didattica x concetti
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Approfondimenti di didattica delle scienze dell’educazione
MODULO O6
LA DIDATTICA PER CONCETTI
1. Fondamenti filosofici e pedagogici
Alla fine degli anni Cinquanta la pedagogia statunitense attraversa una crisi la quale pone in
primo piano l’idea che se il sapere è produzione di concetti la scuola deve insegnare
fondamentalmente ad utilizzare tali concetti piuttosto che fornire nozioni o servire a
socializzare.
Da questa crisi, che mise all’epoca fuori gioco il modello deweyano e kilpatrickiano, emerse
anche l’idea secondo la quale il curricolo deve essere centrato sulle discipline.
La pedagogia e la didattica degli anni Sessanta, in Italia, lavorarono molto a questa idea ed il
maggior teorico della didattica per concetti, Elio Damiano, ha indicato come fonti ispiratrici del
movimento le correnti dello strutturalismo1 e del cognitivismo.
“Dal punto di vista filosofico, la grande matrice è il neopositivismo moderato di Hempel e
Carnap, con l’idea che il linguaggio delle scienze abbia uno statuto privilegiato, e che lo abbia
perché linguaggio composto da concetti empiricamente verificabili o logicamente dimostrabili,
collegati mediante procedure logiche altrettanto controllabili. Dal punto di vista psicologico, gli
ascendenti sono Piaget e Vygotskij, che delineano un soggetto che rielabora l’esperienza
concettualizzandola: in Bruner2 vi è la declinazione di questa prospettiva in chiave di struttura,
in Ausubel3 in chiave di apprendimento di concetti capaci di organizzare la conoscenza.
Dal punto di vista linguistico, da un versante più strettamente filosofico, con il Wittgenstein
delle Ricerche logiche il soggetto è capace di dislocarsi nei giochi linguistici più diversi per i
motivi più disparati, e la produzione di concetti è uno dei tanti possibili giochi linguistici, un
gioco linguistico particolarmente utile in certi frangenti e certamente più sponsorizzato
socialmente rispetto ad altri giochi di pari dignità. Dal versante antropologico, giunge l’idea che
1A questo proposito Calvani scrive: “L’approccio comportamentistico-cognitivista che ha dominato negli anni settantaha sottolineato l’importanza di una strutturazione ordinata, razionale del percorso di apprendimento, con unconsapevole perseguimento di obiettivi definiti operazionalmente. Il suo punto maggiore di debolezza, emerso neltempo, consiste nella difficoltà di frammentazione di apprendimenti complessi, nel riduttivismo a cui può portare e nelrischio costante di perdita di significatività per chi apprende. Nel corso degli anni ottanta, dunque, il paradigmatradizionale, basato sull’idea che la conoscenza possa essere esaustivamente “rappresentata” in particolare,avvalendosi di modelli logico-gerarchici e preposizionali entra in crisi: gradualmente un nuovo quadro teorico si faluce; il termine con cui si contrassegna la svolta, rispetto ai tradizionali modelli della conoscenza, è “costruttivismo”,un “vessillo” sotto la cui egida si vanno attualmente raccogliendo epistemologi, studiosi dell’area cognitiva, progettistieducativi, tecnologi”. A. Calvani, Elementi di didattica. Problemi e strategie, Carrocci, Roma 2000, p.78. Per una analisipiù approfondita del modello si fa riferimento ai moduli 05 e 06 del corso di Fondamenti storico-epistemologici del
discorso pedagogico tenuto dal prof. Zago.2Per una critica pedagogica della psicologia bruneriana si veda C. Scurati, Profili dell’educazione. Modelli e ideali nel
pensiero pedagogico contemporaneo, Vita e Pensiero, Milano 1977.3Il testo di Ausubel più conosciuto in Italia è Educational Psychology. A cognitive View , Holt- Rinehart and Winston,New York 1968; traduzione italiana Psicologia e processi cognitivi , Franco Angeli, Milano 1978.
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la produzione concettuale sia un’attività culturale che obbedisce a certe regole di produzione e
di trasmissione.
Dalle più recenti ricerche semiologiche, infine, il soggetto è concepito come selezionatore,
all’interno di diversi possibili sistemi di segni, dei materiali più congeniali alla comunicazione: i
“concetti” sono i materiali più adatti negli universi discorsivi più formalizzati.
Se la conoscenza non è altro che produzione e organizzazione di concetti (produzione che può
avvenire a diversi livelli da parte di diversi soggetti, ma il cui livello più interessante e degno di
essere trasmesso è quello della conoscenza scientifica ritenuta tale dalle comunità di specialisti
riconosciuti), l’apprendimento sarà apprendimento di concetti e l’insegnamento organizzazione
di esperienze atte alla trasmissione e alla fissazione di questi concetti nella mente di chi
apprende” 4.
2. Il modello della programmazione per concetti e le sue fasi
Secondo il modello della programmazione per concetti la conoscenza è produzione e
organizzazione di concetti; l’apprendimento perciò è apprendimento di concetti e
l’insegnamento è organizzazione di esperienze per la fissazione e la trasmissione di concetti.
La programmazione prevede un’attenta fase di pianificazione durante la quale si deve
procedere prima di tutto all’elaborazione della mappa concettuale di base.
Ogni disciplina ed ogni argomento all’interno della disciplina devono essere ricondotti ad un
nucleo di concetti, che siano in grado di organizzare la disciplina o l’argomento come tali.
Per fare ciò è necessario attribuire un significato alla parola “concetto”: l’attribuzione di
significato non può essere generica o peggio ancora scorretta, ma deve essere fatta tenendo
presente i vincoli già esistenti come la normativa o la produzione scientifica.
Questa fase fa riflettere sulla competenza disciplinare che deve possedere l’insegnante per
poter affrontare il lavoro di attribuzione di significato a ciascun concetto all’interno della
propria disciplina di insegnamento.
Svolto il lavoro di riordino concettuale della disciplina o dei segmenti disciplinari che si vogliono
affrontare, si procede, mediante una fase di conversazione clinica, all’identificazione della
matrice cognitiva dei soggetti a cui è diretta l’azione didattica.
Tutti gli alunni infatti possiedono determinate conoscenze o informazioni e le fanno funzionare
quando si trovano di fronte a nuovi scenari: se questi sono altamente formalizzati, come nel
caso delle discipline scolastiche, le conoscenze spontanee possono interferire con un
apprendimento significativo.
Non si tratta però di cancellare le conoscenze pregresse degli alunni, ma di strutturare l’azione
didattica proprio a partire da quelle conoscenze pregresse.
Questo lavoro di indagine e sistemazione razionale delle conoscenze degli alunni può in parte
risolvere il problema di un reale accertamento dei “prerequisiti”, ossia dei livelli di partenza di
4N. Barbieri, Insegnare pedagogia e scienze dell’educazione della scuola dell’Autonomia, Cleup, Padova 2004, p.55.
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ognuno rispetto all’apprendimento che si vuol ottenere in classe. Considerando la
programmazione per obiettivi infatti abbiamo visto come l’accertamento dei prerequisiti,
all’interno di quel modello di programmazione, spesso rimane una dichiarazione di intenti
piuttosto che un reale punto di partenza.
Per fare un esempio, chiedendo agli alunni di un liceo psico-pedagogico quali siano le loro idee
sul concetto di educazione, realtà della quale tutti hanno fatto esperienza, si può partire dal
senso comune di “educazione” strutturando gradatamente un percorso di apprendimento
concettuale che permetta di abbandonare le spiegazioni pre-scientifiche e di incorporare i
pilastri concettuali della pedagogia in modo significativo, cioè mediante il possesso del concetto
e il suo uso corretto in situazione.
La terza fase della pianificazione è l’elaborazione della rete concettuale dell’unità didattica, in
parte simile alla tradizionale formulazione degli obiettivi: in questo caso però l’obiettivo è il
tessuto concettuale di un determinato segmento del sapere, e la sua elaborazione avviene
sulla base di precise indicazioni “cliniche” su cognizioni realmente esistenti.
La fase successiva è quella della vera e propria esecuzione: ad ogni unità didattica corrisponde
l’apprendimento di un determinato reticolo concettuale: “la conduzione dell’attività didattica
sarà giocata sulla polarità docente-studenti, non in termini di passività ma in termini di attività
guidata alla scoperta della struttura concettuale” 5.
Calvani dà una lettura dello strutturalismo didattico che merita di essere riportata per intero,
soprattutto in virtù degli spunti didattici operativi che contiene.
Secondo l’Autore “i concetti che caratterizzano l’attuale costruttivismo possono essere
ricondotti a tre: la conoscenza è prodotto di una costruzione attiva del soggetto, ha carattere
“situato”, ancorato nel contesto concreto, si svolge attraverso particolari forme di
collaborazione e negoziazione sociale (Jonassen, 1994). Al centro viene posta la “costruzione
del significato”, sottolineando il carattere attivo, polisemico, non predeterminabile di tale
attività. All’interno del costruttivismo si possono individuare diverse varianti, con accentuazioni
più interazioniste o socio-culturali (Steffe, Gale, 1995).
In questo contesto sono nati alcuni modelli didattici. Quelli attualmente più noti sono i
seguenti: community of learners (Brown, Campione, 1994), apprendistato cognitivo (Collins,
Brown, Newman, 1995), ambienti per l’apprendimento generativo (Cognition & Technology
Group at Vanderbilt, 1993), ambienti di apprendimento intenzionale sostenuto dal computer
(CSILE, Scardamalia, Bereiter, 1993-1994).
L’espressione community of learners si riferisce ad un progetto educativo a forte apertura
antropologica, attivo da diversi anni sotto la direzione di Ann Brown w Joseph Campione
(1994) presso l’Università di Berkeley (California). Una comunità di apprendimento è un
particolare ambiente di ricerca cooperativa che, prendendo a modello le comunità scientifiche,
5Ibidem, p.56.
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fa della riflessione problematica sulla conoscenza e della mutua condivisione delle risorse
intellettuali il principio ispiratore di ogni attività.
Riassumendo i principi che connotano questo progetto troviamo i seguenti aspetti: natura
attiva delle strategie di apprendimento; importanza degli aspetti metacognitivi; zone multiple
di sviluppo prossimale; natura dialogica dell’acquisizione della conoscenza; rispetto,
valorizzazione delle differenze; sovrapponibilità ed intercambiabilità dei ruoli; carattere
distribuito della conoscenza. L’ambiente educativo è visto come una virtuale estrinsecazione di
zone di sviluppo prossimali in cui si vengono a disporre possibili impalcature (scaffolding) che
assistono, stimolano, orientano in vario modo, lasciando tuttavia forte spazio alla
responsabilizzazione autonoma del soggetto; i partecipanti si muovono così attraverso
differenti strade e a differenti velocità, in un clima di condivisione e scambio reciproco; la
partecipazione è sempre basata su negoziazione situata e rinegoziazione del significato nel
mondo.
Il modello dell’ apprendistato cognitivo sviluppato soprattutto da Allan Collins, da John Seely
Brown e da Susan Newman (1995), nasce dalla constatazione del fallimento della scuola
tradizionale, che non consente agli studenti una piena padronanza degli utensili cognitivi che
essa introduce: si tratta allora di realizzare un’integrazione tra i caratteri dell’apprendistato,
dominante in tutte le società prima dell’avvento della scolarizzazione, e quelli della scuola
formale. L’apprendistato tradizionale impiega quattro importanti strategie per promuovere la
competenza esperta: modelling (l’apprendista osserva ed imita il maestro che dimostra come
fare); coaching (il maestro assiste continuamente secondo le necessità: dirige l’attenzione su
un aspetto, dà feedback, agevola il lavoro); scaffolding (è un aspetto particolare del coaching:
il maestro fornisce un appoggio all’apprendista, uno stimolo, reimposta il lavoro ecc.); fading
(il maestro elimina gradualmente il supporto, in modo da dare a chi apprende uno spazio
progressivamente maggiore di responsabilità).
L’apprendistato cognitivo si differenzia però dall’apprendistato tradizionale per la maggiore
attenzione alla dimensione metacognitiva, agli aspetti del controllo ed alla variazione dei
contesti di applicazione. Si introducono allora altre strategie, quali: articolazione (si
incoraggiano gli studenti a verbalizzare la propria esperienza); riflessione (si spinge a
confrontare i propri problemi con quelli di un esperto); esplorazione ( si spinge a porre e
risolvere problemi in forma nuova).
All’interno della stessa cornice teorica dell’apprendistato cognitivo si muove la sperimentazione
attuata dal Cognition & Technology Group at Vanderbilt (1993) sugli ambienti di
apprendimento generativo. Anche qui si parte dal presupposto che la conoscenza appresa nei
curricoli scolastici astratta dal contesto rimane conoscenza “inerte”: gli alunni non sono capaci
di reimpiegarla attivamente in altri contesti. Ne deriva una linea di ricerca che valorizza un tipo
di istruzione ancorata o situata, in cui i problemi siano innanzitutto presentati attraverso
l’illustrazione di situazioni autentiche, significative, attinte dalla vita reale. Gli studenti sonointrodotti nella situazione e propongono, generalmente con la discussione di gruppo, vari modi
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di soluzione personale (per questo gli ambienti sono definiti generativi) con la possibilità poi di
esaminare le modalità proposte dagli esperti o le soluzioni in diversi contesti.
In spirito analogo, ma più orientato ad arricchire le forme della comunicazione collettiva si
muove il progetto CSILE (Computer Supported Intentional Learning Environments) di
Scardamalia e Bereiter (1993-1994). Come sostengono gli autori, «le scuole hanno bisogno di
essere ristrutturate come comunità in cui la costruzione delle conoscenze è sostenuta come
obiettivo collettivo ed il ruolo della tecnologia dell’educazione dovrebbe rimpiazzare i modelli
discorsivi della classe con quelli che hanno più immediata e naturale estensione alle comunità
di costruzione di conoscenza al di fuori della scuola»; in un progetto di comunità di costruzione
delle conoscenze (knowledge building communities) si mira a cambiare il modo di cooperare, in
una filosofia di distribuzione della conoscenza vale a dire accettando il fatto che le competenze
sono e rimarranno dislocate in forma differenziata tra studenti piuttosto che perseguendo
l’obiettivo che ciascun studente sappia e debba sapere le stesse cose. Il termine “intenzionale”
con cui si designa questo apprendimento intende sottolineare l’importanza della dimensione
metacognitiva (ad esempio gli alunni sono indotti non solo ad apportare note o associazioni
aggiuntive, ma anche a dare giustificazione di queste) aspetto che tradizionalmente è al centro
dell’attenzione di Bereiter e Scardamalia.
Una nuova teoria dell’istruzione, che si basa sull’impiego degli ipertesti, è la Cognitve Flexibility
Theory, da cui dipende la tecnologia Cognitive Flexibility Hypertexts (CFHS) (Spiro et al.
1995), un approccio costruttivistico secondo cui gran parte dei fallimenti delle teorie
dell’istruzione tradizionali dipende dal fatto che esse si basano su rappresentazioni troppo
semplificate della realtà e su una visione troppo statica dell’attività cognitiva; la teoria della
flessibilità cognitiva mette in risalto la complessità del mondo reale, il carattere a struttura
debole di molti settori conoscitivi e la necessità di far apprendere in una varietà di modi
differenti e per una diversità di scopi favorendo così il prodursi di rappresentazioni multiple
della conoscenza; ci si ispira ad una metafora di Wittgenstein, quella della conoscenza come
attraversamento non lineare e multiprospettico di un territorio, per cui occorre passare più
volte dallo stesso luogo, ma da direzioni diverse, per favorirne il possesso. I contenuti devono
essere riusati più volte; è fondamentale per una reale padronanza rivisitare lo stesso materiale
in tempi differenti, in contesti modificati.
Il modello teorico sotteso si contrappone ai modelli cognitivistici che vedono la conoscenza
come ritrovamento in memoria di preconoscenze e loro implementazione su nuovi dati
(schemata, frames), ed esalta invece l’attività conoscitiva come riadattamento flessibile della
preesistente conoscenza in funzione dei bisogni posti dalla nuova situazione.
Il computer e in particolare gli ipertesti appaiono agli autori particolarmente adatti per
sviluppare la flessibilità cognitiva, in virtù della loro agilità di funzionamento che può
consentire di pervenire ad una determinata unità informativa da diverse direzioni” 6.
6Calvani, Elementi di didattica. Problemi e strategie, cit., pp.79-84.
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Come si evince dal testo citato questi modelli di apprendimento rendono il soggetto attivo
all’interno del processo che modifica la matrice cognitiva di ognuno. I modelli della community
of learners ed il progetto CSILE danno la possibilità ad ognuno di apprendere secondo i propri
ritmi in un clima tranquillo e partecipato e questo permette di realizzare uno dei principi
fondanti l’Autonomia, quello cioè di andare incontro ad ogni studente offrendogli ciò di cui ha
bisogno. Contemporaneamente non si vuole solo realizzare apprendimento di nozioni, ma
“negoziare” il significato del mondo e di ciò che in esso accade. Questo modello è
particolarmente adatto quindi alle scienze dell’educazione che, insieme, concorrono a formare
nell’alunno una personale visione sociologica, psicologica e pedagogica dei fatti.
L’apprendistato cognitivo, attento alla dimensione metacognitiva dell’apprendimento, offre la
possibilità di far esplicitare agli studenti la loro personale esperienza e di farli riflettere sui
problemi integrando le loro conoscenze con quelle di un esperto: ciò permette di riflettere sulle
scienze dell’educazione avendo presenti gli apporti che ogni scienza può dare e ragionando
quindi a livello metacognitivo sia per quanto riguarda il singolo (psicologia e pedagogia) che
per quanto riguarda i fenomeni sociali (sociologia e pedagogia). Questo modello inoltre può
consentire di passare agevolmente da una disciplina all’altra ponendo nuovi problemi che
necessitano del concorso di tutte tre le discipline per trovare risposta.
Gli ambienti di apprendimento generativo ci permettono di riflettere sull’importanza della
motivazione per avviare un apprendimento significativo, motivazione che nasce sempre in
situazione e richiama la stretta connessione tra sapere teorico ed esperienza concreta. Le
scienze dell’educazione contribuiscono alla presa di coscienza e alla problematizzazione
dell’ambiente personale e sociale degli alunni che possono trovare nelle discipline di studio
soluzioni ai problemi suscitati dal loro vivere quotidiano confrontandoli anche con ambienti
diversi dal proprio.
La Cognitve Flexibility Theory infine sembra particolarmente adatta all’insegnamento-
apprendimento delle scienze dell’educazione che si richiamano a vicenda sia nei contenuti, che
nell’impianto epistemologico e nell’utilizzo delle metodologie. Queste affinità permettono allo
studente alcuni “passaggi incrociati” attraverso la pedagogia, la sociologia e la psicologia
favorendo un apprendimento che non avviene in modo lineare, ma si sviluppa “a rete” nell’arco
del triennio in contesti diversi e attraverso l’uso di materiali diversi.
Utilizzando queste tecniche il docente si può opportunamente servire di mediatori didattici
capaci di trasferire conoscenza: mediatori attivi (esplorazioni, esperimenti, ecc.), mediatori
iconici (disegni, schemi, ecc.), mediatori analogici (giochi di ruolo, giochi di simulazione, ecc.),
mediatori simbolici (discussioni, narrazioni, definizioni, riflessioni, ecc.).
In questo modo trovano spazio nella didattica sia mediatori da lungo tempo utilizzati nella
scuola italiana come ad esempio gli esperimenti o i disegni e gli schemi, sia mediatori molto
più recenti che abbiamo già visto però utilizzati all’interno dei modelli di programmazione per
situazioni e per sfondi integratori come ad esempio la narrazione, la discussione, il gioco diruolo che può diventare anche teatro.
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La fase della valutazione non è separata dal processo di apprendimento, ma lo segue
funzionalmente, in quanto in questo modello di programmazione la valutazione è soprattutto
valutazione di processo che deve servire a cogliere i mutamenti all’interno della matrice
cognitiva degli alunni.
Già in fase di conversazione clinica infatti l’insegnante deve aver attivato momenti di
valutazione per stabilire il livello concettuale degli studenti e per progettare il livello delle unità
didattiche successive.
Durante l’azione didattica c’è un’attenta valutazione di processo che serve per notare gli effetti
della rete concettuale dell’unità didattica sulla matrice cognitiva di partenza. Ciò che è
significativo per l’apprendimento infatti è proprio questo cambiamento che serve a precisare,
interiorizzare ed organizzare i concetti proposti e modificare così la matrice cognitiva di ogni
alunno. “Infine, alla fine di ogni unità didattica vi è una specie di lista di controllo degli effetti
educativi: il successo dell’azione didattica sarà dato dal fatto che lo studente, per esempio,
riconosce casi particolari riconducibili a un concetto (con un’operazione di “generalizzazione”),
oppure utilizza il concetto in un altro contesto disciplinare appreso a scuola (con un’operazione
di trasferimento concettuale intra-scolastico), oppure sui criteri di utilizzo di un determinato
concetto (con un’operazione di meta-concettualizzazione)” 7.
3. Breve valutazione critica
Per quanto riguarda una valutazione critica del modello di programmazione per concetti basata
sul modello costruttivista possiamo affermare con Calvani che “il costruttivismo per molti
aspetti è dunque un dejà vu, la miscela degli elementi che riscopre ha una lontana origine: sul
piano didattico non si può evitare di mettere in rapporto il costruttivismo con l’attivismo.
L’enfasi sulla strutturazione attiva delle conoscenze è ben nota in una tradizione europea: il
cooperative learning richiama il lavoro di gruppo, le communities of learners hanno analogie
con la “metodologia della ricerca” che ha avuto in Italia la sua stagione negli anni settanta.
L’esigenza di uscire da un apprendimento formale, astratto e decontestualizzato, a favore di un
apprendimento basto su compiti autentici, situato, rimanda inequivocabilmente alle riflessioni
sul ruolo dell’esperienza in educazione presenti in tutta l’opera di Dewey. Bisogna però anche
comprendere che le proposte didattiche di taglio costruttivistico hanno ben poco a che fare con
un banale spontaneismo attivistico; in ogni progetto la costruzione di una “impalcatura”
(scaffolding), in particolare il complesso di regole comportamentali e sociali, è molto forte e
strutturata. Si dà spazio allo studente agendo più energicamente sul contesto con norme
cooperative molto precise, forte intervento di responsabilizzazione, presenza ed impegno
analitico di dispositivi e strumentazioni ecc.; nel costruttivismo infine l’insistenza sul carattere
poliprospettico della conoscenza rispecchia una consapevolezza epistemologica decisamente
più moderna” 8
.
7Barbieri, Insegnare pedagogia e scienze dell’educazione della scuola dell’Autonomia,cit., p.56.8Calvani, Elementi di didattica. Problemi e strategie, cit., p.84.
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Dal punto di vista didattico la programmazione per concetti ha il vantaggio di essere stata
pensata per il contesto scolastico e quindi di presentarsi come razionalizzazione di ciò che il
docente dovrebbe fare nella normale attività didattica.
Può essere considerata simile alla programmazione per obiettivi in quanto anche la scansione
didattica è simile: basterebbe pensare di porsi come obiettivo quello di insegnare i concetti.
Questo modello di programmazione funziona bene in situazioni nelle quali risulta agevole
procedere ad una pianificazione non affrettata e dove il problema della matrice cognitiva degli
alunni è veramente centrale, cioè negli ordini di scuola “inferiori”.
Applicata nella scuola media superiore crea alcuni problemi in ordine allo svolgimento dei
contenuti previsti dai programmi, dai quali comunque non si può prescindere. Il lavoro di
reperimento della matrice cognitiva e la conversazione clinica occuperebbero infatti un tempo
maggiore rispetto alle attività che normalmente si propongono in classe e permetterebbero di
svolgere al massimo un paio di argomenti per quadrimestre.
E’ evidente allora che “una programmazione di questo tipo prevede un forte lavoro collegiale,
una condivisione di visioni pedagogiche che molto spesso non sono nemmeno conosciute e una
riorganizzazione degli ambiti del sapere che va ben al di là della pratica individuale,
tradizionale e contenutistica, che caratterizza ancora molta scuola superiore” 9.
Tutto questo ci porta a ribadire che l’insegnamento all’interno della scuola dell’Autonomia non
può che essere concordato collegialmente e ad affermare che i tempi di programmazione e di
valutazione devono essere maggiori se realmente si vogliono introdurre novità anche
metodologiche nell’insegnamento disciplinare ed interdisciplinare.
Inoltre si vuole sottolineare come una buona comunicazione rimanga sempre il punto di
partenza per la realizzazione da parte del docente di ogni rapporto positivo.
Data la caratteristica delle materie di insegnamento del docente di scienze dell’educazione che
anche nei contenuti richiamano tale aspetto essenziale della relazione, sembra opportuno
riportare una tabella riassuntiva delle caratteristiche che dovrebbe avere una buona
comunicazione, non perché tale tabella sia esaustiva, ma per proporre uno spunto di
riflessione10.
Nella nota a fine tabella si riportano anche considerazioni in merito alla valutazione all’interno
dei consigli di classe che sembrano particolarmente significative per la concreta azione
didattica quotidiana:
9Barbieri, Insegnare pedagogia e scienze dell’educazione della scuola dell’Autonomia,cit., p.57.10Ibidem, pp.40-42.
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QUALI SONO LE CARATTERISTICHE DI UNA BUONA COMUNICAZIONE - schema riassuntivo
NEL COLLEGIODOCENTI
NELLARIUNIONE PER MATERIA
NEL CONSIGLIODI CLASSE
IN CLASSE CONGLI STUDENTI
Distinzionedei ruoli
Il preside funge dacoordinatore e faproposte solo in caso diassenza di proposte
Il coordinatore è unprimus inter paresTutti i docenti sonosullo stesso piano ecollaborano a secondadella loro esperienza edella loro competenza
Il coordinatore è unprimus inter paresNon riceve deleghe inbianco per decisioni chespettano al consiglio
La relazione ènecessariamenteasimmetrica il che nonsignifica che debbaessere necessariamenteunidirezionale
Inter-scambio
dei ruoli
Alcuni punti all’ordinedel giorno possono edevono esserepreparati a turno daidocenti stessi
Il coordinatore puòessere fatto a rotazioneannualel’insegnante piùgiovane non è il forzatodei verbali
Il coordinatore puòessere fatto a rotazioneannualel’insegnante di letterenon è il forzato deiverbali
Anche in una relazioneche per forza di coseavrà sempre un altogrado di asimmetria, ildocente può proporsi inaltri ruoli (conduttore diun gruppo, facilitatore,esperto da consultare,ecc.)
Modalitàdegliinterventi
Ciascuno espone intempi brevi le proprieproposte e le proprieconvinzioni, inriferimento ai puntiall’ordine del giorno,tenendo presente chesta parlando a colleghiche condividono iproblemi di un istituto
Ciascuno espone intempi brevi le proprieproposte e le proprieconvinzioni, inriferimento ai puntiall’ordine del giorno,tenendo presente chesta parlando a colleghiche condividono icontenuti disciplinari
Ciascuno espone intempi brevi le proprieproposte e le proprieconvinzioni, inriferimento ai puntiall’ordine del giorno,tenendo presente chesta parlando a colleghiche condividono ungruppo di studenti
Lezione frontale breve,chiara, con ausilididattici per renderlavaria
Prerequisitiinformativi
Opportune schedeinformative devonoessere distribuite primadel collegio ed illustrarei punti sui quali sidovranno prenderedelle decisioni (da partedell’ufficio dipresidenza, dellecommissioni, ecc.)I singoli docenti cheintendono avanzareproposte o cercareconsenso verso certedecisioni
potranno/dovranno farela stessa cosa
Oggetto di discussioneil rapporto con ilcollegio docenti e con iconsigli di classe
Oggetto di discussioneschede e tabellepossono essere fattecircolare prima, dimodo che ilcoordinatore possariassumere piùagevolmente leosservazioni generali
Gli studenti devonoessere messi in gradodi utilizzare le loroconoscenze (acquisite ascuola o altrove) perinserirsi nella nuovaunità didattica
Conoscenzadellenorme
La normativa diriferimento (leggi,decreti ministeriali,circolari)
Contenuti e metodi Normativa pedagogica Dal punto di vista deicontenuti. Può esseresignificativo richiedereuna pre-lettura deimateriali su cui verteràla lezione dal punto divista del percorso: glistudenti devono sapereche cosa stannofacendo e perché, e ache punto sono delpercorso nell’unità
didattica, o nellosvolgimento delprogramma
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Modalità dipartecipa-zione
Attiva: richiesta dichiarimenti,espressione direttadelle proprieconvinzioni, votazione,interventi dimediazione
Attiva: comunicazionedi informazioni,espressione direttadelle proprieconvinzioni, interventidi mediazione
Attiva: comunicazionedi informazioni,espressione direttadelle proprieconvinzioni, interventidi mediazione
Attiva per tutti e due isoggetti l’insegnanteespone, fa domande,riassume, analizza,ecc.Gli studenti fannodomande, dannorisposte, attualizzano,rapportano il nuovo allaloro situazione
esistenziale e alle loroconoscenze, ecc.
Modalità diregistrazio-ne
Chi redige il verbale fail punto della situazionein itinerePossibilità di consultareil verbale entro pochigiorniPossibilità didattiloscrivere il verbaleLettura del verbale o disue parti nella sedutasuccessiva
Chi redige il verbale fail punto della situazionein itinerePossibilità di consultareil verbale entro pochigiorniPossibilità didattiloscrivere il verbaleLettura del verbale o disue parti nella sedutasuccessiva
Chi redige il verbale fail punto della situazionein itinerePossibilità di consultareil verbale entro pochigiorniPossibilità didattiloscrivere il verbaleLettura del verbale o disue parti nella sedutasuccessiva
Il registro di classeIl registro personaleUn “diario di bordo” tenuto dagli studenti
Modalità di
comunica-zione delledecisioni
Possibilità di accessofacile ai verbali
Possibilità di accessofacile ai verbali
Possibilità di accessofacile ai verbali
Accesso ai registriCircolazione di appunti
e di materiali
Tempi Un collegio docenti nonpuò durare più di treore
Una riunione permateria non può durarepiù di due ore
La durata de consigliodi classe varia aseconda dellacomplessità e delladelicatezza dell’ordinedel giorno, ma sarebbemeglio che un consigliodi classe non durassepiù di un’ora e mezza11
I tempi della didatticadevono prevedere spazidi intervento deglistudenti: espressione diconvinzioni e proposte,richieste di chiarimentosui contenuti e/o suimetodi, ecc.
11Consigli di classe particolarmente impegnativi potrebbero essere:- il consiglio di classe (solo componente docenti) di inizio anno, per cominciare a stilare la programmazione. Nelcaso di una classe iniziale di biennio o di triennio, i docenti si troverebbero studenti nuovi, e dovrebbero iniziare aconoscerli collegialmente esaminando i documenti a disposizione- il consiglio di classe (completo) di insediamento dei nuovi organi collegiali, nel quale di solito ai genitori e agli
studenti sono comunicate le linee generali della programmazione di classe e dei piani di lavoro individuali – è chiaroche se venisse distribuita PRIMA del consiglio di classe una copia della programmazione di classe e una sintesi deipiani di lavoro individuali, i tempi dell’illustrazione di questi aspetti della vita della classe si potrebbero accorciare e sidilaterebbero conseguentemente i tempi del confronto critico- i consigli di classe (solo componente docenti) degli scrutini di fine quadrimestre – si pensa che gli scrutinidebbano essere molto lunghi perché si tratta di decidere (specialmente in quelli finali) le sorti scolastiche di unapersona, ma non è tanto la lunghezza a dimostrare la serietà del giudizio, ma la qualità – troppe volte gli scrutinidurano una vita perché ci si trova a scontrarsi su criteri di valutazione che non sono stati esplicitati precedentementee che quindi bisogna negoziare in sede di scrutinio, togliendo tempo alla effettiva valutazione degli studenti e creandole basi per una situazione di conflittualità che non favorisce certo la comunicazione.Facendo dei casi solo apparentemente banali:- non è stata concordata la gamma dei voti (un docente dà voti dal 4 all’8, un altro dal 3 al 9;- non sono stati concordati i criteri di attribuzione dei singoli voti (un docente dà 7 a chi ripete fedelmente icontenuti, un altro comincia a darlo solo se vede rielaborazione e abbozzi di giudizio critico);- non sono stati concordati i criteri di attribuzione dei voti finali (un docente fa la media matematica in modo
rigoroso, un altro guarda ai risultati finali)- non sono stati concordati i criteri di attribuzione dei voti in condottaRimettersi a negoziare in pieno scrutinio questi aspetti è deleterio e dilata i tempi: ma uno scrutinio di tre ore, tragrida e sbuffi, non è certo un esempio di buon uso del tempo e di attenzione alle persone che hanno diritto a esseregiudicate in modo sereno ed equilibrato).
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4. Spunti di riflessione: un esempio di lavoro con mappa concettuale
Sono state delineate le difficoltà di applicazione di questo modello di programmazione nella
scuola superiore soprattutto in ordine ai problemi di tempo che la sua applicazione comporta.
Ciò nonostante si ritiene utile proporre l’organizzare secondo questa prospettiva le prime
lezioni di ciascuna disciplina, o le prime del biennio e del triennio da parte del gruppo dei
docenti coinvolti nella classe, al fine di evidenziare sia la matrice cognitiva degli alunni, sia
l’aspetto concettuale della conoscenza che verrà trasmessa.
Si forniscono come esemplificazione alcuni spunti per la programmazione per concetti di un
modulo introduttivo alla pedagogia per una classe quarta di un liceo psicopedagogico della
durata di 10 ore12.
MAPPA CONCETTUALE : “EDUCAZIONE”
In questa sede si forniscono sia la mappa concettuale già elaborata da Barbieri, sia altro
materiale dal quale è possibile ricavarne una, anche mettendolo a confronto con i programmi
Brocca o con altre definizioni.
• N. Barbieri, Insegnare pedagogia e scienze dell’educazione della scuola dell’Autonomia,
cit., pp.96-97.
• Lessico pedagogico: “Educazione” di Franco Cambi in “Studium educationis”, n.4, 1997,
pp.697-699.
Un’altra definizione di “educazione” a cui poter far riferimento si trova in G. Genovesi, Le
parole dell’educazione. Guida lessicale al discorso educativo, Corso editore, Ferrara 1998,
pp.130-134
• Barbieri:
RAPPORTO INTENZIONALE(#da apprendimentospontaneo)
RAPPORTO TRA PERSONE(# da addestramento)
RAPPORTOSPAZIOTEMPORALMENTEDEFINITO (# da vita)
RAPPORTO ASIMMETRICO traeducatore ed educando, conruoli non interscambiabili(#da amicizia)
EDUCAZIONE = RAPPORTO RAPPORTO COMUNICATIVOVerbale e non verbale (# daistruzione)
RAPPORTO CHE PRODUCE UNCAMBIAMENTO FINALIZZATOmediante un impegnoprogettuale(#da produttività tecnica)
RAPPORTO CIRCOLARE traeducatore ed educando (# daindottrinamento)
RAPPORTO CHE CREACOMPETENZE, cioèconoscenze, abilità eatteggiamenti ritenutisocialmente rilevanti econnotati positivamente(#da diseducazione)
12L’esempio fa in parte riferimento a Barbieri, Insegnare pedagogia e scienze dell’educazione della scuoladell’Autonomia, cit., pp.96-98.
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12
• Cambi
Già a livello etimologico la nozione di educazione presenta un carattere plurale. Se facciamo
risalire il termine latino educare al verbo edere (nutrirsi), se ne sottolinea l’aspetto di
allevamento e di cura; se lo facciamo risalire a ex-ducere (trarre fuori), se ne evidenzia
l’aspetto di sviluppo e di maturazione. La nozione di educazione va, infatti, interpretata come
“una famiglia di concetti”.
Con educazione si intendono processi ed attività tra loro diversi – quali crescita e allevamento,
socializzazione e apprendimento, inculturazione e formazione, sia umana sia professionale -,
ma per certi aspetti simili e tuttavia irriducibili l’uno all’altro. Tale polivalenza del concetto di
educazione è stata più volte indicata come la testimonianza di un suo statuto di debolezza, di
genericità, di non-rigorosità, mentre – in realtà – viene a sottolineare la centralità e la
pervasione dell’attività educativa in tutta la vita sociale, il suo collocarsi –anzi – ad un livello
addirittura costitutivo di ogni società, perché non c’è vita sociale senza trasmissione culturale
(di comportamenti, di saperi, di valori) e non c’è società che non abbia, sia pure in modi
diversi, organizzato e istituzionalizzato la trasmissione culturale, qualificandosi in senso
educativo. Tutto ciò evidenzia come, con la ricchezza e la problematicità, il connotato di
complessità – sociale, storica, teorica – sia connaturato all’educazione e –ad un tempo – lo sia
la necessità di leggerla (=analizzarla) attraverso molte scienze e secondo metodologie diverse,
per coglierne – appunto – i suoi aspetti più profondi e specifici.
Per quanto attiene all’aspetto soggettivo o individuale dell’educazione – cioè al processo che fa
di ogni soggetto un “uomo” ovvero un soggetto che ha acquisito i caratteri completi della
propria specie – va sottolineato che esso ingloba (in forma dialettica, cioè tensionale e
integrata insieme) almeno quattro momenti o processi: la crescita (biologica), l’inculturazione,
l’apprendimento, la formazione.
La crescita (biologica) è relativa allo sviluppo dell’organismo e delle sue potenzialità. Segue
tempi e norme universali, in quanto biologici. E’ regolata da leggi invarianti (o quasi) e
costituisce la base di ogni processo educativo: una base di partenza e un condizionamento in
relazione all’azione educativa. Essa riguarda sia il corpo sia la psiche, i quali maturano secondo
loro ritmi e modalità – di cui ci informano la biologia umana, l’antropologia fisica, la medicina -,
che devono essere attentamente studiati dalla pedagogia (bio-pedagogia e psico-pedagogia)
per muovere da essi e con essi nei suoi processi di intervento educativo. Un esempio
chiarissimo di questo lavoro relativo alla crescita fisico-psichica del soggetto umano è quello di
Piaget sulle tappe evolutive della mente infantile collegata allo sviluppo del corpo, da un lato, e
ai principi della biologia, dall’altro.
Anche l’etologia, in quanto studio del comportamento animale, ha qualcosa da dire intorno alla
crescita del “cucciolo d’uomo”, ad esempio intorno al gioco e all’aggressività.
Come pure ha molto da dire lo studio del cervello e in particolare della sua struttura (con la
teoria dei tre cervelli, soprattutto) che coordina emozione e razionalità.
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13
L’inculturazione è, invece, un processo di socializzazione dell’individuo attraverso
l’assimilazione di comportamenti, credenze, pratiche di vita, «pregiudizi», che danno al
soggetto una visione di sé della società del mondo e, insieme, una precisa e determinata
identità. Tale processo avviene attraverso l'esempio e l’abitudine: si assorbono forme di vita
presenti nell'habitat in cui il soggetto cresce e vengono a costituirsi abiti mentali, strutture
della personalità di base, modelli interiorizzati. Esso è storico e culturale, relativo alla Kultur
nella quale il soggetto è collocato, al popolo a cui appartiene, al tempo in cui si trova a vivere. I
processi di inculturazione sono stati illuminati in particolare dall'antropologia culturale,
mettendo in rilievo proprio la loro specificità (o particolarità) geo-storica, anche se regolati da
elementi universali, come l'assimilazione del linguaggio e del suo status sociale a livello
soprattutto semantico, tale per cui con esso si assimila anche una visione del mondo e si
interiorizza un intero mondo culturale.
Con l'apprendimento siamo invece al livello di assimilazione di saperi e di tecniche, di
linguaggi specifici, di codici determinati, di conoscenze e pratiche formalizzate.
Si entra nell'universo di un'educazione «formale», definita e programmata, che si impone
nelle società complesse (a partire, diciamo, soprattutto dalle grandi civiltà idrauliche che si
organizzano gerarchicamente attraverso una più capillare divisione del lavoro e creano saperi
specializzati: dalla teologia alla geometria, ad esempio) e che occupa anche un suo preciso
spazio sociale (la scuola), il quale si organizza secondo le finalità che gli sono proprie e si fa,
sempre più, un momento cruciale dell'educazione, fino a divenire - nella società moderna e
contemporanea - la forma guida dei processi di educazione. Nella scuola si apprendono saperi,
coi loro lessici, le loro regole, le loro tecniche, e ci si allena a distinguerli e a intrecciarli ad un
tempo, secondo una serie di tappe che si fanno, via via, più ricche e complesse e che
coinvolgono saperi sempre più specializzati e formalizzati. Ma come punto di arrivo
dell'inculturazione e dell'apprendimento e come superamento della loro nuda strumentalità si
pone la formazione. Essa, in senso stretto, è la maturazione culturale e umana del soggetto in
quanto individuo, che si compie attraverso una sintesi organica (e funzionale) dei saperi,delle
tecniche, ecc. e un'assimilazione libera (critica) della cultura, di una tradizione, di un popolo, di una società, rendendo così il soggetto stesso protagonista attivo e responsabile, quindi anche
autore autoregolato, di tale processo. Questa nozione educativa è legata storicamente
all'emergere di una pedagogia teorica, alla riflessività intorno all'educazione e al
riconoscimento che essa si compie attraverso un itinerario di idealizzazione, proprio di ogni
soggetto capace di scegliere una sintesi personale della cultura e di fissarla come traguardo.
E’ stata la Grecia classica a esercitare un'influenza determinante, questa volta nell'educazione,
con la nozione di paideia, rifluita poi, con i romani e in seguito con il Cristianesimo, in quella di
humanitas (rilanciata in pieno nell'Umanesimo-Rinascimento) e, infine, con i tedeschi (dal
Settecento, soprattutto), in quella di Bildung. In tutte queste nozioni è presente il principio
secondo il quale ci si fa autenticamente e completamente uomini solo quando la cultura e isaperi sono rivissuti e organizzati in una dimensione personale, che di questi è
un'interpretazione e una sintesi attiva e vitale.
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Questi quattro processi sono - tra loro - integrati, spesso compresenti, anche in tensione
reciproca, ma tutti strutturano quella nozione di educazione, la quale viene a perdere il suo
connotato univoco e si trascrive secondo un'identità più articolata e complessa, che ne pone in
luce sia la dimensione individuale-personale sia quella sociale.
L'educazione è connotata a livello sociale da un fascio di istituzioni che ne gestiscono i processi
e ne controllano la continuità storica, si fanno depositarie delle pratiche - e dei saperi che
regolano tali pratiche – rivolte alla conformazione, all'apprendimento, alla formazione, in funzione
della riproduzione di una società nel suo complesso, ancora con le sue pratiche, i suoi saperi,
le sue ideologie.
L'aspetto sociale e istituzionale dell'educazione - studiato, in particolare, dalla sociologia
dell'educazione- è un po' la faccia complementare rispetto alla visione individuale
dell'educazione, che la completa, ma anche entra con essa in tensione, in quanto la limita e la
condiziona, la delegittima da dimensione chiave del fare educazione. Tale dimensione
individuale, però, a sua volta si oppone e sfida ogni visione di educazione come conformazione
e riproduzione sociale, sottolineando come siano - alla fine - solo i soggetti i veri destinatari (e
attori) di questi processi.
L’educazione, nel suo aspetto sociale, si struttura secondo e attraverso le diverse istituzioni,
che possono essere individuate nella famiglia, nella scuola, nelle altre organizzazioni della
società civile (associazioni, istituti, ecc.), nella chiesa e nello stato, le quali cooperano a
conformare i soggetti , ma spesso sono tra loro in alternativa e in conflitto, in quanto agiscono
con finalità diverse e nutrendosi di modelli culturali differenti (si pensi, ad esempio, alla chiesa
e allo stato e al loro conflitto - anche educativo - che ha attraversato l'età moderna: la chiesa
vuol formare l'uomo religioso orientato verso un destino ultraterreno e reclama perciò una
primazia educativa; lo stato vuole formare l'uomo-cittadino per una società laica e produttiva e
reclama pertanto una totale sovranità anche in materia educativa). Nelle diverse istituzioni i
soggetti si conformano a valori e a regole, acquisiscono abitudini e mentalità, si socializzano
anche attraverso l'appropriazione di visioni del mondo e ideologie. Tale conformazione
avviene per rispondere ai bisogni della società, in particolare alla riproduzione della sua
organizzazione e dei valori a cui si ispira. In questo processo, che tende ad essere lineare e
uniforme - che si autoregola, equilibrando le tensioni e ristrutturandosi per superare le
contraddizioni -, si manifestano però anche rotture, inversioni e salti,specialmente nei periodi di
forte trasformazione sociale, culturale e politica, nei quali si viene a lacerare il tessuto stesso
delle istituzioni e si presentano mutamenti anche molto radicali, che vengono a creare
discontinuità, spesso assai sensibili e profonde.
La nozione di educazione risulta essere, quindi, una nozione assolutamente non semplice, che
accoglie in sé processi e prospettive di lettura diversi; una nozione sempre relativa
(storicamente e culturalmente) e mai assoluta, che può essere letta secondo diversi punti di
vista e che, proprio per questo pluralismo intrinseco, si delinea come una nozione secondoalcuni addirittura ipercomplessa, anche e proprio in quanto radicalmente, costitutivamente
problematica.
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Pertanto, ogni processo educativo - sia esso individuale (o di formazione) oppure sociale (o di
conformazione) -,si presenta sempre con caratteri di intenso dinamismo di forte tensionalità
di andamento non lineare, anzi come costituzionalmente dialettico.
Educare o educarsi è attivare un processo carico di opposizioni, di ostacoli e anche di
contraddizioni, attraverso il quale soltanto, però, il soggetto (o i soggetti) esce (escono)
trasformato (trasformati) e strutturato (strutturati) secondo una «forma». Molte di queste
opposizioni, di questi contrasti sono permanenti in tale processo e lo vengono a connotare, in
profondità e in modo specifico, come un processo che si sviluppa attraverso un fascio di
antinomie e che, pur rivolto a superarle, non riesce a eliminarle. Sono queste antinomie che
vengono anche a delineare il suo statuto radicalmente problematico.
Quali sono le antinomie che caratterizzano il processo educativo? Sono antinomie note già
dall'antichità ai teorici dell'educazione (si pensi al Socrate platonico), ma che proprio la
pedagogia moderna e quella contemporanea hanno messo decisamente in luce e mostrato
come «leggi» interne di tale processo (si pensi a Rousseau, a Pestalozzi, alla tradizione pe-
dagogica neokantiana e a come questi autori abbiano sottolineato la struttura opposizionale e
pertanto problematica del pensare pedagogia e del fare educazione; ma si pensi anche a
Gentile, a Dewey, a Gramsci, tanto per esemplificare con teorici dell'educazione più vicina a
noi) . Tali «leggi» possiamo indi carle nelle antinomie tra:
1) educatore/educando; il processo educativo è spesso - se pure non sempre -
collaborazione tra due soggetti (genitore-figlio, maestro-allievo), che si dispongono in modo
asimmetrico (uno è più maturo, l'altro meno, molto meno), dando luogo a tutta una serie di
tensioni reciproche, contrassegnate da imposizione o «cattura» (seduzione) da parte
dell'adulto, da resistenze o rifiuti da parte del soggetto in educazione; si tratta di
un'antinomia universale e radicale, che attraversa e, insieme, alimenta e mina ogni pro-
cesso educativo, la quale è - come avviene per le altre antinomie - più che altro un criterio di
problematizzazione del rapporto e dell'azione educativa;
2) autorità/libertà; è l'antinomia più esplicita e inquietante dell'educare/educarsi: non si fa
educazione che nella libertà (del soggetto sottoposto a educazione), eppure non si educa
senza autorità (senza interventi anche normativi, dettando regole e limiti allo «spontaneismo»
infantile e all'autonomia giovanile); le due istanze sono entrambe necessarie e vanno
entrambe riconosciute, sia pure all'interno di un loro rapporto dialettico (sempre diverso, ma
che sempre si ripropone) salvaguardandone la soluzione determinata, connessa a tempi,
luoghi, situazioni specifici;
3) formazione sociale/ formazione umana l'educazione forma il soggetto per la società o per
sé stesso? in vista delle sue prestazioni sociali o della realizzazione di sé, dei propri bisogni, delle
proprie aspirazioni? anche questa è un'opzione indecidibile, che di continuo attraversa e inquieta
l'educazione e che può trovare soluzione solo caso per caso e sempre in forma dialettica
(integrando e opponendo, ad un tempo, le due difformi istanze);4) universalizzazione/individualizzazione ; il processo educativo deve tendere a universalizzare il
soggetto, a farlo uscire dal proprio sé e a collegarlo alla cultura, alla società ed a nutrirlo dei
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loro «prodotti» e della vita delle istituzioni che li gestiscono oppure deve tendere a realizzarlo
nella propria individualità, nella propria irripetibilità personale, legandosi ai suoi gusti, alle sue
esigenze ed opzioni? anche qui l'istanza è duplice e opposta e non può essere che vissuta in
modo dialettico, e ancora caso per caso;
5) presente/futuro; si educa per il presente, per questa società, per questo tempo storico, per
questo momento della storia del mondo (il che significa legarsi ai valori, alle regole, all'orizzonte
dell'attualità, emarginando sia il passato sia il futuro, ossia due modalità per rimettere in
discussione il presente) oppure si educa per il futuro, per sfidare il presente, per guar-
dare oltre il suo orizzonte di necessità? l'opposizione è radicale, ma proprio come opposizione
attraversa e travaglia le scelte e l'operari dell'educare.
Sono, tutte queste, opposizioni appunto indecidibili, pertanto antinomiche, che vengono a inquietare
ma anche a problematizzare, a riaprire costantemente il cammino e il traguardo del processo
educativo, caratterizzandolo come un processo sempre dinamicamente aperto su se stesso,
sempre concluso (cioè realizzato) e sempre inconcluso (cioè mai completato). Da qui il
particolare dinamismo dell’educazione che la pedagogia deve interpretare e teorizzare: un
dinamismo vitale e non meccanico, sempre in fieri , e aperto su se stesso, ma sempre anche
organizzato secondo una “forma”, se pure costantemente sub judice e rimessa in gioco.
Con queste osservazioni, certamente, non si sono esauriti i caratteri dell’educazione – poiché
dovremo affrontarne anche la costitutiva storicità, che dà luogo a una varietà di forme, nonché
la ricca e articolata fenomenologia che la riguarda (dall’educazione del corpo a quella
intellettuale o sociale; dalla famiglia alla scuola, alla “società educante”), ma i suoi connotati
strutturali , più costitutivi e, in qualche modo, ricorrenti/invarianti, risultano messi in evidenza:
in particolare la complessità, l’antinomicità, la problematicità 13
CONVERSAZIONE CLINICA (2 ore)
Gli studenti di una classe quarta dovrebbero avere sia un’esperienza personale che una
personale idea, dati gli studi degli anni precedenti, in modo particolare del primo anno del
triennio.
Il docente dice una parola e gli studenti scrivono su un foglio le prime tre parole che questa
parola evoca. Il docente dice la parola che gli interessa (educazione) in mezzo ad altre di
disturbo e di effetto (calcio, treno…).
Si scrivono alla lavagna tutte le parole emerse da “educazione” e quella che dovrebbe essere
l’immagine inconscia di “educazione” diventa la base per la discussione.
Si cerca di vedere se l’immagine è completa (di solito non lo è), si chiede allora di completare
e poi di provare a scrivere una definizione (singolarmente, in coppia, in gruppo, con la classe,
a seconda del tempo a disposizione e della rispondenza della classe).
13Lessico pedagogico: “Educazione” di Franco Cambi in “Studium educationis”, n.4, 1997, pp.697-699.
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Pervenuti ad una definizione si chiede di fare riferimento anche alla letteratura conosciuta
(libri letti, cinema, televisione) ed alla propria esperienza personale (Sono stato educato? Io ho
mai educato? Dove? Come? Perché?)
RETE CONCETTUALE DELL’UNITA’ DIDATTICA
Ammettiamo di aver individuato tre ambiti educativi forti nella famiglia, nella scuola e
nell’ambiente extrascolastico ed extrafamiliare. Attorno a questi ambiti costruiamo il tessuto
concettuale di questo segmento del sapere:
IN FAMIGLIA
IntenzionalitàRelazione interpersonale
Spazi e tempiComunicazioneCompetenzeCircolarità
Cambiamentoasimmetria
EDUCAZIONE A SCUOLA
IntenzionalitàRelazione interpersonale
Spazi e tempiComunicazioneCompetenzeCircolarità
Cambiamentoasimmetria
NELLA SOCIETA’ (SPORT,ORATORIO…)
IntenzionalitàRelazione interpersonale
Spazi e tempiComunicazioneCompetenzeCircolarità
Cambiamentoasimmetria
FASI DI LAVORO (6 ore)
Ciascuna fase potrebbe prevedere
• Un role playing nel quale si chiede di riprodurre un tipica situazione educativa
• Il completamento o la costruzione di uno schema che presenti tutte le caratteristiche
dell’educazione di quell’ambito a partire da quanto rappresentato
• L’ulteriore analisi di un caso significativo scelto e presentato dal docente
• Una riflessione scritta sul caso presentato
VALUTAZIONE (2 ore)
• Una prova scritta della durata di 1 ora nella quale si chiede di esprimere la definizione
costruita collettivamente ed appresa in riferimento a situazioni simili a quelle presentate
nella fase di lavoro (per esempio applicando il transfert extrascolastico, usando cioè le
categorie apprese a scuola per definire altre situazioni della vita quotidiana)
• Una conversazione collettiva di 1 ora per far emergere problemi, incomprensioni, nuove
intuizioni.
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Bibliografia di approfondimento
• E. Damiano (a cura di), Insegnare con i concetti. Un modello didattico tra scienza e
insegnamento, SEI, Torino 1994
• E. Damiano, Guida alla didattica per concetti , Juvenilia, Milano 1995
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Esercizi di verifica mod.06
Rispondere ad una delle seguenti domande argomentando e tenendo conto anche della propria
esperienza professionale di insegnamento:
1. Quali sono gli argomenti indicati nei Programmi Brocca per le scienze dell’educazione
che, a suo giudizio, più di altri possono permettere a docenti e studenti di procedere
utilizzando la programmazione per concetti?
2. I modelli didattici presi in considerazione all’interno della programmazione per concetti
(community of learners, apprendistato cognitivo, ambienti di apprendimento
generativo, progetto CSILE , Cognitve Flexibility Theory ) sono, secondo lei, rispondenti
all’insegnamento delle scienze dell’educazione? (Possono anche essere presi in
considerazione solo alcuni modelli).