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g diario 09 DIARIO

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Diario

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Spazio Gerra - reggio Emilia - EDiZioNi TECNoGraF- iSBN 978-88-7559-040-6 - Dicembre 2009

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SCriVErE/FarE

Diari

Sull’importanza di scrivere

diari di Stefania Caretti

Quando ho potuto ho suggerito alla gente di tenere il diario, il che mi è sempre sembrato una specificità dei

miei concittadini, i quali ripugnano la diaristica e si rifugiano nelle idee generali al di fuori di un’esperienza propria e controllata (…) Desidero far avvicinare al diario come presa di coscienza di se stessi e della propria importanza.

(Cesare Zavattini)Guardare indietro a ciò che è appena stato, riraccontare l’ordinario, il quotidiano, riscrivere per trovare un senso e una ragion d’essere al passato recente, insieme alla consapevolezza dell’importanza di ciò che si è compiuto. Un modo in fondo per creare identità e contemporaneamente una sorta di fiducia rivolta al futuro. Senza ricorrere a giustificazioni psicoanalitiche, Cesare Zavattini definisce in

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questo modo il “bisogno di diari”, un bisogno che lui avrebbe voluto come contagioso: creare diari che ne provocano a loro volta altri. Tanto che il geniale intellettuale di origini luzzaresi aveva in animo, attraverso una summa di diari da far tenere ad un migliaio di italiani, di arrivare a comporre un’immagine dell’Italia a lui contemporanea. Un modo per leggere il pubblico attraverso il privato, il generale attraverso il particolare, il grande attraverso il piccolo. Zavattini ci vuole mettere in guardia di fronte alla tentazione di rifuggire l’esperienza singolare, apparentemente insignificante al confronto con le idee generali, della quale però possiamo parlare con cognizione di causa perché “controllata” tramite il nostro vissuto. É in particolare nei suoi “concittadini” che Zavattini riconosce questa tentazione di rifugiarsi nelle idee generali e il conseguente bisogno di scrivere diari per ritornare sul singolare. Ci sentiamo perciò - non solo in quanto suoi concittadini, seppure postumi – di accogliere questo appello a distanza di alcuni decenni da quando fu pronunciato e di provare a fornire una declinazione “pubblica” di uno strumento strettamente privato quale è il diario. Diario e non cronaca, che in un certo senso è il genere letterario corrispondente nella sfera pubblica. Perché non si tratta tanto di presentare il resoconto, formulato secondo una scansione temporale di un anno di attività all’interno di un luogo della cultura, quanto di immergersi, o meglio re-immergergsi, in alcune delle esperienze più significative che si sono svolte tra l’ottobre 2008 e il dicembre 2009 all’interno dello Spazio Gerra e di farlo spostando questa esperienza dal piano sensoriale in cui è avvenuta (che si tratti di una mostra, di una proiezione, di una conferenza, di musica o altro tipo di performance) a quello dell’elaborazione e della riflessione. Un piano, inevitabilmente

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asincrono rispetto all’esperienza stessa che comporta alcune caratteristiche intrinseche al genere stesso del diario. Un primo tratto distintivo della narrazione diaristica è il procedere per frammenti, salti, associazioni poiché si tratta di una narrazione che segue le contorte strade della memoria. Non si dovranno perciò perseguire un’esaustività e una linearità temporale tipiche della cronaca, ma lasciare che dal ripercorrere il tempo a ritroso emergano attimi, impressioni sensazioni che cercheremo di tradurre in immagini e parole, e che attraverso il susseguirsi di queste si tendano fili rossi che arrivano ad estendersi oltre l’occasionalità del singolo evento culturale. Un po’ come in un diario di scuola, su cui si incollano frammenti che vanno oltre la pura esperienza vissuta ma che per associazione hanno a che fare con quella e ne aiutano la lettura a posteriori. In questo modo sono stati pensati i sei fascicoli che approfondiscono e a loro modo commentano le esposizioni di questo anno allo Spazio Gerra. Quando poi si legge un diario a distanza di tempo da quando è stato formulato, quello che emerge pare emergere prima di tutto il tempo stesso, un certo traslucere attraverso la lente della distanza di uno spirito dei tempi, che nonostante i differenti approcci e le differenti volontà, invariabilmente permea della sua tonalità di fondo un “certo periodo”, travalicando la singolarità di ogni esperienza. Tanto che poi è a sua volta questo vago esprit du temp a fornire un accesso nuovo per ritornare al singolare e riprendere attraverso una chiave di lettura leggermente “traslata” ciò che è stato. Qust’ultimo quaderno del Diario Gerra si sviluppa come un catalogo di esperienze slegate tra loro, che hanno come unico denominatore comune il fatto di essere passate, in quanto importanti momenti per la vita culturale della città, dallo Spazio Gerra. Proprio questo essere autonome ma legate tra

SCRIVERE/FARE DIARI

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loro da un luogo e un tempo in cui sono accadute, stabilisce tra loro delle relazioni che abbiamo cercato di annotare in una sorta di sintassi minima che per frammenti cerchi di fornire qualche spunto e occasione di riflessione sulle singole esperienze.è a sua volta questo vago esprit du temp a fornire un accesso nuovo per ritornare al singolare e riprendere attraverso una chiave di lettura leggermente “traslata” ciò che è stato. Qust’ultimo quaderno del Diario Gerra si sviluppa come un catalogo di esperienze slegate tra loro, che hanno come unico denominatore comune il fatto di essere passate, in quanto importanti momenti per la vita culturale della città, dallo Spazio Gerra. Proprio questo essere autonome ma legate tra loro da un luogo e un tempo in cui sono accadute, stabilisce tra loro delle relazioni che abbiamo cercato di annotare in una sorta di sintassi minima che per frammenti cerchi di fornire qualche spunto e occasione di riflessione sulle singole esperienze.

Fare Diari di Ivan Pecorari

Progettare un diario collettivo, pubblico, significa inquadrare, illuminare con la luce adatta alcuni

avvenimenti, riflessioni, fatti, che sono avvenuti in un spazio/tempo limitato.Ho cercato di creare una cornice mentale e fisica e, con questa lente, ho dispiegato le forze, le intenzioni provenienti dalle più svariate direzioni, per trasformarle in documento, in riflessione inchiostrata.Partendo da ciò che esisteva sopra ogni considerazione: L’edificio e la visione che esso presuppone. Il Diario Gerra, dunque, nella sua forma fisica, nella sua

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espressione visiva, aderisce simmetricamente allo Spazio e alla sua filosofia curatoriale.Alle principali iniziative della stagione passata viene affidato un catalogo autonomo con propria copertina e contenuti originali.La struttura e alcuni elementi grafici ripetuti garantiscono il formarsi di una identità riconoscibile senza lederne la flessibilità e la novità.Abbiamo così sei libretti/cataloghi inseriti in un box opalino, ricavato direttamente dai contenitori delle Vhs.Un atto di recupero di uno oggetto che, immerso nella transitorietà tecnologica, ha visto un rapidissimo declino.Un settimo catalogo, questo, raccoglie gli avvenimenti collaterali e gli scritti di Stefania Carretti e Riccardo Panattoni.Il Diario Gerra è dunque un avatar, una miniatura dell’edificio, una cornice mentale in relazione con il suo modello; ne evidenzia le potenzialità e le contraddizioni e racconta cio che è avvenuto in uno dei luoghi più importanti della vita culturale di Reggio Emilia.Un Documento solido che si confronta con l’esistente cercando di essere catalizzatore ed enzima per il futuro.

SCRIVERE/FARE DIARI

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NOI

17-19/04/09

MondinPiazza 2009 Biennale del dialogo

interculturale

La parola NOIè il tuo nemico più pericoloso

in tutte le sue accezionitranne quando pensi e parli

dell’UOMO, dell’ESSERE UMANO(Infinite variazioni individuali…)

da Manifesto Sarajevo

Da venerdì 17 aprile a domenica 19 aprile Reggio Emilia, città riconosciuta dal Consiglio d’Europa come una delle 12 città europee del dialogo interculturale, si è colorata delle iniziative, spettacoli e tavole rotonde di Mondinpiazza, biennale del dialogo interculturale.

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Cortintrecci, un ricco programma di corti e di cinema popolerà lo Spazio Gerra, che proporrà incontri, tavole rotonde, documentari, proiezioni. Venerdì 17 aprile saranno presenti Alessandro Haber e Andrea Segre. Venerdì, sabato e domenica sarà poi possibile vedere, sui tre piani, una selezione di cortometraggi internazionali sul tema del dialogo interculturale.

Per tre giorni Cortintrecci, un programma di cortometraggi, videoproiezioni e letture da tutto il mondo sul tema del dialogo interculturale ha preso vita sui tre piani dello Spazio Gerra. Padrino d’eccezione della manifestazione è stato Alessandro Haber, che insieme al regista Andra Segre si è confrontato con i filmmaker in una tavola rotonda sulla multiculturalità.

www.municipio.re.it/IAT/iatre.nsf/schede/1A579C9ECE21BDE0C1256FFF00529766?OpenDocument

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LA

CONGIUNZIONE

22/04/09

reggio Emilia Città Creativa

“E” è una è congiunzione semplice coordinante, copulativa, vale a dire un segno funzionale che

serve a collegare, a stabilire le relazioni più semplici. “E” è quindi la forma più semplice per congiungere tra loro due o più elementi che siano in rapporto di coordinazione (siano cioè della stessa natura).

I risultati della ricerca Reggio Emilia Città Creativa – una mappatura del territorio che ha messo in luce oltre 300 soggetti che si occupano di arte, cultura e prodotti o servizi high-symbolic, condotta dal ricercatore Fabrizio Montanari e coordinata Nicola Bigi dell’Università di Modena e Reggio Emilia – sono stati presentati allo Spazio Gerra in un affollato incontro pubblico il 22 aprile scorso.

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Il progetto ha dato vita a un sito-portale che si propone di fare da punto di congiunzione e raccordo tra le diverse realtà presenti sul territorio che si occupano di Economia della Conoscenza. Il network si chiama Reggio Nova – Conoscenze in Azione e raggruppa aziende e talenti creativi del territorio che operano nei settori dell’editoria, della musica, del teatro, dell’organizzazione di eventi, della moda, dell’informatica. Obiettivo di Reggio Nova è sviluppare ulteriormente i poli d’eccellenza che rendono oggi le città capaci di attrarre risorse e talenti e di competere al meglio con altre realtà.

www.reggionova.it

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30/04/09

07/06/09

Fotografia Europea 4° edizione

L’eternità

Segno grafico costituito da un piccolo tratto orizzontale (-) utilizzato per unire due parole, due cifre o due

elementi di una parola composta, per aprire e chiudere un inciso o discorso diretto.

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Assomigliano a un trattino le fotografie di Giuseppe Pietroniro – trattino che ricongiunge lo spazio alla propria immagine. Tromp l’oeil che sfonda lo spazio in un gioco matematico di oggetti autosomiglianti che sembra prolungarsi all’infinito. Per Fotografia Europea 2009 sul tema Eternità. Il tempo dell’immagine Giuseppe Pietroniro fotografa lo Spazio Gerra nella sua nudità e, quasi prendendo a prestito dalla geometria il concetto di frattale, vi installa la sua riproduzione speculare ma ridotta creando un effetto per cui lo spazio e la sua immagine si fanno continuamente eco l’un l’altro.

www.fotografiaeuropea.it

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16-19/09/09

reggio Film Festival international Short Film Contest

8° edizione- la folie

I PUNTINI DI SOSPENSIONE non sono soltanto il titolo di uno dei cortometraggi in concorso, ma la codificazione

nel linguaggio di un’afasia, di un’impossibilità di dire della parola. Ma non solo: i puntini esprimono anche la sorpresa, o meglio ancora lo “stupore”, inteso anche in senso clinico come quello stato catatonico con cui gli psichiatri di fine ottocento descrivevano il distacco dalla realtà dei loro pazienti. Rappresentano, insomma, una sorta di discorso interrotto, sfasato, che rimanda a un black-out della realtà e apre ad un altrove spostato, parallelo. Talvolta però lasciano intendere anche quell’ironia e autoironia di certi “matti”.

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Lo Spazio Gerra è stato sede, insieme al Teatro Cavallerizza, dell’ottava edizione del Reggio Film Festival dedicato al tema della follia. Nel corso dei tre giorni di programmazione si sono susseguite proiezioni di cortometraggi da tutto il mondo, film d’epoca sul tema della follia, come Neuropatologia (1908) e Una partita a scacchi (1912), incontri con gli autori, tavole rotonde e reading con accompagnamento musicale, come Il soffio della follia, tratto dalle lettere di Camille Claudel.

“Ho amato tantissimo Auguste Rodin, gli ho dato la mia vita e la mia arte, gli ho dato tutto e non mi è rimasto niente”. (Camille Claudel)

www.reggiofilmfestival.com

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IL CON

07/10/09

Festival architettura 5 Comunita’/architettura

Se pronuncio le parole «comunità », «comunismo», «comunione», «compassione», «commemorazione», per limitarmi a questo breve elenco, pronuncio tutte parole

impor- tanti, piene di valori e di connota- zioni, cariche di storia e di pensie- ro. Nessuno presta attenzione al pre-

fisso che queste parole hanno in co mune, a quel com che per l’appunto è talmente comune che non c’è mo -tivo di soffermarvisi... (…) Il «con» è costitutivo dell’esisten-te e deve essere inteso «non in modo categoriale, bensì

esistenziale». Ciò significa che occorre trattarlo non come una semplice determinazione estrinseca, ma come una condizio -ne intrinseca della possibilità stessa dell’ek-

sistenza, ossia niente meno che come la messa in gioco del sen so stesso dell’essere o del se-nso d’essere.

(Jean-Luc Nancy)

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Anteprima d’eccezione per il Festival Architettura sul tema Comunità/Architettura che ha portato allo Spazio Gerra le riflessioni dell’architetto e scrittrice palestinese Suad Amiry sul vivere associato, a partire da un luogo in cui il conflitto è drammatico. La scrittrice è intervenuta nell’ambito del ciclo di lezioni magistrali Visioni di Città sul tema dei Confini comunitari e del rapporto territori-comunità in Medio-Oriente.

Nuovi muri, confini fortificati e invalicabili che dividono Gaza dal resto del mondo sono quelli che ha penetrato Stefano Savona, regista del documentario Diario da Gaza (Italia, 2009, 52’) proiettato dopo la conferenza, in cui Savona racconta dall’interno la vita quotidiana a Gaza durante gli ultimi drammatici giorni dello’operazione “Piombo fuso” del gennaio scorso.

www.festivalarchitettura.it

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L’INTERIEZIONE

21/11/09

L’accalappiacani

Se dovessi dare dei consigli ad uno a cui viene voglia di scrivere, gli direi: parti dalle interiezioni, che forse

sono la parte più negletta della lingua scritta: ah, ahimè, porco cane eccetera, sono la parte più trascurata e invisa alla scuola. Gli direi: parti da un bel “oh perbacco”, da cui poi ne consegue qualcosa; non ogni persona dice “oh perbacco”, e lo si dice in situazioni particolari, con addosso una carica di sorpresa e anche di perbenismo, per cui è già tutto un abbozzo di personalità del personaggio parlante, che se avesse detto invece “vacca d’un cane”, io lo avrei già classificato come rozzo e banale, con tutto quello che ne consegue, anche un po’ di schifo per una tale greve personalità.

(Da Consigli a rovescio di Ermanno Cavazioni, in “L’accalappiacani”, n. 3, marzo 2009)

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L’accalappiacani è un semestrale di letteratura pubblicato da DeriveApprodi e sostenuto dall’Arci di Reggio Emil-ia, la cui redazione si incontra mensilmente allo Spazio Gerra. Il 21 novembre si è tenuta per la prima volta allo Spazio Gerra la redazione dell’Accalappiacani, dove è stato pre-sentato al pubblico il quarto numero della rivista dedicato a Braccio di Ferro. Hanno letto pubblicamente i loro testi Paolo Nori, Daniele Benati e Ugo Cornia.

“Ho amato tantissimo Auguste Rodin, gli ho dato la mia vita e la mia arte, gli ho dato tutto e non mi è rimasto niente”. (Camille Claudel)

www.laccalappiacani.it

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VIDEO

ARTE

FILOSOFIA

VideoartefilosofiaMontaggi, anacronie,

cecità visionaria della pellicola

In Immagine movimento Deleuze ricorda come per Eisenstein il montaggio sia tutto il film. Non tutto il suo

senso, quanto piuttosto il tutto che il film è, in altri termini è il montaggio che porta in sé l’idea del film. Eppure dall’inizio del film alla sua fine qualcosa cambia, un tempo trascorre, una durata prende forma, il susseguirsi cronologico d’immagini e di contenuti si scandisce. Ma il film, come sappiamo, è un falso movimento, quello scorrere cronologico mantiene in sé come un arresto, un intervallo temporale in cui le immagini, anche se non ce ne accorgiamo, ammaliati come siamo dalla visione, ci precipitano dentro. Il montaggio non è allora solo ciò che ha il compito di ricomporre questi intervalli per creare l’apparenza di una continuità, ma è anche ciò che ci rivela come siano le stesse immagini ad essere intervallate, come portino in sé

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il loro intervallo, la piega del tempo della loro scomparsa, così come il piacere del loro essere apparse. Per cui, se il montaggio avviene successivamente alle riprese effettuate, deve tuttavia essere presupposto fin dall’inizio. Ecco perché l’occhio che riprende le immagini deve portare con sé il sentore non solo di ciò che poi legherà le immagini una all’altra, ma anche di ciò che ne manterrà la loro inaggirabile separazione. è sentire come ogni fotogramma rimanga in sé compiuto, in parte irriconciliabile con tutto il resto pur essendone parte essenziale. Come ogni singolo fotogramma sia in sé una monade, un’immagine, una fotografia.Così il film nel suo movimento porta con sé una doppia percezione che l’occhio registra e annulla contemporaneamente. La scansione di ventiquattro immagini al secondo, il tempo che ne determina la sua azione e una frazione di secondo della permanenza immobile del singolo fotogramma impresso nella retina mentre il fotogramma successivo è già subentrato alla visione. è come se il film mentre viene proiettato alla sua giusta velocità, fosse al contempo rallentato, portasse in sé un altro ritmo, un battito d’ali, un batter di ciglio, che lascerebbe intravedere i singoli fotogrammi, la discontinuità in cui le immagini sono spezzate. In modo tale che mentre lo sguardo è rapito dalla grande illusione della sua visione, è come se al contempo gli fosse restituito il frammento di tempo in cui ogni singola immagine rimane impressa in se stessa. è l’ossessione dell’occhio presente all’interno della pellicola, è l’immagine che ci guarda scandendo il tempo del nostro affetto, ci dice come quell’immagine è tutta lì e solo per noi. Stan Douglas, nel suo video Der Sandmann, rende tutto

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questo in modo evidente. Si tratta di una videoproiezione doppia, una carrellata a 360°, congiunta e intervallata da una fenditura che attraversa per intero lo schermo e corre lungo tutto il video ad accentuare questa duplicità della visione. Lo sguardo, passando da una proiezione all’altra, è come percepisse la congiunzione e la disgiunzione che tale passaggio comporta. La vista rimane costantemente disturbata da questa crepa, anche se cerca di aggirarla soffermandosi con maggiore concentrazione su una parte del video o sull’altra, ne percepisce ugualmente la presenza di fondo, così come se prova a soffermarsi direttamente su di lei, le immagini inevitabilmente scivolano sullo sfondo; certo è che non è possibile vedere tutto contemporaneamente pur avendo tutto contemporaneamente davanti allo sguardo. Subentra così quasi immediatamente la sensazione di doverlo rivedere, si ha come l’immediata percezione che qualcosa d’importante si è perso, che non ce l’abbiamo fatta a vedere tutto quello che avremmo dovuto vedere. Ma il video, come a venire incontro a questa nostra esigenza, compie un doppio giro su se stesso, per due volte le stesse inquadrature si ripetono, come un invito a rivederlo per cercare di capire che cosa si è effettivamente perso, quello che senza volere si è dovuto tralasciare. Ma nel secondo giro, come a rivelare ulteriormente l’inganno di questa volontà, le due proiezioni vengono incrociate, quella che prima era a destra passa a sinistra e viceversa. Il tutto è estremamente perturbante. D’altronde Der Sandmann è anche il racconto di E.T.A. Hoffmann che Freud utilizzerà come riferimento proprio per il suo scritto sul perturbante. Si tratta, per l’appunto, di una condizione in cui subentra un’incertezza intellettuale, qualcosa d’indeterminato sopraggiunge e non ci si raccapezza più,

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l’orientamento rispetto alla comune percezione del mondo che ci circonda tende a confondersi ed è come se la terra ci franasse sotto i piedi. E le immagini del video, non a caso, riprendono proprio della terra, sono la ricostruzione in studio degli orti che nella Germania dell’Ottocento venivano affidati ai poveri, nelle periferie delle città, perché li coltivassero. I cosiddetti Schrebergärten, dal nome del pedagogo Moritz Schreber, padre del giudice Daniel Paul Schreber che diede alle stampe il celebre Memorie delle mie malattie nervose, testo che ancora una volta per Freud fu di profonda ispirazione per le sue teorie sulla paranoia. La terra di quegli orti, ripresa nelle immagini, è come franasse all’interno di quella crepa che unisce e divide le due riprese. è come franasse insieme al nostro sguardo, mentre l’occhio cerca di passare da una proiezione all’altra, illudendosi di passare indenne compiendo quel salto.Così, scrive Daniel Birnbaum, questa fenditura ultrasottile contrassegna come una sorta di sincope all’interno del nostro sguardo. Mentre la macchina da presa ruota le immagini spariscono in lei per un istante, “il tempo ingoia se stesso attraversando lo schermo”, Ma un secondo o due più tardi è come riapparissero sull’altro lato del video. Sempre le stesse, forse, ma certo non più percepite come direttamente uguali. è un lavoro che sembra fare il punto filosofico sulla temporalità della percezione, sulla sfasatura, la diacronia temporale che sopraggiunge ogni volta che affermiamo che qualcosa è semplicemente presente: “L’opera mette in scena una teoria sulla consapevolezza del tempo – una cronologia – che rappresenta una minaccia alla compassione del sé come soggetto totalmente presente a se stesso. Il lavoro sembra proporre

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una forma di consapevolezza temporale che è molto vicina a ciò che Freud intende come Nachträglichkeit, l’azione in differita. Di avvenimenti che non sono mai dati come totalmente presenti si ha esperienza solo dopo che questi sono accaduti. In «Freud e la scena della scrittura», Derrida lo riassume piacevolmente: «Dunque è il ritardo che è originario»”.

Per poter cogliere il raggio verde, racconta Tacita Dean, il sole deve tramontare in un orizzonte chiaro e fresco, davanti a sé non si deve vedere terra per centinaia di chilometri, l’umidità non deve mai trasformarsi nel momento cruciale della visione in una nuvola che in controluce comprometta l’opportunità di vedere. Tutto deve essere perfetto nella strana momentaneità di un punto di solo passaggio, assolutamente transitorio, quasi del tutto impercettibile. L’occhio deve come trattenersi per un attimo in più sulla propria visione perché il raggio verde, leggermente più lento del raggio rosso e del raggio giallo, arrivi, grazie a quel leggero ritardo, a toccare l’occhio. Ma quanto in ritardo? E come non rimanere accecati dal raggio rosso e dal raggio giallo che arrivano sempre prima?La stessa Tacita Dean confessa di aver scrutato l’orizzonte per anni nella speranza di cogliere quest’ultima frazione di secondo in cui il colore verde fa la sua apparizione nel cielo, ma non avendo alcuna idea di quanto intensa potesse essere questa apparizione non era mai riuscita a vederla. Un giorno, intenzionata a riprendere un’eclissi totale di sole in Madagascar viene avvertita che chi si fosse spinto fino a Morombe avrebbe potuto vedere il raggio verde. Decide così di partire per riprendere qualcosa che non solo non era mai riuscita a vedere, ma che non era mai

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riuscita neppure a immaginare. Sulla spiaggia di Morombe, di fronte al canale di Mozambico, sera dopo sera filmava la sparizione del sole su di un’unica bobina, molte volte credendo di averlo visto, ma senza averne mai la certezza. La sera che le accadde di riprenderlo non era però più da sola, altre due persone, attratte anche loro da quel fenomeno così aleatorio, erano vicine a lei con le proprie videocamere. Quella sera tuttavia loro non riuscirono ad avvistarlo, il fatto che mancasse anche nella loro documentazione video provava che neppure lei lo aveva effettivamente visto. Eppure, tornata in Inghilterra e sviluppato il film, il raggio verde gli apparve chiaramente impresso sulla pellicola: “Troppo sfuggente per essere catturato su un singolo fotogramma e troppo effimero per impressionare i pixel del mondo digitale, eppure chiaramente presente nel susseguirsi rapido dei fotogrammi. Così la ricerca del raggio verde si è rivelata un modo per indagare l’atto stesso del guardare, per esplorare la fede e la fiducia in ciò che si vede. Questo film è un documento: ci parla della trama, del materiale e della manifattura della pellicola stessa”. Straordinaria iperbole. Un documento filmato che parla di sé, della propria trama, del proprio materiale e della propria manifattura, ci permette d’indagare l’atto stesso del guardare o, meglio, ci mette di fronte alla necessaria fede e fiducia che si deve avere quando il nostro sguardo guarda il mondo. Perché rispetto a tutta la forza dei colori che inevitabilmente ci accecano qualcosa d’inaspettato ogni volta sopraggiunge, in ritardo colpisce il nostro occhio e forse ritornerà. Dove? Nel segreto della trama, del materiale e della manifattura della nostra memoria.

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