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HA KEILLAH (LA COMUNITÀ) - BIMESTRALE - ORGANO DEL GRUPPO DI STUDI EBRAICI DI TORINO Sped. in A.p: 70% - filiale di Torino - n. 1 - 2° semestre 2020 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare i diritti dovuti - C/o CMP ToRINo-NoRD www.hakeillah. com [email protected] LUGLIO 2020 ANNO XLV- 224 TAMUZ 5780 NELL’INTERNO: n ISRAELE (BEPPE SE- GRE, DAN RABÀ, REU- VEN RAVENNA, GIOR- GIO GOMEL, GIORGIO BERRUTO) 5-9 n RI- CORDI: ZEEV STERNHELL (DA V ID CALEF, GIOR- GIO GOMEL) 10-11 n STORIE DI EBREI: LEO- NARD ROBBINS (INTER- VISTATO DA DAVID TER- RACINI) 12-13 n ME- MORIA (ISRAEL DE BE- NEDETTI, RIMMON LAVI) 14-15 n STORIA (A - LESSANDRO TREVES, E- MANUELE AZZITÀ) 16-17 n LIBRI (SERGIO FRAN- ZESE, PAOLA DE BENE- DETTI, ANNA SEGRE, DA- VID TERRACINI, ENRICO BOSCO) 18-23 n LETTE- RE 23 n BRASILE 24 n La lista Beiachad si era presentata con il so- stegno del Gruppo di Studi Ebraici e di altre forze presenti nella comunità. Ricordiamo a chi è meno addentro alle que- stioni politico-amministrative che l’attuale consiglio conta dodici membri più uno, che è il Presidente, Dario Disegni. Il Consiglio è composto da sei consiglieri eletti dalla li- sta Anavim e da sei eletti dalla lista Beia- chad. Il Presidente si è presentato a parte, con l’intento dichiarato di svolgere un ruolo super partes. I consiglieri Beiachad sono: Gaia Bertolin, con deleghe ai rapporti con i giovani e affari legali, membro di giunta – Alda Guastalla, con deleghe alla Casa di riposo e agli Immo- bili, membro di giunta – Guido Anau, Cimi- teri e Sezioni (Saluzzo, Cuneo, Carmagnola…) Gilberto Bosco, Culto – Danila Franco, Turismo e ICT (Information and Communica- tions Technology) – Manfredo Montagnana, Cultura. Inoltre i consiglieri sono impegnati in diverse commissioni. Va detto che questo primo anno è stato deci- samente anomalo, a causa delle restrizioni alle attività comunitarie imposte dal Corona- virus. A questa difficoltà “esterna” si è ag- giunta quella “interna” delle dimissioni dalla carica di segretario da parte del dottor Elio Limentani che ha voluto riavvicinarsi alla sua famiglia a Roma. Appelli e quattro gattini Chiudiamo questo numero a metà luglio, in un momento di incertezza, mentre il virus sembra dare un po’ di tregua in Italia (speriamo non effimera) e invece pare inarrestabile altrove, in particolare negli Stati Uniti e in Brasile, an- che a causa delle politiche dissennate dei loro governanti. Trump e Bolsonaro sono due esempi clamorosi (e purtroppo non certo gli unici) di una destra sovranista la cui incapa- cità di accettare le regole del gioco democra- tico e degli equilibri istituzionali sembra an- dare di pari passo con la sistematica negazio- ne dell’evidenza in tutto ciò che riguarda il vi- rus. E così mentre la situazione in Brasile pare sempre più preoccupante e le comunità ebrai- che si trovano in una posizione difficile (ne parliamo a pag. 24), Trump dal canto suo si è dimostrato incapace di rispondere all’ondata di indignazione contro il razzismo se non con dichiarazioni bellicose che hanno avvelenato ulteriormente il clima politico nel paese. Anche in Israele la situazione appare decisa- mente preoccupante e il governo faticosa- mente costituito dopo la lunghissima crisi a quanto pare non è stato in grado di far fronte efficacemente alla seconda ondata dell’epide- mia. E In questo clima di incertezza sembra DIALOGO E TRADIZIONE Intervista a Rav Amedeo Spagnoletto, nuovo direttore del Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara (segue a pag. 2) Si è così dovuto indire un nuovo concorso: dopo un primo bando senza vincitori, il se- condo bando è stato vinto dal dottor Edoardo Segre, che risiede a Torino con la famiglia. Per Gaia Bertolin questa è la prima esperien- za, Guido Anau, Danila Franco, Alda Gua- stalla erano consiglieri anche nella preceden- te amministrazione, sempre con Disegni Pre- sidente, inizialmente composta da cinque consiglieri Anavim e sette Beiachad, in se- guito passata a sei e sei, dopo le dimissioni di una consigliera Beiachad. Infine Manfredo Montagnana e Gilberto Bosco erano stati consiglieri in passato, con altri presidenti e altre liste. Tutti gli intervistati sono concordi nel rico- noscere al Presidente doti di equilibrio e me- diazione che hanno consentito di superare momenti anche difficili. Si è scelto di mettere in luce soprattutto gli aspetti positivi di questa esperienza e le oc- casioni di collaborazione anche con membri della comunità esterni alla lista Beiachad. Cito le parole di Guido Anau: devo dire che, causa il carattere particolare dei miei incarichi, ho rari contatti con gli altri con- siglieri, a parte quelli istituzionali, poiché le mie azioni hanno caratteristiche pratiche e non politiche. Le persone con cui intera- Da romano come ti trovi a Ferrara? È una città più a misura d’uomo? Ah, sì, riesci subito percepirne la grandezza perché a differenza di altre città ha una cinta di mura quasi intatta: con una corsetta di un’ora, hai fatto il giro delle mura e hai la sensazione di averla fatta tua. Dopo due giorni, avendola girata una volta in un senso e una dell’altra, mi sentivo padrone. Però poi girando in bicicletta vedo scorci interes- santi e sconosciuti: a parte le solite due o tre cose che tutti visitano, è una città tutta da scoprire. Quali sono i progetti futuri per il Meis? Il Meis è un museo in progress. Il grande in- vestimento di energia da parte di Simonetta Della Seta (la precedente direttrice) ha fatto sì che quella che era un’idea diventasse una realtà. Non avendo una collezione è una realtà orientata per forza di cose alla tecno- logia, al digitale. Siamo in attesa che siano erette le palazzine ulteriori (siamo in conti- nuo ritardo e il Covid ha dato la mazzata), ma questo non dipende da noi: è importante sottolineare che la parte di architettura e in- gegneria è gestita da altri, non dal Meis, e quindi anche i famosi finanziamenti, che so- Anna Segre (segue a pag. 23) no spesso sbandierati a destra e a sinistra, sono destinati alle opere edilizie gestite dal Segretariato Regionale MiBACT. Quanto abbiamo realmente a disposizione per lo svolgimento delle attività espositive, cultu- rali ed educative è sottostimato rispetto alle iniziative che il Meis ambisce a portare avanti. Raccolgo senza riserve e con grande ammi- razione l’eredità che mi ha lasciato Simo- netta. Se anche riuscissi a fare la metà di quello che ha fatto lei con il sostegno del presidente Dario Disegni e del consiglio di amministrazione in questi quattro anni, daienu [mi basterebbe]. Mi lascia uno staff coeso, un ufficio (che lei non aveva quando è arrivata) e l’eredità delle due importantis- sime mostre degli scorsi anni – quella sui primi mille anni di presenza ebraica in Italia e quella sul Rinascimento – che hanno co- stituito un percorso concettuale che ha fatto sì che quello che viene oggi proposto ai vi- sitatori possa avere un senso. E mi lascia anche una mostra, che era pronta e che inve- ce è procrastinata al prossimo anno, che co- Giuseppe venduto agli Ismaeliti dai fratelli (Gen 37, 25-28) Disegno di Stefano Levi Della Torre BILANCIO DI UN ANNO Intervista ai consiglieri Beiachad Bruna Laudi (segue a pag. 4)

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HA KEILLAH (LA COMUNITÀ) - BIMESTRALE - ORGANO DEL GRUPPO DI STUDI EBRAICI DI TORINOSped. in A.p: 70% - filiale di Torino - n. 1 - 2° semestre 2020 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare i diritti dovuti - C/o CMP ToRINo-NoRD

www.hakeillah. [email protected]

LUGLIO 2020 ANNO XLV - 224 TAMUZ 5780

NELL’INTERNO:

n ISRAELE (BEPPE SE-GRE, DAN RABÀ, REU-VEN RAVENNA, GIOR-GIO GOMEL, GIORGIOBERRUTO) 5-9 n RI-CORDI: ZEEV STERNHELL(DA VID CALEF, GIOR-GIO GOMEL) 10-11 nSTORIE DI EBREI: LEO-NARD ROBBINS (INTER-VISTATO DA DAVID TER-RACINI) 12-13 n ME-MORIA (ISRAEL DE BE-NEDETTI, RIMMON LAVI)14-15 n STORIA (A -LESSANDRO TREVES, E -MANUELE AZZITÀ) 16-17n LIBRI (SERGIO FRAN-ZESE, PAOLA DE BENE-DETTI, ANNA SEGRE, DA-VID TERRACINI, ENRICOBOSCO) 18-23n LETTE-RE 23n BRASILE 24n

La lista Beiachad si era presentata con il so-stegno del Gruppo di Studi Ebraici e di altreforze presenti nella comunità.Ricordiamo a chi è meno addentro alle que-stioni politico-amministrative che l’attualeconsiglio conta dodici membri più uno, cheè il Presidente, Dario Disegni. Il Consiglioè composto da sei consiglieri eletti dalla li-sta Anavim e da sei eletti dalla lista Beia-chad. Il Presidente si è presentato a parte,con l’intento dichiarato di svolgere un ruolosuper partes.I consiglieri Beiachad sono: Gaia Bertolin,con deleghe ai rapporti con i giovani e affarilegali, membro di giunta – Alda Guastalla,con deleghe alla Casa di riposo e agli Immo-bili, membro di giunta – Guido Anau, Cimi-teri e Sezioni (Saluzzo, Cuneo, Carmagnola…)– Gilberto Bosco, Culto – Danila Franco,Turismo e ICT (Information and Communica-tions Technology) – Manfredo Montagnana,Cultura. Inoltre i consiglieri sono impegnati indiverse commissioni. Va detto che questo primo anno è stato deci-samente anomalo, a causa delle restrizionialle attività comunitarie imposte dal Corona-virus. A questa difficoltà “esterna” si è ag-giunta quella “interna” delle dimissioni dallacarica di segretario da parte del dottor ElioLimentani che ha voluto riavvicinarsi allasua famiglia a Roma.

Appellie quattro gattiniChiudiamo questo numero a metà luglio, in unmomento di incertezza, mentre il virus sembradare un po’ di tregua in Italia (speriamo noneffimera) e invece pare inarrestabile altrove,in particolare negli Stati Uniti e in Brasile, an-che a causa delle politiche dissennate dei lorogovernanti. Trump e Bolsonaro sono dueesempi clamorosi (e purtroppo non certo gliunici) di una destra sovranista la cui incapa-cità di accettare le regole del gioco democra-tico e degli equilibri istituzionali sembra an-dare di pari passo con la sistematica negazio-ne dell’evidenza in tutto ciò che riguarda il vi-rus. E così mentre la situazione in Brasile paresempre più preoccupante e le comunità ebrai-che si trovano in una posizione difficile (neparliamo a pag. 24), Trump dal canto suo si èdimostrato incapace di rispondere all’ondatadi indignazione contro il razzismo se non condichiarazioni bellicose che hanno avvelenatoulteriormente il clima politico nel paese.Anche in Israele la situazione appare decisa-mente preoccupante e il governo faticosa-mente costituito dopo la lunghissima crisi aquanto pare non è stato in grado di far fronteefficacemente alla seconda ondata dell’epide-mia. E In questo clima di incertezza sembra

DIALOGO E TRADIZIONEIntervista a Rav Amedeo Spagnoletto, nuovo direttore del Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara

(segue a pag. 2)

Si è così dovuto indire un nuovo concorso:dopo un primo bando senza vincitori, il se-condo bando è stato vinto dal dottor EdoardoSegre, che risiede a Torino con la famiglia.Per Gaia Bertolin questa è la prima esperien-za, Guido Anau, Danila Franco, Alda Gua-stalla erano consiglieri anche nella preceden-te amministrazione, sempre con Disegni Pre-sidente, inizialmente composta da cinqueconsiglieri Anavim e sette Beiachad, in se-guito passata a sei e sei, dopo le dimissioni diuna consigliera Beiachad.  Infine ManfredoMontagnana e Gilberto Bosco erano staticonsiglieri in passato, con altri presidenti ealtre liste.Tutti gli intervistati sono concordi nel rico-noscere al Presidente doti di equilibrio e me-diazione che hanno consentito di superaremomenti anche difficili.Si è scelto di mettere in luce soprattutto gliaspetti positivi di questa esperienza e le oc-casioni di collaborazione anche con membridella comunità esterni alla lista Beiachad. Cito le parole di Guido Anau: devo direche, causa il carattere particolare dei mieiincarichi, ho rari contatti con gli altri con-siglieri, a parte quelli istituzionali, poichéle mie azioni hanno caratteristiche pratichee non politiche. Le persone con cui intera-

Da romano come ti trovi a Ferrara? È unacittà più a misura d’uomo?Ah, sì, riesci subito percepirne la grandezzaperché a differenza di altre città ha una cintadi mura quasi intatta: con una corsetta diun’ora, hai fatto il giro delle mura e hai lasensazione di averla fatta tua. Dopo duegiorni, avendola girata una volta in un sensoe una dell’altra, mi sentivo padrone. Peròpoi girando in bicicletta vedo scorci interes-santi e sconosciuti: a parte le solite due o trecose che tutti visitano, è una città tutta dascoprire.Quali sono i progetti futuri per il Meis?Il Meis è un museo in progress. Il grande in-vestimento di energia da parte di SimonettaDella Seta (la precedente direttrice) ha fattosì che quella che era un’idea diventasse unarealtà. Non avendo una collezione è unarealtà orientata per forza di cose alla tecno-logia, al digitale. Siamo in attesa che sianoerette le palazzine ulteriori (siamo in conti-nuo ritardo e il Covid ha dato la mazzata),ma questo non dipende da noi: è importantesottolineare che la parte di architettura e in-gegneria è gestita da altri, non dal Meis, equindi anche i famosi finanziamenti, che so-Anna Segre (segue a pag. 23)

no spesso sbandierati a destra e a sinistra,sono destinati alle opere edilizie gestite dalSegretariato Regionale MiBACT. Quantoabbiamo realmente a disposizione per losvolgimento delle attività espositive, cultu-rali ed educative è sottostimato rispetto alleiniziative che il Meis ambisce a portareavanti. Raccolgo senza riserve e con grande ammi-razione l’eredità che mi ha lasciato Simo-netta. Se anche riuscissi a fare la metà diquello che ha fatto lei con il sostegno delpresidente Dario Disegni e del consiglio diamministrazione in questi quattro anni,daienu [mi basterebbe]. Mi lascia uno staffcoeso, un ufficio (che lei non aveva quandoè arrivata) e l’eredità delle due importantis-sime mostre degli scorsi anni – quella suiprimi mille anni di presenza ebraica in Italiae quella sul Rinascimento – che hanno co-stituito un percorso concettuale che ha fattosì che quello che viene oggi proposto ai vi-sitatori possa avere un senso. E mi lasciaanche una mostra, che era pronta e che inve-ce è procrastinata al prossimo anno, che co-

Giuseppe venduto agli Ismaeliti dai fratelli (Gen 37, 25-28)Disegno di Stefano Levi Della Torre

BILANCIO DI UN ANNOIntervista ai consiglieri Beiachad

Bruna Laudi (segue a pag. 4)

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2pre un altro tassello importante, dal ghettoalla prima guerra mondiale. Si vedono tuttigli anelli che compongono la storia ebraicain Italia. ogni volta che una mostra vienedisallestita bisogna pensare in che modoquel nodo tematico possa confluire con glianelli precedenti; ma gli oggetti sono quasitutti in prestito dalle grandi collezioni, e fi-nita la mostra devono tornare al legittimoproprietario, quindi ci ritroviamo un lavorostorico o scientifico fatto, ma non più il sup-porto degli oggetti. Per questo delle mostreprecedenti sono rimaste le installazioni, gliaspetti digitali, i calchi, le copie e pochi ori-ginali.Dobbiamo capire in che proporzione pos-siamo aprire un museo utilizzando solo que-sto tipo di risorse o se l’aspettativa da partedel pubblico è differente. Non è che sarem-mo i primi a fare un museo di questo tipo,ma è anche vero che una parte di visitatoriche noi vorremmo far venire deviandoli dal-la solita direttrice Roma-Firenze-Venezia siaspetta di trovare i tesori dell’Italia ebraicae rischia di rimanere delusa. A loro dobbia-mo dare un’offerta diversificata: prima ditutto l’a spetto esperienziale; inoltre siamoun museo bilingue a tutti gli effetti (chissà,magari un giorno potremmo diventare tri-lingue con l’ebraico) e questo è importanteperché i turisti stranieri si sentono conside-rati. La grande sfida per il Meis sarà creareuna collezione propria, compatibilmentecon le risorse e con i rapporti che creerà condue interlocutori principali, le Comunitàebraiche e i musei in generale (che posseg-gono nei loro depositi molte cose pertinential mondo ebraico). Devo dire comunqueche con il percorso esperienziale non si re-sta delusi: il visitatore viene compenetratocon una serie di questioni storiche sui primi1500 anni di presenza ebraica in Italia (perora, come dicevo prima, ci si ferma al1500).Qual è la proporzione tra i visitatori (so-prattutto ebrei) che vengono dall’estero eitaliani?In sincerità, se ti dicessi semplicemente unapercentuale sarebbe un dato ambiguo. Ci so-no mesi (giugno, luglio, agosto e settembre)in cui la percentuale di stranieri arriva al40%, ma è perché si interrompe il flusso de-gli studenti e a Ferrara restano poche perso-ne; quindi una grossa fetta degli ingressi ri-dotti è data dagli stranieri. Ma se vado adanalizzare il resto dell’anno quando ci sonole scuole la percentuale si riduce enorme-

mente anche se in assoluto il numero deglistranieri che vengono è superiore. I perio -di dei maggiori flussi turistici sono aprile,maggio e giugno, e poi ancora settembre, ot-tobre e un po’ novembre, dopo di che si fer-ma tutto a parte una settimana in dicembre.Sono quelli i momenti significativi, e inquelli ci si attesta intorno al 10% di stranieri,che non è poco perché stiamo parlando diuna città d’arte che è raggiunta soltanto inparte dai flussi turistici; ricordiamoci che ladirettrice principale del turista tipo raramen-te prevede deviazioni dalla linea Roma-Fi-renze-Ve ne zia.La sfida di un museo ebraico nazionale di-slocato in un posto così periferico (una scel-ta che è stata contestata, ma con le istituzio-ni non sempre si può decidere: o prendere olasciare; inutile recriminare su scelte fatte15 anni fa, è passata tanta acqua sotto i fos-sati del castello estense) è di utilizzare que-sto posto non tanto per impressionare gliamericani ma per portare avanti un discorsodidattico con tutte le numerosissime scuoleche incidono su questo territorio (non soloFerrara e l’Emilia Romagna, ma anche pro-vince della Lombardia e del Veneto): tolle-ranza, rimozione del pregiudizio, fratellan-za, uguaglianza, integrazione. Vogliamoraccontare questi valori attraverso la storiadel popolo ebraico, dicendo: “Il nostro po-polo è stato qui duemila anni, ha vissutomomenti propizi e momenti invece più dif-ficili, è una storia di alti e bassi, integrazio-ne e segregazione, ma nonostante tutto sia-mo qui ed esprimiamo la nostra cultura.Non vogliamo morire, siamo presenti in Ita-lia e nel mondo con una vitalità e con un re-taggio culturale nostro. Si può imparare daciò che il popolo ebraico ha subito, dallaforza che ha espresso nella resistenza enell’espressione della propria identità”.Certi valori devono essere trasmessi, devo-no arrivare ai giovani: se non li trasmettomentre sono adolescenti c’è il rischio chedurante o subito dopo la fine della scuolaesprimeranno invece una serie di preconcet-ti inculcati da altri. Questo è un luogo in cuidocenti che hanno intelligenza e voglionoformare, non solo trasmettere un bagaglio diconoscenze, lo possono fare. Abbiamo unaproposta didattica ben ordinata e ben pre-sentata: dovrebbe esserci la fila qui fuori.Ma tutto questo bel disegno di incrementaree sviluppare le visite delle scuole ha subitoun fermo totale e subirà forti limitazioni chenon permetteranno neppure di valutare l’a-zione dello staff e del direttore. occorre anche dire una cosa: la visita alMeis dovrebbe essere una visita alla Ferrara

ebraica, al Meis, alle sinagoghe e anche alcimitero; si dovrebbe organizzare un itine-rario fatto di tre poli. Adesso la Comunità diFerrara sta completando il restauro dopo ilterremoto del 2012. Spero che questo mo-mento critico sia superato presto, a vantag-gio degli ebrei ferraresi che si devono gode-re la propria comunità ma anche – lo dicopro domo mea – a vantaggio del Meis. Perun ebreo, ma anche per uno studente, entra-re dentro una sinagoga ha un significato: lopotrai portare dentro a centomila musei, manon sarà mai la stessa cosa. C’è il dialogoreligioso, la comprensione di un altro credo.Però poi viene qui e gli metto le cose in or-dine dal punto di vista storico; altrimentiuno studente mischia tutto, non riesce più acapire la cronologia degli eventi: se vede ladistruzione del Tempio e vede vicino i bustidi Tito e di Vespasiano allora saprà collocar-la (si spera).Ci sono contatti istituzionalizzati tra ilMeis e la Comunità ebraica di Ferrara?Quello a cui punto è proprio togliere questaparola: istituzionalizzati. Un po’ per le mieesperienze pregresse, un po’ per i sentimentiche porto dentro, un po’ per il fatto che tantiebrei di Ferrara sono amici cari, a comincia-re dal Rabbino Capo, che è un mio maestro,vorrei che ci fosse un profondo sentimentodi supporto l’uno dell’altro. Se si parte dallaconvinzione a priori che qui c’è un tuo part-ner che non vuole altro che il tuo bene, giàtutto è più semplice. È chiaro che se io dicoalla Comunità che da domani devono aprirela sinagoga tre volte alla settimana e qual-cuno deve stare lì a dare spiegazioni devoanche dare un supporto logistico, economi-co. D’altra parte se si decide di aprirla nonè che io stia usurpando un bene a favore delMeis; e non ci deve essere però neppure unasorta di rimprovero del Meis alla comunitàche non sta al passo con i tempi, che non stasui social, ecc.: stiamo parlando di quarantapersone (quelle presenti e attive) avanti conl’età che danno tutte se stesse.Quanti sono i membri del tuo staff?Il gruppo di lavoro è composto ora da settefigure tutte laureate che sono referenti per al-trettante aree, si tratta di uno staff altamentequalificato e giovane, selezionato attraversoconcorsi a carattere nazionale e internaziona-le. Devo riconoscere che questo gruppo af-fiatato e appassionato è un sostegno essen-ziale. Vorrei parlare un po’ anche dei tanti altrimestieri che hai svolto e svolgi. Nell’in-tervista che hai concesso a Repubblica del17 giugno hai detto che per te la cosaprincipale che ti qualifica è essere un so-fer [colui che trascrive i rotoli della To-rah].È la cosa che mi contraddistingue. Se ci fos-sero tanti soferim in Italia sarei uno dei tanti,ma non si tratta di farmi bello perché sonol’unico, è il fatto che attraverso la mia attivitànon si interrompa una tradizione che deve es-sere trasmessa alla prossima generazione.Come sai, secondo la letteratura rabbinicanon devi vivere in una città che non abbia unsofer, uno schochet [macellaio], un inse-gnante dei bambini. Qualcuno potrebbe direche oggi il mondo è collegato e un soferdall’altra parte dell’oceano ti può supporta-re, ma non è del tutto vero: se in una certaComunità si trovano con uno strappo, un bu-co, una lettera sbagliata in un Sefer Torah, miarriva la telefonata che mi dice: “Quand’èche te lo posso portare?”. In questo mi sentoorgoglioso.Noi piemontesi ti siamo anche grati perchéhai scoperto l’antichità del Sefer Torah diBiella.Quello prova una cosa importante. Avrai vi-sto la polemica sui social e sulla carta stam-pata ebraica se abbiano o meno un senso gli

(segue da pag. 1) Dialogo e tradizione

(segue a pag. 3)

L’itinerario del Giardino delle Domande è un percorso verde che conduce alla scoper-ta delle regole dell’alimentazione ebraica e delle piante bibliche

(foto di Marco Caselli Nirmal, dal sito del Comune di Ferrara)

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potuto più dir niente. C’è stata una collabora-zione, abbiamo portato avanti il restauro an-che grazie a donazioni che ci sono arrivate, ela polemica è scemata come neve al sole.Questo è stato utile non solo per gli ebrei fio-rentini ma anche per quelli stranieri (peresempio quelli che si venivano a sposare o asoggiornare a Firenze).E con la comunità Shir Hadash? Diceviche anche con loro hai avuto ottimi rap-porti?Sì. I ragazzi di Shir Hadash venivano al Tal-mud Torah della Comunità. La prima cosache ho fatto è stata invitare il loro rabbino ealtri da noi. Non ho ricevuto da loro un in-vito formale (forse temevanoche non avrei accettato),altrimenti sarei anda-to, magari non pro-prio durantele festi-vità

ma ingenerale non

avrei avuto pro-blemi (magari con iLubavitch mi sento insintonia al 99% e con i

reform al 20%, ma il di-scorso non cambia). Ci sono

tante cose che si possono fare in comune ri-spettando le reciproche identità. Se moltefamiglie ebraiche (anche nel senso che in-tende l’ebraismo italiano) frequentano inmodo preponderante la comunità reform sipossono creare spazi di collaborazione intanti ambiti neutri, iniziative culturali, di-dattica, ecc., che possono portare un arric-chimento per gli uni e per gli altri. Così co-me, dopo i primi ostacoli, c’è una grandepartecipazione anche di membri della Co-munità di Firenze alle attività del rabbinoChabad, allo stesso modo si possono orga-nizzare attività in comune per tutti, peresempio una festa per Yom Ha-Atzmaut, unTalmud Torah, ecc. C’è chi dice che l’impossibilità di avereuna Comunità unica, come un tempo, èdovuta alla maggiore rigidità del rabbina-to italiano negli ultimi anni, in particolarea proposito dei ghiurim. Si parla di Comu-nità poco accoglienti.In Italia operano tre tribunali rabbinici, Mi-lano, Roma, Centro-Nord. Quando sono ar-rivato a Firenze ho scelto, con delibera delConsiglio, di entrare nell’orbita di quello diRoma essenzialmente per tre ragioni princi-pali: la prima è che Roma aveva una struttu-ra che dava una garanzia a livello organiz-zativo di maggiore solidità, e non c’è nullache allontani un candidato più dell’incertez-za. Poi non volevo gravare Rav Laras, chestava male, di una responsabilità ulteriore.È importante anche come un Bet Din vienepercepito al l’esterno: un tribunale rabbinicoè anche la rappresentanza della Comunitàche gli ha dato la delega, che deve essere ri-spettata nelle sue scelte (kasherut, ecc.);quindi è anche importante avere un rapportoautorevole con il mondo globale in cui si ri-conosce quella Comunità, che per l’ebrai-smo italiano è quello ortodosso (lo dice loStatuto dell’Unione delle Comunità Ebrai-

che Italiane). Anche nel passato questo deli-cato equilibrio era tenuto in altissima consi-derazione da maestri come Rav Laras e RavToaff con un senso di grande responsabilità;oggi i batè din italiani si sono costruiti unareputazione che è il risultato di una fatica edi una serie di scelte che hanno garantito achi ha dato loro la delega un riconoscimentointernazionale. Il maggior rigore di cui parlavi è dato da unfatto incontrovertibile: è mutata la fisiono-mia delle Comunità: prima anche Comunitàmedie e piccole avevano una vita ebraica or-ganizzata, ora quante sono le Comunità chehanno un minian organizzato di Shabbat?Vogliamo creare gherim che sono, come ilMeis a Ferrara, una cattedrale nel deserto?Dobbiamo agire in un contesto che li acco-glie e li fa crescere: oggi ci sono realtà in cuiun gher è costretto a cercare ancore di sal-vezza a 300-400 km di distanza. È anche unaresponsabilità nostra: ci stiamo staccando da

una condotta di vita ebraica che aggrega glialtri.

Per quanto riguarda l’accoglienza in ge-nerale (che non ha a che fare solo con

i candidati al ghiur), a Firenze ab-biamo messo in campo una serie

di attività che dessero un segnodi accoglienza a tutte le realtà

ebraiche che c’erano in città(anche gli studenti israelia-ni, per esempio). Forse i lettori di Ha Keil-lah non lo sanno ma tu sei

stato il mio mentore nelgiornalismo, perché mi hai pre-

ceduto nella direzione di Ha Tikwà e mihai trasmesso le consegne. È vero, che bei ricordi! In quell’anno di dire-zione di Ha Tikwà per la prima volta ho la-vorato davvero con un gruppo di persone;c’era un grande confronto su argomenti alti;era un gruppo coeso, litigavamo pure, ma sirealizzava quello che era scritto sulla testata(“questo giornale è aperto al libero confrontodelle idee nel rispetto di tutte le opinioni”).Mi ricorderò per sempre quel Congressodell’U nione in cui avevamo deciso di pubbli-care un supplemento satirico, Satiritikwà,con vignette di Livio Tagliacozzo che tocca-vano i temi più scottanti. C’era una vignettasui rabbinetti che facevano acqua da tutte leparti (che poi era autoironica, perché erava-mo noi) per cui io venni accolto al Congressodalla sicurezza con la minaccia che mi avreb-bero picchiato se non avessimo ritirato ilgiornale. Il bello di Ha Tikwà è che c’era uncontinuo ricambio, anche nella direzione,che faceva sì che ogni anno Ha Tikwà pren-desse una fisionomia diversa. Eravamo dav-vero liberi.

Dato che Amedeo Spagnoletto è stato ancheinsegnante al liceo ebraico di Roma, la no-stra conversazione termina, come si usa or-mai da mesi tra colleghi, con una discussio-ne sulla didattica a distanza. Madi quello ci siamo già ampia-mente occupati nel numeroscorso di Ha Keillah.

Intervista di Anna Segre

investimenti sulle piccole Comunità. Questacosa da una parte è vera, perché nell’alloca-zione delle risorse devi anche guardare dovestanno gli ebrei e quindi l’eredità che saràtrasmessa alla generazione successiva, però,dal punto di vista identitario, chi si sarebbeimmaginato che dalla sezione più piccoladella Comunità più piccola esistente in Italiasarebbe uscito un oggetto del 1250 che nelpanorama mondiale risulta essere il più anti-co Sefer Torah in possesso a una Comunitàebraica e adatto alla lettura? È vero che èusato poco (l’ultima volta per un bar mitzvahpoco tempo fa), ma c’è l’orgoglio che anchetu stessa stai esprimendo, e di tanti altri chequando vanno in giro possono dire: “In Italiac’è il Sefer Torah più antico del mondo”. Sipoteva benissimo non investire su Biella,non pagare quei 30 euro di scheda bibliogra-fica per andare a indagare quelli che, a dettadi qualcun altro che invece fapolemica, non erano altroche fondi di magazzino;però c’è stata una resti-tuzione di quei 30 euro:il Sefer di Biella è unodei tasti che possono sti-molare un cuore ebraico.Com’è stata la tua espe-rienza di Rabbino Capo aFirenze?Firenze, per motivi famigliari(essendo mia moglie fiorentina),era la principale Comunità con cuiavevo avuto contatti nel corso degliultimi vent’anni. Quando, in manieraassolutamente inaspettata (non avevomai pensato di fare il Rabbino Capo), miè stata proposta questa esperienza, è statauna sfida a cui non ho voluto rinunciare.Anche perché nella mia frequentazione diFirenze vedevo tante cose ben fatte ma altreche criticavo. Mi sono detto: vediamo sedove muovevo le critiche c’è spazio per farediversamente. Dopo due anni e mezzo pos-so dire che su alcune delle cose su cui vole-vo mettere le mani sono riuscito a imbastireun percorso diverso, su altre mi sono mo-mentaneamente arreso. Mi ero dato un oriz-zonte temporale: avevo detto al Presidentedella Comunità: in due anni quello che desi-dero fare o l’ho fatto o significa che non loporterei mai a termine. Ho dato tutto mestesso, giorno e notte (l’ho potuto fare per-ché ero senza famiglia, che veniva solo dalvenerdì alla domenica). E meno male chel’esperienza è terminata a ridosso del Covidperché non so come avrei fatto…In quali cose sei riuscito?Ho ripristinato la tefillà della mattina chenon c’era più. Mi è molto piaciuto incremen-tare il rapporto con i giovani: venivano a ca-sa mia 20-25 ragazzi ogni circa due settima-ne. Stessa cosa nello sviluppo del rapportocon gli anziani. Sono riuscito ad aggregaredelle risorse economiche di alcuni generosidonatori. E poi un punto importante per meera porre fine agli screzi che ho trovato quan-do sono arrivato: la Comunità deve essere lacasa di tutti. Com’erano i tuoi rapporti con altri grup-pi ebraici presenti a Firenze?I rapporti sono stati ottimi tanto con la comu-nità progressive Shir Hadash tanto con quellaLubavitch, con cui, quando sono arrivato,esistevano diverbi sulla kasherut del mikvè[bagno rituale]; a un certo punto ho preso iltoro per le corna e ho detto al loro rav: dimmiqual è l’autorità che ti sta bene e che se ap-prova il mikvè tu non dici più una parola;l’autorità condivisa (la massima autoritàmondiale sui mikbaot) è venuta, abbiamofatto tutto quello che ci ha detto (lievissimemodifiche a un mikvè che a suo dire era buo-no così com’era), ha rilasciato una lettera diapprovazione e da quel momento nessuno ha

(segue da pag. 2)

Il Sefer Torah di Biella,il più antico del mondo utilizzabilee in possesso di una Comunitàebraica

Rav Amedeo Spagnoletto

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tori

norecuperare appena possibile.Tutto questo è stato al momento spazzato viadalla pandemia… tuttavia considero moltopositiva l’esperienza con i ragazzi: la ricer-ca insieme del Moadon, i contatti per le varieiniziative, sono costati tempo e fatica ma alcontempo sono stati fonte di grande soddi-sfazione e mi pare anche di risultati.Con i miei compagni di lista mi sono trovatabenissimo e ho sempre avuto l’impressionedi avere con loro una visione condivisa dellaComunità.Alda Guastalla conferma gli aspetti positiviillustrati da Gaia e sottolinea come, grazie al-la competenza della Direttrice, del Direttoresanitario e di tutto il personale della Casa diriposo, non ci siano stati casi di Covid tra gliospiti e sia stato fatto tutto il possibile per farsuperare agli anziani la lontananza prolunga-ta dei famigliari.Alla mia domanda sulla gestione dell’emer-genza Covid le risposte sono tutte concordi ei consiglieri si riconoscono nelle parole diGaia: credo che l’emergenza Covid sia stataben gestita e mi pare positivo che diversi ra-gazzi abbiano dato disponibilità per dareuna mano, ottimo il lavoro di Edoardo (se-gretario) e Rav Di Porto per la distribuzionedei prodotti per Pesach che ha presentatodifficoltà di non poco conto in un momentoin cui la confusione nei trasporti regnava so-vrana. Tra le domande poste c’era la seguente: ri-spetto al programma di Beiachad e alla tuapersonale idea di Comunità, c’è qualcosa sucui pensi bisognerebbe ancora impegnarsinei prossimi anni perché, per vari motivi, èstato trascurato? Inseriresti altri obiettivinel programma della tua lista? ManfredoMontagnana: ho difficoltà a rispondere aquesta domanda anche perché, avendo par-tecipato attivamente alla vita della Comu-nità solo dopo i sessant’anni, mi considerouna “presenza esterna prestata alla Comu-nità”. Direi che un obiettivo importante daperseguire sia la conservazione del rappor-to con “gli altri”, in termini sia dei cittadinidi San Salvario sia degli enti locali, dallaCircoscrizione al Comune ed alla Regione.Per quel che riguarda quanto fatto primadelle restrizioni dovute alla pandemia, biso-gna riconoscere che la vita culturale comu-nitaria è stata molto attiva: a volte risultavafaticoso orientarsi tra le attività progettatedalle associazioni interne alla Comunità equelle esterne, con cui la Comunità colla-

gisco, e fanno parte di Anavim, sono Baru-ch Lampronti, con cui collaboro proficua-mente per le sezioni e i beni culturali e al-trettanto devo dire di Alessandro Rimini concui collaboro per la shemirà (sicurezza).Posizioni analoghe esprime Danila Franco:mantengo una buona collaborazione conBaruch, che è in commissione, per quantoriguarda lo sviluppo del turismo. Ricordoche fino a tre anni fa non esisteva questosettore. Abbiamo creato procedure e stabili-to tariffe per le visite e i vari servizi chehanno iniziato a dare un reddito, seppuresiguo: quest’anno avevamo già un incre-mento di richieste e si prospettava un introi-to maggiore, sappiamo come è andata. So-no tutte in stand-by, speriamo di poter ria-prire a ottobre.Gaia Bertolin si è occupata delle politichegiovanili e tutti abbiamo potuto vedere i ri-sultati positivi del suo lavoro, prima dell’in-terruzione forzata. Fino a quando non si èscatenata la pandemia, c’è stata un’ottimarisposta da parte delle organizzazioni gio-vanili: a inizio mandato, i rappresentanti diGET (Giovani Ebrei Torinesi), HashomerHatzair e Tsabar (studenti israeliani a Tori-no) erano stati sentiti in Consiglio per pre-sentare le loro attività ed esprimere le loroesigenze. Dopo grandi e difficili ricerche siera riusciti a individuare un nuovo Moadon(locale per incontri e attività) adatto alle ri-chieste, che presentava un costo modico eampi spazi e che aveva sortito grandissimoentusiasmo (e tengo a precisare che – nono-stante la grande differenza di metratura – ilcosto è sostanzialmente coperto dall’affittodel vecchio Moadon – grazie ad Alda! – eabbiamo ottenuto uno sconto del 50% perquesto triste periodo di mancato utilizzo).La Giunta aveva poi deliberato di ridurre ilprezzo delle cene comunitarie al costo sim-bolico di € 5,00 per tutti i ragazzi under 25– purtroppo non è stato possibile avere lagratuità – e infine la Giunta aveva final-mente deliberato a gennaio di affidare unincarico a Ruth Mussi, per formare dei ra-gazzi che proponessero attività dedicate aipiù piccoli, in particolare di shabbat. Le at-tività dei gruppi giovanili andavano avantimolto bene e l’UGEI aveva organizzato aTorino per metà marzo un magnifico pro-gramma per uno shabbaton con 150 ragazziprovenienti da tutta Italia, che si spera di

bora attivamente e felicemente da anni, perfar conoscere i valori e le tradizioni dellacultura ebraica. Ci sono stati importanti momenti di studio,tra cui: la giornata dedicata alla memoria diRav Sierra e la conferenza di Rav Di Portosul Cantico dei Cantici, alla presenza, tra glialtri, del Vescovo Nosiglia. La Giornata del-la Memoria ha visto anche quest’anno i no-stri interventi a Torino e non solo, nellescuole, nei Municipi, al Polo del ’900 eovunque siano sorte iniziative. Con la vicinaChiesa Valdese il dialogo e la collaborazionesono stati intensi e, quest’anno in particola-re, si è affermato insieme il NO all’antisemi-tismo. L’Amicizia Ebraico-Cristiana ha or-ganizzato un programma di conferenze suvari temi, suscitando sempre grande interes-se. Oltre ai mem bri della Commissione Cul-tura, anche altri hanno messo a disposizionele loro competenze per interventi richiesti dadiverse associazioni e su argomenti di variogenere ma sempre legati alla cultura e allastoria ebraica.Ho chiesto a Danila Franco se il nuovo con-siglio avesse apportato modifiche significati-ve al Sito e al Notiziario che, in campagnaelettorale, erano stati oggetto di critiche mol-to severe da parte del gruppo Anavim. L’am-ministrazione del sito è stata affidata a unnuovo gestore e la comunicazione è stata ral-lentata perché non c’è stato un vero passag-gio di consegne: peccato, perché nella Com-missione ICT abbiamo tecnici molto compe-tenti e inoltre Daniel Fantoni, che aveva se-guito la fase di progettazione software del Si-to, continua a dare la sua collaborazionequando da me interpellato. Per ora non sem-bra che ci siano grandi novità rispetto alpassato. Gli intervistati vorrebbero avere un maggiorescambio con la base elettorale e alcuni la-mentano l’allontanamento di tante personeche, in un passato non molto lontano, parte-cipavano attivamente alla vita comunitaria.Secondo Gilberto Bosco, superata l’emer-genza sanitaria, sarà importante organizzareincontri conviviali e a tema per rinsaldarerapporti che appaiono sfilacciati.Elencati gli aspetti positivi, non posso tace-re un’osservazione comune a tutti i consi-glieri che hanno risposto alle mie domande:sono concordi sull’identità di vedute esull’armonia tra compagni di lista, mentreesprimono un certo disagio per alcune posi-zioni aggressive che sono emerse in diverse

occasioni da parte di alcuniAnavim e che hanno reso fati-cose le decisioni. I consiglieriche hanno lavorato col prece-dente Consiglio rilevano cheesso si era caratterizzato peruna gradevole armonia tra ledue liste, finalizzata al bene co-mune, che consentiva a tutti diesprimere al meglio il propriopensiero e le proprie competen-ze. Va detto che, a causa dei ri-sultati elettorali, allora la Giun-ta esecutiva era composta da treconsiglieri Beiachad e un Ana-vim, mentre ora sono in parità(due e due): chiaramente questomette in maggiore evidenza lacontrapposizione tra le due listee, a volte, sembrano riemergereantichi rancori legati ai contra-sti che hanno dilaniato in passa-to la Comunità di Torino.Pare che a volte i fantasmi delpassato ritornino: personalmenteconfido molto nei giovani, chespero prendano presto in manole sorti della Comunità con unnuovo spirito, proiettato verso ilfuturo.

Bruna Laudi

(segue da pag. 1) Bilancio di un anno

La sistemazione anti-Covid dell’interno

della sinagoga grande di Torino

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5segnando che si sopravvive solo con la solida-rietà”. Per accentuare il concetto di “coltivare la spe-ranza” lo scrittore israeliano cita alcuni versidi Mahmoud Darwish, considerato uno deimaggiori poeti arabi e riferimento importanteper la causa palestinese: ”Qui, sui pendii delle colline, dinanzi al crepuscolo e alla legge del tempo, vicino ai giardini dalle ombre spezzate, facciamo come fanno i prigionieri, facciamo come fanno i disoccupati: coltiviamo la speranza”.La cerimonia è conclusa infine come ogni an-no dal Coro femminile Rana, con la canzone“Chad Gadià” (il capretto). Il coro misto,composto da donne israeliane e da donne pa-lestinesi, ha intonato il canto tradizionaleebraico, con cui abitualmente termina la cele-brazione del Seder pasquale nella versionemodificata nel 1997 da Chava Alberstein,israeliana di origine polacca, musicista, com-positrice, cantante, poetessa, attivista per i di-ritti umani, che ha lavorato su un testo dellatradizione ebraica, così importante e caro aciascuno di noi, per esprimere l’orrore per laguerra e la voglia disperata di cambiare. Il canto, che apparentemente è una filastroccaper bambini, in realtà racconta simbolicamen-te la storia delle dominazioni subite dal popo-lo ebraico e che avrà fine solo quando KadoshBaruchù, il Signore Benedetto, avrà scacciatol’Angelo della Morte.L’Haggadà di Pesach comincia dunque con ilricordo di una liberazione, quella degli ebreidalla schiavitù dell’Egitto, e finisce con laprospettiva di una liberazione ben più impor-tante, la liberazione dell’umanità intera dallamorte e dai mali che l’affliggono. Ma nella versione rivisitata da Chava, e che siriporta qui a fianco, non si aspetta passiva-mente l’intervento del Santo Benedetto chescaccerà l’Angelo della Morte: la guerra e ilutti che ne derivano non sono frutto di un de-stino immodificabile, dipendono solo dalledecisioni e dai comportamento umani, ed è re-sponsabilità solo degli uomini interromperequesta guerra oscena che sembra non averemai fine e che continua da un secolo a produr-re lutti e dolore: quanto durerà ancora questocerchio dell’orrore? Quando finirà mai questa pazzia?

Beppe Segre

Da anni Parents’ Circle (l’Associazione dellefamiglie di vittime israeliane e palestinesi) eCombatants for Peace (l’Associazione di exmilitari israeliani e di ex guerriglieri palestine-si) organizzano insieme un memoriale con-giunto per ricordare le vittime delle due partidel conflitto. L’anno scorso alla presenza dimigliaia di partecipanti ci fu un interventomagnifico di David Grossman. È una dellemanifestazioni più importanti della società ci-vile in sostegno alla pace.Il memoriale quest’anno, giunto alla 15a edi-zione, è avvenuto la sera del 27 aprile, al ter-mine della giornata di Yom Hazikaron.In che cosa questa edizione è stata diversa datutte le altre? Innanzitutto – la risposta è ovvia – la necessitàdi evitare affollamenti e l’obbligo di seguireprecisi protocolli per contenere la minaccia diCovid-19 hanno imposto di riprogettare tuttoil sistema, spostando discorsi, interviste e can-ti dal parco dove si svolgevano negli anni pas-sati a sale chiuse al pubblico.Al termine della cerimonia le persone interes-sate erano invitate a entrare virtualmente nellecase delle famiglie dell’Associazione, consessioni Zoom per conoscere meglio le storiefamiliari.La cerimonia si è svolta in streaming da TelAviv e da Ramallah ed è completamente visi-bile su YouTube: è così moltiplicato il numerodelle persone che in ogni parte del mondopossono, sia pure virtualmente, partecipare al-la manifestazione. Nella prima edizione, nel 2006, c’erano 70persone, l’anno scorso 9.000, quest’anno lacerimonia è stata vista da una platea di circa200.000 visitatori: migliaia a Gaza, diecine dimigliaia nella West Bank, e poi in Israele, Eu-ropa, Australia, USA, e nel resto del mondo.Ma la cosa più importante quest’anno – con-cordano i presentatori della serata, MayaKatz, membro di Combatants for Peace per laparte israeliana e osama Aliwat anche luimembro della stessa associazione per la partepalestinese, tutta la cerimonia è rigorosamentesimmetrica e improntata all’amicizia e al ri-spetto reciproco – è che di alcune parole que-st’anno è cambiato il significato. Negli anni scorsi “chiusura” e “coprifuoco”erano parole che servivano ad una strategia dioccupazione, segnavano il controllo esercitatoda una parte e la sofferenza patita dall’altra,mentre il Coronavirus oggi è l’occasione dellaguerra dei due popoli contro una natura mali-gna, contro un assassino invisibile che non fadistinzioni per colpire, contro il quale è dove-

rosa la solidarietà di tutti, israeliani e palesti-nesi, per salvare la vita degli uni e degli altri.Quest’anno, a differenza degli anni precedentisi sta separati, ognuno a casa propria, ma sideve lottare insieme, uniti contro un nemicocomune.La parola chiave quest’anno è Beiachad, in-sieme, che è risuonata più volte. Insieme sia-mo tenuti a combattere il nemico comune, einsieme ce la faremo. Insieme lavoriamo perla riconciliazione e la pace e insieme ce la fa-remo, questo è l’auspicio.ogni attività dell’Associazione presenta comeelemento centrale e fondamentale l’intrecciotra le tragedie di famiglie di israeliani e trage-die di famiglie di palestinesi: le esperienze e leresponsabilità sono diverse, naturalmente, mail sangue è dello stesso colore, le lacrime han-no la stessa amarezza, la sofferenza è identica.Rami Elhanan vive a Gerusalemme da settegenerazioni, si definisce ebreo, israeliano, eprima di ogni altra cosa, un essere umano. Suafiglia, Smadar, era un’adolescente di 13 anni,sorridente, gioiosa, piena di vita. Nel primogiorno di scuola, pochi giorni prima di Kip-pur, il 4 settembre 1997, si trovava a passarein Ben Yehuda Street a Gerusalemme, percomperare libri per il nuovo anno scolastico elì fu uccisa, insieme alle sue compagne discuola, dall’attentato di due palestinesi suici-di, che fecero esplodere una bomba provocan-do cinque vittime.Bassam Arami, un palestinese musulmano diHebron, ha perso la figlia di 10 anni, Abir, uc-cisa da un proiettile di gomma sparato da unmilitare israeliano vicino alla sua scuola.Roby Damelin è una madre israeliana. Suo fi-glio, David, fu ucciso da un cecchino palesti-nese nel 2002 mentre si trovava a svolgere ilservizio militare ad un checkpoint in prossi-mità di un insediamento.Layla Alsheikh, palestinese, vive a Betlemme.Nel 2002 il suo bambino di sei mesi, Qussay,si ammalò ma i soldati israeliani impedirono aLayla di portarlo all’ospedale per più di cin-que ore, Qussay morì dunque per la mancanzadi un trattamento tempestivo.Bassam e Rami, Roby e Layla, e come lorocentinaia di padri e madri in lutto, uniti nel do-lore, hanno saputo trasformare la rabbia chesentivano dentro in voglia di cambiare, parte-cipano alle manifestazioni, vanno a parlarenelle scuole, viaggiano per il mondo per dif-fondere l’insegnamento che deriva dal doloree insieme per esprimere la voglia di vivere, edi vivere in pace.L’esperienza del dolore più atroce per laperdita di un bambino innocente potrà essereutile per impedire altre guerre, evitare altreuccisioni? Dopo le testimonianze dei familiari, una can-zone lenta ripete incessantemente il ritornello:“Kamoha, come te, questo è il tuo nemico, èun uomo come te, fatto di carne e di sangue,esattamente come te”, e poi, a concludere lamanifestazione, è invitato a parlare Sami Sha-lom Chetrit, intellettuale e poeta israeliano,che si presenta a parlare in questa cerimonianon come poeta, non come attivista dei dirittiumani, ma come ex-combattente: nella terribi-le estate del 1982 entrava in Libano al seguitodel generale Sharon. Espone i suoi ricordi disoldato, esprime l’assurdità e l’orrore per laguerra, e conclude: “Noi siamo destinati aconvivere su questo fazzoletto di territorio,dobbiamo avere coraggio, credere nella pace,e coltivare la speranza. Paradossalmente que-sta speranza di pace ci viene non dalla politi-ca, non dalle grandi potenze, ma da un micro-scopico e maligno Coronavirus, che ci sta in-

LA NOSTRA FORZAÈ IL NOSTRO DOLOREIl memoriale congiunto israelo-palestinese

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Un caprettoUn capretto, un capretto che mio padre ha comprato per due zuzim. …E venne l’Angelo della Morte,che fece morire il macellaio,che macellò quel bue, che bevve l’acqua, che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che bastonò quel cane, che morse il gatto,che mangiò il capretto, che mio padre aveva comperato per due zuzim.

***

In tutte le altre notti, in tutte le altre nottiho fatto solo quattro domande,Questa sera ho una domanda in più: quanto durerà questo cerchio dell’orrore?Vincitore e vittima, bastonatore e bastonato,quando finirà mai questa follia?E cosa è cambiato ora per te? Cosa è cambiato?Sono cambiato quest’anno:ero un agnello, un capretto pacifico;oggi sono una tigre e un feroce coyote. Sono già stata una colomba e un ariete;oggi non so esattamente chi sono. Un capretto, un capretto che mio padre ha comprato per due zuzim. E ancora una volta ricominciamo dall’inizio.

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In Israele siamo al secondo giro del corona-virus.Al primo giro abbiamo risposto con tempe-stività e probabilmente con un po’ di osses-sione. Netanyahu ne ha approfittato per for-mare un governo di emergenza e convincereKahol Lavan ad entrare nella coalizione. Sipuò dire che il virus è stato l’elemento che hapermesso di superare lo stallo politico.Netanyahu e il responsabile del ministerodella sanità Moshe Siman Tov sono stati idue personaggi che hanno  condotto le rela-zioni con il pubblico, comparendo spesso intelevisione con una visione apocalittica delvirus. Ci hanno terrorizzato e ci hanno chiu-so in casa per due mesi. Ci hanno raccontatoche si rischiava di trovarsi in una situazionedi emergenza con migliaia di malati e malatigravi che il sistema  sanitario non avrebberetto e che rischiavamo di trovarci con un al-to numero di morti. Gli israeliani, abituati aubbidire alle situazioni di emergenza, si sonochiusi in casa con limitazioni decisamenteeccessive.Durante questa fase sia il Primo Ministro cheil ministro della sanità hanno infranto le lorostesse regole, il primo invitando a cena suofiglio mentre predicava alla gente di starechiusa in casa e non vedere figli e genitori. Ilministro della sanità, invece, religioso, hapregato con più di cinquanta persone in unasinagoga mentre aveva preteso che le sinago-ghe rimanessero chiuse. Si può dire che que-sti due episodi hanno deluso il vasto pubbli-co. Così, quando ci hanno detto di rimanerea casa e non andare al mare in un giorno dicaldissimo Hamsin (vento caldo), il popoloha deciso di disubbidire alle regole terroristi-che riempiendo le spiagge e il mare. Abbiamo avuto alcuni giorni di euforia per-ché ritenevamo di essere una delle poche na-zioni che avevano resistito al virus con rela-tivamente poche perdite (circa 300 morti).Gli israeliani hanno tolto la maschera e si so-no precipitati a riempire i bar e i ristorantiper festeggiare la vittoria sul virus. La rea-zione pubblica di sollievo è stata come unacatarsi collettiva di voglia di vivere dopo duemesi di reclusione e leggi spartane. Il respon-sabile del Ministero della Sanità si è dimessoper le accuse dei suoi colleghi di aver gestitola crisi con eccessiva paura del disastro. Mo-she Siman Tov era di fatto il personaggio cheaveva gestito la crisi. Con una velocità ecces-siva si sono riaperte le scuole e si è tornati alavorare: l’uscita dalla fase Uno è stata preci-pitosa e caotica. Così abbiamo festeggiato lafine del periodo spaventoso. Io stesso mi so-no tolto la maschera e sono tornato a lavoraree studiare.Ma il virus è ricomparso (probabilmente nonci aveva lasciato del tutto).ora però gli israeliani non credono più allaversione apocalittica del virus: girano senzamascherine e sono tornati a pregare nelle si-nagoghe,  sono tornati al ristorante, ai bar ealle birrerie… Hanno gridato “al lupo, al lu-po!” ed ora questa eccessiva chiusura nonpuò più spaventare il pubblico.Ci eravamo illusi che l’emergenza fosse fini-ta. Non è così. ora abbiamo un numero mol-to alto di malati e torna ad essere notevole ilnumero dei ricoverati in stato grave. ora èobbligatorio girare con la mascherina. Sicco-me la gente non si convinceva a tornare a far-lo, hanno deciso di fare multe di 200 shka-lim a chi fosse trovato senza. Non hanno rag-giunto lo scopo e hanno alzato la multa a 500shkalim. ora si vede tutta la gente con la ma-schera, ma la maggioranza la mette senza co-prirsi bocca e naso, la tengono sul collo…A guardare la gente mascherata o con la ma-scherina sul collo viene da sorridere.  ogninegozio ha all’entrata un avviso che è obbli-gatorio mettersi la mascherina; poi si vedono

tutti con la maschera sul collo. Le camerierenei ristoranti e nei bar girano con le masche-rine abbassate.  Chi si siede al bar a bere ilcappuccino ovviamente la toglie.Girano dei poliziotti e danno multe a chi èsenza mascherina. Mi trovavo in uno di que-sti bar a bere il mio meritato cappuccinoquando abbiamo visto arrivare i poliziotti. Lacameriera ha girato con le mascherine e in unattimo tutti i clienti del bar erano mascherati.I giovani sono particolarmente restii a rimet-tersi la mascherina.Io mi sono comprato due mascherine di stof-fa nera – più comode e sopportabili – e giromascherato. Le metto per salire sull’autobuso per andare al supermercato. Per il resto lemetto per non prendere la multa. Come lamaggioranza della gente.Siamo arrivati ad un numero molto alto dimalati al giorno. E, mentre ci eravamo vanta-ti di essere tra le nazioni che avevano supe-rato senza danni la prima fase, ora siamo trale nazioni nella situazione più grave. Certa-mente la conduzione della crisi nella primafase è stata gestita con troppo rigore ed orache il responsabile delle misure gravi si è di-messo siamo senza una figura che diriga lasituazione.Netanyahu ora non può presentarsi più comeil salvatore  della patria che comanda i suoisudditi. ora il governo ha un Primo Ministroma c’è anche il Vice Primo Ministro che parlacon un tono un po’ diverso. La situazione eco-nomica è disastrosa e ci sono 800 mila disoc-cupati (il tasso di disoccupazione e del 21%).Tutti concordano sul fatto che non torneremoa misure drastiche e che bisogna fare le solitecose: mascherina, lavarsi le mani e stare a di-stanza di due metri dalle altre persone.Dobbiamo vincere il coronavirus (tutti parla-no in un linguaggio militare). Ma questa crisinon è diretta e stiamo perdendo. La gente vaa lavorare, i bambini sono in vacanza, i disoc-cupati cercano di organizzarsi per ricevere unsostegno economico dal  governo. Io intantoieri sono andato al cinema dopo tre mesi dipausa, mi sono anche prenotato ad una rap-presentazione teatrale. Dovrei venire a set-tembre in Italia e come molti non so se voleròo meno. Questa è l’atmosfera dominante.Abbiamo ora un gabinetto di emergenza chesi occupa delle misure per affrontare l’epi-demia. Ma, come tute  le attività di questonuovo governo, stenta a funzionare per i vetiincrociati dei due partiti maggiori, Likud eKahol Lavan. Secondo le leggi israelianel’esercito dovrebbe dirigere le situazio -ni d’emergenza. Ma Netanyahu non molla ilcontrollo della situazione e non permette alsuo vice Gantz (ministro della difesa) diprenderla in pugno. Questo governo tenten-na e si parla di elezioni possibili… Per oranon sembra che Netanyahu sia interessatoalle elezioni.Nei sondaggi Kahol Lavan  crolla e in unaeventuale elezione Netanyahu prenderebbesenza dubbio la maggioranza dei voti. L’e-mergenza Corona è quello che per ora tienein piedi il governo. L’annessione è stata ri-mandata (doveva essere fatta il primo di lu-glio). Sembra che si sia perso il “momen-tum” e che non si farà, anche per i dubbi chehanno gli americani sulle intenzioni  di Ne-tanyahu. Il mondo è contro l’annessione eora non sembra certa la rielezione di Trumpche appoggerebbe  il nostro primo ministronel compiere questo ulteriore passo che di-struggerebbe ogni forma di colloquio con ipalestinesi. Insomma, il coronavirus, che ha salvato Ne-tanyahu al primo giro, rischia di farlo cadereal secondo giro.

Dan Rabà5 luglio

BLOCKNOTESNei giorni del virus

Dai primi di marzo sono restato in volontariaclausura, in primis dalle due uscite quotidia-ne al bet hakeneset a otto minuti da casa. Do-po quasi due mesi, mi hanno proposto di tor-nare alle tefillot, scaglionate in due minianimall’esterno della nostra sinagoga. Non ho ac-cettato per ragioni di età. Solo tre settimanefa, sono tornato all’interno, con tanto di ma-scherina (“Coprite naso e bocca, lavatevi lemani e mantenete la distanza di due metri da-gli altri partecipanti”). Ho ritrovato un bethakeneset diverso da quello conosciuto dadecenni. Distanziati dagli amici, con un’im-pennata di partecipazione il venerdì sera!Dopo l’illusione di un miglioramento gene-rale, di nuovo l’affluenza è ridiscesa a menodi una quarantina di persone. Mi è pesante latefillà con la mascherina. Penso di rimanerea casa a shahrit [mattino] e andare a tefillahsolo a minhah e arvit [pomeriggio e sera], pernon perdere le lezioni di Ghemarà e Tanakh.Per inciso seguo costantemente la situazionein Italia. Quando finiremo questa prova pla-netaria?

Reuven Ravenna, Rehovot

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usCORONA E POLITICA

Daniele Portaleone

Pubblichiamo in questo numeroalcuni disegni di Daniele Portaleo-ne, architetto e pittore torineseche avevamo intervistato nel mar-zo 2012. Abbiamo scelto di pubbli-care nella versione on line di que-sto numero alcuni suoi dipinti adolio, paesaggi dai colori splen-denti, perché in bianco e nero suHa Keillah cartaceo sarebberostati umiliati. Daniele Portaleone, nato nel 1940,ha progettato arredamenti, edificiscolastici e per lo spettacolo; èsua la trasformazione in multi-saladel Cinema Massimo di Torino. Nelcampo della pittura e della scul-tura è stato allievo di RiccardoChicco e di Roberto Terracini. L’at-tività artistica, negli ultimi anni, hagradualmente sostituito la proget-tazione e l’insegnamento. Le sueopere sono state esposte in nu-merose mostre e si trovano in col-lezioni in Italia e all’estero.

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una reazione a catena al di fuori del controllodi Israele e condurrà alla disintegrazione del-l’Autorità palestinese. Ciò richiederà a Israe-le di riprendere il possesso dell’intera Ci-sgiordania e di assumersi la responsabilitàdelle vite di 2.600.00 abitanti palestinesi.L’accordo di coalizione raggiunto tra Neta -nyahu e Gantz include articoli che consento-no al governo entrante di accelerare il pro-cesso di annessione entro il 1° luglio. Nono-stante l’ammissione della necessità di discu-tere la questione con la comunità interna -zionale, l’unico impegno vincolante è quellodi coordinarsi con l’amministrazione USA.Come è stato già per il piano di Trump “Pea-ce to Prosperity”, i palestinesi anche in que-sto caso non avranno nessuna voce in capi-tolo.È importante notare, comunque, che l’artico-lo 28 dell’accordo di coalizione menzionaanche la volontà del governo di manteneregli accordi di pace preesistenti, indicandocon ciò che Giordania ed Egitto potrannoesercitare un’influenza particolare nelle deci-sioni in materia.Per il Regno hashemita di Giordania, paeseche ospita numerosi profughi palestinesi,l’annessione rischia di mettere in crisi il go-verno e di forzarlo a riconsiderare il trattatodi pace con Israele. Lo stesso trattato traIsraele ed Egitto rischia di essere messo a re-pentaglio. Inoltre, le azioni di Israele sonodestinate a compromettere i rapporti tra que-sto e i paesi democratici nel mondo.L’annessione unilaterale è illegale secondo ildiritto internazionale e contravviene a tutte lerisoluzioni del Consiglio di Sicurezza del-l’oNU riguardanti il conflitto israelo-palesti-nese, particolarmente la risoluzione 2334 deldicembre 2016. Se portata a termine l’annes-sione significherà la fine della soluzione“due popoli due stati” e cancellerà per i pale-stinesi ogni speranza di realizzare la propriaautodeterminazione con metodi non violenti.Inoltre in seguito all’annessione Israele di-venterà uno stato che esercita un controllopermanente su milioni di abitanti palestinesisul suo territorio, privandoli peraltro dei piùbasilari diritti civili e politici; ciò sarà la finedi Israele come paese democratico così comelo conosciamo. L’annessione non comportasolo la fine delle aspirazioni del popolo pale-stinese all’indipendenza, ma anche dei valorifondanti dello stato di Israele sanciti nellaDichiarazione di indipendenza del 1948. Vi èanche il rischio di un’ondata di delegittima-zione di Israele e di ulteriori episodi di anti-semitismo. L’annessione metterà in pericolo

infine i rapporti tra Israele e gli ebrei pro-gressisti nel mondo per i quali le ragioni deidiritti umani, dell’uguaglianza e della demo-crazia sono principi essenziali.Invitiamo tutti coloro che hanno a cuore ilfuturo di Israele di unirsi a noi nel convince-re il governo ed il popolo di Israele che ilprezzo che Israele pagherà con l’annessionesarà troppo alto, insopportabile”.

Abbiamo lavorato duramente coordinati daun Comitato in perenne attività sul web –composto da un israeliano, un americano, unargentino, una canadese, una sudafricana, eio stesso in rappresentanza di Jcall Europa,pubblicando editoriali o lettere sulla stampa(da Haaretz a Le Monde, da le Temps svizze-ro a Repubblica, dal Forward americano alJewish Chronicle britannico). Abbiamo orga-nizzato incontri con diplomatici israeliani,con delegazioni composte variamente dimembri delle associazioni ebraiche firmata-rie o di altre solidali, rabbini conservative ereformed, intellettuali, a Parigi, Berlino,oslo, Copenhagen, L’Aja, Madrid, ottawa,Montreal, Toronto, Santiago, Città del Mes-sico, San Francisco, Los Angeles, Boston,New York, Chicago, Miami, Canberra. In generale, e nel rispetto della confidenzia-lità ovvia in questa materia, ambasciatori econsoli hanno affermato, pur ammettendo lagrande vaghezza di istruzioni e indicazionida Israele, che: l’annessione non è un fatto compiuto, né alprimo luglio né in altra data indefinita; sarà un’annessione limitata, forse ad alcu-ni insediamenti prossimi alla Linea verde o aparti della valle del Giordano (di un’esten-sione inferiore al 30% circa della Cisgiorda-nia prefigurato dal piano Trump); l’opposizione della comunità internazio-nale, dei paesi arabi, in particolare dellaGiordania e dell’Europa, non è stata irrile-vante nel processo; Israele si conforma tuttora ai principi dioslo e alla soluzione “a due stati”; l’Autorità palestinese dovrebbe accettaredi riprendere il negoziato, mantenere la coo-perazione in materia di sicurezza e controter-rorismo con Israele, di recente interrotta coneffetti avversi sugli stessi palestinesi; lo status legale dei palestinesi “annessi” èdel tutto imprecisato e ignoto quanto a dirit-ti di cittadinanza e di voto, confisca di terre-ni, demolizioni di case ed attività economi-che.

Giorgio Gomel

L’appello di J-Link:primi risultatiSiamo partiti un po’ alla garibaldina, spintida una spontanea consonanza di intenti. Unospettro di organizzazioni ebraiche progressi-ste, alcune importanti e con una solida storiaalle spalle, altre più giovani e piccole – unaminoranza nell’ebraismo mondiale ma unavoce coesa di ebrei per i quali i valori fon-danti sanciti dalla Dichiarazione di indipen-denza dello stato di Israele sono essenziali –ha promosso un appello per un’azione comu-ne di protesta contro il piano del governo diun’annessione unilaterale di parti della Ci-sgiordania.L’appello, rivolto in primis al mondo ebrai-co, è stato sottoscritto da 50 organizzazionisostenitrici dagli Stati Uniti al Canada,dall’Europa al Sudafrica, dall’America Lati-na al l’Au stralia. Ne abbiamo condiviso ilcontenuto con comunità e istituzioni ebrai-che nei paesi rappresentati, ambasciate dellostato di Israele, parlamenti e governi nazio-nali, e mez zi di informazione nell'auspicioche un forte appello collettivo – insieme al-l’azione di governi e istituzioni internaziona-li – potesse prevenire tali atti e preservare lapossibilità di una soluzione “a due stati” delconflitto.

Questo è il testo dell’appello:“Come membri e sostenitori di J-Link, la reteinternazionale delle organizzazione ebraicheprogressiste, vogliamo condividere la nostraprofonda preoccupazione, avvalorata dalleanalisi di esperti diplomatici e di sicurezza,riguardo all’intenzione di Israele di procede-re con l’annessione di parti della Cisgiorda-nia.Poco tempo rimane per convincere i gover-nanti israeliani a rinunciare a questa mossasconsiderata. Con l’appoggio dell’ammini-strazione Trump il Primo Ministro israelianoNetanyahu pretende di perpetuare il mitoche la realtà sul terreno abbia più forza deldiritto internazionale. Questo è il momentoin cui gli israeliani devono attentamenteconsiderare le conseguenze dell’annessioneper la sicurezza regionale e le relazioni in-ternazionali.Una petizione di recente resa pubblica, sotto-scritta da 220 ex alti ufficiali dell’esercito,del Mossad e della polizia membri dell’asso-ciazione “Comandanti per la sicurezza di Is-raele”, afferma che l’annessione provocherà

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Una voce ebraica italiana, una protesta globaleSiamo un gruppo di giovani ebree ed ebrei italiani che vivono fra l’Italia, l’Europa e Israele. Portatori di sensibilità politiche ereligiose differenti, ci accomuna la forte opposizione all’occupazione israeliana dei territori palestinesi e, oggi, al piano di an-nessione previsto dal nuovo governo israeliano. Con questo appello vogliamo aggiungere il nostro contributo alle numerosevoci che si sono levate a riguardo nella diaspora e nel mondo. L’accordo di coalizione raggiunto da Benjamin Netanyahu e Benny Gantz prevede che il nuovo esecutivo dia inizio al processo diannessione di parti della Cisgiordania nel luglio 2020. L’annessione unilaterale di porzioni della Cisgiordania rappresenta un colpofatale per la realizzazione di un futuro di giustizia e pace tra israeliani e palestinesi, e viola il diritto internazionale. Se portata a termine, l’annessione consoliderà de iure la discriminazione sistemica dei palestinesi, negando i loro diritti individualie collettivi. Inoltre, il Primo Ministro israeliano ha dichiarato che ai residenti palestinesi dei territori annessi non verrebbe conferitala cittadinanza. La criticità di questo progetto è resa ancora più acuta dal quadro all’interno del quale si inserisce – il “Deal of theCentury” del Presidente Trump – che dietro la falsa promessa della creazione di uno Stato palestinese, prospetta in realtà un’entitàpriva di continuità territoriale e di sovranità politica. Il progetto di annessione di parte dei territori palestinesi mette ulteriormente in pericolo la prospettiva di uguaglianza e libertàper entrambi i popoli. Pertanto, sentiamo l’obbligo di opporci con forza a questo progetto e di contribuire al dibattito all’internodelle comunità ebraiche e delle società di cui facciamo parte, invitando chiunque si riconosca in questo appello, senza distin-zione di età, a sottoscriverlo. 

Lea Airoldi, Bianca Ambrosio, Amanda Assin, Ruben Attias, Giorgio Berruto, Michael Blanga-Gubbay, Sara Buda, GiorgiaCalò, Enrico Campelli, Teodoro Cohen, Daniel Damascelli, Sara De Benedictis, Daniel Disegni, Aliza Fiorentino, Alex Fish-man, Benjamin Fishman, Michael Hazan, Gaia Litrico, Micol Meghnagi, Jonathan Misrachi, Bruno Montesano, SusannaMontesano, Yael Pepe, Dana Portaleone, Susanna Portaleone, Emanuel Salmonì. 

Per sostenerci in questo appello e per visualizzare le firme aggiornate dei nostri sostenitori cliccate sul link che trovate sul sitowww.hakeillah.com

oppure per aderire potete scrivere a [email protected]

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Doppio dilemma

Dopo il 2000 la politica israeliana si trasfor-ma, aprendo un ventennio di preponderanzadei partiti di destra. Sono due i problemi chegli israeliani considerano centrali e che si rive-lano decisivi al momento delle elezioni. In-nanzitutto la sicurezza: quasi tutti gli israelianisanno che cosa significa avere dei terroristi aiconfini e reputano inevitabile, in caso di di-simpegno completo, che in Cisgiordania si ve-rifichi quello che è accaduto a Gaza dopo il ri-tiro unilaterale nel 2005, con la presa del po-tere da parte di Hamas. È vero che Netanyahue altri politici di destra hanno spesso esaspera-to questo argomento a fini elettorali, ma è an-che vero che quello della sicurezza è un pro-blema reale e non può essere liquidato comemera propaganda. Il secondo dilemma riguar-da l’occupazione, che per Israele rappresentaun problema diplomatico (accresce l’isola-mento internazionale), demografico (la popo-lazione palestinese è in rapido incremento),etico (ai palestinesi non sono riconosciuti i di-ritti di cui godono i cittadini israeliani). InIsraele non mancano minoranze che non repu-tano la sicurezza oppure l’occupazione unproblema, ma la maggior parte delle personeha ben chiaro il doppio dilemma.

Elogio dell’imperfezione

Da anni, ormai, la parola pace è scomparsa dalvocabolario dei leader del partito laburista. Trai partiti sionisti soltanto il Meretz continua afarla propria, ma anche in questo caso con cre-scente timidezza. Probabilmente questo dipen-de dal fatto che gli israeliani oggi non pensanopiù che sia possibile una soluzione, cioè unaperfezione, ma solo una gestione. Proviamo al-lora a fare un esperimento mentale, mettendotra parentesi le esigenze degli arabi palestinesie concentrandoci unicamente su quelle degliisraeliani. I palestinesi naturalmente non pos-

La scoperta dell’altro è uno shock progressivocon cui si tarda a fare i conti; nel frattempo vie-ne triplicata artificiosamente l’area urbana diGerusalemme, spianato l’antico quartiere ma-grebino davanti al Kotel e si moltiplicano gliinsediamenti di coloni ebrei nei territori di re-cente conquista, che però Israele non annette. Lentamente ma inesorabilmente la realtà vie-ne a galla. Non solo ci sono altre persone chegià vivono in quelle regioni, ma anche per al-tri la terra è vincolata a eventi, cioè alla me-moria di eventi, e in questo senso non fa dif-ferenza se la memoria degli arabi palestinesiè più giovane di quella degli ebrei: perché lamemoria, che edifica le opposte identità, èsempre qui e ora, non cambia se fa riferimen-to a millenni oppure a pochi anni fa.

Tra due illusioni

La scoperta dell’altro da parte israeliana,cioè la consapevolezza dell’esistenza di altrepersone irriducibili a sé come gli arabi pale-stinesi, culmina nel 1987, quando scoppia laprima intifada, quella delle pietre. In Israeleallora l’opinione pubblica viene investita daldilemma della sicurezza: come controllaregli arabi palestinesi in rivolta, una popolazio-ne in rapida crescita demografica che vivesotto regime militare senza i diritti di cui go-dono i cittadini israeliani? È una questionegrave in particolare per la destra nazionali-sta, che ha spinto negli anni settanta e ottantaper l’edificazione de gli insediamenti e ades-so ha difficoltà a ela borare risposte soddisfa-centi. È inoltre chiaro a tutti, con la solaesclusione dei fanatici più irriducibili, cheesiste un problema a intervenire con i carriarmati contro chi lancia sassi. Non molti annidopo, non a caso, la sinistra torna a imporsialle elezioni, avviando con coraggio il pro-cesso di pace che vede negli accordi di oslouna prima tappa. Seguono gli anni in cui ilpercorso intrapreso da Rabin viene continua-to in modo prima blando da Netanyahu e poideciso dal laburista Barak, che elabora unairrinunciabile offerta di pace: irrinunciabile,quantomeno, per chi la pace la vuole. Nel2000 l’opinione pubblica israeliana vienesconvolta nuovamente e in modo ancora piùdevastante. L’offerta di Barak viene infatti ri-fiutata e poche settimane più tardi deflagra laseconda intifada, quella delle bombe nellepizzerie, sugli autobus, nelle discoteche. Gliisraeliani mettono in relazione i due eventi, eallora il rifiuto di uno stato in pace, persegui-to con coerenza da Arafat a Camp David, se-gna la loro sfiducia totale nei confronti deipalestinesi e il drammatico tracollo per i par-titi di sinistra, che proprio sulla pace neglianni novanta avevano puntato l’intera posta.Ciascuno può giudicare quanto questa letturasia aderente alla realtà, è però un fatto che lamaggioranza dei cittadini ebrei di Israele in-terpreti adesso l’intero processo di pace co-me conseguenza dell’esclusiva iniziativaisraeliana, mentre Arafat sarebbe stato al gio-co senza impegnarsi davvero, e con il soloscopo di ottenere il più possibile senza farealcuna concessione.

“Cosa vogliamo? Vogliamo tutto!”, cantavanel 1970 Alfredo Bandelli nella Ballata dellaFiat, tra i simboli a Torino e in tutta Italia de-gli anni della contestazione. “Alla violenzadella questura”, continuava il testo a togliereogni dubbio non solo sui fini ma anche suimezzi, si risponde con “tante mani che asampietrino cominciano a andar”. “Vogliamotutto” è forse uno slogan un po’ ingenuo, masi adatta a perfezione a descrivere l’atteggia-mento degli arabi palestinesi, o almeno deiloro leader politici, dagli anni venti a oggi.Sia al tempo dell’Yishuv, quando non esiste-va uno stato ebraico, sia ai nostri giorni in cuiIsraele gode di una posizione di forza in Me-dio oriente, i palestinesi scelgono perlopiùun massimalismo volutamente privo di con-tenuti specifici. Vogliamo tutto, appunto.Tutto cosa non è dato sapere, anche se qual-cuno dirà che si può intuire benissimo. L’e-stremismo palestinese è talmente manifestoda rischiare di nascondere quei molti israe-liani che, anche loro, vogliono tutto. Voleretutto si gnifica qui pensare che si debba con-seguire una soluzione definitiva. Tra le variee diverse possibilità di soluzioni definitivesanguinarie e no: cacciare gli arabi (o gliebrei), la pace perfetta, una forma idilliaca diconvivenza e amicizia tra i popoli, la rigene-razione attraverso l’unione con la terra.

Febbre ’67

Nel 1967, a conseguenza di un conflitto lampoche nasce per Israele da esigenze difensive eda atti di aperta ostilità dell’Egitto di Nasser,l’esercito israeliano occupa vaste regioni, tracui la città vecchia di Gerusalemme e i territoribiblici di Giudea e Samaria. Complice il reite-rato rifiuto arabo che chiude a ogni possibilecompromesso, ma anche l’entusiasmo messia-nico che trae alimento da una vittoria interpre-tata come se si trattasse di un miracolo, inIsraele perde quota il sionismo di TheodorHerzl a tutto vantaggio di quello di rav Kook.L’umanismo del primo, che pensa a uno statoebraico tra gli stati per inserire gli ebrei nelconsesso delle nazioni e così risolvere il pro-blema dell’antisemitismo, viene superato dislancio da una crescente febbre messianica chescopre un utile combustibile nell’idea misticadi Kook secondo cui per ritrovare se stessi do-po un esilio due volte millenario occorre ricon-giungersi alle terre bibliche come l’anima si ri-congiunge al corpo. E le terre bibliche non so-no Tel Aviv, Haifa e la zona litoranea, ma Giu-dea e Samaria: Gerusalemme, Hebron, She-chem, Gilo eccetera. Il 1967 sembra aprire leporte alla realizzazione di tutti i sogni: uno sta-to forte e non più in pericolo esistenziale, unostato sotto il cui controllo sono adesso le regio-ni bibliche. L’entusiasmo è alle stelle.

La scoperta dell’altro

Ma piano piano, nel corso dei decenni, si af-faccia alla finestra degli israeliani una realtàineludibile: le terre occupate non sono disa-bitate.

I TERRITORI. ELOGIODELL’IMPERFEZIONE

isra

ele

Vignetta di Davì (segue a pag. 9)

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schia ai cani; dice di volere tutto ma non dicetutto cosa. Il suo autoproclamato piano perl’accordo del secolo – nientemeno – può almassimo tradursi in un via libera per Ne-tanyahu, ma è possibile che, in queste settima-ne che avvicinano alle elezioni americane econ sondaggi che segnalano il crollo del con-senso, Trump questo via libera non lo dia. SeTrump è, come Lucignolo, l’anima grande (epresto gran somaro) che conduce Pinocchio alPaese dei Balocchi, Netanyahu non se lo fa ri-petere due volte ed è ormai da anni saltato sulcarrozzone del big friend americano: non stu-pisce allora che anche i piani di annessione perla storica data del 1° luglio di cui si fa gran par-lare siano poveri di contenuti e la data già su-perata e disattesa. Centinaia di osservatori edex ufficiali israeliani si sono apertamenteschierati contro l’annessione – questa annes-sione – menzionando tra l’altro come non solonon risolva i problemi di sicurezza, ma anzi liaccresca. E poi annessione di che cosa? Conquali obiettivi? Con quali conseguenze?

Un compromesso imperfetto

Un compromesso imperfetto che consideriesclusivamente le esigenze israeliane (teniamoancora per un attimo i palestinesi tra parentesi)deve tenere presente che il controllo almenoparziale dei territori è indispensabile per la si-curezza, e che la fine dell’occupazione è indi-spensabile per i motivi demografici, diploma-tici ed etici che abbiamo visto parlando di dop-pio dilemma. L’annessione della valle delGiordano e di alcuni blocchi di insediamenti dicui Netanyahu nelle settimane scorse ha fattoun gran parlare sarebbe una proposta interes-sante se fosse parte di un programma più am-pio, ma ha piuttosto l’aria di un tentativo di ar-raffare un po’ di terra lasciando tutto il restoinalterato, complice l’atteso ma quantomenodubbio via libera di Trump. Eppure l’annessio-ne unilaterale di una parte dei territori da partedi Israele non è forse da rifiutare in partenza,per motivi di principio, altrimenti si tornerebbeancora una volta alla ricerca della perfezione eal rifiuto del compromesso. Un piano di seriocompromesso invece potrebbe: (1) limitarel’annessione alle zone fondamentali per esi-genze di sicurezza, per esempio la stretta fascialungo il fiume Giordano al confine con laGiordania; (2) fermare l’espansione e la molti-plicazione degli insediamenti e smantellarequelli non (ancora) legalizzati; (3) aumentarel’estensione dell’area A sotto esclusivo con-trollo arabo palestinese, cercando di mettere incomunicazione le aree urbane per togliere pro-gressivamente i checkpoint, che per i palesti-nesi sono il segno tangibile e quotidiano del-l’occupazione; (4) collegare con strade esclu-sive le porzioni non contigue di area A; (5) da-re la cittadinanza israeliana a tutti gli abitantidelle zone annesse, senza distinzioni etniche,discriminazioni o espulsioni; (6) staccare iquartieri orientali di Gerusalemme, che fino al-la enorme e arbitraria estensione della munici-palità successiva alla guerra dei sei giorni nonerano compresi nella capitale israeliana. Nonsi tratta di “dividere” Gerusalemme, spaurac-chio delle destre israeliane, ma semplicementedi decidere che alcune zone oggi formalmentecomprese nella città fanno riferimento a un’al-tra municipalità, che potrebbe benissimo di-ventare capitale di una nuova entità politicaarabo-palestinese.

I vantaggi dell’unilateralità

In Israele da anni ci sono think tank che valu-tano queste e altre possibilità, ma i governinon sembrano per ora interessati a prenderlesul serio. Tre considerazioni sono necessariea margine del modello che abbiamo visto: (a)è basato su un’azione unilaterale di Israele;(b) non risolve (e non vuole risolvere) i pro-blemi, ma punta a mantenere la sicurezza ri-

ducendo l’occupazione e in particolare l’im-patto di quest’ultima sulle vite degli arabi pa-lestinesi; (c) rinforza l’autorità palestinese. Èmolto probabile che anche a fronte di un’op-zione come quella abbozzata la leadershiparaba palestinese dapprima griderebbe alloscandalo e all’apartheid. Ma poi i vantaggidella decisione unilaterale di Israele cadreb-bero a pioggia su tutti. L’allentarsi sulla vitadelle persone (si pensi alle estenuanti ore aiposti di blocco) del controllo israeliano, cheoggi è motivato da esigenze di sicurezza, por-terebbe probabilmente non alla pace e al -l’amicizia, ma alla convivenza. Adesso pos-siamo finalmente togliere i palestinesi dallaparentesi in cui li abbiamo costretti e, se han-no qualcosa da dire che non sia uno sloganmassimalista, Israele ha il dovere di ascoltar-li. Magari un giorno non lontano i palestinesi,come gli israeliani, non vorranno più tutto.Magari si accontenteranno di qualcosa.

Giorgio Berruto

sono essere ignorati quando si tratta di farescelte che hanno conseguenze sul campo, ma èanche vero che dal 1937 fino a oggi i loro lea-der hanno rifiutato ogni compromesso, dimo-strando con i fatti, agli occhi della maggiorparte degli israeliani, di non accettare l’ipotesidei due stati. È una realtà amara per molti, maè necessario dirlo con chiarezza per esplicitareil pensiero largamente prevalente in Israele ne-gli ultimi vent’anni: non si risolve il conflittodando la terra, se non è la terra che i palestinesivogliono. Messe dunque in parentesi tempora-neamente – le recupereremo più avanti – le esi-genze dei palestinesi, proviamo a reimpostareil problema su basi diverse ed ebraiche. Sha-lom, pace, in ebraico indica uno stato di com-piutezza e perfezione. Shalom è una caratteri-stica dei tempi messianici e, come questi, èsempre da raggiungere, non è mai raggiunto.Punto di fuga che dirige gli sguardi, orizzonteche si sposta con il nostro incedere, shalom èuna completezza che, se venisse ottenuta, nonsarebbe vera completezza proprio come ilmessia che viene è sempre un falso messia. Seil messia arriva, se la compiutezza viene dav-vero compiuta, allora è lo stesso monoteismo acadere, perché non sarebbe più Dio l’unico ter-mine in grado di esprimere la perfezione. Sha-lom, come tutte le perfezioni, è un sogno chepuò e deve orientare l’azione nello sforzo dimigliorare il mondo che ci circonda, ma pursempre un sogno che, in quanto tale, non puòessere trasformato automaticamente in realtà.È forse tempo, anche per lo stato di Israele,non di cercare la perfezione ma di perseguireforme accettabili di imperfezione.

L’imperfezione e i suoi nemici

Alcune persone, in Israele e nelle comunitàebraiche all’estero, Italia inclusa, credono chela perfezione sia non un modello ideale per l’a-zione, ma una concreta realtà che è possibileraggiungere. Da una parte c’è chi pensa cheIsraele debba adeguarsi a standard etici che nonvengono chiesti a nessun altro paese; dall’altrachi, spesso in nome di una equivoca devozione,propala un messianismo intrecciato al cultodella terra e propugna il genocidio filosoficodell’Altro e la venerazione di sé. Questo secon-do gruppo è più numeroso, ma condivide con ilprimo la ricerca di una perfezione. Entrambi, inmodi diversi, esprimono un attaccamento al fu-turo di Israele che manca di distanza, un amorecieco a ogni ragione: ed ecco che questo amoresi rovescia in fanatismo, la storia in filosofiadella storia. Entrambi vogliono tutto, con le pa-role della Ballata della Fiat, anche se si trattadi un “tutto” che dipende da preferenze diver-se; ma come nella storia russa del pesciolinod’oro rischiano di non ottenere niente.

Che fare?

Pensare che il conflitto non sia risolvibile nonsignifica pensare che non ci sia niente da fare.Al contrario, c’è molto che può essere fatto permigliorare la situazione, anche se il risultatosarà tutt’altro che perfetto. A parere di chi scri-ve, il cosiddetto piano Trump non è di aiuto madi ostacolo perché è un non piano di un nonpresidente che esprime una non linea frutto dinon idee. Di questo suddetto piano non sono icontenuti a importare e viene il sospetto chesia perché si tratta di non contenuti: mediumsenza alcun messaggio, richiamo che basta a sestesso e non ha nulla da dire, grido del vendi-tore che ha esaurito la merce ma, imperterrito,disegna a gran voce nell’aria immagini favolo-se e fantasiose. Per questo Trump fa così pau-ra. Trump è il pagliaccio sui trampoli che urla“Venghino signori, venghino al circo” indiffe-rente al fatto che il circo si è già spostato in al-tra città o forse non c’è mai stato. Trump nonspiega, lascia intuire; non parla alle persone, fi- Vignetta di Davì

9(segue da pag. 8

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per Israele era tanto intensa quanto disincan-tata: non lasciava spazio né ai miti nazional-religiosi né tanto meno all’uso pretestuosodella Shoah per giustificare l’appropriazionedelle terre dei palestinesi e la negazione deiloro diritti. Tuttavia penso che rendere omag-gio a Sternhell significhi anche riconoscereche, al di là dell’impeccabile impegno di in-tellettuale militante, alcune delle sue tesi nonabbiano sempre colto nel segno. La sua inter-pretazione sulla genesi francese del fascismo(ad es. la Francia come culla e laboratorio au-toctono del pensiero fascista) continua a nonsembrarmi persuasiva. Così pure ritengo chela sua tesi sull’ideologia fascista, che per luinasce sempre dalla fusione tra movimenti didestra e di sinistra (cfr. Né destra né sinistra.L'ideologia fascista in Francia, 1983) pre-senti diverse eccezioni. Infine, anche recente-mente (la citata intervista su “Le Nouvel ob-servateur” del 2014) Sternhell ha ribadito cheMussolini “nel 1938 è stato obbligato a pro-mulgare le leggi antiebraiche a causa dellasua alleanza con Hitler”. Una tesi che alla lu-ce della storiografia degli ultimi anni mi sem-bra piuttosto dubbia. Ma l’eredità intellettuale di Sternhell restastraordinaria e la sua voce tanto più indispen-sabile quanto più Israele procede senza trova-re ostacoli verso l’annessione di un terzo del-la Cisgiordania. Al grande rammarico di aver perso una dellevoci più limpide della cultura israeliana si ag-giunge la rabbia per essere costretti a osserva-re Netanyahu ad un passo dal realizzare unregime di apartheid in nome della sicurezzaisraeliana. Shalom, Zeev.

David Calef

ducia nel partito laburista.A Bruxelles, chiacchierammo durante l’inter-vallo tra due sessioni: io gli parlai del mionuovo lavoro, lui mi disse che aveva da pocoscritto per la “New Left Review” la stronca-tura di un libro ferocemente antisionista comeReturns of Zionism di Gabriel Piterberg. Glidissi che sarei venuto a trovarlo al prossimoviaggio a Gerusalemme. Ma nel 2014 nonriuscii a combinare i miei orari con i suoi enon l’ho più rivisto. Da allora ho continuato aleggere i suoi articoli su “Haaretz” in cui sfer-zava le politiche dei vari governi israeliani. Nel corso della sua vita, Sternhell ha conti-nuato a definirsi sionista e arci-sionista e alcontempo a sottoporre la politica israelianadegli insediamenti ad una critica implacabilee, purtroppo, sempre più sfiduciata.In un’intervista di qualche anno fa su “LeNouvel observateur” disse all’intervistatore:“[La destra israeliana] vuole conquistare laCisgiordania, vuole annetterla senza dirlo inmodo esplicito. Vuole che i palestinesi accet-tino spontaneamente la propria inferiorità difronte alla potenza israeliana… Nei territorioccupati ci sono due popolazioni tra cui350,000 ebrei. Ciò ha creato una situazioneche molti oggi pensano sia già irreversibile.Io mi sforzo a pensare che sia ancora reversi-bile. Ma, dentro di me, so che la situazione èdisperata e senza speranza”. Posso che direche la pensavo e la penso come lui.Mi sembra che negli anni un filo rosso abbialegato tutti i suoi interventi: una fiducia totalenel potere della Ragione e nelle ragioni degliilluministi. Allo stesso tempo, Sternhell, co-me storico delle idee, ha studiato e fatto lette-ralmente a pezzi (cfr. Contro l'illuminismo.Dal XVIII Secolo alla Guerra Fredda, 2007)un gruppo di autori antilluministi e sostenitoridi ideologie autoritarie e illiberali: un rag-gruppamento molto (forse anche troppo) am-pio e variegato che va da Johann GottfriedHerder e Maurice Barrès a Isaiah Berlin e aNorman Podhoretz.Credo sia stata proprio la sua passione per laragione e per i valori (in primis i diritti uni-versali degli uomini) dell’illuminismo a farmiessere in grande sintonia con i suoi articolisul conflitto medio-orientale. La sua passione

Zeev Sternhell

IL SONNO DELLA RAGIONECREA MOSTRINella tarda primavera del 2002, durante la se-conda intifada nel pieno di un’ondata di at-tentati terroristici, ero in Israele. Grazie al-l’interessamento di Shulamit Volkov, storicae studiosa dell’ebraismo tedesco del Nove-cento di cui ero ospite, intervistai quattro sto-rici: Benny Morris, Anita Shapira, Ilan Pappee Zeev Sternhell. Ha Keillah pubblicò l’inter-

vista sull’ultimo numerodel 2002. Gli incontri furono inte-ressanti ognuno a suomodo, ma quello conSternhell mi restò im-presso più degli altri enon solo per l’affinitàdelle mie idee alle sue ri-guardo alla soluzione delconflitto con i palestine-si.L’intervista con lo stori-co israeliano, condottanello studio della sua ca-sa a Gerusalemme, co-minciò con un tono cor-diale ma formale. Ad uncerto punto, mentre be-vevo un bicchiere d’ac-qua che mi aveva offerto,Sternhell mi domandòquali erano le origini deimiei. Risposi che il miononno materno era nato aBiberka, un piccolo vil-laggio nei dintorni diLemberg (oggi Lvov in

Ucraina), la capitale della Galizia. Appenamenzionai Lvov, Sternhell sorrise, interruppeil mio breve racconto e mi disse “Anch’io so-no di quelle parti”. Sternhell era infatti nato aPrzemyśl una cittadina ad ovest di Lvov. Nel1941, durante l’operazione Barbarossa, i na-zisti invasero Przemyśl, rinchiusero gli ebreinel ghetto e assassinarono la madre e la sorel-la di Sternhell. Solo grazie all’intraprendenzadi uno zio, quest’ultimo riuscì a scappare aLvov dove visse con una famiglia cattolica fi-no al 1946, anno in cui raggiunse altri fami-liari in Francia. Accertato che avevamo radici galiziane in co-mune, l’intervista continuò con unacerta spigliatezza.otto anni più tardi incontrai di nuo-vo Sternhell a Bruxelles, in occasio-ne del lancio di JCall, il movimentodi ebrei europei che nel 2010 iniziòle sue attività di sostegno alla solu-zione Due Popoli Due Stati.Alla manifestazione di JCall, inun’aula del Parlamento Europeo, ol-tre ai rappresentanti delle sezioninazionali, parteciparono una serie diebrei, intellettuali e non, che soste-nevano le ragioni del movimento.Tra i tanti sostenitori di JCall conve-nuti in Belgio intervenne ancheSternhell. Più di altri, Sternhell ave-va ottime ragioni per essere lì, quel3 di maggio. Qualche anno più tar-di, in una lunga intervista raccoltanel volume Histoire et lumières:Changer le monde par la raison(2014), Sternhell definì JCall “un’i-niziativa eroica”, a conferma delfatto che per lui la sinistra israelianafosse troppo debole ed esangue peropporsi in maniera efficace alle po-litiche espansioniste e reazionariedel Likud e dei suoi alleati. ovvia-mente non aveva quasi nessuna fi-

Minima moraliaA smuovere il mondo sono i sognatori,coloro che hanno il coraggio di portareavanti una visione. Senza questi sognatorilo stato d’Israele non sarebbe mai nato…La realtà è che l’occupazione sta corro-dendo le basi della nostra democrazia, co-sì come la colonizzazione dei territori oc-cupati alimenta una cultura dell’illegalità.Tutto questo non ha nulla a che vederecon i valori che furono a fondamento delpionierismo sionista.

Zeev Sternhell, Intervista a Globalist, febbraio 2020

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una sorta di idolatria della nazione: gliebrei, memori di una storia lunga di perse-cuzione, hanno dovuto e voluto fondareuno stato-nazione in cui fossero padroni delproprio destino ma nel corso del tempol’eccesso di nazionalismo è degenerato informe simili a quelle che l’Europa ha vissu-to negli anni ’30. Sternhell è stato un intellettuale impegnato,dalle colonne del quotidiano Haaretz sin da-gli anni ’70 ai tanti manifesti, interventipubblici in difesa della pace, di una soluzio-ne negoziata del conflitto israelo-palestine-se e del futuro della democrazia in Israele,minacciata dalla guerra, dall’occupazione edal dominio esercitato su un altro popolo.Nel 2008 fu oggetto di un attentato dinami-

tardo da parte di un estremista di destra nel-la sua casa di Gerusalemme. In quell’annoaveva detto in una intervista a Haaretz:“Non sono venuto in Israele per vivere inuno stato binazionale. Se avessi voluto vi-vere come minoranza avrei scelto un postodove sia più piacevole e sicuro vivere conuno status di minoranza. Ma non sono cer-tamente venuto in Israele per essere un so-vrano coloniale. Per me il nazionalismo chenon ha un’impronta universalistica, che nonrispetta i diritti nazionali di altri popoli, è un

nazionalismo pericoloso e perverso…”.Nel 2016 fu tra i 500 firmatari di un appello“Save Israel, stop the occupation”, che nelricorrere dei 50 anni dalla guerra del 1967 edell’avvio del regime di occupazione sullaCisgiordania e la striscia di Gaza sottolinea-va il pericolo che il persistere di quell’occu-pazione conduca di fatto ad uno stato bina-zionale in cui i palestinesi restano privati diogni diritto. I suoi promotori affermavano: “Noi credia-mo che mezzo secolo di occupazione sia or-mai troppo e che da tempo sia ora di porvifine… Far durare ancora questa situazionecondanna i due popoli che condividono laterra a un inutile spargimento di sangue…La creazione di uno stato di Palestina ac-canto allo stato di Israele… impedirà i ten-tativi di fondere le due entità in una terra diIsraele dove vige l’apartheid, come propu-gnato dalla destra israeliana dominata daicoloni”. Nei mesi scorsi lo storico ha promosso conaltri israeliani un appello, pubblicato sul

quotidiano britannico The Independent, inopposizione al piano Trump “Peace to pro-sperity” giudicato un affronto al diritto in-ternazionale e la legittimazione delle posi-zioni oltranziste della destra israeliana. Inun’intervista recente Sternhell affermava:“Gli insediamenti realizzati dopo la guerradel ’67 oltre la Linea verde rappresentano lapiù grande catastrofe nella storia del sioni-smo e questo perché hanno creato una situa-zione coloniale, proprio quello che il sioni-smo voleva evitare. Da questo punto di vi-sta… la guerra del ’67 è in rottura con quel-la del ’48. Quest’ultima fondò lo stato,quella del ’67 si trasformò, soprattutto perla destra ma non solo per essa, da azione diautodifesa ad un segno divino di una mis-sione superiore da compiere: quello di edi-ficare la “Grande Israele” biblica…. Restoconvinto che il sionismo ha il diritto di esi-stere solo se riconosce i diritti dei palestine-si. E il primo diritto è quello ad uno stato in-dipendente, a fianco e non contro lo statod’Israele. L’alternativa è un regime diapartheid che se fosse portato a termine, conil silenzio complice della comunità interna-zionale, sancirebbe non solo la fine del sio-nismo ma la morte della democrazia inIsraele”.

Giorgio Gomel

Zeev Sternhell, scomparso il 21 giugno, èstato un intellettuale militante, sionista e so-cialista, appassionato assertore del diritto diIsraele ad esistere e del pari diritto dei pale-stinesi ad autodeterminarsi in uno stato de-gno di questo nome. Una biografia com-plessa e dolorosa, quella di Sternhell, comequelle di tanti ebrei est-europei vissuti nelpieno dei drammi del Novecento. Nato inPolonia, scampato alla macchina dello ster-minio nazista, sotto alla quale perirono lamadre e la sorella, fuggito adolescente dauno dei ghetti polacchi, rifugiatosi in Fran-cia nel 1946 come altri giovani ebrei dell’E-st europeo – ne ricordo due dei più celebri,Elie Wiesel e Roman Polanski – immigrò a15 anni nello stato d’Israele appena indi-pendente. Visse i suoi primi anni in un kibbutz, imbe-vuto degli ideali del sionismo socialista. Hacombattuto nelle guerre del Sinai (1956),dei Sei giorni (1967), del Kippur (1973) edel Libano (1982). Ha studiato e insegnatoa Parigi, alla Sorbona, e a Gerusalemme, al-l’Università Ebraica. Sternhell è stato unuomo complesso, poliedrico nei suoi inte-ressi di storico, amaramente profetico neldenunciare e combattere la degenerazionedei fondamenti ideologici del sionismo edell’agire dei governi di Israele.Storico di professione, Sternhell pubblicò inFrancia libri fortemente innovatori nellastoriografia del fascismo europeo: La De-stra rivoluzionaria: le origini francesi delfascismo; Né destra né sinistra: l’ideologiafascista in Francia; La nascita dell’ideolo-gia fascista. Sternhell rappresenta il fasci-smo come fenomeno che affonda le sue ra-dici in parti della cultura politica francesefra la fine dell’800 e la prima guerra mon-diale e fornisce una risposta non convenzio-nale e dal forte, malefico fascino ai proble-mi politico-sociali che affliggono l’Europasullo scorcio del secolo. L’i deologia fascistascaturisce dalla confluenza fra il nazionali-smo e il sindacalismo ri voluzionario neglianni immediatamente precedenti lo scoppiodel conflitto, due movimenti animati da unastessa avversione alla borghesia, all’indivi-dualismo liberale, alle norme e prassi dellademocrazia.Sul sionismo e la nascita di Israele ha scrit-to un saggio illuminante, Nascita di Israe-le: miti, storia, contraddizioni, in cui discu-te i miti fondativi dello stato stesso – il con-nubio fra nazionalismo e socialismo, anzi ilprevalere, argomenta Sternhell, del primosul secondo nei presupposti ideologici eculturali del movimento sionista. In un arti-colo di appena due anni fa, amaro e dispe-rato nei toni, ne ha ripreso i temi sostenen-do che in Israele, nei partiti della destra na-zional-religiosa ma non solo, si è affermata

INDAGATORE DELL’IDEOLOGIA FASCISTA E ALFIERE DELLA SINISTRA IN ISRAELE

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12 LEONARD ROBBINSDAGLI USA A SIENA

breve e dopo un po’ il rinnovo del finanzia-mento della ricerca ritornava agli amici degliamici; i rabbanim pretendevano un’interpreta-zione sempre più rigida dell’halakhah negan-do il riconoscimento come ebrea di Rachele.Non c’è stato nessun tentativo di fornirle unaformazione ebraica e solo parole simpaticheriguardo al superamento delle barriere archi-tettoniche per l’accesso alla sinagoga; il tem-po dell’insegnante di sostegno, fortunatamen-te bravissima, fu distribuito tra due classi. Nonostante le promesse mancate, c’era sem-pre la bellezza della gente, del paese (e dellacucina). Cito solo qualche esempio che riguar-da Rachele: l’insegnante di sostegno e le mae-stre alla scuola elementare erano bravissime,al punto che dopo pochi giorni Rachele nonvoleva più sentire le parole “Stati Uniti”.Quando è arrivato il momento di passare allascuola media diversi dei suoi compagni hannodetto “aspettiamo che Rachi abbia scelto lascuola, perché noi vogliamo andare dove valei”. Già nel primo anno in Italia la mammadell’amica del cuore di Rachi ci ha chiamatoper dire “Quando Rachi viene da noi, possia-mo gestire le sue esigenze e voi non dovete re-stare per accudirla”. Cosa mai successa neisuoi undici anni in America! Un anno alla me-dia inferiore aveva un’insegnante di sostegnonon all’altezza – veramente un pericolo perRachi – e due sue compagne, senza dirci nul-la, sono andate dal Preside e gli hanno detto“Tenga xxxx lontana da Rachele: il sostegnolo faremo noi”. Se pensate quanto timide sonole dodicenni, che non osano neanche chiedereun bicchiere d’acqua al bar, potete immagina-re il coraggio che ci voleva per questo… Direiche i miei colleghi all’Università e gli amicialla sinagoga non sono stati da meno e unavolta trovato Shir Hadash anche l’e braismoitaliano ha mostrato il suo lato migliore. Nelfrattempo gli Stati Uniti sono piombati in unabisso di armi, razzismo e classismo tali chequando andiamo lì ci sentiamo stranieri ed èsolo in Italia che ci sentiamo a casa. Come e quando è nato Shir Hadash? Shir Hadash è stata fondata a Firenze nel 2003da un gruppo di ebree americane espatriate eda un gruppo di ebrei italiani, entrambi alla ri-cerca di uno spazio alternativo per esprimereil loro ebraismo in Italia. Non sono stato tra ifondatori, visto che mia moglie ha scopertodella sua esistenza solo qualche anno dopo.ogni membro e ogni famiglia di Shir Hadashha una storia diversa, ma c’è anche qualcheelemento in comune tra le motivazioni per lascelta dell’ebraismo progressivo. Basterebbero i miei commenti al bat mitzvahdi Rachele per capire le nostre motivazioni.Nelle preghiere mattutine recitiamo dal Levi-tico 19-14:Non insultare i sordi né mettere ostacoli da-vanti ai ciechi.ognuno di noi, con o senza disabilità palesi,trova nella vita ostacoli, ma la disabilità di-venta handicap solo quando la società ci met-te ostacoli davanti. Per troppi anni Rachele èstata ostacolata nella celebrazione del suoBat Mitzvah. Grazie però ad Ellen, a ShirHadash, e soprattutto a Rachele, che non hamai mollato, oggi ci siamo. Quindi, con grande gioia vorrei recitare in-sieme un’altra b’racha: shehecheianu.Benedetto Tu, D. nostro Signore Re del mon-do che ci hai consentito di vivere e di giun-gere a questo momento.Personalmente io rispetto chi fa la scelta dimettere l’osservanza di tutte le mitzvot alprimo posto, e rispetto chi vuole mantenereusanze tradizionali, anche se non sono pro-prio dettate da obblighi halakhici, sempreche non offendano la dignità delle persone.

Però supporto anche fermamente chi mette inun posto privilegiato “Torah, tfillàh e ghemi-lut chassidim” [letteralmente Torah, preghie-ra e opere di misericordia, dai Pirké avot,Massime dei padri, ndr], che per me signifi-cano la coscienza, il rispetto della vita e l’u-guaglianza. Disprezzo fortemente il tentativodei due Rabbini Capi di Israele di diventare iPapi degli ebrei.Che differenza c’è tra Shir Hadash e gli al-tri gruppi ebraici progressivi?Il mondo dell’ebraismo progressivo è moltovariegato, sia in Italia sia nel resto del mon-do. In parte è così poiché non c’è nessun ten-tativo di imporre l’uniformità. Quindi lequattro congregazioni che fanno parte dellaFederazione Italiana per l’Ebraismo Progres-sivo comprendono due gruppi che somiglia-no al Reform americano (o Liberal britanni-co). Essi accettano, per esempio, l’adesionedi figli nati da madre non ebrea senza neces-sità di ghiur formale. Un’altra congregazioneassomiglia al Reform britannico (più tradi-zionalista del Reform americano), che accet-ta l’iscrizione solo dopo il ghiur. Un’altracongregazione è più o meno nel mezzo. ognicongregazione della FIEP ha piena autono-mia, mentre tutte sono d’accordo che qualcu-no già iscritto a qualsiasi congregazione pro-gressiva possa passare alle altre. Anche dentro ad ogni congregazione c’è mol-ta varietà sia nelle credenze e pratiche religio-se degli iscritti, sia negli atteggiamenti politi-ci. In campo religioso ci sono quelli che ve-dono la religione come un optional e quelliche sono proprio “shomre’ shabbat”, frequen-tano anche le funzioni delle sinagoghe orto-dosse e forse non sarebbero iscritti da noi senon fossero stati respinti dagli ortodossi perun motivo o per l’altro. Nella politica genera-le, vanno da destra a sinistra e riguardo adIsraele vanno da qualche seguace di Jabotin-sky fino a qualche filo- palestinese. La mag-gioranza si situa nel mezzo (ma sbilanciataverso la sinistra e contraria all’annessionenella Cisgiordania). Per quanto ne so io, tuttoquesto riflette nel nostro piccolo la situazionedell’ebraismo progressivo mondiale. Ma piùimportante delle divergenze è il fatto cheognuno ascolta e parla con gli altri con rispet-to e amore, con la volontà di capire il punto divista non suo. Notate l’assenza del condizio-nale nella frase precedente: quanto ho dettonon è un’aspirazione ma è la nostra realtà.Siamo una famiglia compatta e come in ognifamiglia ci sono litigi ma anche amore. Quali sono i rapporti con l’UCEI?Questa domanda potrebbe avere diverse ri-sposte, ma parlerò del rapporto istituzionaletra l’ebraismo progressivo e l’UCEI. Maprima, permettimi un po’ di storia, come lavedo io. Prima dell’irrigidimento dei rabbini italianiavvenuto circa 20-25 anni fa, i tentativi di pro-muovere un movimento progressivo non sono

Leonard Robbins, ebreo americano ormai datempo naturalizzato fiorentino, prima di ri-spondere alle nostre domande, ha volutoporre alcune premesse.Prima premessa: anche se sono presidente delconsiglio di Shir Hadash e membro del consi-glio della FIEP (Federazione Italiana per l’E -braismo Progressivo), quelle che seguono so-no le mie opinioni personali e non rappresen-tano posizioni istituzionali. Di sicuro, non tuttisarebbero d’accordo con me. Altri potrebberoin buona fede sostenere conclusioni diametral-mente opposte. Mi propongo di ascoltare an-che loro, di essere in grado di sentire le loro ra-gioni e di saper cambiare quando sbaglio. Nonpretendo di rappresentare il parere degli altri. Seconda premessa: forse è un atteggiamentoamericano parlare schietto, ma solo raramenteparlo con peli sulla lingua. Non intendo esserescortese, né offensivo, ma sono fatto così. ora posso rispondere alle tue domande.

So che sei docente di genetica. In partico-lare di quale aspetto? Come genetista, ho lavorato 25 anni alla Mi-chigan State University negli Stati Uniti (me-no di un anno a Madrid, un anno a Bari equattro mesi a Roma) e 15 anni all’Univer-sità degli Studi di Siena. Studiavo i meccani-smi che promuovono la distribuzione regola-re dei cromosomi tra cellule somatiche e trale generazioni. Sono stato docente di genetica fino al 2013,quando sono andato in pensione per dedicarmia tempo pieno allo sviluppo di ausili (opensource) per disabili, tra i quali mia figlia Ra-chele che è tetraplegica. In questi anni ho cu-rato lo sviluppo del comunicatore vocale mul-ti-linguistico e del sistema di gestione del PCdi Rachi, ho sviluppato un nuovo quadro percarrozzelle elettroniche ora usato in diversipaesi, e adesso sto lavorando su un disegno in-novativo per la carrozzella stessa.Come mai sei venuto in Italia e ti sei fer-mato qui? La prima volta sono venuto nel 1980 come tu-rista, mentre facevo l’anno sabbatico a Ma-drid. Poi su invito ad un convegno ad Albero-bello nel 1990, seguito dall’anno sabbatico al-l’Università degli Studi di Bari, quando ci sia-mo innamorati, tutti e tre, dell’Italia e dellasua gente. Qualche anno dopo, mentre stavopianificando una permanenza di qualche mesea La Sapienza, mi hanno detto che avevanoappena ricevuto il permesso di fare una ricer-ca genetica di livello internazionale per l’Uni-versità di Siena e mi è stato chiesto se avreipreso in considerazione la proposta. Ci siamorecati a Siena per presentare un seminario eper conoscere la situazione all’Università, nel-le scuole elementari e alla sinagoga. Tornatonegli Stati Uniti, dopo quattro mesi di ango-scia abbiamo deciso di trasferirci in Italia. All’Università ho trovato un ambiente pro-mettente: meno risorse per la ricerca che negliStates, ma colleghi colti e seri, quasi comemonaci della scienza, e ho trovato lo spessoredella laurea tradizionale molto attraente, dopouna storia di decenni di disastroso annacqua-mento della prima laurea negli Stati Uniti. Al-la sinagoga siamo stati accolti con calore e cihanno assicurato che la situazione di Rachele,che aveva frequentato un congregazione Re-constructionist da quando era stata dimessadalla terapia intensiva, si sarebbe risolta facil-mente “facendo il bagno nel mikveh”. Il Prov-veditore ci assicurava che la sua classe avreb-be avuto un’insegnante di sostegno tutta sua.Ci siamo trasferiti qui nel 1997 e potete indo-vinare quante di queste promesse siano statemantenute. Stava per arrivare la “riforma”Berlinguer all’Università con la sua laurea

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(segue a pag. 13)

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13ortodossi e rifiuta di riconoscere l’ebraismonon ortodosso, sia progressivo sia laico. Cosìtutti, salvo gli ortodossi, rimangono esclusidalle protezioni conferite dall’Intesa. Ci sonomolti nelle comunità non-progressive, anchealcuni con ruoli istituzionali, che sono piùaperti, ma l’UCEI, pur essendo formalmenteorganizzata come democrazia rappresentati-va con una maggioranza non rabbinica, nonsi oppone mai ai rabbini. Preferiremmo che l’UCEI diventasse rap-presentativa di tutte le correnti dell’ebrai-smo, e vorremmo avere un rapporto rispetto-so e fraterno con le congregazioni ortodosse.La divisione del piccolo pezzo italiano di“Am Israel” in fazioni concorrenti non servea nessuno. Finora però non siamo riusciti asanare la breccia. Sarebbe un peccato se persanarla dovessimo fare appello ad un organi-smo esterno, il governo o un tribunale.Tutti, nel Popolo d’Israele, sono responsabilil’uno per l’altroAnche se il distacco tra non progressivi eprogressivi è di attualità in Italia, non è l’uni-co dissidio della storia dell’ebraismo. I litigitra le scuole di Hillel e Shamai, tra mitnag-dim e chassidim, tra ortodossi haredì e mo-dern orthodox, tra Lubovicher e Satmar, traortodossi, reform e conservative… l’elenco èlunghissimo. Dobbiamo ricordarci anche chealcuni, visti una volta come eretici, sono di-ventati lo standard dell’ortodossia. Forse l’e-sempio più eclatante è stato Maimonide. Ere-tico per secoli, specialmente tra gli askenazi-ti e ancora secondo alcuni haredim, ora il“Mishneh Torah” è quasi la definizione dellafede ebraica al posto del “credo” (che nonabbiamo nell’ebraismo). Hai mai pensato di fare l’aliah? No.Di che orientamento politico è l’antisemi-tismo USA? Attualmente in preponderanza è di destra, maesiste anche l’antisemitismo della sinistra (e,talvolta, è stato molto forte). Non c’è giornosenza richiamo a tutti gli stereotipi antisemitie la demonizzazione, spesso per motivi con-traddittori, di figure come George Soros, e tut-to con il beneplacito e spesso l’incoraggia-mento di Donald Trump e dei suoi. L’antisemitismo negli USA sta crescendo? Purtroppo sì, con attacchi sia verbali sia fisici.Non ho le statistiche davanti a me, ma so cheindicano un forte aumento in questi anni el’antisemitismo passivo, sempre condiviso dauna parte non irrisoria della popolazione ame-ricana, ultimamente ha portato anche all’omi-cidio di massa, una cosa mai successa prima.In che proporzione sono gli ebrei democra-tici rispetto egli ebrei repubblicani?Non ho sotto mano i numeri ufficiali, ma se lamemoria non mi inganna il rapporto è circa di70% democratici e 30% repubblicani. C’è sta-to un leggero aumento dei voti di ebrei al par-tito repubblicano nell’ultima elezione presi-denziale di 2016, concentrato tra gli ultra-or-todossi e tra coloro che temevano che i demo-cratici non sostenessero acriticamente Ne-tanyahu e l’espansione delle colonie in Ci-sgiordania. Quell’aumento è scomparso nelleelezioni politiche di 2018 e prevedo che pochivoti andranno ai repubblicani quest’anno.Qual è la religione prevalente tra i neriUSA?

Diverse correnti protestanti del cristianesimo.Che rapporti ci sono tra gli ebrei democra-tici e gli islamici afro-americani? Né gli ebrei, democratici o no, né gli islamiciafro-americani sono monolitici. C’era, e sup-pongo ci sia ancora, un frazione dell’islamafro-americano fortemente antisemita (che sichiama “Nation of Islam”) ma è una mino-ranza. C’era e c’è ancora un frazione degliebrei (anche in Italia) fortemente anti-musul-mana e un frazione minuscola proprio razzi-sta, ma per la maggioranza degli ebrei e perla maggioranze degli afro-americani, islami-ci o no, camminare insieme esprimendo l’u-manità comune supera qualsiasi differenza dipunti di vista. Questo è stato ben visibile du-rante la lotta degli anni ’60-’70, ed è ben vi-sibile anche nelle manifestazioni di oggi. Molti di noi pensano che Trump sia un pa-gliaccio pericolosissimo. Secondo te nonha nulla di positivo? No, non ha nulla, niente, zero di positivo! Percapire la mentalità di costui e il suo modo diagire, basta leggere M. [M. Il figlio del secolodi  Antonio Scurati, ndr]. I parallelismi traMussolini e Trump sono eclatanti. Ma Trumpnon è una nuova incarnazione di Mussolinianche se vorrebbe esserlo: è decisamente piùstupido e più incapace. Per fortuna gli StatiUniti non sono l’Italia dei primi decenni delnovecento, la democrazia americana e più re-siliente e penso che Trump verrà messo daparte senza guerra e senza rivoluzione. (Al-meno lo credo e lo spero). Chiamarlo un pa-gliaccio, però, è sbagliato: non è buffo mamalvagio. Forse si muore meno di bastonateo di pallottole che durante la nascita del fa-scismo, ma si muore di Covid19 e di altremalattie in spaventoso aumento, grazie allepolitiche del suo governo.Che futuro per l’ebraismo nella diaspora?E in Israele? Che futuro per lo Stato d’I -sraele?Non ho nessuna sfera di cristallo e sono restioad offrire prognosi. Cosa avverrà nel prossimofuturo, particolarmente in Israele ma anchenella diaspora, dipenderà molto da quanto iharedim riusciranno ad imporre la loro versio-ne della halakhah, e la loro visione del “Grea-ter Israel” come legge e politica di Stato. Forse dopo il primo luglio sarà possibile ca-pire cosa accadrà. Uno spostamento verso unebraismo laico ed etnico invece che religiososia in Israele che nella diaspora? La perditadel forte attaccamento della diaspora alloStato di Israele? La morte del sionismo de-mocratico? Forse gli unici alleati d’Israele ri-marranno le pazze ideologie fondamentalistecristiane che prevedono la fine dei tempiquando tutti accetteranno la salvezza portatadal Cristo rientrato a Gerusalemme? Forse qualche previsione su cosa succederànel nostro piccolo angolo della diaspora sa-rebbe già più attendibile. Fra poco le piccolecomunità non ci saranno più. Con i matrimoniquasi tutti misti e con i figli nati da madre nonebrea respinti dalle comunità non progressive,la discesa demografica sarà inesorabile. L’an-tisemitismo però aumenterà in rapporto inver-so con il numero di ebrei remasti; meno ebreici saranno, e meno influenti saremo, più ci da-ranno la colpa per ogni male…

Intervista di David Terracini

mai riusciti. Molti, io stesso compreso, pensa-vano che sarebbe stato sbagliato dividere indue i pochi ebrei d’Italia. Con qualche tolle-ranza (un aspetto da sempre presente nell’or-todossia italiana) e un atteggiamento di com-promesso potevamo continuare a vivere nellastessa casa. Però con l’insistenza dei rabbanimsull’ortodossia stretta, per molte famiglie lasituazione è diventata insopportabile. Forse la decisione più sconvolgente è statal’eliminazione della possibilità di concedereil ghiur ai minorenni e l’insistenza sul fattoche qualsiasi conversione richiedeva l’osser-vanza strettissima di tutte le mitzvot, anchese gli stessi rabbini riconoscevano che moltidegli iscritti alle comunità non erano tantoosservanti. Ma ci sono state anche altre rigi-dità che hanno contribuito a far crescere il di-sagio di molti. Per illustrare questo, descrivoquanto successo alla sinagoga di Siena più didieci anni fa. Il matroneo era già in disuso da diversi anni:le donne sedevano sulla sinistra e gli uominisulla destra. C’è stato un matrimonio al qualehanno partecipato quattro rabbini e subito do-po è arrivato l’ordine dal rabbino capo di Fi-renze di fissare cartelli sulla prima fila di sini-stra col divieto alle donne di sedersi lì. Allafunzione successiva, però, molte donne si sonsedute sui cartelli, e molte hanno continuato acantare, nonostante la tradizione sostenga chele voci delle donne non devono essere sentite. Potrei continuare a raccontare casi simili, an-che con esempi più recenti, che hanno spintoverso la fondazione, sia formale sia informa-le, di gruppi di ebraismo progressivo in Italiae la successiva fondazione, tre anni fa, dellaFederazione Italiana per l’Ebraismo Progres-sivo (FIEP). Ma basta con la storia delle ori-gini e torniamo all’attualità. L’UCEI è l’unione delle Comunità e non unaAssemblea rabbinica. Ma anche se la mag-gioranza del consiglio dell’UCEI è laica,l’UCEI non azzarda un’azione non conformeai dettami dei rabbini. Il risultato è stato il ri-fiuto di riconoscere qualsiasi corrente ebrai-ca diversa dall’ortodossia definita dai rabbi-ni. Per esempio, se viene spedita una notadalla FIEP a Pagine Ebraiche, anche su invi-to di un consigliere dell’UCEI, la redazioneprima ne parla con un rabbino e con la presi-dente dell’UCEI e la notizia viene cestinata. È solo negli ultimi mesi che è stato riunito untavolo di consultazione tra l’UCEI e la FIEP.Nelle prime due riunioni, una faccia a faccia,l’altra virtuale a causa della pandemia, ab-biamo provato a condividere i punti di vistadi entrambi, con un tentativo di attivarci suargomenti di comune interesse. Può darsi chesia un inizio promettente del dialogo, mapurtroppo non sono veramente ottimista (maspero di sbagliare). In fondo, la base dell’assenza di un rapportoproduttivo tra l’UCEI e l’ebraismo progressi-vo è il rifiuto da parte dell’UCEI di rispettarel’Intesa e l’assenza di azione da parte delloStato per imporre il rispetto della legge. L’In-tesa dà all’UCEI la rappresentanza degli in-teressi di tutti gli ebrei d’Itala, e conferiscealcuni diritti e protezioni agli ebrei. Ma l’U-CEI afferma di rappresentare solo gli ebrei

(segue da pag. 12)

Vignetta di Davì

Se non vuoi piùricevereHa Keillah in forma cartaceaper favore

comunicacelo!

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mem

oria

Il 15 novembre 1943 nella Lunga notte del43 (romanzo di Giorgio Bassani e film diVancini) per rappresaglia all’uccisione di uncapo fascista vengono arrestate a Ferrara uncentinaio di persone, metà ebrei e metà so-spettati di essere socialisti o comunisti. 12 diquesti vengono trucidati in piazza, gli altrivengono portati alle prigioni di via Piangipa-ne, e tra questi c’ero anche io con i miei 15anni. Dopo due mesi, mia nonna Emilia VitaFinzi, riesce a farmi passare agli arresti do-miciliari. Il 28 gennaio ’44 Ferrara vienebombardata per la prima volta di notte e tragli altri obbiettivi viene distrutta (senza vitti-me) l’entrata delle prigioni. Ebrei e non ebreiscappano, mentre la città senza acqua né elet-tricità è sconvolta. Sfruttiamo la confusionee di notte in treno mia nonna, mia madre e iolasciamo la città per raggiungere mio padre emia sorella che erano ospitati in casa del no-taio Sciutto, un siciliano non ebreo, amico datempo di mio padre che rischia la vita per na-sconderci nella sua casa di Faenza. Il notaioci procura carte false e ai primi bombarda-menti anche di questa città scappiamo incampagna, da una cascina all’altra nella zonacollinosa di Brisighella. In una di queste caseisolata tra i boschi con il nome di Tor Mironipassiamo tre mesi quasi tranquilli, ospiti pa-ganti di una famiglia di contadini: genitori edue figli scappati dall’esercito italiano. ov-viamente eravamo “sfollati” dalle bombe enon ebrei.In questa zona veniamo liberati il 19 dicembre1944 dalle truppe alleate. Fin qui il passato!!!Nell’ottobre del 2019 su iniziativa di Maayan,una mia nipote, partiamo da Israele in un grup-po famigliare di 20 persone, dai 3 ai 92 anni,venuti da Los Angeles, New York e Israele perrifare il cammino della nostra fuga di 70 anniprima. A Ferrara, per la gentile inziativa delladottoressa Simonetta della Seta, siamo ospitidel Meis costruito sui resti della prigione di al-lora. Il giorno dopo, in un mini bus rifacciamola strada delle nostre fughe. Arrivati a un car-tello “Torre Mironi”, ci fermiamo e chiediamoa due signori usciti da un casale se la strada èpercorribile. Questi due uomini ci guardanosbalorditi e vogliono sapere chi siamo e perchécerchiamo quella casa. Alle nostre rispostechiamano uno zio ottantenne che ricorda queigiorni, ma non si ricordava di noi. Dopo di chetutti insieme, noi e i tre uomini del luogo, sa-liamo alla casa di Tor Mironi con il minibus,ma la casa è vuota e sprangata e ci acconten-tiamo di fotografarci tutti sull’aia.

Passano 4 mesi e ai primi di maggio 2020 ri-cevo la seguente mail:

«Quasi mezzogiorno, un piccolo pullmancon circa 20 persone.“Siamo israeliani, viviamo in kibbutz cer-chiamo la famiglia che nel 1944 viveva aTorre Moroni dove in quel periodo si trovavamio padre”.Si chiama De Benedetti, è originario di Fer-rara, ha scritto 5/6 libri. il padre era colonnel-lo. Questo ha detto una signora con capellineri e ricci. “In quella famiglia era la mamma che co-mandava, mettevano le lenzuola come persegnalare presenze nazifasciste”. Questo miha detto il babbo della signora. Chiedo, qual è il suo nome?“Corrado”, non ricordo il nome della fami-glia, padre, madre, 2 figli a casa, nascosti, e2 via senza notizie.Arriva mio zio Quinto, poi siamo sul bus perTorre Moroni, alla fine del bosco dopo il pic-

colo ponte nella salita oltre la strada spunta iltetto, “La CASA!!!”. Applausi e grida digioia… poi Torre Moroni…, la capra… le fi-nestre del piano superiore… ragazzi con igattini… foto… guardare… parlare… e…e… bisogna andare… “Vuoi andare a Brisi-ghella??” – “No” – “È stanco”. Poi ritorno,strette di mano, saluti, Buon Viaggio. – Accidenti che momenti!!Lui ha portato Loro???Loro hanno portato Lui???Erano insieme. Il padre con figlie, nipoti ge-neri…, tutti insieme. Bello. Passa qualche mese, cerco in internet, trovoRuchama, i libri. Ho letto. Trovo contatto tramite Giuntina.La famiglia della casa Torre Moroni è Cavi-na. Il babbo Sante (Sintola), la madre Ninet-ta, poi i figli Luigi e Giuseppe (Pippo).Siamo curiosi di sapere i vostri nomi quando

DAL PASSATO AL PRESENTE eravate qui nascosti. Auguro ogni bene a tutti. Cordiali saluti Gian Domenico Sangiorgi»

Restiamo tutti sorpresi e commossi e… invi-tiamo il signor Gian Domenico a venire a tro-varci in Israele, a Ruchama!

Israel De Benedetti

La vicenda non si conclude qui. Il 14 giugno,quando già ci aveva mandato l’articolo, IsraelDe Benedetti ha ricevuto un’altra straordina-ria mail, che pubblichiamo con molto piacere:

«Buonasera, mi chiamo Sante Cavina e sonooriginario di Zattaglia, in Italia.Sono amico di Giandomenico Sangiorgi ilquale mi ha dato il suo indirizzo mail. Mi haraccontato della vostra visita a Zattaglia loscorso anno ed ho letto con piacere il libro An-ni di rabbia e di speranze.A quel tempo, alle Torri Mironi, viveva la fa-miglia dei miei nonni, mio padre era in guerra

e i ragazzi di cui si parla nel libro erano i mieizii. Purtroppo nessuno di loro c’è più.Io sono nato dopo la guerra, mio nonno Sante(Sintola) da cui ho ereditato il nome, eramorto pochi giorni prima, e ho abitato fino asette anni in quella casa, che mi è rimastamolto cara.Mi ha emozionato molto leggere la storia dellavostra famiglia, che per un breve periodo si èintrecciata con le vicende della mia.Vorrei, se possibile, conoscere il vostro indi-rizzo perché vorrei inviarvi un libro sullaBrigata Ebraica (che per prima ha liberatoBrisighella) che riporta anche foto della zonache potreste rivedere con piacere. Sarei lieto di potervi incontrare di persona ese tornate in Italia, potete contare sulla nostraospitalità. In attesa di leggervi presto, salutocordialmenteSante Cavina»

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di Kippur, troppo lunghe, al tempio locale.Già poco dopo il Bar Mitzvà, mi sono di-chiarato laico e indifferente alla religione eanche alle origini comunitarie di prima del-la Shoah: per esempio, pur conoscendo be-ne Alessandria e visitate in gite in biciclettada Milano sia Asti sia Moncalvo, mai hopensato di cercare luoghi e ricordi della fa-miglia. Eccomi per caso a cercare adesso un lega-me personale alle APAM: purtroppo nonposso più fare domande a mia madre, mortaa 101 anni nel 2010, o a mia zia, morta an-che prima. Mi sono allora messo a rileggere il libro au-tobiografico di mia madre, Gli ebrei hannosei dita, del 2005, che credevo di conosce-re, avendola aiutata a suo tempo a correg-gerne le bozze. Stranamente anche in questo non c’è nes-sun accenno al legame ebraico dei suoi, ec-cetto che la nonna teneva più o meno allakasherut, e che chiudevano il negozio, masolo per Kippur. Nessun accenno invece a cerimonie al tem-pio o feste ebraiche in famiglia. Nel libro dimia madre, il suo primo ricordo “ebraico” a8 anni è il pianto commosso del rabbinod’Alessandria, Rodolfo Campagnano, du-rante l’ora settimanale di “religione” (cioèdi cultura ebraica) ai bambini, la domenicaal tempio, quando ricevette la notizia delladichiarazione Balfour. E proseguendo mi rendo conto che le suefamiglie piccolo borghese di Asti, Moncal-vo e Alessandria, tre-quttro generazioni do-po l’emancipazione di Carlo Alberto nel1848, si sparsero per tutto il nord Italia e al-cuni anche in America: quasi la metà deinomi ricordati da mia madre accasati connon ebrei. Praticamente mia madre, pur essendo co-sciente di essere ebrea, si è trovata, secon-do quanto descritto nel suo libro, ad essereattiva in circoli ebraici solo durante l’Uni-versità a Genova, grazie al sionismo, cheper lei ha significato, negli anni del fasci-smo in Italia, una finestra sulla democrazia(e anche il rapporto romantico con uno stu-dente ebreo romeno, che poi sarà mio pa-dre).Quello che però mi stupisce, e quasi nonappare nel suo libro, è l’interesse che haavuto da allora (malgrado il suo fermo atei-smo fin da adolescente) a soggetti culturali

ebraici (a parte il sionismo, in cui sono cre-sciuto e che ha portato in Israele prima mee poi anche lei). Quando è morta ho fatto lalista delle sue conferenze e degli articoli dalei pubblicati, tra l’altro sulla prestigiosaRassegna Mensile d’Israel: più della metàdei titoli sono su temi biblici o talmudici odi storia ebraica dal Medioevo all’ottocen-to. Sì, l’antisemitismo è stato uno dei soggettipiù presenti, ma lei l’ha scoperto in Roma-nia, più ancora che con le leggi razziali del1938 in Italia quando fu scacciata dallascuola di stato. L’antisemitismo non è pre-sente nell’atmosfera familiare e della gio-ventù da lei descritta.Questo suo profondo interesse intellettualesull’ebraismo mi appare oggi un’ereditàforse inconscia delle origini comunitarie.Quasi che essere ebrei non sia soltanto, co-me credevo io dopo la Shoah e in seguito aSartre, essere vittima d’antisemitismo, edefinito dagli antisemiti, ma avere radiciculturali e storiche, trasmesse in codicispesso ignorati o sconosciuti (come il DNAbiologico, come gli archetipi junghiani) opersino rifiutati coscientemente come i pre-cetti religiosi. Leggendo il Mahzor di APAM, cerco nonsolo di riconoscere motivi simili a quellivagamente in mente dal tempio di Alessan-dria, ma anche d’immaginarmi ciò che miamadre a vrebbe scritto su di esso, se avessesaputo della prima pubblicazione nel 1970:si sarebbe sforzata, lei così pedante, di de-cifrarne ogni parola e di ritrovarne remini-scenze nel dialetto giudaico-piemontese dicui aveva pochi ma vividi esempi famiglia-ri. Il culto mi è estraneo già da tempo, ma mitrovo chino sul Mahzor e mi echeggianocerte rime e certi nigunim sentiti già nel-l’infanzia, come “Bet Yaakov lehu vene-leha” (Figli di Giacobbe, andate e andre-mo – le cui iniziali formarono la sigla BI-LU, dei primi coloni ebrei in Palestina,prima ancora del sionismo), “Leha Adonaihamamlaha” (A te, Signore, il regno – co-me nel canto della fine dell’Haggadà diPesach). Individuo nel Mahzor molti motivi di co-scienza sociale e di giustizia umana: mi pa-re adesso che ci fosse anche l’origine in-conscia del socialismo utopico e ingenuo dimio nonno, assieme alle lotte popolari dellemondine nelle risaie e delle operaie dellaBorsalino della fine del l’ot tocento pie-montese, in cui era cresciuto. Purtroppo ri-suonano nel Mahzor anche le persecuzionimillenarie: “I tuoi fedeli, uccisi, macellati,sterminati, soffocati, crocifissi e sepolti vi-vi”, pur conservando, i superstiti, la fedenel Dio misericordioso. Ecco dunque la scoperta, pur restando iolaico per convinzione, di radici culturali fa-migliari, finora “rinnegate”, assieme al cul-to, nella speranza di non essere più “ebreo”nel senso diasporico, una volta divenuto“israeliano”. Il nesso tra il sionismo, la realtà israelianae il popolo ebraico è problematico per chicome me è molto critico della politica etno-centrica dei governi d’Israele. Il Mahzor APAM mi ha aperto un possibilelegame personale e familiare. In questi giorni di anniversario della Guer-ra dei sei giorni nel lontano 1967, in cui hopartecipato da ufficiale, e di 53 anni d’oc-cupazione su più di 4 milioni di palestinesi,devo aggiungere, però a questo legame per-sonale la condizione di non negare ad altriil diritto all’autodeterminazione nazionale,basato su come interpretano loro la realtà esu radici comunitarie, anche se provenientida processi diversi e meno antichi dei no-stri, ma per loro tragici e formativi.

Rimmon LaviGerusalemme

Un vicino religioso, docente di Talmud al -l’Università di Gerusalemme, si è commos-so venendo a sapere che i miei nonni mater-ni erano di Asti e Moncalvo, che assieme aFossano sono le tre comunità APAM, di cuilui sapeva molto (al contrario di un rabbinoche 50 anni fa mi aveva quasi rifiutato ilpermesso di sposarmi perché non ne avevamai sentito parlare e non poteva definirmiashkenazita o sefardita). Mi ha subito im-prestato il Mahzor APAM di Rosh Hashanàe Yom Kippur, edito da Daniel Goldshmidt.Questo studioso era riuscito a ricostruire amosaico da fonti varie l’unico esempio delrito ebraico francese di prima dell’espulsio-ne degli ebrei dalla Francia di Carlo VI nel1394 – appunto rimasto in uso solo nelle trepiccole comunità piemontesi, che già all’i-nizio del secolo scorso faticavano a fareminian. Io, laico e agnostico, mi sono ritrovato acercare radici da me quasi ignorate persettan t’anni: sapevo, sì, dei miei nonni ma-terni, Alberto Colombo di Asti e EstellaFoa di Moncalvo, uccisi ad Auschwitz po-chi mesi dopo la mia nascita all’estero. Mai ho avuto interesse genealogico e anchemia madre, Anna Colombo, che pure eracresciuta con loro prima ad Alessandria,poi a Genova, non aveva coltivato dopo latragedia rapporti famigliari, eccetto checon sua sorella Faustina, mia unica e caris-sima zia. Non che non sapessi di essere ebreo, certo:ho fatto tutti gli studi elementari e liceali inscuole ebraiche, ma per me la storia perso-nale era cominciata con la Shoah, come ilbig bang, la grande esplosione dell’univer-so, prima del quale non c’è nulla: quasi chela storia antica fosse staccata completa-mente dalla realtà attuale. Casomai la storia degli ebrei era per me unadelle tante che si ricordano meglio dai ro-manzi storici, come la Bibbia (perdonatemil’irriverenza), o come I sognatori del Ghettodello Zangwill, che dai testi scolastici oscientifici. L’unico interesse ebraico rilevante nellamia vita è stato il sionismo: quasi come seHess, Pinsker, Herzl, Jabotinsky fosserovissuti anche loro come me dopo la Shoah.Tra i miei pochi ricordi d’infanzia ho, sì, ilSeder di Pesach molto cerimonioso, con al-cuni canti belli, festeggiato presso un riccoe lontano zio ad Alessandria e le preghiere

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stor

iaIERI ERI CON I BOERI,MALVOLENTIERI

Louis Botha, altro eroe della guerra controgli inglesi, poi fautore dell’Unione SudAfricana come soggetta alla corona inglese,di cui fu primo ministro fino alla morte nel1919. Smuts invece, più volte a capo di mi-nisteri chiave, comandante in capo delleforze sudafricane nella prima guerra mon-diale, membro del Gabinetto di Guerra Im-periale, addirittura co-fondatore della RoyalAir Force, diventò primo ministro dopoBotha, dal 1919 al 1924, e lo fu di nuovo dal1939 al 1948. Fu così l’unico al mondo afirmare entrambi i trattati di pace, dopo laGrande Guerra e dopo la seconda. La mag-gioranza più nazionalista della societàAfrikaner aveva vissuto con difficoltà l’en-trata in guerra contro la Germania, in en-trambi i conflitti, e Smuts, che alle elezionidel 1924 era stato battuto dal Partito Nazio-nalista, aveva provato a conciliare narrativeopposte, fra irlandesi e inglesi negli anniventi, fra tedeschi e potenze vincitrici subi-to dopo l’ascesa di Hitler. Il suo prestigiointernazionale ne era cresciuto, ci fu chi lopropose per il Nobel per la Pace e chi addi-rittura per succedere a Churchill come pri-mo ministro anche del Regno Unito, in casodi incapacità di questi; ma qualcosa si eradefinitivamente guastato, nei suoi rapporticon i nazionalisti boeri, che lo defenestraro-no una seconda volta, definitivamente, nel1948, aprendo la porta all’istituzionalizza-zione del l’Apartheid. Segregazione razzialeche Smuts aveva attivamente promosso per

gran parte della sua vita, arrivando poi alconvincimento tardivo che una completa se-gregazione era di fatto impossibile. Morìnel 1950, onorato all’estero e sconfitto inpatria.Certamente, non basta il mezzo secolo didifferenza fra due parabole durate anch’essecirca mezzo secolo (le elezioni che miserofine all’attività politica di Smuts furono so-lo 12 giorni dopo la dichiarazione d’indi-pendenza d’Israele) per dare conto delle in-finite differenze fra la storia di Jan Smuts equella di Yitzhak Rabin. C’è però un’ombracomune, che avvolge le loro figure ieratiz-zate, di giovani combattenti per la sopravvi-venza del loro popolo, che il progressivosuccesso, col consolidarsi della posizionedominante di quel popolo, rende moderati econcilianti. Dopo un paio di generazioni illoro mito non funziona più, e i loro nomisuonano indifferenti alla maggioranza deigiovani. Lamentava Smuts già negli anni’30 che “la nuova Tirannia, presentandosicoi colori attraenti del patriottismo, ovun-que seduce i giovani...”; e a Rabin verrebbela depressione a constatare quale fosse l’etàmedia di chi protestava a Gerusalemmel’ultimo venerdì di giugno – o quali siano letendenze politiche della maggioranza deigiovani israeliani. In contrasto eclatante conquelle liberali, quando non radicali, dellamaggioranza dei giovani ebrei negli StatiUniti.Il nazionalismo Afrikaner ha esaurito la suaspinta quando agli occhi del mondo da Davi-de è diventato Golia, e con molta fatica se neè reso conto. Forse i giovani ebrei della Dia-spora possono un po’ accelerare questa presadi coscienza nel caso israeliano.

Alessandro TrevesTrieste e Tel Aviv

Quello che risaltava di più, della protesta da-vanti alla casa del Primo Ministro Ne-tanyahu di rehov Balfour, venerdì 26 giu-gno, non è che fosse animata da personaggidell’establishment, come il generale di bri-gata dell’A viazione (a riposo) Amir Haskel,che poi è stato arrestato con altri sei “distur-batori del l’ordine pubblico” (è stato rilascia-to dopo due giorni su ingiunzione del tribu-nale distrettuale di Gerusalemme, che ha ri-gettato le motivazioni addotte dalla poliziaper l’arresto). Quello che risaltava di più eral’età dei partecipanti: “dai 55 in su”, ha os-servato lo stesso Haskel. Partecipanti quasitutti non religiosi, telavivini dall’aspettoagiato, nonostante le T-shirt con scritte come“crime minister”, in allusione alle accuse dicorruzione a Netanyahu. Fra quelli che sonostati intervistati, oltre all’ex generale dell’A-viazione, c’è chi è in pensione dall’industriaareonautica, chi ha un dottorato di ricerca diletteratura, chi ha fatto il banchiere, l’inge-gnere, l’insegnante, perfino una cinquanten-ne – forse la mascotte del gruppo – che è nelcomitato centrale del Likud. Ciò che li spin-ge a passare le giornate lì sotto il sole cocen-te e a dormire sul marciapiede, invece chenelle loro case con l’aria condizionata, loraccontano liberamente. Ma uno si chiede: ei giovani? Cos’è che manca, per spingere an-che i giovani a venire a protestare? Certo,avranno altro da fare, ma l’indignazione diquesti anziani sionisti non ci permette di li-quidarli solo come pensionati alla ricerca diun passatempo. Bisogna capire perché, nellenuove generazioni, il fuoco interiore dell’in-dignazione e della protesta si sia a quantopare spento.Jan Smuts è stato una delle figure più note-voli della saga Afrikaner. Nato nel 1870 dauna famiglia di agricoltori della colonia delCapo, come secondogenito non era previstoche fosse mandato a scuola, ma alla fine ciandò, a 12 anni, dopo la morte del fratellomaggiore. Eccellendo rapidamente neglistudi, anche di greco antico, ottenne a 21anni una borsa di studio per andare a studia-re legge a Cambridge. Brillantemente lau-reato a 24 anni, dopo aver scritto anche unlibro, fece presto ritorno a Città del Capoper esercitare come avvocato. Nel giro disoli sei mesi, deluso dalla libera professio-ne, passò prima a seguire gli interessi di Ce-cil Rhodes, punta di diamante del l’impe -rialismo affarista britannico nell’A frica me-ridionale, per poi staccarsi repen ti namenteda Rhodes quando questi lanciò un’incur-sione senza scrupoli nella Repubblica Suda-fricana dei boeri. Abbandonata Città del Ca-po per Pretoria, prese a impegnarsi per lapropria gente, non più suddito di Sua Mae-stà. Durante la seconda guerra Anglo-Boe-ra, Smuts guidò un commando del Tran-svaal, vagamente assimilabile al Palmach,per il ruolo che questi commandos, e i nu-merosi scontri vinti contro preponderantiforze inglesi, occupano nell’epopea boera.Senonché, invece di ottenere il loro stato, iboeri col conflitto del 1899-1902 lo persero.Smuts però, che era riuscito a tormentare gliinglesi senza mai arrendersi, fu protagonistaanche delle trattative di pace, e dopo pochianni riuscì a convincere gli inglesi a conce-dere piena autonomia al Transvaal, e di lì apoco, nel 1909, ad ottenere da Re EdoardoVII e dal parlamento di Londra l’assenso al-la nuova costituzione del Sud Africa con laquale i boeri, accettando la corona, lo statusdi dominion e l’inglese come lingua ufficia-le, si riprendevano di fatto il controllo sulproprio destino. Guidati da Smuts e da

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tica di Napoli dal 1830 al 1890, il rabbinoGiuseppe Cammeo scrive che nel 1830erano in quattro e otto nell’anno successi-vo. Quella piccola comunità, che si riunivaper celebrare le festività ebraiche più im-portanti in una camera dell’albergo Crocedi Malta, era composta dal polacco com-merciante di stoffe Isidoro Rouff, dal si-gnor Mendel, dal signor Alessandro Zuc-cher, dal signor Marcus, dal commerciantepiemontese Coen, dal negoziante di anti-chità prussiano Ackerson, dall’agente tea-trale Weiss e dal negoziante Samuele Se-gre. Al gruppo si aggiunse l’anno succes-sivo anche il barone Meyer Rothschildche, avendo già a Napoli una sede banca-ria, venne subito raggiunto dall’intera fa-miglia.L’autore scrisse che c’erano anche altridue italiani senza farne il nome. Non sap-piamo se uno non fosse proprio SansoneValobra che era riparato a Napoli nel1828. Nella città partenopea aveva quasisubito aperto una fabbrica di sapone e difiammiferi utilizzando stecchetti di legnocon fosforo, clorato e gomma, che il suoinventore chiamava soffrini. Pare che dalpunto di vista commerciale il suo prodot-to avesse successo perché uno dei suoi

clienti più fedeli era proprio il re di Napo-li. Nel 1835 Valobra mise in commercioanche le candelette, ossia il prototipo delcerino.Le due invenzioni, del fiammifero e delcerino, non gli furono però mai ricono-sciute. Il merito andò ad altri sparsi per ilCentro e il Nord Europa. Tra loro c’era an-che il farmacista monregalese DomenicoGhigliano che avrebbe brevettato i fiam-miferi nel 1832.Sansone Valobra morì nel 1883. Comme-morando la sua figura il Vessillo Israeliticoscriveva “Il fiammifero la cui invenzione laGermania rivendica a sé (anno 1833) fuinventato a Napoli da Sansone Valobra ilquale ivi si rifugiò perché perseguitato ecacciato dalla Toscana come appartenentealla setta dei Carbonari. A Napoli nel 1829sperò invano di ottenere la privativa dellasua invenzione e quando si disponeva direcarsi all’estero per raggiungere il suoscopo la sua invenzione era già imitata”.Il contributo dell’impegno dato da Sanso-ne Valobra e dalla sua famiglia allo svilup-po della Comunità Israelitica di Napoli èspesso menzionato nel testo del rabbinoGiuseppe Cammeo. Il primo fu per l’ac-quisizione di un terreno da disporre a cimi-tero ebraico. Un altro è stato per la realiz-zazione della Sinagoga inaugurata nel1864. opere che videro la diretta parteci-pazione di tutti i membri della piccola ri-costruita comunità ebraica napoletana fra iquali spiccavano il barone Rothschild eSansone Valobra.

Emanuele Azzità

Il Piemonte è un angolo di mondo dovenon manca niente. Quasi una fortezza cir-condata da vette di granito sempre am-mantate di neve. Tra quei monti sono pas-sati eserciti, popoli in fuga e sopratuttoidee. Sansone Valobra nasceva a Fossanoil 24 ottobre 1799. Lo stesso giorno dellanomina di Luciano Bonaparte a Presidentedel Consiglio dei Cinquecento e, grazie aciò, di lì a poco a suo fratello Napoleonesarebbe riuscito il colpo di stato del 18Brumaio.Forse Sansone nacque in una casa là doveoggi c’è via Garibaldi, a pochi metri dalmuro del Duomo la cui costruzione erastata ultimata solo otto anni prima. Suamadre era Ester Montagnana e suo padreIsrael David, commerciante di lane e distoffe. A quel tempo Fossano aveva circa15 mila abitanti e costituiva un importan-te centro di traffici. ogni tanto arrivavanoanche compagnie di girovaghi che allesti-vano spettacoli e giochi. Ad una di esse,quella di Lorenzo Chey, specializzato infuochi d’artificio, si sarebbe aggregatol’a dolescente Sansone. In Notizie su Ar-go – Gli antenati di Primo Levi da Fran-cesco Petrarca a Cesare Lombroso (In-star Libri 2006) Alberto Cavaglion scrive“Senza esitare un i stante, al termine diuno spettacolo, fugge di casa e segue lacarovana dei Chey come garzone, ini-ziando così un lungo vagabondare e unaltrettanto complicato periodo di appren-distato nelle arti sulfuree di una chimicaancora avvolta nel mistero”. Risalgono aquel periodo i primi esperimenti che loporteranno alla realizzazione dei fiammi-feri e dei cerini. Un’invenzione per la ve-rità molto controversa perché rivendicatada più parti in Europa. Alla città di Fossa-no e al suo museo, l’ultimo discendentedella famiglia Chey, scomparso nel se-condo dopoguerra, donò gli appunti conle formule e le procedure per confeziona-re i fuochi d’artificio, compresa una sca-tola con una forma in legno bucherellatache serviva al giovane per compiere i pri-mi esperimenti.Tuttavia non c’era solo la chimica ad ap-passionarlo! Nel 1821 partecipò ai moti diTorino, ma non si hanno informazioni suquel periodo. Di certo fu costretto a fuggi-re. Riparò a Livorno dove si mise a fabbri-care sapone, ma fu una permanenza breve.Braccato dalla polizia perché aderente allaCarboneria, costretto nuovamente alla fu-ga, riparò nel Regno di Napoli. Una sceltache potrebbe suscitare delle perplessitàconsiderando che proprio là c’era stata l’e-spulsione di tutti gli ebrei nel 1541. Quasiduecento anni dopo, nel 1738, Carlo III diBorbone, probabilmente con l’intento dirilanciare l’economia e potenziare i trafficicommerciali, li richiamò. Fu allora che siscatenò una crociata antiebraica fomentatadalle prediche del gesuita padre Pepe.L’opposizione fu tale che il re dovette tor-nare sui suoi passi e, con un nuovo editto,espulse nuovamente gli ebrei nel 1745.I primi ebrei tornarono a Napoli quasi unsecolo dopo. Erano pochissimi, si contava-no sulle dita di una mano, e vivevano na-scondendo la loro fede. Nel suo libro,stampato nel 1890, La Comunione Israeli-

L’UOMO CON ILCERINO IN MANOVita avventurosa di Sansone Valobra

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libri

Il Dizionario dell’Ebraismo, primo di duevolumi pubblicato da Jaca Book a marzo, ri-sponde al progetto di Mircea Eliade1 di tra-sformare l’Enciclopedia delle Religioni, 16volumi in lingua inglese, in una serie di di-zionari indipendenti.L’Enciclopedia venne pubblicata nel 1987(prima edizione), un anno dopo la scomparsadi Eliade, dall’editore americano McMillian;tra il 1993 e il 2010 la casa editrice JacaBook ha dato alle stampe la versione in lin-gua italiana di tutta l’Enciclopedia: il volumesull’ebraismo è del 2003.Il Dizionario dell’Ebraismo è una riedizione,in due tomi, del summenzionato volume ori-ginario e contiene complessivamente 250 vo-ci, di cui 115 nel primo volume e le restantiin quello successivo la cui uscita è program-mata a breve scadenza.Si tratta, come è evidente fin dal titolo, di untesto di consultazione; non paragonabile al -l’Encyclopedia Judaica per estensione (que-st’ultima costituita da 26 volumi e da oltre21000 voci), possiamo però, in un certo sen-so, considerarlo come il suo “fratello mino-re”, concepito con lo stesso criterio e finaliz-zato al medesimo scopo. Se l’Encyclopedia

Judaica è per diverseragioni appannaggio diun numero limitato distudiosi della materia,questo volume (e quel-lo che a breve seguirà)è invece fruibile da unvasto pubblico, nonnecessariamente spe-cializzato, di linguaitaliana. Le voci delDizionario costituisco-no infatti l’ossaturadell’ebraismo e pren-dono in considerazio-ne ognuno dei suoiaspetti basilari. “E -braismo”, appunto, enon “giudaismo”, per-ché la panoramica chel’opera offre non si li-mita a catalogare in or-dine alfabetico i nume-rosi tasselli che forma-no la religione e braicama indaga anche ilprofilo storico, cultu-

rale e sociale del popolo di Israele, dal pa-triarca Avraham fino ai giorni nostri. Le vociEbraismo e Giudaismo sono esse stesse con-tenute nel volume: la prima viene riassuntain 100 pagine, la seconda – riferita al giudai-smo rabbinico nella tarda antichità – è de-scritta in una decina di pagine. Alla voceEbraismo, che include “una panoramica ge-nerale sulle origini e sull’evoluzione dellatradizione religiosa ebraica e sette studi sto-rici incentrati sullo sviluppo dell’Ebraismonelle principali regioni della Diaspora”, se-guono brevi capitoli di approfondimento sul-l’ebraismo conservative, ortodosso, ricostru-zionista e riformato. Aldilà, Culto, Esegesi biblica, Halakhah,Hassidismo, Haskalah, Israele sono alcunedelle voci che compongono la prima parte diquest’opera, mentre nella seconda parte (ilcui elenco di voci viene anticipato alla finedel volume) troveremo, tra l’altro, gli ap-profondimenti sulla Letteratura, sul Pensieroe la filosofia, sulle Persecuzioni, sulla Qab-balah, sul Sionismo, sul Talmud e sulla Torah.La maggior parte delle voci in entrambi i vo-lumi è tuttavia riferita a personaggi, uomini edonne che da tempi remoti fino ai giorni no-stri rappresentano la linfa vitale di una tradi-zione e di una fede di origini mediorientalisuccessivamente diffusasi nel resto del mon-do; una civiltà, quella giudaica, che insieme

alla civiltà ellenica e a quella romana, ma adifferenza di queste connotata da un credomonoteista che ne costituisce l’essenza, staalla radice delle moderne società occidentali.Accanto alle biografie dei profeti e dei pa-triarchi trovano posto quelle di famosi mae-stri, rabbini e cabalisti, con la descrizione es-senziale di ciò che ogni figura ha rappresen-tato in seno a un percorso iniziato tremila an-ni fa e che, nonostante le avversità della Sto-ria, non si è mai interrotto. La somma dellesingole voci ricompone come in un puzzle ilquadro di una plurimillenaria vicenda fatta diincontri (e di scontri) dai quali sono fioritenuove esperienze, narra del susseguirsi e delmoltiplicarsi di eventi diffusi nel tempo enello spazio che hanno reso l’ebraismo con-temporaneo una realtà dinamica, complessae diversificata.Il libro include alcune cartine e un paio di il-lustrazioni che aiutano il lettore a orientarsinella narrazione. Il capitolo introduttivo, Latradizione religiosa dell’ebraismo, scritto daLawrence E. Sullivan, inquadra e contestua-lizza il tema precisando che “la cultura ebrai-ca ha dato frutti abbondanti nel campo delleidee, delle scienze, delle professioni e dellearti, lasciando un segno impressionante nellastoria umana, oggi come nei millenni passa-ti”, sottolineando che “fuori dalla comunitàebraica pochi conoscono le sue ricche e varietradizioni religiose, e questa ignoranza haavuto conseguenze negative nelle relazionitra ebrei e non ebrei”. Più avanti egli scrive:“Aprendo un libro sull’ebraismo, è bene chei lettori ricordino che poco più di 75 anni fadal 1937 al 1945, in Europa ci fu un tentativo

PAROLE DI FEDE E DI IDENTITÀ

Libreria CLAUDIANAVia Principe Tommaso, 1

10125 Torino - tel. 011.669.24.58

specializzata in studi storici e religiosiscienze umane e sociali

ebraismo

classici e narrativanovità e libri per ragazzi

a due passi dal Centro Ebraico

Eshhol Nevo, L’ultima intervista, tra-duzione di Raffaella Scardi, Neri Poz-za Editore, 2019, pp. 416, € 18

Mircea Eliade (a cura di), Dizionariodell’Ebraismo (A-I), Jaca Book, marzo2020, pp. 462, € 50

L’ultima intervista

Uno scrittore accetta di rispondere a delledomande. Indagare se il protagonista sia unsoggetto di fantasia o sia lo stesso autore miparrebbe un esercizio di voyerismo del tuttogratuito, perché quello che avvince veramen-te il lettore sono le risposte in sé. Comunqueè lecito pensare che sia lo stesso autore che,rispondendo con la voce del protagonista alladomanda su quanta parte di lui ci sia nei suoipersonaggi, risponde: “Alcune delle cose cheho rivelato qui mi sono successe davvero. Al-cune ho il terrore che mi succedano. Alcunedesidero che mi succedano”; si può pensareche sia davvero Eshkol Nevo che risponde

sistematico di sterminare completamente ilpopolo ebraico, usando tutta la potenza e lafuria del moderno stato nazionale. C’è un bi-sogno pressante di conoscere l’ebraismo”.Ritengo che quest’opera così ricca di infor-mazioni risponda in modo adeguato a questo“bisogno pressante”, un bisogno che investein primis gli stessi ebrei che, come ogni altropopolo, oltre a quelli che sono considerati ipilastri dell’identità (nel caso dell’ebraismoTorah e Talmud), necessitano di supporti pra-tici di natura saggistica, letteraria, documen-taristica, ecc. utili a conservare e a trasmette-re la memoria della propria storia, midor le-dor, di generazione in generazione.Questo Dizionario dell’Ebraismo rappresen-ta pertanto uno strumento agile e accessibileche concorre alla duplice finalità di custodiadell’identità della minoranza ebraica, sia inambito famigliare che comunitario, e di aper-tura all’esterno attraverso la messa a disposi-zione di informazioni utili ad approfondire laconoscenza e a spazzare via persistenti formedi pregiudizio.

Sergio Franzese

1 (Bucarest, 13 marzo 1907 – Chicago, 22 aprile1986) è considerato il maggior studioso di storia dellereligioni, accademico di grande spessore intellettualeautore e curatore di decine di opere incentrate su fedi,miti e credenze di tutto il mondo; sua anche la direzio-ne dell’Encyclopedia of Religions. Molti degli scrittidi Mircea Eliade, tra cui anche testi di narrativa, sonostati tradotti e pubblicati in lingua italiana da diversecase editrici; il catalogo della Jaca Book include circauna trentina di titoli di narrativa di questo prolifico au-tore <https://tinyurl.com/y98o6mn4>.

con la voce del suo personaggio, per esempioquando scrive del padre, della zia Noa, deinonni, tra cui il famoso nonno Levi Eshkol(“che non ho conosciuto… Che era stato re-sponsabile della vittoria della guerra dei SeiGiorni ma non se ne era mai attribuito il me-rito. Che era morto prima di rendersi contodi quanti guai quella vittoria avrebbe causa-to”). Affiora comunque nelle risposte la per-sonalità dell’autore, il suo modo di porsi ri-spetto alla realtà israeliana, agli esiti irrisoltidella guerra dei Sei Giorni, ai rapporti con gliarabi nei Territori, al problema degli insedia-menti; la sua idiosincrasia nei confronti di uncerto tipo di politici.Se non ci fossilizziamo sul titolo e sullastruttura del testo (“a domanda risponde”) illibro si legge come un’antologia di breviconsiderazioni o commenti, di narrazioni supersone, su situazioni, su avvenimenti, suesperienze, in cui dominano gli affetti fami-liari e l’amicizia (quell’amicizia che ricondu-ce a un altro suo bel romanzo, La simmetriadei desideri). Ed è una bella lettura.

Paola De Benedetti

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19le, ma credo che senza prendere atto del sim-metrico campanello di allarme sulla culturaeuropea il libro apparirebbe troppo semplici-stico. Così come è troppo semplicistico, amio parere, parlare di un protagonista freddoe distaccato che poi progressivamente si la-scia coinvolgere dai drammi umani con cuiviene in contatto. Mi pare che si dovrebbe ri-cordare che la cornice narrativa è pur sempreuna lettera-resoconto rivolta al direttore diYad Vashem, non un diario intimo. La neces-sità di una sorta di freddezza professionalenei confronti della Shoah è qualcosa che hoprovato anche io a volte nella mia funzionedi insegnante di storia, e ancora di più nellamia breve esperienza di intervistatrice per laShoah Foundation. Nel racconto, casomai, lamancanza di empatia del protagonista non ètanto nei confronti delle vittime quanto (e aun certo punto lo ammette lui stesso) dei ra-gazzini israeliani condotti non per loro sceltain quella sorta di gite scolastiche dell’orrore.Ma forse l’elemento che mi ha inquietato piùdi tutti – e che dimostra una volta di piùquanto l’alternativa ad una memoria malatapossa essere soltanto una memoria ancorapiù malata – sta in una scena apparentementesecondaria, quando il protagonista in uno deisuoi viaggi incontra un chassid in visita allatomba di un famoso rabbino che, a suo dire,a causa di un evento miracoloso non era stataprofanata dai tedeschi, che erano anzi fuggitirisparmiando tutti gli ebrei del luogo; il chas-sid, completamente convinto di questa assur-da leggenda, è del tutto sordo di fronte alleprove contrarie che il protagonista gli forni-sce e ammette soltanto che «forse i miscre-denti, quelli che lei definirebbe “persone col-te” ricevettero una punizione». Sarò forseesagerata, ma questa brevissima scena mi haangosciata al punto da non farmi addormen-tare dopo averla letta. Com’è possibile cheebrei che fanno dell’osservanza delle mitzvotil fondamento della propria esistenza dimen-tichino così facilmente il precetto “Ricordatidi quello che ti ha fatto Amalek”? Non soquanto la scena sia realistica, e quanto questoatteggiamento di negazionismo (non si puòdefinirlo diversamente) da parte dei chare-dim sia comune. Finora avevo letto di nega-zioni, non di false narrazioni alternative. Lanegazione può essere una sorta di rimozione,l’incapacità da parte del mondo charedì diaccettare una verità troppo terribile, cioè ilfatto che probabilmente le vittime dellaShoah erano per la maggior parte ebrei osser-vanti. Ma le rimozioni durano un certo tem-po e poi piano piano vengono superate, cosìcome è accaduto per esempio per le leggirazziali in Italia. Finora avevo sempre pensa-to che si trattasse solo di aver pazienza – lamemoria per il popolo ebraico non si misurain anni o decenni ma in secoli – e prima o poisarebbe arrivata la memoria charedì dellaShoah con i suoi rituali, le sue commemora-zioni e tutto il resto. Ma se davvero invecetra i charedim si stanno diffondendo narra-zioni alternative e negazioniste c’è il perico-lo reale che tra gli ebrei si formino due me-morie concorrenti e inconciliabili e che ognitentativo di narrare la verità possa essere per-cepito come un’offensiva della cultura laicache pretende di essere egemone, una man-canza di rispetto verso i charedim e la lorovisione del mondo. Se così fosse nel giro diuna o due generazioni gli ebrei non avrebbe-ro più una memoria comune, e questa sareb-be la fine del popolo ebraico come lo cono-sciamo ora. Forse è questo il più terribile dei tanti mostricontro cui dobbiamo combattere.

Anna Segre

Che sia un libro decisamente inquietante lodice anche la quarta di copertina. Del restosembra difficile non essere inquieti quando siparla di Shoah. Ma questo libro è inquietantea più livelli, e anche in ambiti apparentemen-te lontani dal tema principale.Curiosamente l’inizio della vicenda potrebbeapparire non troppo dissimile da quello diOlocaustico di Alberto Caviglia di cui avevoparlato nel numero di marzo: in entrambi iromanzi il protagonista si occupa di Shoahper mestiere – e scopriamo in flashback cheè arrivato a farlo suo malgrado, benché quel-lo non fosse il suo interesse primario – manel corso della vicenda non potrà fare a menodi esserne sempre più coinvolto. Detto cosìsembra che i due testi abbiano moltissimo incomune (tra l’altro, in entrambi ha un ruolosignificativo Yad Vashem), in realtà non po-trebbero essere più diversi. Se Olocausticoera un romanzo distopico e paradossale nonprivo di ironia e di leggerezza, Il mostro del-la memoria è invece un racconto teso, cupo,una sorta di lunga confessione che il protago-nista (di cui non conosceremo mai il nome)rende al direttore dello Yad Vashem, che èanche un personaggio secondario della vi-cenda: espediente insolito, che determinauna narrazione ininterrotta, non suddivisa incapitoli o paragrafi. Si capisce fin dall’inizioche qualcosa andrà storto e quindi si legged’un fiato con una certa apprensione. Se in Olocaustico la memoria della Shoahsembrava non interessare più a nessuno, nelMostro della memoria, invece, pare essere il

settore di ricerca storica che attira più visibi-lità, fondi e possibilità lavorative, tanto da al-lettare il protagonista che inizialmente avreb-be preferito occuparsi di tutt’altro; egli fini-sce dunque per diventare uno dei più grandiesperti dei campi di sterminio e fa continua-mente da guida alle scolaresche israeliane, aufficiali dell’esercito, persino a un ministro,scrive, pubblica, fa da consulente. Qui nonc’è dunque mancanza di memoria; si trattaperò di una memoria malata, abusata, piegataa messaggi politici per lo meno ambigui. Seper gli europei i campi di sterminio sono unmonito all’umanità intera affinché non sicommettano più simili orrori, per la societàisraeliana di oggi la Shoah è invece un invitoagli ebrei ad essere forti, decisi e determinatie a non farsi mai più trattare come pecoreportate al macello. Tutto questo emergeesplicitamente nei commenti di alcuni ragaz-zi durante le visite ai campi, così come emer-ge (a un certo punto anche da parte del pro-tagonista stesso) una sorta di paradossaleammirazione per l’efficienza tedesca. Spessonel testo si discute sulla nostra (degli israe-liani di oggi ma credo di tutti noi) incapacitàdi odiare davvero i tedeschi, che pure dellaShoah sono stati gli ideatori, mentre nutria-mo un’istintiva avversione per i polacchi. In-quietanti, appunto, le riflessioni sulla capa-cità che hanno avuto i tedeschi (spesso volu-tamente si parla di tedeschi e non di nazisti)di sporcarsi le mani il meno possibile, dele-gando gran parte del lavoro nei campi di ster-minio ai polacchi e agli stessi ebrei. Inquietante, anche se non direttamente legataal tema della Shoah, la scena in cui il prota-gonista ascolta musica di Bach fantasticandodi vivere nella sua epoca e di essere un suo-natore di musica klezmer che si reca da luichiedendo di essere suo apprendista; ma poisi documenta, ascolta come si parla degli Ju-den nella Passione secondo Giovanni e spe-gne la musica che lo fa stare male: “Non par-tire, dissi al musicante klezmer… Non tiprenderà come apprendista”. Un’inquietudi-ne che ci pervade fino alla fine del libroquando compare un regista tedesco che inqualche modo potrebbe rappresentare un Ba-ch di oggi. Insomma, per quanto l’approcciodegli israeliani verso la Shoah sia in questolibro aspramente criticato, bisogna tener pre-sente che non ne emerge mai uno alternativoe più corretto.Un aspetto quest’ultimo che a mio parerenon viene sottolineato debitamente nel ri-svolto di copertina e nelle recensioni di letto-ri che ho trovato in rete, tutti concentrati amettere in evidenza la denuncia verso il mo-do in cui la Shoah viene strumentalizzatanell’Israele di oggi. Certo, questo tema nonmanca, anzi, è senza dubbio il tema principa-

IL MOSTRO DELLA MEMORIA

Yishai Sarid, Il mostro della memoria,traduzione di Alessandra Shomroni,edizioni e/o, 2019, pp. 135, € 15

La redazionedi Ha Keillahringrazia

calorosamentei lettori checi hannosostenutocon le lorogeneroseofferte

Grazie!

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strezza nella parola di un maestro imberbe edeffeminato risulta vincente sulla muscolositàdi un brigante gladiatore. Metafore allegori-che che rappresentano il popolo ebraico co-me figura femminile ed il suo legame con unDio maschile vengono ritrovate anche nei te-sti del Cantico dei Cantici e di profeti comeosea, Isaia e tanti altri. L’autrice esponequindi casi esemplari, portati da filosofi epsichiatri contemporanei, di coincidenza dimaschilismo, misoginia, ossessiva crisi diidentità maschile ed antisemitismo. (E qui civiene spontaneo chiederci se l’esercizio dellapreghiera e della ginnastica mentale sull’in-terpretazione dei testi non siano stati la forzadel popolo ebraico, minoranza disarmata, afronte dello strapotere bellico muscolare del-le nazioni che lo circondavano. E se questoautocontrollo, questa autodisciplina mentaleinsistenti non siano stati in qualche modo unesercizio di rimozione della bellicosità ma-schile e uno sforzo di condivisione del paci-fismo prevalente nel mondo femminile). Il quarto capitolo è intitolato “L’antisemitismoè una battaglia elettorale”, ove si analizza unodei più grandi temi dell’odio antisemita: lacontroversa “elezione ebraica”, qualità che gliantisemiti ci attribuiscono come auto-attribu-zione di superiorità sugli altri popoli, mentre inostri testi la interpretano tutti come separa-zione e aggravio di responsabilità e di testi-monianza. Ci sono addirittura narrazioni delTalmud e racconti popolari che vedono il po-polo ebraico riluttante all’accettazione dellaTorà. La “separazione” del popolo ebraico dalcontesto nel quale esso è immerso ha funzionedi testimonianza di possibile frattura nel Tutto,vero, ineluttabile e indiscutibile della Romaimperiale, del cristianesimo, del l’islam o delTerzo Reich imperanti. “Le voci del pensieroebraico – scrive l’autrice – dicono che solol’eccezione particolare può proteggere lo spa-ventoso slancio universale di una follia totali-taria. Mormorano al mondo o all’individuoche la Verità non è mai tutta, è frammentata,oppure è criminale”.Nel quinto e ultimo capitolo si analizzano leversioni aggiornate dell’antisemitismo con-temporaneo. Ad un sondaggio dell’UnioneEuropea che chiedeva alla gente di identifica-re il paese che costituiva la minaccia più gra-ve alla pace nel mondo, Israele compariva alprimo posto, davanti a Iran, Iraq e Corea delNord. L’immagine del popolo di Israele vitti-ma delle persecuzioni atroci della Shoah inpochi anni è stata sostituita nel mondo dal -l’immagine di popolo persecutore. Nei paesiex colonialisti lo Stato di Israele è stato accu-sato di colonialismo, negli Stati Uniti di raz-zismo, in Sud Africa di apartheid. E una nuo-va forma di antisemitismo si è diffusa neipaesi islamici. Israele è stato rappresentatocome minaccia contro una unità monoliticapresunta del mondo musulmano, e questa ac-cusa è stata estesa agli ebrei della diaspora,considerati solidali con la politica del gover-no israeliano. La Horvilleur non nega che ilnazionalismo del governo israeliano sia statoesca dell’ondata di ostilità nei confronti delloStato di Israele. Ma si chiede: “Perché la visi-ta di personalità israeliane, di artisti o scrittoripresso università europee o americane scate-na manifestazioni che nessun partecipanterusso, cinese o iraniano suscita mai?” L’anti-semita di oggi non vede più nell’ebreo unaminaccia contro l’unità omogenea del benefi-co potere totalitario, ma una minaccia – laminaccia – all’unità indistinta dei popoli op-pressi, buoni e perseguitati. Accade così chel’e strema destra rimprovera agli ebrei di mi-nacciare l’ordine costituito, e l’estrema sini-stra invece rimprovera loro di appartenervi.

I sogni del Signor K. e altre storie

Enrico Fubini, Chicco per i numerosi amici,dismesse le vesti curiali di professore di Storiadella Musica, si dedica con questo libro allaletteratura. Come spiega lui stesso nella pre-sentazione, “ho voluto dar corpo ad alcuni diquesti sogni a occhi aperti, che mi riportanospesso a tempi ormai lontani della mia vita,volti di personaggi e situazioni che riflettono imiei desideri, paure non sempre espresse, fattiin apparenza minimi ma che hanno lasciatoun segno indelebile nel mio animo”. Non è quindi facile dare una definizione allestorie che compongono il libro: se – con ilconsenso dell’autore, studioso di estetica mu-sicale – fosse lecito tradurre in forme musicalii contenuti letterari, alcune storie potrebberoforse essere definite come Capricci o Scherzi:molto sovente la forma (la scelta delle parole,la descrizione accurata e analitica degli ogget-ti, dei soggetti, delle sensazioni) prevale sulracconto, sul contenuto di una narrazione chesarebbe arduo tentare di riassumere.La premessa sopra ricordata è resa palese nelgioco di nascondino tra l’autore e il signorK., tra i sogni dell’uno e dell’altro; per esem-pio quando si alternano, inaspettatamente, lavoce del signor K. e quella di un io narrante(L’infanzia allo specchio); o nei momenti diriflessione o nei ricordi personali, familiari,nella descrizione di luoghi (per esempio Lenuvole e il sogno). Ma ci sono poi altri mo-menti in cui si scatena una fantasia molto fer-vida, surreale (Il muro), a volte spiazzante(Alla fermata dell’autobus), che rivela, a chiconosce Chicco (magari da tanti decenni, co-me chi scrive), un sorprendente lato scono-sciuto dell’autore.

Paola De Benedetti

libri

Enrico Fubini, I sogni del signor K. ealtre storie, Edizioni ETS, 2019, pp.219, € 20

RIFLESSIONI DI UNA RABBINASULLA QUESTIONE ANTISEMITA

Delphine Horvilleur, Riflessioni sullaquestione antisemita, Giulio Einaudieditore, 2020, (Edizione speciale su li-cenza Einaudi a cura di GEDI per Re-pubblica, 2020), pp. 120, € 14

Il libretto si conclude con una ricetta, ambitadagli antisemiti di tutti i tempi, per far sparirel’identità del popolo ebraico, ma questa ricet-ta è in un finale che non possiamo rivelare…

David Terracini

Delphine Horvilleur è una rabbina francesedel Mouvement juif liberal de France (MJLF),membro del Conseil des rabins liberaux fran-cophones e direttrice della rivista di pensieriebraici Tenu’a. Scrittrice e filosofa, corri-spondente di France 2 da Gerusalemme edella RCJ da New York, ha pubblicato diver-se opere sul mondo femminile in rapporto al-la religione ed articoli su Le Monde, Le Fi-garo, Elle e l’Express.“È ovvio – scrive – che non spetta mai allavittima di una violenza o di una discrimina-zione spiegare la cause dell’odio che subiscené analizzare le motivazioni del carnefice”.In apparente contraddizione con questo as-sunto, la Horvilleur analizza alcune immagi-ni del popolo ebraico proiettate da esso stes-so e dai suoi nemici, immagini spesso non incontrasto tra loro. Nel primo capitolo l’autrice osserva il popoloebraico ed i suoi persecutori con l’occhio deigrandi Maestri del Talmud, che hanno inter-pretato le persecuzioni subite come prolunga-mento di antichi odi raccontati dalla Torah, dailibri dei Profeti o dagli Agiografi. Alcuni mae-stri hanno sostenuto non solo che i nostri ne-mici si comportarono come si comportaronoCaino, Esaù, Amalek e Hamman con i nostriantenati, ma addirittura che gli stessi erano ilontani eredi genetici degli antichi persecutori.(Mi sembra, detto tra noi, che questa interpre-tazione genealogica sia simmetrica a quellaaccampata pochi anni dopo dai nostri persecu-tori cristiani, che ci considerarono eredi di chicondannò a morte Gesù). Sempre ai racconti e ai commenti di grandiMaestri del Talmud fa riferimento il secondocapitolo, ove il popolo ebraico della golàvenne narrato come diverso dagli altri popo-li, in rapporto ambiguo tra sudditanza e dia-logo alla pari con l’autorità imperiale roma-na. Fu allora che i nostri nemici giunsero adindividuarci come corpo estraneo alla purez-za del corpo omogeneo dell’Impero, feritapurulenta da estirpare con un’amputazione,non diversamente da ciò che ci avrebberofatto i nazisti, sedici secoli dopo, fautori del-la purezza ariana. L’autrice nel capitolo successivo dal titolo“L’antisemitismo è una guerra tra i sessi” rie-voca testi di “naturalisti” medievali che so-stenevano che gli ebrei erano soggetti allemestruazioni. All’ebreo venivano attribuiti lasottigliezza, l’acume, la padronanza delle pa-role tipici femminili, e al gentile i muscoli, ilcoraggio e la dimestichezza con le armi. Maecco che questa immagine dell’ebraismofemmineo viene tosto ritrovata dall’autrice inracconti del Talmud, dove ad esempio la de-

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Incontrarsia GerusalemmeLo shochet di un insediamento ultraortodos-so che riconosce solo la verità scritta nellaTorah; il membro di un kibbutz alla frontieracon Gaza “sionista, formalista, ritualista” chenon ama tanto gli arabi; un morigerato sioni-sta fiorentino ottantenne che pare vivere fuo-ri dalla realtà; tra queste quasi macchiette laprima figura positiva che si incontra è un pa-lestinese professore di chimica presso l’uni-versità di Hebron. E poi il Patriarca greco-ortodosso, che siconsidera, come cristiano a Gerusalemme,inutile testimone di un dramma altrui; un di-sinvolto prete cattolico (presso il cui istitutoè ospite l’autore) che disserta su Gesùebreo; un medico pediatra italiano volonta-rio in un ospedale nei territori; il custodepalestinese di un cimitero che vende moneteantiche false; un insegnante di Talmud cheracconta il suo transito dal chassidismo allamodernità e altri ancora, che lascio al letto-re di scoprire.Sono gli incontri che Giuliano Della Pergola,professore presso la Facoltà di Architettura aMilano, saggista, pittore, critico d’arte, hafatto durante un anno sabbatico quando eraancora docente (quindi – a spanna – non do-po i primi anni di questo secolo).Colpisce il fatto che non vi sia, a distanza dianni (il libro è stato stampato soltanto nel2019) il ricordo di un, uno solo, israelianoebreo che entri in sintonia con l’autore; diqui, per chi legge, un dubbio: l’autore è statotanto sfortunato da non incontrarne alcuno?o semplicemente non li ha cercati? o il suo ricordo è stato volutamente seletti-vo? Chiuso il libro rimane la sensazione che Giu-liano Della Pergola abbia voluto tenere inombra una parte della realtà israeliana, quel-la, per intenderci, che è – o era – rappresen-tata per esempio da oz, Yehoshua, Gros-sman, Sternhell, o anche solo (mi scusino peril solo) dai corrispondenti israeliani di HaKeillah.

Paola De Benedetti

RassegnaGéraldine Schwarz – I senza memoria.Storia di una famiglia europea – Ed. Ei-naudi (pp. 333, € 21) Un’autobiografiaposta al centro di una situazione individua-le e familiare che però si allarga a una ri-flessione sulla mancanza di memoria dellastrategia politica della Germania del dopo-guerra che tollerava la presenza di impor-tanti personaggi del regime nazista e fasci-sta non solo il Germania ma in Italia, Au-stria e in Francia. Una carenza di rielabora-zione critica di quegli anni che diventa latesi centrale e attuale del libro, che appareparticolarmente esposta al populismo e alsovranismo. Una riflessione che culminanella memoria della “nostra fallibilità comeindividui che deve essere trasmessa ai citta-dini europei e, soprattutto, alle giovani ge-nerazioni, per forgiare quel senso di re-sponsabilità individuale che è essenziale inuna democrazia. Per armarci di discerni-mento a fronte a tecniche di manipolazioneche oggi somigliano in modo impressio-nante a quelle di un secolo fa, che sfruttanola fragilità dei nostri punti di riferimentoidentitari e della nostra memoria per impor-ci una nuova identità, per additare falsi col-pevoli e sovvertire il nostro sistema di va-lori” (e).

Jan Brokken – I giusti – Ed. Iperborea(pp. 636, € 19,50) Il libro si legge come unromanzo ma ricostruisce per filo e per se-gno le esistenze reali tanto dei salvatoriquanto dei salvati dalla follia nazista. Diesse l’autore racconta le vite vissute comele avesse di fronte in minuziose descrizionidomestiche che però risultano sempre inca-stonate in un racconto collettivo che tutto

coinvolge, corredato di fotografie. I perso-naggi dei salvatori, un manager olandese econsole onorario, un diplomatico giappone-se viceconsole onorario, entrambi distacca-ti in Lituania, furono inseriti fra i “giusti frale nazioni” (donde il titolo del libro).Un’appendice riguarda, infine, le fonti del-le informazioni e dei personaggi della sto-ria (e).

Lion Feuchtwanger – Il diavolo in Fran-cia – Ed. Einaudi (pp. 255, € 19,50)L’autobiografia dell’autore, consideratouno dei padri della scrittura laica ebraica,fu pubblicata per la prima volta nel 1941quando era già famoso, soprattutto, per isuoi romanzi, Suss l’e breo (del 1925), Ifratelli Oppermann (del 1933). Il libro rac-conta la fuga in Francia nel 1940 nella qua-le egli viene internato in un campo di con-centramento insieme agli apolidi, ovverocoloro di cui era stata revocata la cittadi-nanza tedesca. Una cronaca che colpisceper il distacco con cui riesce a descrivereun’esperienza di vita drammatica pure af-frontata con particolare acume e ironia, an-che nella conclusione del libro: “Ho incon-trato Dio sotto diverse spoglie o incontratoanche il Diavolo. La mia gioiosa attesa diDio non è diminuita, mentre è diminuita,posso dirlo, la mia paura del Diavolo. Hodovuto far esperienza del fatto che l’insi-pienza e la malvagità degli uomini sonospaventevoli e profonde come i Sette Mari.Ma ho potuto anche verificare che la digadi protezione che la minoranza dei buoni edei giusti ha saputo erigere, diventa più al-ta e forte di giorno in giorno”. Infine, il vo-lume riporta l’aggiunta dell’episodio con-

Giuliano Della Pergola, Incontrarsi aGerusalemme, Ed. Tabula fati, 2019,pp. 155, € 13

(segue a pag. 22)

Cerimonie di estremo saluto

PRIMO STABILIMENTO DI TORINOCASA FONDATA NEL 1848

ORGANIZZAZIONE FIDUCIARIA DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI TORINO

Via Barbaroux, 46 - 10122 TORINO - Tel. (011) 54.60.18 - 54.21.58

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clusivo, “La fuga”, in cui si narra la fugadell’autore, resa possibile dall’aiuto fonda-mentale della moglie Marta (e).

Laura Campo – La memoria del ghetto egli ebrei di oggi. Guida al quartiere e ailuoghi ebraici – Ed. Ibis – 2020 (pp. 252,€ 17) “Una guida… che non ha soltanto unvalore turistico-culturale, ma che è ancheuno strumento, una chiave di lettura delmondo ebraico romano”. L’autrice precisache queste pagine raccontano pezzi di cittàinedita e rivelano una cosa (non per tutti)ovvia: che pochi romani sono più romanidegli ebrei di Roma. Dopo una breve intro-duzione sulla storia e sulle vicende degliebrei romani, sono elencati i vari luoghi vi-sitati, le dimore storiche, i teatri, i musei;un’altra sezione racconta la gastronomiagolosa; le altre annoverano le feste e i riti;

l’ultima le informazioni più utili (per man-giare, per dormire, le visite). In appendice,il glossario, cioè l’elenco dei più diffusitermini usati nel mondo ebraico e la mappadei quartieri ebraici; abbondano le fotogra-fie dei luoghi. Da non perdere. (e)

Renia Spiegel – Il diario di Renia. 1939-1942 – Ed. Neri Pozza – 2020 (pp. 382, €19) Il diario – la cui autrice era stata cattu-rata e assassinata nel suo rifugio in città - èstato conservato per 70 anni dalla sorella diRenia, (fuggita dalla persecuzione nazistada Varsavia fino a New York) che lo ha pub-blicato nel 2019. Il diario diverge dalle“memorie”, che sono resoconti di quelli chehanno conosciuto il finale della storia, aprescindere che siano stati scritti o meno daun sopravvissuto: invece, il diario è stilatoal momento in cui viene scritto e mantiene,quindi, la sua immediatezza emotiva e ladrammaticità del tempo. Il diario di Renia,una ragazzina entusiasta della vita e con

grande capacità di de-scrivere, in prosa e inpoesia, la bellezza delmondo, è colmo diespressioni apparente-mente banali e insignifi-canti che per lei invece,in quel momento, sonoimportanti, commoven-do il lettore. In conclu-sione del libro, si trova-no alcune annotazioni,brevissime, del suo ami-co (che si salverà), e unapostfazione della sorelladi Renia. (e)

Ronit Matalon – E lasposa chiuse la porta –Ed. Giuntina – 2020(pp. 107, € 14) Consi-derata una delle scrittricipiù importanti di Israele,Roni Matalon, raccontail momento in cui la pro-tagonista dovrebbe con-volare a nozze con il suo

22 (segue da pag. 21)

A fine febbraio, proprio in concomitanza con l’inizio del lock-down, è uscito il secondo numero dei neonati Quaderni dell’Ar-chivio Ebraico Terracini. Il volume pubblica gli atti di un convegno tenutosi prima all’U-niversità Firenze e poi alla Comunità Ebraica di Torino nel 2017,centocinquantesimo anniversario del Congresso Israelitico di Fi-renze. Lo presenteremo in Comunità appena le norme legate all’emer-genza sanitaria lo consentiranno.Indice del volumeSaluti, Bianca Gardella Tedeschi e Dario DisegniFirenze centro di studi ebraici e orientali, Ida ZatelliIl percorso web realizzato dall’Archivio Ebraico Terracini. Valo-rizzazione delle fonti inedite e promozione del patrimonio, Chiara PilocaneIl problema dell’unificazione giuridica delle comunità israeliti-che italiane dopo l’Unità, Stefania Dazzetti«Al sicuro sotto l’egida della nuova legge». Carte piemontesi e to-scane intorno al congresso del 1867, Liana Elda FunaroIl progetto di sinodo rabbinico di Marco Mortara, Asher SalahLelio Cantoni (1801-1857). Le carte del l’Archivio Ebraico Ter-racini, Alberto LegnaioliPostfazione, Alberto CavaglionIndice dei nomi

Chiara Pilocane

Rabbini piemontesi tra modernità e tradizione

fidanzato, e pure si amano. Tutto è prontoma, invece, a questo punto, lei si ferma, sichiude in camera e non vuole uscirne. Lacommedia continua con risvolti anche umo-ristici ma sottende un fondo serio che ri-guarda la precarietà delle reazioni umane, lalibertà di scelta, il destino di ciascuno. Allafine, la nonna, con la saggezza dei vecchi,fornisce la conclusione. (e)

Alessandra Tarquini – La sinistra italianae gli ebrei. Socialismo, sionismo e antise-mitismo dal 1892 al 1992 – Ed. il Mulino –1919 (pp. 309, € 22) L’autrice ha cercato dirispondere principalmente alle domande sulruolo che gli ebrei hanno avuto nei centoanni di storia della sinistra italiana soffer-mandosi su grandi temi: – l’antisemitismo,il sionismo e il conflitto arabo-israeliano –dando spazio, soprattutto, al ruolo degli in-tellettuali del periodo della repubblica. Ilvolume si compone di sei capitoli: i primidue si occupano dei rapporti della sinistraitaliana e degli ebrei dal 1892 al 1948, e,quindi, di ciò che accadde dal l’Italia libera-le fino a quando maturarono le questioni ri-levanti sull’antisemitismo e sul sionismodurante il fascismo, all’inizio delle leggirazziali e della Shoah; gli altri quattro capi-toli seguenti trattano di quando, dopo la finedella guerra mondiale, i partiti della sinistraaffrontarono i temi del conflitto arabo-israe-liano e i rapporti dei partiti della sinistra, dimatrice marxista e del socialismo, con gliebrei; infine, negli anni ’60, arrivò la rifles-sione sull’antisemitismo sia sulla persecu-zione operata dai regimi totalitari sia suinuovi di fenomeni d’intolleranza fino allacrisi tra i partiti di sinistra e gli ebrei al tem-po del conflitto medio-orientale e dellaguerra del Kippur, poi della guerra del Liba-no. In conclusione, l’autrice dichiara che lacausa delle inadeguatezze della sinistra difronte alla questione ebraica sia da ricercar-si nel marxismo come matrice ideologica dipartiti e movimenti protagonisti della politi-ca di massa del Novecento. (e)

A cura diEnrico Bosco (e)

libri

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Quartetti di Leone Sinigaglia

Buongiorno,ho il piacere di segnalare che è uscito il discocon la prima parte dell’integrale dei quartettid’archi di Leone Sinigaglia (1868-1944), ese-guito dall’Archos  Quartet per l’etichettaNaxos. Leone Sinigaglia, compositore torinesemolto noto a fine ottocento, oggi poco eseguito,morì in circostanze tragiche durante il secondoconflitto mondiale. L’origine ebraica lo reseoggetto delle persecuzioni della polizia nazistache occupava Torino nel 1944:  al momentodell’arresto una sincope ne causò la morte. A sua memoria una pietra d’inciampo è stataposta davanti all’ingresso del Conservatoriodi Torino. Leone secondogenito di AbramoAlberto Sinigaglia ed Emilia Romanelli,crebbe in una famiglia ebraica dell’alta bor-ghesia torinese di fine ottocento. Appassionato di letteratura e alpinismo, al-ternava periodi in città con quelli nella villadi Cavoretto, sulla collina. Dopo gli studi musicali di violino, pianofor-te, e composizione, iniziò a viaggiare in Eu-ropa, dal 1894 risiedette a Vienna dove co-nobbe e divenne amico di Johannes Brahms,e poi a Praga dove studiò strumentazione conAntonin Dvorak. Le sue opere camerali e orchestrali si diffuseroin breve tempo in Europa e in America, esegui-

te nelle principali sale da concerto. A Torino,dal 1901 e per circa dieci anni trascrisse unagrande quantità di canti popolari, circa 500,provenienti dalla tradizione orale, raccolti dal-la viva voce dei contadini di Cavoretto. Alcuni di essi furono arrangiati per voce epianoforte, altre sue composizioni per orche-stra del periodo recano la traccia della musi-cale popolare. A questi lavori è strettamente legato ArturoToscanini che li eseguì frequentemente.Archos Quartet è un quartetto formato damusicisti provenienti da quattro nazioni di-verse (Polonia, Germania, Bulgaria,Italia). Si possono ascoltare al seguente indi-rizzo: https://www.youtube.com/watch?v=-_YCwMVJvhg

Un secondo CD, con brani inediti, ritrovati nelfondo Sinigaglia presso la Biblioteca del Con-servatorio di Torino, è già in fase di prepara-zione. Leone, cugino della mia bisnonna, nonlasciò discendenti diretti. Per questo mi piacericordarlo segnalando questa pubblicazione.Cordiali saluti

Marco FiorentinoMilano

Il CD è acquistabile su Amazon all’indirizzohttps://www.amazon.it/s?k=leone+sinigaglia+archos&__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&ref=nb_sb_noss

A proposito di Susanna SilbersteinCara Anna Segre,da anni sono una attenta lettrice del giornaleche ora dirigi ed apprezzo molto e questavolta vi ho trovato un articolo che lo lettocon particolare interesse, quello in oggetto[“Susanna Silberstein”, Ha Keillah di apri-le, pag. 18, ndr]. Ho conosciuto Susanna finda piccolissima e l’ho rivista anche recente-mente in una delle frequenti visite che facevaa Firenze dove ha anche soggiornato da ra-gazzina…Desidero precisare che la prima persona adoccuparsi di Susanna fu Marcella Treves,una cugina di mia nonna, che per età ed es-sendo nubile non poté adottarla e quinditrovò a Roma una sua amica ben disposta afarlo ma in pratica, in particolare dal latofinanziario, fu una adozione a due!Per i piemontesi forse è bello far notare cheMarcella era la figlia maggiore di Guido Tre-ves, il cui padre Marco è stato il ben noto ar-chitetto nativo di Vercelli, cui si deve in parteanche il progetto di quel Tempio oltre quellodella Sinagoga fiorentina! Un affettuoso sa-luto e augurio di buon lavoro

Lionella Neppi Modona Viterbo

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lette

re

per ora rimandata la progettata annessione diuna parte della Cisgiordania. Dunque forse potrebbero apparire superfluele discussioni su questo tema e gli appellicontro l’annessione che trovate a pag.7. An-che nella nostra redazione c’è chi nutre dubbisull’utilità degli appelli. Certo è frustrantepensare a quanto poco siano serviti 53 anni diraccolte di firme perché Israele si ritirasse daiterritori occupati. D’altra parte noi ebrei pro-gressisti e a favore della soluzione “due po-poli due stati” forse non siamo poi così debolie irrilevanti come a volte ci dipingono (o cidipingiamo noi stessi): in fin dei conti siamostati per due volte non troppo lontani dallapossibilità di mandare un ebreo di sinistra allaCasa Bianca. Non è detto però che questo di-mostri l’utilità degli appelli: a cosa serve rac-cogliere poche decine o centinaia di firme – sidomanda qualcuno – quando abbiamo nel no-stro arco frecce ben più efficaci?E infatti, appelli o non appelli, per il momen-to l’annessione è stata rimandata. Abbiamoavuto qualche merito? Si potrebbe dire chesiamo stati come il re del Piccolo principe diSaint-Exupéry che quando ordinava al soledi tramontare veniva puntualmente obbeditoperché aveva l’accortezza di ordinarglielo almomento opportuno. Allo stesso modo, ave-

(segue da pag. 1) Appelli e quattro gattini vamo previsto che Netanyahu non avrebbeavuto il sostegno internazionale (e soprattut-to degli Usa) necessario per l’annessione, ecosì è stato.Dunque perché pubblichiamo gli appelli anchese sembrano essere stati superati dagli eventi ecomunque non siamo certi della loro effettivautilità? Per entrambi la novità che li rende me-ritevoli di attenzione non sta tanto nel testo insé quanto nel contesto in cui sono nati.Giorgio Gomel ci dà conto dell’appello propo-sto dalla rete internazionale JLink, e delle ini-ziative messe in campo per diffonderlo e perfar conoscere il punto di vista di chi è contrarioall’annessione; interessante soprattutto il reso-conto dei contatti che la rete è riuscita a stabi-lire in molte parti del mondo e degli incontriavvenuti con alcuni ambasciatori di Israele. La novità dell’altro appello è data soprattuttodai promotori, tutti giovani, che solo in un se-condo momento hanno esteso a noi anziani lapossibilità di firmare. Un’altra novità signifi-cativa rispetto ad altri documenti analoghi delpassato consiste a mio parere nella volontà di-chiarata di portare il discorso all’interno del -l’ebraismo italiano ufficiale: l’appello – chesi definisce esplicitamente “una voce ebraicaitaliana” – richiama infatti “l’obbligo di op-porci con forza a questo progetto e di contri-buire al dibattito all’interno delle comunitàebraiche e delle società di cui facciamo par-

te”. E in effetti questo dibattito non può man-care soprattutto perché a novembre sono pre-viste le elezioni per il Consiglio del l’Unionedelle Comunità Ebraiche Italiane.In teoria l’Ucei, che rappresenta gli ebrei ita-liani davanti allo stato, non dovrebbe entrarenel merito del dibattito politico interno aIsraele. In pratica però si sente investita daldovere di difendere Israele da ogni genere dicritica. Ma difendendo sempre e comunquequalunque decisione di qualunque governoisraeliano sia in carica si trasmette la falsa im-pressione che gli ebrei italiani siano tutti didestra, e magari tutti favorevoli all’annessio-ne. oggi, per la verità, la difesa del governoNetanyahu nei media dell’Ucei non è semprepedissequa (tant’è che qualcuno a destra se nelamenta), ma dopo novembre le cose potreb-bero cambiare in peggio. È giusto, quindi, far sapere all’opinione pub-blica che esistono anche ebrei italiani che nonsi identificano nella politica di Netanyahu. Ilcaso specifico dell’annessione, poi, è partico-larmente insidioso perché – come sottolineaanche l’appello – il Primo Ministro israelianoha dichiarato che ai residenti palestinesi deiterritori annessi non verrebbe conferita la cit-tadinanza; dunque ci sarebbero all’interno diIsraele persone di serie B, residenti senza cit-tadinanza; nulla di nuovo, certo, è così in tuttii territori occupati nel 1967, ma un conto èun’occupazione militare che pur durando da53 anni è ufficialmente dichiarata come prov-visoria, tutt’altra cosa è rendere permanentela diseguaglianza all’interno di quelli che pre-tendono di essere i confini definitivi dello sta-to. Sarebbe una catastrofe per la democraziaisraeliana, e anche per noi ebrei della diasporache diventeremmo poco credibili nella nostradifesa dei diritti delle minoranze in Italia e inEuropa. Per tutti questi motivi l’appello è significativoe meritevole di attenzione Ma a mio parere lacosa più importante di tutte è che sia stato pro-mosso da un gruppo di giovani che si dichiara-no ufficialmente come tali: un’assunzione diresponsabilità, un modo per dire: da questomomento ci siamo anche noi. Dunque qualco-sa si muove nel mondo ebraico italiano: sare-mo pur sempre quattro gatti ma se non altro staemergendo una nuova generazione di quattrogatti. E non è una cosa da poco.

Anna Segre

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un ebreo sopravvissuto alla Shoah, ma né sisente ebreo né pretende di essere consideratotale. Lui e suo fratello, in realtà eccezionalievangelisti, all’inizio del loro mandato, era-no stati erroneamente assimilati a simboli disostegno della società ebraica al governo diBolsonaro.In Brasile, come mostrano lo studioso Mi-chel Gherman e il Gruppo di Studio Interdi-sciplinare, la costruzione di un immaginarioIsraele e di un immaginario popolo ebraico èun fenomeno contemporaneo derivante siadal bolsonarismo che dall’estrema sinistrabrasiliana. Entrambe le correnti ideologichehanno immaginato come ideali giudaico-sio-nisti il conservatorismo, il moralismo, la cor-sa alle armi e una ortodossia a tali principi. Inmolti casi, la condizione di essere o non es-sere ebreo si è basata più su queste posizionipolitiche che sulla reale identificazione oesperienza degli individui. Weintraub è pas-sato da fedele membro delle comunità evan-geliche a simbolo di una comunità ebraica dicui non è membro, con la stessa facilità concui il giornalista e avvocato progressista GlennGreenwald in altre occasioni ha ignorato ilsuo background ebraico. Questo fenomeno,molto complesso ed elaborato, ha le sue ori-gini sia nella crescita delle correnti di un cri-stianesimo messianico che riprende e salvasimboli ebraici, sia in un cieco allineamentoa Israele con il sostegno degli Stati Uniti e,soprattutto, di Donald Trump. Questa costru-zione è così forte e ovvia per la maggior par-te della popolazione che, nella manifestazio-ne contro i tagli all’istruzione del già mini-stro Weintraub, sono state bruciate le bandie-re di Israele e degli Stati Uniti. E non è soloattraverso l’opposizione che l’appropriazio-ne simbolica ha luogo, poiché lo stesso pre-sidente, nelle sue manifestazioni anti-isola-mento in quarantena e anti-democrazia, nonaveva la bandiera brasiliana alle spalle, ma lebandiere di questi due paesi.Tale dirottamento di simboli e voci è statoinizialmente tollerato dalle federazioni ebrai-che, ma ha lentamente generato agitazione inistituzioni come l’Istituto Brasile-Israele e

alcune tnuot (movimenti giovanili) sionisticome l’Hashomer Hatzair. Queste istituzionihanno iniziato poi a manifestare pubblica-mente ed opporsi all’appropriazione scorrettache i funzionari governativi stavano attuando.All’inizio dell’anno, infatti, il pietoso annun-cio dell’allora segretario della cultura, in chia-ra imitazione del discorso del ministro dellapropaganda nazista Joseph Goebbels ha co-stituito la goccia che ha fatto traboccare il va-so generando l’attuale crisi aperta tra il gover-no dei grandi bolsonaristi e la comunità ebrai-ca. Successivamente ha suscitato indignazio-ne una serie di discorsi di funzionari gover-nativi che paragonavano istituzioni democra-tiche al nazismo: lo stesso Weintraub è statosmentito nel corso di un dibattito sulla televi-sione nazionale, sia dal collettivo Jewish forDemocracy che dal Comitato ebraico ameri-cano, per aver equiparato le azioni della po-lizia federale andata a sequestrare documentinelle case dei sostenitori del presidente allenefandezze della Kristalnacht.Abraham Weintraub è stato licenziato dalla ca-rica di ministro non solo per questa serie di attidiscutibili, ma anche per un’inchiesta aperta il23 giugno contro di lui per minacce verso igiudici della Corte Suprema. Il suo nome, tut-tavia, è comparso proprio in quei giorni comecandidato suggerito dal presidente per una po-sizione prestigiosa alla Banca mondiale. No-nostante tutto ciò, il giorno seguente Wein-traub è volato negli Stati Uniti con il suo pas-saporto ministeriale, che gli ha permesso dientrare in Nord America, mentre il presidenteTrump vietava ai viaggiatori brasiliani di en-trare nel paese. All’epoca, l’ex ministro ha di-chiarato di essere stato il primo esiliato politi-co degli ultimi decenni, pur avendo avuto unruolo da forte sostenitore del governo. Wein-traub si è unito, infatti, alla lista di oltre cinqueministri brasiliani rimossi dall’incarico duran-te la pandemia di coronavirus.Tutti questi fatti hanno messo la comunitàebraica brasiliana in una posizione ambigua:rimane ancora una parte di sostegno al go-verno di Bolsonaro, ma allo stesso tempo c’èsempre maggior mobilitazione nella direzio-ne contraria.

Raphael Castilho BokehiRio De JaneiroTraduzione di

Emilio, Fiorella e Beatrice Hirsch

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REGISTRAZIoNE: Tribunale diTorino 16-9-1975 n. 2518

Minima moralia

L’ideologia rivoluzionaria delfascismo si fonda sulla con-vinzione che le questioni esi-stenziali siano d’ordine cultu-rale, emozionale e affettivo, ecome tali dipendenti da moti-vazioni psicologiche indivi-duali: scopo del fascismo èmostrare che si può modifica-re pro fondamente la vita degliuo mini lasciando completa-mente intatti i rapporti econo-mici sussistenti.

Zeev Sternhell, Nascita dell’ideologia fascista,

Baldini Castoldi Dalai, Milano 2008

Aprile 2019: il Presidente della Repubblicadel Brasile, Jair Bolsonaro, ha pubblicato sulsuo account personale di Twitter la nuova no-mina per il posto di Ministro della PubblicaIstruzione, dopo le dimissioni di Ricardo Vé-lez. Quest’ultimo aveva infatti portato conflittitra l’ala militare e l’ala ideologica del gover-no, nonché una manciata di scandali, come larichiesta a scuole e studenti di registrare un vi-deo al suono dell’inno nazionale e inviarlo alMinistero della Pubblica Istruzione (MEC).Come sostituto il nome annunciato fu sor-prendentemente quello del segretario esecuti-vo della Casa Civil, Abraham Bragança deVasconcellos Weintraub. Laureato in econo-mia e professore all’Università Federale diSan Paolo, che fin dall’inizio del suo incaricoal MEC, ha segnato la storia del Paese conparole e azioni fortemente estreme e contro-verse, fino a sconfinare nel tragicomico. Por-tavoce principale dell’ala ideologica e grandeammiratore del guru olavo de Carvalho, haattaccato in ogni modo possibile e immagina-bile l’onore, la struttura e la libertà delle uni-versità federali del paese, rinomati centri didemocrazia, sviluppo scientifico, inclusioneed eccellenza nella formazione scolastica. Halanciato false accuse in relazione a presuntepiantagioni di marijuana nei campus, ha mi-nacciato di ridurre di oltre 30% il budget del-le università in cui “regnava il caos”, ha chia-mato i professori “buoi grassi”, ha soppressotanti corsi tra cui quelli di scienze umane pa-gati dallo Stato e fatto tanto altro danno. Neisuoi 14 mesi di lavoro, è riuscito contempo-raneamente non solo a rappresentare la man-canza di governo e il tentativo di distruggerele istituzioni pubbliche brasiliane, ma anchea mancare di rispetto a tutto ciò che la diver-sità del paese rappresenta. Tuttavia, il peg-gior attacco che l’ex ministro ha fatto alla co-munità ebraica, già così ferita politicamente acausa dell’invito fatto da uno dei suoi club aBolsonaro, anche prima delle elezioni, è statola banalizzazione dell’identità ebraica e averfavorito l’appropriazione simbolica dellabandiera di Israele.Abraham, come dice lui stesso, è il nipote di

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