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Diario di Viaggio nello Sri LankaL’isola di smeraldo, splendente di ricca vegetazione, arte e religiosità

L’isola di Sri Lanka, l’antica Ceylon, pur essendo piccola, una specie di “lacrima” ai piedi della massiccia penisola indiana del Deccam, ha paesaggi molto vari.. le rive del mare sono bordate di cocchi e frange di palmeti che scendono fino sulle bianche e sabbiose spiagge, le piante tropicali sono coperte di estese risaie, le montagne, all’interno, si estendono coperte di piantagioni di tè, la ricchezza principale dell’isola.


Sri Lanka è dunque un paradiso pieno di colore, di vegetazione lussureggiante, di fiori, eccezionalmente solatia, malgrado le piogge che però riescono a dare alla natura un caratteristico colore verde carico, molto brillante…

Tutto questo io, la mia amica Silvana e sua figlia Laura l’avevamo sentito dire parecchie volte, l’avevamo letto nelle guide turistiche e allora perché non affrontare anche questa nuova avventura di viaggio?

Avremmo visto luoghi unici, laghi e fiumi a migliaia in una regione leggendaria che già Marco Polo aveva definito : “la migliore e la più illustre del mondo.. dove si possono trovare rubini, zaffiri, topazi ed ametiste.. come non ne esistono altrove..”


Tra vicissitudini varie legate come sempre al trasporto aereo ed ai vari scali siamo finalmente arrivate a Colombo, l’ex capitale del piccolo stato, il cui nome in singalese significava “Porto sul fiume Kerani” oppure secondo un’altra etimologia che mi è sembrata al momento più consona “porto con frondosi alberi di mango”!


Colombo è apparsa subito una grande città vivace, un vero cocktail di etnie… singalesi, tamil, arabi, malesi.. tutte ammassate nel cuore del vecchio quartiere della città, a Pettah.


Qui abbiamo visto la folla accalcarsi per le strette strade, le cui botteghe fitte formavano lo scenario caratteristico del più risplendente mercato orientale. Montagne di frutta esotica o cumuli di spezie.. tutto contribuiva all’orgia di colori e di odori che arrivavano fino ai vari templi..


Ricordo quello indhu di Kadhiseran ricco, colorato e sovrabbondante di piccoli bassorilievi fino all’inverosimile e la grande Moschea Jami Ul Alfar Jumma che spiccava con le righe bianche e rosse che la coprivano tutta, compresa la cupola a bulbi e il minareto… impossibile non vederla!


Anche il quartiere del Forte che dal XVI al XVIII secolo fu una semplice guarnigione militare, era circondato da negozi e traffico.. da banche che vivevano al ritmo scandito della Torre dell’Orologio.

La caratteristica di questa torre era data dal fatto che un tempo era un Faro, probabilmente l’unico ad essere posizionato nel centro della città!


Ora la vera capitale amministrativa dello stato era diventata Sri Jayawardenapura, alla periferia della stessa Colombo, ma la vecchia città restava a dominare con la sua ricca vegetazione, con il suo sbocco pittoresco sul mare, con i quartieri eleganti le cui case apparivano tra ibischi e buganvillee..


Abbiamo attraversato quella vegetazione rigogliosa, abbondante, ricca di ogni tipo di piante che ovviamente non conoscevamo, ma che riuscivamo ad ammirare e ad apprezzare convincendoci sempre di più di come la natura riuscisse a comporre le sue più affascinanti sinfonie. La vegetazione infatti trasmetteva una melodiosità talmente intensa che arrivava dagli occhi al cuore e ne eravamo conquistate..


Di mattina presto siamo arrivate poi a Negombo, a nord di Colombo e subito ci siamo catapultate al porto per vedere i pescatori che arrivavano con le loro barche cariche di ogni ben di Dio.


La pesca in mare per i singalesi è sempre stata un’attività importante perché contribuiva in modo determinante all’alimentazione di un paese dove, malgrado i progressi fatti nell’allevamento.. la carne restava sempre un grande lusso a portata di pochi!


Sulla spiaggia un’incredibile distesa di pesciolini se ne stavano ad essiccare emanando intorno il loro acre odore, mentre le nere cornacchie appollaiate a poca distanza, guardavano il tutto con un certo evidente desiderio.


Quel mercato mattutino era un vero spettacolo di urla e caos, non si sapeva dove guardare né dove poggiare i piedi, per cui dopo aver respirato tutte le possibili fragranze della fauna ittica, ci siamo spostate verso Kurunegala…


...ma non abbiamo visitato la città, ci siamo invece fermate più a nord, presso il piccolo pittoresco acquitrino di Kurunegala, più che altro un grande stagno, in un’ansa “romantica” che era, in fondo, un’immensa, incredibile distesa di fiori di loto.


Eravamo in piena giungla tropicale, circondate da una vegetazione ricca e verde.. dove le piantagioni di alberi di cocco erano immense ed allora abbiamo voluto, per curiosità, vedere, in una di esse, come venivano lavorati i cocchi raccolti.


Le scoperte sono state infinite, ci hanno spiegato che dal frutto del cocco veniva ricavata la copra per la produzione della margarina di cocco, un olio vegetale usato soprattutto in pasticceria o per la fabbricazione del sapone.

I sottoprodotti poi servivano come mangime per gli animali.. e dalla linfa si ricavava il “vino di palma”, “l’aceto, lo zucchero, l’acquavite di palma”.. e poi ancora non era finita… dalle fibre del mesocarpo si ricavava una fibra utilizzata per lavori di cordame, tappeti rustici.

Potrei proseguire dato che continuavano ad elencarci altri usi anche medicinali di cui le donne tamil di Sri Lanka erano molto esperte, ma ormai ci eravamo rese conto dell’enorme importanza di quel frutto.


Intorno a noi l’atmosfera non poteva essere più agreste e bucolica.. carretti pittoreschi e caratteristici trainati da docili buoi trasportavano i semplici prodotti della terra..


Ripreso il viaggio siamo arrivate alla favolosa Sigiriya, meglio conosciuta come “Roccia del Leone” o “Castello Celeste”, una fortezza di granito rosso che si innalzava per oltre 350 metri con pareti a strapiombo, un luogo veramente suggestivo e maestoso che abbiamo visto spuntare, al di sopra delle chiome degli alberi, già da lontano.


Qui trovò il suo ultimo rifugio il re parricida Kasyapa.. temendo la vendetta del fratello, erede legittimo si fece costruire nella roccia un palazzo fortificato e visse in quella dimora grandiosa da mecenate, chiamando all’opera i migliori artisti dell’epoca, e continuò così nel lusso e nella dissolutezza finché vinto dal fratello, si uccise.

La sua fortezza venne devastata e cadde in totale rovina.


Ora di quel palazzo favoloso con terrazzamenti sovrapposti e templi scavati nella roccia non restavano che gli affreschi perfettamente conservati, eseguiti sulle pareti di sasso intonacate di gesso.


Ci siamo soffermate a guardarli incantate, e a distanza di secoli, siamo rimaste colpite dalla loro freschezza, dai colori caldi, dalla nitidezza del tratto… tra i delicati toni dell’ocra gialla e quelli più caldi dell’ocra rossa, vedevamo figure di sogno, donne deliziose, seminude, ornate di gioielli, orecchini, bracciali e diademi incrostati di pietre preziose, donne che tenevano in mano mazzi di fiori e di frutta e tra le graziose dita, boccioli di fiori di loto!


Ma chi erano quelle creature dal fascino sensuale e misterioso? Damigelle di corte, principesse, divinità della mitologia indù? Se ne stavano serene ed indisturbate da secoli, al riparo dal vento e dalla pioggia in una specie di anfratto, una galleria a mezza parete che abbiamo raggiunto attraverso una scala di ferro fissata alla roccia.


La galleria proseguiva poi attorno alla rupe e saliva nella parte più alta di quella che era ritenuta un’espugnabile fortezza.. le rampe delle scale ripide erano strette, alla base, da gigantesche zampe di leone scolpite nel sasso, lunghe ben quattro metri e mezzo!


Una volta arrivate in alto, sulla vetta spianata della “Rupe del Leone” non abbiamo visto che rovine, una piscina dimenticata, qualche traccia di un trono rupestre rivolto verso il sole levante… ma il panorama su montagne bluastre che sembravano galleggiare nell’oceano verde scuro della vegetazione della giungla, era spettacolare.. ci sembrava di essere in un favoloso “Nido d’Aquila”, opera della natura, ma anche dell’arte umana!


Ripreso il nostro viaggio, abbiamo costeggiato il lago Parakrama Samudra, uno dei bacini più grandi dell’isola, una distesa d’acqua con coste selvagge e aride dove se ne stavano in secca, inoperose e stanche, delle piccole barche di pescatori.


Poi abbiamo raggiunto il gioiello di Polonnaruwa... quando infatti, all’inizio dell’XI secolo dopo Cristo, la vecchia capitale Anuradhapura soffrì una delle più terribili tra tutte le invasioni indiane, Polonnaruwa divenne la sede incontrastata del potere, la capitale ufficiale dei re singalesi.

Famoso è stato l’indomito re Parakrama Bahu I, il re filosofo, che arricchì, in quel periodo di effimera pace, la città di monumenti, templi...


...edificò addirittura un palazzo imperiale di sette piani piani, piscine a forma di fiore di loto estremamente raffinate. I monumenti erano sparpagliati in un vasto e romantico scenario dove abbiamo passeggiato con immenso piacere.


La cittadella che fu distrutta da nuovi invasori nel XII secolo, un tempo era circondata da mura e racchiudeva oltre al palazzo reale anche un’infinità di altre costruzioni riccamente decorate.. ci è rimasta la piattaforma della Camera del Consiglio decorata da fregi che correvano tutt’intorno e rappresentavano elefanti, leoni e nani dall’aria furbastra.


Tra quei resti suggestivi che Parakrama Bahu I aveva voluto edificare, il tempio buddista di Kalu Gal Vihara ci è apparso uno dei più ammirati.

Ci siamo avventurate attraverso una scalinata dai gradini finemente scolpiti, sulla terrazza centrale dove un bel Dagoba (massiccio reliquario a forma di campana che ha rappresentato la costruzione più importante dei santuari buddisti) era arricchito da quattro Buddha seduti intorno.


Ogni tanto spuntavano abbandonate magnifiche “Pietre di Luna”.. ci hanno raccontato che queste pietre semicircolari erano spesso poste alla soglia dei templi con fregi raffiguranti divinità, cavalli, elefanti e oche sacre, lingam... disposti in fasce successive per simboleggiare i diversi stadi della filosofia buddista.


Ma in quest’area sacra tre erano le notevoli statue che testimoniavano l’antico splendore del re filosofo Parakrama Bahu I, tre statue giganti scolpite nella roccia. Più precisamente si trovavano in una caverna arricchita da delicati, ma purtroppo ormai consumati dal tempo, affreschi del Kalu Gal Vihara (il “reliquario della pietra nera”).


Siamo rimaste senza parole di fronte al grande Buddha Sdraiato, lungo 15 metri, che riposava felice nel suo Nirvana, con un braccio lungo il corpo e l’altro sotto la testa, in un atteggiamento di pace infinita.


Accanto a lui, alta 8 metri se ne stava la statua di Ananda, uno dei discepoli prediletti dal Buddha. Sembrava vegliare vigile sul maestro che giaceva immobile ai suoi piedi. La terza statua, alta 5 metri era rappresentata da un Buddha seduto su un trono, in piena meditazione.


Molti fedeli venivano ininterrottamente a deporre offerte e fiori alle divinità e aggiungevano alla bellezza sublime del posto, quell’atmosfera di fervore religioso che esisteva solo in alcuni luoghi consacrati e in particolare in quelli di fede buddista, come nel caso del Buddha così chiamato “dell'immagine riflessa”, i cui occhi di pietra preziosa riflettevano, alla luce del sole, l'edificio chiamato Thuparama che lo conteneva.


Altrettanto monumentale pur nella sua sacralità un po’ severa ci è apparso il Lankatilaka Vihara, un’alta costruzione in mattoni, ormai senza volta, conosciuta soprattutto per il gigantesco Buddha eretto, alto 18 metri che purtroppo appariva decapitato e… sconsolato, voluto sempre dall’intraprendente Parakrama Bahu I.


Camminavamo in quel paradiso di statue e monumenti e tra gli antichi Dagoba di Sri Lanka, quello che aveva mantenuto l’aspetto originale e una forma perfetta ci è apparso il Kiri Vihara, con un bel pinnacolo che svettava al cielo e si ergeva tra i tanti piccoli Dagoba ormai in parte distrutti.


E poi come tralasciare il Tempio del Leone con le sue numerose colonne a forma di gambo sinuoso con boccioli di loto di pietra? Impossibile descrivere tutti i particolari.. posso solo dire che camminavamo frastornate e immaginavamo la bellezza e la ricchezza di un tempo, quella bellezza che miriadi di invasioni barbare e incuranti dell’arte, della religiosità e della poesia del luogo, avevano distrutto.


Dopo Polonnaruwa ci siamo dirette al Monastero rupestre di Dambulla.. una meraviglia… cinque caverne naturali diventate dei santuari! La storia narra che il re Valagamba, mandato in esilio per lunghi 14 anni fu amorevolmente ospitato dai monaci buddisti che si erano ritirati in queste grotte a meditare.


Quando il re riconquistò il trono nel I secolo avanti Cristo, eresse come segno di gratitudine verso di loro, uno stupendo tempio di roccia, o meglio un complesso di monasteri comprendenti cinque grotte santuario contigue. Siamo salite ed abbiamo raggiunto quella roccia granitica alta circa 160 metri ed abbiamo visitato ciascuna grotta..


Tutte erano interamente ricoperte di pitture murali, affreschi anche del XIII secolo, a soggetto buddista, raccontavano la sua storia.. spesso le statue di Buddha nelle varie posizioni, in granito, legno, mattoni variopinti, erano ripetute, in maniera quasi ossessiva sempre con colori vivaci, oro e forme stilizzate.


All’esterno la roccia granitica era sormontata da una terrazza dalla quale potevamo godere di una vista spettacolare sul paesaggio circostante… lo sguardo si perdeva e se si strizzavano bene gli occhi si poteva anche intravedere in lontananza la rocca di Sighirya.


Con ancora negli occhi le immagini incredibili di tanti monumenti, siamo arrivate a Kandy in piena festa dell’Esala Perahera.

Ogni anno, nel mese di Agosto, si svolgeva la cerimonia più spettacolare che si potesse immaginare, in onore della santa reliquia del “Dente Canino di Buddha”!

La festa aveva la durata di dieci giorni e terminava, l’ultima notte, con una favolosa sfilata di elefanti, uno dei quali doveva trasportare la sacra reliquia, elefanti tutti riccamente addobbati con gualdrappe di velluto e di seta, ricamate con fili d’oro e d’argento.


Facendoci largo tra la folla che si accalcava attorno agli elefanti, che andava verso il Tempio del Dente, sulle rive del lago per onorare il famoso dente, abbiamo assistito con grande curiosità e meraviglia alla sfilata di quei pachidermi illuminati dalle fiaccole di migliaia di fedeli, provenienti da ogni parte dell’isola, fedeli che pregando seguivano la lenta processione. Tutta la città era in festa illuminata a giorno e la confusione intorno a noi era veramente spettacolare!


Qualche notizia su questo sacro dente ci è stata fornita dalla guida… ebbene, secondo la tradizione il dente sarebbe stato portato all’allora Ceylon nel IV secolo d. C. da una principessa indiana che se l’era nascosto tra i capelli per sottrarlo ai pericoli che correva in India dato il diffondersi di altre religioni.

Ma gli indiani lo recuperarono e solo il re Parakrama Bahu III lo riportò a Ceylon dove è rimasto da secoli, oggetto di grande culto.


Alcuni, devo dire, ne hanno messo in dubbio l’autenticità, come d'altronde accade per tante reliquie, ma a Sri Lanka i fedeli si sono sempre sentiti sicuri nella loro fede e sono sempre venuti, ogni giorno, a deporre sul suo altare offerte votive.


Il monumento più importante di Kandy era quindi il Tempio del Dente, addossato alle verdeggianti colline. Lo abbiamo visitato il giorno dopo quando tutto il clamore e la confusione della festa si erano conclusi.


Circondato da un fossato, era stato ricostruito più volte a partire dal IV secolo...


….il tempio era composto da diversi edifici, ma era solo il santuario centrale quello che racchiudeva la sacra reliquia, al centro di un cortile. Sette scrigni d’oro con incastonate pietre preziose… smeraldi, rubini e perle contenevano il prezioso dente posato su un fiore di loto in oro massiccio.


Guardando tutta quella ricchezza esposta in un paese che ricco non era.. abbiamo pensato alla forza delle credenze, delle superstizioni, non solo in questa, ma vive in ogni religione.. credenze che mettevano al bando la razionalità in nome di qualche effimera speranza, dove la coerenza non poteva trovare spazio e tutto diventava fede cieca e indiscutibile..


Ma al di là di ogni considerazione, la cornice di colline boscose e quasi impenetrabili ci hanno spinto ad una passeggiata a dorso d’elefante attraverso quella rigogliosa vegetazione.

Abbiamo percorso un profondo tratto di giungla tropicale abbastanza intricata e siamo arrivate fino al fiume Mahaveli per vedere una colonia di elefanti al lavoro.. che trasportavano grossi tronchi di alberi.


Dopo la fatica, che magari per loro non era grande fatica, i pachidermi addomesticati venivano lavati e poi si concedevano un salutare e allegro “sguazzamento” in quelle acque non del tutto limpide.


Dopo gli elefanti ci siamo spostate al Giardino Botanico di Peradeniya, non lontano da Kandy, un tempo parco reale.. un’altra meravigliosa scoperta, per tutte le specie vegetali tropicali esistenti!

Il nostro sguardo passava dagli esili papiri egiziani ai ricchi cocchi delle Seychelles, ai lunghi viali con gigantesche e altissime, eleganti palme, fino alle orchidee di ogni tipo e forma.

Un angolo poi era interamente dedicato alle spezie ed emanava un odore intenso di cannella, zenzero, garofano e cardamomo.. tanto da stordire quasi..


Qualcuno aveva detto che il giardino “era un paradiso nel cuore di un’isola che era già un paradiso!” e noi ce ne stavamo rendendo conto.


Ci siamo poi dirette verso le montagne e le colline del centro sud, all’interno dell’isola e ci siamo trovate di fronte una sterminata ondulata distesa di piantagioni di tè, in particolare nella regione di Nuwara Eliya.


Nell’omonima cittadina, ai piedi del monte più alto di Sri Lanka, a 1890 metri di altitudine abbiamo con piacere, dopo il caldo umido tropicale della costa, respirato aria fresca e pura, profumata di eucalipti e cipressi.. un piccolo angolo di vecchia Inghilterra!


Guardandoci intorno vedevamo per migliaia di ettari, le pendici delle montagne fitte di alberi da tè dalle cime arrotondate, biancheggianti con riflessi quasi vellutati.


In quelle piantagioni abbiamo visto lavorare donne tamil.. esse, dopo aver colto le ultime foglie e il germoglio più alto di ogni ramo, li gettavano in ceste di vimini legate alla schiena con una cinghia che si facevano passare sulla testa.


La cultura dell’albero da tè è stata introdotta dagli inglesi nel 1839 per sostituire le piantagioni di caffé devastate da una tremenda epidemia. Fu proprio questo commercio, la bellezza del clima, e quindi l’ambiente così particolare, che spinse gli inglesi colonizzatori a trasformare Nuwara Eliya in una copia fedele di una piccola cittadina della campagna britannica.


Intorno il panorama era veramente suggestivo, cosparso oltre che di ricca vegetazione montana, anche di una quantità incredibile di pittoresche cascate, come quella a gradoni di Saint Claire o quella più prorompente e disordinata di Devon… tutto trasmetteva intensa vitalità, ma nello stesso tempo era anche portatore di grande pace.


Fiumi, cascate, verde intenso… eravamo immersi in una frescura che ci faceva rinascere.. e poi tra quella vegetazione già di per sé incredibile, spuntavano bellissime ville bianche circondate da estesi prati all’inglese che sembravano tappeti vellutati!

Tutto ci faceva dubitare di essere in territorio singalese.. poi quando gruppi di ragazzini dal viso fortemente ambrato e dagli occhi neri e intensi, veniva a porgerci dei fiori raccolti nei campi, allora ci rendevamo conto di essere proprio nel magnifico cuore di Sri Lanka.


Dopo questa sosta rigeneratrice siamo scese verso la costa, ma la nostra guida interpretando il desiderio di vedere il più possibile, di conoscere usi, costumi e religioni dell'isola, ci ha portate al tempio induista di Manikka, non molto pittoresco rispetto ad altri che avevamo visitato, ma abbastanza significativo per evidenziare un diverso “credo” singalese, ricco di tante divinità... ...ma soprattutto dedicato al simpatico Ganesh, il dio elefante godereccio e panciuto che ci osservava da ogni stanza del tempietto!


...ma soprattutto dedicato al simpatico Ganesh, il dio elefante godereccio e panciuto che ci osservava da ogni stanza del tempietto!


Poi abbiamo dovuto, non senza un pizzico di nostalgia, dare un saluto definitivo alle montagne, al corso dei fiumi, alla ricca e lussureggiante vegetazione e ci siamo fermate per un breve soggiorno nella località marina di Hikkaduwa, che ci è servita anche come punto d'appoggio per le varie escursioni nei dintorni.


A questo punto ci stavamo rendendo conto di come la maggior parte delle coste di Sri Lanka fosse costituita da interminabili spiagge bellissime ed invitanti, spiagge di sabbia dorata, ombreggiate da fitte file di alberi di cocco, di palmeti che si spingevano verso l'oceano.. simili a rigogliosi mantelli di verzura.


Una delle tante escursioni che abbiamo organizzato per interrompere il soggiorno marino è stata quella attraverso il lago Ratgama su un piccolo catamarano locale. Abbiamo navigato costeggiando quelle acque tranquille, nel silenzio totale di una natura assolata...


...senza incontrare che qualche barca altrettanto solitaria che condivideva con cordialità i nostri saluti.. era bello abbandonarsi al calore del sole, scivolare senza scosse in quel clima sonnolento.


Ma il luogo, a differenza di quello che avevamo creduto all'inizio, non era disabitato, lungo le rive del lago sorgevano villaggi e relativi templi buddisti e allora, perché non scendere ed andare a visitarli?


Siamo così sbarcati a Dodanduwa un’isola di eremitaggio dove vivevano diverse comunità di monaci.

Qui in quel piccolo borgo buddista, nonostante l’aria umida ed opprimente, la natura pareva schiudersi come un fiore per mostrare tutta la bellezza del creato… il paesaggio lussureggiante attorno a noi trasmetteva un’atmosfera veramente “fuori dal mondo”.

Ricordo il bianco tempio di Kumarakanda Vihara, che spuntava dalla giungla come un piccolo gioiello.. siamo salite per l’ampia scalinata ed abbiamo raggiunto l’interno dove miriadi di immagini e statue ci presentavano la storia della santa vita del Buddha.


Oltre i profumi percepivamo le forme ed i colori intensi delle statue e degli affreschi, non sempre opere d’arte, eppure ricchi di sensibilità.. essi esprimevano la loro fede!


All’esterno ci siamo tuffate nel verde rigoglioso di quella natura, siamo andate a perlustrare curiose la campagna dell’isola, camminavamo leggere e spensierate ed era bello fermarsi ogni tanto in qualche capanna e sorridere ai bimbi che, come al solito, erano sempre i più comunicativi.


Sature del mare bellissimo di Hikkaduwa con le sue lunghe onde oceaniche che spesso impedivano serene nuotate, ci siamo dedicate ad altre escursioni.


Una giornata a Galle, l’antico porto di Tarsis da cui re Salomone si riforniva di avorio, pavoni e spezie.. era necessaria. Subito ci ha colpito la straordinaria fortificazione olandese del XVI secolo che praticamente circondava la città vecchia.. quella fortezza in granito era potenziata da tre bastioni che venivano chiamati simpaticamente con i nomi di Sole, Luna e Stella..


Galle ci è dunque apparsa una città costruita dagli europei, prima gli olandesi e poi anche i britannici, che lasciarono tracce in chiese e palazzi. Raggiunse il suo massimo fulgore nel XVIII secolo.. poi un terremoto e l’ascesa di Colombo la fecero cadere in rovina.


Dall’alto dei bastioni delle mura un leggero vento ci portava il profumo della salsedine e con gli occhi socchiusi dal riverbero del sole, ammiravamo quegli scorci sull’Oceano Indiano che erano veramente pittoreschi tanto che ci sentivamo quasi rapite da sogni lontani!


Interessanti anche le vecchie case coloniche olandesi e il faro, ben conservato che si protendeva, come sempre, vigile sul mare. Ritornate ad Hikkaduwa ci siamo, con la solita nostalgia, rese conto che il nostro viaggio era terminato, ma eravamo soddisfatte perché altri viaggi ci aspettavano più avanti.


C’è un passo del Brahamana, uno degli antichi testi dell’India in cui il dio Brahama incoraggia i viaggiatori, è molto bello e dice:

“Non c’è felicità per chi non viaggia, a forza di stare nella società degli uomini, anche il migliore di loro si perde, mettiti in viaggio! I piedi del viandante diventano fiori, la sua anima cresce e da frutti.. la sorte di chi sta fermo, non si muove. Dorme quando quello è nel sonno e si alza quando quello si desta.. allora vai Viaggia!”

Penso proprio che questo invito non possa essere mai rifiutato!

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