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227 dialoghi Locarno – Anno 45 – Giugno 2013 di riflessione cristiana BIMESTRALE Un Paese da evangelizzare Il risultato della votazione federale del 9 giugno è un effetto della paura e dell’egoismo. Con una partecipazio- ne del 45,4% (in Italia, con percen- tuali superiori, ci si preoccupa della democrazia…), i cittadini svizzeri hanno deciso una più rapida espul- sione degli asilanti (78,45%); i ticine- si, più disimpegnati (partecipazione del 37, 31%), sono stati ugualmente determinati nel rifiuto agli stranieri (74,91%), schierandosi con i canto- ni più xenofobi, e «dimenticando» (come gli altri cristiani, di tutta la Svizzera) l’appello alla umanità delle Chiese svizzere che raccomandavano di respingere l’ennesimo inasprimen- to del «dovere di accoglienza». Un risultato poco onorevole che stam- pa, partiti e Chiese hanno archiviato con assordante silenzio, per restare nell’illusione del mito della Svizzera umanitaria, culla centocinquant’an- ni fa della Croce Rossa. Intanto i banchieri (finalmente trattati come complici degli evasori) cercano di nascondere sotto il tappeto polvere e altri escrementi («lo sterco del demo- nio») che hanno loro procurato «bo- nus» milionari. Chiamati finalmente a mostrare la faccia, dovendo pagare multe milionarie, prevedono di ridur- re le imposte da pagare in Svizzera. Aveva ragione quel banchiere che chiamò «noccioline» i soldi dimenti- cati nelle banche svizzere dagli ebrei perseguitati dai nazisti: ora si tratta di nespole. Cinquant’anni fa (Pacem in terris, n. 79), Giovanni XXIII costatava che «nelle comunità nazionali di tradi- zione cristiana, le istituzioni dell’or- dine temporale (…) si caratterizzano non di rado per la povertà di fermen- ti e di accenti cristiani». Dopodiché aggiungeva, non senza ironia: «È certo tuttavia che alla creazione di quelle istituzioni hanno contribuito e continuano a contribuire molti che si ritenevano o si ritengono cristia- ni». Il rimedio? «È necessario che si ricomponga l’unità interiore, e nelle loro attività temporali sia pure pre- sente la fede come faro che illumina e la carità come forza che vivifica». All’opera quindi, con la rievangeliz- zazione degli Svizzeri. Ma il «Gior- nale del Popolo» si preoccupa del riscaldamento climatico… a.l. Asilo fiscale o politico? Le Courrier

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Dialoghi n.ro 227

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227 dialoghiLocarno – Anno 45 – Giugno 2013 di riflessione cristiana BIMESTRALE

Un Paese da evangelizzareIl risultato della votazione federale del 9 giugno è un effetto della paura e dell’egoismo. Con una partecipazio-ne del 45,4% (in Italia, con percen-tuali superiori, ci si preoccupa della democrazia…), i cittadini svizzeri hanno deciso una più rapida espul-sione degli asilanti (78,45%); i ticine-si, più disimpegnati (partecipazione del 37, 31%), sono stati ugualmente determinati nel rifiuto agli stranieri (74,91%), schierandosi con i canto-ni più xenofobi, e «dimenticando» (come gli altri cristiani, di tutta la Svizzera) l’appello alla umanità delle Chiese svizzere che raccomandavano di respingere l’ennesimo inasprimen-to del «dovere di accoglienza». Un risultato poco onorevole che stam-pa, partiti e Chiese hanno archiviato

con assordante silenzio, per restare nell’illusione del mito della Svizzera umanitaria, culla centocinquant’an-ni fa della Croce Rossa. Intanto i banchieri (finalmente trattati come complici degli evasori) cercano di nascondere sotto il tappeto polvere e altri escrementi («lo sterco del demo-nio») che hanno loro procurato «bo-nus» milionari. Chiamati finalmente a mostrare la faccia, dovendo pagare multe milionarie, prevedono di ridur-re le imposte da pagare in Svizzera. Aveva ragione quel banchiere che chiamò «noccioline» i soldi dimenti-cati nelle banche svizzere dagli ebrei perseguitati dai nazisti: ora si tratta di nespole. Cinquant’anni fa (Pacem in terris, n. 79), Giovanni XXIII costatava che

«nelle comunità nazionali di tradi-zione cristiana, le istituzioni dell’or-dine temporale (…) si caratterizzano non di rado per la povertà di fermen-ti e di accenti cristiani». Dopodiché aggiungeva, non senza ironia: «È certo tuttavia che alla creazione di quelle istituzioni hanno contribuito e continuano a contribuire molti che si ritenevano o si ritengono cristia-ni». Il rimedio? «È necessario che si ricomponga l’unità interiore, e nelle loro attività temporali sia pure pre-sente la fede come faro che illumina e la carità come forza che vivifica». All’opera quindi, con la rievangeliz-zazione degli Svizzeri. Ma il «Gior-nale del Popolo» si preoccupa del riscaldamento climatico… a.l.

Asilo fiscaleo politico?

Le Courrier

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quella seraAnche il sole tardava a morire quella sera: sostava una luce strana sulle case e sopra le facce della gente, e dalle strade saliva un silenzio ancora più strano: solo dalla Grande Piazza – il palco ove si affrontano Speranza e Delusione da sempre – si spandeva nell’aria un murmure che mai nessuno aveva udito finora: un murmure da sottosuolo, sommesso: un sospiro delle cose pareva ancor prima di farsi umana coscienza, voce fusa del mondo: quella sera tutto il mondo si era fermato, la gente era sulle porte, in silenzio, solo con il capo qualcuno accennava a quell’unica Cosa: nessuno osava dire all’altro quanto era impossibile dire, e tutti piangevamo di gioia e di dolore: tutti improvvisamente orfani!

Forse solo alla tua morte, Francesco – tra le morti umane – così la gente che sapeva, deve aver cantato e pianto come tutto il mondo e noi, quella sera! E subito udito l’«Ite» della preghiera posto per Caso divino a sigillo della favolosa «Leggenda», oh quanti per le vie si abbracciavano! Perfino il fratello ateo (ma chi eraateo, almeno quella sera!) e il mussulmanoe l’ebreo e il fratello riformatopiangevano quella sera! E il negroe l’olivastro… Uno aveva appena scritto: «sono un buddista: Dio vi ama»! Anche il bianco era un fratello quella sera…

E tutti a dire: sì, il genere umano è uno il mondo può essere uno sì, ogni terra può essere in pace.

2 giugno 1963:la morte di papa Giovanni

«Quella sera non sono riuscito a staccarmi dal televisore. Piangevo come un ragazzo». Scorza dura di vecchio sindacalista, caposcalo merci delle Ferrovie dello Stato, iscritto come Dio comanda al Partito comunista, quel mio prozio romano ricordava così la sera del 2 giugno 1963, quando Papa Giovanni moriva. Cinquant’anni fa! La televisione – miracolo dell’era moderna, allora da meno di dieci anni insediata nel salotto delle nostre case – prolungava nello spazio senza confini la veglia di decine di migliaia di persone accorse in Piazza San Pietro. Chi non c’era (e immagino che siano la maggior parte dei nostri lettori) stenta a immaginare quanto fu ampia e profonda l’ondata di simpatia e poi di commozione che pervase e concluse il pontificato di Angelo Giuseppe Roncalli, papa Giovanni XXIII. Con la capacità evocativa del poeta civile e religioso, David Maria Turoldo la ricorda nella poesia che pubblichiamo qui accanto. Anche un’amicizia come «Dialoghi» – che già c’era, e come Papa Giovanni attendeva grandi cose dal Concilio da Lui appena inaugurato – oggi non potrebbe evocare quegli anni miracolosi senza commozione. Ma, più freddamente, bisogna constatare che i tempi sono cambiati! Non ci si riferisce tanto alla Chiesa cattolica, che ne avrebbe viste tante anche nel Concilio proseguito da papa Montini, e poi nel post-Concilio, ma al mondo circostante, che quei momenti di grazia pareva secondare con una serie di avvenimenti politici e sociali tali da far sperare in tempi davvero nuovi. Il superamento della Guerra fredda, la contestazione del vecchio ordine coloniale, i «cento fiori» della cultura giovanile, il welfare state che compensava i nostri genitori dei sacrifici sopportati durante l’ultima guerra… Bisogna mettere in prospettiva quei fatti, come pure le illusioni (e qualche mistificazione) che li accompagnarono, per interpretare l’emergenza positiva che investì la Chiesa cattolica dopo la morte di papa Pacelli. Fu come un’attesa, che si proiettava sull’immagine del vecchio pontefice, del quale si sapeva che aveva risposto – a chi gli chiedeva che cosa si aspettasse dal Concilio – «un po’ d’aria fresca qua dentro» (e andava ad aprire una finestra). Quell’aria fresca ha investito davvero la vecchia istituzione, in parte con la forza di un temporale estivo. Non l’ha ripulita, forse, come era lecito sperare, ma non l’ha lasciata come prima. Vedendo la positiva accoglienza che il nuovo papa, Francesco, ha fatto registrare al di là dei campi trincerati delle sicurezze cattoliche, oggi si potrebbe ritenere che un vento di primavera simile a quello di cinquant’anni fa potrebbe di nuovo scuotere la vecchia istituzione e sospingerla verso una nuova autentica testimonianza dell’Evangelo. Cinquant’anni dopo, possiamo ben dire che quello fu un tempo di grazia. E come ci fu quello, perché non ne potrebbero venire di nuovi?

E.M.

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No. 227 3anniversario

Avevi appena varcato la Notte del Fuoco: era la feria prima di Pentecoste: per te ora di nuova fiamma splendeva la Chiesa,o Papa Giovanni, tu padre del mondo!

E tutti noi, per giorni, a narrare la tua lunga agonia in faccia all’universo: la enciclica più vera: una morte ancora all’antica, la bella morte fra tanta nostra morte organizzata: questa nostra morte «industriale»…

Tutti, quei giorni, a evocare le tueparole di addio: «Figlioli cercate ciò che vi unisce e non quanto divide!» Dicevi di offrir la tua vita per la pace: «saremo sempre amici!», dicevi! E dal palco la Speranza bandiva la Delusione: almeno quella sera!

Papa Giovanni, tu padre del mondo, uomo della pace per tutte le terre: così hai scritto: a rispetto di tutte le fedi e razze e culture: «in terris», quale necessaria e libera armonia per tutto l’universo: tu che hai creduto alla Ragione perciò hai bollato di follia la guerra:

Papa Giovanni, tu padre del mondo, uomo che eri serenamente timorato del divino mistero perciò non amavi i profeti di sventura e dicevi di quale pace soave lo spirito gode pur dentro la bufera: e tu per primo

lassù così in alto, finalmente hai distinto l’errante dall’errore e perciò eri amico di tutto l’universo umano, e dicevi che verità antica per nuova lingua si fa novella…

Papa Giovanni, tu padre del mondo che mai dalla terra hai tagliato le radici mai rinnegata la origine tua di uomo della terra:

i poveri sono ancora traditi e soli, impedita anche da noi la loro liberazione; e fratelli continuano ancora a morire di morte caina;

e il Grande Potere subito calpesta appena germogli di speranza accennino a fiorire: poiché nulla di nuovo deve avvenire e meno ancora se da Oriente!…

E intanto il mondo è di nuovo ferito e più neppure alla porta del tempio attende: Papa Giovanni, tu padre del mondo, uomo di fede, ritorna…

ritorna almeno tu a dirci: «poiché non ho né oro né argento…io vi dico: alzatevi e riprendete il cammino!…».

DAVIDE MARIA TUROLDO

(Testo pronunciato a chiusura del convegno «A venticin-que anni dalla beata morte di papa Giovanni», Sotto il Monte, 21-22 maggio 1988, pubblicato in «Servitium», n. 59/60, settembre-dicembre 1988)

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4 No. 227dossier

Riflessioni, osservazioni, speranze su una sperimentazione da valutare

La rilevanza della dimensione reli-giosa della cultura appare sempre più evidente nella società contempora-nea. Si confronti la presenza attuale di temi più o meno strettamente reli-giosi nei mezzi di comunicazione di massa (televisione, giornali, internet, ecc.) rispetto anche soltanto a qualche decennio fa: si noterà quanto sensibil-mente essa è aumentata. E le opportu-nità di formazione culturale in questo campo sono assai più ampie che in passato: chi come il sottoscritto se ne occupa da molti anni sa bene quanto anche la responsabilità scientifica e divulgativa di formatrici e formatori sia sempre maggiore, proprio perché la qualità dell’offerta culturale richie-sta è sempre più elevata, nonostante certe cadute nel fondamentalismo lai-cista o clericale di vari colori.

Tre anni sperimentali

Dal settembre 2010 il sistema del-le scuole medie pubbliche ticinesi ha conosciuto un processo di speri-mentazione didattica – mi riferisco all’insegnamento in III e IV media di una materia che è stata chiamata, in assenza di soluzioni terminologiche migliori, «storia delle religioni» – che sta arrivando alla sua conclusione. «Dialoghi» ha sempre guardato a questo argomento con una visuale mediamente più ampia del punto di vista soltanto ticinese, ma ha pure badato a non perdere di vista la con-cretezza delle questioni nel quadro storico-sociale effettivo del territorio in cui operiamo. Mi pare dunque qua-si doverosa anzitutto qualche osserva-zione sui presupposti di quest’azione sperimentale. Essa intendeva cercare di superare l’ignoranza storico-religiosa in cui migliaia di ragazze e ragazzi tra gli 11 e il 15 anni restavano e restano, qualora non scegliessero o scelgano l’insegnamento religioso cattolico e evangelico. I pur culturalmente e reli-giosamente multiformi membri della commissione che redasse i program-mi della sperimentazione – io stesso ne feci parte – avevano questo come comune convinzione.Nella commissione in questione non si decise di coinvolgere a pieno titolo forse la persona ticinese più compe-

tente nei temi in oggetto, ossia Ren-zo Petraglio. Ciò, senza ovviamente sottovalutare il grande apporto di tutti coloro che ne furono membri, fu un errore. Tale deficit di lungimiranza si ripropose poi nel non aver messo seriamente in condizione Petraglio di far parte della commissione di valuta-zione dei candidati all’insegnamento di detta disciplina. Egli fu coinvolto parzialmente in altro modo, ma mol-to, molto meno di come sarebbe stato giusto e utile.

Il faticoso ancorché stimolante per-corso che condusse al varo di tali pro-grammi delineò chiaramente, tra l’al-tro, quanto differente sia immaginare un insegnamento di cultura religiosa dal carattere poco più che comparati-vistico tra diverse esperienze religiose e codici spirituali (era la posizione di alcuni dei membri di detto consesso) e un insegnamento della dimensione religiosa della cultura che consideri anche la dimensione esistenziale di essa, pur badando a non far nulla nel-la direzione dell’educazione religiosa nel senso catechetico o puramente confessionale del termine (era la po-sizione di altri membri).

Opposti fondamentalismi

La sperimentazione in oggetto vide la luce in un contesto socio-culturale e socio-politico in cui tra gli opposti fondamentalismi – quello laicista dei «liberi pensatori» e quello clericale di taluni ambienti cattolici, entrambi egualmente disinteressati a combat-tere l’ignoranza culturale storico-religiosa di allieve e allievi delle scuole ticinesi – appariva abbastanza evidente un ampio schieramento di forze impegnate, da crinali diversi, a promuovere in modo rinnovato la cultura religiosa a livello scolastico. Tale positiva volontà partoriva, però, soluzioni diverse per risolvere il pro-blema posto. E, d’altra parte, trasver-sali risultavano nella società ticinese due speranze, francamente, opposte: • da un lato, che la sperimentazione conducesse a esiti così positivi da far immaginare un’organizzazione sco-lastica che rendesse di responsabilità

soltanto cantonale detto insegnamen-to, estromettendone di fatto le Chiese; • dall’altro, che la sperimentazio-ne fosse un sostanziale fallimento, chiudendo ogni spazio a qualsivoglia cambiamento dello status quo.

Una valutazione squilibrata

Come faccio a dire tutto ciò? Cita-re diffusamente dati, cifre e persone esulerebbe dalle finalità di questo articolo: ma bastava essere effettiva-mente immersi nella formazione sco-lastica in genere e in quella storico-religiosa in particolare per farsi un quadro serio e fondato della situazio-ne, in cui tra il «nero» e il «bianco» si manifestavano tonalità di «grigio» multiformi. Tra i vari segnali positi-vi vi era, per esempio, il fatto che il DFA (Dipartimento Formazione Ap-prendimento), nuova istituzione sor-ta dalla «cessione» dell’Alta Scuola Pedagogica dal DECS cantonale alla SUPSI (la Scuola Universitaria Pro-fessionale della Svizzera italiana), pareva interessato a dare maggiore consistenza alla dimensione religio-sa della cultura nella sua offerta for-mativa: in questa direzione mosse la stabilizzazione professionale di chi si occupava di tale componente di-dattica tramite un contratto di lavoro «sine die» (stabilizzazione che, dopo poco più di un anno fu messa in di-scussione e vanificata dalla direzione stessa della SUPSI per ragioni del tutto indipendenti dalla competen-za scientifica e didattica del docente coinvolto e francamente del tutto in-comprensibili sotto il profilo scienti-fico e culturale in un’istituzione uni-versitaria…).La sperimentazione partì, probabil-mente, senza che il DECS avesse ben focalizzato la necessità di offrire un robusto accompagnamento didattico ai docenti che iniziavano a proporre la materia «storia delle religioni», al di là della competenza storica e della generosità personale di chi ne fu incaricato (il collega Pasquale Genasci). La valutazione della spe-rimentazione fu affidata al DFA, che assunse, a tempo parziale, un esper-to effettivo del campo scientifico in oggetto. Il coordinamento del gruppo di lavoro fu affidato, però, a un se-

di Ernesto Borghi

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rio e competente docente di filosofia, Marcello Ostinelli, assai interessato alle implicazioni tra scienze umane e religione, ma sostanzialmente sprov-visto di una preparazione effettiva in ordine alle materie storico-religiose e religiose in senso stretto. Il DFA si è comunque avvalso, durante il pro-cesso di valutazione in atto, di due autorevoli esperti accademici come lo storico della Chiesa Mariano Del-gado (dell’Università di Friburgo) e il teologo morale Alberto Bondolfi (emerito dell’Università di Losanna, ora direttore della Fondazione Bru-no Kessler, Centro per le Scienze Religiose, di Trento), intellettuali di grande competenza scientifica e di notevole respiro intellettuale, ancor-ché non esperti di didattica scolastica delle discipline religionistiche.

Perplessità

Non posso entrare ovviamente nella valutazione puntuale della sperimen-tazione, che spetta legittimamente ad altri. D’altra parte sono apparse chia-ramente anche all’esterno la serietà e competenza culturale dei docenti coinvolti. Si sono riscontrati echi positivi e dati significativi circa gli avvalentisi di detto insegnamento nel corso di questo triennio, in partico-lare nelle sedi scolastiche che hanno visto i due insegnamenti di carattere religioso fianco a fianco. Cionondi-meno qualche scelta dei «valutatori» istituzionali si è rivelata ampiamente discutibile e davvero sconcertante. Durante il primo anno di elaborazione della prova di fine ciclo (2011/2012), inizialmente la commissione diretta da Ostinelli avrebbe voluto che fosse proposta agli allievi tanto delle classi degli insegnamenti «confessionali» quanto di quelle di storia delle reli-gioni una prova unica, in presenza di programmi contenutisticamente mol-to diversi. Di fronte all’opposizione scientificamente e didatticamente do-verosa di alcuni interlocutori, si sono approntate due differenti tipi di prove, che avevano però una parte comune superiore alla metà delle prove stesse. Nell’anno 2012/2013, invece, è stata imposta un’unica tipologia di prova, in cui i contenuti specifici dei pro-grammi degli insegnamenti cattolico ed evangelico-riformato sono stati considerati in minima parte.A questa scelta, assai più «squilibrata e squilibrante» del tentativo operato l’anno precedente, si è aggiunta la decisione della Commissione Osti-nelli di sottoporre a detta prova unica

gli allievi delle classi quarte di altre sette sedi scelte sul territorio ticinese, senza contare le sei sedi sperimentali triennali ufficiali. Alla prova in quelle sette sedi sono stati sottoposti tutti gli allievi indistintamente (chi seguiva corsi di religione e chi non ne ha mai seguiti). La palmare incongruità for-mativa e culturale di queste opzioni mi pare si commenti da sola.

I docenti

Il numero degli iscritti agli insegna-menti di religione cattolica ed evan-gelica complessivamente non ha fatto registrare cedimenti di particolare entità, anzi in due delle tre sedi ove gli insegnamenti tradizionali e quello sperimentale hanno convissuto, si è notato che la netta maggioranza degli allievi si è iscritta agli insegnamenti preesistenti alla sperimentazione. E questi sono dati di fatto, non impres-sioni emotive.Che cosa dire a questo punto? Non sarà in atto una «forzatura» di dati ed elementi culturali al fine di offrire un’immagine dell’insegnamento spe-rimentale positiva al di là della realtà e di svalutare in qualche misura gli insegnamenti cattolico ed evangeli-co-riformato? La risposta a questa domanda è difficile, ma l’interroga-tivo è del tutto legittimo alla luce di quanto si è visto sin qui. Certamente, i due insegnamenti «tradizionali» de-vono essere costantemente monitorati nella qualità culturale e didattica dei loro docenti, che talora presenta del-le criticità su cui si deve intervenire con decisione. Condizioni familiari difficili sotto il profilo economico e relazionale, o esigenze di radicamen-to pastorale di questo o quel prete, per esempio, non possono essere ragioni dirimenti per affidare incarichi di in-segnamento a persone rivelatesi og-gettivamente inadeguate alla bisogna. Il fatto che meno del 30 % dei docenti cattolici, ma anche evangelici, abbia partecipato ai corsi di formazione continua organizzati negli ultimi tre anni dal DFA in collaborazione con il DECS è certamente un segno ne-gativo che non si può né si deve tra-scurare in ordine anche alla coscienza professionale di troppi insegnanti di religione. Questi elementi, senz’altro deplore-voli, non possono, però, essere utiliz-zati per rafforzare l’opportunità che gli insegnamenti cattolico ed evange-lico debbano essere soppressi come se, per esempio, in tutte le materie non esistessero docenti inadeguati a

livello di metodo e/o di contenuto, senza che ciò implichi la necessità di rimuovere dette discipline dall’of-ferta formativa della scuola ticinese. Sarebbe ingiusto ragionare in questi termini, anzitutto considerando i non pochi docenti di religione cattolica ed evangelica del tutto all’altezza del loro compito formativo.Attendiamo dunque con fiducia, cu-riosità e cautela il rapporto sulla va-lutazione dell’insegnamento speri-mentale che il DFA pubblicherà nei prossimi mesi. Esso conterrà certa-mente, immagino, delle proposte per l’organizzazione futura dell’insegna-mento di cultura religiosa su cui le au-torità politiche dovranno pronunciar-si. Le decisioni, visti i tempi tecnici di valutazione e riflessione prevedi-bili, difficilmente arriveranno prima del 2015. Da qui a quel momento si verificheranno almeno due eventi importanti, diversi ma certamente si-gnificativi anche in ordine alle scelte sull’insegnamento scolastico della cultura religiosa: la nomina del nuo-vo vescovo di Lugano e le elezioni cantonali.

Il «doppio binario»

Dal 1996 ho scritto e detto varie vol-te che la soluzione migliore, a mio avviso, sarebbe stata un insegnamen-to obbligatorio non confessionale strutturato secondo parametri statali analoghi a quelli delle altre mate-rie1. Dopo diciassette anni di lavoro nel Canton Ticino nella formazione storico-religiosa a vari livelli e in di-versi ambiti, scolastici e universitari pubblici ed ecclesiastici, ivi com-preso il ruolo di membro della com-missione che ha redatto i program-mi della sperimentazione in «storia delle religioni», ho in parte rivisto le mie posizioni. Ritengo che il cosid-detto «doppio binario» – ossia la so-luzione organizzativa e didattica che si è sperimentata in questi anni nelle sedi scolastiche di Minusio, Lugano-Besso e Biasca – meriti una consi-derazione che in passato mi pareva indebita.Anzitutto credo che un insegnamento obbligatorio per tutti della dimensio-ne religiosa della cultura abbia con-crete possibilità formative e risponda alle effettive esigenze di allieve ed allievi nella scuola media e, in par-ticolare, in quella pubblica ticinese, solo a determinate, precise condizio-ni. Quali? Almeno tre:• i programmi devono tener conto di una dimensione non rigidamen-

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te comparativistica e astoricamente egualitaria nel considerare le diver-se esperienze religiose e badare alla rilevanza esistenziale di questo inse-gnamento nella crescita complessiva di allieve ed allievi. Occorre ricono-scere al cristianesimo la sua centrali-tà oggettiva, ancorché non esclusiva (vista, per esempio, la palese impor-tanza formativa di altre confessioni religiose e del pensiero filosofico e scientifico antico, moderno e con-temporaneo) nella storia culturale e nelle manifestazioni artistiche del e nel Ticino;• occorre costituire una commissione permanente di studio ed indirizzo che determini i programmi d’insegna-mento, stabilisca i criteri di forma-zione e di assunzione dei docenti (chi è stato impegnato quale insegnante di religione cattolica o evangelica deve poter accedere al nuovo inse-gnamento con le stesse possibilità di altre persone che non hanno mai avuto tale esperienza professionale), valuti periodicamente la qualità cul-turale e didattica dell’insegnamento e di coloro che lo propongono. In questa commissione (al massimo 7 membri) deve esserci una rappresen-tanza scientificamente e culturalmen-te autorevole delle Chiese cattolica e evangelica-riformata e gli altri mem-bri devono essere scelti in ragione es-

senzialmente delle loro competenze nel merito;• la formazione dei docenti di ogni materia anzitutto umanistica che pas-sa attraverso il DFA deve contem-plare imprescindibilmente qualche momento inerente alla dimensione religiosa della cultura in se stessa e non come aspetto complementare ad altre discipline2.

Avanti con coraggio!

Se queste condizioni, certo non faci-li, ma meno ardue di quanto si creda, non si potranno o vorranno creare, sarà certamente migliore la soluzione del cosiddetto «doppio binario». Tale opzione, che implica comunque la ri-cerca di costante miglioramento degli insegnamenti cattolico ed evangelico-riformato, potrebbe essere, in assenza di un ampio consenso in parlamento e nella società verso l’insegnamento obbligatorio non confessionale, un passo avanti significativo nella lot-ta all’ignoranza storico-religiosa tra tanti giovani, che è l’obiettivo, come ricordavo all’inizio, assolutamente prioritario rispetto a qualsiasi altro di-scorso. Infatti, in presenza di due in-segnamenti paralleli, a nessun allievo potrà mancare un confronto specifico con la dimensione religiosa della cul-tura, perché nessuno potrà scegliere

di restare al di fuori di queste due pos-sibilità formative.Che cosa avverrà? Confidiamo in qualcosa di realmente bello e davve-ro buono per il futuro formativo delle prossime generazioni. E le possibilità ci sono tutte…

NOTE

1. Cfr., oltre a quanto scrissi nel 2007 e nel 2012 su «Dialoghi», altri miei contributi pre-cedenti, Religioni e IRC nella cultura e nella scuola italiana, SEI, Torino 1997, pp. 7-28; RELIGIONE. Dalla riflessione alla prassi, in «Nuova Secondaria» 1 (15.9.1997), 69-73; Obbligatoria e non confessionale, in «Il Re-gno - attualità e documenti» XLIV (6/1999), 211-213; Per una cultura radicalmente uma-na. 2. Le radici ebraico-cristiane, in «Nuo-va Secondaria» 4 (15.12.2000), 40-43; Per insegnare a tutti cultura religiosa nel siste-ma scolastico ticinese, in «Scuola Ticinese» XXXII (novembre-dicembre 2003), 8-10.

2. Il DFA organizza da vari anni, su mandato del DECS, corsi di formazione continua per docenti sulla dimensione religiosa della cul-tura. Ciò è assai positivo e solo alcuni anni fa sarebbe stato impensabile. Pertanto appare assurdo che lo stesso DFA resti «allergico» a inserire dei moduli di carattere storico-religioso nei percorsi di formazione degli insegnanti di scuola elementare e negli itine-ra di abilitazione di docenti di altri ordini di scuola: quanto questa scelta sia poco lungi-mirante a livello culturale, visti, per esempio, i contesti socio-formativo ticinese e interna-zionale contemporanei, è, mi pare, del tutto evidente…

(Titolo e sottotitoli sono della redazione)

Francesco Chiesa e i suoi romanzi

Tra due guerreProblemi e protagonisti del Ticino (1920-1940)

di Alessandro Zanoli

All’alba del nuovo millennio la figura di Chiesa sembrava completamente scomparsa dall’orizzonte culturale ticinese. Fu proprio quella constatazione a risvegliare nell’autore di questo studio il desiderio di conoscere più da vicino l’opera dello scritto-re. L’indagine critica sui testi è diventata una profonda e anche appassionata riflessio-ne sull’identità ticinese. Una sorta di scavo archeologico nella storia della letteratura e della cultura del cantone che, forse, può fornire ai lettori di oggi, a quarant’anni dalla morte di Chiesa, qualche sorpresa.Formato 18 x 25 cm, 192 pp., Fr. 28.–

di Pompeo Macaluso

Il filo che unisce i saggi di cui è composto il volume sta nella riprova ch’essi fornisco-no sulla porosità di una fascia non trascurabile delle élite del Cantone Ticino verso le principali correnti politiche d’Europa. Liberalsocialismo, fascismo. Non poteva, ovvia-mente, mancare il comuni-smo. Ad esso, perché troppo a lungo ignorato, è riservato il saggio più lungo. Una decina di scritti, che compongono un insieme coerente, anche nella volontà dell’autore di sottrarsi all’eterna macchina della nostal-gia, di sfuggire a quella che Croce definì «storia affettuosa».Formato 18 x 25 cm, 216 pp., Fr. 30.–

Armando Dadò editore, Via Orelli 29, 6601 Locarno, Tel. 091 756 01 20, Fax 091 752 10 26, E-mail: [email protected], www.editore.ch

Collana «L’Officina»Collana «L’Officina»

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Religione a scuola: altre esperienze, altre sensibilità

Protestanti ticinesi a favore

Il futuro dell’insegnamento della re-ligione nelle scuole è stato al centro dei lavori del Sinodo primaverile della Chiesa Evangelica Riformata nel Ticino CERT, svoltosi sabato 20 aprile a Bellinzona. Il Sinodo, a mag-gioranza, ha ritenuto ancora valida la presa di posizione di dieci anni fa «criticamente aperta» all’introduzio-ne di un’ora di storia delle religioni obbligatoria in sostituzione dell’inse-gnamento confessionale; ha ritenuto tuttavia praticabile, in subordine, la possibilità di una scelta obbligatoria fra l’insegnamento confessionale e il corso di storia delle religioni nel se-condo biennio della scuola media.

Ginevra: i grandi testi

Merita di essere segnalato un primo bilancio fatto a Ginevra sullo studio «dei grandi testi», introdotto nel Ci-clo d’orientazione (allievi di 12-15 anni) nel settembre 2011, perché si scosta fondamentalmente da espe-rienze e decisioni attuate in altri Can-toni svizzeri o all’estero. Ne riferisce «Le Courrier» del 20 aprile, dedican-dogli l’editoriale di prima pagina e l’intera pagina 3 e così lo descrive: «Dopo lunghi dibattiti in Gran Con-siglio, il DIP (Dipartimento dell’I-struzione Pubblica) ha partorito una specie di insegnamento del fatto re-ligioso alla ginevrina». Il nome di battesimo è laico: insegnamento dei «grandi testi». Introdotto nel 2011 nel Ciclo d’orientamento, il corso è fondato «su un avvicinamento stori-co, culturale e comparativo dei dif-ferenti modi di pensiero attraverso il tempo e lo spazio». Voleva essere un compromesso tendente a conci-liare l’imperativo della laicità, che a Ginevra confina talvolta con una negazione della sfera religiosa. L’e-ditoriale, pur esprimendo alcune cri-tiche, afferma che «in realtà, l’avvi-cinamento sembra pertinente, perché offre una presa di distanza originale, per esempio mostrando che le cre-denze non sono i soli fondamenti che creano il vincolo sociale. O ancora, comparando i racconti delle origini e sottolineandone le somiglianze al di là delle epoche e delle culture». So-

luzione interessante, perché attraver-so i «grandi testi» (tra cui ovviamen-te quelli religiosi cristiani, ebraici e musulmani) si può ottenere un risul-tato socioculturale che va al di là del-la conoscenza del solo fatto religioso (o della sua storia), ma viene anche affrontato l’altra esigenza (e carenza) che la scuola contemporanea deve af-frontare, quella dell’educazione alla cittadinanza, per un pubblico sem-pre più diversificato, per il quale la vecchia «civica» (malgrado i patetici tentativi fatti nel Ticino) non può più bastare.

Francia: insegnare la «morale laica»

La scelta ginevrina può essere acco-stata alla proposta, di cui si discute at-tualmente in Francia, dove il ministro dell’Educazione nazionale Vincant Peillon si propone di introdurre un insegnamento di «morale laica», per il quale è stato elaborato un rapporto, presentato il 22 aprile scorso. In una intervista, pubblicata da «Le Monde» del 23 aprile, il ministro ha così defi-nito il contenuto della nuova materia: «La morale laica è un insieme di co-

Con la fine dell’anno scolastico 2012-2013 termina il periodo spe-rimentale triennale praticato in sei sedi di scuola media, negli ultimi due anni. In tre sedi venne proposto un unico insegnamento, obbligato-rio per tutti, nelle altre sedi era of-ferta la scelta agli allievi (meglio ai genitori) tra l’insegnamento laico e quello «confessionale» (cattolico o protestante). Con ragione l’inse-gnamento sperimentale verrà pro-lungato di un anno, per le classi di terza che quest’anno hanno svolto il primo anno di insegnamento spe-rimentale, completandolo l’espe-rimento nell’anno 2013-2014 (cfr. i giornali ticinesi del 18 aprile; un primo commento in «Voce Evan-gelica» del 4 marzo, e in «Pegaso» Popolo e Libertà dell’8 febbraio). In attesa del rapporto a conclusio-ne dell’esperimento ticinese, una constatazione è già possibile sui risultati parziali riferiti dalla stam-pa: una quota importante degli al-lievi (tra il 40 e il 50% secondo le sedi) ha preferito il corso impartito dall’autorità religiosa in alternati-va a quello laico. È un dato che i politici dovranno tenere in conside-razione, per non prestare il fianco alla critica di volere estromettere le Chiese (cattolica ed evangelica) dalla scuola pubblica, presenza ga-rantita dalla vigente Legge scolasti-ca. Importante è a mio avviso che si possa svolgere una ampia discus-sione, previa sufficiente informa-zione, per trovare la soluzione più adeguata (magari provvisoria) per

adeguare la scuola alle esigenze po-ste agli allievi (è ciò che veramente conta!), in una società sempre più plurale dal profilo religioso. L’inse-gnamento di «storia della religio-ne» (o altra designazione ancora da valutare) impartito dall’istituzione cantonale dovrebbe entrare nel pia-no degli studi come obbligo per tutti gli allievi, mantenendo come scelta supplementare il corso «clericale» per gli allievi (o genitori) che lo vogliono. Quindi l’insegnamento «laico» va esteso gradualmente a tutti gli allievi delle medie, com-patibilmente con la disponibilità di insegnanti qualificati, organizzando corsi da proporre anche agli attuali insegnanti di religione, senza esclu-dere coloro che hanno titoli di isti-tuti religiosi. Qui desidero continuare l’opera di informazione (cfr. Eppur si muove. L’insegnamento delle religioni nel-la scuola pubblica, in «Dialoghi» n. 223, ottobre 2012) su quanto da tempo si discute e si attua nel-le scuole specialmente dell’Europa occidentale, per affrontare un pro-blema che appare sempre più urgen-te. Per un quadro d’assieme segnalo il recente testo di Flavio Pajer, uno specialista ben noto anche in Tici-no, recentemente pubblicato… in spagnolo; gentilmente, l’autore ci ha fornito il testo originale in ita-liano. Il capitolo centrale del volu-me è stato riprodotto nelle pagine di «Pegaso» - Popolo e Libertà, 10 maggio e 7 giugno; cfr. pure in www.riviste-ticinesi. (a.l.)

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noscenze e di riflessioni sui valori, i principi e le regole che permettono, nella Repubblica, di vivere insieme secondo il nostro ideale comune di li-bertà, uguaglianza e fraternità. Deve anche essere un’attuazione pratica di questi valori e regole». Un sondaggio d’opinione ha rilevato che la proposta gode di un amplissimo sostegno tra i francesi. Sembra mancare nel pro-getto il riferimento al fatto religioso che non potrà non essere affrontato, di fronte ad allievi che sono portatori, tramite l’educazione familiare e le co-munità religiose di appartenenza, del-la stretta connessione tra religione/i e morale/i, e di conseguenza tra «mo-rale laica» e «identità/cittadinanza».

Osservazioni e richieste di musulmani

La Fondazione Cordova di Ginevra, tramite un «Raggruppamento degli svizzeri musulmani» (RSM), ha fatto elaborare un testo di «raccomanda-zioni» (gennaio 2012), volte a «pro-muovere l’inclusione e la coesione» dei musulmani svizzeri, nell’intento di «operare la distinzione fra la realtà e i pregiudizi» e di ottenere un «im-pegno comune nella società [che] di-sinneschi paure e malintesi espressi al momento della votazione» (sul divie-to di nuovi minareti). Il testo è stato pubblicato dalla rivista «Il Regno», n. 21 – 2012, 1. dicembre 2012 ed è con-sultabile sul sito www.cordue.ch. Il documento si articola di 11 punti, af-frontando i vari settori coinvolti nella problematica della integrazione dei musulmani svizzeri, che attualmente sono circa quattrocentomila, dei quali un terzo con passaporto rossocrocia-to. (Cfr. anche le notizie di stampa del 10 maggio 2013 che riferiscono di un rapporto del Consiglio federale, che sembra non affrontare il tema dell’in-segnamento religioso nelle scuole, del resto di competenza principale dei Cantoni).Tra le raccomandazioni degne di at-tenzione segnalo la quarta (relativa all’istruzione pubblica), dove si di-scute dei «corsi scolastici su religione ed etica», osservando che «la mancata conoscenza oggettiva dell’Islam e del quotidiano dei musulmani residenti in Svizzera è stata spesso riconosciu-ta come uno dei maggiori ostacoli a un’armoniosa convivenza fra musul-mani e non-musulmani nel paese. La scuola è l’ambiente ideale per offrire alle generazioni future l’accesso a un’informazione oggettiva e promuo-vere così una migliore comprensione

e accettazione fra diversi gruppi con-fessionali. Questo tema capitale deve essere accuratamente inserito nel complesso sistema di responsabilità condiviso fra cantoni e comuni in ma-teria di pubblica istruzione, e ciò no-nostante le ristrettezze economiche». Circa i corsi scolastici su religioni ed etica, il documento ricorda come «la Svizzera attualmente elabora per i cantoni dei modelli di piani di studio (Lehrplan 21 e piano di studi roman-do) che comprendono una materia ri-guardante le diverse religioni e l’etica, la quale già è inclusa in gran parte de-gli attuali piani di studio cantonali». Il RSM si rallegra per l’integrazione sistematica nei piani di studio della materia «Religioni ed etica». Passan-do a formulare proposte concrete, il RSM sottolinea la necessità di un’a-deguata preparazione per i professori che trattano queste materie e tengono questi corsi. Sottolinea in particolare l’importanza di saper distinguere in proposito fra aspetti religiosi, tradi-zionali e culturali. In una prospettiva d’arricchimento e di scambio, il RSM propone di includere esperti musul-mani nell’elaborazione del materiale scolastico e di cercare il contatto con le diverse comunità durante i corsi di religione ed etica e di storia. L’espe-rienza vissuta da alcuni cantoni mo-stra tuttavia che può essere delicato creare moduli sull’Islam accettabili da tutti, viste le difficoltà in termini di rappresentatività e di diversità fra musulmani residenti in Svizzera. Le scuole hanno un ruolo da svolgere an-che nella promozione di una miglio-re convivenza fra culture e religioni, con l’organizzazione di attività che evidenzino i punti in comune e sotto-lineino la differenza come un’oppor-tunità e non come una difficoltà.Circa poi l’«insegnamento religioso islamico nei locali scolastici», si os-serva in particolare che «a livello co-munale e secondo l’esempio dell’in-segnamento religioso delle Chiese cristiane, alcune scuole mettono a disposizione i propri locali per l’inse-gnamento religioso islamico. Queste esperienze sono documentate in una pubblicazione della Commissione federale contro il razzismo. Diversi autori presentano i vantaggi di que-sta pratica: i bambini musulmani si sentono valorizzati anziché spinti al margine, mentre le autorità cantona-li hanno la possibilità di conoscere il contenuto e la qualità dell’insegna-mento e reagire qualora necessario». Il RSM suggerisce alle autorità comu-nali di offrire la possibilità di tenere

l’insegnamento religioso islamico nei locali scolastici ove le basi legali del cantone lo permettono. Concretamen-te il RSM suggerisce alle autorità co-munali di informarsi sulle esperienze dei comuni che hanno attuato questo tipo d’iniziativa, e di avere scambi su modalità e benefici. Inoltre, per soste-nere gli insegnanti di religione isla-mica e migliorare la qualità dell’inse-gnamento, il RSM consiglia di attuare una formazione che sia riconosciuta per Imam, assistenti spirituali e inse-gnanti di religione islamica, e sugge-risce alle organizzazioni musulmane di cercare una piattaforma di scambio fra insegnanti di religione islamica.

L’Islam nelle scuole svizzere

In un servizio, pubblicato il 24 no-vembre 2012, il quotidiano ginevrino «Le Courrier» riferisce dei corsi di Islam impartiti dal 2002 nelle scuole pubbliche di due comuni del cantone Lucerna, Ebikon e Kriens. I corsi sono impartiti da due donne della comuni-tà che hanno ricevuto una formazione didattica specializzata. Le autorità lo-cali hanno sempre considerato l’inse-gnamento «una buona cosa» per l’in-tegrazione; i genitori constatano che il fatto che l’Islam è impartito nella scuola e in tedesco, rassicura i ragazzi – i quali si rendono conto che apparte-nere ad una religione diversa da quel-la della maggioranza dei compagni non li rende completamente estranei. A Kreuzlingen, Canton Turgovia, più di settanta allievi musulmani parteci-pano al corso di Islam, su 200 allievi della scuola pubblica; l’insegnamen-to è iniziato nel 2010 con la collabo-razione del Comune ed è impartito nella griglia oraria del programma scolastico, senza aiuto finanziario.Tali insegnamenti promossi a livello locale non avvengono senza conte-stazioni: un’iniziativa «anti Corano», diretta contro i corsi organizzati a Kreuzlingen per gli allievi musulma-ni di due scuole primarie, ha raccolto nel Canton Turgovia 4466 firme per chiedere una votazione popolare; il 19 dicembre l’iniziativa è stata di-chiarata invalida da parte del Gran Consiglio, con 75 voti contro 40. Una mozione è stata successivamente pre-sentata al parlamento turgoviese da un deputato dell’Unione democratica federale, sottoscritta da 30 firmatari, per chiedere al Governo di limitare l’utilizzo delle aule scolastiche all’in-segnamento delle Chiese cristiane ri-conosciute; le Chiese cantonali hanno reagito negativamente, sostenendo

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che i diritti devono essere assicurati a tutti, il che permette di integrare i musulmani moderati e di avere scam-bi con loro.

Un insegnamento «deconfessionalizzato»

Nel Canton Vaud è stato introdotto, per tutti gli alunni, un insegnamento di «Etica e culture religiose» al po-sto della tradizionale «storia biblica». Tale insegnamento «deconfessio-nalizzato» è regolato da un articolo della legge scolastica, approvata dal popolo il 4 settembre 2011 dopo un ampio dibattito parlamentare. Ne dà un giudizio favorevole, senza na-scondere le difficoltà da superare, il pastore Claude Schwab, deputato al Gran Consiglio, in un articolo ripreso in italiano dal settimanale «Riforma» dei protestanti italiani, edito a Tori-no (14 dicembre 2012). A suo parere, l’insegnamento «deconfessionalizza-to» si giustifica per i seguenti motivi: – la scuola è neutra sul piano confes-sionale, ma la nostra società è erede di una tradizione giudaico-cristiana che occorre conoscere per capire meglio le mentalità e tutta la cultura che la scuola ha il compito di trasmettere in altre discipline (letteratura, storia, arti visive, musica);– l’avvento di una società multicultu-rale richiede una migliore conoscen-za delle tradizioni e delle credenze degli uni e degli altri;– la scuola pubblica è il luogo in cui vivono fianco a fianco alunni prove-nienti da diversi orizzonti: è un luogo fatto apposta per apprendere insieme il rispetto delle convinzioni. La scuo-la può essere il crogiolo della pace confessionale di domani;– il fatto religioso dev’essere affron-tato in dialogo con le correnti umani-stiche e laiche che, nella nostra socie-tà occidentale, hanno segnato questi ultimi secoli; lo studio degli ateismi deve far parte integrante di un tale in-segnamento.

Altre esperienze estere

Allo scopo di formare teologi in gra-do di elaborare una teologia musul-mana «tedesca» o «europea», cinque università della Germania si sono collegate e inizieranno i primi corsi di teologia islamica sul modello di quelli che da tempo esistono per la teologia cattolica e protestante. L’i-niziativa vuole rispondere alla racco-mandazione del Consiglio scientifico tedesco, che si è pronunciato nel 2010

per lo sviluppo nelle università della teologia e delle scienze legate alle re-ligioni. Con un doppio obiettivo: pre-parare da 4000 a 5000 insegnanti di religione musulmana di cui avranno bisogno nei prossimi anni gli istituti scolastici pubblici; inoltre sviluppa-re una teologia musulmana tedesca capace di competere con insegnanti espressione di un Islam tradizionale. Nel Belgio, dove le scuole cattoliche raccolgono la metà degli allievi nel-la comunità francese della Vallonia e di Bruxelles, è in esame la proposta, fatta dal direttore del Segretariato ge-nerale dell’insegnamento cattolico, di tenere corsi di religione islamica, fin qui esclusi, mentre sono possibili nel-le scuole statali. Per il direttore, per costruire un vero dialogo nelle scuole è necessario non confinare il religioso

nella sfera privata: le scuole cattoliche dovrebbero avere dei corsi di religio-ne musulmana per favorire il dialogo interreligioso e «interconcezionale» (cioè tra concezioni differenti).Infine in Canada, la Corte d’appello del Quebec ha dato ragione al Mini-stero dell’educazione, che ha imposto a una scuola secondaria privata catto-lica di seguire il programma ufficiale di «Etica e cultura religiosa», rifiu-tando un programma d’insegnamento non ritenuto equivalente a quello go-vernativo e basato sulla morale catto-lica. Così in Canada, anche per l’inse-gnamento deconfessionalizzato delle religioni, sembra valere l’argomento, fatto proprio dal Tribunale federale svizzero, che… imparare a nuotare (per una ragazza musulmana) fa parte della necessaria integrazione.

Tre proposte per l’Italia Su «Il Gallo» di Genova (gennaio 2013), riferendo sull’insegnamento religioso nelle scuole e sui possibili miglioramenti, Falvio Pajer, ricono-sciuto specialista europeo in materia (autore di numerosi testi e redattore di una rassegna informativa NEW) formula tre possibili soluzioni per la scuola italiana, non necessariamen-te esclusive l’una dell’altra: – una soluzione minima: «un’ora delle religioni sotto responsabilità statale, da destinare alla crescente frazione di alunni che non si av-valgono dell’ora cattolica. Basta attraversare le Alpi per constatare la pacifica plausibilità di diverse so-luzioni in materia. Si giungerebbe a creare così il profilo di un’unica disciplina curricolare, con duplice approccio a scelta: uno confessio-nale (cattolico) e l’altro transconfes-sionale o multi-religioso, ciascuno con un proprio programma e con un insegnante titolare. Oltretutto, una sana concorrenza interna al sistema scuola non potrebbe che incentivare la qualità dell’offerta». – «di maggiore consistenza e ambi-zione, ma anche più problematica al momento: l’ipotesi di una discipli-na “storia delle religioni”, o simi-le, come materia obbligatoria per tutti, sulla falsariga delle numerose esperienze, in atto da anni, se non da decenni, in diversi Paesi nord-europei. Una disciplina di stampo informativo e comparativo, a carat-tere etico-antropologico non meno che storico e fenomenologico, ca-

pace di parlare a studenti credenti (di diversa fede) come a studenti in ricerca o agnostici, capace di mette-re in luce i fenomeni religiosi come tracce sensibili di una umanità in perenne ricerca di senso, di valori, di trascendenza. Una simile ipotesi non può che scontrarsi frontalmente con l’attuale regime concordatario. Tuttavia, invece che accanirsi nella logica aberrante del muro contro muro, disponiamo all’occorrenza di strumenti democratici come il refe-rendum».– «una terza via, sistematicamente ignorata finora nei dibattiti nostra-ni, sarebbe l’integrazione del fattore religioso nei normali saperi discipli-nari. Le varie materie, specie quelle umanistiche. se viste senza paraoc-chi laicisti, contengono immanca-bilmente echi, interrogativi, docu-menti dell’homo religiosus di tutti i tempi. Una scuola che restituisse al patrimonio culturale (letterario, artistico, storico, filosofico…) la sua naturale dimensione religiosa, assumendola senza mire apologeti-che e senza pregiudizi antireligiosi, risolverebbe in radice molta parte del nostro problema».Non c’è che da scegliere e poi da realizzare: anche i giovani ticinesi (tutti!) meritano di avere una scuola adatta ai reali bisogni della società plurale in cui vivono e che al più presto cessi di essere la fabbrica dell’ignoranza religiosa, ignorando il ruolo culturale e sociale delle re-ligioni.

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biblioteca

Frédéric Ozanam, politica e religione

Il 2013 è un anno di anniversari im-portanti. Cinquant’anni ci separano dalla morte di papa Giovanni e da quella di John F. Kennedy, duecen-to dalla nascita di Giuseppe Verdi e di Richard Wagner. Le Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli, sparse in tutto il mondo (800 mila aderenti in 148 Paesi), festeggiano il secondo centenario dalla nascita del loro fon-datore: Frédéric Ozanam, lionese e parigino (1813-1853). Laico, appena ventenne, con sei compagni, scelse il carisma di un santo del Seicento: non aspettare il povero sulla porta ma andare da lui, guardarlo in faccia – come insegna papa Francesco – e imparare da lui. Beatificato da papa Giovanni Paolo II durante le Gior-nate della gioventù di Parigi, il 22 agosto 1997, Ozanam è il santo tipi-co dei nostri giorni, come dice il suo biografo, Gérard Cholvy: «l’accent s’est déplacé, en effet, de la vénéra-tion liturgique d’un intercesseur vers l’imitation possible de frères en humanité». Ma a una rivista come «Dialoghi» interessa anche altro, di Frédéric Ozanam: la sua al limite ingenua ma incrollabile e profetica fede nella conciliazione tra la ragio-ne e la fede, tra la Chiesa e la demo-crazia. Tutto in appena quarant’anni di vita!A vent’anni Ozanam, lionese di na-scita, studente a Parigi, incrocia una delle esperienze più tragiche poste-riori alla «rivoluzione di luglio» del 1830: il soffocamento della ribellione delle masse operaie del ’33 – quella narrata in capitoli indimenticabili da Victor Hugo ne Les misérables: le barricate e le cannonate, Cosetta e Gavroche, la fuga nella grande cloa-ca. È un attivista cattolico, si batte per la libertà d’insegnamento, ossia per la restituzione ai cattolici del diritto di gestire scuole. È alla testa di una delegazione che va dall’arcivescovo a chiedere che al domenicano Henri-Dominique Lacordaire (1802-1861) sia concesso di predicare il Quaresi-male in Notre Dame: sarà l’inizio di una reconquista intellettuale di enor-me risonanza. Ai suoi coetanei segua-ci di Saint-Simon (1760-1825), che chiedono: «Voi cattolici, che rifiutate il socialismo, cosa fate di concreto?»

risponde con la frase, vera ma scon-tata: «La Chiesa ha sempre aiutato i poveri»; ma poi, tornato fra i suoi, si interroga: «Non vi pare che sia tempo di aggiungere l’azione alla parola e di affermare con le opere la vitalità del-la nostra fede?». Quella stessa sera, Frédéric e un compagno portano a un povero tutta la legna che restava loro per finire l’inverno. Il 23 aprile 1833, sei studenti universitari – il più gio-vane ha 19 anni, Frédéric ne ha venti – fondano la prima Conferenza di San Vincenzo. Non hanno domandato il permesso a nessuno, non c’è neppure un prete tra loro.Dieci anni dopo, Frédéric è alla Sor-bona, nominato insegnante di lette-ratura straniera, italiana in partico-lare (ha scritto una tesi di dottorato su Dante Alighieri). Ai suoi corsi sul Medio Evo assistono centinaia di studenti. Ricordando il massacro dei «barbari» sassoni, operato da Carlo-magno, diceva: «Lutero, figlio di un minatore di Eisleben, non sarà uscito dal sangue di quei 4500 massacrati a Verden?». Ma, soprattutto, Ozanam si innamora della democrazia. Cattolico liberale lo è a suo modo: del libero mercato, così come lo vede realizza-to, non può essere amico. Ma la solu-

zione la vede davanti, non dietro: non nella ricostruita alleanza fra trono e altare ma nelle libertà costituzionali, nel suffragio universale, nella repub-blica. Come altri cattolici «liberali» del suo tempo, Ozanam si innamora letteralmente… del nuovo papa, Pio IX, eletto nel 1847, va da lui e ne esce rinforzato nelle proprie convinzioni. Poi con sgomento vede le rivoluzioni dell’anno dopo travolgere, insieme con le brevi repubbliche romana e parigina, anche l’ideale della conci-liazione tra religione e modernità, su-scitando la reazione dei conservatori. Sconfitto alle elezioni, minato dalla malattia che lo condurrà alla morte appena quarantenne, vedrà ancora i vescovi di Francia prescrivere ai cat-tolici di cantare il «Te Deum» in ono-re dell’usurpatore della Repubblica, Napoleone III. Morirà, per fortuna, prima del Sillabo che nel 1864 can-cellò ogni speranza di conciliazione della Chiesa con la modernità, e pri-ma della fine del potere temporale dei papi.Benché il «liberale» Ozanam non avesse mai messo in dubbio una ve-rità di fede, Louis Veuillot, il pole-mista cattolico direttore del giornale L’Univers, con il quale egli aveva polemizzato in nome della democra-zia (lui pure era nato nel 1813!) fece di tutto per screditarlo. In seno alla stessa Società vincenziana si tentò di anteporgli, come fondatore, Em-manuel Bailly, che in realtà era stato eletto dai ragazzi primo presidente del circolo solo perché aveva qual-che anno più di loro. La svolta in suo favore si sarebbe avuta nel 1913, e poi nel 1933, avendo come epicentro Roma, dove – anche perché c’erano stati dei «vincenziani» meraviglio-si (fra tutti, Pier Giorgio Frassati, 1901-1925) – la causa di beatifica-zione venne portata avanti con rela-tiva facilità.Ricordo l’amara analisi di José Caba-nis (in Lacordaire et quelques autres. Politique et religion, Gallimard, Paris 1982): «Religione e politica si incon-trano, la morale li mette in contatto. Ma non per il loro bene. I politici puri della religione non sanno che fare: gli dà fastidio, anche se gli è utile. La po-litica trascina i credenti che vi si im-pegnano verso dove non dovrebbero, o non vorrebbero, andare. I cattolici liberali del XIX secolo lo impararono a loro spese».

Enrico Morresi

G. Cholvy, Frédéric Ozanam. Le christiani-sme a besoin de passeurs, Artège, Paris 2012.

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l’opzione per i poveri di papa Francescotra carità e cambiamento delle strutture

Jorge Bergoglio, nella sua nuova condizione di papa, ha man dato insi-stentemente segnali che trasmettono un’immagine di po vertà e di austerità, a livello tanto personale quanto istitu-zionale. E i gesti sono stati accompa-gnati da un discorso che comunica il desiderio di «una Chiesa povera e per i poveri». In questo messaggio molti hanno voluto leggere il recupero della tradizione storica e teologica che la Chiesa cattolica lati noamericana ha costruito e sviluppato dopo il Conci-lio Vaticano II (1962-65), come una rilettura e un’applicazione locale di que sto avvenimento della Chiesa uni-versale.

È chiaro che, da quanto emerge dai suoi scritti ma anche dal le sue prati-che pastorali, Bergoglio non si pone nel solco della radicale opzione per i poveri delineata dalla Teologia della libe razione latino-americana come sua fondamentale prospettiva teo-rica. E questo perché gli argentini, in generale, inclusi i teologi più noti e importanti come lo scomparso Lucio Gera, non si so no mai sentiti a loro agio con un pensiero teologico della libe razione che accetta i contributi del marxismo. Ma anche perché l’attuale papa Francesco ha sempre fatto parte di correnti la cui preoccupazione per il sociale si è espres sa attraverso l’a-zione caritatevole, da un lato, e attra-verso la me diazione politica sottile e discreta con il potere, dall’altro. Non per l’impegno diretto nella lotta dei movimenti popolari.

Ciononostante, l’avvento di France-sco al soglio pontificio ha risvegliato aspettative anche nei più illustri teo-logi della libera zione latinoameri-cani, come Leonardo Boff, Gustavo Gutiérrez, Ivonne Gebara e Oscar Beozzo, per citarne solo alcuni. In questi ambienti della Chiesa cattoli-ca si è consapevoli che, per tradurre in fatti e in orientamenti pastorali quanto finora detto, il nuovo papa do-vrebbe riprendere i grandi linea menti emanati dal Vaticano II – molti dei quali tralasciati da Giovanni Paolo Il e Benedetto XVI – e fare propria la cosiddetta «opzione per i poveri» stabilita dai vescovi latinoamericani a Medellin (1968) e a Puebla (1979).

In un testo pubblicato dall’Università cattolica del Perù, Gu stavo Gutiérrez segnala che, per trasformare in real-tà ciò che il Papa ha auspicato: «Una Chiesa povera e per i poveri», è ne-cessario «riconoscere che l’autentico potere della Chiesa con siste nel ser-vire i poveri».

Lo sguardo latino-americano

In che consiste l’originalità del pen-siero cattolico latino-a mericano della liberazione? Per il brasiliano Clodovis Boff (fratello di Leonardo), la Chiesa dell’America Latina si ca ratterizza per essere una «Chiesa sociale»: «una Chiesa profetica, una Chiesa dei poveri e una Chiesa liberatrice». La Conferenza dei vescovi latino americani di Medellin diede visibilità istituzionale a ciò che da tempo stava germogliando nel lavoro ecclesiale di base. Nel documento finale, i vescovi affer marono: «Ci troviamo alla soglia di una nuova epoca storica del nostro continente, colma dell’anelito all’e-mancipazione totale, alla liberazione da ogni schiavitù… Percepiamo qui un pre annuncio della dolorosa gesta-zione di una nuova civiltà».

Si potrebbe dire che il Vaticano II ave-va dato impulso a una visione della so-cietà che puntava a riformare l’ordine capitalista per renderlo più giusto, più equo. Aveva denunciato le ingiusti zie e aveva chiesto cambiamenti. In uno dei documenti conci liari si può legge-re: «Mai il genere umano ebbe a di-sposizione tante ricchezze, possibilità e potenza economica; e tuttavia una grande parte degli abitanti del globo è ancora tormentata dalla fame e dalla miseria, e intere moltitudini non san-no né leggere né scrivere» (Gaudium et spes, n. 4).

Completava il quadro l’elogio della carità. «L’azione cari tativa ora può e deve abbracciare tutti assolutamente gli uomi ni e tutte quante le necessità. Ovunque vi è chi manca di cibo, di bevanda, di vestito, di casa, di me-dicine, di lavoro, di istru zione, dei mezzi necessari per condurre una vita

veramente uma na, ovunque vi è chi afflitto da tribolazioni e da malferma salu te, chi soffre l’esilio o il carce-re, la carità cristiana deve cercar li e trovarli, consolarli con premurosa cura e sollevarli porgendo loro aiuto. E quest’obbligo si impone prima di tutto ai singoli uo mini e popoli che vivono nella prosperità» (Decreto Apostolicam actuositatem, n. 8).

Questa fu, per sommi capi, la propo-sta del Concilio. I lati no-americani andarono oltre. Nel primo documen-to di Medellin, i vescovi denunciaro-no la «miseria che emargina grandi gruppi umani» e affermarono che «questa miseria, come fatto colletti-vo, è un’ingiustizia che grida al cielo» (n. 1). Annunciarono poi che Cristo era venuto «a libe rare tutti gli esseri umani da ogni schiavitù» (n. 3) e che la «ve ra liberazione» comporta una «profonda conversione», definen do la «liberazione integrale» come azione dell’«operato divino» (n. 4) e assicu-rando che l’amore è «la grande forza che libera dall’ingiustizia e dall’op-pressione» (n. 5).

Di più: sempre a Medellin, nel do-cumento n. 2, quello sulla pace, i vescovi parlarono di «dipendenza» e sostennero che «il sottosviluppo lati-noamericano è una situazione ingiu-sta alla ba se di tensioni che cospirano contro la pace» (n. 1), equiparando la «realtà di peccato» con la «situazione di ingiustizia» e in un al tro punto di-rettamente con la «violenza istituzio-nalizzata» (n. 16). Nello stesso testo si afferma che la missione della Chie-sa è quella di favorire «ogni sforzo del popolo per creare e sviluppa re le pro-prie organizzazioni di base» (n. 27).

Cambiamenti strutturali

Non si trattava dunque di una impo-stazione riformista ma di un chia ro sostegno a cambiamenti strutturali. Si chiedevano davvero «trasforma-zioni profonde» (n. 17) e si denun-ciava come omis sione il preteso apo-liticismo che elude l’impegno con la giustizia, riconoscendo la legittimi-tà dell’insurrezione rivoluzionaria. Cosa che aveva già fatto papa Paolo VI nella sua enciclica Populorum

di Washington Uranga*

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progressio (1967) «nel caso di una tirannia evidente e prolungata che at-tenti gravemente ai diritti fondamen-tali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del Pae-se» (n. 31). Ciò anche se, in sintonia con il Papa, i vescovi latinoa mericani propendono per l’azione pacifica (n. 19). Nel clima di repressione politi-ca e agitazione rivoluzionaria che si viveva al lora nella regione, la Chiesa afferma che «il cristianesimo è pa-cifico… non semplicemente pacifista, perché è capace di com battere. Ma preferisce la pace alla guerra» (n. 15).

Nel 1973, in un libro pubblicato dal Consiglio episcopale la tinoamericano (Celam) Liberacion: Dialogos en el Celam, appar ve un articolo di Gusta-vo Gutiérrez – Praxis de liberacion, teolo gia y evangelizacion» – nel quale il peruviano sostiene che «gli ul timi anni in America Latina sono stati caratterizzati dalla sco perta rea-le ed esigente del mondo dell’altro: il povero, l’emar ginato, la classe sfrut-tata. In un ordine sociale costruito eco nomicamente, politicamente ed ideologicamente da poche per sone e a beneficio di queste, l’“Altro” di questa società, ossia le clas si popolari sfruttate, le culture oppresse, le etnie discriminate – comincia a far sentire la propria voce».

Questa Chiesa latino-americana ha accompagnato i venti di cambiamento nella regione. È inevitabile, per esem-pio, registrare l’influenza di Paulo Freire nel documento sull’educazio-ne, nel quale compare per sette volte in modi diversi l’idea di «liberazio-ne» e in cui si definisce l’«educazione liberatrice» come quel la che «trasfor-ma l’educando nel soggetto del pro-prio sviluppo», proponendola come «la chiave di volta per liberare i po-poli da ogni schiavitù» (n. 8).

Non manca neppure l’autocritica. «Giungono fino a noi – af fermavano i vescovi – le denunce relative al fatto che la gerar chia, il clero, i religiosi sia no ricchi e alleati con i ricchi (…). I grandi palazzi, le case dei parroci e dei religiosi, di livello supe riore rispetto a quelle del quartiere in cui vivono; le loro auto vetture, a volte lussuose; il modo di vestire ereditato da altre epoche hanno contribuito a creare questa immagine di una Chie-sa gerarchica e ricca» (n. 2). Mentre tutto questo succedeva in America Latina, la Chiesa in Argentina – salvo rare eccezioni, come quella dei «sa-

cerdoti per il Terzo Mondo» – si man-teneva estranea, lontana e finanche so spettosa nei confronti delle Chiese del continente. Non si do vrebbe di-menticare che questi furono proprio gli anni in cui Bergoglio si formò come sacerdote e come teologo.

Opzione per i poveri

Malgrado la reazione conservatrice che ha scatenato nella Chiesa catto-lica latino-americana grandi scontri interni, nonché dei martiri generati dalla causa della liberazione in mezzo all’avanzata dei regimi di «sicurezza nazionale», a Puebla, sotto il pontifi-cato di Giovanni Paolo II, i vescovi ratificarono l’impegno di Medellin: «I poveri meritano un attenzione pre-ferenziale, qua le che sia la situazione morale o personale nella quale si tro-vano. Fatti a immagine e somiglianza di Dio in quanto suoi fi gli, questa im-magine è offuscata e persino oltrag-giata. Per questo Dio assume la loro difesa e li ama. E così che i poveri siano i primi destinatari della missio-ne e la loro evangelizzazione è segno e prova per eccellenza della missione di Gesù» (Puebla, n. 1142).

A Puebla i vescovi ripresero il de-creto conciliare Apostolicam actuo-sitatem, per sostenere la necessità di adempiere prima di tutto gli obblighi di giustizia, perché non avvenga che si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia; eli-minare non soltanto gli effetti ma an-che le cause dei mali; re golare l’aiuto in modo che coloro che lo ricevo-no vengano, a poco a poco, liberati dalla dipendenza altrui e diventino suffi cienti a se stessi (AA 8, Puebla 1146). Fu pure riaffermata la necessi-tà di «una convivenza umana de gna e fraterna», esortando «a costruire una società giusta e li bera» (n. 1154) e a dare impulso al «cambiamento ne-cessario delle strutture sociali, politi-che ed economiche ingiuste» (1155), perché «l’economia del libero merca-to, nella sua espres sione più rigida, ancora in vigore nel nostro continen-te e legit timata da alcune ideologie liberiste, ha accentuato la distanza tra ricchi e poveri anteponendo il capi-tale al lavoro, l’economia al sociale» (n. 47).

Tale presa di posizione della Chiesa latino-americana fu du ramente conte-stata e repressa dal Vaticano durante i pontifi cati di Giovanni Paolo Il e di Benedetto XVI. Le successive Con-

ferenze dei vescovi latinoamericani (Santo Domingo, 1992 e Aparecida, 2007), senza rinnegare in maniera esplicita il magistero precedente, si dedicarono molto di più a pensa re la Chiesa dal suo interno, nei termini classici dell’«evan gelizzazione», del-la perdita di influenza nella società e della perdita di terreno rispetto ad altre religioni.

I vescovi argentini, poco presenti a Medellin e Puebla, fu rono invece molto partecipi a Santo Domingo e ad Aparecida. Bergoglio fu il principale redattore del documento elaborato in Brasile nel 2007.

Qual è la visione che rivendica oggi Francesco quando dice di sognare «una Chiesa povera e per i poveri»? Dove si colloca? Nel solco riformista del Concilio, riflesso a Santo Domin-go e ad Aparecida: una posizione che sarebbe coerente con la sua sto ria personale, o piuttosto in quello del-la tradizione sociale li beratrice della Chiesa di Medellin e Puebla? Sono sufficienti l’au sterità personale del papa, i segni che ha inviato e i suoi discorsi? Non ci sono ancora risposte a queste domande, ma è bene continu-are ad offrire elementi per la rifles-sione, finché i fatti non cominceranno a parlare da soli.

* Washington Uranga è un giornalista argen-tino, presidente dell’Istituto latino-americano di comunicazione per lo sviluppo (da «Adi-sta», 18 maggio 2013).

A favore dei diritti umani. Lo scor-so 23 gennaio una delegazione del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), guidata dal segretario gene-rale, il pastore Olav Fykse Tveit, ha incontrato a Ginevra l’Alto Commis-sario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navanethem Pillay. Il pasto-re Tveit ha illustrato l’impegno del CEC nella promozione della giustizia e della pace: temi della prossima as-semblea generale che si terrà a no-vembre a Pusan nella Corea del Sud. Il presidente Pillay ha riconosciuto nel CEC un valido partner per la pro-mozione dell’universalità dei diritti umani. Particolare attenzione è stata accordata al diritto fondamentale del-la libertà religiosa nel mondo, nonché ai diritti delle religioni di minoranza; Tveit ha tenuto a sottolineare l’ap-proccio interreligioso del CEC, che non si limita alla difesa dei diritti ai soli cristiani.

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cRonaca inteRnazionalea cura di alberto lepori

Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri. Il Comitato promotore di «Chiesa di tutti - Chiesa dei poveri» propone a tutte le associazioni e riviste firmata-rie dell’incontro a 50 anni dall’inizio del Concilio (Roma, 15 settembre 2012) e di quello sulla Pacem in ter-ris (Roma, 6 aprile), di ricordare con iniziative locali i cinquant’anni dal-la morte di papa Giovanni (3 giugno 1963). Inoltre, in concomitanza con l’assemblea del Consiglio Ecumeni-co delle Chiese a Pusan, in Corea, del prossimo ottobre, di realizzare local-mente iniziative per un nuovo ecume-nismo dal basso, anche con reciproca ospitalità eucaristica dove ce ne sono le condizioni. Sono poi previsti due nuovi incontri (primavera 2014 e pri-mavera 2015): il primo sulla vita della Chiesa, la sua povertà, la collegiali-tà, la sinodalità, la presenza e il ruo-lo delle donne e i ministeri, tenendo presente la Lumen Gentium, e quanto farà e dirà il nuovo vescovo di Roma Francesco; il secondo per affrontare la questione della pratica del Vangelo di fronte alle realtà sofferenti del mondo, a partire dal rapporto Nord-Sud, tra ricchi e poveri, tra distruzione e salva-guardia del creato, prendendo a fon-damento la Gaudium et Spes. Infine. nel dicembre 2015, ci sarà l’incontro mondiale a Roma di tutti i movimenti di ispirazione conciliare della Chiesa cattolica, a 50 anni dalla conclusione del Concilio. «Chiesa di tutti - Chiesa dei poveri» si associa alle iniziative organizzate a livello locale e mette a disposizione il sito www.chiesaditutti-chiesadeipoveri.it, come strumento di comunicazione e di collegamento.

Cinquantesima sessione SAE. La 50. sessione del Segretariato Atti-vità Ecumeniche (SAE) avrà luogo quest’anno all’Istituto Filippin di Paderno del Grappa (Treviso) dal 28 luglio al 3 agosto, sul tema «Con-dividere e annunciare la Parola», e meditazioni, relazioni e gruppi di studio, con Amos Luzzato, Marianita Montresor, Enzo Pace, Piero Stefani, Letizia Tomasone, Brunetto Salvara-ni, Carlo Molari, Paolo Ricca, Mario Gnocchi, Giovanni Ceretti, Traian Valdman, Bruno Segre, Flavio Pajer, Lidia Maggi, ecc. Iscrizioni entro il 20 luglio a: sessione.estiva@saeno tizie.it, oppure tel. 373.5100524 (16-17 e 19-21).

Bergoglio e Videla. La morte del dittatore argentino Jorge Rafael Vi-dela (17 maggio, aveva 87 anni) ha riproposto il tema del comportamen-to dell’attuale papa Francesco, allo-ra provinciale dei gesuiti, nel caso dell’arresto di due gesuiti durante la dittatura militare (durata dal 1976 al 1981), pur ripetutamente chiarito come esente da rimproveri. Il giorna-lista Mauro Castagnaro ha chiesto a padre Juan Carlos Scannone, gesuita ottantenne, già preside all’università di Buones Aires: «Cosa pensa dell’o-perato di Bergoglio nel caso del se-questro, durante lo dittatura, di padre Orlando Yorio e di padre Ferencs Ja-lics?». La risposta è stata pubblicata su «Il Regno» del15 marzo: «Padre Jalics ha smentito qualunque legame tra padre Bergoglio e il loro arresto. Io lo sapevo già, perché ero molto amico di padre Yorio, con cui a vol-te collaboravo sul piano teologico, e siccome padre Bergoglio abitava nel-la mia stessa casa, quando li fecero sparire, mi raccontava tutto quel che faceva, al pari del vescovo vicario di zona, mons. Mario Serra, per sapere dov’erano e ottenerne la liberazione. I militari negavano di averli arrestati, ma trapelò la notizia che erano dete-nuti alla Scuola di meccanica della Marina (ESMA), e quando si resero conto che erano innocenti, li tratten-nero vari mesi, secondo me perché non sapevano che fare. Alla fine li lasciarono addormentati (probabil-mente narcotizzati) in un campo. Poi, anche con l’aiuto del provinciale, padre Yorio e padre Jalics ripararono all’estero per evitare una nuova desa-paricion».

Votare con il portafoglio. Il crollo dell’edificio a Savar, in Bangladesh, ha attirato l’attenzione dei media in-ternazionali, suscitato un dibattito sulle norme edilizie e risvegliato di colpo il mondo sulle condizioni di lavoro degli operai dell’industria più importante del Paese. La palazzina di otto piani, conosciuta come Rana Pla-za, si trova a 45 chilometri dalla capi-tale, Dacca, e ospitava cinque fabbri-che di abbigliamento, diverse linee di produzione, banche e centinaia di ne-gozi. Si stima che nell’edificio lavo-rassero 3.500 persone al momento del crollo, in gran parte operaie di meno di 25 anni. I morti hanno superato il

migliaio, più oltre 2.400 le persone ferite estratte vive. L’Organizzazione internazionale del lavoro ha stigma-tizzato il fatto che i marchi interna-zionali pretendano il rigoroso rispetto dei tempi e della qualità del lavoro, e non abbiano mai eccepito sulle condi-zioni di sfruttamento brutale vigenti nelle fabbriche del Bangladesh. Tutti possono cooperare a combattere lo sfruttamento, votando, come consu-matori, con il portafoglio. È un pic-colo sacrificio spendere un po’ di più per comprare merci «pulite»: la Di-chiarazione di Berna (DB) può dare le necessarie informazioni, così come «Fair Fashion», che valuta le marche in relazione al loro impegno per con-dizioni di lavoro rispettose delle per-sone e dell’ambiente («Le Courrier», 15 maggio; www.lecourrier.ch). Una trentina di imprese (con circa un mi-gliaia di laboratori sui 3500 che la-vorano per l’esportazione) hanno de-ciso aiuti finanziari per migliorare la sicurezza nelle fabbriche dei tessili in Blangadesh, collaborando con i sin-dacati nel sistema di controllo. L’ini-ziativa è stata valutata positivamente dalla DB, che tuttavia deplora la man-cata adesione di alcune aziende pre-senti in Svizzera (APIC, 16 maggio).

Probite le armi. L’assemblea gene-rale dell’Onu ha approvato il 2 aprile il primo Trattato internazionale sul commercio delle armi convenzionali. Entro due anni sarà molto più diffici-le vendere rivoltelle e fucili a Paesi sottoposti a embargo, che violano di-ritti umani o che hanno rapporti con il terrorismo e la criminalità orga-nizzata. 154 i Paesi che hanno votato a favore; Siria, Corea del Nord e Iran hanno votato contro e 23 si sono aste-nuti, fra cui Russia, Cuba, Venezuela e Bolivia. La risoluzione non prevede vincoli coercitivi e controlli sull’uso interno delle armi nei singoli Paesi, ma chiede ai governi di introdurre leggi nazionali che regolamentino il settore.

Italia che cambia. Sono 755.939 (l’8% del totale) gli studenti stranieri nelle scuole della penisola, concen-trati soprattutto nel Centro-Nord e nel Nord. Il 44% di loro (l’80% tra i bambini delle scuole materne) è nato in Italia, ma l’attuale legislazione non riconosce loro la cittadinanza. Signi-ficativo l’aumento di presenze nella scuola superiore (dal 14% del 2001 al 21,8% del 2011/12). Sono 477.519 (il 7,8% del totale) le imprese in Italia guidate da stranieri.

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Intolleranza lombarda. Una legge della Regione Lombardia stabilisce che la costruzione, l’adibizione o l’u-tilizzo di locali a fini di culto ricado-no sotto la normativa urbanistica del cosiddetto «governo del territorio». Una applicazione rigida della legge da parte di molti sindaci ha finito per colpire non solo i fedeli del Corano, bensì anche i protestanti evangeli-ci. Sono già 23 i locali di preghiera protestanti fatti chiudere dai comuni in tutta la Lombardia proprio ai sensi della legge pensata in funzione «anti minareti». In provincia di Bergamo sono state chiuse dieci sale, a Mila-no ne sono state chiuse sei. La legge esprime la cultura razzista e l’agita-zione propagandistica dello «scontro di civiltà» di cui determinate forma-zioni politiche di destra hanno fatto il perno della loro azione e che hanno presa su larghe fasce dell’elettorato. Pur essendo lesiva della libertà e of-fensiva della democrazia, la norma è stata studiata con astuzia e con la complicità di amministratori e politi-ci locali ha ottenuto gli scopi che si prefiggeva.

Intesa con gli hindu. È entrata in vigore il 10 febbraio, approvata dal Parlamento italiano, l’Intesa per la regolazione dei rapporti tra l’Italia e l’Unione induista italiana Sanata-na Dharrna Sarngha, in attuazione dell’art. 8 della Costituzione. L’Intesa era stata firmata già nel 2007 dall’avv. Franco Di Maria per l’Unione indui-sta italiana (UII) e dal presidente del Consiglio Romano Prodi, ma per le opposizioni di destra è stata ratifica-ta solo sei anni dopo! Essa regola gli ambiti nei quali la pratica religiosa dei circa 135.000 induisti in Italia entra in contatto con l’ordinamento giuri-dico: riconosce l’autonomia dell’UII, il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare, la possibilità di prestare assistenza spirituale ai fede-li in ospedale e in carcere, il diritto di istituire scuole, le prerogative dei ministri di culto, gli effetti civili dei matrimoni religiosi, la partecipazio-ne all’otto per mille dell’imposta sul reddito (IRPEF), sia sulla base delle scelte espresse dai contribuenti, sia in

proporzione di quelle non espresse. (Il testo completo è stato pubblicato da «Il Regno», 1. aprile 2013). Si trat-ta della dodicesima intesa, la secon-da dopo quella coi buddisti con una religione orientale. È ancora in attesa di approvazione parlamentare quella stipulata nel 2007 con i Testimoni di Geova.

Editore benemerito. È morto a Roma il 6 aprile, all’età di 75 anni, Vincenzo D’Agostino, direttore edi-toriale della Borla. Nato nel 1938 a Colle Sannita (Benevento), dopo gli studi in filosofia, D’Agostino entrò a far parte della Pro Civitate Christia-na di Assisi e don Giovarmi Rossi, il fondatore, nel 1956 gli affidò la re-sponsabilità della casa editrice Citta-della, che guidò fino al 1976, ideando e dirigendo collane innovative – per esempio, «Sulle vie del Concilio» e «Orizzonti Nuovi» – e pubblicando i principali autori del l’aggiornamento teologico ed ecclesiale conciliare e postconciliare, da Ernesto Balduccl a Leonardo Boff e Giulio Girardi. Nel 1976 rilevò la casa editrice Borla – nata in Piemonte nel 1853 – e ne pro-mosse il rinnovamento. Attualmente il catalogo delle Edizioni BorIa conta circa 1.400 titoli e oltre 1.150 autori, sia italiani che stranieri. Borla inoltre ha tradotto alcune opere fondamenta-li, come il Dizionario critico di teo-logia diretto da Jean-Yves Lacoste e la Storia del cristianesimo diretta da Ch. Pietri, L. Pietri, A. Vauchez, M. Venard.

Referendum contro le Chiese. In Austria, le Chiese e le comunità re-ligiose riconosciute dallo Stato go-dono di ampi privilegi, stabiliti dal Concordato stipulato con la Chiesa cattolica prima della seconda Guer-ra mondiale nel 1933. Tali privilegi, tuttora in vigore, sono criticati da un gruppo di umanisti, atei, agnostici e paladini della laicità austriaci, che hanno intrapreso un’iniziativa refe-rendaria a livello nazionale, grazie alla quale i cittadini del Paese potran-no portare la questione in Parlamen-to. I promotori hanno elaborato una lista di 25 «privilegi» da discutere: i

più importanti dal punto di vista fi-nanziario riguardano l’esenzione da varie imposte e il finanziamento, da parte dello Stato, delle scuole confes-sionali. Vi sono poi altri «privilegi» di minore impatto finanziario, ma simbolicamente rilevanti, come la po-sizione riservata alla Chiesa cattolica nei vertici della Televisione e Radio Austriaca (Orf). Al momento dell’in-troduzione delle misure, nel 1933, il 95% della popolazione austriaca era registrata come cattolica, mentre oggi il numero dei cattolici è calato al 66%. Così, benché un quarto cir-ca della popolazione non appartenga ad alcuna confessione religiosa, ogni contribuente deve destinare una quo-ta delle proprie imposte a organismi religiosi riconosciuti dallo Stato. Tali contributi ammontano annualmente a circa 500 euro pro capite, dovu-ti anche da chi non ha appartenenza religiosa, per complessivi circa 3,5 miliardi di euro all’anno. A opporsi all’iniziativa sono stati ovviamente esponenti ecclesiastici e laici della Chiesa cattolica, destinataria della maggior parte dei proventi fiscali, la totalità dei quali viene tuttavia divi-sa con altre 13 confessioni religiose. I promotori del referendum hanno raccolto solo 56.600 firme contro le centomila necessarie per aprire il dibattito in parlamento. Il cardinale Christoph Schönborn ha riconosciuto la necessità di aprire una discussione con i promotori sui compiti che spet-tano alle Chiese.

Ammesso lo sciopero. La Corte fe-derale tedesca del lavoro ha deciso che il diritto di sciopero non può es-sere rifiutato in modo generale agli… impiegati ecclesiastici. Le Chiese cristiane e le istituzioni quali Caritas e Diakonie hanno diritto di regola-mentare come vogliono i rapporti di lavoro con le persone che impiegano (nel Paese sono in totale circa 1,3 mi-lioni); tuttavia lo sciopero deve rima-nere ammissibile in certe circostanze. I giudici della più alta corte tedesca del lavoro hanno dato ragione, in due casi di controversia, ai sindacati. La Chiesa evangelica ha rinunciato a contestare la sentenza.

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No. 227 15opinioni

imbarazzante «recupero» di Don Galloun prete scomodo che Genova amava

«Il cardinale Siri lo accolse». Nella chiesa si sentono i primi mormorii. Una voce di donna: «Però poteva evitare…». Il cardinale Angelo Ba-gnasco, arcivescovo di Genova, pre-sidente della CEI, sta celebrando il funerale di don Andrea Gallo. Al mo-mento di ricordarne la figura, ne fa un ritrattino oleografico, di un bravo pre-te obbediente e serafico. La protesta si allarga, incominciano i fischi, da fuori la chiesa, dove sono assiepate seimila persone venute da tutta Italia, arriva-no le note di «Bella ciao». Il cardinale interrompe il suo discorso. Ci vuole l’intervento dell’anziana segretaria di don Gallo per ripristinare la cal-ma. Ma ormai il cardinale rinuncia a proseguire la lettura del discorso e conclude in fretta con una breve pre-ghiera.Questo episodio è emblematico di una lunga storia di «normalizzazio-ne», non solo nei confronti dell’an-ziano prete genovese, morto all’età di 84 anni lo scorso 22 maggio, ma an-che di ogni voce di dissenso, o anche solo di autonomia, dei laici, dentro e fuori le comunità ecclesiali.Don Andrea Gallo era nato a Genova nel 1928. Giovanissimo, aveva preso parte, insieme al fratello maggiore, alla Resistenza. Attirato dal modo di lavorare tra i giovani dei salesiani, entrò in seminario; nel 1955 fu man-dato a studiare teologia a San Paolo, in Brasile, dove venne in contatto con i primi fermenti di novità della Chie-sa latinoamericana. Tornato in Italia, fu ordinato sacerdote nel 1959. Il suo primo incarico pastorale fu all’isola di Capraia (che allora faceva parte della Diocesi di Genova). Rientrato a Genova, gli fu assegnata la dire-zione della scuola-riformatorio sulla nave «Garaventa». I suoi metodi non repressivi, inauditi per quei tempi, non erano capiti e don Gallo fu tra-sferito nella parrocchia del Carmine, in un quartiere popolare, stretto tra il centro storico e i quartieri agiati della Circonvallazione a Monte.Il Concilio Vaticano II si era appena concluso e un po’ ovunque, anche nella Genova del cardinale Siri, l’en-tusiasmo suscitato da quella prorom-pente novità si traduceva in voglia di protagonismo da parte dei laici, in innovazioni liturgiche spontanee,

nell’ingresso dell’attualità sociale e politica nella vita della parrocchia. Con don Andrea Gallo, la chiesa del Carmine divenne uno dei centri ge-novesi del rinnovamento post-con-ciliare. Sull’altare durante la messa compariva, accanto alla Bibbia, il giornale; i laici potevano intervenire nella predicazione; nessun tema era tabù; era esplicitata l’opzione prefe-renziale per i poveri: non nel senso di privilegiare qualcuno a scapito di altri, ma di dare spazio, dignità, prota-gonismo anche a chi altrimenti veniva messo al margine, disprezzato e igno-rato in una società piuttosto confor-mista e abbagliata dal benessere degli anni del «boom».Quel prete così popolare e «popola-no» non piaceva ai benpensanti della parrocchia, che ne ottennero l’allon-tanamento. Era il 1970 e una dopo l’altra tutte le esperienze più innova-tive nella diocesi genovese vennero messe a tacere: più clamorosa fra tut-te, la vicenda della comunità di base di Oregina, con la sospensione a divi-nis dei sacerdoti francescani Agosti-no Zerbinati e Erminio Podestà. Don Gallo avrebbe dovuto tornare all’isola di Capraia, letteralmente esiliato, ma trovò un parroco, don Federico Rebo-ra, disposto ad accoglierlo nella chie-setta di San Benedetto al Porto, in una zona un po’ tagliata fuori dai quartieri più densamente abitati, stretta tra la ferrovia e la stazione marittima. Ma era il luogo ideale per creare una co-munità di accoglienza e, la domenica, alla messa delle dodici, ospitare quei laici critici che si trovavano a disagio nelle proprie parrocchie (la storia si ripete oggi con don Paolo Farinel-la, parroco «senza parrocchiani» ma punto di riferimento per i «dissiden-ti» a san Torpete, all’altro estremo del centro storico di Genova).Nasceva la Comunità di san Benedet-to, che di lì a poco, per i metodi parte-cipativi, democratici, non repressivi, sarebbe diventata tra l’altro una delle esperienze più innovative di comuni-tà terapeutica per tossicodipendenti. Le due linee: teologia della liberazio-ne e comunità di base, comunità tera-peutica aperta centrata non solo sulla cura dell’individuo ma anche sull’in-serimento costruttivo nella società, fecero di San Benedetto una realtà

abbastanza unica e conosciuta non solo in ambito locale. Le assemblee del lunedì sera, aperte a tutti i cittadi-ni, erano un inedito spazio di convi-venza tra tossicodipendenti, persone in difficoltà per mancanza di un lavo-ro o di un tetto e cittadini disposti a mettersi a confronto con le realtà più scomode.Quando scatta l’enorme notorietà mediatica di don Gallo? Forse nei giorni tremendi del G8 del luglio 2001, con la repressione sanguinosa del Genoa Social Forum, a cui don Gallo aveva partecipato attivamen-te. È la desolazione, l’appiattimento dell’«era berlusconiana», in cui un personaggio come don Gallo, che dice semplicemente tutto quello che pensa, che non ha pregiudizi verso nessuno, che vive il Vangelo in modo immediato e concreto, «angelica-mente anarchico» come si autodefi-nisce, svetta come un gigante. E lui non trova più nessun ostacolo: è in televisione, sulle piazze, ai comizi, ai concerti, negli spettacoli teatrali più svariati, scrive un libro dietro l’altro, parla, parla, parla… E agisce, come sempre. Negli ultimi anni si prende particolarmente a cuore la situazione delle persone transgender. È, fisica-mente, dove ci sono conflitti, come la protesta contro la base militare a Vi-cenza, contro il proliferare delle case da gioco.Per questo è apparso a tutti una cen-sura, se non una sfacciata menzogna, il tentativo di banalizzarne la memo-ria: davanti al feretro, e nella chiesa da dove, quarantatré anni prima, don Gallo era stato cacciato. Non fu mai possibile sospendere a divinis questo prete, perché don Gallo era attento a non fare nulla che potesse giustifica-re un simile provvedimento da parte della gerarchia. Ma che questa, ora, cerchi di approfittare della grande popolarità di don Gallo per dire: «È stato sempre un fedele servo della Chiesa», che cerchi di appropriarselo e di «capitalizzarlo», magari barat-tandolo con l’immagine suggestiva, riportata da tutti i media, di Vladimir Luxuria (transgender, ex deputata al Parlamento italiano) che riceve la co-munione dal cardinale in persona, è inaccettabile.

Marina Sartorio

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16 No. 227notizie belle e buone

Notizie belle e buoneAmicizia con i greco-ortodossi. Il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, è il primo patriarca, dopo lo scisma del 1054, a presenziare alla messa di inaugurazione del papa romano. Il capo della Chiesa ortodossa d’Egitto, patriarca d’Alessandria Tawadros II, eletto nel novembre 2012 ha visitato Roma durante cinque giorni, incontrando papa Francesco, con cui ha pregato ed ha condiviso l’al-loggio nella Casa di Santa Marta, attuale residenza papale. Il «papa» di Alessandria ha la sede al Cairo, è a capo di una Chiesa che comprende da 10 a 15 milioni di fedeli, con una cinquantina di diocesi, delle quali una ventina fuori dall’Egitto.

Africa progressista. Il governo della Costa d’avorio ha deciso di vietare la fabbricazione, l’importazione, il com-mercio e l’utilizzo dei sacchi di plastica su tutto il terri-torio nazionale. Hanno emanato la stessa proibizione la Tanzania, l’Africa del Sud, la Mauritania e il Rwanda. E la Svizzera?

Premio «buone notizie» 2013. Al vallesano canonico di Saint-Maurice e missionario in Congo Guy Luisier è stato assegnato il Premio romando «Buone Notizie» per il suo blog e il libro Une colline au Congo, in cui descrive in modo colorato e con umorismo la difficile e ricca vicenda missionaria su una collina nel Kasai in cui… sente di es-sere «evangelizzato».

Prima pietra. Il 21 maggio, a Berna, a un anno dall’inizio del cantiere, è stata simbolicamente posata la prima pietra del Centro «Piazza d’Europa. Casa delle religioni» che comprenderà uno spazio di preghiera e di culto di cinque religioni (aleviti, buddisti, cristiani, indù e musulmani), oltre ad un albergo, negozi, uffici, un parcheggio e 88 ap-partamenti. Partecipano al progetto «Dialogo delle cultu-re» anche gli ebrei, i bahai e i sikh. L’apertura ufficiale è prevista per il novembre 2014; costo totale 75 milioni di franchi, dieci dei quali per la Casa delle religioni.

Per non dimenticare. Con altri 19 Paesi, la Svizzera par-teciperà alla conservazione del campo di concentramento nazista d’Auschwitz-Birkenau, versando un milione di euro alla fondazione che si occupa della manutenzione dei due siti. Un primo contributo di centomila franchi era stato versato nel 2010. Si tratta di manifestare rispetto per le vittime del nazismo e di contribuire a mantenere un luogo della memoria.

Aiuto alle librerie. Il Cantone e la Città di Ginevra hanno deciso di mettere a disposizione per il 2013 un importo di ottantamila franchi per sostenere le librerie indipendenti (sono una ventina), messe in difficoltà dalla concorren-za dei grandi magazzini. Per ricevere le borse di aiuto, dell’importo da 2000 a 10.000 franchi, le librerie devono offrire una scelta significativa di libri locali e svizzeri, e proporre incontri culturali, presentazione di testi o letture pubbliche. Una decisione intelligente, da realizzare anche in Ticino.

Scuse presidenziali. Uli Maurer, presidente della Confe-derazione, si è scusato l’8 maggio con la comunità ebrai-ca svizzera per aver «dimenticato» le vittime della Shoah causate dal rifiuto della Svizzera ad accogliere profughi

ebrei, bollati con la J sul passaporto. La notizia più bella potrebbe essere che le scuse rappresentano un impegno a non respingere gli asilanti di oggi, pure in pericolo di vita.

Suore in prigione. Tre suore statunitensi, tra cui Megan Rice di 83 anni (!), sono state giudicate per «attenta-to alla sicurezza nazionale» dal tribunale distrettuale di Knoxville (Tennessee) per avere, nel luglio 2012, scrit-to versetti biblici sui muri di un deposito di uranio, dopo avere forzato le barriere di protezione del complesso go-vernativo. Incarcerate dal 9 maggio, arrischiano trent’an-ni di prigione. Auguri di lunga vita a suor Megan, perché possa continuare per trent’anni la sua cristiana testimo-nianza.

Perdonato dai piedi. Un seminarista ecuadoriano, giunto in Spagna nel 2006 grazie a falsi documenti, ha esercitato il ministero pastorale per sette anni in una parrocchia della diocesi di Siviglia. L’arcivescovo Juan José Asenjo, invece di scomunicarlo (come prevederebbe il canone 1378 del Codice di diritto canonico) gli ha imposto come penitenza di recarsi a piedi in pellegrinaggio a un santuario della Ma-donna della Consolata, distante 25 chilometri dal luogo… del delitto. Un perdono ottenuto coi piedi!

Teologa premiata. La teologa cattolica Jutta Lehnert ha ricevuto il «Premio Dorothee Sölle», istituito dalla rete ecumenica «Iniziativa della Chiesa dal basso», per il suo lavoro pedagogico e politico con i giovani e per il suo im-pegno nella lotta contro gli abusi sessuali all’interno del-la sua Chiesa. Jutta Lehner è la direttirice spirituale della Gioventù studentesca cattolica della diocesi di Treviri. Il premio le è stato assegnato in occasione del Kirchentag protestante di Amburgo.

Donne in crescita. Il nuovo Governo italiano, basato sulle «larghe intese», comprende sette donne, tra cui la prima d’origine africana, incaricata dell’integrazione, e un’altra d’origine tedesca e pluricampione di… canoa. Benché integrato e navigato, il governo è in balia dei venti parti-giani: ma restano le buone intenzioni. Crescono anche in Svizzera le donne ai piani alti dell’economia con il 12% nei consigli di amministrazione. Nel 2012, il 30% dei posti vacanti è stato occupato da donne.

Africa unita. È stato deciso di costituire a Nairobi (Ken-ya) un’agenzia per la stampa cattolica di tutta l’Africa, con lo scopo di fornire informazioni sulle Chiese e per le Chiese del continente, in dialogo con le culture locali e del mondo. L’arcivescovo di Accra ha nominato coordinatore del progetto padre Bosco Ochieng Onyalla, missionario originario del Kenya, con un’esperienza di giornalista e di direzione di una radio diocesana.

Marocco tollerante. Un istituto di formazione in teologia cristiana è stato aperto alle porte di Rabat e per la prima volta studenti cattolici e protestanti seguono corsi comuni in un Paese mussulmano. Creato nel 2012, l’Istituto «Al Mowafaqa» («Convergenza») da luglio offrirà una for-mazione universitaria al servizio delle Chiese cristiane in Marocco e oltre. Rivolta in primo luogo a un pubblico dell’Africa subsahariana, l’istituto deve formare quadri delle Chiese, assistenti di parrocchia, animatori di comu-nità e futuri pastori. Il progetto è sostenuto dall’Istituto cattolico di Parigi e dalla Facoltà di teologia protestante di Strasburgo.

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No. 227 17osservatorio ecumenico

osseRvatoRio ecUmenico

Da chiesa a moscheaAd Amburgo, la evangelica Kapernaumkirche, acquistata dal Centro islamico Al Nour, sarà ristrutturata e riaperta come moschea il prossimo 3 otto bre. Nel Parlamento di Amburgo la CDU propone di riesaminare la decisione. Dalla Chiesa giungo no commenti diversi: critici sono l’ex pastore della Michaeliskirche, Helge Adolphsen, e il ve-scovo suf fraganeo cattolico Hans-Jochen Jaschke; invita alla calma la ve scova luterana di Amburgo, Kir sten Fehrs, nel senso che la discussione sulla Kapernaumkirche non venga usata per mettere mu sulmani e cristiani gli uni contro gli altri. Adolphsen ritiene che la trasformazione della chiesa in mo schea costituisca la rottura di un tabù (la Chiesa evangelica in Germania vieta esplicitamente la ven dita di edifici ecclesiastici a comu nità musulmane), per Jaschke in futuro si dovrà prestare attenzione affin-ché non si giunga di nuovo a «grane» del genere. La par-rocchia evangelica proprie taria della Kapernaumkirche aveva venduto tempo fa l’edificio a una immobiliare, la quale a sua vol ta l’ha venduta al Centro isla mico Al Nour. Essendo considerata monumento storico, la facciata della chiesa dovrà co munque essere mantenuta nello stato at-tuale.

Evangelici in dialogoIl 34. Kirchentag, l’appuntamento che le Chiese protestan-ti tedesche organizzano ogni due anni, ha richiamato ad Amburgo, all’inizio di maggio, 400 mila visitatori, 120 mila stand, più di 2500 eventi organizzati, 110 studi bibli-ci, 883 incontri tematici e più di 800 appuntamenti cultu-rali. Alla manifestazione, accanto a esponenti del mondo religioso, erano presenti rappresentanti del mondo politico ed economico, della società civile e della cultura, tra cui il presidente della Repubblica Joachirn Gauck e la cancel-liera Angela Merkel. Tema del Kirchentag era il motto, da Esodo 16, 18: «Quanto ve ne serve». Si è parlato di am-biente, di risparmio energetico, di diversità, di razzismo, di crisi economica, di povertà. Numerosi i concerti e gli spettacoli, con la prima dell’opera in cinque atti sulla vita e sul pensiero di Dietrich Bonhoeffer. Impossibile raccon-tare «tutto» quanto avvenuto al Kirchentag: si può dire invece che protagonista assoluto, come di consueto, è stato il momento del dialogo e del confronto fra realtà differenti.

Unione tra riformatiIl primo Sinodo della Chiesa protestante unita di Francia (EPUdF) si è svolto a Lione la settimana prima di Pen-tecoste con la solennità che merita un avvenimento più importante del dato numerico rappresentato. Restano in-fatti indipendenti una parte del protestantesimo storico francese, cioè le Chiese di Alsazia e Lorena, le Chiese metodiste e battiste e le molte e variegate Chiese penteco-stali. L’Unione, rappresentativa di circa 400 mila persone, concerne due Chiese dalla lunga e gloriosa tradizione: la Chiesa riformata, presente su tutto il territorio naziona-le con circa 450 pastori, e la Chiesa evangelica luterana, presente soprattutto in due regioni (Parigi e Montbéliard), con circa 45 pastori. L’unione realizzata in Francia conti-nua un processo di comunione delle Chiese della Riforma,

iniziato a fine Ottocento per merito di un ristretto numero di pionieri dell’ecumenismo, sostenuto nel Novecento in modo crescente dalle Chiese, passato attraverso le tappe fondamentali della creazione del Consiglio ecumenico delle Chiese nel 1948, e poi da una pluralità di organismi ecumenici territoriali e di «famiglie» confessionali, fino allo storico accordo teologico del 1973, noto come Co-munione di Leuenberg (dal nome della cittadina svizzera che ospitò l’incontro), in cui si stabilì la piena comunione tra riformati e luterani, cui poi si sono aggiunti i metodisti e altre denominazioni europee, per un totale oggi di 105 Chiese: luterane, riformate, metodiste e unite, di una tren-tina di paesi europei.

Ospitalità eucaristicaLa 50.a sessione del Segretariato Attività Ecumeniche (SAE) avrà luogo quest’anno dal 28 luglio al 3 agosto all’Istituto Filippin di Paderno del Grappa (Treviso), sul tema «Condividere e annunciare la Parola», con medita-zioni, relazioni e gruppi di studio. Tra i momenti più intensi che caratterizzano le sessioni SAE vi sono le celebrazioni confessionali. La possibilità di partecipare alla preghiera di altre Chiese costituisce un momento qualificante dell’e-sperienza e dell’incontro ecumenico che vi si vive. Per il SAE è essenziale che la dimensione teologica e formativa che qualifica la sessione sia anche profondamente radicata in un intenso ecumenismo spirituale. L’opportunità di con-dividere per quanto possibile il vissuto spirituale dei fra-telli di altre confessioni nelle loro celebrazioni è un dono prezioso, una testimonianza qualificante della ricca diver-sità spirituale che abita le Chiese, un elemento che fa cre-scere la comunione ecumenica. È importante, però, anche ricordare che le Chiese danno indicazioni diverse circa il significato delle rispettive liturgie, e di conseguenza circa la piena condivisione della celebrazione, in particolare per quanto riguarda la partecipazione alla Cena del Signore. Le Chiese evangeliche ritengono che la Santa Cena che esse celebrano sia offerta dal Signore stesso, il quale invita a parteciparvi tutti coloro che ritengono in coscienza di poterlo fare, indipendentemente dalla loro appartenenza confessionale. Le Chiese ortodosse e la Chiesa cattolica ritengono invece che la possibilità di condividere la mensa eucaristica presupponga una pienezza di comunione che le nostre Chiese non hanno ancora raggiunto e che perciò – fatti salvi, per la Chiesa cattolica, certi casi particolari – i propri fedeli non abbiano ad accedere alla comunione nel pane e nel vino in celebrazioni di altre Chiese. Tale dif-ferenza di approcci riflette l’incompiutezza del cammino ecumenico e costituisce, per molti credenti, un motivo di sofferenza. Anch’essa, d’altra parte, è una dimensione di quell’ecumenismo spirituale che sperimenta la forza della comunione già presente tra i credenti nel Signore Gesù, ma anche il peso di quelle differenze che ancora manten-gono divise le Chiese cristiane.

Lutto ecumenicoIl pastore evangelico metodista, teologo della libera zione e già segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) Emilio Castro è morto a Montevideo (Uru-guay) il 6 aprile. Castro aveva rivestito la carica di segre-tario generale del CEC dal 1985 al 1992. Nato nel 1927 in Uruguay, Castro ha influenzato l’orientamento del grande organismo ecumenico mondiale, introducendovi alcuni principi della teologia della liberazione.

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18 No. 227notiziario (in)sostenibile

Daria Lepori

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No. 227 19cronaca svizzera

cRonaca svizzeRaa cura di alberto lepori

Il vescovo dialoga. Il vescovo di Basilea Felix Gmür ha ricevuto il 30 aprile, per la quinta volta, un gruppo di agenti pastorali e firmatari del-la «Iniziativa delle parrocchie» che chiede varie riforme, come l’accesso alla comunione dei divorziati risposa-ti, la predicazione anche per i laici, l’uguaglianza per gli omosessuali. Agli incontri col vescovo hanno par-tecipato 232 persone (52 preti, 28 diaconi, 127 teologi e 25 catechisti). Con una lettera aperta del 22 maggio, mons. Gmür prende posizione sulle richieste dell’iniziativa e propone di continuare il dialogo nell’ambito di un «piano pastorale di sviluppo del-la diocesi». Riprendendo un invito di papa Francesco, il vescovo di Basilea scrive: «Chi si mette in cammino deve osare qualche cosa. E chi osa com-mette anche degli errori». I vescovi svizzeri, durante la recente loro riu-nione, sono stati informati dei collo-qui in corso, che riguardano anche le diocesi di San Gallo e Coira.

Adulti cresimati. La vigilia di Pen-tecoste, mons. Morerod, vescovo di Losanna-Ginevra-Friburgo, ha cresi-mato 115 adulti nella chiesa di Notre-Dame di Vevey: 50 vodesi, 50 gine-vrini, 12 friburghesi e 3 neocastellani. La responsabile dei catecumeni adulti Katia Cazzaro-Thèvent ha illustrato il percorso formativo compiuto da que-sti adulti già battezzati e spiegato il significato della cerimonia, con i testi biblici e il senso della liturgia e della condivisione, per creare una gioia fra-terna da diffondere.

Preti sotto contratto. I preti del Cantone di Vaud stipendiati dalla Fe-derazione cattolica romana del Can-tone (Fedec) –una ottantina – hanno ricevuto da firmare un contratto di la-voro che sostituisce gli accordi taciti precedenti. Non tutti hanno gradito la novità, che sembra limitare la loro libertà, anche se le condizioni sono migliori di quelli previste dal Codi-ce delle obbligazioni. Fa discutere la disposizione che fissa un impegno di 42 ore settimanali, e la clausola che vieta al prete di esprimersi nei media, se non a titolo privato. Il contratto, per ora sperimentale, sarà ridiscusso tra due anni, ed eventualmente esteso agli altri preti della diocesi (APIC, 29 novembre 2012).

Scuole di Caritas. Tre centri scola-stici sono stati inaugurati in maggio nella regione di Port-au-Prince (Hai-ti) grazie all’aiuto dell’opera carita-tiva svizzera, intervenuta a seguito del terremoto devastatore del 2010, in cui erano andate distrutte quattro-mila scuole ed erano rimasti uccisi quarantamila allievi e 1300 docenti. Caritas sta costruendo cinque com-plessi scolastici, per un totale di circa 2500 allievi; gli ultimi due saranno terminati nella primavera 2014. Ca-ritas svizzera ha pure investito, con l’aiuto della Catena della solidarietà, 10 milioni di franchi in Birmania, de-vastata nel 2008 da un ciclone che ha provocato 140.000 morti e colpito 2,4 milioni di persone. Dopo l’interven-to d’urgenza, Caritas ha costruito 41 edifici scolastici e cinque posti sanita-ri, impegnandosi inoltre per un aiuto duraturo al settore agricolo. Per papa Francesco, «Caritas è la carezza della Chiesa verso il suo popolo».

Contro la povertà. Il Consiglio fe-derale ha approvato il 15 maggio un «Programma nazionale per prevenire e lottare contro la povertà» per il pe-riodo 2014-2018. L’obiettivo priorita-rio della Confederazione sarà di mi-gliorare le possibilità di formazione dei giovani e degli adulti socialmente sfavoriti. Le associazioni umanitarie approvano la decisione del governo ma giudicano troppo modesto l’im-porto di 9 milioni di franchi assegnato al programma.

Successo della campagna quare-simale. La campagna ecumenica della quaresima 2012, al motto «Più uguaglianza, meno fame» è stata un successo, avendo raccolto 9 milioni di franchi dai privati. Grazie al con-tributo delle collettività pubbliche, Sacrificio quaresimale ha ottenuto nel 2012 oltre 21 milioni di franchi, con un aumento di 800.000 franchi rispetto all’anno precedente. L’ope-ra assistenziale cattolica ha in corso 372 progetti di aiuto allo sviluppo, dei quali 125 in Africa (per 3,7 milioni di franchi) 74 in Asia (fr. 2,5 milioni) e 91 in America latina (fr. 3,1 milioni). Essa riceve un contributo finanzia-rio dalla Confederazione (Direzione dello Sviluppo e della Cooperazione) che è stato aumentato dal 15% al 25% dell’intero budget.

Svizzera finalmente esemplare. Mentre, a causa della crisi, molti Pa-esi industrializzati hanno diminuito il loro aiuto allo sviluppo (nel 2012 è diminuito da 133 a 125 miliardi di dollari), la Svizzera è in controten-denza, con 126 milioni di franchi in più, contribuendo in totale con 2,833 miliardi di franchi, raggiungendo lo 0,45% del PIL (prodotto nazionale lordo) e mettendosi così nella media dei Paesi OCSE, anche se conteggia come aiuto allo sviluppo 600 milioni che utilizza per l’aiuto all’asilo. L’o-biettivo dello 0,7% del PIL, fissato dalle Nazioni Unite, è avvicinato solo da cinque Stati del Nordeuropa (dall’1 allo 0,7%). Hanno nettamente ridotto i contributi Spagna, Grecia, Portogal-lo e Italia. La Confederazione è an-che esemplare nel rispetto dei diritti garantiti a livello europeo: dal 1974 al 2012 contro la Svizzera sono state presentati 5502 denunce, ma solo in 87 casi è stata constatata da parte del-la Corte di Strasburgo una violazione della Convenzione europea dei dirit-ti (CEDU), cioè nell’1,6% dei casi. Ma l’Unione democratica di centro vorrebbe la denuncia da parte della Svizzera della CEDU, perché la sua applicazione potrebbe violare i dirit-ti del popolo svizzero. La richiesta è stata respinta dal Consiglio federale con l’osservazione che le sentenze di Strasburgo (anche quelle di con-danna) rafforzano lo stato di diritto elvetico!

Suicidio assistito. La Corte europea dei diritti dell’uomo, con una senten-za approvata con 5 voti contro 4, ha invitato la Svizzera a chiarire le rego-le sull’aiuto al suicidio, che prevede solo di non condannare chi lo fa in modo disinteressato, ma non formula un vero diritto per chi desidera sui-cidarsi. Le autorità svizzere hanno sin qui deciso di non legiferare in materia, per evitare di creare una pe-ricolosa casistica e un indiretto rico-noscimento di tale pratica. Del resto, il fenomeno è limitato e si preferisce operare per migliorare le cure pallia-tive. Il Consiglio federale intende fare appello al giudizio presso la Grande Corte.

no alla seconda galleria. L’associa-zione ecumenica «Chiesa e Ambien-te» (OeKU) si dichiara contraria all’i-potesi di realizzazione di un secondo tunnel autostradale al San Gottardo. Non crede alla promessa di usare il secondo tunnel solo come soluzione di emergenza e ritiene che occorra

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20 No. 227cronaca svizzera

invece riprendere il discorso sulla ri-duzione del traffico e della mobilità. OeKU afferma che l’attuale modello di mobilità non è, a lungo termine, sostenibile e deve essere rivisto. Per il periodo dal 1. settembre al 4 otto-bre, dedicato al «Tempo della crea-zione», OeKU propone quest’anno il tema dell’acqua «ambiente di vita». In Svizzera bisognerebbe ripristinare lo stato naturale a 10.800 chilomentri di corsi d’acqua.

Libertà di stampa. I giornalisti ro-mandi sono in agitazione: la società Tamedia che li occupa, volendo otte-nere un reddito minimo del 15%, con una riduzione di 34 milioni di fran-chi dei costi in tre anni, ha progettato ampi tagli sul personale e al limite la chiusura di qualche testata. Gli azio-nisti non hanno accettato di ridurre a metà il loro profitto, quest’anno di fr. 47,7 milioni, limitando da fr. 4,50 a 2,25 il dividendo per ogni azione, e ciò al fine di costituire un fondo per mantenere i posti di lavoro e la qualità dell’informazione; la proposta è stata respinta con nove milioni di voti con-tro… duemila. I governi di Ginevra e di Vaud protestano ma sono impo-tenti. Il quotidiano «Le Courrier», te-stata che dipende da una associazione che non fa utili, riesce a sopravvivere grazie ai propri lettori, i quali, oltre a pagare l’abbonamento annuale, co-prono con contributi volontari l’8% del budget. Questa è, nel bene e nel male, la libertà della stampa e spesso dell’informazione. Meditate gente! (anche quando pagate l’abbonamento a «Dialoghi»). Ma il Consiglio fede-rale proporrà di nuovo di sopprime-re il contributo annuo alla Posta per sostenere la distribuzione (30 milioni per 150 giornali regionali e 20 milio-ni per la stampa associativa). La de-cisione finale spetta ai parlamentari, sempre generosi nel lodare il plurali-smo della stampa, specie quando si fa megafono dei loro interventi. Saranno coerenti?

hans Küng a riposo. Hans Küng ha deciso, all’età di 85 anni, di ritirarsi a vita privata, lasciando lo scorso 22 aprile la presidenza della Fondazione per un’etica mondiale (Weltethos), per dedicarsi soprattutto a scrivere libri. Il teologo lucernese è consi-derato il padre dell’idea di un’etica mondiale e il suo principale progetto teologico rimane la fondazione rela-tiva. Nel discorso d’addio, Küng ha ricordato che «la nostra Terra non potrà sopravvivere nella pace, nella

libertà e nella giustizia senza un’etica globale». Successore di Hans Küng alla testa della Fondazione sarà il presidente della Corte di giustizia del Baden-Württemberg, Eberhard Stilz. La Fondazione sta aprendo sedi in va-rie parti del mondo.

Chiesa apprezzata. Uno studio dell’Alta scuola di Neuchâtel-Berna-Giura ha registrato nella popolazio-ne una immagine «eccellente» per la Chiesa cattolica del Giura, sulla base di 900 risposte ai 5000 questio-nari inviati. Apprezzati sono special-mente i servizi sociali della Caritas. Lo studio conferma il disinteresse da parte dei giovani (solo 7 risposte tra i 18-25 anni!), e registra anche le critiche (l’autoritarismo del Vaticano, il celibato dei preti, i rituali «polve-rosi», lo scarto tra vita pratica e mo-rale cattolica). La Chiesa potrebbe diventare «marginale» nello spazio di una generazione se non sono adottati provvedimenti (nella comunicazione, nella liturgia, nell’organizzazione e nell’atteggiamento rispetto ai muta-menti sociali).

San nicola resta a Friburgo. Il pre-vosto della cattedrale di Friburgo ha escluso di aderire alla richiesta della Turchia che chiede la consegna delle reliquie di San Nicola, originario di Mira, per collocarle in un museo pre-visto a Antalya e dedicato all’antica e misteriosa civiltà della Licia. Le reli-quie di San Nicola furono recuperate a Mira da marinai di Bari, per sottrarle all’invasione degli Ottomani (Turchi) e furono poi disperse tra Bari, Fribur-go e Saint-Nicolas-de-Port in Lorena. Alla sorprendente richiesta delle au-torità turche (e musulmane) il prevo-sto Claude Ducarroz risponderà tra-smettendo documenti sul culto a San Nicola e le fotografie del reliquario! (da «La Liberté» del 7 gennaio 2013).

Meno scampanii. La parrocchia cat-tolica di Winterthur ha accettato di ridurre il suono delle campane delle chiese del Sacro Cuore e di San Giu-seppe, dopo anni di discussioni con gli abitanti del vicinato che preten-devano il silenzio dalle 22 alle 7 del mattino. Secondo l’Ufficio federale della sanità pubblica, il suono delle campane disturba il sonno se è supe-riore ai 50 decibel. La schermatura in legno e vetro delle campane costerà 75.000 franchi, ridurrà il suono di 8-10 decibel e dovrebbe accontentare i protestanti (che magari, come a Fai-do, sono cattolici…).

in questo numeroG UN PAESE

DA EVANGELIZZARE (a.l.) 1

AnniversariG 2 GIUGNO 1943:

LA MORTE DI PAPA GIOVANNI. «QUELLA SERA», POESIA DI DAVID M. TUROLDO 2

G FRéDéRIC OZANAM, POLITICA E RELIGIONE (E. Morresi) 10

Dossier: Istruzione religiosa scolasticaG UNA SPERIMENTAZIONE

DA VALUTARE (Ernesto Borghi) 4

G ALTRE ESPERIENZE, ALTRE SENSIBILITà (a.l.) 7

ArticoliG L’OPZIONE PER I POVERI

DI PAPA FRANCESCO (W. Uranga) 11

G DON GALLO, UN PRETE SCOMODO CHE GENOVA AMAVA (M. Sartorio) 15

G CRONACA INTERNAZIONALE 13

G NOTIZIE BELLE E BUONE 16

G OSSERVATORIO ECUMENICO 17

G NOTIZIARIO (IN)SOSTENIBILE 18

G CRONACA SVIZZERA 19

dialoghi di riflessione cristiana

www.dialoghi.ch

Comitato: Alberto Bondolfi, Ernesto Borghi, don Emilio Conrad, Serse Forni, Aldo Lafranchi, Alberto Lepori, Daria Lepori, Enrico Morresi, Margherita Noseda Snider, Marina Sartorio, Carlo Silini

Redattore responsabile: Enrico Morresi, via Madonna della Salute 6, CH-6900 Massagno, telefono +41 91 966 00 73, e-mail: [email protected], [email protected]

Amministrazione di «Dialoghi»: c/o Claudio Cerfoglia, Salita dei frati 4A, 6900 Lugano, email: [email protected]

Stampa: Tipografia-Offset Stazione SA, Locarno

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