotte e riprese per le cure in ospedale.

La preparazione della roulotte, l’installazione della veranda, alcuni suoi indumenti e oggetti

che non avevo avuto il coraggio di lasciare a casa mi hanno richiamato prepotentemente la

mancanza della sua presenza. E poi i luoghi nei dintorni, i sentieri, il posto dei lamponi, per

tutto il tempo di permanenza mi martellavano nella mente.

A volte mi sembrava di intravederla nel tendone intenta a discorrere con qualche amica.

Eravamo due ragazzi, quell’estate

del 1971 quando nacque la nostra

relazione , e le vacanze in

campeggio sono state da sempre le

vacanze della nostra vita, con i

nostri figli e poi con i nipoti.

Immagini di serenità immutate nel

tempo, custodite nel cuore e nel

silenzio di una preghiera,

conservano la memoria della sua

eterna giovinezza. Nuove emozioni

si intrecciano al ricordo di

momenti lontani e intensi, storie

condivise insieme che nel cammino

della fede continuano a trovare

sempre amorevole conforto.

Ora la vita di Mariuccia si è

trasformata anche se non è facile da

capire e da accettare.

Tra le letture che ho trovato sui

temi della sofferenza del distacco,

una mia ha particolarmente colpito e

mi sento di condividere e proporre: si

tratta di uno scritto di Dietrich

Bonhoeffer, e si potrebbe intitolare:

Il pensiero più bello sulla perdita «Non c'è nulla che possa rimpiazzare l'assenza di una persona cara, né dobbiamo tentare di farlo; è un fatto che bisogna semplicemente portare con sé, e davanti al quale

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tener duro. A prima vista è molto impegnativo, mentre è anche una grande consolazione: perché, rimanendo aperto il vuoto, si resta, da una parte e dall'altra, legati a esso. Si sbaglia quando si dice che Dio riempie il vuoto: non lo riempie affatto, anzi lo mantiene aperto, e ci aiuta in questo modo a conservare l'autentica comunione tra di noi, sia pure nel dolore. Inoltre: quanto più belli e densi sono i ricordi, tanto più pesante è la separazione. Ma la gratitudine trasforma il tormento del ricordo in una gioia silenziosa. Portiamo allora dentro di noi la bellezza del passato non come una spina, ma come un dono prezioso. Bisogna guardarsi dal frugare nel passato, dal consegnarsi a esso, così come un dono prezioso non lo si rimira continuamente, ma solo in momenti particolari, e per il resto lo si possiede come un tesoro nascosto della cui esistenza si è sicuri: allora dal passato si irradiano una gioia e una forza durature».

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Le nerine e … Walter Fossati

Mi sono deciso a scrivere queste mie considerazioni, spinto dalla casualità e

coincidenza della telefonata della vicina di Dora, Ida, che mentre stavo andando a

Sesto, indeciso se passare prima da lei per chiedergli delle nerine da portare a

Dora, mi anticipava e risolveva il mio dubbio dicendomi: “le nerine sono pronte !” Questa concomitanza di sentimenti mi ha convinto

a scrivere queste righe nonostante la mia

riluttanza a mettere ‘bianco su nero’, il turbinio di

considerazioni che mi frullavano per la testa.

Pensavo che avrebbe fatto piacere a Dora avere

le ‘sue nerine’ e, lo stesso ha provato Ida che è

stata la prima a usufruire dei tuberi che Dora

aveva ‘importato’ dalla Svizzera.

Questi fiori che fioriscono proprio nel periodo

della commemorazione dei defunti, sono quasi

introvabili da noi; da qui l’orgoglio di Dora per

l’esclusiva, che ha condiviso con altri amici del campeggio.

Sono gli stessi fiori che si premurava di prepararmi affinchè potessi portarli sulla

tomba dei miei genitori; era il suo modo di farmi conoscere il legame che aveva

verso mia mamma e partecipare al mio ricordo. Ora servono anche per la sua lapide.

Questo semplice ‘segno’ di legame, relazione, mi ha portato anche a metterli sulla

lapide di Mariuccia, come riconoscimento di un legame che le univa; non c’era

incontro, con una di loro, che non avesse, come prima richiesta ‘come sta la … ?’ . Il

calvario degli ultimi anni le aveva ancor più legate.

Non è la bellezza o la particolarità del fiore ma il suo ‘segno/simbolo’ che mi ha

spinto a varie considerazioni; ogni segno ha tanto più valore quanto è significativo

per l’altro.

E’ evidente che noi tutti siamo da sempre alla ricerca di ‘relazioni’ e ‘legami’.

Pensate ai bimbi e al loro legame con la mamma e poi quando più grandicelli

ricercano la prossimità dei compagni di scuola e di gioco, seguita nel periodo

adolescenziale della ricerca di affetti e poi e poi … Il relazionarsi è uno dei nostri

maggiori impegni: non a caso delle persone che non sono in grado di relazionarsi , a

causa anche di malattia, diciamo che ‘vivono nel loro mondo’.

I legami, se basati sulla sincerità, correttezza, amore, disponibilità, riconoscenza si

possono affievolire col tempo o con la lontananza fisica, ma non sono soggetti a

rottura: cambia solo la modalità di espressione degli stessi.

La morte è solo l’atto finale; prima viviamo, esistiamo lasciamo tracce del nostro

essere e agire, del nostro interagire con il prossimo.

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Per questo, soprattutto quando mi reco a fare ‘un bagno di umiltà’ in cimitero, mi

convinco sempre più dell’ indispensabilità di adoperarmi affinchè le tracce che

lascerò siano positive, belle, utili per tutti coloro che mi sono stati ‘prossimi’ ?

Perché sciupare un legame con la gelosia, invidia, egoismo, superbia, prepotenza !!!

Queste sono tutte negatività che ci impediscono di riconoscere l’amore,

l’attenzione, la considerazione di cui noi tutti siamo destinatari. E’ indispensabile

saper riconoscere il bene ricevuto e non solo quello dato.

Il tempo dedicato a notare la ‘pagliuzza’ negli occhi degli altri, ci impedisce di

vedere la trave nei nostri e quindi di riconoscere quanto di buono riceviamo

quotidianamente.

Il dare gratuitamente il nostro amore diventa spontaneo se siamo in grado di

riconoscere l’essere amati; ma lo dobbiamo volere, ci dobbiamo ‘esercitare’,

dobbiamo credere alla necessità di costruire solide e sincere relazioni, dobbiamo

essere in grado di riconoscere certi ‘segni’.

Queste considerazioni sono le stesse che stiamo trattando con i bimbi del

catechismo tramite la storia di un piccolo ragno che indaffarato dalle necessità

della quotidianità, si era dimenticato del filo che aveva originato la sua ragnatela e

che penzolava dall’alto. Senza chiedersi il perché, della sua presenza, l’aveva

tagliato causando la distruzione della stessa, sospesa a quel filo.

Non aveva voluto porsi l’interrogativo della sua presenza, non aveva lasciato traccia

che glielo potesse ricordare.

Pensate a cosa c’è dietro al cappello di alpino di Angelo. Una

lunga scia di esperienze che non possiamo e non dobbiamo

dimenticare; prima ce le raccontava lui, ora tramite un ‘segno’ ci

vengono riproposte.

E Mario, che è stato accompagnato

alla sepoltura con la bandiera del

suo essere stato e sentirsi ‘partigiano’ ?

Pensiamo al valore che ha e che potrà avere il piccolo disegno che Mattia ha lasciato

sulla lapide della nonna Mariuccia !

Faccio miei e vi propongo alcuni aforismi e frasi dette da personaggi senz’altro più

validi e capaci nel sintetizzare quanto ho cercato di esprimere.

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I ricordi sono come segni sulla sabbia in riva al mare: più sono profondi più resistono alla marea del tempo (scrittore contemporaneo).

Madre Teresa di Calcutta ci ha lasciato i seguenti moniti:

” se giudicate la gente, non avrete il tempo di amarla” e ancora “fate che chiunque venga a voi se ne vada sentendosi meglio e più felice”. Le parole gentili possono essere brevi e facili da pronunciare, ma la loro eco è infinita.

Mentre un anonimo suggerisce:usare le parole aspre quando esistono quelle gentili è come cogliere frutti acerbi quando pendono quelli maturi.

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Conoscere con amore – Bionaz 2013 Antonella

La proposta di don Giuseppe e’ stata subito accolta da me e dalla mia famiglia come una

nuova esperienza da vivere.

Non mi era molto chiaro come avremmo trascorso questo periodo di riposo ma il pensiero di

campeggiare in montagna insieme agli altri mi piaceva molto, dopo un lungo anno, ero alla

ricerca di nuove emozioni.

Allora sabato 3 agosto, ci siamo ritrovati davanti al sagrato e sistemati nelle auto i bagagli

nel migliore dei modi eravamo tutti pronti per la partenza, destinazione il campeggio “Les

Cornaches” a Bionaz, in Valle d’Aosta.

Con me e i miei ragazzi, c’erano don Giuseppe, Samuela, Maurizio, Emmanuele, Claudia,

Elena, Tommy, Melissa, Amanda, Aline, Dennis, Vinerica e la piccola Vanessa. Poi ci avrebbe

raggiunto anche Giole.

Alcuni di noi liberi di partire, di andare, oltre i muri della propria quotidianità’ con tutte le

sue difficoltà e tribolazioni.

Noi quasi sconosciuti con le nostre vite tanto diverse. Noi che ci incontravamo quasi ogni

giorno senza però ma “incontrarci” veramente.

Tutto era pronto, un saluto a Gesù che ci avrebbe accompagnato nel viaggio e via…

Durante il viaggio, andare verso le montagne che pian piano sostituivano i palazzi della

nostra città, era per me gia’ come prendere una nuova boccata di aria fresca.

Arrivati al campeggio ricordo Ornello ad accoglierci, il formale” LEI” da trasformare in un

confidenziale “TU” , sua moglie Teresina che aveva momentaneamente abbondonato la

cucina perché’ quel giorno era di turno e poi man mano altri che ci venivano incontro

dandoci il benvenuto.

Una stupenda giornata di sole faceva da cornice al primo giorno della nostra “settimana

delle famiglie”.

La sistemazione in tenda, io in

condivisione con Elena, che avevo

incontrato diverse volte in

parrocchia ma senza andare oltre un

semplice “ciao”, accoglievo con

piacere l’occasione di conoscerla

meglio.

Ora mi tornano in mente e sorrido

ancora, le chiacchiere prima di

addormentarci, la sua dolcezza…. Le

battute scambiate per il freddo, la

pioggia, il vento…diventavano per noi

spunto di divertimento e di grandi risate.

Poi Dennis, Vinerica e la piccola Vanessa….quanti sorrisi e gesti di tenerezza.

Vinerica, in attesa del suo terzo figlio, così giovane ma già tanto forte e determinata, i

suoi gesti di cura e di attenzione per la sua famiglia.

Dennis, un colosso di simpatia, quanti desideri nel suo cuore di giovane padre…che bello

vederlo sorridere, scherzare e giocare, nei suoi disegni il desiderio più grande.

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Infine la piccola Vanessa, la nostra piccolina, da riempire di coccole e baci…due occhioni

spalancati verso la vita.

E’ così, non conta quel che hai o quel che sei ma quello che puoi

dare e loro in modo particolare sono stati per me un grande

dono.

Poi le gite..ammetto che dopo la prima, mi impensierivano un bel

po’, a causa del fatto che soffro di vertigini. Ne ero

consapevole ma ora sapevo anche sino a che punto.

Le vertigini!!ne ho provate veramente tante. Certo non capita

tutti i giorni di “salire” sino a 2800 mt. ma se considero che

anche un secondo piano per me è alto..allora.

Non desideravo sentirmi una preoccupazione e totalmente in

difficoltà, di provare dentro me così tanta paura, ma il desiderio

di condividere insieme agli altri l’esperienza di vivere ogni

momento mi spingeva ad andare oltre cercando di superarla ,

passo dopo passo, certa che presto avrei provato quella libertà

che solo gioendo avrei sentito, contenta di non aver ceduto alle

mie inquietudini.

La certezza che attorno a me avrei avuto degli amici che si sarebbero presi cura di me,

porgendomi il loro braccio o dandomi la mano, non mi ha mai abbandonato...se non una volta

e solo perché’ e’ così che sentivo di scegliere.

Le salite con don Giuseppe, il suo sostegno e conforto mi incoraggiavano delicatamente a

guardare avanti, a continuare. Le discese con Davide S., alla “cieca”, il bisogno di

abbandonarsi, l’aiuto rassicurante che mi faceva ritrovare la sicurezza per continuare da

sola.

E’ così che ho potuto

raggiungere luoghi

incantevoli, intorno a me la

grandezza di meravigliosi

panorami mi lasciavano a

bocca aperta e piena di

meraviglia.

Non ricordo un momento in

cui mi sono sentita

annoiata o triste…solo bei

ricordi e sensazioni. Le

nostre giornate vissute

nella semplicità …ritrovare

il piacere nelle cose più

semplici e pulite come

camminare a piedi nudi su

un prato, sentire il sole che ti riscalda, il vento che ti accarezza i capelli, la pioggia,

raccogliere e mangiare i piccoli frutti della nostra terra, le stelle a farci compagnia , ero

così tanto lontana dalla superficialità del consumismo e delle cose troppo facili.

Sentivo le sensazioni che cercavo.

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I nostri ragazzi … che forza!! E quanta cura

nel preparare la tenda divenuta cappellina,

alla ricerca di tutto quello che poteva

rendere prezioso il luogo per stare con

Gesù.

Tutti insieme abbiamo anche ballato,

cantato e suonato, colorato, giocato,

cucinato e lavato, camminato e camminato,

mangiato tanto ma tanto bene!!

Le persone di Taccona, conosciute in

campeggio, ricordo con affetto in particolar

modo Stefano, la Gigia, Davide C., Anna, Mara, nonno Beppe, Annamaria, Roberta, Angelo,.

Antonio e prima ancora i ragazzi Marta, Giulio, Lorenzo e Francesco. E poi le famiglie della

nostra parrocchia, che hanno condiviso con la mia questa settimana, don Giuseppe.

E’ poi arrivato il giorno di tornare a casa a Milano, la settimana si era conclusa. Ero così

malinconica. Sinceramente mi sarei fermata ancora un paio di giorni. Tanti saluti, gli occhi

lucidi e gli abbracci con l’augurio di rivederci presto…lo spero veramente tanto.

A volte ci facciamo ingannare da strade più brevi ma credo che il cammino da percorrere

sia questo, così da far

“volare” verso l’alto i

pensieri come un aquilone, il

ricordo di questi “giorni

migliori” che non deve

rimanere nascosto ma

portato a casa e da

raccontare a chi non è

potuto o ha scelto di non

esserci.

Penso infine che a volte i

miei occhi chiusi non mi

hanno permesso di ammirare

la maestosità che mi

avvolgeva sino a farmi

sentire piccola e fragile ma è

con il mio cuore che ha avuto occhi aperti e ho potuto guardare e provare le mie grandi

emozioni “senza vertigini”.

E dal profondo del mio cuore che nasce l’immensa gratitudine per Te, Gesù e per quanto

desideri realizzare in me.

NELL’ANDARE SE NE VA’ PIANGENDO, PORTANDO LA SEMENTE DA GETTARE, MA NEL TORNARE, VIENE CON GIOIA, PORTANDO I SUOI COVONI

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Camminare lungo il sentiero che porta al Col de Champillon,

riflettendo sul senso della vita. Maurizio Bianchi

(queste poche righe sono state scritte la sera del 2 ottobre, a distanza di tre giorni da un

aggressione fisica, a scopo di rapina, che ho subito lungo il marciapiede di una via non

lontano da casa mia: dopo essere stato colpito ripetutamente, sono rimasto a terra come il

viandante della parabola del buon samaritano …)

Quando percorriamo una strada o un sentiero che conosciamo già, ci sentiamo “preparati”

ad affrontare le difficoltà, riusciamo a “preventivare” i tempi di percorrenza e qualche

volta “pregustiamo” già, raggiunta la meta, ciò che vedremo con i nostri occhi.

Quest’anno più che mai ho sperimentato che la bellezza della vita sta proprio nel fatto che

la strada non è mai la stessa, perché noi e i nostri compagni di viaggio siamo diversi e quello

che accade lungo il cammino è sempre un evento nuovo ed imprevedibile.

Infatti, quest’anno il freddo dell’inverno ha accompagnato l’inizio di primavera ed

abbondanti sono state le nevicate anche nel mese di Aprile. La natura ha saputo accogliere

questi cambiamenti, ritardando la fioritura e preservando i piccoli ghiacciai d’alta montagna

dal loro naturale scioglimento. Non avevo mai visto così tanta neve in questi luoghi e, per la

gioia di piccoli e grandi, è stata anche l’occasione di provare e riprovare la strana

sensazione che si sperimenta correndo a piedi nudi sulla neve. Che meraviglia sentire i

brividi che salgono lungo la schiena, soffrire per i muscoli delle gambe che si irrigidiscono e

restare con il fiato sospeso mentre si prova una sensazione di freddo intenso ai piedi che ti

fa dire “Io c’ero, ho lottato per arrivare in cima e ce l’ho fatta … con l’aiuto di Dio.”

La gita al Col de Champillon è l’immagine reale di cosa significhi camminare nella vita di tutti

i giorni, ossia “camminare è proprio l’arte di guardare l’orizzonte e pensare dove voglio

arrivare, sopportando anche la fatica” che non ci è tolta, ma che acquista un senso pieno

quando raggiungiamo la meta.

Lungo il cammino, qualcuno si è

fatto prendere dallo

scoraggiamento al punto da dire a

se stesso “Non ce la faccio più!”,

“Mi fermo qua e vi aspetto!”, “Per

me è impossibile!” E la mia mente è

ritornata sull’anno trascorso e alle

stesse parole pronunciate e sentite

di fronte alle situazioni della vita di

tutti i giorni. Mi conforta che

questa esperienza è stata anche dei

grandi santi come Santa Teresa di

Gesù Bambino che, nell’ultimo anno e

mezzo della sua vita, è entrata in una “notte profonda”, sentendo la vita come un macigno

insopportabile e gridando dal fondo del suo animo “Non ce la faccio!”. Così anche Francesco

d’Assisi che, sul finire della vita, ha in qualche modo gridato quel “Non ce la faccio più,

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forse ho sbagliato tutto!”, brancolando nella cecità della Verna, attanagliato dal sospetto

che la sua avventura fosse stata una stravaganza personale e non follia del Vangelo.

Sant’Ignazio ricorda, negli Esercizi Spirituali, che ogni cristiano è chiamato al

combattimento spirituale e che il Nemico, oltre che dividere ed occultare, impaurisce e ci

porta a dire “E’ impossibile che ce la possa fare!”. Papa Francesco ci invita a non avere

“paura dei fallimenti, non avere paura delle cadute; nell’arte di camminare, quello che

importa non è di non cadere, ma di non rimanere caduti. Alzarsi presto, subito, e continuare

ad andare. E questo è bello: questo è lavorare tutti i giorni, questo è camminare

umanamente.”

Tutto questo ho sperimentato lungo il cammino che porta al Col de Champillon e, a tratti a

fianco della mia sposa Samuela, ho assaporato anche che è bello camminare insieme con chi

ci vuole bene e ci aiuta a raggiungere la meta.

La spiritualità di Sant’Ignazio aiuta a riconoscere che il Nemico usualmente divide e, in

particolare separa la nostra persona dalla nostra missione e divarica la nostra storia

passata dal nostro oggi, insinuando nella nostra coscienza la presunzione di modificare l’oggi

scappando via dalla nostra storia. E’ come se provassimo a scindere la meta raggiunta – il

Col de Champillon - con il resto del cammino. Il nostro passato va accolto nel presente e non

occultato: tutto ciò ci rende umili e docili all’ascolto dello Spirito.

"La nostra vita è un cammino e quando ci fermiamo la cosa non va'' e spesso questo

fermarci si manifesta proprio con il nostro scappare via dalle situazioni della vita.

Grazie a tutti Voi, perché mi aiutate a camminare interiormente, anche a distanza di molte

settimana dalla gita al Col de Champillon, proiettando un cono di luce anche sugli ultimi

accadimenti della mia vita.

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E’ sempre bella una vacanza con gli amici in Val D’Aosta Carlo Fossati

La prima volta che mi recai in vacanza in Valle d’Aosta (per la precisione in Val Veny con

alcuni amici dell’oratorio), ero un liceale diciottenne. In aprile ho compiuto settant’anni e

ogni estate (con due sole eccezioni) sono tornato nella Vallée per fare le mie vacanze. Per

oltre cinquant’anni sono rimasto fedele a questa meravigliosa valle. L’ho frequentata da

giovane ricco di sogni, da fidanzato, da marito, da padre e ora anche da nonno. L’ho

frequentata da campeggiatore, con una fragile e spartana tendina i primi anni, poi con

tende più spaziose negli anni successivi e, infine, con la roulotte, la mia solida e

confortevole Laika.

Sono stato fedele a questa valle perché amo svisceratamente la montagna e perché attorno

a me è cresciuto un gruppo di amici, che è diventato col tempo una vera comunità, con cui

condivido valori importanti, la comunità de “Les Cornaches”.

Vacanze fatte di scarpinate nei boschi, di escursioni più o meno impegnative per

raggiungere rifugi e bivacchi, laghi e cime, di trekking entusiasmanti, vere e proprie

cavalcate nel silenzio della natura, accompagnati dal sole di giorno e vegliati dalle stelle di

notte, cullati dal bramito degli stambecchi e dal sibilo delle marmotte, dal fruscio d’ali

delle aquile e dall’ululato terribile del vento. Vacanze fatte di canti attorno al fuoco con le

monachine a fare da luci quasi psichedeliche, di pranzi vegetariani durante le gite e di

grandi abbuffate al ritorno, di letture e discussioni, di preghiere e meditazioni, di piccoli

gesti di gentilezza e solidarietà, di accoglienza e di apertura.

In questo contesto quante persone sono passate, e quante amicizie solide e durature sono

sbocciate. Che ricchezza interiore queste vacanze!

E l’incantesimo si è rinnovato anche quest’anno:

vacanze lunghe, a volte con pochi e a volte con

tanti amici. Vacanze impreziosite dalla presenza di

Matteo e Alberto, di Teresa e Daniela e di Pietro.

Vacanze diverse da quelle del passato, dove

l’obiettivo non sono più le performances sognate e

attuate sulle alte cime, sul Gélé e sul Gran

Paradiso, sul Castore e sulla Tête del Ruitor, ma le

passeggiate tranquille con Elvira nei boschi a

raccogliere fragole e mirtilli, lamponi e pigne, timo

e i fiori gialli dell’Iperico, per fare gustose

marmellate e straordinari oli taumaturgici. A

proposito di performances, quest’anno non ce l’ho

fatta a raggiungere in mountain byke la diga di

Place Moulin, per colpa di un crampo che mi ha

colpito al polpaccio destro quand’ero a due

chilometri circa dalla meta: un po’ mi è dispiaciuto,

ma ho incassato il colpo con filosofia. Ritenterò l’anno prossimo.

Comunque qualche bella escursione l’ho fatta e qualche tradizionale meta l’ho raggiunta.

Ricordo la gita alla chiesetta della Madonna della neve il 5 di agosto: una partenza

anticipata con Andrea e altri amici mi ha permesso di arrivare per tempo e partecipare

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così, per la prima volta, alla suggestiva processione che precede sempre la Messa.

Significativa e appagante anche la gita al rifugio Crète Sèche con Elvira: col nostro passo,

grondando sudore, col fiatone e con qualche sosta strategica per recuperare energie siamo

arrivati alla meta: brava Elvira, non siamo ancora da rottamare del tutto. Con Elvira sono

salito anche al rifugio di Champillon; poi, con Carla e sua figlia ho raggiunto il Colle omonimo,

dove mi aspettavano come premio la stupenda visione del Bianco e delle Jorasses e un prato

costellato di stelle alpine. Con Elvira e Donata sono tornato, dopo molti anni, anche nel

suggestivo e poco frequentato vallone della Sassa, in compagnia di minacciosi nuvoloni e di

una sferzante pioggia che si è abbattuta su di noi sulla via del ritorno quando, per fortuna,

eravamo ormai prossimi alla macchina. Sotto un sole sfavillante si è svolta invece la gita

verso la Fenêtre de Durand: mentre Andrea proseguiva verso la finestra, io mi sono

fermato dopo l’alpeggio di Toules, in un prato fitto di fiori gialli, per riposare e ammirare le

poche nuvole che nel blu terso del cielo disegnavano fuggevoli figure, cui la mia fantasia

attribuiva forma e significato.

Le gite che ricordo con particolare piacere sono quelle fatte in compagnia del piccolo Pietro

lungo il sentiero che fiancheggia

il lago di Place Moulin e porta al

rifugio di Prarayer (Pietro era

attratto dalle numerose cascate

che saltellavano gioiosamente

lungo i ripidi pendii rocciosi per

poi tuffarsi nel lago e da un

rosso elicottero che passava e

ripassava, quasi radente alla

superficie del lago, facendo la

spola con il fondovalle e

trasportando del materiale da

costruzione) e quella al lago d’Arpy. Pietro ha preferito camminare da solo per quasi tutto il

percorso, sia all’andata che al ritorno, con l’aiuto di piccoli bastoni, piuttosto che farsi

trasportare da papà Matteo nello zainetto. Il premio di questa gita è stato il pic nic

consumato in un suggestivo e riparato piccolo bosco e la sosta sulla riva del lago. Caro

piccolo Pietro, mi auguro di fare ancora tante vacanze con te e i tuoi genitori: ora che ho

tanto tempo da dedicarti. Vorrei poter trasferire in te l’amore che nutro per le montagne e

per le valli, e per la natura ancora incontaminata che qui si trova.

Anche per questo spero che l’esperienza delle Cornaches sopravviva e si rinforzi. Noi,

campeggiatori della prima ora, che ormai sentiamo il peso degli anni, contiamo sui nostri

figli, la generazione di mezzo, cui affidiamo il testimone perché lo portino avanti e

mantengano viva questa bellissima esperienza, che per noi è stata fonte di gioia e ci ha

consentito di stringere un’amicizia vera e profonda con tante persone.

Ecco, AMICIZIA e MONTAGNA, un binomio vincente, capace di dare senso – con i valori

che contiene - non soltanto a una vacanza, ma a tutta la vita.

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Gli amici ‘politici’ di Carlo

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Il “Boscalatore” Teresa Tolardo

Quest’anno, per la prima volta nella storia della nostra associazione, si è verificato

l’avvistamento di un “boscalatore” (nome scientifico boscalator montanus), un essere

talmente raro da venir ritenuto una leggenda da molti scienziati, mentre altri sostengono

che ne esista al mondo un unico esemplare.

Per colmo di fortuna, un’equipe di appassionati naturalisti ha avuto modo di avvicinare

questa creatura misteriosa e di studiarne le abitudini, stendendo poi una relazione di

enorme interesse scientifico per i massimi esperti mondiali.

Anzitutto, si è scoperto che il nome “boscalatore” deriva dalla propensione di questo essere

a spostarsi nel sottobosco (da qui il prefisso “bo-”) anche in zone molto impervie (da qui “-

scalatore”). Dato però il suo precario equilibrio, il boscalatore necessita sempre di qualche

accompagnatore (da uno a quattro) che lo sostenga nei tratti più ripidi e, normalmente, si

serve anche di una racchetta o di un bastone di dimensioni minuscole.

Il boscalatore, inoltre, indossa continuamente un caratteristico copricapo per riparare dal

sole e dall’umidità la sua pelle molto delicata; a volte, quando è costretto ad abbandonare il

suo habitat e a spostarsi per lunghi tratti scoperti, ricorre ad un’ulteriore protezione sotto

forma di una sostanza, comunemente definita “crema protettiva”, che si spalma

abbondantemente addosso.

Questa affascinante creatura si nutre principalmente di mirtilli ben maturi e ha sviluppato

una grande destrezza nel raccogliere e ingurgitare velocissimo questi piccoli frutti saporiti,

ignorando completamente i suoi accompagnatori che, a volte, lo esortano a farne un po’ di

scorta per l’inverno. È perciò possibile dedurre quando il boscalatore si è appena sfamato

dal caratteristico alone violaceo che esso

presenta attorno alla bocca e sulle zampette.

Questo piccolo essere (è alto circa 85cm e pesa

10/11kg) è di natura molto socievole ed emette

continuamente il suo tipico richiamo volto ad

attirare l’attenzione di coloro che lo circondano e

a intimidire i possibili predatori, terrorizzandoli

con il suo interminabile chiacchiericcio; è inoltre

curiosissimo e osserva con grande attenzione

tutto ciò che lo circonda, in particolare le

marmotte, i girini, le pigne e i grandi elicotteri

rossi che sorvolano la diga.

Di seguito riportiamo una fotografia unica nel suo

genere, scattata dopo ore e ore di appostamenti

dei nostri esperti mimetizzati tra la vegetazione,

che ritrae il boscalatore nel suo habitat naturale

e che prova l’esistenza di questa straordinaria

creatura che speriamo di rivedere l’anno

prossimo, dopo il letargo invernale, sulle

montagne valdostane.

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Il campeggio Les Cornaches 2013 a Bionaz è... Teresina

Un prato che in tre giorni diventa un

villaggio.

Le prime roulotte che arrivano in attesa

del camion da scaricare

..e trovano un prato con l'erba già

tagliata da Giovanni e Giuseppe – sembra

un tappeto!

Un cielo trapunto di stelle quando esci

dal tendone per andare a dormire.

I tendoni illuminati che, visti dall'altra

parte del laghetto, sembrano un

castello.

Un giorno di agosto con nebbia: sembra

novembre.

Un vento speciale per gli aquiloni

La campanella che suona per il pranzo, la

cena e...il vespero

Tanti seggiolini nel tendone

Tanti nonni e nipotini

E per i cuochi, cuochi, cuochi, facciamo i

fuochi artificial!

Davide che si nasconde sotto il tavolo

quando si canta la preghiera prima di

mangiare

Il rumore dei ragazzi dell'oratorio

durante il pranzo nel tendone: cosa?

Cosa hai detto?..non sento!!

Una tromba di Concorezzo che dà la

sveglia al mattino

La gita al rifugio Nacamuli in 80 tra

ragazzi e adulti con tanto di nevaio

attrezzato per sicurezza da Andrea-

Sean-Geometra

Il piede rotto di Samuele, papà di

Concorezzo

I vasetti di olio di iperico che si

abbronzano di rosso davanti alle roulottes.

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Un sottofondo di fisarmonica mentre

pulisci il timo raccolto nel bosco o i

mirtilli.

Dora che non è più seduta davanti alla

veranda

I porcini di Marco, Giovanni, Gigi Angelo

e...Walter.

Le conseguenti tagliatelle ai funghi di

mezzanotte (per chi riesce a stare

sveglio).

Gli spaghetti alla chitarra con il sugo di

Rosy e Gino.

Il frappé di caffé del Carlo.

Le frittelle di Renata

Walter che dimentica a casa la valigia di

Sonia.

Rino che sposta la sua roulotte perché la

Mariuccia è già partita per...un prato più

verde

Un laghetto grande...2 giorni di pioggia

davanti al tendone.

Davide che si bagna fino alle mutande

nelle pozzanghere nonostante gli

stivaletti blu, come suo papà Andrea in

Val Ferret

Pietro che gioca a preparare il pranzo

davanti alla sua roulotte

Mattia e Marta a bagno nella mini vasca

Una passeggiata nel bosco per vedere le

marmotte invece del riposino in roulotte

Una scorpacciata di fragole nel bosco

Gita a La Tza per la mungitura delle

caprette

Un camion della nettezza urbana

impantanato nel campeggio e liberato da

un trattore.

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Idem il camion dei rifornimenti, liberato

dal...fuoristrada di Don Stefano.

La fognatura intasata ben due volte. (ma

chi usa un metro alla volta di carta

igienica!)

Quattro mamme in attesa – Erika,

Roberta, Vanessa, Verenika

Una nonna over 90 e una “cucciola” di un

mese: Diana, la nipotina di Stefano

Bimbi, ragazzi e adulti brasiliani italiani

rumeni

Marta Giulio Lorenzo Francesco che

fanno gite lunghe lunghe, Sara no.

Roberta specializzata nel montaggio

verande

La roulotte di Anna Maria e di Don Paolo

che viene rottamata

Una roulotte più grande per far posto a

una prossima new entry: Serena Barollo!

La Messa con il sole e il vento sul prato e

nel tendone con il diluvio!

Don Stefano Don Beppe e Don Paolo

La mia famiglia al completo per qualche

giorno: Ornello e Tere, Federica e Gigi,

Erika e Andrea Davide e Serena (ancora

nel “nido)

Le partite di calcetto e quelle di carte

Il tendone vestito a festa a ferragosto

Le marmellate di mirtilli

Pellegrinaggio per la manutenzione della

Croce per gli esperti

Pellegrinaggio alla Madonna della neve

accolti da un bel thé caldo!

Un lungo elenco di libri letti e scambiati

Al cinema con il plaid nel tendone giochi

L'Ornello che arriva con i viveri da

scaricare

l mercatino con i capolavori di di Rosanna

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Le terme di Pré St. Didier di sera

La prima e ultima settimana di

campeggio è presente un gruppo

sparuto: una piccola grande famiglia

I piatti speciali di Caterina

E l'avventura continua.....

Grazie a tutti

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Autunno, anticipato, in campeggio foto di Ornello Barollo

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Leggerezza e... novità Anna Franceschina

Quest'anno mi sono riproposta di scrivere qualcosa sulla mia vacanza in campeggio, ma tra il

dire e il fare c'è di mezzo... il rientro sempre burrascoso dalle vacanze!

Tutte le attività della vita quotidiana, come il ritorno dei ragazzi a scuola, il rientro nelle

attività parrocchiali, il lavoro.. e non mi dilungo oltre, ci assorbono tempo ed energie.

E' sullo scadere del famoso tempo dunque, che mi cimento nella scrittura dell'articolo,

aiutata da una giornata un po' bigia e fredda. Così davanti a una tazza di Ginseng mi

immergo nella vacanza alpina frugando negli assopiti ricordi dell'estate trascorsa.

“Ti ricordi mamma di quella gita che abbiamo fatto col don Beppe e il suo gruppo? “ mi

domandano Marta e Giulio quando a cena cerchiamo di rammentare uno dei tanti momenti

allegri e spensierati della vacanza.

“hum... veramente no, ma di quale gita state parlando?” rispondo io.

Certo di gite belle se fanno spesso alla Les Cornaches, sia belle che impegnative.

Passeggiate rilassanti nel bosco e giri intorno al laghetto per scambiare due chiacchiere: ce

né proprio per tutti i gusti!

Ora però vi racconto di una gita abituale che per me è diventata un pò speciale: salita al

colle di Champillon.

Prima uscita del gruppo Don Beppe, noi Colombo aggregati con la famiglia Salvioni , Luca e

Marco Ghidinelli, Gianluca Mazzabò e Antonio Vendramin.

Al mattino, non troppo presto, siamo tutti pronti per la partenza, il sole splende ed è di

buon auspicio per la giornata che seguirà.

Nel gruppetto degli “esperti montanari” si respira un clima rilassato, i nuovi compagni di

avventura invece sono animati da curiosità e qualche timore dato l'equipaggiamento non

proprio idoneo di taluni. Il tragitto in macchina è un po' lungo, così dopo aver raggiunto

Dues saliamo i numerosi tornanti che per qualcuno di noi sono motivo di nausee varie con

relative tappe anti vomito. La vista del parcheggio segna la fine di una certa sofferenza e

velocemente abbandono l'auto per spalmarmi in compagnia con creme solari di ogni genere.

Come inizio non è un gran che ma tutto prende una piega migliore quando ci inoltriamo lungo

lo stretto sentierino che costeggia un grazioso ruscello e ci conduce alla chiesetta

panoramica situata nel primo tratto di bosco.

Ci fermiamo qui per una preghiera e un canto, poi si prosegue.

Tra presentazioni varie, commenti sul panorama e incontri di mucche inerpicate al pascolo,

la salita avviene senza troppi problemi.

Tappa numero uno, rifugio Champillon, altitudine 2430 m intitolato ad Adolfo Letey che,

come sindaco di Dues, ne promosse la costruzione: la camminata è stata davvero piacevole,

corredata persino da una pausa istruttiva alle malghe incontrate lungo il cammino, con

spiegazione di Davide Salvioni circa la preparazione della fontina.

La facilità del percorso ci ha consentito di approfondire la conoscenza reciproca.

Il panorama della conca di By ci ha accompagnato per tutta la giornata. Fin dai primi passi,

nell'abetaia iniziale, abbiano goduto di scorci suggestivi dal nostro” Mon Gelè sino al Gran

Combin, ed un insolitamente “svelato” Mont Velan.

“Guarda quel colle, l'altranno con Andrea siamo scesi lungo quel pendio...già che

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faticata...ma che soddisfazione vero? Si rammentavano i due Davidi con Gianluca e Marco”.

Altri invece cominciavano ad esprimere dubbi e perplessità circa le fatiche che ancora ci

attendevano per raggiungere il colle; sopratutto la nostra cara Antonella che era

preoccupata per i suoi problemi di vertigine, poi superati con grande caparbietà e

soddisfazione personale.

Dopo un buon caffè preso in compagnia al rifugio e un morso scampato per Marta ad opera

del cane del rifugio, ci rimettiamo in marcia confortati dall'idea del lauto pranzo al sacco

che ci attende al colle.

Anche se il sentiero si fa un po' più pendente e tortuoso tra battute e canti saliamo tutti.

I prati ci riservano il meraviglioso spettacolo di fiori variopinti, numerose Negritelle che

odoriamo insieme ai bimbi per sentirne l'intensa fragranza di vaniglia, campanule, arnica e

genziane che colorano la macchia verde per la gioia dei nostri occhi.

Ma l'attesa di grandi e piccini è per la neve.

E dopo 40 minuti circa di marcia eccola apparire qua e là imbiancando piccole conche e

pendii.

Perciò, arrivati in prossimità dell'omino che segna quota 2709 m, dopo aver ammirato il

panorama della valle del gran San Bernardo e relative vette, ci avventiamo sui nostri

panini...ma la classica pennica post fatiche si movimenta in modo inaspettato.

Ma quale stanchezza può mai frenare l'esuberanza dei ragazzi, e non solo dei ragazzi?

Inizia così una divertentissima quanto faticosa battaglia a palle di neve, che ha turbato la

quiete degli altri escursionisti ospiti del colle.

Colti di sorpresa dalle palle di neve, ci siamo lanciati in corse a piedi nudi su e giù per il

pendio e poi, per concludere in bellezza, abbiamo camminato nella neve a piedi scalzi per

riattivare la circolazione, come se ne avessimo ancora bisogno!!!

Nel frattempo una parte

dei bimbi si è dedicata

con mia grande sorpresa a

far volare un aquilone.

Avevo notato durante la

salita che Maurizio o suo

figlio Gioele, ora non

ricordo precisamente,

portavano nello zaino un

oggetto per lo meno

insolito per la nostra

meta. Ad un tratto

mentre ero distesa nel

tentativo di ritagliarmi un po' di relax, stupita vedo l'aquilone

sventolare alto nel cielo sopra il colle. Che leggerezza, che

libertà alzare gli occhi e vederlo lì sopra la mia testa come a

dirmi “ vedi, basta provarci, lanciarsi, metterci passione e

anche le cose meno ovvie accadono”.

Così abbiamo trascorso dei momenti veramente insoliti e

speciali almeno per come sono abituata io a vivere la montagna.

La passeggiata si è conclusa con la celebrazione eucaristica

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sulle rive di un grazioso laghetto,alla quale ha partecipato anche una rana che per la

disperazione di don Beppe è stata causa di distrazione di grandi e piccini.

Grazie a tutti gli amici che con me hanno condiviso questa giornata.

Ogni tanto penso ancora all'aquilone, alle palle di neve, e a tutto quello che ho imparato quel

giorno con i compagni di camminata. Essere leggeri, sollevare lo sguardo e sentirsi liberi

per scoprire un modo nuovo di vivere la stessa realtà.

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Pronti … via! Tina Campolonghi

Ai primi di agosto pensiamo di andare a passare qualche giorno in Valle d’Aosta.

E’ un po’ tardi per trovare una sistemazione per tre adulti e due bimbi piccoli.

Chiediamo il supporto di Ornello e, con qualche telefonata, troviamo posto alla Locanda Lac

Place Moulin sopra Bionaz.

Sarà, pensiamo, un’ ottima occasione per passare qualche ora anche con gli amici al camping

LES CORNACHES.

Pronti via ! Partiamo in 5: mamma (Paola), nonni (Tina e Giovanni) e 2 bimbi (Mariam e

Matteo). Dopo esserci sistemati siamo andati a salutare gli amici del campeggio.

Eravamo solo in visita, non

avevamo una roulotte.

Ebbene, non siamo stati

semplicemente accolti, siamo

stati ricoperti di mille

attenzioni, coccolati, viziati

e….. ben nutriti, Super

Nutriti!!!!

Grazieeeeeeeeeee di cuore a

tutti!!!!

Matteo (Mariam è troppo

piccola ma annuisce) ancora

ne parla e chiede con

insistenza quando torneremo

in campeggio perché deve

assolutamente portare anche

papà!!!

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Gita alla vecchia miniera Stefano Rijoff

Nell’elenco delle gite o passeggiate di quest’anno non è stata citata quella del 5 agosto alla

vecchia miniera, effettuata dal gruppo di Don Giuseppe, con l’aggiunta del sottoscritto. Ci

tengo a narrare questo episodio, poiché non essendomi mosso per percorsi più impegnativi,

per me è stata la passeggiata più lunga.

Come anziano del campeggio, sono stato

preso, assieme a Don Giuseppe, come guida;

dopo un piccolo esame della situazione,

abbiamo

deciso di

prendere la

via alta.

Giunti a

Mouilin

abbiamo

cominciato

sa scendere per arrivare in poco tempo verso i vecchi

ruderi. Qui il primo ostacolo; un torrente da attraversare.

Con l’aiuto di Dennis, messi alcuni massi nel centro delle

acque vorticose, e di alcuni tronchi portati da Fabrizio,

siamo riusciti a guadare, trasportando dall’altra parte tutto il gruppo, compresa la piccola

Jessica, in braccio alla sua mamma.

Giunti ai ruderi, mi è stato chiesto di fare da cicerone e, pur con un po’ di improvvisazione,

ho dato ai ragazzi qualche notizia; poi vista l’erba molto alta abbiamo deciso di tornare sui

nostri passi , raggiungendo un ponte più in basso e risalendo sino alle stalle.

Quindi nel proseguire ci siamo dedicati alla raccolta di fragoline, lamponi e, da ultimo, di

mirtilli, con i miei piccoli

insegnamenti (ormai ero

molto preso dal mio ruolo

di guida indiana) sulle

varie piante ed arbusti.

Sosta per un’ulteriore

raccolta e per mettere un

po’ i piedi nell’acqua al

ponte inferiore e arrivo

del gruppo con la famiglia

Salvioni ed i Mazzabò,

che ci sono venuti

incontro. Poi la risalita

verso il campeggio per

affrontare il pasto, finalmente con un appetito giustificato

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Una gita all’insegna della tranquillita’ Erika e Andrea

Ore 9.30, suona la sveglia: ma così presto solo per fare in tempo a fare colazione!!!

E comunque l’unico che reagisce sono io: Davide ancora dorme ed Erika..più o meno

anche lei! Inizio a tirare su il primo scuro della roulotte “nuova”, perché dopo la, a

dir poco, difficile esperienza che possiamo chiamare tutti insieme appassionatamente in un solo letto dell’anno scorso, appena tornati dal campeggio

abbiamo fatto l”investimento”: roulotte per quattro persone, con tre letti

rigorosamente separati!

Giornata magnifica! Si sveglia finalmente anche Erika che mi guarda e dice:

“Andiamo a fare una gitarella?”

Oh no, domani diluvia! È stato il mio primo pensiero, ma ovviamente, entusiasta e

prima che lei ci ripensi, rispondo:”Siiiii!!! Dove andiamo?”

“Beh, potremmo andare a Pila…”

Ottima idea, ma decidiamo di fare

tutto con calma, ehm forse un po’

troppa: sono già le 10.30 e non

siamo ancora vestiti… Ma

finalmente intorno alle 11, dopo

aver esultato per aver trovato

l’ultimo cacciatorino nel frigo,

possiamo partire.

1, 2, 3 e via! Giù fino ad Aosta! Al

parcheggio dell’ovovia non c’è quasi

nessuno, evvai che in 20 minuti

saremo sulle piste da sci…mi sa

che mi sono lasciato un po’ trasportare dalla fantasia, è estate e oggi si arriva solo

a Pila

Ma per farmi tornare il sorriso mi basta guardare Davide che, raggiante di felicità,

non fa altro che saltare da una

panchina all’altra dell’ovovia

dicendo: “Stiamo volando!!!”

Una volta a Pila, con pochi passi in

discesa, raggiungiamo la seggiovia

che ci porta fino all’inizio del

sentiero per il Lago Chamolè (2325

mt.). Durante la salita possiamo

guardare qualche ciclista che

scende lungo i percorsi per il down

hill, qualcuno è proprio bravo mentre qualcun altro ci fa fare delle belle risate

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finendo a pelle di leopardo, ma dopo poco dobbiamo rinunciare a guardare in giù,

perché Davide si sta esaltando un po’ troppo e se continua così lo dovremo

recuperare qualche metro più in basso.

Vedo che Erika è piuttosto tesa (“Mannaggia a me quando ho proposto di fare una

gita, grrr!”) e devo dire che anche a me prendere la seggiovia senza neve e sci ai

piedi fa un certo effetto.

Finalmente la salita finisce e rimessi i piedi a terra, dopo una piccola pausa pipì (la

piccola Serena, nella sua prima gita, si fa sentire) ci dirigiamo verso il Laghetto. Il

dislivello è poco, il sentiero è pianeggiante e in pochi minuti si dovrebbe arrivare al

laghetto.. ma a noi che le cose semplici non piacciono e quindi ci abbiamo impiegato

un tempo non quantificabile ad arrivare, permettendo a Davide, ma anche a noi, di

guardare dappertutto, cercare le marmotte, fare le foto, sedersi per riposarsi sulla

panchina,..dopotutto è una gita di piacere e non una maratona, mio caro maritino!

Arrivati al laghetto e cerchiamo un buon posto per mangiare, non troppo vicino al

lago però, per evitare che qualcuno ci finisca dentro..(memore delle sgridate dei

miei quando ero piccolo e

sistematicamente

entravo in acqua).

Inizio il mio picnic con un

fantastico salamino,

senza farmi notare

troppo da Erika che in

questo periodo non li può

mangiare….già la sento

ruggire per la rabbia di

non poterlo addentare,

grrrrr!

Alla fine del pranzo

decido di fare una

corsettina fino ad un colletto che c’è li vicino (proprio non ce la fai a fare qualcosa

di rilassante, eh Andre?!) e prometto ad Erika che in 20 min riuscirò a fare salita e

discesa.

In effetti così avviene, ma appena tornato mi devo sdraiare per riprendere fiato

(dagli appunti di viaggio di Erika per il prossimo anno: ricordarsi la bomboletta di

ossigeno!), perché la salita di corsa, ma soprattutto i mesi di inattività e qualche

etto di troppo si fanno sentire. Comunque la vista dal colle mi ha ripagato della

fatica: si vede praticamente tutta la valle!

Appena ricomincio a respirare in modo normale decido di portare Davide vicino al

laghetto (speriamo che non cada dentro sennò chi la sente mamma Erika!) e iniziamo

a giocare a lanciare qualche sassetto nel lago e a regalare qualche patatina avanzata

dal pranzo ai pesci. Riuscire a sradicare Davide dal laghetto è un’impresa ardua, ma

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in qualche modo riesco a distrarlo dicendogli che dobbiamo fare uno scherzo alla

mamma e mentre risaliamo, come premio, riusciamo anche a vedere un sacco di

piccole rane che saltano da un ruscelletto all’altro.

Prima della discesa verso Aosta mi soffermo a guardare le persone che ci sono

attorno al laghetto e mi rendo conto che ci sono modi diversi di vedere e vivere la

montagna: accanto alla gente con lo zaino e gli scarponi, ci sono infatti persone che

sono salite con i sandali ai piedi, gente che prende il sole in costume, tante famiglie

con bambini anche piccoli, tutti però sorridenti e soddisfatti dall’esperienza che

stanno facendo.

Adesso è proprio ora di andare, anche perchè inizia a fare troppo caldo e al

laghetto non c’è neanche un filo d’ombra.

Dopo le varie foto di rito si riparte e questa volta ci mettiamo meno tempo a

tornare alla seggiovia. Durante la discesa ci godiamo il panorama e le bici, sempre

però con un braccio stretto alla vita di Davide che continua a dire “Voliamo, stiamo

volando!”, con immensa gioia di Erika.

Mentre facciamo gli ultimi metri di discesa con la seggiovia mi vengono in mente le

parole di Andrea (Perego): “Ma Erika ce la farà a fare il pezzo in salita?” Non

ricordavo fosse tanto ripido, speriamo bene.

E in effetti l’impresa non è semplice: la piccola Serena che arriverà a dicembre è

già pesantina da portare così

Davide ed io prendiamo la mamma

per mano e la “tiriamo” nei tratti

più ripidi (E il pensiero che

ricorre in Erika è nuovamente

“Mannaggia a me quando ho

proposto di fare una gita, grrr”).

Questa volta anziché fermarci al

baretto per bere qualcosa di

fresco decidiamo di accontentare

la mamma e ci fermiamo ad Aosta

per fare un po’ di shopping e una

merenda con un bel gelato: dopotutto lei è venuta in “montagna” e a noi ora tocca

fare un giro in “città”!

Verso il tardo pomeriggio riprendiamo l’auto e torniamo verso il campeggio, un po’

stanchini (infatti Davide crolla addormentato prima ancora di essere usciti da

Aosta), ma allegri e soddisfatti per la giornata originale trascorsa insieme, in

famiglia.

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Una vacanza particolare Mara Ghidinelli

Quest’anno è stata una vacanza particolare ...

La prima settimana di campeggio l’abbiamo fatta in compagnia dello zio Beppe e dei suoi

parrocchiani di Milano.

E’ stata una settimana all’insegna delle tante

gite … soprattutto per far vedere agli ospiti le

bellezze che la montagna offre…

Le gite sono state varie: colle Champillon, Lago

di Arpy, Crete Seche e Plan de la Sable, Rifugio

Regondi e gita turistica per la via centrale di

Aosta.

La cosa più “originale” che abbiamo fatto è

stata la creazione-costruzione della tenda

cappellina.

Uno dei primi pomeriggi di non gita tutti i

bambini e i ragazzi presenti in campeggio sia di Milano che di Taccona hanno arredato la

tenda casetta trasformandola in chiesetta con la supervisione del don e di alcuni genitori.

I materiali usati sono stati raccolti dalla montagna e da quello che la natura offriva: legni,

cortecce, rami, sassi, un elastico per appendere i vari disegni e una candela sempre accesa

(vento permettendo!!!!) .

La settimana si è conclusa con il mio compleanno … domenica 11agosto.

E’ stato un compleanno insolito in primo luogo perché non sono arrivati come ospiti i nonni

Arturo e Gesuina e lo zio Lele, ma sono sicura che ci erano vicini lo

stesso con il cuore; e in secondo luogo perché era di domenica.

La giornata è iniziata con la messa celebrata dallo zio Beppe all’aperto

con un cielo azzurro intenso e un venticello molto gradevole carica di

emozione e di commozione!!! Successivamente il pranzo molto

domenicale con aperitivo e piatti molto festosi…e alla fine i turnisti

hanno dato il meglio …portando la torta per festeggiare anche

l’onomastico di tutte le Chiare…

E come si vede oltre ad essere molto bella era anche molto

buona….!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

In più….dopo due giorni dal mio compleanno il gruppo delle “donne shopping” ha organizzato

un’uscita in città… così alle 10 siamo partite per Aosta.

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Arrivate abbiamo parcheggiato la macchina e siamo entrate nella zona pedonale e dopo

pochi metri dall’arco di Augusto SORPRESA…. SORPRESA!!!!!!!!!!!

SORPRESONA …. sulla stessa strada ho incontrato Barbara Besana e la Patty….pensavo di

essere così stanca di avere avuto un’allucinazione …. invece erano li per farmi una

SORPRESA!!!

Mi ha fatto tanto tantissimo piacere … e soprattutto ero contenta per l’originalità

dell’incontro.

La mattinata di shopping è continuata con due amiche in più e alla sera siamo riuscite a

portarle in Valpelline e cenare in campeggio.

Grazie a tutte per aver organizzato una sorpresa così speciale!!!! GRAZIE GRAZIE!!!!

Un’altra cosa che vorrei condividere tra le

tante gite è stata la prima gita al colle

Champillon, anche se non era la prima volta

che percorrevo quel sentiero, però è stata

la prima volta che sono arrivata fino al

colle.

Lo spettacolo è stato bellissimo ed

emozionante

soprattutto arrivare in

alto e trovare perfino

una lingua di neve dove

i bambini, e non solo,

hanno dato il meglio

per giocare e divertirsi

E’ stata una bella vacanza da

ricordare!!!!

Grazie a tutti !!!

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Piccoli record Stefano Rijoff

Il 18 agosto è arrivata in campeggio la piccola Diana ( che ha compiuto il primo mese il

giorno dopo) con il fratellino Raoul. Anche si il

pernottamento è stato il albergo per il resto hanno potuto

godere della vita della Cornache, con grande soddisfazione

della mamma Sonia, che ha avuto una bambina

tranquillissima, tutta sonno e poppate, e un piccolino

completamente a proprio agio, lui sempre molto timido,

scatenato con Luca, l’unico bimbo rimasto in vacanza. I due

hanno potuto assieme visitare la stalla delle capre della

frazione di Nu ed assistere alla mungitura. Un’esperienza

che per dei giovani abituati ai ritmi di città è stata

senz’altro indimenticabile. E dopo le caprette e il fieno

ecco i due scatenati salire su un trattore mettersi alla

guida diretti chissà verso quali mondi. A Nu è venuta anche

la veterana del campeggio: la Lilly, che con i suoi anni,

sempre ben portati, dà un

distacco di novantuno estati

rispetto alla bisnipote Diana.

Dunque quattro generazioni

contemporaneamente in

campeggio, con la più piccola e la

più anziana, circondate

dall’affetto di tutti i tanti amici.

Bene, l’appuntamento è, visto i

risultati, all’anno prossimo !

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Risveglio Stefano Rijoff

E’ abbastanza presto. Apro gli occhi e la prima visione è la montagna amica (non sono uno

scalatore che può correre dei pericoli), maestosa anche se parzialmente coperta alla mia

vista dai rami di un larice.

Non ho abbassato

la tendina proprio

per godere di

questo spettacolo

immediatamente al

risveglio. E mi

prende un senso di

pace interiore.

Ieri sera nella

consueta partita a

scopa d’assi ero di

mazzo ed

erroneamente ho

tenuto una carta

dispari, ma il mio

compagno non mi ha

rimbrottato più di tanto, E’ il segno del clima di pace generale che regna nel campeggio, ove

le eventuali piccole tensioni si smorzano immediatamente;

E’ bello svegliarsi pensando a tutti gli amici con cui condividerai ancora dei giorni felici, in

serenità e armonia.

Mi ritornano in mente le ultime frasi del libro che ho appena ultimato :”Alla fine la vita non

è fatta solo di labirinti pieni di giravolte, strettoie spigoli e gomiti dove uno rimane

intrappolato. Ci sono anche strade, sentieri, pianure, praterie e orizzonti illimitati da

esplorare. Si tratta solo di non aver paura, di mettersi in cammino”.

Va bene Stefano, ora basta crogiolarsi e filosofeggiare: Avanti alzati che sei di turno ….

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Grazie Marta! Davide Colombo

Ripensando all'estate a Bionaz, per l'articolo del campeggio, mi affollano la mente un sacco

di ricordi: scorci suggestivi, panorami mozzafiato, le stelle della notte, il primo sole del

mattino.. ma anche visi sorridenti, mani che si aiutano, gesti di incoraggiamento e qualche

sguardo imbronciato. In sintesi, noi tutti.

Invece di continuare con le riminiscenze di questa estate, comunque sempre belle da

rivivere attraverso gli occhi e i pensieri di chi scrive, vorrei condividere con voi amici, una

fiaba.

"Papà leggi questa fiaba, a me è piaciuta tanto.. poi dimmi cosa ne pensi" mi disse un giorno

Marta, tornati dalla vacanza.

Grazie Marta, è da quando sei nata che non manchi di stupirmi e quando meno me lo

aspetto, touché, con un delicato colpo di fioretto mi obblighi a pensare.

L'ho letta diverse volte e ogni volta che la rileggevo andavo oltre alla semplice favoletta e

scendevo sempre più nell'abisso dei pensieri, poi mi sono risollevato e ho cercato una bella,

grossa, durissima roccia... buona lettura.

Come scomparvero gli unicorni (di Anna Lavatelli)

All‘inizio del tempo, esistevano gli Unicorni. Essi erano animali forti e possenti. Avevano un lungo corno sulla fronte. Questo corno era stupendo: dritto, liscio, appuntito come una spada. Il colore del corno dipendeva dal colore del manto dell’animale. I più belli erano di color argento, alcuni lo avevano bianco e altri bronzo. Non esistevano altri animali che potessero gareggiare con loro in bellezza. Gli Unicorni erano bellissimi quando levavano le teste per nitrire e i corni scintillavano sotto il sole in mille barbagli di luce. Bellissimi quando cavalcavano tutti insieme nella prima luce del mattino, con le criniere al vento, le code ondeggianti e il lungo corno puntato in avanti a fendere l’aria. Gli uomini restavano incantati a guardarli senza osare di avvicinarsi. Non erano malvagi, anzi erano buonissimi, generosi e leali. Avevano però un temperamento impetuoso. Amavano l’avventura e il rischio e le grandi prove di coraggio. I maschi ingaggiavano spesso interminabili duelli; nel periodo degli amori, per il possesso delle femmine, oppure alla morte del capo per conquistare la guida del branco. Ma il lungo corno che avevano in fronte, era più tagliente di una spada, e anche se non volevano uccidersi l’un l’altro, i loro scontri erano spesso mortali. Nonostante questo pericolo, gli Unicorni non cessavano di lottare, e ogni giorno ripetevano le loro lotte. Così il numero degli Unicorni diminuiva sempre più, continuando in quel modo, sarebbero certamente estinti. Il capobranco sentì il pericolo. Chiamò a sé gli Unicorni e disse:

<< L’ornamento della nostra bellezza è nello stesso tempo causa della nostra buona e cattiva sorte. Della buona, perché ci rende i più belli del creato. Della cattiva, perché in breve ci

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farà scomparire dalla faccia della terra. >>

<< Lo sappiamo >> dissero gli altri. << Ma che cosa si può fare?>>.

<< La soluzione è semplice, ma dura >> disse il capobranco.

<< Chi vuole morire e far morire la nostra specie, terrà il corno. Chi vuole vivere e farla vivere, rinuncerà ad esso >>.

Gli Unicorni discussero a lungo, poi si divisero in due gruppi. Da una parte, andarono quelli che non volevano rinunciare al loro bellissimo corno. Essi s’ incamminarono verso la spiaggia, dove continuarono le loro battaglie. E quando anche l’ultimo maschio fu morto, le femmine non ebbero più figli, e quegli Unicorni scomparvero per sempre dalla faccia della terra.

Di loro non resta che un lontano ricordo. E qualcuno sostiene addirittura, che forse non sono mai esistiti, se non nella immaginazione degli uomini.

Dall’altra parte, andarono quelli che erano disposti a rinunciare al loro corno.

Essi s’incamminarono verso la montagna, e fecero a pezzi il bellissimo corno battendolo con la forza contro la dura roccia. Capitava ancora che lottassero, ma senza il corno non si ferivano mortalmente e vissero.

E continuarono ad essere forti e generosi. Strinsero amicizia con l’uomo, e si chiamarono CAVALLI.

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Salita alla croce, tratto attrezzato con Davide S. e Giuseppe Andrea Perego

Anche questa estate siamo riusciti a rispettare il tradizionale appuntamento con la nostra

croce sul Node de la Rayette.

Nonostante i vari malanni e

diverse vicissitudini legate

alla salute di alcuni dei

componenti, una radiosa

giornata di ferragosto ci ha

visti protagonisti di una bella

salita lungo i valloni che

precedono la croce che

quest’anno, grazie alle

tardive nevicate di giugno, si

presentavano in condizioni

ottimali anche a ferragosto.

Poiché durante la salita, o

meglio la discesa, dello

scorso anno (2012), il tratto

di traverso sugli sfasciumi

per superare l’ultima

bastionata rocciosa, si

presentava molto franoso e

friabile, mettendo in

difficoltà l’ultimo

componente della cordata

che si trovava senza punti di

ancoraggio per scendere in

sicurezza, di comune accordo

con gli altri componenti la

salita del 2012, avevamo

deciso di realizzare prossimamente un paio di ancoraggi su roccia per una discesa in

maggiore sicurezza e così quest’anno ci siamo presentati con martello e chiodi

all’appuntamento con le rocce dell’ultima bastionata.

Il piantare quattro chiodi nelle fessure delle rocce appena sopra l’ultimo nevaio, è stato per

me un tuffo nei ricordi giovanili ed il soffermarmi nel piantare il chiodo lentamente fino a

sentire il classico tintinnio che indica la tenuta del chiodo, mi ha procurato una piacevole

sensazione dovuta al ricordo di altre salite in analoghe condizioni. Davide e Giuseppe si

saranno chiesti il perchè di tanto tempo impiegato per piantare quattro chiodi ma al

momento non mi hanno chiesto spiegazioni e gliene sono grato, poiché non hanno infranto

quell’ atmosfera gioiosa dei miei ricordi.

Dopo una breve sosta alla croce dove si è constatato il buono stato di conservazione, siamo

scesi ansiosi di collaudare gli ancoraggi per la discesa in sicurezza che hanno dato esito

ampiamente positivo.

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Invito tutti coloro che in futuro dovessero usufruire di questi ancoraggi, PRIMA di inserire

il rinvio di sicura, accertatevi che il chiodo tenga ancora, poiché essendo stati piantati in

fessura, le intemperie specie invernali, potrebbero influire sulla tenuta dei chiodi.

La discesa successiva

lungo tutti i nevai

sottostanti la bastionata

è stata molto rilassante

effettuata, a differenza

degli ultimi anni trascorsi,

in piena neve ramponabile.

Un sentito ringraziamento

di vero cuore a Davide e

Giuseppe che mi hanno

accompagnato e

consentito di trascorrere

una bella giornata in un

posto affascinante, che

ha rinnovato in me bei

ricordi di gioventù.

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Il rifugio Nacamuli Carla Capelli

L'origine di questa escursione è un po' insolita, nel senso che non è stata organizzata

all'interno del campeggio ma è nata dall'adesione di alcuni soci ad un'iniziativa

pubblicizzata tramite una locandina esposta al

Comune di Bionaz. Più precisamente, la locandina dal

titolo “Valpelline ….......Naturalmente” proponeva

delle visite guidate in vari alpeggi e rifugi della zona

tra cui il Nacamuli; la particolarità di queste

escursioni stava nel fatto che non si trattava di

semplici passeggiate ma escursioni con guida alpina,

guida naturalista e guida geologica.

Ho proposto questa uscita agli amici del campeggio

e alla fine abbiamo aderito in nove persone: Davide,

Anna, Marta e Giulio, Imelda e Marco, Ilaria Camilla

ed io.

Appuntamento la mattina del 14 agosto ore 9,00 al

parcheggio della Diga di Place Moulin; lì incontriamo

i nostri compagni di viaggio, siamo in totale 13

persone più i 3 accompagnatori, Stefano, la guida

alpina, Stefano la guida geologica e la guida

naturalistica il Signor Maffeo.

Il geologo Stefano, ci spiega che queste escursioni sono inserite in un progetto di più ampio

respiro chiamato “BTVV Bhiosphère Transfrontalièr Val d'Hérens Valpelline”, che prevede

un “partenariato transfrontaliero” tra le due valli confinanti, la prima svizzera e la seconda

italiana, ma divise da una catena di montagne.

Il Progetto

finanziato anche da

Fondi Europei , si

pone come obiettivo

la valorizzazione

territoriale e

culturale dello

spazio alpino e di far

conoscere ed

apprezzare le

ricchezze di questi

due territori,

sviluppando così

anche il potenziale

turistico sostenibile

di queste zone

ancora vergini.

In particolare il

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progetto ha portato alla creazione di una riserva naturale nel comune di Bionaz in località

Montagnaia e si prevede inoltre la realizzazione di un sistema di navigazione sul lago

Prarayer che permetterà a tutti di apprezzarne la bellezza.

Tra le attività del Progetto sono previste appunto una serie di escursioni scientifiche

guidate da esperti dedicate a residenti e turisti.

Stefano ci fornisce anche un fascicoletto con le notizie sul luogo che ci apprestiamo a

visitare e un quaderno dove, ironicamente, ci invita a prendere appunti. E' appunto in questo

quadernetto che ho completato le

notizie sul progetto che ci aveva

anticipato Stefano

Ci mettiamo in cammino, sotto un

bel sole, verso il Rifugio che è

situato a mt. 2812 di altezza. E'

stato costruito in un primo tempo

nel 1928 e denominato Col Collon;

poi nel 1994 è stato

completamente ricostruito e

dedicato ad Alessandro Nacamuli,

alpinista del CAI di Torino.

Incolonnati dietro Stefano, la

guida alpina, prendiamo il sentiero

alto che porta al Rifugio Prarayer,

paesaggio familiare ma sempre

bello, poi verso la fine del lago il

sentiero piega a sinistra

addentrandosi nella vallata tra i

pascoli, dove ancora possiamo

ammirare la splendida e tardiva

fioritura della vegetazione, fino ad

arrivare ad un alpeggio che

sembra abbandonato.

Il cammino è interrotto a tratti da

Stefano, la simpatica guida

geologica, che ci fornisce alcune nozioni sull'inquadramento geologico dell'apparato

morenico della zona in cui ci troviamo, la Comba d'Orein. In particolare ci fa notare la

morena bicolore che caratterizza il luogo e ci illustra le due ipotesi plausibili all'origine di

questo fenomeno. Certo i termini che usa non sono semplici, ma qualche informazione

riusciamo ad immagazzinarla: ad esempio sapevate che la neve e i ghiacciai non si sciolgono

ma si fondono? E che anche se ai nostri occhi il risultato è lo stesso i procedimenti sono

diversi e i termini vanno usati correttamente.

Tra una spiegazione e l'altra costeggiamo il torrente e percorrendo il sentiero ci troviamo

su un percorso caratterizzato da roccette e ghiaioni fino ad un punto in cui il passaggio si

stringe tra il percorso del torrente e la morena; superato questo tratto ci troviamo in un

ambiente che ricorda un po' il Plan de La sable con rocce, sassi, tanta sabbia e molti

rigagnoli che formano il torrente.

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Il Rifugio non è ancora visibile ai nostri occhi, vediamo però il tratto di sentiero che sale

ripidamente verso destra per permetterci di superare uno sperone di roccia che ci porterà

in vista del rifugio. Questo tratto si rivelerà a mio avviso il pezzo più duro di questa

escursione; il sentiero è attrezzato con scalette metalliche e funi di sostegno, non

particolarmente difficile ma con passaggi che stroncano le gambe, almeno per me questa è

stata la sensazione.

Alla fine di questa salita ci appare finalmente il Nacamuli, una macchia marrone incastonata

tra le rocce, in un ambiente di alta montagna tra ghiaioni, nevai e cascate.

Per un po' il sentiero scende fino ad attraversare il torrente Orein che ci ha accompagnato

per tutto il tragitto, poi dopo aver superato un piccolo nevaio, riprende a salire tra sassi e

rocce fino ad arrivare al rifugio. Alla meta arriviamo a gruppetti, si distinguono però Marta

e Giulio che, saltando come due stambecchi arrivano tra i primi.

Il rifugio è abbastanza nuovo, non c'è molto spazio all'esterno perchè è abbarbicato tra le

rocce, ma ha comunque il suo

fascino.

Il paesaggio che ci circonda

è suggestivo, rocce, morene,

qualche striscia di neve, un

piccolo laghetto sotto di noi

e alla nostra destra il Col

Collon che porta verso il

Vallese Svizzero.

Dopo esserci riposati,

scattato la foto ricordo del

gruppo e fatto apporre il

timbro del rifugio sul nostro

quaderno di viaggio, ci

apprestiamo alla discesa

cercando gli appoggi migliori

per non scivolare sulle rocce.

Percorrendolo in discesa il

tratto di sentiero

attrezzato, mi sembra

ancora più ripido e scatto

alcune foto giusto per

ricordare la fatica della

salita.

Ognuno scende con il suo

passo e ogni tanto Stefano,

la guida, si ferma per

ricompattare il gruppo, ne

approfitta l'altro Stefano per darci ancora qualche nozione geologica sull'ambiente.

Arriviamo velocemente in vista del lago; solo un'ultima sosta vicino alla malga dove fanno il

formaggio, perché avvistiamo delle marmotte e in silenzio ci appostiamo per osservarle

senza disturbarle.

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Giunti al parcheggio, salutiamo il resto del gruppo e le guide che ci hanno accompagnato in

questa piacevole giornata. Stefano ci dice che ci farà avere via mail alcune delle foto che

ha scattato e che le stesse potrebbero essere pubblicate sul loro sito.

Un complimento a Marta e Giulio che hanno affrontato la giornata con interesse e curiosità,

camminando sempre tra i primi e senza mai lamentarsi. Bravissimi!!!

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Elenco gite

Martedì 23 Luglio CRÊTES SECHES -

Andrea, Roby, Anna R., Ornello, Tere

Martedì 30 Luglio CRÊTES SECHES , partendo da Ruz

Elvira e Carlo

Venerdì 2 Agosto PRARAYER & ALBERO SECOLARE

Andrea, Roby, Elda, Anna R., Beppe, Marco G., Luca G.

Lago morto

Gianluca

Sabato 3 Agosto LAGO D’ARPY

Elvira, Carlo, Matteo, Teresa, Pietro

LAGO MORTO & LAGO ROSSO

Carla, Antonio V., Maurizio, Giuseppe G

Domenica 4 Agosto RIFUGIO E COLLE CHAMPILLON

gruppo GMG, Davide, Anna, Giulio, Marta, Mara, Davide,

Lorenzo, Francesco, Marco, Paola, Luca., Gianluca

Martedì 6 Agosto CRÊTES SECHES e PLAN de la SABLE

gruppo GMG, Davide, Anna, Giulio, Marta, Davide, Lorenzo,

Francesco, Beppe, Antonio V., Gianluca

Giovedì 8 Agosto LAGO D’ARPY

gruppo GMG con don Beppe

Sabato 10 Agosto BIVACCO REGONDI

gruppo GMG, Beppe, Mara, Davide, Lorenzo, Francesco, Davide,

Anna, Giulio

RIFUGIO e COLLE CHAMPILLON

Roberto S., Carlo, Elvira, Carla, Camilla e sorella di Carla,

Lunedì 12Agosto FINESTRA di DURANT

Andrea P., Don Paolo e fino ai laghetti: Carlo, Roberta, Leda,

Donata

CONCA di BY

Elda, Luigina, Ilaria

OLLOMONT (museo FONTINA)

Annamaria, Anna, Davide, Giulio, Marta, Francesca

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Mercoledì 14 Agosto Sentiero alto DIGA > alpeggio CONCA D’OREN

Elvira, Carlo

VISITA con GUIDE

(vedi art. Carla C.)

Giovedì 15 Agosto Salita alla CROCE

Andrea P., Beppe, Davide S.

Venerdì 16 Agosto LAGO COMBOE (Aosta+ovovia+seggiovia)

Andrea B., Erika, Davide

Sabato 17 Agosto GRAN SAN BERNARDO (macchina)

Andrea B., Erika, Davide

RIFUGIO ARBOLLE

Ornello, Tere

Lunedì 19 Agosto VALLONE di SASSA (partendo da Chamen, 3 ore)

Carlo, Elvira, Donata

Martedì 20 Agosto Rifugio CHAMPILLON

Tere, Andrea B., Ornello (fino al colle)

Mercoledì 21 Agosto Bivacco SPATARO

Ornello

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«La Saggezza parla presso le porte, all'ingresso, negli androni» (Pr 8,3) Messaggio per l'estate

21 Giugno 2013, primo giorno d’estate

Angelo Card. Scola

Presidente della Conferenza Episcopale Lombarda

Un saluto cordiale. Quest’anno – prendendo spunto dalla Lettera apostolica, Porta fidei, che ha indetto l'Anno della fede – siamo chiamati a meditare il versetto del libro dei

Proverbi: «La Saggezza parla presso le porte, all'ingresso, negli androni (Pr 8,3)». Il

versetto descrive bene il vostro lavoro.

Comincio con l’estendere il mio augurio a tutti i lombardi che si recheranno in

villeggiatura e a quanti giungeranno durante l'estate nella nostra regione. Soprattutto non

voglio trascurare i molti che, a causa della crisi, vivranno la vacanza in casa loro. A tutti

intendo richiamare il valore del riposo. Esso è, insieme agli affetti e al lavoro, un tratto

costitutivo dell’esperienza umana e ne garantisce l’equilibrio. Fin dalla antichità è

riconosciuto come un diritto-dovere. Il Decalogo lo include tra i primi comandamenti.

Tuttavia, perché ci sia una vera ri-creazione dell’io non basta ridurre le ore di lavoro

ed ampliare quelle di riposo. Quest’ultimo trova senso in un certo esercizio della libertà. E

voi che, stando “sulle porte”, con il vostro servizio assecondate l'istanza di ristoro, siete

testimoni della verità di questa affermazione.

Per questo il tempo libero è il tempo della libertà. Non anzitutto però come libertà da, semplicemente come uno “staccare la spina”, ma come libertà per. L’idea, oggi molto

diffusa, di libertà come assenza di legami è falsa. Ciascuno di noi sa sulla propria pelle che

un io “disimpegnato” dalla realtà e senza relazioni, si inaridisce e muore.

È inoltre assai importante quella specifica relazione che si sperimenta nella

comunità.

Per ogni credente riposo e festa trovano espressione compiuta nel giorno della con-

vocazione. Il giorno in cui ci si ritrova intorno alla stessa mensa – anzitutto quella

eucaristica – luogo delle relazioni, per rigenerarsi. La domenica ha anche una essenziale

dimensione sociale, evocativa della stessa vita di Dio. Ne consegue che dimenticando le

relazioni – con Dio e coi fratelli – l’uomo non può riposare veramente. L’autentico riposo

infatti nasce dal vivere la comunione.

Infine è decisivo sottolineare il binomio riposo-bellezza. La bellezza ha a che fare

con la libertà, perché questa viene esaltata dalla verità che gratuitamente si dona a noi. Per

questo il tempo del riposo – la domenica, le vacanze – è tempo privilegiato per educarsi alla

bellezza, quella del creato e quella proveniente dalla mano dell’uomo, ed imparare a

custodirla. Certo, la bellezza non è sinonimo di evasione dal dolore e dalla prova. Ragion per

cui, anche nel tempo estivo, vi raccomando una particolare vicinanza ai bisognosi, agli

ammalati e quanti, per diversi motivi, resteranno nelle nostre città.

Mentre vi esorto a testimoniare “sulle porte”le riflessioni richiamate, auguro a tutti

un sereno tempo estivo. E invoco su ciascuno di voi, sui vostri cari e sui vostri ospiti la

benedizione del Signore attraverso l'intercessione di Maria, Ianua Coeli (Porta del cielo).

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Grignone l’ultima cima del papa alpinista

20-23 ottobre 1913

Rino Pessina

Don Achille Ratti, compie la sua ultima

ascensione nota nell’ottobre del 1913, cento

anni fa, salendo alla cima della Grigna

settentrionale dalla Capanna Releccio (l’attuale

rifugio Bietti) lungo la via del Canalone che si

alza fino alla bocchetta di Releccio per

incrociare il sentiero che sale dal Pialleral e

che in cresta, arriva al Rifugio L.Brioschi.

Ed è interessante rilevare dai suoi appunti che

in quella occasione rimase “quattro giorni alla

capanna della vetta” prima di scendere a Esino

Lario..

Quattro giorni sulla cima del Grignone, la

montagna che poteva vedere anche da Milano e

che gli era certamente tra le più care, quattro

giorni in quel rifugio allora denominato Capanna

Grigna-Vetta ( e capanna lo era davvero) a

2410 m. che era stato costruito nel 1895 dalla sezione del CAI di Milano (l’inaugurazione

avvenne il 20 ottobre di quell’anno) di cui Ratti era socio e della quale aveva condiviso la

responsabilità della direzione per qualche tempo.

Da sei anni era diventato sempre più difficile per lui andare in montagna a causa

dell’affollarsi degli impegni, dei contatti,delle corrispondenze da tenere, degli obblighi da

osservare.

Ma le montagne gli mancavano, e per troppo tempo aveva potuto solo guardarle da lontano.

E ora finalmente quattro giorni tutti per sé in quasi totale solitudine nella semplice

essenzialità di un rifugio alpino. Quatro giorni a camminare, a ripercorrere creste, canali e

valloni ben noti,ma soprattutto a pregare, a riflettere sulla sua vita e sulla direzione che

stava ormai per prendere in modo sempre più deciso, sugli impegni che lo attendevano

sempre più pressanti. Quei quattro giorni sulle montagne se li voleva tenere stretti

centellinandoli fino all’ultimo minuto.

Bastava fare pochi passi dietro il rifugio, salendo tra le roccette della vetta, per trovarsi

davanti a uno dei panorami più ampi che si possa godere dalle prealpi lombarde. Lo

conosceva bene quel panorama, a casa ne teneva anche una copia fotografica che il CAI di

Milano aveva pubblicato rilevandola dalle fotografie di Pio Paganini. Eccolo laggiù, piccolo

piccolo il Monviso,e più a destra il “suo” Monte Rosa, e qui davanti, dopo il solco profondo

del lago che occhieggia giù in basso, le amate cime di Lombardia, il Badile, il Disgrazia, il

Bernina.Il cuore batte più forte nel petto del cinquantaseienne don Achille, davanti a quella

sfilata di cime. Ad ognuno di esse è legato un ricordo, un’emozione, gli occhi si inumidiscono

al pensiero dell’amico don Luigi Grasselli di Arosio, venuto a mancare esattamente un anno

prima, sempre con lui in quasi tutte le sue escursioni, sicuro compagno di cordata nelle

ascensioni più impegnative. Un nodo alla gola, un attimo di emozione intensa, poi torna la

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calma. Ecco ancora più a destra la Presolana, poi, girando lo sguardo verso sud la

Valsassina,e più in basso, avvolta da una leggera nebbiolina la sua Brianza, la sua Milano con

la pianura che sfuma indistinta nella foschia.

E là, ancora più giù,

ormai la sua vita,

lontano dalle sue

montagne della cui

vista e della cui aria

si è voluto riempire

gli occhi e i polmoni

in questi quattro

giorni sul Grignone.

Roma lo attende.

Don Achille non può

nemmeno

lontanamente

immaginare che di lì

a nove anni, il 6

febbraio 1922

diventerà Papa con il

nome di Pio XI.

L’evento è stato

ricordato in due manifestazioni distinte: la prima, domenica 13 ottobre a Esino Lario con

due momenti significativi: la S.Messa celebrata nella chiesa parrocchiale che reca sulla

facciata due grandi medaglioni in bronzo dedicati a Pio XI e all’Abate Stoppani risalenti al

1935 e l’inaugurazione del monumento che ricorda il pontefice per i suoi frequenti soggiorni

ad Esino, base delle sue ascensioni. Una statua in bronzo su calco in gesso dello scultore

“esinese” Michele Vedani. La S. Messa è stata concelebrata dal Card. Tettamanzi, con don

Luigi Bandera e con il parroco di Esino don Franco Galimberti che durante l’omelia ha

tratteggiato la figura del Papa alpinista rimarcando il valore educativo della montagna e la

sua capacità di avvicinare a Dio.

Erano presenti numerose autorità quali il sottosegretario all’Expo 2015 Fabrizio Sala,

numerosi sindaci, il sindaco di Desio , presidenti e soci delle numerose sezioni CAI della

Brianza.

La seconda manifestazione era prevista per domenica 20 ottobre con una salita al Rif.

Brioschi. Causa la copiosa nevicata della settimana precedente la stessa è stata rinviata a

data da destinarsi. In sostituzione per l’omaggio al Papa è stato organizzato un raduno al

passo del Cainallo con S. Messa celebrata nella chiesetta nei pressi del rifugio e a seguire il

pranzo con” tutto esaurito” preparato nel rifugio stesso.

Nel preparare questo articolo, mi sono ricordato che anche un gruppo di amici della

Cornache, in una splendida giornata di fine estate, esattamente il 7 settembre 1991

raggiungeva il Rifugio Brioschi in Vetta al Grignone percorrendo lo stesso itinerario del

Papa alpinista.

Lasciata la macchina al Passo del Cainallo, abbiamo preso il sentiero per il rif. Bietti (allora

capanna Releccio) abbiamo quindi seguito la via del Canalone e superati alcuni modesti

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passaggi in roccia, abbiamo incrociato alla

bocchetta di Releccio il sentiero che saliva

dal Pialleral, e proseguito in cresta fino alla

cima.

Una volta arrivati al rif. Brioschi, ci siamo

sistemati ad un tavolo a fianco del rifugio

per il pranzo. Dopo la sosta , abbiamo

intrapreso la discesa verso il Cainallo, per il

sentiero che passa dal Rif. Bogani.

Il gruppo di amici era costituito da: Rino

con Roberto, Gigi con Gabriele, Chiara e

Stefano, Carlo con Alberto.

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Insieme su 150 vette (Festa tra storia e natura ) Un secolo e mezzo di vita in 150 montagne. Per festeggiare l’anniversario di

fondazione (23 ottobre 1863), il Club alpino italiano ha chiamato a raccolta i

suoi 320mila soci che oggi saliranno, in contemporanea, 150 tra le principali vette italiane,

su cui collocheranno il gagliardetto del sodalizio. L’elenco delle cime è aperto dal Monviso,

montagna altamente simbolica perché,

proprio dopo averla salita nel 1863, Quintino

Sella, ministro delle Finanze del Regno

d’Italia, ebbe l’idea di fondare il Cai.

Associazione che, si legge all’articolo 1 dello

Statuto, «ha per iscopo l’alpinismo in ogni

sua manifestazione, la conoscenza e lo

studio delle montagne, specialmente di

quelle italiane, e la difesa del loro ambiente

naturale».

Tutte queste motivazioni, che da sempre

guidano l’azione del Club alpino, saranno di

sprone alle migliaia di appassionati che

daranno simbolicamente l’assalto alle 150

vette. Oltre al già citato Monviso,

nell’elenco figurano i giganti delle Alpi

(Monte Bianco, Monte Rosa e Cervino), ma

anche cime meno elevate ma non per questo

prive di fascino, come l’Adamello e le Tre

Cime di Lavaredo, le Grigne nel Lecchese, il

Pizzo Badile in alta Valtellina e, spingendosi

più a Sud lungo l’Appennino, il Gran Sasso, il

Pollino e l’Etna. L’intenzione del Cai è di

salire tutte le cime nella giornata di oggi;

qualora condizioni climatiche avverse lo sconsigliassero, è stata prevista anche la data di

domenica 14 luglio per completare l’impresa.

L’organizzazione di ogni singola salita è stata affidata alle sezioni Cai più vicine alla

montagna da scalare (complessivamente le sezioni sull’intero territorio italiano sono 496), o

ai gestori di un rifugio in loco (il Cai gestisce 774 strutture per un totale di 23.044 posti

letto). Alle ascensioni, precisa una nota, può partecipare anche chi non è socio, ma che

possieda la necessaria preparazione per condurre la scalata in condizioni di sicurezza.

A ricordo dell’impresa è stato preparato un gagliardetto con lo stemma del Cai che, come

detto, sarà apposto sulla cime delle montagne scalate. Sarà inoltre realizzato un dvd con le

foto più evocative di tutte le spedizioni.

«Abbiamo ritenuto che la ripetizione dell’ascensione al Monviso fosse un momento

indispensabile per collegarci idealmente ai fondatori del Cai», ha dichiarato Giacomo

Stefani, presidente del Club alpino accademico italiano, al quale è stata affidata la

realizzazione del progetto. «Inoltre, per coinvolgere quanto più possibile l’intero corpo

sociale, abbiamo deciso di salire altre 149 cime, che in qualche modo ricordassero questo

secolo e mezzo di vita».

Il Monviso, la cima che ha dato lo spunto per la nascita del Club Alpino Italiano

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Per il presidente generale del Cai, Umberto Martini, il progetto intende «raccontare e far

vivere la montagna in 150 punti differenti come storia e difficoltà, ma ugualmente

importanti per il territorio circostante, gli alpinisti e il mondo della montagna. L’obiettivo è

la promozione degli ideali del nostro sodalizio lo stesso giorno in montagne diverse,

all’insegna dello slogan dei festeggiamenti: “La montagna unisce”».

Un messaggio di pace e fratellanza che i promotori della giornata si augurano discenda dalle

vette per diffondersi e radicarsi anche alle quote più basse.

Paolo Ferrario Avvenire 8 luglio 2013

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lL CAI, una storia lunga 150 anni

Le montagne uniscono (ed i fiumi dividono). Una massima che ha

sempre avuto un grande valore per chi è nato o ha vissuto sulle

Terre Alte. E quando Quintino Sella, nell'agosto del 1863, scalò

il Monviso e pensò alla creazione di una società alpinistica, era

accompagnato da Giacinto di Saint Robert e dal deputato

calabrese Giovanni Barracco, perché la nuova creatura doveva

essere nazionale, appena due anni dopo la proclamazione

dell'Unità d'Italia. Formalmente il Cai, il Club Alpino Italiano,

venne costituito a Torino il 23 ottobre del 1863, con 200

aderenti. Ed era la quarta società alpina europea.

«Ora - spiega Umberto Martini, presidente generale del Cai - i

soci sono oltre 316mila, con 796 sezioni e sottosezioni sparse in tutta Italia». Ma per chi,

come il Cai, vede la montagna come mondo da far conoscere, da scoprire ed amare, come

una cultura da vivere, le cifre sono poca cosa. In Germania i soci sono un milione, ma

comprendono anche gli appassionati che frequentano le palestre artificiali di roccia nelle

grandi città. Il Cai, invece, ha scelto un altro sentiero di marcia. Ed anche per le

celebrazioni dei 150 anni ha ignorato le date ufficiali: domenica 7 luglio, saranno 150 le

vette scalate, in contemporanea. Dal Monte Bianco al Cervino, dalle Tre Cime di Lavaredo

all'Adamello, dal Gran sasso all'Etna. E, ovviamente, il Monviso, come all'inizio

dell'avventura del Cai.

Da allora, però, tutto è cambiato. «Era una montagna riservata ai "signori"», spiega Martini.

I valligiani frequentavano i pascoli e si spingevano più in alto per la caccia, o appunto per

accompagnare il ceto più abbiente che, sull'onda del romanticismo, aveva cominciato a

sognare le vette. Ma nobiltà e ricca borghesia affrontavano le fatiche anche e soprattutto

per ragioni scientifiche, di studio. Cercavano fiori, erbe, sassi, animali. Più esplorazioni

scientifiche che conquiste di cime. E per accogliere gli appassionati, il Cai costruiva i rifugi.

Compresa la Capanna Margherita, sulla Punta Gnifetti del Monte Rosa, che venne inaugurata

nell'agosto del 1893 alla presenza della Regina Margherita di Savoia, arrivata sino ai 4.559

metri del rifugio, il più alto d'Europa.

Nobiltà e borghesia si appassionarono, rapidamente, anche agli sport della montagna, anche

quelli invernali. «Ancor prima della Grande Guerra – sottolinea il presidente del Cai – il Club

Alpino organizzava trasferte di gruppi sulla neve, con le prime gare a cui partecipavano

anche le donne, infagottate in ampie gonne». Sono le prime forme di turismo organizzato,

che conoscerà il suo boom tra le due guerre. Il fascismo puntò molto sull'alpinismo come

palestra di ardimento per i giovani - d'altronde molti erano reduci dalle battaglie

combattute, come alpini, durante la guerra – e la montagna accolse studenti e giovani

lavoratori che vivevano la montagna come addestramento all'eroismo, ma anche come

preparazione bellica. Gli alpinisti ottenevano medaglie al valore atletico per i loro successi,

erano sostenuti, trasformati quasi in divi.

Dopo il secondo conflitto mondiale, il momento del grande rilancio del Cai fu rappresentato

da quello che sarebbe diventato anche il punto di partenza di litigi furibondi: la conquista

del K2, nel 1954. Con le polemiche feroci tra Compagnoni e Lacedelli, da un lato, e Walter

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Bonatti dall'altro. Si dovette arrivare al 1994, 40 anni più tardi, per restituire al

fortissimo Bonatti il ruolo fondamentale che aveva avuto nella spedizione e che gli era

stato negato. Ma se, in fondo, in 150 anni è stato questo l'unico elemento di fortissimo

scontro interno del Cai (perlomeno a livello pubblico), significa anche che i valori alla base

della creazione del Club Alpino hanno resistito a tutto e a tutti.

Ora, però, si pongono nuove sfide. E non facili. La montagna del turismo di massa ha creato

scompensi, anche tra chi vive nelle Terre Alte. Più business e meno cultura. Con le montagne

che odorano di olio solare e non di fiori alpini. E con meno italiani sui sentieri più impervi e

nei rifugi, dove aumentano gli alpinisti e gli escursionisti tedeschi, svizzeri, francesi, ed ora

anche dell'Europa dell'Est. Italiani impigriti che non sono disposti a rinunciare alle

comodità. Ma l'incapacità di capire il senso della rinuncia - prosegue Martini – si estende

anche a chi considera le vette solo come una palestra: «Anche se il tempo sconsiglia

l'ascesa, salgono lo stesso; perché han speso i soldi per la benzina e l'autostrada e non

vogliono "sprecare" la giornata». Con le conseguenze inevitabili.

Oppure nascono i nuovi fenomeni, degli sky runner o del downhill. Con la montagna che, in

fondo, rappresenta solo un piano inclinato dove mettersi alla prova correndo o scendendo

con la bici. «Per noi – afferma il presidente del Cai – è fondamentale conoscere la

montagna. E di corsa non si conosce nulla». E anche la crisi rischia di contribuire ad un

approccio inadeguato. I soggiorni "mordi e fuggi" non sono l'ideale per capire un ambiente,

una cultura, un modo di esistere. Con il rischio che dalla settimana di ferie ci si riduca ad un

solo fine settimana. Per questo il Cai sta cercando di trovare nuove forme di collaborazione

tra la montagna ed il piano, anche per rilanciare una presenza turistica in picchiata.

Augusto Grandi il sole 24 ore 3 luglio 2013

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Letture in campeggio

Rosanna , Teresina, Elda

Guerra e corruzione. Un paese sbandato. I giovani e le speranze. "La famiglia è un tema ricorrente e centrale della mia narrativa. Il mio nuovo romanzo attraversa la storia di una famiglia lungo diverse generazioni, concentrandosi questa volta sul rapporto tra fratelli e sorelle, su come si amano, si feriscono e tradiscono, ma anche su come si stimano e si sacrificano l'uno per l'altro. Sono emozionato alla prospettiva di condividere questo nuovo libro con tutti i miei lettori." (Khaled Hosseini)

Rosanna

Un inferno verde fatto di fango, afa, insetti e malattia sul quale regnano il cinismo e la brutalità dei guerriglieri. Gabbie e catene, marce forzate e un'incontenibile voglia di libertà. L'ansia per la famiglia lontana e il conforto della preghiera. Ingrid Betancourt, rapita dalle Farc nel 2002, racconta la vita ai confini della civiltà, e spesso oltre quelli dell'orrore. Dove una piccola radio, un cucchiaio di zucchero, una scimmietta da addomesticare possono salvare dalla follia. Ma dove le persone non sono mai quello che sembrano: le compagne di prigionia, i soldati, gli amici, gli aguzzini nascondono ciascuno segreti e traumi, e alcuni saranno protagonisti poi di aspre polemiche seguite alla liberazione. Un documento prezioso e spietato sulle ambiguità dell'animo umano di fronte all'estremo, una lettura appassionante e un'occasione per meditare.

Elvira

Al centro di questo romanzo misterioso e potente, che scorre in una lingua tersa dove sembrano risuonare insieme gli echi delle vite dei mistici e la poesia di Emily Dickinson, c'è la figura di Ildegarda. Una donna che viene lasciata dal marito amatissimo ma devastato nello spirito. La sua solitudine è illuminata solo dall'amore per il figlio che adora. Quando l'ombra della morte sembra sfiorare il bambino, Ildegarda si interroga sul male del mondo, sulla paura di vivere, di perdere l'amore, di perdere il figlio. Lo strazio per l'abbandono e soprattutto l'angoscia per non saper proteggere il figlio portano Ildegarda a cercare nella sua fede irrequieta una strada di salvezza. Un patto con quel Dio che appare impotente di fronte al dolore dell'uomo. È la lotta che ciascuno di noi, credente o no, un giorno si trova a combattere. Un nuovo inatteso incontro, nell'incanto di un paesaggio di neve dalla bellezza struggente, porta Ildegarda a vivere una passione del corpo e dello spirito che ha in sé un'attesa di eternità. Di un'altra vita e giorni nuovi. Perché il sogno di ogni amore è che il miracolo non abbia fine. Forse è solo una promessa, ma una promessa è molto più potente di un sogno.

Teresina

"Ogni angelo è tremendo" è la storia di una bambina che diventa adulta. Che nasce di notte, a Trieste, mentre soffia una bora nera che spazza via ogni cosa e rende ogni equilibrio impossibile. Di una bambina che cresce in una famiglia in cui sembra sia soffiato quello stesso vento impetuoso dell'est. Di una bambina che impara presto a riconoscere i vuoti che la morte lascia, quei vuoti che somigliano tanto agli abbandoni che la stessa bambina deve subire, da parte di un padre e di una madre desiderati e imprendibili. Di una bambina che non dorme mai, e fa (e si fa) molte domande, a cui nessuno sembra voler o poter dare risposte. Ma è anche la storia della scoperta del mondo e della sua bellezza, della natura e delle sue forme. Di una bambina che si fa ragazza e si apre ai primi palpiti di amore e amicizia, ai sussulti dei poeti e degli scrittori. È la storia di una ragazza che scende a rotta di collo le scale di casa, la notte in cui il terremoto irrompe. È la storia della scoperta della grande città, Roma, e del terrorismo e, finalmente, del potere della scrittura e dei libri. Quella bambina, quella ragazza, quella donna è Susanna Tamaro, che ci consegna il suo libro più intimo e coraggioso. Una autobiografia che è anche romanzo di formazione e inno alla vita nonostante, dentro (e forse grazie a) ogni sua oscurità.

Teresina

De Luca ci presenta le sue riflessioni sul Vecchio Testamento sotto forma di piccoli racconti. Si tratta, come lui stesso afferma, di un "tentativo di essere lettore di Bibbia in un'epoca fredda". Un lettore che ha studiato per anni, da sé, la lingua ebraica. Ne risultano una lettura e una traduzione del testo sacro assai sorprendenti.

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Federica

Si dice che il tempo guarisca ogni ferita. Ma, per Amir, il passato è una bestia dai lunghi artigli, pronta a riacciuffarlo quando meno se lo aspetta. Sono trascorsi molti anni dal giorno in cui la vita del suo amico Hassan è cambiata per sempre in un vicolo di Kabul. Quel giorno, Amir ha commesso una colpa terribile. Così, quando una telefonata inattesa lo raggiunge nella sua casa di San Francisco, capisce di non avere scelta: deve tornare a casa, per trovare il figlio di Hassan e saldare i conti con i propri errori mai espiati. Ma ad attenderlo, a Kabul, non ci sono solo i fantasmi della sua coscienza. C'è una scoperta sconvolgente, in un mondo violento e sinistro dove le donne sono invisibili, la bellezza è fuorilegge e gli aquiloni non volano più.

Teresina

Perché restare cristiani. La vita, il dubbio, la fede "Perché la Chiesa, maestra di cose spirituali, che possiede un tesoro straordinario, che propone una soluzione alla vita da millenni, non sa più parlare al cuore delle persone? Perché è entrata in una incomunicabilità insostenibile? Perché, mentre le giovani generazioni esprimono il disagio di vivere, non riesce a essere credibile mentre comunica il Vangelo?" Paolo Curtaz è stato un prete per molti anni, prima di giungere alla difficile scelta di dedicarsi alla famiglia e all'educazione di un figlio. Nonostante questo doloroso distacco, ha portato avanti un cammino religioso personale, intimo, basato sull'esperienza evangelica. Nella sua casa, in un piccolo paese della Valle d'Aosta, accoglie ancora oggi amici in difficoltà e persone che cercano un rifugio spirituale, offrendo un luogo, fisico e psicologico, in cui confidarsi e dedicare il giusto tempo alla cura dell'anima e dello spirito. Prendendo spunto dai piccoli avvenimenti che punteggiano la sua quotidianità dalle ingenue domande del figlio di sei anni ai complessi interrogativi esistenziali che gli pongono gli amici - sullo sfondo innevato delle montagne dove vive, Curtaz ci accompagna nei suoi pensieri, facendoci partecipi di un messaggio essenziale, come quello di cui dovrebbe farsi portatrice la Chiesa. Oggi, infatti, la fede funziona come collante sociale, ma la religione intesa come incontro personale con Dio, "luminosissima tenebra", è palesemente in crisi.

Teresa

Anna Karenina Tolstoj Lev

Centro della vicenda è la tragica passione di Anna, sposata senza amore a un alto funzionario, per il brillante ma superficiale Vronskij. Parallelo a questo amore infelice è quello felice di Kitty per Levin, un personaggio scontroso e tormentato al quale Tolstoj ha fornito i propri tratti. "In Anna Karenina è rappresentata - scrive Natalia Ginzburg - la colpa come ostacolo, anzi come barriera invalicabile al raggiungimento della felicità". Tra i primi lettori il libro ebbe Dostoevskij che così ne scrisse: "Anna Karenina è un'opera d'arte assolutamente perfetta. Vi è in questo romanzo una parola umana non ancora intesa in Europa... e che pure sarebbe necessaria ai popoli d'Occidente".

Matteo

Palomar Italo Calvino Palomar è ambientato inizialmente durante le vacanze del protagonista, poi in città e infine nei silenzi pensierosi del protagonista. Calvino struttura il romanzo in tre parti e in tre aree tematiche, come scrive in una breve nota prima dell’indice: “gli 1 corrispondono generalmente a un’esperienza visiva, che ha quasi sempre per oggetto forme della natura”; “Nei 2 sono presenti elementi antropologici” e vengono considerati, oltre ai dati visivi, anche il linguaggio, i significati e i simboli; “I 3 rendono conto delle esperienze, di tipo più speculativo”. Ognuna delle parti presenta anche una forma diversa:descrizione, racconto e meditazione. Palomar - rielaborazione narrativa di articoli comparsi in precedenza su "la Repubblica" e il "Corriere" - si sviluppa intorno alle osservazioni del protagonista sul mondo, di cui analizza i dettagli e i particolari più minuti. Il protagonista, come scrive Calvino nel 1983 nella prefazione all’opera, “vede i fatti minimi della vita quotidiana in una prospettiva cosmica”.

Matteo

L'agrimensore K., protagonista del romanzo, giunge nel villaggio ai piedi del castello del conte Westwest, dove è accolto con ostilità e sospetto. Tuttavia, non ci si può disfare di lui, poiché il castello l'ha chiamato, né si può lasciargli svolgere le mansioni affidategli. Il romanzo è la storia dei vani tentativi di K. di spezzare il mistero della sua chiamata e legittimare di fronte alla comunità la propria venuta al villaggio. Che cos'è "Il castello", oltre che una vicenda caratterizzata da un realismo perfettamente irreale e animata da personaggi contrastanti? E' in primo luogo l'amara allegoria della vita, di quella particolare condizione di perenne vanità degli sforzi umani che Kafka descrisse con assoluta lucidità in tutta la sua opera. E in secondo luogo uno dei pochi libri memorabili della letteratura del Novecento.

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Stefano

Petra Delicado indaga ancora: Il caso lituano-Nido vuoto-Il silenzio dei chiostri Con Petra Delicado, ispettrice della polizia di Barcellona, e Fermín Garzón, suo vice, Alicia Giménez-Bartlett ha creato una di quelle polarità essenziali che donano al racconto un movimento autonomo, una vita indipendente dallo stesso intreccio. La sensazione, alla lettura, è di una combinazione euforica di thriller e commedia senza perdita di leggerezza né di atrocità. In questo volume: "Il caso del lituano": l'omicidio del bell'immigrato dall'agiatezza sospetta; la morte orrenda del bullo da palestra; la strage delle quattro ragazze di una madame dal cuore tenero: tre rapide storiacce tenute assieme dallo squallore della periferia e dal continuo battibecco con cui Petra e Fermín cercano di arginare dalla loro vita il caos del mondo. "Nido vuoto": "La mia glock era sparita. Farsi rubare la pistola da una bambina, il colmo del ridicolo per un poliziotto". Inizia con la caccia un po' giocosa a una piccola ladra l'itinerario di Petra e Fermín in uno dei tanti inferni all'angolo della strada, dove convivono crimine e conformismo.

"Il silenzio dei chiostri": "Una delle indagini più inquietanti e complicate della nostra carriera". Petra e Fermín indagano sul simbolico omicidio di fra Cristóbal dello Spirito Santo venuto a restaurare la reliquia di un santo nel convento delle sorelle del Cuore Immacolato, e faticano a schivare gli illusionismi mascherati da soprannaturale.

Claudia

Il giorno in cui mia figlia impazzì Greenberg Michael

A quindici anni, Sally è una ragazzina solo un poco diversa da tutte le altre. La sua casa è a New York, nel cuore concitato e bohémien del Greenwich Village: ha un padre scrittore freelance che naviga a vista tra un lavoro e l'altro e una madre che vive lontana, sensibile al fascino della New Age. E poi la scuola, gli amici, la passione per la poesia coltivata nelle notti che sempre più spesso trascorre insonne nel loft di Bank Street, sola con i suoi libri e i suoi complicati pensieri. Nessuno lo può immaginare, ma quelle notti, quei pensieri febbrili che si fanno via via più intricati e difficili da governare, sono l'inizio di un viaggio precipitoso e terribile che, nel giro di pochissimo tempo, strapperà Sally al suo mondo e ai suoi affetti, per confinarla, delirante ed estranea perfino a se stessa, nella stanza del reparto psichiatrico di un grande ospedale. Disturbo bipolare, diranno i medici. Ma un'etichetta non basta a capire, se capire si può. E così il viaggio di Sally diventa quello di un padre che, di fronte al devastante mistero della malattia, decide di seguire la figlia fin dentro l'inferno: di clinica in clinica, di delusione in speranza, arrivando ad assumere i suoi stessi farmaci e a scavare nel fondo della propria fragile "normalità", pur di provare a salvarla.

Teresina

"Mi torna alla mente il passato con parvenza di intero, per un bisogno di appartenenza a qualcosa, che stasera mi spinge verso di esso, verso una provenienza." Questo breve ed

intenso primo libro di Erri De Luca porta già impressi in ogni frase - mi sembra - i segni di un vero scrittore: un tono di voce che appena si coglie diventa inconfondibile, e la integrità di uno sguardo che sa mettere nel giusto fuoco i pensieri e i sentimenti. Qui la memoria non è consolazione, ma è un dramma, e il tempo gioca un suo gioco crudele stabilendo distanze insormontabili tra chi narra e la materia del proprio racconto. Una luce bianca e densa come quella che filtra da nuvole alte bagna queste pagine. E' la luce in cui il protagonista de "Il posto delle fragole" di Bergman vedeva i propri genitori ancor giovani intenti a pescare con la canna sulle rive di un lago. Leggendo questo libro che rievoca i momenti di un'infanzia trascorsa a Napoli e per sempre scomparsa, ho ripensato a quell'immagine struggente che dice con assoluta e trasparente immediatezza il dolore per la vita che tutto cancella e ci rende estranei a noi stessi e al nostro passato.

Elda

La notte Wiesel Elie "Ciò che affermo è che questa testimonianza, che viene dopo tante altre e che descrive un abominio del quale potremmo credere che nulla ci è ormai sconosciuto, è tuttavia differente, singolare, unica. (...) Il ragazzo che ci racconta qui la sua storia era un eletto di Dio. Non viveva dal risveglio della sua coscienza che per Dio, nutrito di Talmud, desideroso di essere iniziato alla Cabala, consacrato all'Eterno. Abbiamo mai pensato a questa conseguenza di un orrore meno visibile, meno impressionante di altri abomini, ma tuttavia la peggiore di tutte per noi che possediamo la fede: la morte di Dio in quell'anima di bambino che scopre tutto a un tratto il male assoluto?" (dalla Prefazione di F. Mauriac)

Emanuela L.

Kate Klein ha superato la fatidica soglia dei trenta ed è una casalinga pentita. Quando, sette anni prima, giornalista alle prime armi dal cuore infranto, ha incontrato Ben Borowitz, consulente politico dall'aria paterna e rassicurante, non ci ha pensato due volte a sposarlo e a trasferirsi nella cittadina di Upchurch, nel Connecticut. Ma adesso, con tre bambini piccoli, il giro vita che non ne vuol sapere di diminuire e il marito che la trascura, Kate non ne può più. Snobbata dalle altre madri, impeccabili nei loro abiti taglia 42, si sente terribilmente sola: New York, il lavoro e i vecchi amici le mancano più che mai. Finché un giorno la tranquillità della cittadina è sconvolta dal misterioso omicidio di Kitty Cavanaugh, una delle supermamme...

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Stefano

Galeotto fu il collier Lidio Cerevelli è figlio unico di madre vedova. Un bravo ragazzo, finché alla festa organizzata al Circolo della Vela non arriva Helga: bella, disinibita e abbastanza ubriaca. Lirica, la severa madre di Lidio, abile e ricca imprenditrice dell'edilizia, ha vedute molto diverse. Suo figlio deve trovare una moglie "made in Italy", una ragazza come si deve. Magari la nipote del professor Eugeo Cerretti, Eufemia, un ottimo partito con un piccolo difetto: è brutta da far venire il mal di pancia solo a guardarla. Ma forse Lidio ha trovato il modo per uscire dalla trappola e realizzare tutti i suoi sogni: durante un sopralluogo per un lavoro di ristrutturazione, in un muro maestro scova un gruzzolo di monete d'oro, nascosto chissà da chi e chissà quando. Intorno a questo quintetto e al tesoro di Lidio, un travolgente coro di comprimari. A cominciare dalle due donne più belle del paese: Olghina, giovane sposa del potente professor Cerretti, che fa innamorare Avano Degiurati, direttore della Banca del Mandamento; e Anita, la moglie del muratore

Campesi, di cui si incapriccia Beppe Canizza, il focoso segretario della locale sezione del Partito. E poi l'Os de Mort, di professione "assistente contrario", cuochi e contrabbandieri, l'astuto prevosto e l'azzimato avvocato... Immancabili, a vigilare e indagare, i carabinieri guidati dal maresciallo Maccadò.

Davide C.

Il momento è delicato "C'era una parte poco frequentata delle edicole della stazione, quasi abbandonata, quella dei tascabili. Tra i libri accatastati, nascosti dietro un vetro, avvolti nella plastica e ricoperti di polvere cercavo le raccolte di racconti. Era un momento tutto mio, un piacere solitario e veloce perché il treno stava partendo. Studiavo un po' i disegni della copertina, pagavo e infilavo il libro in tasca. Appena mi sedevo al mio posto, gli strappavo la plastica che non lo faceva respirare. Aprivo una pagina a caso, trovavo l'inizio del racconto e attaccavo a leggere. Altre volte, invece, guardavo l'indice e sceglievo il titolo che mi ispirava di più. E mentre il treno mi portava via finivo su pianeti in cui c'è sempre la notte, su scale mobili che non finiscono mai e tra mogli che uccidono i mariti a colpi di cosciotti di agnello congelati. Quella era vera goduria. E spero che la stessa goduria la possa provare anche tu, caro lettore, leggendo questa raccolta di racconti che ho scritto durante gli ultimi vent'anni. C'è un po' di tutto. Non devi per forza leggerla in treno. Leggila dove ti pare e parti dall'inizio o aprendo a caso." (Niccolò Ammaniti)

Anna F.

Otel Bruni Valerio Massimo Manfredi I Bruni - Callisto, la Clerice, i loro figli, sette maschi e due femmine - e il loro regno: la cascina nella pianura emiliana, i campi coltivati con fatica, e la grande stalla, albergo e luogo in cui ci si riunisce per celebrare il rito della veglia nelle lunghe notti d'inverno, ascoltando le storie meravigliose di una tradizione millenaria. Come quella della capra d'oro, idolo demoniaco la cui apparizione è presagio di orribili sciagure... Da questo mondo antico, fatto di valori elementari ma fortissimi, di leggende ancestrali, di fatica immensa ma anche di certezze come il cibo, la casa, la solidarietà, tutti e sette i maschi dei Bruni partiranno per la Prima guerra, e la famiglia dovrà affrontare i lutti, il nuovo regime, un altro terribile conflitto e ancora la guerra civile, con le distruzioni e i cambiamenti che portano con sé. Con gli occhi di Floti, Gaetano, Armando, delle loro donne, dei loro fratelli, animi generosi e intelligenti, attraverso le vite dei Bruni, compiremo un viaggio straordinario che va dall'aia di casa fino a Bologna, dall'Africa alla Russia,

dal 1914 al '49, dall'inconsapevolezza alla capacità di lottare per i diritti dei più deboli, per una giustizia in cui credere fino all'ultimo. Fino a quando la solitudine, il fuoco, la storia non avranno compiuto il loro corso...

Marilena L.

Oxford, XII secolo. Nei sotterranei melmosi di una taverna riecheggia, indecifrabile, il bisbiglio cospiratorio di due uomini. Un assassino e il suo mandante. Per una tariffa fissa, il primo è disposto a uccidere chiunque: sovrani e bifolchi, donne e bambini. La sua fama lo precede in tutta Europa e lo pseudonimo con cui è conosciuto - Sicarius - è sinonimo di eccellenza. Come tutti i suoi clienti, anche questo si nasconde alla sua vista, dietro una tenda di velluto rosso che però non può camuffarne la voce, che il sicario si imprimerà nella mente. Come tutti i suoi clienti, anche questo si illude di lavarsi la coscienza commissionando a lui l'esecuzione di un delitto. A varie miglia di distanza una donna si cimenta con un parto. Far nascere bambini non è la sua specialità. Lei è esperta di cadaveri, di cui studia l'anatomia per risalire alle cause della morte. A dispetto dei pregiudizi popolari, non è una strega, ma un medico della dotta Scuola di Salerno. Il suo nome, Adelia Ortese Guilar, è famoso alla corte di Enrico II. Perciò quando l'amante prediletta del re muore avvelenata da mano misteriosa, ogni speranza di trovare la verità viene riposta in Adelia. C'è in gioco la pace stessa dell'Inghilterra...

Teresina

A dieci anni l'età si scrive per la prima volta con due cifre. È un salto in alto, in lungo e in largo, ma il corpo resta scarso di statura mentre la testa si precipita avanti. D'estate si concentra una fretta di crescere. Un uomo, cinquant'anni dopo, torna coi pensieri su una spiaggia dove gli accadde il necessario e pure l'abbondante. Le sue mani di allora, capaci di nuoto e non di difesa, imparano lo stupore del verbo mantenere, che è tenere per mano.

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Emanuela L.

Le luci di Settembre Carlos Ruiz Zafon Durante l'estate del 1937 Simone Sauvelle, rimasta all'improvviso vedova, abbandona Parigi assieme ai figli, Irene e Dorian, e si trasferisce in un piccolo paese sulla costa per sfuggire agli ingenti debiti accumulati dal marito. Trova lavoro come governante per il facoltoso fabbricante di giocattoli Lazarus Jann in una gigantesca magione chiamata Cravenmoore, dove l'uomo vive con la moglie malata. Tutto sembra andare per il meglio. Lazarus si dimostra un uomo gradevole, tratta con riguardo Simone e i figli, a cui mostra gli strani esseri meccanici che ha creato - e che sembrano avere vita propria - mentre Irene si innamora di Ismael, il cugino di Hannah, la cuoca della casa. Ma eventi macabri e strane apparizioni sconvolgono l'armonia di Cravenmoore: Hannah, viene trovata morta e una misteriosa ombra si impossessa della tenuta. Spetterà a Irene e Ismael lottare contro un nemico invisibile per salvare Simone e svelare l'oscuro segreto che avvolge la fabbrica dei giocattoli, un enigma che li unirà per sempre e li

trascinerà nella più emozionante delle avventure in un mondo labirintico di luci e ombre.

Erika & Andrea B.

Il profilo di Dante che ci guarda dalla copertina è il motore mobile di un thriller che di "infernale" ha molto. Il ritmo e poi il simbolismo acceso, e infine la complessità dei personaggi. Non è sorprendente che lo studioso di simbologia Robert Langdon sia un esperto di Dante. È naturale che al poeta fiorentino e alla visionarietà con cui tradusse la temperie della sua epoca tormentata il professore americano abbia dedicato studi e corsi universitari ad Harvard. È normale che a Firenze Robert Langdon sia di casa, che il David e piazza della Signoria, il giardino di Boboli e Palazzo Vecchio siano per lui uno sfondo familiare. Ma ora è tutto diverso, non c'è niente di normale. È un incubo e la sua conoscenza della città fin nei labirinti delle stradine, dei corridoi dei palazzi, dei passaggi segreti può aiutarlo a salvarsi la vita. Il Robert Langdon che si sveglia in una stanza d'ospedale, stordito, sedato, ferito alla testa, gli abiti insanguinati su una sedia, ricorda a stento il proprio nome, non capisce come sia arrivato a Firenze, chi abbia tentato di ucciderlo e perché i suoi inseguitori non sembrino affatto intenzionati a mollare il colpo. Barcollante, la mente invasa da apparizioni mostruose, il professore deve scappare. Aiutato solo dalla giovane dottoressa Sienna Brooks, soccorrevole, ma misteriosa come troppe persone e cose intorno a lui, deve scappare da tutti. Comincia una caccia all'uomo in cui schieramenti avversi si potrebbero ritrovare dalla stessa parte, in cui niente è quel che sembra.

Elda

È il novembre del 1918, e il mondo di Rosa Tiefenthaler è andato in frantumi. L'Impero austroungarico in cui è nata e vissuta non esiste più: con poche righe su un Trattato di pace la sua terra, il Sudtirolo, è passata all'Italia. "Il nostro cuore e la nostra mente rimarranno tedeschi in eterno", scrive Rosa sul suo diario. Colta e libera per il suo tempo, lo tiene da quasi vent'anni, dal giorno del suo matrimonio con l'amato Jakob. Mai avrebbe pensato di riversare nelle sue pagine una così brutale lacerazione. Ne seguiranno molte altre. In pochi anni l'avvento del fascismo cambia il suo destino. Cominciano le persecuzioni per lei e per la sua famiglia, colpevoli di voler difendere la loro lingua e la loro identità: saranno arrestati, incarcerati, mandati al confino. E Rosa assiste impotente al naufragio di tutte le sue certezze. Intorno a lei, troppi si lasciano sedurre da un sogno pericoloso che si sta affacciando sulla scena europea: quello della Germania nazista. Non potrà impedire che Hella, la figlia minore, sia presa nel vortice dell'ideologia fatale di Hitler. E presto dovrà affrontare la scelta impossibile tra l'oppressione e l'esilio. Nata austriaca, vissuta sotto l'Italia, morta all'ombra del Reich, Rosa è il simbolo dei tormenti di una terra di confine. Su quella frontiera è cresciuta Lilli Gruber, sua bisnipote, che oggi attinge alle parole del suo diario. E racconta una pagina di storia personale e collettiva in questo libro teso sul filo del ricordo.

Stanley è ancora un ragazzino, e si sente solo. Da quando il fratello è partito per la guerra, il padre non è più lo stesso. È freddo e distante. Eppure Stanley ha trovato un modo per essere di nuovo felice: prendersi cura dei suoi cani. Lui è l'unico che sa come comunicare con loro. Quando Soldier, un cucciolo dal pelo chiaro, sembra troppo fragile per sopravvivere, Stanley gli salva la vita. Qualcosa di speciale li unisce e i due diventano inseparabili. Ma il loro legame è destinato a spezzarsi: un giorno, all'improvviso, Soldier scompare. Per Stanley è una nuova ferita difficile da ricucire. Non gli rimane che una scelta: vestire la divisa dell'esercito inglese e partire per il fronte. Partire alla ricerca del fratello e cercare di riunire la sua famiglia. Grazie alla sua rara abilità nel capire i cani, viene assegnato al servizio dei cani messaggeri. Nell'orrore delle trincee del primo conflitto mondiale, la lealtà e il coraggio di questi animali salvano vite umane. Sono loro che giorno dopo giorno insegnano a Stanley a essere forte e a sopportare la violenza della guerra. Eppure lui non riesce ad affezionarsi veramente: il ricordo di Soldier fa ancora troppo male. Fino a quando non gli viene affidato Pistol che, come lui, non si fida più di nessuno. Grazie a questo cane Stanley rivive, per la prima volta, la forza dell'amicizia che lo legava a Soldier. Una sensazione che credeva di non riuscire più a provare.

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Camilla & Carla

In questo grande romanzo, tra i più importanti della letteratura francese, Victor Hugo riversa gran parte della sua esperienza umana e sociale, per costruire una storia di fatica, esilio, amore e povertà. Un'epopea della miseria e un imponente affresco d'epoca che, nella Parigi dell'800, vede protagonisti alcuni indimenticabili personaggi, come Jean Valjean, la solare Cosette, Fantine, il cupo ispettore Javert: anti-eroi ricchi di luci e ombre, capaci di gesti scellerati ma anche di azioni generose e commoventi. Una storia dal ritmo incalzante, magistrale e irripetibile per l'autenticità delle emozioni e per la complessità della trama narrativa.

Carla

Il profumo delle foglie di limone Spagna, Costa Blanca. Il sole è ancora molto caldo nonostante sia già settembre inoltrato. Per le strade non c'è nessuno, e l'aria è pervasa da un intenso profumo di limoni che arriva fino al mare. È qui che Sandra, trentenne in crisi, ha cercato rifugio: non ha un lavoro, è in rotta con i genitori, è incinta di un uomo che non è sicura di amare. È confusa e si sente sola, ed è alla disperata ricerca di una bussola per la sua vita. Fino al giorno in cui non incontra occhi comprensivi e gentili: si tratta di Fredrik e Karin Christensen, una coppia di amabili vecchietti. Sono come i nonni che non ha mai avuto. Momento dopo momento, le regalano una tenera amicizia, le presentano persone affascinanti, come Alberto, e la accolgono nella grande villa circondata da splendidi fiori. Un paradiso. Ma in realtà si tratta dell'inferno. Perché Fredrik e Karin sono criminali nazisti. Si sono distinti per la loro ferocia e ora, dietro il loro sguardo pacifico, covano il sogno di ricominciare. Lo sa bene Julian, scampato al campo di concentramento di Mathausen, che da giorni segue i loro movimenti passo dopo passo. Ora, forse, può smascherarli e Sandra è l'unica in grado di aiutarlo. Non è facile convincerla della verità. Eppure, dopo un primo momento di incredulità, la donna comincia a guardarli con occhi diversi. Adesso Sandra l'ha capito: lei e il suo piccolo rischiano molto. Ma non importa. Perché tutti devono sapere. Perché ciò che è successo non cada nell'oblio.

Ilaria & Francesca

Il linguaggio segreto dei fiori - Diffenbaugh Vanessa - Victoria ha paura del contatto fisico. Ha paura delle parole, le sue e quelle degli altri. Soprattutto, ha paura di amare e lasciarsi amare. C'è solo un posto in cui tutte le sue paure sfumano nel silenzio e nella pace: è il suo giardino segreto nel parco pubblico di Portero Hill, a San Francisco. I fiori, che ha piantato lei stessa in questo angolo sconosciuto della città, sono la sua casa. Il suo rifugio. La sua voce. È attraverso il loro linguaggio che Victoria comunica le sue emozioni più profonde. La lavanda per la diffidenza, il cardo per la misantropia, la rosa bianca per la solitudine. Perché Victoria non ha avuto una vita facile. Abbandonata in culla, ha passato l'infanzia saltando da una famiglia adottiva a un'altra. Fino all'incontro, drammatico e sconvolgente, con Elizabeth, l'unica vera madre che abbia mai avuto, la donna che le ha insegnato il linguaggio segreto dei fiori. E adesso, è proprio grazie a questo magico dono che Victoria ha preso in mano la sua vita: ha diciotto anni ormai, e lavora come fioraia. I suoi fiori sono tra i più richiesti della città, regalano la felicità e curano l'anima. Ma Victoria non ha ancora trovato il fiore in grado di rimarginare la sua ferita. Perché il suo cuore si porta dietro una colpa segreta. L'unico capace di estirparla è Grant, un ragazzo misterioso che sembra sapere tutto di lei. Solo lui può levare quel peso dal cuore di Victoria, come spine strappate a uno stelo. Solo lui può prendersi cura delle sue radici invisibili.

Ilaria

E' un romanzo sulla solitudine giovanile. Le cucine nuovissime e luccicanti o vecchie e vissute, che riempiono i sogni della protagonista Mikage, rimasta sola al mondo dopo la morte della nonna, rappresentano il calore di una famiglia sempre desiderata. Ma la grande trovata di Banana è che la famiglia si possa, non solo scegliere, ma inventare. Così il padre del giovane amico della protagonista Yuichi può diventare o rivelarsi madre e Mikage può eleggerli come propria famiglia, in un crescendo tragicomico di ambiguità. Con questo romanzo, e il breve racconto che lo chiude, Banana Yoshimoto si è imposta all'attenzione del pubblico italiano mostrando un'immagine del Giappone completamente sconosciuta agli occidentali, con un linguaggio assai fresco e originale che vuole essere una rielaborazione letteraria dello stile dei fumetti manga.

Ilaria

L'azione si svolge in un futuro prossimo del mondo (l'anno 1984) in cui il potere si concentra in tre immensi superstati: Oceania, Eurasia ed Estasia. Al vertice del potere politico in Oceania c'è il Grande Fratello, onnisciente e infallibile, che nessuno ha visto di persona ma di cui ovunque sono visibili grandi manifesti. Il Ministero della Verità, nel quale lavora il personaggio principale, Smith, ha il compito di censurare libri e giornali non in linea con la politica ufficiale, di alterare la storia e di ridurre le possibilità espressive della lingua. Per quanto sia tenuto sotto controllo da telecamere, Smith comincia a condurre un'esistenza "sovversiva". Scritto nel 1949, il libro è considerato una delle più lucide rappresentazioni del totalitarismo.

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Erika

Aut. Maria Grazia Silato Diciannove secoli prima di noi, una notte di primavera. Lassù, nella Fortezza di Masada stanno gli ultimi superstiti di una rivolta durata sette anni. Sono novecentosessanta. Giù, lungo l'ardente Mare di Sale, si stringe in armi la spietata Decima Legio Romana. Fino a ieri, per raggiungere la Fortezza esisteva solo il rischiosissimo "sentiero del Serpente". Era imprendibile, Masada. Ma i Romani hanno trovato una via. E all'alba sarà strage. Quali supplizi aspettano quei novecentosessanta, con le loro donne e i bambini? I ricordi vagano sulla libera vita d'un tempo, e poi l'invasione, Jerushalem distrutta, le crocifissioni a migliaia. È l'alba. Contro il cielo impallidito, emerge dalla muraglia l'elmo crestato di un centurione romano. L'uomo balza su, pronto alla strage. Ma non immagina ciò che i suoi occhi vedranno. Sulla fortezza nemmeno una voce. E oggi un altro uomo, che si chiama Michel, scruta le antiche rovine, decifra i fragili scritti. Chi erano veramente, quegli insorti? Perché una comunità di asceti, che noi chiamiamo

Esseni, visse nel deserto di Qumran, e nascose in undici caverne migliaia di Rotuli in pergamena dove è scritta una storia di cui nessuno sapeva più niente? Perché su una Làmina di rame sono elencati sessantaquattro nascondigli dove ancor oggi sarebbe sepolto un enorme tesoro? Perché il popolo di Jerushalem aveva accolto con entusiasmo un Galileo chiamato Jeshu? E perché quello stesso Galileo fu condannato a una morte straziante?

Elvira & Carlo

Le rane Tutti i bambini della regione di Gaomi sono venuti al mondo grazie alle cure e alla sapienza delle mani di Wan Xin, l'unica levatrice della zona. Il suo è un talento naturale che in breve tempo la trasforma nell'amata custode dei segreti della maternità. Ma quando, a metà degli anni Sessanta, il partito è preoccupato per l'esplosione demografica e decide di porvi rimedio, Wan Xin diventa la severa vestale della politica per il controllo delle nascite imposta dal regime e si applica a praticare aborti e vasectomie con lo stesso zelo con cui portava nel mondo nuove vite. Col passare degli anni la campagna per il controllo demografico acquista un carattere di violenza repressiva a cui la stessa Wan Xin non riesce a sottrarsi: in un drammatico inseguimento, una donna partorisce su di una zattera in mezzo al fiume pur di salvare la vita al figlio. Quando all'inizio degli anni Novanta, la stretta del regime si allenta, Wan Xin vede crollare i motivi e gli ideali in cui aveva creduto e con cui aveva messo a tacere la sua coscienza. Finché, in una drammatica notte, tornando a casa, si smarrisce in una zona paludosa: il gracidare delle rane le ricorda il pianto dei bambini mai nati, i corpi gelidi degli animali, come piccoli feti abortiti, la circondano, la ricoprono, spingendola a un ripensamento di tutta la sua vita.

Elvira & Carlo

La messa dell'uomo disarmato - Luisito Bianchi Luisito Bianchi scrive questo romanzo negli anni Settanta, rappresentando con i mezzi della letteratura un'esperienza per lui profonda e cruciale, seppur vissuta in giovanissima età: la Resistenza italiana. Nel 1989 - dopo una profonda revisione da parte dell'autore - gli stessi amici ne curano la prima pubblicazione, autofinanziata e ora esaurita. Il libro inizia così a diffondersi "da mano a mano, da amicizia ad amicizia", secondo le stesse parole dell'autore. L'editore Sironi, imbattutosi come tanti altri in quest'opera e convinto della sua forza, la propone ora al grande pubblico.

Roberto S.

I destini di cinque famiglie si intrecciano inesorabilmente attraverso due continenti sullo sfondo dei drammatici eventi scatenati dallo scoppio della Prima guerra mondiale e dalla Rivoluzione russa. Tutto ha inizio nel 1911, il giorno dell'incoronazione di Giorgio V nell'abbazia di Westminster a Londra. Quello stesso 22 giugno ad Aberowen, in Galles, Billy Williams compie tredici anni e inizia a lavorare in miniera. La sua vita sembrerebbe segnata. Amore e inimicizia legano la sua famiglia agli aristocratici Fitzherbert, proprietari della miniera e tra le famiglie più ricche d'Inghilterra. Lady Maud Fitzherbert, appassionata e battagliera sostenitrice del diritto di voto alle donne, si innamora dell'affascinante Walter von Ulrich, spia tedesca all'ambasciata di Londra. Le loro strade incrociano quella di Gus Dewar, giovane assistente del presidente americano Wilson. Ed è proprio in America che due orfani russi, i fratelli Grigorij e Lev Peskov, progettano di emigrare, ostacolati però dallo scoppio della guerra e della rivoluzione. Dalle miniere di carbone ai candelabri scintillanti di palazzi sontuosi, dai corridoi della politica alle alcove dei potenti, da Washington a San Pietroburgo, da Londra a Parigi il racconto si muove incessantemente fra drammi nascosti e intrighi internazionali. Ne sono protagonisti ricchi aristocratici, poveri ambiziosi, donne coraggiose e volitive e sopra tutto e tutti le conseguenze della guerra per chi la fa e per chi resta a casa.

Roberto S.

La storia è ambientata nel mondo dell’ingegneria genetica, la protagonista è una ricercatrice universitaria di nome Jeannie Ferrami. Nella sua vita si incapperà in una ricerca molto particolare, dovrà scoprire il comportamento dei gemelli omozigoti separati alla nascita e vissuti in famiglie diverse. La sua ricerca porterà a strane situazioni, alcune delle quali molto pericolose.

Lei è una ragazza bella ed atletica ed un giorno conoscerà Steve, uno dei tanti gemelli che sta studiando. Comincerà a frequentarlo anche al di fuori dell’ambiente scientifico, ma per alcune strane coincidenze lui verrà messo in carcere. Jeannie per poter salvare il suo innamorato dovrà chiedere aiuto a molte persone, una di queste è proprio Lisa, una sua amica che non molto tempo prima ha subito uno stupro. Una storia piena di intrighi scientifici, militari e d'amore che porterà ad un finale esaltante, assolutamente da non perdere!

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Angolo della solidarità Ornello Barollo

Come da diversi anni a questa parte, anche quest'anno i nostri soci si

sono adoperati per raccogliere dei contributi per finanziare alcuni

progetti di solidarietà.

In particolare abbiamo sostenuto due adozioni a distanza,in

Bangladesh con le Suore dell'Immacolata (PIME) di Monza, in memoria

dei nostri soci deceduti,

Le bambine adottate si chiamano Maria Goretti Sangma e Chameli Marilin Sangma.

Di seguito troverete la loro foto ed una breve descrizione della loro vita inviateci da Suor

Annamaria Panza, nostra referente in Bangladesh.

Un altro progetto che riusciamo a finanziare, in collaborazione con l'Associazione “TAGME”

di Lecco, è la realizzazione di una scuola nelle isole Bijagos – Guinea Bissau – e la

sistemazione di alcuni ambienti della parrocchia amministrata da Padre Roberto Donghi.

Anche per questo progetto di seguito troverete la descrizione, la modalità, l'entità, i

referenti e le persone che lo realizzerano.

A tal proposito voglio ricordare l'incontro che abbiamo avuto a Taccona con Padre Roberto

(rientrato in Italia per pochi giorni per il “congressino” del PIME svoltosi a Milano nel mese

di maggio) lo scorso 11 Giugno durante una cena con la partecipazione di diversi soci.

Durante la serata P. Roby ci ha descritto come si svolge la sua missione, ha illustrato le

difficoltà da superare, i problemi sociali, politici, religiosi di quello stato.

Ha riaffermato l'importanza della presenza della missione in questo angolo di mondo che

malgrado le avversità è uno posto incantevole. E' la stessa missione dove è stato per diversi

anni anche P. Jaime, attualmente vice rettore ed economo del Pime di Monza.

La scuola e la formazione degli insegnanti sono tra le cose più importanti da realizzare; lo

stato non stanzia finanziamenti per l'istruzione.

Ci ha anche suggerito come aiutare la missione, non solo economicamente, ma anche con la

presa di coscienza di queste realtà.

Un grazie a tutti i soci per la generosità e la condivisione che ci permettono l'amicizia con

persone vicine e lontane.

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Manutenzione straordinaria della struttura missionaria di Bubaque L’associazione

“Tagme – Diamoci da fare”, in collaborazione con

Padre Roberto Donghi e Padre Davide Simionato, missionari del PIME (Pontificio Istituto Missioni

Estere) in Guinea Bissau, intende sostenere il progetto di ristrutturazione del centro missionario di Bubaque. L’iniziativa nasce dalla necessità di offrire ai sempre più numerosi giovani che fanno riferimento alla

comunità alcuni spazi per le diverse attività, oltre a servizi igienici adeguati e nuovi locali con funzione di magazzino.

Opere previste:

1. Abbattimento della vecchia struttura in mattoni di fango 2. Realizzazione di nuovi spazi atti ad ospitare attività di vario genere: biblioteca e

sala informatica, con fornitura di materiale didattico e informatico 3. Adeguamento dei servizi igienici agli standard sanitari: ristrutturazione dei bagni e costruzione di docce e fossa biologica

4. Realizzazione di piccoli locali con funzione di magazzino 5. Installazione di un nuovo impianto di distribuzione elettrica con energia derivante

da pannelli solari e da gruppo elettrogeno per avere elettricità durante tutto l’arco della giornata

Cosa chiediamo: Per la realizzazione delle opere progettate è stato preventivato un costo complessivo di circa € 70.000. La nostra associazione cofinanzierà il

progetto per un importo pari a € 27.000, tramite raccolta di fondi e materiali da utilizzare.

Beneficiari Il progetto è finalizzato ad aiutare la comunità missionaria di Bubaque

nel suo servizio di formazione umana, intellettuale, professionale e cristiana rivolto alle diverse realtà dell’arcipelago di Bijagos (circa 3000 persone suddivise in 20

villaggi presenti su 6 isole). Una particolare attenzione è rivolta alla formazione dei giovani studenti di Bubaque. La comunità locale garantirà il corretto uso delle strutture e la loro manutenzione

ordinaria.

Tempistica Il progetto prenderà avvio nel mese di novembre 2013. Per questo motivo e considerando i tempi di trasporto il container con i materiali raccolti in

partenza nel mese di ottobre. ASSOCIAZIONE “TAGME - DIAMOCI DA FARE” cf:

92054290132 - Via Montebello n. 56 23900 Lecco (LC) –

IBAN: IT39 T052 1651 0000 0000 0005 454 Cre.Val. mail: [email protected] - tel:

335.7568597 I lavori in questione verranno

supervisionati da alcuni volontari italiani e da manodopera locale, oltre che

dai referenti della comunità.

Responsabile (e nostro referente) in loco: Padre

Roberto Donghi, missionario del PIME originario di Lecco.

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Contesto: La Guinea Bissau si trova nel nord-ovest dell’Africa ed è tra i 6 Paesi più

poveri del mondo, ha una mortalità infantile pari al 102 per mille e una speranza di vita

di 47 anni. L’analfabetismo raggiunge il 58% degli adulti, il 72% dei quali sono donne.

Solo il 2% della popolazione rurale e il 30% della popolazione urbana hanno accesso all'acqua e a latrine igienicamente

soddisfacenti (Unicef, 2000). Le risorse del Paese sono essenzialmente agricole, la

percentuale della terra coltivata è l’8% e l’80% della popolazione vive nelle aree rurali.

Nell’oceano Atlantico, di fronte alle coste della Guinea-Bissau, si estende l’arcipelago delle Bijagos. L’isola di Bubaque è una

delle 80 isole dell’arcipelago, considerato un luogo di incantevole bellezza tanto da essere classificato dall’UNESCO come uno dei luoghi di riserva della biosfera e quindi protetto. Le isole non hanno collegamenti aerei o marittimi con la

terraferma; per raggiungerle è necessario affidarsi a imbarcazioni a motore e navigare per ore fra le correnti dell’oceano. Sono 25.000 gli abitanti sparsi in

questo vasto territorio e il compito dei missionari del PIME è quello di raggiungere gli sperduti villaggi e le Comunità Bijagos, portando avanti un lavoro sociale nell'ambito della scuola, della salute, dell'agricoltura, annunciando così il Vangelo.

L'isola di Bubaque è il punto di riferimento a livello amministrativo e di comunità cristiana per tutto l’arcipelago. Nell'isola c'è l'unico ospedale (senza medico), il

liceo, alcune attività commerciali e la sede principale della missione del PIME. Il Presidente Giorgio Panzeri