Dialogo Con Pontiggia

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D IALOGO CON G IUSEPPE P ONTIGGIA Che cos’è un classico? Cuento Poesía Imagen Ensayo Diálogo

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  • Dialogo con Giuseppe pontiGGia

    Che cos un classico?

    Cuento Poesa Imagen Ensayo Dilogo

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    Classica lopera che conserva nel tempo il suo valore, la sua vitalit, la sua capacit di emozionare, coinvolgere e arric-chire il lettore. Quello che pi conta nel classico la sua atti-

    tudine a scoprire nuovi lettori e interpretazioni. Il problema

    non se i classici sono attuali, ma se noi siamo attuali per i

    classici, che godono di ottima salute: quando noi li leggiamo

    troviamo in loro domande che ci coinvolgono, immagini che

    ci riguardano, esperienze di cui ci appropriamo. Di noi non

    possiamo dire altrettanto, perch molte volte siamo inattuali,

    distratti da tentazioni fuorvianti, incapaci di andare in pro-

    fondit. Chi scrive, se ha ambizioni letterarie, pensa a quel

    s ideale che coincide con gli altri. Non dimentichiamo che il

    testo deve sorprendere, convincere prima di tutto lautore,

    inteso come quel s che si identifica con gli altri: i classici re-

    sistono a questo vaglio, la maggior parte dei contemporanei

    no. Non hanno attualit, durata, tenuta. Noi possiamo anche

    spiegare la vitalit dei classici risalendo alla nozione di arche-

    tipo, ma non mi affezionerei troppo a questa interpretazio-

    ne. In ogni epoca il classico stato visto come un compagno

    di viaggio, come un autore la cui vitalit non morta, ma

    contagiosa. Lopera classica conserva la sua capacit emozio-

    nale e speculativa in senso non mediato anche se lapproccio

    pu comportare la consapevolezza di una presa di distanza.

    Eliot ha dimostrato in maniera magistrale come la nostra in-

    terpretazione arricchisca il classico: ogni nostra interpreta-

    zione dei classici non solo modifica la sua lettura ma anche la

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    sua struttura, la piramide in cui inserito. Io credo di pi ad

    una risposta individuale, che poi diventa collettiva, che non

    ad uninterpretazione storicistica neutrale, che si rivela nel

    tempo inadeguata e fuorviante.

    Avventurandoci nelletimologia del termine classico, ma an-

    che di avanguardia, di ordine, scopriamo le radici di tali pa-

    role nellambito dellorganizzazione civile e militare. Poeta e dittatore, in tedesco, Dichter e Diktator, hanno la medesima radice: il dictator dellars dictandi. Cosa c dietro larche-tipo di classico?

    Secondo me c lautorit. Dicere deriva da deik, mostrare, la radice indoeuropea deik voleva dire essenzialmente indi-care. Mentre fari in latino il parlare dellin-fante, di colui che ancora non sa parlare, dicere ha un carattere pi impe-rioso, pi legato allautorit, allindicazione testuale. Questo importante perch credo che allorigine ci sia lidea secondo la quale la parola non semplicemente comunicazione, ma espressione di autorit, di rivelazione di ci che nascosto. Il latino fatum riprende il fari, per nel senso imperioso del deik, cio del mostrare ci che stato detto, ci che sta-to pronunciato. Anche Eraclito quando dice il dio di Delfi non parla ma accenna si riferisce a un dire silenzioso. Anche accennare legato al deik da cui deriva dicere. Lei scrive nei Contemporanei del futuro: Il sogno di una let-teratura universale rischia di avverarsi a spese di una lette-

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    ratura come valore. A questo proprio i classici possono op-porsi e offrire, senza pi ordines, la loro resistenza. Anche qui una metafora bellica per circoscrivere lambito e quindi lesercizio dei classici, la loro funzione.

    Lorigine della parola classico legata a classe, ossia a una distinzione della popolazione romana basata sul censo e sulla diversa rappresentativit allinterno dellesercito e della flot-ta. Secondo me questa origine non casuale ed ricca di po-tenzialit ermeneutiche interessanti, illuminanti anche per i secoli futuri, proprio perch se la nozione di classico ha sem-pre avuto un carattere classificatorio, discriminatorio - sep-pur occultato - oggi questa stessa nozione inevitabilmente in crisi dal momento che la tradizione non ha pi quel carattere esclusivo e normativo, minaccioso e discriminatorio, che ave-va nei secoli precedenti. Oggi la tradizione umanistica en-trata in grave crisi a causa di una diversa coscienza storica, quindi questaspetto della lotta e del confronto con la classi-cit, con la tradizione, non pi centrale nella prospettiva della critica e della consapevolezza degli scrittori. Laspetto negativo loblio del valore, del termine di confronto, mentre laspetto positivo che non ci si fossilizza in unidea di tradi-zione in senso normativo, che poi sappiamo essere un senso equivoco

    NellEncyclopdie si sosteneva che divengono classiche quelle opere che sono attinte dalla natura stessa, dalla forza inalte-rabile del bello e del buono. Possiamo conciliare lidea di or-ganicit, di astoricit, che sottende questa definizione, para-dossalmente nata in casa del razionalismo pi intransigente,

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    con quella incontrata finora, legata a un concetto di civilt, di ordine costituito?

    Secondo me siamo obbligati a conciliarle, altrimenti ci fer-miamo sempre ad interpretazioni parziali che danno un con-tributo prezioso ma colgono soltanto una faccia di questo po-liedro. Lidea di classico comporta sia la nozione idealistica che va al di l dei limiti temporali, sia la consapevolezza stori-cistica che dietro la durata del bello c tutta la sua storicit. Io non vedo conflitto.

    I classici si sono quindi accampati per spontanea forza pro-pulsiva, o sono stati imposti?

    Il quadro e la gerarchia degli autori classici sempre il frut-to di unesperienza storica fortemente condizionata dallesi-genza del presente, dallorizzonte culturale in cui ci si muo-ve, ed per questo che non credo molto nelle possibilit di individuare i classici sulla base di considerazioni storiche e culturali che prescindano dallesperienza della lettura, che poi lesperienza decisiva. Sappiamo che anche la lettura condizionata dalle esperienze, ma il rapporto diretto tra il lettore e il testo, con tutti i problemi che questo comporta, il momento idealmente e concretamente pi importante. Se noi leggiamo Dante attraverso i suoi interpreti vediamo che conserva una capacit di influenza potente e illuminante sui suoi lettori. Anche i commenti pi tortuosi, pi eruditi, pi remoti da quello che noi intendiamo per poesia sono sempre segnati da questo rapporto diretto col testo: la diversit delle prospettive, degli strumenti, delle sensibilit e degli obiettivi

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    si accompagna a una percezione del valore durevole del testo. La classificazione molto condizionata dalla storia e muta continuamente, mentre i grandi autori rimangono. Ci che d un senso alla tradizione il momento individuale della lettu-ra, nessuna autorit dallesterno pu avvalorare lesistenza di un classico.

    A proposito di autorit del testo, Eliot diceva che cos come i testi scientifici hanno un valore letterario innanzitutto per il loro peso scientifico, la Bibbia ha esercitato uninfluenza letteraria proprio in virt del suo peso religioso. Possiamo affermare che un testo letterario pu esercitare uninfluenza religiosa, farsi Scrittura, in virt della sua capacit retorica, della sua ricchezza poetica?

    Non stabilirei questa equazione perch la Scrittura presup-pone unispirazione divina, unautorit al di fuori del mezzo che lalimenta. Le Sacre Scritture hanno una duplice sacra-lit, rivelano una duplice autorit: una legata al linguaggio, laltra allautorit che lo ispira. La convergenza di queste due idee ha dato alle Scritture un prestigio ed una capacit di emozione molto particolare. difficile stabilire, da un pun-to di vista letterario, un rapporto equilibrato con i Vangeli, perch si sovrappongono continuamente lautorit di chi lo avrebbe ispirato e lautorit del linguaggio. Nella scrittura che prescinde dallispirazione divina noi ritroviamo lau-torit del linguaggio che straordinaria quando ispirato: quando Amor mi spira, noto, vo significando, e ditta dentro sono parole che hanno autorit, e noi siamo soggio-gati da questa autorit, per non lo stesso rapporto perch

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    qui abbiamo il concorso di unaltra credenza, complementa-re ma decisiva, quella di un autore. Ambiguit e polisemanti-cit sono tratti tipici dellespressione letteraria. Il linguaggio dellautorit invece, in senso religioso, univoco, pu appari-re sfuggente, problematico, ma in realt imperativo: quan-do Cristo dice date a Cesare quel che di Cesare esprime qualcosa di straordinariamente complesso, ma il comando molto semplice, tant vero che gli altri obbediscono, cio non fanno obiezioni. Il linguaggio della letteratura complesso e conserva la sua ambiguit, la sua polivalenza di significati, ma non ha lo stesso carattere imperioso. Chiamatemi Ismae-le pu essere la fine dellautore, la sostituzione del suo nome con un nome qualsiasi o con un nome preciso, la richiesta di un atto di fede del lettore...

    Leopardi nello Zibaldone notava come i geni pi sublimi, li-beri e irregolari, nel momento in cui diventano classici ac-quistano la normativit dei trattati pi regolari delle scienze esatte. Siamo di fronte a un paradosso: i classici si affermano negando gli elementi che li portano ad essere tali...

    La contemporaneit vede i conflitti, la posterit le convergen-ze. Questo un tratto tipico di tutte le epoche. Michelangelo non poteva soffrire i fiamminghi, non li considerava nemmeno pittori, parlava di pittura effemminata, ma noi non troviamo contraddizione tra Michelangelo e i fiamminghi. tipico del tempo esaltare linfrazione alla norma, la consuetudine alla convenzione frutto della posterit.

    Vogliamo allora parlare del rapporto classici-originalit?

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    Loriginalit un mito di cui bisognerebbe liberarsi. Ogni voce autentica non coincide con nessunaltra e quindi origi-nale. Per sono convinto che la letteratura sia come una valle di echi, perch gli scrittori non fanno che riprendersi, con-sapevoli o meno. Quello che differenzia non tanto la nota, ma il timbro, e quindi ogni autore ha una sua originalit. Il mito delloriginalit del resto comprensibile, il classicismo pi retrivo propone addirittura il calco, limitazione, per noi non dovremmo farne un feticcio e correre il rischio di scambiare per originale qualcosa che ovvio. Una delle cose pi idiote che vengono ripetute che tutto gi stato det-to. Dei classici si ha unidea di totalit derivata dal fatto che quel testo ha detto gi tutto, e qui sincorre in un errore di prospettiva, errore peraltro parziale perch effettivamente in quellautore c una totalit. Ma si tratta pur sempre di un sistema, di un coro in quella valle.

    Ma perch ce ne accorgiamo sempre dopo del nuovo?

    Lo sappiamo, molte volte lartista in anticipo sul tempo, futurismo e avanguardie ne hanno fatto addirittura una po-etica, Stendhal pensa che sar capito dopo cinquantanni, Manzoni parla di venticinque lettori. Capire il nuovo impone nuovi metodi e strumenti di lettura; il nuovo sconcerta per-ch scompagina un ordine a piramide e impone una revisione delle nostre gerarchie non solo per farsi posto ma anche per leggere il vecchio in una prospettiva diversa. Quindi il nuo-vo comporta normalmente uno sforzo che si manifesta in va-rie forme di resistenza: dal rifiuto allaccettazione perplessa alla sottolineatura dellaspetto formale. Molte volte si accusa

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    lopera nuova di essere fredda, di badare soltanto ad un rin-novamento formale. Luomo teme la novit, la vuole solo in porzioni calibrate e possibilmente diluite perch tende alla ripetizione, non radicalmente, perch altrimenti non ci sa-rebbe la storia, per le forze che agiscono allinterno della societ e dellindividuo sono spesso orientate in questa dire-zione. Io non penso che ci sia progresso nellarte, per c evoluzione, diciamo progresso nella storia dei generi, questo s. Per tornare al tema del classico, ci si pu rammaricare che la perdita dellinsegnamento scolastico della classicit possa portare a una difficolt di lettura dei testi latini, greci, rina-scimentali e pure recenti, per al tempo stesso vi un nuovo respiro... La perdita della conoscenza approfondita, scolasti-ca, della classicit, se noi la integriamo con la conoscenza dei classici stranieri pu non essere una perdita, studiare solo la letteratura greca e latina e ignorare la letteratura indiana, ci-nese, giapponese non una buona cosa perch la prospettiva letteraria greco-latina medievale non lunica.

    Quale pu essere il grado di assorbimento di opere di culture cos lontane, anche a prescindere dal gradino della lingua?

    Penso che si arriver ad un eclettismo, ad una forma di sin-cretismo culturale anche molto spericolato, alla fine, ma fe-condo. Di fatto questo sta gi avvenendo, ma non il caso di spaventarsi poich lunica cosa negativa che pu derivarne che si leggano meno i classici maggiori: amiamo pure il jazz, per Bach va ascoltato perch pi importante di Duke El-lington, Mozart apre orizzonti pi importanti di Bessi Smith. Non si tratta di una gerarchia nella forma normativa, ma di

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    una gerarchia legata allesperienza. Noi andiamo in questa direzione di comprensione intelligente abbandonando una nozione di classico discriminatoria e legata ad un diverso si-stema sociale che portava ad ignorare le forme di arte popo-lare, di arte applicata. Trovo fuorviante che si applichi lo stesso metro per opere che hanno capacit diversa, diversa ricchezza. Il pericolo di valutazioni fuorvianti ci porta a giu-dicare un fumetto pi importante di Piero della Francesca. Molti scambiano lesperienza privata per la nuova forma di canone, un canone delirante. Dobbiamo mettere in atto me-tri di valutazione pi concreti non per discriminare, ma per conservare una differenza di valore.

    La discriminazione e i suoi attrezzi: ammesso che esistano i corrispettivi, in che cosa si sono camuffati oggi la rota Virgi-lii, le clausole della retorica medievale?

    La retorica un patrimonio di straordinario interesse debita-mente saccheggiata dalle teorie moderne della comunicazione. C una riscoperta, penso alla scuola di Chicago, alla scuola francese, della retorica come di un patrimonio vivo operante e operativo a cui attingere. Dal punto di vista espressivo per me stato molto utile studiare questo materiale perch allar-ga il campo dellespressivit, d pi libert di movimento. Buoncompagno da Signa, che ho incontrato alluniversit, stato illuminante: vedere che si poteva cominciare in dieci modi diversi una lettera mentre noi di solito ne abbiamo in mente uno solo, quello che abbiamo imparato. Del resto c anche il pericolo di cui ho fatto esperienza nel romanzo La grande sera, di eccedere in coloriti retorici. Retorica e metri-

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    ca sono stimoli alla libert, ma questa unovviet che molti non ammettono: la tecnica serve poi a liberarsi dalla tecnica, dalle preoccupazioni fuorvianti di una tecnica che non si conosce. Un narratore inesperto si pone dei problemi che non hanno ragione di esistere.

    Illuminante quel passo dellOttimo in cui sostiene di aver udito dalla bocca dello stesso Dante che non avrebbe mai sacrificato la metrica al concetto...

    Certo, per questo poteva farlo perch conosceva la tecnica, al-trimenti un narratore inesperto pu sentirsi in obbligo, sulla base dei pochi testi che ha letto, di dover dare referenze, di dover spie-gare. Chi conosce la tecnica pu farne anche a meno, pu non dare un nome ai personaggi

    Leopardi parlava di maniera familiare propria dei classici Proviamo a ricondurre questidea alluso, alla pratica del lin-guaggio. Se, ad esempio, io, moderno, penso al concetto espres-so dagli antichi col termine cavallo, per essere classico, cio per mantenere costante il rapporto tra parola e contesto, tra forma e tempo, devo dire automobile. daccordo che il classico si mi-sura sullequidistanza tra lindividuo e un determinato concetto? Il concetto si tramanda, diviene immortale attraverso la mortali-t dellespressione

    S. Quando Montaigne dice io, io mi riconosco nel suo io. Sento il timbro di Montaigne, di Cicerone, li sento come persone. Sap-piamo che laccanimento linguistico e filologico ha portato a un non riconoscimento dei classici. Oggi magari si ricorre di pi alla

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    traduzione, ma in compenso c pi vivo interesse per il con-tenuto dei testi, perci non il caso di stracciarsi le vesti Nel passato leducazione si basava sulla conoscenza della tra-dizione greco-romana, oggi attraversa canali diversi: ci sono laureati che hanno letto poco i classici e se ne fanno un vanto, cos come di leggere poco. Sbagliamo a considerarli non istru-iti, per lo meno assolvono i loro compiti professionali, magari complessi, con una certa efficienza, occupano ruoli impor-tanti. Questa una svolta, ma sono convinto che la parte pi intelligente, pi matura di una classe dominante responsabile della gestione della vita di una nazione, non potr fare a meno di attingere da Machiavelli, capace dinsegnare infinitamente di pi, ad un politico, che non la lettura del Libretto rosso.

    Lei parla di breviar e mi vengono in mente quelle epoche, che noi definiremmo classiche, in cui cerano parole cano-niche e parole bandite. Ci sono ancora parole canoniche o sempre una questione di rapporti?

    Gi nei classici antichi cerano forme di rinnovamento e di rottura lessicale: da Petronio a Lucano c gi un forte som-movimento. Poi col cristianesimo simpone il sermo humilis che diventer sermo sublimis, quindi le ripartizioni classiche sono destinate ad essere sovvertite, per lo meno in apparen-za. La poesia moderna ha fatto un immenso lavoro in questo senso - ma gi Dante lo fa, in maniera escatologica - introdu-cendo in dosi sconcertanti anche tutto il linguaggio tecnologi-co. Penso a Eliot, o a Gadda. Gadda per richiede una certa conoscenza perch la sua lettura rinvia a significati che a un orecchio non esperto sfuggono e questo viene giudicato da ta-

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    luni un limite, ma io non credo sia cos, del resto pure Dante richiede continue registrazioni. Gadda fa una scelta stilistica che discrimina anche il pubblico.

    Il termine discriminazione ricorso pi volte Auieo pro-pone sempre la sua domanda classica che esplora il crinale di una discriminazione: che rapporto intercorre fra il silenzio e la parola?

    La parola contiene il silenzio su tutto quello che tace. Do-vremmo essere molto attenti non solo a quello che la parola illumina, ma che tace, chiederci tutto quello che un autore tace dicendo una cosa. La parola rompe le tenebre per al tempo stesso lascia nelle tenebre tutto quello che non illumi-na. LIliade comincia con una parola, lira, ma perch non comincia dicendo lodio o la collera oppure linteres-se? Lira ci fa capire che lessenza della guerra lira, ma lautore tace tutte le altre ragioni che noi metteremo al posto dellira: interesse, fanatismo, opportunit, distruzione, in-gordigia, noia... Sarebbe importante studiare perch Omero usa quella parola e non altre. Io vedo la parola come la rot-tura del silenzio ma anche come limmersione nel silenzio di tutto quello che non coinvolto nella parola, che rimane in una sorta di mondo parallelo, virtuale, che lautore esclude per cogliere invece quello in cui crede, quello che gli sembra pi importante.

    Andrea Carlo Bortolotti e Marco Perilli

    Milano, aprile 2001