Diario di Viaggio in Bhutan – Festival di Paro Tra Danze ... di Viaggio in Bhutan... · Buddismo...

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Diario di Viaggio in Bhutan – Festival di Paro Tra Danze Sacre Monasteri e Preghiere Jigme Singye Wangchuk, divenuto, nel 1974, sovrano del Bhutan, iniziò, pur nel rispetto delle tradizioni, una serie di rinnovamenti, primo tra tutti, quello di aprire le porte del paese ai visitatori stranieri, dopo secoli di isolamento.

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Diario di Viaggio in Bhutan – Festival di ParoTra Danze Sacre Monasteri e Preghiere

Jigme Singye Wangchuk, divenuto, nel 1974, sovrano del Bhutan, iniziò, pur nel rispetto delle tradizioni, una serie di rinnovamenti, primo tra tutti, quello di aprire le porte del paese ai visitatori stranieri, dopo secoli di isolamento.

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Il Bhutan è un piccolo stato, avvolto nel mito e nascosto nell’ombra, al confine conl’India, a sud, con le montagne innevate dell’Himalaya e con il Tibet a nord.. è uno degliultimi regni buddisti ad aver mantenuto un giusto equilibrio tra tradizione e modernità,grazie alla saggezza della famiglia regnante che i Bhutanesi amano molto.

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Ebbene, bisogna sapere che una volta all’anno, secondo le date del calendariobhutanese, in ogni Dzong, i monasteri fortezza del Bhutan, viene organizzato uno“Tsechu”

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...cioè una suggestiva festareligiosa , o come dicono loro, unfestival, per commemorare,attraverso le spettacolari danzemascherate e le cerimonie deimonaci, la vittoria del Buddismosull’antica religione, sempre inonore del Guru Rimpoche.

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Ma chi è questo personaggio semprecosì nominato, amato e venerato, quiin Bhutan?

Secondo la leggenda, questo Gurudalla vita avventurosa, è arrivato dalTibet, volando aggrappato alla moglietibetana Yeshe Tsogyal, trasformatain tigre volante.

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Nella valle di Paro, c’è infatti, posto su un promontorio roccioso il Monastero “nidodella tigre” …con le sue impronte.. il Guru è sempre rappresentato in abbigliamentoregale, con enormi ed affilati baffi e sguardo feroce…

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Lo Tsechu è un grande evento, emozionante, anche per chi non condivide il credo locale, è un evento che movimenta la vita di questo idilliaco piccolo regno Himalayano.

Infatti, in questa occasione, arrivano, fin dalle vallate più lontane, piccole folle di contadini, vestiti con i loro abiti più belli…

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...arrivano da ogni dove, carichi di speranza, di aspettativa, e per parecchi giorni, durante lo Tsechu, assistono alle danze rituali, alle feste e soprattutto alla spettacolare esposizione del Tangka,

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...con l’immagine sacra del Guru ricamata, in una cerimonia ricca di profonda devozione, perché il sacro non è sempre e solo mistica spiritualità interiore, è anche, per questo popolo gioia, colore, danza, spettacolo e allegria. Ma andiamo per gradi.

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A Paro dove mi sono catapultata, durante un viaggio in Bhutan, ho voluto partecipare, con i locali, per alcuni giorni, ai vari eventi del colorato festival nel Monastero fortezza della cittadina.

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Lo Dzong ci è apparso, fin dalprimo momento, in tutta la suaimponenza.

Alto e maestoso, proteso, con lesue mura massicce, verso lacittadina sottostante, ci ha datol’impressione di volerla quasiproteggere.. visibile da ogni puntodella valle.

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Per inserirci e partecipare ai festeggiamenti, attraversiamo il ponte di legno, addobbatocon centinaia di bandierine votive, e cominciamo a salire verso il monastero..

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All'ingresso dello Dzong due guardiani ci osservano con uno sguardo minaccioso..

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...gli incontri singolari sono infiniti: alcuni fedeli seduti per terra pregano, non sonomendicanti, sono arrivati qui per il festival con tamburi, pifferi e campanellini… peròse qualcuno dona loro una moneta, non la disdegnano!

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Nel cortile principale dello Dzong si sta già svolgendo la danza di apertura, gestita dagliTsechul, in onore dei Guru Rimpoche, uno dei guru del passato, più amato e venerato. Ledanze rituali si suddividono in varie e diverse categorie che solo gli addetti ai lavoriconoscono.

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La prima è comunque la danza religiosa, la danza Cham, che celebra appunto l’apertura deirituali. Allora vediamo i danzatori che si dispongono in cerchio o lungo una riga e si muovonoseguendo una complessa sequenza di passi, ruotando su se stessi, in modo aggraziato, ma monotono, fino all’inverosimile… ruotano, ruotano pregando e cantando ispirati.

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Bisogna dire che lo spirito delBuddismo Butanese e del suoprimo maestro Padna Sambhava,si manifesta in tutta la suaintensità e pienezza propriodurante i festival che diventano,in fondo, una specie dipellegrinaggio che i fedeli sannodi dover compiere, almeno unavolta nella vita, ma anche unincontro sociale dove la gentepartecipa per gioire dellacompagnia dei propri simili e,come ho accennato prima, permostrare i colorati abiti dellafesta e i gioielli migliori.

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Le danze non si interromponomai, i ballerini sacri sialternano.. fino a sera.. e nellaluce calante del giorno tuttodiventa magico: dal cortile dovesono seduta, vedo in lontananzale montagne che si staglianonette contro il cielo infuocatodel tramonto, creando l’illusione,nonostante la folla accalcata,dell’isolamento.

Allora immagino di esseretrasportata indietro nel tempo..quasi mi aspetto di vederentrare il baffuto GuruRimpoche pronto a ringraziarmiper essere in quel sacro luogo!!!

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Dopo la danza iniziale nel cortile dello Dzong, i giorni successivi, le feste sarebbero proseguite, spostate nel grande cortile esterno delle feste e in altri più interni… ma noi abbiamo pensato bene di approfittare per visitare questo splendido paese ed i suoi monasteri..

...saremmo tornati al festival di Paro gli ultimi giorni, i più importanti, per l’esposizione del Sacro Tangka del Guru Rimpoche.

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Il mattino dopo era infatti inprogramma la visita al TaktshangGompa, il famoso monasterochiamato anche “nido della tigre”o “tana della Tigre” con le famoseimpronte del Guru, il più rinomatodel Bhutan, inerpicato su undirupo a 900 metri di altezza…

...è stato uno spettacolo unico,soprattutto perché ci si dovevaarrivare solamente a piedi..attraverso sentieri impervi, insalita, e in discesa… per la duratadi ben tre ore, perchè era necessario fermarsi ogni tanto ariprendere fiato!

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A dir la verità si poteva benissimo approfittare di cavalli o muli, come avevamo vistofare a qualche turista, ma noi no, eravamo viaggiatori, atleti di belle speranze e alloravia, in marcia con il fiato grosso e tanta buona volontà.

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Abbiamo marciato tra monti e vallate in un panorama diestrema bellezza.. spesso conla scusa proprio di gustare ilpanorama che ci circondava, ci fermavamo, cercando diritemprare le stanchemembra poco allenate.. ilMonastero appariva ad ogniangolo, in alto, dominante ilbaratro, con le sue millebandierine di preghiera chesventolavano e pareva cisalutassero.

Sembrava facilmenteraggiungibile, eppure l’ultimotratto, tra discese e salite degli ultimi gradoni, è risultatointerminabile: ardua era la viadella redenzione!

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Quando siamo finalmente arrivatiai piedi della “tana della tigre”,tra un tripudio di bandierine dipreghiera multicolori chegarrivano al vento.. abbastanzaforte in quella gola.. ci siamosentiti felici. Alzando lo sguardoabbiamo ammirato quell’anticocomplesso monastico, chesembrava sbucare dalle rocce, ci guardava comprensivo… unultimo sforzo e saremmo salitinelle sale vere e proprie.

Magnifico è stato infine l’arrivo..in questa “Tana della Tigre”,avvolta nel silenzio vivo dellanatura… gli unici rumori erano ilmormorio del vento tra lebandierine, lo scorrere dei rivolid’acqua che qua e là formavanoallegre cascate che affioranodalle grotte e ovviamente ilsalmodiare dei monaci negli angolipiù remoti e bui.

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Al di là della leggenda che ho raccontato e che vede il Guru Rimpoche aggrappato al dorso di una tigre che era poi una manifestazione della sua consorte Tsogyal, arrivare qui per sottomettere il demone della zona.. bisogna dire che in questo santo luogo sperduto, il Guru trascorse i tre mesi successivi, in meditazione all’interno di una grotta che abbiamo visitato.

Purtroppo le macchine fotografiche sono state requisite all’ingresso e noi ora dobbiamo solo ricordare, senza immagini tutte le buie sale dove era difficile vedere le varie immagini di Buddha, i dipinti murali dei discepoli, dei vari Guru che si sono successi nel Monastero, divinità demoniache a guardia degli altari.. un’infinità di ricchezze vecchie e restaurate dopo il terribile incendio nel 1998.

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Anche il ritorno non è stato dei più semplici.. e quando nel pomeriggio ci siamo finalmenteseduti nella jeep… eravamo letteralmente distrutti.. ma pronti per partire verso Thimphula capitale del Bhutan, attraverso una pittoresca vallata lungo un fiume dove, ogni tanto,piccoli bianchi Chortens e Stupa ci stupivano per la loro semplice bellezza .

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Quando il giorno dopo, vispi edesiderosi di scoprire la città,capitale dal 1961, ci siamo resiconto dell’onnipresentecontrapposizione tra vecchio enuovo, rispetto delle tradizioni edesiderio di modernità che nonpare del tutto risolto, ci siamosentiti tutti un po’ delusi… ma lasensazione è durata poco perché,prima di passeggiare per le vieaffollare del centro moderno cisiamo soffermati su quellotradizionale.

Ecco allora “Il tempio dellamemoria”, un grande Chorten instile tibetano, eretto in ricordodi Jigme Dorje terzo re del Tibet,caratterizzato da un colore biancoed un fiore cruciforme dorato,tale da catturare i raggi del solee rifletterli in un tripudio diluminosità.. il monumento èconsiderato dai fedeli bhutanesiil fulcro delle loro preghierequotidiane.

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Arroccato poi su un crinale sopra la città sorge l’antico tempio, simile ad una fortezza,di Changangkha Lhakhang (nome impossibile) del XII secolo, famoso oltre che per lericchezze artistiche, per la sua stupenda posizione e il bellissimo panorama che sipoteva ammirare dal cortile centrale.

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Qui mi hanno molto colpito le grandi ruote di preghiera che circondano tutto lo Dzonge che i fedeli, recitando i loro Mantra, fanno girare continuamente con una devozioneincredibile.

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Dopo l’atmosfera di sacralità siamoandati a visitare il Folk HeritageMuseum, ovvero il museo delletradizioni popolari, realizzato adimitazioni delle tipiche casebhutanesi.

Al suo interno sono raccolti mobilied utensili usati in passato e forseanche oggi, dai bhutanesi nellecampagne.

Questo edificio, immerso nel verde,realizzato in fango pressato e legnoha tre piani ed è stato arredatoproprio come lo sarebbe stato unsecolo fa’.

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Scendendo poi a valle, ci siamo avvicinati ad un punto panoramico dove un po’ ravvicinato,potevamo vedere il grande Trashi Dzong che non sovrastava la città, ma posto in riva alfiume, era pervaso di una sottile, monastica magnificenza.

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Questa bella struttura, oltre che monastero, era anche sede del Segretariato, dellasala del trono e di altri uffici del re.. in un’ala del palazzo aggiungiamo che era anchesede del Ministero degli interni e di quello delle finanze. Il potere spirituale qui siuniva a quello temporale…

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Prima di scendere ed essere assorbiti dal centro della città di Thimphu ci aspettavaun’altra piacevole sorpresa: siamo andati al Motithang Takin Reserve, dove in ungrandissimo parco naturale stavano raccolti e ovviamente preservati per evitarel’estinzione, i Takin, animali simbolo del Bhutan.

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Bisogna dire che i Takin, di cuiio prima non avevo mai sentitoparlare, avevano un aspettocurioso, strano e goffo, anchese non proprio bello, simili abovini con un muso da capra… per gli scienziati questi animalirappresentano ancora oggi unenigma…sono animali mansuetierbivori e dicono, anche un po’stupidi dato che quando inpassato erano stati rimessi inlibertà, iniziarono a vagare perle vie di Thimphu in cerca dicibo.. allora si capì che l’unicasoluzione era riportarli incattività… dove stavano beneed erano contenti.

Ormai solo pochi vivono ancoraallo stato brado…

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Dopo l’immersione piacevole nel verde siamo finalmente scesi in città per visitarla e cisiamo catapultati nella parte vecchia, decisamente più caratteristica anche se noneccezionale.. abbiamo camminato per le strette vie, su marciapiedi dissestati e pieni dibuche, tra una folla disparata in cui erano mischiati anche turisti di ogni paese.. siamoentrati per curiosità in una specie di bar, un luogo di ristoro dove i bhutanesi stavanogiocando a...una specie di backgammon....

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... mentre all’esterno stava prendendo il sole.. un piatto di carne di capretto !

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Sempre a Thimphu, tra caos e sporcizia… l’incontro con qualche viso innocente dibambino ci consolava ogni tanto e poi sbirciando dalle finestre aperte di qualche casa,la cui proprietaria, incurante della polvere, voleva far entrare un raggio di sole, erapossibile vedere nelle varie stanze degli altarini votivi riccamente elaborati.. degniaddirittura di stare in un Monastero.

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Ma l’aspetto più simpatico venivadagli incroci.. bisogna dire che inquesta città non esistono semafori..i Bhutanesi, dopo un periodo diprova, li hanno rifiutati perché,secondo loro, erano privi dipersonalità.. allora come risolvere ilproblema del traffico che in certeore non ha nulla da invidiare allegrandi città? Ci sono i vigili che congesti teatrali che non servono anulla… se ne stanno al centro di unbivio e con i loro bianchi guanti..fanno spettacolo..

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Tornati a Paro.. ci siamo quasisentiti di nuovo a casa, dopo labreve lontananza.. ci aspettavanogli ultimi due giorni della cerimoniafinale del Festival… eravamoemozionati ed in attesa di qualcosache ci avevano preannunciato unica.

Ricordo ancora tutto con vivapartecipazione...

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...abbiamo preso posto sulle fredde gradinate tra i bhutanesi in attesa della grandeprocessione. Nonostante la folla, l’aria è gelida, e noi intabarrate nelle giacche a vento,mimetizzate nei berretti di calda lana, ascoltiamo il monotono, languido suono dei corni,delle trombe, che i monaci, dalle terrazze del monastero, diffondono per tutta la valle.

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Le donne avvolte, in gonne dai colori variopinti, dai visi paffuti e rosati, ci sorridono..l’attesa rende tutti cordiali e disponibili e noi rubiamo immagini ed espressioni particolari.

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Finalmente il corteo arriva: ci sono monaci, contadini, notabili e fanciulle,insieme ai danzatori che guidano il tutto.

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I monaci, a questo punto si allineano, iniziando a suonare dei lunghi corni chetoccano terra: c’è colore e musica attorno a noi!

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Danzano le divinità con la testa di drago, danza il diavolo giullare rosso, l’ Atsara, sherzosoe divertente che però funge da guardiano ed ha il compito simbolico di difendere il bene espaventare, allontanando, con lo schioccare della frusta, gli spiriti cattivi.

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Danzano gli uomini con il cappello nero per scacciare il maligno, danzano i contadini perottenere prosperità nel prossimo raccolto…. Molti danzatori con il viso coperto dameravigliose maschere di legno intagliato e bronzo dorato, si muovono in cerchio al ritmodi tamburi, gong, trombe e cimbali.

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È un tripudio generale e noi dalle scalinate non avvertiamo quasi più il freddo, tale èl’entusiasmo e il piacere di vedere.

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L’ ultimo giorno del festival di Paro è ancora più suggestivo: all’alba, al buio, sempre nelcortile centrale dello Dzong si attende che venga esposto tra migliaia di fedeli, ilgigantesco sacro Tangka del Guru Rimpoche, il Thondrol, letteralmente “liberazione invista” esposto solo nelle occasioni speciali come questa.

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Lo scenario diventa teatrale equando, dopo una lunga attesa,dall’alto, si srotola il tangka , esso ricopre letteralmente tuttala facciata del Monastero, si alzadalla folla un coro di approvazione.

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Allora si forma una ordinata coda di monaci , civili e qualche coraggioso straniero, perandare a toccare e baciare il tangka...

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...e farsi anche benedire dal guru che presiede la cerimonia. La coda è lunghissima, tutti aspettano il loro turno tranquilli, senza scomporsi, sicuri cheprima o poi riusciranno ad arrivare alla meta.

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Devo dire che l’atmosfera ora, sta diventando mistica ed intensa. Il Festival si staconcludendo in modo solenne con una coreografia a dir poco sontuosa. I monaci delloDzong, seduti per terra, vestiti di arancione, fanno da cornice al Guru di Paro, preganotutti e cantano davanti al sacro Tangka del Rimpoche, migliaia e migliaia sono i pellegriniche affollano non solo la strada, le gradinate, il cortile, ma anche la collina attorno.

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In questo clima di magia, con il sole ormai alto nel cielo, i festeggiamenti del “Festival di Paro” si concludono: tra poco, la folla che gremisce ancora le gradinate, si diraderà, tornerà a casa, indossando gli abiti da lavoro, si rotolerà di nuovo il tangka e lo si conserverà nel monastero per il prossimo anno.

I monaci faranno ritorno alle loro quotidiane mansioni e di tutto questo non resterà che il ricordo nelle migliaia di persone che hanno assistito all’evento.. tra cui noi che… lasciata Paro, riprenderemo il nostro viaggio alla scoperta di questo magico paese.

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Il mattino dopo infatti è iniziato il lungo viaggio verso est attraverso la panoramicavalle di Punakha un percorso favoloso costellata di pittoreschi monasteri..

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La prima sosta è stata alloSimtokha Dzong uno dei piùantichi monasteri del Bhutan..il suo nome effettivo, nellatraduzione è “Palazzo delSignificato Profondo deiMantra Segreti” e risale al1629 ed è forse l’unico ad aver mantenuto intatta la suastruttura originaria… come alsolito le leggende dannocolore al luogo ed ogni Dzongne ha una.

Qui , per esempio, si parladella sua costruzione,necessaria per sorvegliare undemone che si era nascosto inuna roccia.. però bisognaaggiungere realisticamenteche la scelta del luogo fu inpassato determinata dafattori strategici di controllodella valle sottostante.

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Ma lo spettacolo, a mio avviso eccezionale ed emozionante l’ho provato al passo Dochu La, a 3800 metri, dove ben 108 Chorten spiccavano in bella mostra sullacollina formando una specie di mega Santuario.. tutti i Chorten erano abbastanzarecenti in quanto costruiti nel 2005, come atto di espiazione per la perdita di viteumane durante le varie guerre..

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...attorno ai vari Chorten i piccoli Buddha ci guardavano insieme alle migliaia dibandierine di preghiera che garrivano al cielo lanciando appelli di benedizione, dirichiesta di aiuto..

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...anche noi ne abbiamo steso una lunga fila e abbiamo guardato con speranza edemozione quelle preghierine colorate illuminate dal sole che si erano subito messea sventolare nel folto bosco di pini e rododendri..

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Ripreso il viaggio sempre attraverso la spettacolare valle di Punakha, siamo arrivatial Punakha Dzong, un altro antico Monastero.. quello che nel Buthan mi è piaciuto dipiù.. situato alla confluenza di due fiumi, quindi una posizione oltre che pittoresca,assolutamente strategica...

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...lo Dzong con le sue alte, bianche pareti, con le parti in legno, dipinte in oro, rossoe nero, mi è subito apparso delizioso, un luogo dotato di piacevole leggerezza.. unluogo dove mi sarebbe piaciuto trascorrere in meditazione qualche giorno.

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La costruzione di questo Dzong,curatissima anche neiparticolari, era statapreannunciata addirittura dalGuru Rimpoche

Accanto al Punakha Dzong mi èanche piaciuto il piccolomonastero vero e proprio doveoggi dormono e vivono i monaci…ma noi siamo attirati dal corpocentrale.. ed abbiamo iniziato lavisita dopo essere saliti confatica attraverso una ripidascalinata.

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All’ingresso principale, come d’abitudine, facevano bella mostra di sé, i terribiliguardiani, incaricati di tenere lontani gli spiriti maligni. Essi dovevano essere sempreper forza orrendi, per spaventare chiunque osasse contrastarli.

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Oltre alla sua posizione strategica,cui ho accennato prima, il PunakhaDzong presentava molti elementi didifesa contro gli attacchi che inpassato venivano dai nemici esterni.

Aveva ponti levatoi ora distrutti ele ripide scale di legno, all’ingresso,potevano essere alzate e abbassatesubito in caso di pericolo… ancoraoggi ci hanno detto che il pesanteportone viene sempre chiuso dinotte.

Durante la visita nelle varie sale sistavano svolgendo delle funzioni percui noi rispettosi, abbiamoaspettato nel cortile che i monaciavessero finito le loro preghiere..

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...poi li abbiamo visti uscire a frotte, suggestivi, nei loro mantelli colorati ed abbiamocosì potuto entrare nei santuari veri e propri.

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Tra i vari dipinti all’interno delle sale oltre alle ricchezze artistiche di statue e Tangka,mi è risultata simpatica la raffigurazione di una leggenda famosa non solo in Bhutan, main tutto il mondo buddhista che parla in fondo di solidarietà e di altruismo di quattroamici.

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Mi piace raccontarla perché metteappunto in luce come si debba avereun estremo rispetto per il lavoro disquadra, per l’aiuto reciproco: sinarra di un elefante, di unascimmia, di un pavone e di unconiglio che cercano di unire le loroforze per poter disporre diun’inesauribile scorta di frutta.

Il pavone trovò un seme e lo piantò,il coniglio lo innaffiò, la scimmia loconcimò e l’elefante stette diguardia.

Quando i frutti furono maturi, l’albero era talmente altoche nessuno degli animali riusciva araggiungerli, allora i quattro amicinon si disperarono.. salirono unosulla groppa dell’altro e poteronocosì raccogliere i frutti dei ramipiù alti.

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Abbiamo ancora passeggiato a lungo in questo grande complesso monastico,attraversando sale e sbucando in pittoreschi cortili.. e proprio in uno dei tanti cortili,che ci hanno detto poi ospitare gli uffici amministrativi, abbiamo ammirato un enormebianco Chorten davanti all’albero del Bodhi, sacro a Buddha.

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Ma il tempo stringeva, la giornata stava per finire e dovevamo percorrere ancora unlungo tratto prima di arrivare in Hotel… ma il luogo era troppo bello per cui abbiamovoluto ancora attraversare il piccolo ponte di legno, costruito per emergenza accantoal vecchio ponte per mettere in comunicazione lo Dzong con l’altra riva del fiume...

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...dove sorgeva il piccolo villaggio di Punakha che abbiamo velocemente visitato. Mi èpiaciuta la semplicità di una vita povera ma dignitosa … le lavanderie all’aperto in pozzed’acqua gelata, i mercatini lungo la strada, lo sguardo sereno della gente del luogo ..

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Quando nella tarda serata sono arrivata in hotel, rilassata e felice mi sono soffermata a meditare: era una serata perfetta. Nel cielo sereno primaverile si stagliava uno spicchio di luna circondata dal suo alone luminoso. Non c’era vento e il freddo degli ultimi giorni era un po’ calato.

Mi sentivo proprio bene e perfettamente serena.. una lama di luce proveniente dalle altre stanze dell’hotel illuminava la strada. Cominciai ad immaginare come poteva essere la vita in quel luogo sperduto tra le montagne… qualche giorno o sempre? Mah… ad un certo punto pensai che era meglio ritirarmi sotto le calde coperte della… comodità!

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Il mattino dopo abbiamo ripreso il viaggio e quasi subito ci siamo fermati al belvillaggio, già in piena attività, di Wangdi Phodrang. Qui nella piazzetta centrale fervevail mercato ricco e colorito, con la merce di ogni tipo messa in bella vista per terra.. conle scene pittoresche di vita quotidiana :

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...donne che facevano la spesa, simpatici vecchietti con il cappello di latta!

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Con i suoi negozietti, mercati e casette in legno dipinto di bianco la cittadina di Wangdi, nel suo insieme pur avendo un aspetto un po’ decrepito anche se tradizionale, era ben inserita nell’ambiente naturale.

Poi ci hanno detto che era stato approvato il progetto di demolire le piccole strutture in legno e trasferire località ed abitanti 4 Km più a nord.. dato che la zona stava franando… E’ sempre così, anche in questi luoghi: via il vecchio e spazio al nuovo.. asettico e privo dell’antica personalità!

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Lasciata la cittadina chescomparirà presto, abbiamoproseguito attraverso la valledel Bumthang, estremamenterigogliosa e ricca soprattuttodi rododendri bianchi e rossi..circondata dalla magica catenadell’Himalaya, e siamo cosìarrivati ad un altro graziosovillaggio: Nobding, a 2700metri di altezza..qui ci siamofermati per prenderecontatto con la zona e dareuno sguardo a case ed abitanti,soprattutto vecchi e bambinisempre più disponibili acomunicare..

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...devo dire che mi ha un po’ colpito in questo ed anche in altri paesini della zona vederedipinti erotici evidenziati sulle case.. mentre i piccoli bimbi giocano davanti a lorosenza minimamente curarsene.. ci hanno detto che sono simboli di fortuna e prosperità!

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Poi, immerso, quasinascosto nel fitto bosco,in un luogo suggestivo inun’ansa del fiume, ci èapparso il ChendebjiChorten, un’imponentestruttura in calce biancadel XIX secolo edificataper occultare i resti diuno spirito maligno cheera stato ucciso inquesto luogo.

La costruzione è inchiaro stile nepalese,infatti sono visibili gliocchi di Bhudda chespiccano nei quattro latidella cupola.

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Sotto una pioggia battente che ha cominciato a disturbarci siamo poi arrivati al TrongsaDzong, imponente costruzione in posizione strategica e veramente spettacolare, dimoraancestrale della famiglia reale del Bhutan… peccato il tempo inclemente..

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...ci siamo allora rifugiati all’interno ed abbiamo ammirato le numerose raffigurazionipittoriche.. i soliti guardiani terrificanti, l’albero della vita e il Paradiso di Buddha.

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Nonostante la pioggia ed il cielo cinerino Trongsa Dzong mi è piaciuto moltissimo.. cosìvecchio e trascurato nei particolari, così grigio eppure così aristocratico e mistico..abbiamo visto la pittoresca scena dei monaci che in fila ordinata si dirigevano nella saladi preghiera e i bei cortili lastricati in pietra, deserti, battuti dalla pioggia ..

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...se poi alzavo lo sguardo vedevo le finestre intarsiate,i tetti di legno colorati, letorrette.. il tutto collocato inmodo quasi disordinato,seguendo il profilo del crinale,con una notevole successionedi corridoi, che parevanostrade, ampie scalinate escalette

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...e.. ogni tanto nei cortili o nelle varie stanze qualche gallina che razzolava e moltigatti solitari che girovagavano indisturbati ovunque.

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Dopo aver salutato i giovani monaci che, terminata la loro preghiera, si erano affacciatiincuriositi da noi stranieri.. abbiamo lasciato questo Dzong e sempre con un tempoinclemente abbiamo superato il Passo di Pele La a 3500 metri.

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Il passo era contrassegnato da un piccolo Chorten commemorativo e da moltissimebandierine di preghiera.. che davano una nota di luce e colore a quell’atmosferaveramente inclemente.. dove era arrivato nel 746 anche il Guru Rimpoche!

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Mentre il cielo si andava schiarendo ed un pallido sole cominciava a comparire beneficoper le nostre membra intirizzite siamo arrivati al Jampey Lhakhang un altro anticotempio un po’ abbandonato.

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Le leggende raccontate dalla guida,hanno arricchito la nostra visita:qui, per esempio, si accede almonastero attraverso un portalecon tre gradini di pietra cherappresentano tre diversi periodi:il 1° coperto da un’asse di legno,scende nella terra e simboleggia ilpassato, quindi il Buddha storico, il2° a livello del terreno rappresentail presente, il 3° preannuncia l’erache verrà. Si crede che quando ilgradino del presente affonderàdefinitivamente nella terra, gli deidiventeranno come gli esseri umanie il mondo, così com’è, scomparirà.

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I cortili interni del Jampey Lhakhang mi sono apparsi molto decrepiti, quasi in rovina..forse per questo sono stata spinta a pregare con devozione?

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Dopo la breve sosta al Jampey Lhakhang, ci siamo diretti verso il complessospettacolare del Kurjey Lhakhang sul cui piazzale antistante oltre ad una selva dibandiere di preghiera spiccava un bianco Chorten.. L’interno del complesso monasticodel Kurjey Lhakhang mi è apparso simile a tutti i vecchi templi del Bhutan.. ricco diangoli suggestivi con numerose ricchezze artistiche .

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Ed altri Dzong vedevamo lungo ilpercorso.. immersi nel verde.. postisu colline.. ma non sempre ci siamofermati..fino alla valle di Tang dovea piedi siamo arrivati al famoso“Lago Ardente”.

E qui affascinati abbiamo ascoltatola leggenda che raccontava di un saggio, Pema Lingpa che in sogno ebbe la visione di questo fiume che,in un particolare punto formava unapiscina naturale simile ad un lago.

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Vi andò, si tuffò e scoperse, sul fondo casse e scrigni di tesori… poi chissà come si ritrovò sulla riva con uno scrigno in mano… ma quando lo disse alla gente per poter andare a recuperare altri tesori… non fu creduto, anzi fu dichiarato addirittura un truffatore.

Allora Pema Lingpa trovatosi nella necessità di dimostrare la sua buona fede e l’appoggio degli dei, prese una lampada accesa e disse le testuali parole: “Se sono un autentico scopritore dei vostri tesori nel fondo del lago, allora io tornerò con essi e con la lampada ancora accesa, se invece sono malvagio, morirò affogato!” si gettò quindi nel lago, vi rimase a lungo, ma poi risalì con uno scrigno, una statua e la lampada ancora ardente… finalmente fu creduto e il lago prese il nome di “Lago Ardente”.

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Ora questo luogo verdeggiante e pittoresco è divenuto meta di pellegrinaggio edintorno, tra gli alberi, sul ponte che conduce al lago abbiamo visto sventolare lebandierine di preghiera messe dai fedeli.. il tutto creava, come in altri luoghi sacridi preghiera, un’atmosfera festosa e colorata.

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Poi abbiamo ripreso il nostro viaggio dato che altre bellezze nascoste tra il verde e lerocce dovevano essere scoperte ed ammirate. E così siamo arrivati al Jakar Dzong,posto su un’altura perché, secondo una leggenda.. e qui le leggende abbondano…intornoal 1549, i Lama si riunirono per scegliere il luogo adatto dove erigere un monastero..

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...fu allora che videro in cielo ungrande uccello bianco che, dopoaver sorvolato a lungo la zona volleposarsi sullo sperone roccioso diun’altura.. e allora i monaci deciseroche quello era il luogo predestinatoper il Monastero..Abbiamo visitato a piedi ilcomplesso, seguendo un sentierolastricato, siamo entrati in cortili,siamo saliti sui terrazzamenti,abbiamo percorso corridoi,balaustre lignee, un po’ consumatedal tempo. I monaci erano nelle saledi preghiera e noi eravamoaccompagnati oltre che dalla guidada uno stuolo di simpatici gattiniben tenuti e pasciuti.

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Una puntata breve al paesino di Jakar con i suoi simpatici negozietti e con qualcheallegra immagine di locali e.. non sempre disponibili a farsi fotografare.

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Il mattino dopo purtroppo abbiamo ripreso la via del ritorno, ma è stato interessanterivedere i monasteri e i paesini che lungo la strada avevamo fotografato o visitatoall’andata, con la pioggia..come nel caso del Trongsa Dzong, che con il sole potevaapparire in tutta la sua luminosità...

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...ma tutto questo non erasufficiente, ecco alloraqualcosa di nuovo.. abbiamodeviato nella località diTashiling per ammirareil Potala Lhankhang che purnon avendo il fascinodell’antico, è stato infatticonsacrato nel 2005,mi è sembrato possederebelle statue del GuruRimpoche e di Buddha, noltre ha la caratteristicadi essere proprio al centro,nel cuore del Bhutan!

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Durante il tragitto, lungo la strada continuavamo a vedere numerosi carretti che poi erano trattori carichi all’inverosimile di gente abbigliata a festa… ci hanno spiegato che era il giorno in cui si andava a votare per un evento memorabile: il re aveva deciso di trasformare la Monarchia in Costituzionale e dato che si erano formati due partiti (fortunati loro che ne avevano solo due!) si doveva votare il prescelto come presidente della camera dei ministri del re.

I manifesti dei candidati erano ovunque e ci sorridevano invitanti.. ci hanno anche detto che uno dei due candidati era parente del re… chissà quale, alla fine, sarà stato il risultato!

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Come ultima escursione della giornata siamo saliti, attraverso un ripido viottolo,all’antico villaggio di Rinchengang con le sue case addossate le une alle altre e gliabitanti, per lo più donne e vecchi, estremamente cordiali.

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Ci hanno detto che qui la vita è sempre stata dura e difficile..fino a pochi anni fa non c’era luce elettrica, acqua corrente e men che meno le scuole.. orala situazione è un po’ miglioratae molti abitanti di questo villaggio lavorano come scalpelliniper gli Dzong della zona. Comunque camminare tra pietree terra, muri diroccati e donneche facevano il bucato pressouna gelida fontana.. è stataun’esperienza che ci ha fattomolto pensare…

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Il giorno dopo, di buon mattino abbiamo riattraversato il fiume e siamo saliti sulcrinale opposto al villaggio di Rinchengang a visitare l’ultimo Dzong di questo viaggio,il Wangdue Phodrang, una suggestiva costruzione del 1638, posta in una posizionestrategica…

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...ma anche qui le leggendemascherano la realtà.. imonaci ci hanno detto chementre cercavano un sitoadatto per l’edificazione delloro monastero furono vistiin cielo, quattro corvi che sidiressero ciascuno versoquattro direzioni diverse.Ciò fu considerato di buonauspicio in quantopreannunciava la diffusionedella religione verso tuttii quattro punti cardinalidella terra.

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In questo monastero abbiamo trovato una miriade di monaci.. più che in ogni altroluogo, alcuni radunati nel cortile centrale, altri affacciati alle balaustre di legno, tuttiparlottavano tra di loro ridendo e facendosi scherzi a vicenda… sembravano giovani inricreazione dopo le dure lezioni.

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Singolari anche i due guardiani all’ingresso raffigurati non più come mostri terribili, macome scheletri altrettanto poco rassicuranti… sembrano quasi dire: “Lasciate ognisperanza o voi che entrate!”

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Il complesso molto vasto mi ha dato l’impressione di essere un luogo tranquillo,piacevolmente antiquato, con i colorati tetti in legno e un’infinità di galline chescorazzano indisturbate..

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Ma il ritorno a Paro ciattendeva, la nostra vacanzaera purtroppo finita.. e oradevo proprio dire che ilBhutan, la terra del “DragoTonante”, come vienedefinita, mi ha incuriosito,entusiasmato ed emozionatocome poche altre!

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Questa terra dove il riso è rosso, dove i peperoni sono una vera e propria pietanza, dove non si vendono sigarette, dove gli uomini indossano la tunica… dove le bandiere di preghiera hanno sostituito i cartelloni pubblicitari, dove il buddhismo è vita, dove la propria identità culturale, le tradizioni vengono ancora rispettate, dove i paesaggi, tra villaggi sperduti e dimenticati, meravigliosi monasteri e templi, conservano ancora una profonda sacralità permeata da commovente e intatta bellezza…. è stata una vera scoperta.Amore, saggezza, energia illuminata nelle lunghe file dei monaci e dei pellegrini in processione… ci siamo tutti sentiti anche noi proiettati in questa terrazza sull’infinito, verso gli orizzonti himalayani che ci circondavano in un abbraccio protettivo.

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Grazie Bhutan per avermi lasciato nel cuore tanti ricordi!