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Francesco Mannino – Marco Mannino – Daniele F. Maras (a cura di) Theodor Mommsen e il Lazio antico Giornata di Studi in memoria dell’illustre storico, epigrafista e giurista (Terracina, Sala Valadier, 3 aprile 2004) «LʼERMA» di BRETSCHNEIDER

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Francesco Mannino – Marco Mannino – Daniele F. Maras (a cura di)

Theodor Mommsen e il Lazio anticoGiornata di Studi in memoria

dell’illustre storico, epigrafista e giurista

(Terracina, Sala Valadier, 3 aprile 2004)

«LʼERMA» di BRETSCHNEIDER

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Theodor Mommsen e il Lazio anticoGiornata di Studi in memoria dell'illustre

storico, epigrafista e giurista(Terracina, Sala Valladier, 3 aprile 2004)

A cura di

Francesco Mannino, Marco Mannino, Daniele F. Maras

© Copyright 2009 «LʼERMA» di BRETSCHNEIDERVia Cassiodoro, 19 - 00193 Roma

http://www.lerma.it

Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzionedi testi e illustrazioni senza il permesso scritto dellʼEditore.

Theodor Mommsen e il Lazio antico : giornata di studi in memoria dell’illustre storico, epigrafista e giurista : (Terracina, Sala Valadier, 3 aprile 2004) / a cura di F. Mannino, M. Mannino, D.F. Maras. - Roma : «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER, 2009. - 192 p., [2] c. di tav. ripieg. : ill. ; 25 cm. (Studia archaeologica ; 172)

ISBN 978-88-8265-484-9

CDD 21. 471.1

1.Mommsen, Theodor – Congressi – Terracina – 20042.Iscrizioni latine – LazioI. Mannino, Francesco II. Mannino, Marco III. Maras, Daniele F

Volume stampato con il contributo dellaSocietà per la Storia Patria della Provincia di Latina

e dellaProvincia di Latina

Copertina: «LʼErma» di Bretschneider. Da Georg Hoefnagel (Anversa, 1542-1600), Terracina, 1578 ca. (bulino, mm 330×426),

da Civitates Orbis Terrarum, Colonia 1572-1617, III, 1581

Progetto grafico e composizione del volume: Massimiliano Maras

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IntroduzIone di Francesco MannIno ................................................................................ p. 7

MarIo Mazza«Das Rasiermesser»: (brevi) note su Theodor Mommsen, la Altertumswissenschaft tedesca e l’antiquaria italiana nell’Ottocento ................................................................... » 11

MIka kajavaMommsen come epigrafista .............................................................................................. » 33

GIulIano crIFòQualcosa su Mommsen .................................................................................................... » 43

Francesco MannInoRitratto di persona .......................................................................................................... » 49

sIlvIa orlandIPirro Ligorio, Mommsen e alcuni documenti epigrafici del Latium adiectum.............. » 55

GIovannI PesIrITheodor Mommsen epigrafista e le comunità locali: il caso di Fondi ............................... » 63

MassIMIlIano dI FazIo«Una bizzarra concatenazione di circostanze». Mommsen, Fondi e le vicende della tessera hospitalis CIL I2, 611 ................................................................................. » 89

danIele F. MarasNovità sulla diffusione dell’alfabeto latino nel Lazio arcaico ........................................... » 105

PIetro lonGoIscrizioni edite e inedite da Gaeta ..................................................................................... » 119

Marco MannInoIl sepolcro di L. Domitius Phaon: storia e diritto tra epigrafia e archeologia ................ » 151

Sommario

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6 Theodor Mommsen e il Lazio antico

aPPendIce di ascanIo d’andrea Per un Sistema Informativo Geografico dell’agro fondano: tra epigrafia e topografia p. 166

claudIa cencISu due iscrizioni della cattedrale di S. Cesareo a Terracina ............................................. » 175

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«Una bizzarra concatenazione di circostanze» MoMMsen, Fondi e le vicende della tessera hospitalis Cil i2, 611

Massimiliano Di Fazio

Questo contributo1 è dedicato ad una vicenda che ha come protagonisti un notevole documento dell’antichità ed una serie di personaggi più o meno illustri. le informazioni di cui disponiamo si sono accresciute in maniera inaspettata negli ultimi anni, ma sembrano portare a conclusioni divergenti. nell’attesa di poter risolvere questa aporia, si presentano qui i fatti in quella che appare la concatenazione più lineare, e si prospettano alcuni problemi che per ora non sembra-no trovare una soluzione accettabile.

1. Il documento

Il documento intorno al quale ruota la vicenda (fig. 1) è un frammento di bronzo (lungh. cm 6 × largh. cm 3,5) a forma di testa di pesce, dettagliato solo su un lato con occhio e squame; l’altro lato, liscio, reca la seguente iscrizione (irNl 4139 = Cil i, 532 = i2, 611, add., p. 918 = X, 6231 = ils 6093 = illrp 1068):

[Consc]riptes co(n)se(nsu) t. Fa[--- praifectiet p]raifectura tot[a Fundi hospitium]fecere qúom ti. C[laudio.?i]n eius fidem om[nes nos tradimus et]covenumis co[…M. Claudio M. f. [… co(n)s(ulibus)]

il testo e la forma dell’oggetto non lasciano dubbi quanto alla sua natura di tessera hospitalis2, destinata a sancire un patto tra una praifectura ed un patronus, i cui nomi dovevano essere indica-ti nella parte di testo mancante. dal punto di vista cronologico, Mommsen aveva dapprima pro-

1 Mi è gradito ringraziare, scientificamente e personalmente, Gian Luca Gregori e Marco Buonocore per l’impagabile aiuto offertomi.

2 il testo più esauriente sul tema delle tesserae hospitales è ancora quello del dizionario del de ruggiero (marchettI 1962, che però parla del nostro esemplare come di un “pesce d’oro” [!] confondendo aereus con

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posto una datazione che ne faceva addirittura uno degli incunaboli dell’epigrafia latina3, salvo poi nel Cil dare come indicazione di massima “inter a.U.c. 532 et 602”. di recente, pressoché tutti gli studiosi hanno privilegiato proprio una datazione agli inizi del ii secolo a.c., notando forti analogie col senatusconsultum de Bacchanalibus, col quale condividerebbe un linguaggio volu-tamente arcaizzante4. il riferimento al consolato di un M. Claudius M.f. riporta ad una precisa serie di anni, delimitabile ulteriormente in un periodo compreso tra il 222 ed il 152 a.c.5. Ma le possibilità di maggiore precisione passano necessariamente anche attraverso la definizione del contesto storico di riferimento, su cui torneremo.

2. I personaggI

Il primo personaggio della nostra storia è Giulio Minervini (1819-1891). Il “rappresentante maggiore della nuova fase dell’archeologia napoletana della metà dell’ottocento”6 presenta-va nel 1845 sul Bullettino archeologico Napoletano7 l’oggetto in questione, che era conservato a napoli presso il noto antiquario raffaele barone8. Già per Minervini era chiara la funzione di

aureus); per un intervento più recente, cfr. BrIquel 2006, dedicato però soprattutto agli esemplari preromani. Una panoramica recente sul concetto di hospitium è offerta da BalBín chamorro 2006.

3 mommsen 1846, c. 329: “eines der ältesten und schwierigsten Monumente der lateinischen Epigraphik“.4 FreI-stolBa 1986; lo cascIo 2002, n. 37; storchI marIno 2002, p. 29. il raffronto col senatusconsultum era

proposto già da mInervInI 1845, p. 92. 5 Più precisamente ad uno dei seguenti anni (ovviamente tutti a.C.): 222, 215, 214, 210, 208, 198, 183, 166,

155, 152: cfr. Cil i2, add., p. 918; humBert 1978, p. 394. Un claudio al consolato è noto anche negli anni 331, 287, 51 (FreI-stolBa 1986, p. 196), ma si possono scartare almeno la data più bassa e la più alta, improponibili per troppi motivi.

6 Buonocore 2007b, p. 120. su Minervini ed il suo ambiente culturale cfr. scatozza hörIcht 1987, pp. 847-863; ulteriori indicazioni in Buonocore 2007b, p. 120, n. 6.

7 mInervInI 1845.8 la cui collezione qualche anno dopo lo stesso Minervini pubblicherà in volume (mInervInI 1850, in cui

non vi è menzione della tessera, che nel frattempo non era più nelle mani di Barone, come vedremo). Raffaele

Fig. 1 – la tessera hospitalis fondana (da FreI-stolBa 1986).

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tessera hospitalis, ma rimaneva all’allora giovane studioso il cruccio di non poter spingere oltre l’interpretazione, in mancanza di notizie sulla provenienza dell’oggetto.

A pochi mesi di distanza compare in scena il secondo personaggio: Francesco Saverio Cre-monese (1805-1892), Ispettore onorario degli scavi e socio corrispondente dell’Istituto Arche-ologico Germanico9. La figura di Cremonese è legata a due pezzi di eccezionale importanza rinvenuti nel territorio molisano in quegli anni: la celeberrima Tavola di Agnone nel 184810, e l’altrettanto celebre busto bronzeo da San Giovanni Lipioni nel 184711. in una lettera del dicem-bre 1845, quando tra l’altro era al termine del suo mandato di sindaco, cremonese scrive al Minervini che il frammento di tessera ospitale, pubblicato dallo studioso napoletano solo pochi mesi prima, “è stato scoverto nel territorio di Fondi in Provincia di terra di lavoro”12. il testo della lettera non lascia spazio ad equivoci: un ‘ramiere’ di Agnone, interrogato dallo stesso cremonese per “eliminare ogni dubbiezza”, lo avrebbe acquistato da un contadino di Fondi, dove si recava per affari, e poi rivenduto ad un orafo agnonese (di cui non si fa nome), il quale lo avrebbe poi a sua volta venduto all’antiquario napoletano raffaele barone, salvo poi farselo restituire poco dopo.

Nel 1846 è la volta del più celebre tra gli attori della vicenda: Theodor Mommsen. Lo stu-dioso tedesco durante un suo viaggio nel Meridione va alla ricerca dell’oggetto, che però non è più in possesso di Barone; dopo una serie di indagini, Mommsen riesce a sapere che per una misteriosa “wunderliche Verkettung von Umständen” la tessera era tornata nelle mani di “eines miserablen Anticaglienkrämers” di Agnone, dove ebbe finalmente modo di esaminarla13. vani furono i tentativi di acquistare il pezzo da parte del compagno di viaggio di Mommsen, e.J.th. Friedländer, che in quegli anni era collaboratore del Gabinetto reale di monete di Berlino14. in base a notizie raccolte oralmente da ambienti antiquari (dallo stesso Minervini?), Mommsen indica perentoriamente la provenienza da Fondi (“der Fundort der Tafel […] ist Fondi”)15, e di conseguenza propone una integrazione del testo che conflurà poi nei vari corpora ed è tutt’oggi grossomodo accettata16.

barone è tra l’altro eponimo del celebre lebete bronzeo di provenienza capuana, oggi conservato presso il bri-tish Museum. Sulla sua figura cfr. tromBetta 1991, pp. 349-350.

9 Sulla figura di Cremonese cfr. del tutto palma 1996, pp. 287-289; Buonocore 2007b, che pubblica il testo della lettera al Minervini (pp. 124-125).

10 cremonese 1848; sulle vicende della Tavola, cfr. del tutto palma 1996.11 cfr. colonna 1996a, pp. 48-49, e Buonocore 2007b, con bibliografia precedente.12 il centro del basso lazio fu effettivamente sede di prefettura (Fest. 262 L.; cfr. humBert 1978, p. 356 ss.;

Knapp 1980, pp. 29-31); ma Festo, come sappiamo, riporta un elenco di città che ebbero il rango di prefettura, e Fondi era solo una di queste.

13 mommsen 1846 (scritto a Sorrento nell’agosto 1846). Sui rapporti epistolari tra Minervini e Mommsen, avviati proprio nel 1846, e progressivamente deterioratisi, cfr. Buonocore 2003, p. 11 ss.; russI 2004.

14 cfr. BarBanera 1998, p. 202; Buonocore 2003, p. 47, n. 80.15 La stessa provenienza è ribadita in una lettera scritta ad Henzen il 14/5/1846 da Popoli (PE), nella quale

Mommsen aggiunge una nota di colore: “Gott weiß wie er in diesen Winkel gerathen sein mag” (“Dio sa come può essere finito in questo cantuccio”). Il documento è conservato presso l’Archivio del Deutsches Archäologi-sches Institut di Roma; ringrazio vivamente il dott. Thomas Fröhlich per avermene fornito copia.

16 FreI-stolBa 1986; storchI marIno 2002, pp. 27-30. la lettura mommseniana del 1846 differisce da quella che verrà accolta nel Cil solo per la t del prenome al primo rigo, che nella prima lettura era i. al rigo 5, poi, lo stesso Mommsen avrà un successivo ripensamento rispetto all’ipotesi iniziale di integrare co[ptamus eum patro-num], perché cooptari sarebbe entrato in uso solo con Augusto: mommsen 1903, p. 238, n. 4. dubbi su alcune lette-re sono sollevati da Wachter (1986, p. 395), che considera poco chiara la t. di titi al r. 1 (così già e. lommatzsch,

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Il nuovo personaggio che occupa la scena a questo punto è il conte Giovanni Maria d’Ales-sandro (1824-1910)17, che ospitò lo stesso Mommsen presso il suo castello a Pescolanciano, vici-no agnone, proprio negli anni 1846-184718. in quegli anni, il circondario di agnone cominciava a vivere un periodo di grande fermento archeologico. nel 1840 il celebre domenicano raimondo Guarini (1765-1852) aveva portato l’attenzione della comunità scientifica sulle presenze archeo-logiche nel limitrofo territorio di Pietrabbondante19; negli anni successivi si succedono numero-se pubblicazioni da cui si evince un’attività piuttosto intensa20, che si concretizza qualche anno dopo (1857) nei primi scavi borbonici nell’area del santuario. In questo contesto si colloca l’ope-ra del conte d’alessandro, che per il suo interesse nei confronti dell’archeologia era stato nomi-nato dal Re di Napoli ‘Ispettore degli Scavi di Pietrabbondante’, e fungeva in qualche modo da responsabile delle attività archeologiche per l’area, come si evince dalle interessanti carte del suo archivio21. In veste di ‘Ispettore’, il conte ha modo di segnalare all’autorità della Casa Reale numerosi personaggi locali dediti a fare commercio di monete e di altri oggetti di antichità22, ponendosi anche in diversi casi come tramite fra l’autorità centrale ed i ‘notati’. Questi ‘notati’ erano di due categorie: semplici contadini che rinvenivano gli oggetti, e commercianti locali che acquistavano dai contadini per poi vendere a loro volta ad antiquari non locali: tra questi, è importante segnalare proprio quel raffaele barone di napoli che abbiamo menzionato all’inizio della vicenda come possessore temporaneo della nostra tessera23. tra i commercianti locali, uno dei più attivi era tal Leonardo (o Lonardo) Manoppella, orafo di Agnone, ‘pizzicato’ più volte a ricettare antichità. nell’ottobre del 1859 Manoppella consegna all’architetto di casa reale, cav. Gaetano Genovese24, una quantità di materiali in suo possesso, di cui l’archivio d’alessandro ha conservato elenco; tra questi spicca un pezzo contenuto nel sacchetto numero 9: “Bronzo. Testa di pesce con iscrizione”25. dopo una valutazione di questi materiali da parte di una commis-sione antichità e belle arti, che non ritenne opportuno acquistarli per il real Museo borbonico, i pezzi furono restituiti al Manoppella nell’aprile del 186026. evidentemente non si può essere certi dell’identità tra la nostra tessera e la “testa di pesce con iscrizione” posseduta dal Manop-pella; ma è altrettanto evidente che sarebbe una ben curiosa coincidenza, che a distanza di dieci anni nello stesso luogo (Agnone) fossero presenti due diversi oggetti a forma di testa di pesce con iscrizione. Vi sarebbero forse sufficienti elementi per sospettare che lo ‘Anticaglienkrämer’

in Cil i2, 611), ma soprattutto dubita della C della terza riga, che in effetti neanche Minervini aveva inserito nella sua trascrizione: tuttavia una serie di considerazioni inducono a ritenere valida la lettura mommseniana C[laudio] (cfr. storchI marIno 2002, p. 28, n. 39).

17 dI IorIo 1991 e Id. 1999.18 il soggiorno molisano di Mommsen dovette suscitare una certa eco, tanto da originare la leggenda

secondo cui lo studioso tedesco era stato rapito dai briganti che infestavano la zona (lallI 1987, p. 203).19 guarInI 1840. cfr. th. mommsen, in Cil iX-X, pp. Xliii-Xliv.20 ruggIero 1888, p. 614 ss. rimando all’antologia raccolta in dI IorIo 2005.21 dI IorIo 1991. cfr. anche ruggIero 1888, p. 614 ss.22 colonna 1977, p. 79.23 ruggIero 1888, p. 627; colonna 1977, p. 79; dI IorIo 1991, p. 31.24 Genovese fu architetto della Soprintendenza generale degli Scavi del Regno tra il 1852 ed il 1862: paga-

no, prIscIandaro 2006, i, p. 292.25 dI IorIo 1991, p. 49. 26 dI IorIo 1991, pp. 54-56. la restituzione non può destare eccessivo stupore, considerando che proprio

negli stessi anni (turbolenti, peraltro!) affluivano al Real Museo materiali da Capua, Nocera, Canosa ed altri siti ‘à la page’.

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di agnone fosse proprio Manoppella, il quale dopo aver ceduto temporaneamente il pezzo a Raffaele Barone (che, come abbiamo visto, aveva in effetti commerci con la zona) se lo fece restituire. Ma lo stesso Manoppella dichiara che i pezzi in suo possesso erano stati acquistati “parte piccola […] da naturali [scil. contadini] di Pietrabbondante […], e la rimanente gran parte sia di monete d’argento o rame, che di oggetti vari da naturali de’ circostanti paesi”27: anche la “testa di pesce” doveva dunque far parte della notevole quantità di oggetti che in quegli anni venivano estratti da scavi abusivi nel circondario di Pietrabbondante, e di cui l’archivio d’ales-sandro rende idea28. a questo punto però, scartando la possibilità che Manoppella intendesse Fondi come uno dei “circostanti paesi”, il che francamente appare difficile, si prospetta un bivio: o Manoppella mente, oppure è cremonese a fuorviare Minervini e di conseguenza Mommsen. ritorneremo su questo punto cruciale.

da qui in poi, le vicende antiquarie della tessera si seguono solo a sprazzi. nel 1886 il nobi-le napoletano Ferdinando colonna di stigliano29 segnala a Giuseppe Fiorelli, allora Direttore Generale per le Antichità Belle Arti, che il pezzo è possesso di un avvocato e negoziante di anti-chità di Napoli, Ascanio Siniscalchi: “ho tentato ogni mezzo per farlo entrare nel Museo Nazio-nale di Napoli a far parte della collezione epigrafica dell’Istituto; ma prevalendo naturalmente in persone dedite al negozio l’amore al danaro più che l’amore alla scienza, non han ceduto alle mie pratiche”30. siniscalchi preferisce vendere per la somma di 100 lire ad un noto commercian-te di Francoforte, leo Hamburger31, di passaggio a napoli lungo un viaggio in sicilia proprio allo scopo di acquistare oggetti di suo interesse. nel 1895 Felice barnabei, pubblicando un altro esemplare da trasacco, lamenta il fatto che della tessera edita dal Mommsen non vi fossero più

27 dI IorIo 1991, p. 48.28 Ritengo di poter escludere una identificazione del pezzo posseduto da Manoppella con un altro oggetto

bronzeo con iscrizione che in quegli stessi anni circolava a Napoli, e che fu descritto da Helbig (1881, p. 150) e da dressel (Cil i2, 828 = X, 8072,12). Questo pezzo aveva forma di delfino (come altri due esemplari noti in Spagna: Cil i2, 2825, add., p. 1109; ae 1999, p. 921), ed era stato acquistato a Napoli, insieme ad altri pezzi di provenienza campana, dal noto collezionista alfred bourguignon (su cui cfr. BellellI 2006, pp. 23-24 e 29). Ma una figura di delfino intero non corrisponde alla pur sintetica descrizione dell’oggetto in possesso di Manop-pella (“Testa di pesce”), mentre l’esemplare ‘fondano’ ha proprio questa forma (nonostante la svista di E. lom-matzsch, ad Cil i2, 828, add., p. 356: “Fundana quoque tessera n. 6231 delphini formam habet”; cfr. invece la chiara descrizione di th. mommsen, ad Cil X, 6231: “piscis aereus crassus, cuius apparent oculus et squama; deest prima pars capitis et pars posterior tota”).

29 Ferdinando Colonna (1837-1907) era un cultore di antichità: fu autore di diverse pubblicazioni sugli scavi napoletani, e di una guida al museo civico di napoli, e venne nominato ispettore degli scavi e dei monu-menti antichi del Circondario di Napoli; tra l’altro, pare essere stato in rapporti epistolari con lo stesso Miner-vini (cfr. Buonocore 2004, pp. 78-79). I Colonna del ramo di Stigliano sono gli eredi dei Colonna di Paliano, che nel corso del Xvi secolo avevano dominio sul territorio di Fondi. nel XiX secolo avevano ancora possedimenti in zona, in cui ebbero tra l’altro licenza di effettuare scavi archeologici (si veda archivio centrale dello stato, AA.BB.AA., III Vers., 2° parte, B.20,49,5).

30 archivio centrale dello stato, aa.bb.aa., iii vers., 2° parte, b.20,49,5. cfr. anche amante, BIanchI 1903, pp. 36-37. va sottolineato che Ferdinando colonna fornisce nella lettera una sua trascrizione della tessera, che si discosta minimamente da quella di Mommsen (2° r., (p)raefectura in luogo di (p)raifectura), il che potrebbe avvalorarne la correttezza (qualora ce ne fosse bisogno, ma cfr. nota 6). D’altro canto, il Principe conosceva la lettura mommseniana, e ne potrebbe essere stato influenzato.

31 Leopold Hamburger (1836-1902) aveva fondato nel 1863 una importante casa d’aste specializzata in monete antiche, la cui attività venne poi proseguita dal figlio Joseph e dal cugino Leo. Gli Hamburger avevano a napoli come riferimento un altro noto antiquario, ercole canessa.

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notizie32. Infine, dopo altri movimenti a noi ignoti, la tessera entra in possesso del celebre lingui-sta svizzero Robert von Planta (1864-1937)33; alla sua morte, gli eredi donano la collezione dello studioso al Rätisches Museum di Chur (Coira, Svizzera), dove ancora oggi è conservata34.

3. I proBlemI

Gli studiosi che hanno preso in considerazione la tessera hanno sostanzialmente accettato la provenienza da Fondi, seguendo l’indicazione di Mommsen35, cui è generalmente riconosciuta una grande capacità di muoversi negli ambienti degli eruditi ed antiquari italiani36. Questo nonostante il fatto che l’unico motivo concreto per collegare la tessera a Fondi fosse la sua auc-toritas, dal momento che la lettera di cremonese è stata pubblicata solo nel 2007, e Mommsen non specificava da dove traesse la certezza della provenienza fondana. Ma dal racconto delle vicende antiquarie emerge qualche dubbio sulla provenienza della tessera. se cremonese (e di conseguenza Mommsen) non esita nell’indicare il luogo del rinvenimento in Fondi, un oggetto probabilmente identico al nostro faceva parte di un lotto di materiali acquistati da contadini del circondario di Pietrabbondante. in realtà, venendo a cadere l’elemento “intruso” della vicenda, ovvero la provenienza fondana, la storia della tessera rientrerebbe nella norma. vicende molto simili caratterizzarono ad esempio la ben più celebre “tavola di agnone”37.

in effetti, se l’unica fonte per noi fosse Mommsen, sarebbe possibile individuare una solu-zione alternativa: nel territorio di Pietrabbondante, a poche centinaia di metri dal santuario-te-atro, le carte dell’Istituto Geografico Militare attestano i due toponimi “Borgo Funti” e “Vallone Funti”, ridotto a “Funti” nelle mappe catastali38. Mommsen avrebbe dunque potuto equivocare

32 BarnaBeI 1891, p. 91.33 Sulla figura di von Planta si rinvia alla bibliografia citata in FreI-stolBa 1986, p. 194, n. 6. la Frei-stolba

(1986, p. 193) ipotizza che von Planta avesse acquistato la tessera insieme ad altre iscrizioni durante uno dei suoi viaggi in Italia; eppure il passaggio al commerciante tedesco Hamburger è ricordato sia dai documenti d’archivio citati sia da bruto amante nel suo volume. del resto, non si può escludere l’ipotesi che la transazione da Hamburger a von Planta fosse avvenuta in italia. dai pochi cataloghi degli Hamburger reperibili non risulta che la tessera sia stata inserita in qualche asta.

34 metzger 1981, pp. 61-64. dall’archivio del Museo di chur purtroppo non si evincono informazioni sul luogo o la data dell’acquisto, come mi informa gentilmente il dott. Y. Mühlemann, responsabile della sezione numismatica ed archeologica.

35 cfr. ad es. humBert 1978, p. 393 ss.; laFFI 1983, p. 63 ss.; FreI-stolBa 1986 (con qualche cautela a p. 196); Wachter 1987, pp. 394-396; saInt-hIlaIre 2000, p. 190; storchI marIno 2002, p. 27 ss. (che cautamente parla di “congettura probabile”: p. 28, n. 40). Anche chi scrive, pur sollevando qualche perplessità, ha seguito le indica-zioni di Mommsen (dI FazIo 2006, pp. 31-32).

36 cfr. tra l’altro marcone 2004 e, per i collaboratori fondani, pesIrI 2007.37 Rinvenuta da un contadino nel territorio di Capracotta nel 1848 ed ‘annunciata’ alla comunità scientifica

dal Cremonese nello stesso anno, la Tavola passò nelle mani dell’orefice agnonese Vincenzo Paolo d’Onofrio, che rifiutò l’offerta avanzata nel 1852 da de Luynes, per poi vendere il pezzo per una somma più alta ad Ales-sandro Castellani nel 1867; da quest’ultimo passerà infine al British Museum di Londra nel 1873: cfr. colonna 1996a, p. 49, n. 16.

38 dI IorIo 1994, tav. vii. È verosimile che il toponimo coincida con la “Fratta delle Fonti” menzionata in un documento notarile del 1796 (dI IorIo 1997, p. 67): entrambe le località infatti si trovano tra il Lago d’Anitra ed il tratturo Celano-Foggia. Proprio in località ‘Fratte’ nel 1859 vennero rinvenuti materiali archeologici, tra cui alcuni “idoli di metallo” (dI IorIo 1991, pp. 42 e 52).

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una provenienza dalla località “Funti” con la più nota Fundi. Ma in questo malinteso difficil-mente sarebbe potuto cadere il cremonese, che non solo era nativo di agnone ma ne era stato finanche sindaco.

Rimangono comunque nella lettera di Cremonese alcuni aspetti poco chiari: ad esempio, pur avendo egli indagato sul ritrovamento e parlato con l’anonimo orafo compaesano, non sa (non vuole?) spiegare “per quale accidente” il pezzo che era stato venduto a Barone fosse poi tornato di nuovo nelle mani dell’orafo (e si ricordi la “wunderliche Verkettung von Umständen” cui faceva cenno Mommsen). Va però soprattutto ricordato che la figura di Cremonese, benemerita sotto alcuni aspetti, non manca di ombre da altri punti di vista, dal momento che non sembra essere stato immune dalla tentazione di prendere parte all’intenso commercio di antichità di quegli anni. È infatti probabile un suo coinvolgimento nella vendita della già citata testa di san Giovanni Lipioni39, nonché forse nell’immissione nel circuito antiquario della stessa tavola di agnone40; inoltre, continuava ad essere coinvolto in traffici ancora nel 1857, probabilmente con lo stesso raffaele barone41, ed era ancora tra i ‘notati’ che “si permettono fare da incettatori di monete e di altri oggetti di antichità”42 nel 1858. Ma per ipotizzare che cremonese, per qualche personale interesse, avesse voluto ‘depistare’ Minervini, resterebbe comunque da spiegare per-ché il ‘depistaggio’ avesse avuto come direzione proprio Fondi43.

vale la pena a questo punto prendere in esame l’oggetto in sé, per capire se vi sono ele-menti che possano aiutare a sciogliere questa aporia. come vedremo, se i documenti antiqua-ri debbono far propendere per una appartenenza della tessera al comparto fondano, la sua congruità con le vicende storiche e sociali del territorio fondano urta contro alcuni aspetti problematici.

4. svIluppo I: la tessera nel contesto Fondano

il discorso non può ovviamente non partire da un inquadramento cronologico. abbiamo già ricordato l’opinione prevalente degli studiosi, che propendono per una datazione agli inizi del ii secolo a.c. per via delle analogie col senatusconsultum de Bacchanalibus. nella disa-mina più ampia che sia stata condotta, Humbert sostiene che la tessera possa essere collocata negli anni immediatamente successivi al 188, ovvero subito dopo la concessione dello status di municipium a Fondi (lIv. XXXVII, 36, 9)44. l’analisi dello studioso francese è ovviamente condotta tenendo presente il contesto storico e sociale del territorio di Fondi, il che crea un condizionamento all’analisi, e ne fa emergere qualche problema45. Mommsen aveva inizial-

39 colonna 1996a, p. 49, n. 16.40 Buonocore 2007a, p. 123.41 dI IorIo 1991, p. 31: Cremonese consegna al D’Alessandro diverso materiale in suo possesso, tra cui una

zampa di cavallo in bronzo, detta da lui stesso “propriamente quella che manca al cavallo con la statuetta venduti al negoziante di antichità in napoli sig. raffaele barone”.

42 dI IorIo 1991, p. 37 (lettera al d’alessandro di Mariangelo santangelo, “delegato alla custodia dei reali scavi”).

43 sarebbe lectio difficilior pensare che cremonese avesse consapevolmente sfruttato la semiomonimia tra la località “Funti” e la città di Fondi per celare la vera provenienza della tessera.

44 humBert 1978, p. 394 ss. la proposta di datazione appare “fondata su considerazioni in larga misura ipotetiche” secondo laFFI (1983, p. 63, n. 26).

45 cfr. lo stesso humBert 1978, p. 393 ss., e poi laFFI 1983, p. 63 ss.; storchI marIno 2002, pp. 29-30.

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mente proposto una datazione più alta osservando che, dal punto di vista giuridico, sarebbe stato poco plausibile un contratto di ospitalità tra un cittadino romano ed una comunità roma-na a tutti gli effetti quale sarebbe stata quella dei Fondani dopo la concessione dell’optimum ius. Ma lo stesso argomento è ribaltato da Humbert, che osserva come i cives sine suffragio non fossero in fondo meno ‘romani’ dei municipes. lo studioso francese considera piuttosto la tes-sera come testimonianza della persistenza di una particolare forma arcaica di accordo, e come conferma che, di là dalla praefectura, il municipio mantenne elementi di autonomia (senato, assemblea, magistrati)46.

Ma soprattutto, secondo Humbert, il patronato sarebbe una mossa politica della famiglia dei Claudii per assicurarsi i voti degli abitanti di Fondi, da ricollegare dunque al momento in cui i Fondani ricevettero i pieni diritti47. in realtà, pur sottolineando i rischi di sopravvalutare il peso delle politiche gentilizie nella storia sociale romana48, una serie di indizi suggerisce che l’influenza politica principale su Fondi, almeno a partire dagli inizi del II secolo a.C., fosse quella di famiglie avversarie dei Claudii, ovvero gli aemilii ed i Valerii, e dei loro alleati scipioni, ai quali è stata ricondotta tra l’altro la stessa rogatio che sancì l’accesso di Formiani e Fondani alla cittadinanza completa49. È in quest’ottica che sembra plausibile inquadrare la vicenda di Marco emilio lepido, che in qualità di censore nel 179 a.c. fece realizzare una moles tra Terracina e Fondi, venendo accusato dal senato di aver utilizzato fondi pubblici per fini privati, dal momento che praedia habebat ibi (lIv. XL, 51, 2); è lecito ritenere che i possedimenti agrari di lepido ricadessero proprio nel territorio fondano50. del pari, gli interessi dei Valerii nella zona paiono evidenti già nella realizzazione dell’asse stradale voluto da valerio Flacco nel 184, ed ancora oggi noto col nome improprio di ‘Flacca’ (lIv. XXXIX, 44, 6), ma sono stati intravisti anche dietro le attività di produzione ed importazione di anfore vinarie (e di vino?) da Fondi alla spagna citeriore sotto il governatorato di c. valerio Flacco agli inizi del i secolo a.c.51. Sarebbe dunque ben difficile immaginare vicende come queste se Fondi fosse stata controllata politicamente dai Claudii52. l’interesse da parte di questi ultimi a creare legami di clientela, invece, potrebbe meglio essere comprensibile in un periodo precedente. anche se i cittadini locali non avevano ancora il diritto di voto, non poteva sfuggire alle principali gentes romane l’utilità di assorbire queste comunità nella propria sfera d’influenza, contando sul fatto che esse avrebbero ottenuto la piena cittadinanza in tempi brevi. non è da escludere peraltro che un rapporto di clientela tra le popolazioni della zona ed i Claudii si fosse creato anco-ra prima. la grande operazione edilizia, strategica e culturale connessa alla realizzazione dell’appia comportò, secondo vari studiosi, la formazione di una ampia clientela legata ad appio claudio nei territori in cui passò la strada53; questo dato sarebbe confermato dal rife-rimento svetoniano ad una statua diademata eretta a Forum appii (tra gli attuali comuni di

46 humBert 1978, p. 394 ss. l’assenza di riferimento a magistrati locali nella tessera non indicherebbe una loro assenza, quanto piuttosto la pertinenza della collettività a stipulare l’atto.

47 humBert 1978, pp. 395-397.48 vedi sulla questione clemente 1990, con bibliografia precedente. Cfr. anche develIn 1985, p. 43 ss.49 taylor 1960, pp. 93 e 307; saInt-hIlaIre 2000, p. 190; su queste vicende a livello locale cfr. dI FazIo 2006,

p. 35 ss.; sul piano generale scullard 1951, p. 134 ss. la rivalità tra scipioni e Claudii Nerones data già dal iii secolo: cassola 1962, p. 416.

50 dI FazIo 2006, pp. 37-38.51 Benquet, olmer 2002; cfr. dI FazIo 2006, p. 56.52 così anche saInt-hIlaIre 2000, p. 190.53 Già taylor 1960, 137; macBaIn 1980; di recente, humm 1996, pp. 739-743; laurence 1999, pp. 17-18.

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Latina e Sezze) in onore di un Claudio Druso, forse discendente del Cieco, il quale “italiam per clientelas occupare temptavit”54.

Per riassumere, abbiamo presentato una ipotesi che, ammettendo la provenienza della tes-sera dal territorio fondano, ne fa una testimonianza cruciale dell’inizio dei rapporti tra l’ari-stocrazia romana e quella locale, e un indizio precoce della realtà tardo-repubbli cana che vede clientele municipali legate a nobiles romani55. Ma questo quadro presuppone necessariamente un rialzamento della cronologia, che dal punto di vista paleografico non sembra facilmente giu-stificabile; e forse è anche poco organico all’assetto sociale fondano, sia nell’ambito del periodo che precede la concessione della piena cittadinanza sia in quello successivo.

54 suet., tib. 2: cfr. gli studi citati alla nota precedente. Sarebbe interessante, in maniera largamente ipote-tica, pensare ad un collegamento (che ovviamente resta da chiarire e precisare) tra l’adozione del patrono e la realizzazione della cinta muraria in opera poligonale, che pare potersi datare alla metà del iii secolo (dI FazIo 2008; v. fig. 2). la decisione di avviare un intervento di così grande impegno per una comunità locale appare pienamente consono all’attività dei prefetti, come sembra mostrare il caso forse analogo di lucera, colonia del 315-4, dove un’iscrizione (Cil iX, 800 = Cil i, 1710 = illrp 623: [-3-]us N(umeri) f(ilius) / [-3-]vius l(uci) f(ilius) / [-3-]us C(ai) f(ilius) / [prai]fectei / [turreis] portas / [moiro]sque / [fecerun]t af [solo eisdemque probarunt]. cfr. mazzeI 1991, p. 117) ricorda la realizzazione delle mura ellenistiche da parte di tre praifectei. Peraltro, questi tre prefetti lucerini paiono in qualche modo richiamare i tre edili fondani che del pari ‘firmano’ la realizzazione o il restauro di mura, porte e torri in diverse epigrafi (Cil X, 6233-6234, 6238-6239, 6242; I2, 1557a = X, 6235 = ils 6280 = illrp 601; cfr. dI FazIo 2006, pp. 58-59), riaprendo una questione come quella della triplice edilità che ovviamente non può essere affrontata in questa sede (status quaestionis in laaKsonen 1996, pp. 132-133; lo cascIo 2002, pp. 12-13). Rimane tuttavia difficile mettere a fuoco un parallelismo tra i tre edili fondani, pro-babile ‘traduzione’ latina di una magistratura precedente (volsca?), ed i tre prefetti della colonia di Lucera.

55 Per una prospettiva analoga, cfr. storchI marIno 2002, p. 29. sul processo di arricchimento delle classi dirigenti romane già nel corso del iii secolo, cfr. gaBBa 1981 e più di recente mersch 2001.

Fig. 2 – tratto di mura del centro urbano di Fundi.

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5. svIluppo ii: una possIBIle dIversa provenIenza della tessera

sotto diversi punti di vista, un patto tra un patrono ed una comunità locale amministrata da un senato ed organizzata in prefettura, inciso su un oggetto bronzeo in un latino tutt’altro che classico, è forse effettivamente più ‘di casa’ nel Sannio Pentro che a Fondi. Con tutta la prudenza richiesta trattando di un materiale che si presta ad essere rifuso, si può richiamare una lunga tradizione bronzistica osco-sannita56, che si manifesta sovente proprio in iscrizioni su metallo57, e che invece sembra assente o molto più scarsa nel lazio meridionale58. Ma è il discorso poli-tico che offre le prospettive più interessanti. la storia sociale dei Pentri sembra segnata da una ribellione e da una fedeltà. Puniti duramente da parte romana per essersi schierati a fianco di Pirro, essi rimasero invece fedeli a roma durante la guerra annibalica, ottenendo così di man-tenere la condizione di “stato tribale, tecnicamente indipendente e alleato a roma”59. nel lasso di tempo tra questi due eventi, i Pentri furono in qualche modo ‘addomesticati’ dai Romani, e li ritroviamo nelle fonti come socii contro i Galli60. La lacuna liviana rende difficile comprendere le modalità di questo processo, ma è da pensare che siano stati utili a tal scopo governi locali filoro-mani, alleanze gentilizie61, e probabilmente lo stesso strumento della praefectura62. Un rapporto di patronato come quello espresso dalla tessera appare adatto ad una comunità relativamente autonoma, con un suo ‘senato’63, ma che aveva ormai la ‘romanizzazione’ alle porte, per la vici-nanza della colonia di aesernia del 26364 e dei centri sine suffragio di Venafrum e Aufidena, sede poi anche di prefetture65. Il profilo storico-politico così delineato assumerebbe non a caso ana-logie con quello che ruota attorno ad un interessante confronto per il nostro pezzo, ovvero una tessera hospitalis a forma di testa di ariete in bronzo proveniente dal Fucino66, dunque da un’area culturale come quella Marsa che ebbe vicende non dissimili dal Pentro nel periodo considerato. Sarebbe interessante peraltro riflettere sui legami tra un documento come il nostro e le intense attività edilizie che segnano il Sannio pentro a partire dalla fine del III secolo, evidenti tra l’al-

56 colonna 1996b (2005), con bibl. precedente. Si vedano anche le riflessioni di morel (1991, pp. 140-141) sui bronzisti di origine sabellica.

57 cfr. taglIamonte 1996, p. 221 ss. 58 non a caso la più evidente eccezione, ovvero le lamine bronzee iscritte rinvenute lungo la via appia a

Mesa di Pontinia, destano ancora dubbi quanto alla loro originalità (cassIerI 2002, p. 65).59 salmon 1967 (1995), p. 317; cfr. anche taglIamonte 1996, pp. 151-152 e 160-161.60 salmon 1967 (1995), pp. 310-311.61 si pensi ad esempio all’importanza dei Fabii per le vicende storiche del sannio, ricordata anche da

Floro (I, 11, 8): “hos tamen quinquaginta annis per Fabios ac papirios patresque eorumque liberos subegit ac domuit, ita ruinas ipsas urbium diruit, ut hodie samnium in ipso samnio requiratur nec facile appareat materia quattuor et viginti triumphorum”. in particolare, alleanze matrimoniali tra i Fabii e la famiglia sannita degli otacilii sono ricordate da alcune fonti (Fest. 174 L.; auct. de praen. 6) che J. Pinsent (1964) riconduceva al contesto culturale del ii secolo. ed è interessante ricordare che è forse proprio un Fabio il praefectus indicato nella tessera.

62 salmon 1967 (1995), p. 310.63 poccettI 1979, nn. 17 e 20; cfr. laFFI 1983, p. 65 ss.; taglIamonte 1996, p. 260.64 si ricordi a tal proposito l’epigrafe dei samnites inquolae (Cil i2, 3201), che diventa un confronto lingui-

sticamente interessante. Sulle vicende storiche e l’epigrafia di aesernia si veda da ultimo Buonocore 2007a. cfr. anche le osservazioni di gaBBa 1996.

65 salmon 1967 (1995), p. 304; humBert 1978, p. 374; gaggIottI 1983; su Aufidena si veda ora Buonocore 2006.66 Cil i2, 1764, add., pp. 1034-1035; BarnaBeI 1895; Wachter 1987, p. 405. Questo esemplare si differenzia dal

nostro perché riguarda un patto di ospitalità privata tra un romano ed un Marso.

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tro proprio nella monumentalizzazione di diversi complessi santuariali, che sembra inevitabile leggere in ottica evergetica67.

ad ogni modo, pur in attesa di un necessario più preciso inquadramento, sembra evidente che la tessera sia più coerente col quadro storico e sociale dell’area pentra che del territorio fon-dano, specie se si mantiene ferma la datazione ai primi decenni del ii secolo a.c.

6. FInale

alla luce di quanto sviluppato, è evidente che la ricerca si trova in un empasse. i documenti che accompagnano la venuta alla luce della tessera hospitalis ne dichiarano una provenienza dal territorio fondano, che appare però poco congruente per vicende storiche e per contesto politico-sociale. d’altro canto, considerazioni di natura sia storica ed istituzionale che antiquaria sembrano suggerire una sua più idonea collocazione nel contesto pentro. allo stato attuale delle nostre conoscenze, sembra che questa aporia sia insanabile. Ma la ricerca può fare progressi anche attraverso aporie, se prospettate in maniera chiara e scrupolosa, e nell’attesa che nuovi documenti contribuiscano a dirimere i dubbi.

67 Nell’ampia bibliografia, cfr. torellI 1982 per gli aspetti sociali e la regIna 1989 per quelli archeologici.

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