Dialetto, variazione linguistica – e l’AIS · Anche l’unità fonetica della parlata del...

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Dialetto, variazione linguistica – e l’AIS Come l’ideologia ha (de)formato la modellazione dello spazio linguistico 1 Da Thomas Krefeld 1. Lo spazio disciplinare Non è per caso che la linguistica ottocentesca, nata nel segno della storicità, abbia presto scoperto i dialetti: infatti la singolarità storica delle lingue si manifesta non solo esternamente, tramite la loro diversità, ma si impone anche internamente 2 , e in modo evidente, per mezzo della variazione diatopica perché la genuinità culturale è contrassegnata dall’esistenza della parlata locale – come fosse cresciuta salda- mente radicata al terreno. Dall’originalità specifica ed autentica del topos si passa direttamente alla’autenticità dei dati linguistici in generale alla quale attribuiamo un valore assoluto: si può dire che la linguistica empirica nasce con la dialettologia, cioè dalla descrizione della variazione diatopica. È tuttavia molto strano che la dialettologia resti a lungo una disciplina a sé, occupandosi esclusivamente di una sola dimensione variazionale (quella spaziale) e che una nuova disciplina dedicata alle altre dimensioni, la linguistica varietistica, si sia sviluppata senza tener conto, o quasi, della spazialità 3 . Ecco il punto di par- tenza delle mie considerazioni. 2. Il paradosso metodologico di un capolavoro Abitualmente lo spazio passa per essere l’appannaggio della dialettologia e di alcune discipline limitrofe più specializzate come la dialettometria o la tipologia areale (del resto poco omogenea). È indubbiamente vero, che la dialettologia, che ha ora una lunghissima tradizione alle spalle, ha raccolto un’enorme e impressio- nante massa di dati linguistici locali e regionali. È tuttavia non meno vero che le discipline citate non possono richiedere nessuna esclusività; si è mostrato, al con- trario, che la dialettologia (ed anche la dialettometria) ha da sempre presupposto 1 Le citazioni di Jaberg/Jud 1928 sono state tradotte da Jole Puglia, che ringrazio, assieme ad Antonietta Esposito, anche per la revisione stilistica. 2 Vedi sul rapporto tra storicità, diversità e variazione il saggio metodologico di Oester- reicher 2001. 3 Mi riferisco ovviamente alla dimensione concreta, non al frequente ,spazio variazionale‘ (ted. Varietätenraum) che designa metaforicamente lo sfruttamento delle diverse dimen- sioni di variazione in una data lingua; vedi Oesterreicher 1995. - 10.1515/9783110182590.83 Downloaded from De Gruyter Online at 09/14/2016 11:12:40AM via Universitaetsbibliothek der LMU Muenchen

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Dialetto, variazione linguistica – e l’AIS

Come l’ideologia ha (de)formato la modellazione dello spazio linguistico1

Da Thomas Krefeld

1. Lo spazio disciplinare

Non è per caso che la linguistica ottocentesca, nata nel segno della storicità, abbiapresto scoperto i dialetti: infatti la singolarità storica delle lingue si manifesta nonsolo esternamente, tramite la loro diversità, ma si impone anche internamente2, e inmodo evidente, per mezzo della variazione diatopica perché la genuinità culturaleè contrassegnata dall’esistenza della parlata locale – come fosse cresciuta salda-mente radicata al terreno. Dall’originalità specifica ed autentica del topos si passadirettamente alla’autenticità dei dati linguistici in generale alla quale attribuiamo unvalore assoluto: si può dire che la linguistica empirica nasce con la dialettologia,cioè dalla descrizione della variazione diatopica.

È tuttavia molto strano che la dialettologia resti a lungo una disciplina a sé,occupandosi esclusivamente di una sola dimensione variazionale (quella spaziale)e che una nuova disciplina dedicata alle altre dimensioni, la linguistica varietistica,si sia sviluppata senza tener conto, o quasi, della spazialità3. Ecco il punto di par-tenza delle mie considerazioni.

2. Il paradosso metodologico di un capolavoro

Abitualmente lo spazio passa per essere l’appannaggio della dialettologia e dialcune discipline limitrofe più specializzate come la dialettometria o la tipologiaareale (del resto poco omogenea). È indubbiamente vero, che la dialettologia, cheha ora una lunghissima tradizione alle spalle, ha raccolto un’enorme e impressio-nante massa di dati linguistici locali e regionali. È tuttavia non meno vero che lediscipline citate non possono richiedere nessuna esclusività; si è mostrato, al con-trario, che la dialettologia (ed anche la dialettometria) ha da sempre presupposto

1 Le citazioni di Jaberg/Jud 1928 sono state tradotte da Jole Puglia, che ringrazio, assiemead Antonietta Esposito, anche per la revisione stilistica.

2 Vedi sul rapporto tra storicità, diversità e variazione il saggio metodologico di Oester-reicher 2001.

3 Mi riferisco ovviamente alla dimensione concreta, non al frequente ,spazio variazionale‘(ted. Varietätenraum) che designa metaforicamente lo sfruttamento delle diverse dimen-sioni di variazione in una data lingua; vedi Oesterreicher 1995.

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una concezione dello spazio stranamente stretta ed artificiale perché costruita conpochi principi molto idealizzanti. Mi pare anche lecito asserire che il successo diquell’approccio (che ha prodotto, oltre a innumerevoli monografie locali, numerosiatlanti linguistici dallo spagnolo fin al rumeno) abbia a lungo bloccato lo sviluppodi altre concezioni spaziali meno riduzioniste e più elaborate.

Questa mia asserzione, che non è per niente un rimprovero (sarebbe un ana-cronismo), esige un’esemplificazione e l’esempio per eccellenza è l’AIS, l’atlantelinguistico che ha fissato lo standard dialettologico per mezzo secolo circa. Si presta anche perché gli autori stessi, gli svizzeri Karl Jaberg e Jakob Jud, hannominuziosamente commentato il loro procedimento metodico in un libro introduttivointitolato Der Sprachatlas als Forschungsinstrument. Kritische Grundlegung und Ein-führung in den Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, (Halle [Saale],1928)4. Questo manuale, pure pieno di utilissimi consigli pratici e di osservazioniempiriche pertinenti, documenta profonde contraddizioni teoriche e incoerenzemetodologiche. Prescindendo dalla distanza storica il lettore contemporaneo, fami-liare con la linguistica varietistica, è stupito dalla mancanza, anzi dal rifiuto diqualsiasi modellazione teorica: Jaberg e Jud toccano esplicitamente diverse dimen-sioni della variabilità linguistica senza accettare (neanche vedere?) la sfida teoricalanciata da quell’immensa quantità di varianti pluridimensionali (come si direbbeoggi) emerse nel corso delle inchieste.

Vengono distinti (passim) con termini specifici i seguenti livelli di variazione:

• il dialetto (Dialekt) detto anche Mundart (parlata) con il composto più specificoDorfmundart 5 (parlata di villaggio);

• il dialetto regionale (regionaler Dialekt/regionale Mundart) 6;• la lingua regionale7;• la lingua standard (Schriftsprache).

Ma l’indagine empirica mira solo al dialetto, inteso chiaramente come complessaarchitettura di sottovarietà diastratiche, diasessuali, diafasiche e diacroniche:

Thomas Krefeld84

4 In italiano: L’atlante linguistico come strumento di ricerca. Fondamenti critici e introduzioneall’atlante linguistico dell’Italia e della Svizzera meridionale.

5 Dialekt e Mundart sono usati in maniera perfettamente sinonima; predomina Mundartcome parola semplice. Dialekt invece viene usato perlopiù in tecnicismi composti (Dia-lektaufnahme, Dialektprotokoll, Dialektforscher ecc.) con la differenza del leggermente piùspecifico Dorfmundart.

6 „[…] le parlate riconosciute come esemplari e dominanti in una regione estesa come quelladi Torino, di Milano, Venezia“ („die in einer grösseren Region als vorbildlich undführend anerkannten Stadtmundarten wie die von Turin, Mailand, Venedig etc.“); 181,n. 1.

7 „Per forma regionale della lingua comune si intende la lingua scritta con una patina provinciale come ad esempio in Francia e nella Svizzera occidentale il francese dettopopolare“ („Unter regionaler Form der Gemeinsprache verstehen wir die provinziellgefärbte Schriftsprache, also z. B. das, was man in Frankreich und in der Westschweiz,Volksfranzösisch‘ [,français populaire‘] nennt“); 182, n. 2.

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(1) Auch die lautl iche Einheit der Dorfmundart ist ein Mythus. Man stelleder Form des Gewährsmannes A nicht die Form des Gewährsmannes B gegen-über, um zu beweisen, dass die Form von A „falsch“ ist. A und B können beide„recht haben“, d. h. beide Formen können an dem in Frage stehenden Orte usuellsein, ohne dass sich die Sprechenden dessen bewusst sind. Sie können einer älterenoder einer jüngeren, einer sozial höheren oder tieferen, der Männer- oder Frauen-sprache angehören. Wer kennt die Sprachgewohnheiten auch seiner engsten Hei-mat ganz? Man beachte auch, dass unsere Gewährsleute meist der älteren Gene-ration angehören, oft aus abgelegenen Weilern stammen und daher hie und daeinen altertümlicheren Sprachzustand repräsentieren als der Durchschnitt derBevölkerung im Hauptdorf der Gemeinde. (Jaberg/Jud 1928, 216)8

Questa intuizione della complessità ed eterogenità varietistica del dialetto è franca-mente moderna e rappresenta una delle innovazioni più importanti di Jaberg eJud; veniva anche operazionalizzata, sebbene al minimo, nell’inchiesta di un solopunto, di Firenze cioè, dove il raccoglitore Paul Scheuermeier ha confrontato imateriali di due informanti che parlano l’uno il fiorentino colto e l’altro quellopopolare9.

Tutto ciò mostra in modo ovvio che i collaboratori dell’AIS avevano perdutopresto, forse sin dall’inizio, la innocenza positivista: i dati resi accessibili dall’at-lante non si spiegano da sé, si tratta di materiale grezzo (Rohmaterial; [238 ss.]) cherisulta dalla scelta, da parte dell’informante, di preferire una tale forma ad altreugualmente disponibili e che esigono perciò necessariamente un’interpretazionevarietistica tramite la quale diventa possibile ricostruire i motivi della scelta; oraquesta ricostruzione ermeneutica, secondo Jaberg e Jud, è compito del lettore (240).Il linguista invece dovrebbe accontentarsi di scegliere il punto d’inchiesta e l’infor-mante per poi affidarsi ai dati forniti.

Si accostano finalmente alla problematica in una specie di ,confessione‘ moltogenerale, quando dichiarano solennemente di aver voluto documentare dialetticontemporanei e non arcaici e puristici (238) e di raccogliere dunque materiale sincronico (239). Vale la pena citare la fine del libro scritta con una enfasi insolita,quasi lirica e molto poco dialettologica.

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8 „[…] Anche l’unità fonetica della parlata del villaggio è un mito. Non si opponga allaforma dell’informante A la forma dell’informante B per dimostrare che la forma di A siafalsa. A e B possono avere entrambi ragione, cioè entrambe le forme possono essere usuali nel luogo in questione, pur non essendone i locutori coscienti. Possono apparteneread una lingua più nuova o più antica, ad una socialmente più elevata o più bassa, ad unadi uomini o di donne. Chi conosce perfettamente le abitudini linguistiche del proprioluogo d’origine? Si osservi anche che i nostri informanti perlopiù appartengono a genera-zioni relativamente anziane, spesso originari di frazioni isolate e perciò rappresentanouno stadio della lingua più arcaico rispetto alla media della popolazione nel villaggioprincipale del comune“ (Jaberg/Jud 1928, 216).

9 Nell’originale si parla di gebildetes und volkstümliches Florentinisch (193, n.1; vd. 176, n. 1).

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2.1. L’intento sincronico di Jaberg e Jud:

(2) Man spricht gern von den ursprünglichen Verhältnissen einer Mundart. Wo fängtdie Ursprünglichkeit an? Es gibt in der sprachlichen Betrachtung keine Bretter-wand, hinter die man nicht schauen darf. „Ursprünglich“ kann bloß heißen „aufeiner älteren Entwicklungsstufe stehend“.Wir wollen aber nicht eine ältere Ent-wicklungsstufe, also nicht die „ursprüngliche“ Mundart, sondern die letzte, diejüngste Entwicklungsstufe, die moderne Mundart mit allen Mischun-gen und Infiltrationen festhalten. Eine genuine Mundart gibt es so wenig wie eseine einheitliche Mundart gibt. „Genuin“ nennt man das, was zeitlich weit genugvon uns entfernt ist, um uns seine Herkunft zu verheimlichen. „Ursprünglich“und „genuin“ wird morgen sein, was uns heute als „jung“ und „importiert“erscheint. Ein Sprachatlas ist mit seinen „jungen“ und „alten“, „aufstrebenden“und „anormalen“ Sprachformen das getreue Abbild des Lebens, in dem Jungeund Alte, Gereifte und Werdende, Herdenmenschen und eigenwillige Drauf-gänger am Webstuhl die Fäden zum bunten Zeitgewebe zusammenfügen. (Ja-berg/Jud 1928, 241)10

In realtà il brano citato non si può considerare una massima di ricerca, non valepiù di una dichiarazione di buona volontà senza utilità metodologica, anzi in flagrante contraddizione con la pratica dell’inchiesta come viene caratterizzata nelpasso (1) citato sopra. Si può ora constatare senza esagerare, che gli autoridell’AIS non hanno saputo o voluto nè sistematizzare nè concettualizzare il lorosapere varietistico; la duplice inchiesta condotta a Firenze, a cui abbiamo accennatosopra (e ancora molto meno quelle altre di Bologna, Venezia e Milano) resta unaneddoto nella storia dell’AIS. Ecco il paradosso fondamentale.

2.2. Lo spazio unidimensionale dell’AIS – e i suoi fondamenti ideologici

È colpito dall’astinenza teorica innanzitutto il concetto di dialetto stesso.Implicitamente si intende che passano per dialettali le forme localmente più speci-fiche, in terminologia moderna: le forme diatopicamente più marcate dai rispettivipunti.

Sulle cartine dell’AIS questi tratti dialettali appaiono poi come i componentistatici che distinguono un luogo geografico (un ponte, una chiesa, un ruscello, una

Thomas Krefeld86

10 „Si parla volentieri delle condizioni originarie di una parlata. Quando comincia l’origina-lità? Nell’osservazione linguistica non esiste alcuna parete dietro la quale non si possagettare uno sguardo. ,Originario‘ non può significare altro che, ad uno stadio anteriorenello sviluppo‘. Noi però vogliamo fissare non lo stadio più remoto, non la parlata originaria, bensì lo stadio ultimo, quello più recente, la parlata moderna con tutte le suemescolanze e infiltrazioni. Una parlata genuina non esiste così come non esiste una parlata unitaria. ,Genuino‘ viene definito ciò che è abbastanza lontano da noi da nasconderela sua origine. ,Originario‘ e ,genuino‘ sarà un domani quello che oggi ci appare giovaneo ,importato‘. Un atlante linguistico con le sue forme moderne e antiche, ,in ascesa‘ e,anormali‘ è la fedele rappresentazione della vita, nella quale giovani e vecchi, maturi eadolescenti, pecoroni e caparbi impetuosi intrecciano al telaio i fili per un variopinto tessuto storico“ (Jaberg/Jud 241).

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roccia ecc.) e forse questa impressione, suggerita dalla tradizione cartografica, èmolto meno superficiale di quanto sembri: nella misura in cui è messa in rilievo laspecificità locale (linguistica e no) spicca il principio dell’autoctonia (in ted.Bodenständigkeit), uno dei valori fondamentali dell’ideologia nazionale. Infattilungo il corso del lavoro esso:

– spiega la scelta degli informanti11,– influisce profondamente sulla scelta dei punti d’inchiesta12,– fonda la concezione monolingue dell’atlante13,– è un criterio di distinzione sociale (vd. infra citazione [4]),– giustifica la scelta di certe varianti perché corrisponde ad una predilezione gene-

rale del dialettologo14.

Poi l’autoctonia è intimamente legata al secondo principio fondamentale dell’atlantequello della ruralità: la stragrande maggioranza delle domande sono orientateverso l’etnografia della vita rurale15. L’atlante raccoglie i nomi p. es. del manicodella falce, del siero del formaggio e del lume a olio, ma non quello del telefono, nédella bicicletta, né dell’elettricità. Perciò il questionario non è veramente adattoalle particolarità della vita urbana benché adoperato nelle inchieste metropolitaneed in tante altre città.

Inutile sottolineare che entrambi i principi (l’autoctonia e la ruralità; vd. (2))entrano facilmente in conflitto con il principio della modernità in generale e dellasincronia linguistica in particolare, soprattutto a livello della scelta dei punti che

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11 „Importante è in ogni caso che l’informante sia nato e cresciuto nel villaggio e che lafamiglia vi risieda da più generazioni“ (191).

12 „Con attenzione all’autoctonia del materiale sono state preferitè località piccole e isolate“ (186).

13 Meriterebbe una discussione più approfondita; come si sa fanno parte della rete dell’AISanche numerosi punti alloglotti (non solo romanzi, come i paesi friulani, ladini, romanci,provenzali e sardi bensì anche quelli albanesi e greci); ma non furono mai raccolti dallostesso informante materiali in due o tre lingue, cioè le varietà italiane dei locutori conmadrelingua alloglotta restavano sconosciute, sebbene una buona parte dei locutori alloglotti, anzi la maggioranza, parlasse già al momento delle inchieste AIS anche una oparecchie varietà italiane. Sarebbe stato interessante documentare anche il calabrese deglialbanesi e così via. Non forniscono informazioni neanche a proposito della competenzabilingue e l’eventuale esistenza di interlingue nei villaggi grigionesi in corso di germanizza-zione (vd. i protocolli dei P 5 Ems/Domat; P 14 Dalin, P 16 Scharans in Jaberg/Jud 1928,39 ss.).

14 „[…] infine non accade troppo raramente che l’informante comprenda la gioia dell’esplo-ratore per l’autoctonia così bene che doti la sua lingua di una patina arcaica“ (215). Sipuò dire che la competenza multipla dei locutori sfugge all’atlante.

15 Si noti tra parentesi che la vita non meno tradizionale né specifica dei pescatori e deiporti in generale manca completamente. Viene con ciò esclusa l’opposizione tra mare ecampagna che è assolutamente fondamentale per l’organizzazione quasi antagonista dellestrutture economiche e sociali dell’Italia litoranea; mi sembra molto probabile che sipossa manifestare anche in divergenze linguistiche.

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costringe il dialettologo a tenere conto del cambiamento economico-demografico;in quei casi conflittuali gli autori decidono quasi automaticamente a sfavore dellamodernità16.

Prima di tutto la scelta variazionale dell’AIS si spiega con l’intenzione legittimadi isolare la dimensione diatopica e di presentare i dati su cartine geografiche tramite una rete di punti; le costellazioni spaziali che ne risultano sono però altamente artificiali; si tratta di costruzioni scientifiche volutamente slegate dallaprassi della comunicazione quotidiana. Gli spazi diatopici che derivano dai mate-riali AIS in pratica non coincidono (e qualora coincidano è solo per caso) con glispazi comunicativi in cui interagiscono realmente i locutori perché non tengonoconto dell’uso del dialetto e più precisamente del ruolo variazionale che vieneeffettivamente attribuito al dialetto nella comunità linguistica locale. È peraltro danotare che manca il concetto di comunità linguistica (o qualsiasi equivalente),come del resto ogni riferimento alla sociologia17.

Pochi anni più tardi, in una relazione tenuta al Collège de France nel 1933, KarlJaberg parla infatti di sociologie linguistique in opposizione alla biologie du langagee un’interpretazione benevola ci potrebbe fare supporre un programma varietisticoche distingua tra linguistica della variazione (biologie du langage) e linguistica dellevarietà (sociologie linguistique):

(3) La biologie et la sociologie se trouvent au centre des préoccupationsscientifiques de Gilliéron. Un Atlas, selon lui, – et nous partageons sa façon devoir – doit rendre compte de la valeur stylistique des mots, de la lutte entre leséléments nouveaux du langage, des causes de la disparition des premiers et dutriomphe des seconds, des réactions que peut avoir sur le système le renouvelle-ment partiel d’un parler, etc. – voilà pour la biologie. Il doit d’autre part fournirdes informations sur la vitalité des patois, sur les rapports entre les parlers direc-teurs – y compris la langue littéraire – et les parlers socialement inférieurs, sur lesmouvements linguistiques, etc. –voilà pour la sociologie. (Jaberg 1936, 19)

Un’interpretazione più critica avrebbe invece sottolineato l’assenza completa delconcetto di variazione e di varietà, nonostante l’uso dei termini diatopici di patoise di parler. L’atlante si contraddistingue per la messa in rilievo del solo aspettoareale del dialetto – e il rifiuto di accettare il suo valore socio-comunicativo; il branoseguente – veramente una citazione chiave della mia lettura – evidenzia che si trattadi un altro filone della stessa trama ideologica, tessuta non solo da autoctonia eruralità, ma anche da indipendenza socio-economica:

(4) Unser Fragebuch ist auf ländliche Verhältnisse zugeschnitten. So ergab es sichvon selbst, dass als Auskunftgeber vor allem Bauern gewählt werden mussten,

Thomas Krefeld88

16 A proposito è molto interessante la discussione della struttura demografica delle vallialpine; vd. 187.

17 L’AIS continua ovviamente sulla scia di Wenker e della dialettologia tedesca (si vedi Krefeld 2002b). Ma nel frattempo la sociologia si era solidamente costituita anche inGermania. I libri fondatori, pietre miliari e per lungo fondamentali, di Tönnies, Simmel,Max Weber conoscevano del resto un grande successo.

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Leute, die wenigstens ein bisschen Landwirtschaft getrieben haben mussten odersolche, die mit den bäurischen Verhältnissen vertraut waren. Selbständig Erwer-bende sind im Allgemeinen Abhängigen vorzuziehen; die schlechtesten Gewährs-leute hat uns das landwirtschaftliche Proletariat der venetischen Ebene geliefert.Je fester der Bauer auf dem Eigenen sitzt, desto sicherer und bodenständiger istauch seine Rede. Soziale Abhängigkeit erzeugt dem fremden Ausfrager gegen-über leicht eine gewisse Unterwürfigkeit, die der Zuverlässigkeit der sprachlichenAuskunft nicht zuträglich ist. Der Explorator wünscht nicht, dass man ihm zweiAusdrücke zur Verfügung stellt mit der höflichen Bemerkung: „Come crede Lei“.Der sozial Abhängige passt sich in seiner Rede dem sozial Höherstehenden leich-ter an als der Unabhängige. Wer annähme, dass die Mundart einer sozialenSchicht umso origineller sei, je tiefer sie in der gesellschaftlichen Hierarchie steht,würde sich täuschen. Der Berner Patrizier spricht ein bodenständigeres Bern-deutsch als der Arbeiter in einem Industriequartier. Grobheit ist nicht mitBodenständigkeit zu identifizieren.Ein ebenso grosser Irrtum wäre es andererseits, Intelligenz und Bildung zu ver-wechseln. Bildung gefährdet den Bestand der Mundart, weil ihr Vehikel dieSchriftsprache ist; Intelligenz drückt sich ebenso gut mundartlich wie schrift-sprachlich aus. Gerade in Italien findet man auch in den untersten Klassen ofteine Begabung, der keine entsprechende Bildung zur Seite steht. Ungebildete unddabei auch unverbildete Menschen von natürlicher Intelligenz stellen nun aberfür den Dialektologen die besten Auskunftgeber dar. (Jaberg/Jud 1928, 190)18

Le „incertezze“ dialettali del proletariato agricolo padano e il dialetto meno basi-lettale degli operai industriali di Berna – indizi di un cambiamento linguistico ,da giù in su‘ – sono altrettanto caratteristici degli spazi rispettivi quanto lo è ladialettofonia più arcaica del ceto superiore. La citazione mostra quasi al microscopio

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18 „Il nostro questionario è stato confezionato sulla misura della campagna. Così risultòsubito evidente che soprattutto i contadini dovessero essere scelti come informanti, genteche avesse praticato almeno un po’ di agricoltura o che avesse dimestichezza con la vitacontadina. Lavoratori autonomi sono in genere da preferire ai dipendenti; il proletariatorurale della pianura veneta ci ha fornito i peggiori informanti. Più il contadino è attaccatoalla sua proprietà tanto più sicuro e autoctono è il suo discorso. Sociale dipendenza produce facilmente nei confronti dell’intervistatore estraneo una certa sottomissione chenon giova all’attendibilità dell’informazione linguistica. L’esploratore non desidera chegli vengano messe a disposizione due espressioni con la gentile osservazione: „Comecrede Lei“. Colui che è socialmente dipendente si adegua nel suo discorso a colui che stapiù in alto nella scala sociale più facilmente dell’indipendente. Chi presuma che la parlatadi una classe sociale sia più originaria quanto più in basso si trovi nella gerarchia socialesbaglierebbe. Il patrizio di Berna parla un tedesco bernese più autoctono di un operaiodel quartiere industriale. Grossolanità non è da identificare con autoctonia.Un’errore altrettanto grave sarebbe quello di confondere intelligenza con istruzione. L’istru-zione nuoce al patrimonio dialettale perché il suo veicolo è la lingua scritta; l’intelligenzasi esprime ugualmente bene sia oralmente sia per iscritto. Proprio in Italia si trova spessoanche nei ceti inferiori un talento a cui non si affianca una corrispondente istruzione.Gente non o poco istruita ma dotata di naturale intelligenza rappresenta per il dialetto-logo la migliore fonte di informazioni“ (Jaberg/Jud 1928, 190).

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come lo spazio comunicativo vissuto sfugga alla dialettologia già per mezzo dellascelta preliminare del dialettologo che è ostile alla variazione sintopica (sullo stessopunto d’inchiesta): „L’esploratore non desidera che …“

Insomma vengono cercati sistematicamente i tipi d’informanti da cui ci siaspetta meno variazione, quelli cioè non coinvolti direttamente nella triade indu-strializzazione-urbanesimo-migrazione. La dinamica linguistica collegata a quellamassiccia trasformazione socio-economica era così sin dall’inizio metodologica-mente esclusa dalla geolinguistica.

2.3. Uno strano complesso: la rimozione della migrazione

È soprattutto la migrazione19 che mette in evidenzia la solidità del blocco ideo-logico; basta dare un’occhiata alla rete dei punti dell’AIS. Non è troppo difficilequesto compito, grazie ai „protocolli d’inchiesta“ con cui vengono brevementecaratterizzati i punti d’inchiesta come gli informanti. Dall’analisi risulta che giànei primi decenni del secolo XX la mobilità della popolazione rurale in cerca dilavoro era una cosa normalissima in gran parte dell’Italia (vd. l’elenco completo ela cartina in appendice). Infatti la scelta dei punti, condotta secondo tutt'altri criteri, rispecchia nondimeno le grandi vie migratorie dell’Italia postunitaria 20 eanche della Svizzera meridionale; si delineano nettamente le pull areas, l’Americadel Nord, l’America del Sud, poi la Francia, l’Austria, la Germania e la Svizzeratedesca, la pianura del Po, e le push areas 21, le zone di montagna, innanzitutto delNord, e particolarmente del Nordest, ma anche il Meridione, a eccezione dellaSardegna, con la Calabria e la Sicilia in prima fila. A volte gli esploratori presentanol’emigrazione esplicitamente come fenomeno sociale tipico del paese, a volte sonogli informanti che hanno vissuto come emigrati e che lasciano supporre almenoindirettamente la rilevanza sociale della mobilità per lavoro. La massiccia presenzadegli emigrati tra gli intervistati resta in ogni caso sorprendente, soprattutto perchécontraddice o indebolisce il principio dell’autoctonia; spesso gli esploratori avreb-bero trovato per caso tali individui perché l’emigrazione era semplicemente unfatto normalissimo, ma presumo che altri informanti si sarebbero imposti per l’acutezza della loro coscienza linguistica, che possiamo supporre senza difficoltà,perché essa si sviluppa spontaneamente con il contatto quotidiano con gente dimadrelingua diversa o anche vivendo in un’altra comunità dialettofona22.

Gli autori dell’AIS si accorgono perfettamente che la migrazione è un motorepotente di dinamica linguistica a livello del repertorio individuale, a livello delcambiamento interno dei dialetti23 ma anche per quanto riguarda gli atteggiamentidei locutori rispetto ai dialetti e che concerne perciò l’architettura delle varietà

Thomas Krefeld90

19 Vd. Krefeld 200420 Vd. le pagine ormai classiche in Tullio De Mauro 1986, 53–63.21 Bade 2000 fornisce un panorama impressionante non solo dell’Italia ma dell’Europa

migratoria dall’ ’800 ad oggi.22 Vd. sulla coscienza linguistica degli emigrati Krefeld 2002a.23 Vd. i commenti sui dialetti dei P 31 e 332 nell’elenco allegato.

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in generale. Ma questo sapere non diventa mai operativo; ci si riferisce in modooccasionale e intuitivo: in alcuni casi giustifica l’emarginazione del dialetto24, in altriinvece la sua conservazione. L’osservazione seguente mi pare particolarmenteinteressante:

(5) Es besteht wohl kein Zweifel darüber, dass in Italien Frauen aus mittleren undunteren Klassen im allgemeinen die zuverlässigsten Vertreter der einheimischenMundart sind, da sie weniger reisen, die periodische Auswanderung meist nichtmitmachen, Einflüssen von aussen weniger ausgesetzt sind als die Männer, in denAlpen oft auch die landwirtschaftliche Terminologie besser kennen als diese. […]Andererseits ist die für die Aufnahme unentbehrliche Kenntnis der Gemeinspra-che bei den Frauen viel weniger verbreitet als bei den Männern. Endlich fühltsich die Frau besonders in Auswandererorten oft als inferiores Wesen, wird auchvom Manne als solches behandelt […] (Jaberg/Jud 1928, 189f.) 25

Qui viene abbozzato come dall’emigrazione, che era una scelta tradizionalmentemaschile, nasca una rivalutazione di certe relazioni e ruoli sociali; colpisce logica-mente le donne costrette a rimanere nel paese d’origine. Dietro il disprezzo per ledonne, che simboleggiano la vita tradizionale in generale, si nascondono sicura-mente nuovi atteggiamenti nei confronti delle varietà autoctone, del dialetto cioè,cui viene associato una ruralità sottosviluppata. – Ma questa interpretazione linguistica, pure molto probabile, non viene offerta dagli autori dell’AIS: hannomancato di confrontare dati e percezioni di entrambi i gruppi, uomini emigrati edonne rimaste a casa.

È inutile discutere tutti i casi analoghi, come per esempio quello del P 760(Guardia Piemontese [CS]), dove viene notata „la vitalità straordinaria del dialettoprovenzale-piemontese“, che viene usato „anche dai figli delle famiglie di GuardiaPiemontese residenti in America“ (vd. l’elenco in appendice); infatti lascia il lettoreperplesso: c’è un nesso logico tra vitalità della parlata locale ed emigrazione? È eventualmente vitale perché il successo economico degli emigrati viene proiettatosul dialetto che usano anche loro (e probabilmente in veste arcaica, più o menoadornato da americanismi …)26? Un’occasione sprecata …

Dialetto, variazione linguistica – e l’AIS 91

24 Vd. i commenti a proposito dei P 715, 728, 791 nell’elenco allegato.25 „Non c’è dubbio che in Italia le donne delle classi medio-basse in generale sono i rappre-

sentanti più attendibili della parlata locale, poiché viaggiano di meno, di norma non partecipano alla periodica emigrazione, sono esposte ad influssi esterni meno degli uominie spesso meglio di questi sulle Alpi conoscono la terminologia agricola. […] D’altra partela conoscenza della lingua comune, indispensabile per la registrazione, è molto meno diffusa presso le donne che presso gli uomini. Infine la donna si sente specialmente neiluoghi di emigrati un essere inferiore, e come tale viene trattata anche dall’uomo“(Jaberg/Jud 1928, 189 sg.).

26 Vd. p. es. De Giovanni 1982, 92.

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3. Lo spazio glossotopico e le varietà

La discussione dell’AIS ci ha portato al di là della storiografia al centro dellalinguistica varietistica attuale, perché dovevamo costatare l’incapacità della dialet-tologia tradizionale di modellare la pluridimensionalità della variazione in generalee la polifunzionalità comunicativa del dialetto in particolare. Ma nonostante questodeficit teorico traiamo un doppio insegnamento dall’AIS che mi spinge ad alcuneosservazioni programmatiche.

3.1. La pluridimensionalità variazionale dello spazio

Per capire come funziona la vita sociale mi sembra fondamentale sapere comeviene organizzato lo spazio, più precisamente come lo spazio sociale viene trasfor-mato in spazio semiotico anzi comunicativo e linguistico27. Ma il linguista coscien-zioso non può affidarsi ai soli tratti linguistici localmente specifici, cioè alla lorodistribuzione spaziale. Il linguista deve anche e soprattutto tener conto del fatto,che la spazialità è una categoria molto più elementare, direi schiettamente trascen-dentale come mostra infatti chiaramente un modello di comunicazione dei piùsemplici: non c’è parlare fuori dallo spazio.

Mettiamo il classico modello jakobsoniano di cui le istanze – tranne il messaggio – ci rimandano direttamente a questa dimensione:

Schema I: modello di comunicazione secondo Roman Jakobson (1963, 214)

contestomittente ……………messaggio………….. destinatario

contattocodice

Il dialetto, oggetto tradizionale della dialettologia, corrisponde alla spazialità delcodice, ma ne rappresenta sicuramente solo un aspetto che chiamo arealità. Sipensi inoltre alla territorialità giuridico-amministrativa della lingua cui appar-tiene e che è più o meno compresente nei luoghi dialettofoni28. Accanto a questaprima dimensione di spazialità distinguo la spazialità del parlante ossia la prove-nienza e poi la spazialità del parlare, ossia la situazionalità. I partner comuni-cativi, il mittente o il locutore e il destinatario o l’interlocutore si incontrano

Thomas Krefeld92

27 Vd. D’Agostino 1997, 2002 e D’Agostino/Pennisi 1995.28 Anche l’organizzazione semiotica e semantica del codice si rivela profondamente condi-

zionata dall’esperienza dello spazio; si pensi alla deissi in generale e a quella personale inparticolare. Questo campo semiotico, essenziale per il funzionamento di ogni lingua, èfondato su relazioni spaziali (riferimento alla posizione degli interlocutori e degli even-tuali referenti reali) che si sono grammaticalizzati in maniera più o meno complessa. Dalpunto di vista cognitivo e antropologico la dimensione dello spazio è ovviamente più elementare della temporalità cosicché le categorie lessicali e grammaticali che si riferisconoal tempo risalgono spesso ad usi metaforici di categorie spaziali.

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in una situazione concreta (contesto) che non è altro che una costellazione spaziale con una distanza fisica specifica, in un luogo pubblico, privato ecc. Dalleparticolarità situazionali dipende direttamente il modo di verbalizzazione e la scelta della varietà; secondariamente influisce sulla qualità del contatto, almenoin comunicazione non virtuale29.

I vantaggi della tridimensionalità spaziale sono ovvi: permettono di focalizzarequei fenomeni caratteristici per certe regioni che sfuggono alla dialettologia e diparametrizzare i processi finora emarginati.

La relativa vitalità del dialetto risulta certamente da un’analisi della terzadimensione ma anche della seconda se si osserva sistematicamente il potere assimi-latore del dialetto, meglio: dei dialettofoni, sul comportamento linguistico dellapopolazione non indigena: In quali condizioni si impara il dialetto del luogo diresidenza e in quali altre si mantiene quello importato?

L’analisi della dimensione 2 mi sembra particolarmente feconda; ne deriva p. es.il grado di omogeneità/eterogenità della comunità dei locutori che costituisce unfattore fondamentale per la distinzione dei diversi tipi di insediamento (zone turi-stiche, strutture urbane e rurali ecc.). Dal confronto di parlanti autoctoni e immi-grati (regionali, nazionali e no) risulta p. es. l’eventuale esistenza di xenoletti, comel’italiano pidginizzato degli operai non italofoni nella Svizzera tedesca30.

3.2. La spazialità della variazione pluridimensionale

Riconoscere la pluridimensionalità variazionale dello spazio chiede in primalinea una’estensione metodica e una complicazione quantitativa della ricerca. Teori-camente molto più esigente è invece l’altra conseguenza che deriva dalle incoerenze

Dialetto, variazione linguistica – e l’AIS 93

29 Lo sviluppo dei media si spiega in buona parte proprio dall’intenzione di sormontare gliostacoli della spazialità della comunicazione che viene infatti radicalmente attenuata neimedia elettronici.

30 Vd. Berruto 1991 e Schmid 1994.

categorie spazio-linguistiche e parametri descrittivi

1. dimensione della lingua: arealità: la distribuzione dei tratti linguistici e le suemodifiche (espansione/riduzione);territorialità: lo status socio-politico dell’idioma(lingua ufficiale)

2. dimensione del locutore: provenienza e mobilità: organizzazione del repertorioed eventuali modifiche (cambiamento della varietà dominante ecc.)

3. dimensione del parlare: situazionalità: distanza relativa degli interlocutori,formalità e pubblicità del luogo

Tre dimensioni della spazialità comunicativa

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di Jaberg/Jud 1928; concerne infatti la fondazione delle varietà in generale edimplica una rivalutazione metodologica della spazialità.

Il problema, che implicitamente veniva già toccato nelle citazioni precedenti (1–5),salta agli occhi quando leggiamo la descrizione di P 985, Cagliari, dalla pennadell’esploratore Max Leopold Wagner:

(6) Cagl iari […]: Die Stadt hat vier Stadtviertel: 1. Castello. 2. Marina. 3. Villanova,wo hauptsächlich die Kleinbürger und Arbeiter wohnen. 4. Sant’Avendrace oderStampace, wo die arme Bevölkerung und viele Fischer wohnen. Im Zentrum derStadt (= Castello und Marina) spricht man das feinere städtische Cagliarita-nisch, das etwa den Angaben des Wörterbuchs von Porru entspricht. Der Ein-fluss des Italienischen ist hier stärker fühlbar. – In Villanova herrscht eine vul-gäre Aussprache, die im wesentlichen der Mundart der um Cagliari gelegenenDörfer entspricht. In Sant’Avendrace ist die Aussprache ebenfalls ländlich mitlautlichen Zügen, die den Mundarten der Sulcis eigen sind. (Jaberg/Jud 1928,139)31

Wagner adopera una doppia opposizione varietistica; ad un livello basilare distingueuna varietà di città, detta urbana (nel centro città: i rioni Castello e Marina) e unavarietà detta rurale (nei rioni periferici della città: Villanova e Sant’Avendrace ma anche nei paesi della campagna circostante). A questa opposizione di naturadiatopica si è sovrapposta un’opposizione diastratica (con ovvie implicazionidiafasiche): mentre la varietà ,urbana‘ e italianizzata passa per essere più elegante32,quella rurale viene chiamata „volgare“, ma solo nella periferia della città – e nonovunque venga usata.

Due aspetti di questa caratteristica del Wagner sono interessanti:

– la stessa varietà diatopica (almeno per quanto riguarda la fonetica) corrispondea due diverse sottovarietà diastratiche secondo il tipo di insediamento;

– la qualificazione di volgare (ted. vulgär) non può essere fondata su tratti linguistici

Thomas Krefeld94

31 „La città ha 4 rioni: 1. Castello. 2. Marina. 3. Villanova, dove principalmente abitano lapiccola borghesia e gli operai. 4. Sant’Avendrace o Stampace, dove abitano invece lapopolazione più povera e molti pescatori. Nel centro della città (= Castello e Marina) siparla il più fine cagliaritano urbano, che corrisponde ai dati del vocabolario del Porru.L’influsso dell’italiano è qui più percettibile. A Villanova domina una pronunzia volgareche corrisponde essenzialmente alla parlata dei villaggi attorno a Cagliari. A Sant’Aven-drace la pronunzia è altrettanto rurale con tratti fonetici che sono propri delle parlate delSulcis“ (Jaberg/Jud 1928, 139).

32 La funzione diastratica del Cagliaritano „urbano“ è confermata dal commento su altridue paesi campidanesi più lontani, dove funziona chiaramente da socioletto; dice il Wagner a proposito di P 973 Villacidro: „Wie in allen Orten des Campidano spricht diebessere Klasse mehr oder minder gut den Dialekt der höhern Stände von Cagliari“(„Come in tutte le località del Campidano la classe migliore parla più o meno bene il dialetto dei ceti superiori di Cagliari“); e l’informante di P 990 Sant’Antioco: „Ist sich desUnterschiedes seiner Ortsmundart und der feineren cagliaritanischen Aussprache wohlbewusst“ („è pienamente cosciente della differenza della sua parlata locale e della più elegante pronunzia cagliaritana“).

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(perché sono „essenzialmente“ identici in entrambe le sottovarietà) e neanchesull’interpretazione dei dati empirici da parte del linguista (dell’esploratore);deriva perciò dagli atteggiamenti negativi dei locutori della varietà di prestigio(„urbana“) che percepiscono le differenze linguistiche tra la propria varietà equell’altra parlata a Cagliari, associandola con il dislivello sociale e lo scarsoprestigio che contraddistingue il ceto dei locutori.

L’attuale linguistica varietistica, specialmente la cosiddetta dialettologia urbanaconferma la normalità della situazione cagliaritana del 1926: la valutazione diver-gente di una stessa varietà secondo il profilo sociale dei locutori che la percepisconosembra essere molto frequente.33 Nondimeno è di primaria importanza per la con-cezione della linguistica varietistica, prova l’impossibilità di stabilire a priori ilvalore varietistico attuale di una forma, un discorso ecc.; questa specificazione èinvece una funzione della spazialità.

Con ciò – e ora dovrebbe essere chiaro – non intendo una gerarchia teorica unilineare tra le dimensioni variazionali (nel senso della nota ,catena variazionale‘che prevede in modo deduttivo la direzione: diatopia → diastratia → diafasia →immediatezza/distanza comunicativa; vd. Koch 2001). Vorrei invece fare il puntosull’impossibilità di ridurre la spazialità alla sola diatopia della lingua che nonsarebbe altro che un corrispondente della geografia.

Gli elementi linguistici non portano nessuna marca varietistica in sé34, sia primaria (diatopica, diastratica o diafasica), sia derivata (marca stilistica che risalgaad una marca diastratica, eventualmente di origine diatopica ecc.); la loro denomi-nazione di origine variazionale non è mai garantita né controllata: tale marcaemerge dallo spazio vissuto35, concreto e tridimensionale in cui si muove il locutore,cioè non è solo un effetto dello spazio che si è costruito il locutore sulle fondamentadel suo repertorio, della rete dei partner, della situazione areale e territoriale ecc.bensì fa parte integrale della sua costruzione spaziale stessa perché influiscedirettamente sul comportamento comunicativo. Fondato sulla prassi quotidiana lospazio vissuto si stacca dallo spazio geografico; due locutori dello stesso luogo,pure strettamente legati – mettiamo una coppia di cui uno lavora altrove (comeaccennato (5)) – vivranno in spazi comunicativi non congruenti, anzi totalmentedivergenti se pensiamo, ad es., ad un emigrato o immigrato che prende parte allacomunità dei locutori autoctoni e dialettofoni grazie alla sua competenza bilinguementre la moglie, venuta più tardi e casalinga, ne resta completamente esclusa ecc.

Di conseguenza si dovrebbero ridefinire l’unità di base e il compito della lingui-stica spaziale se si accettasse pienamente la sfida varietistica. Bisognerebbe allorarinunciare al concetto del punto monolingue (come fa del resto Thun nell’ADDU)e sostituirlo con un costrutto meno idealizzante – lo chiamerei glossotopo 36 – che

Dialetto, variazione linguistica – e l’AIS 95

33 Vd. D’Agostino 1996.34 È questa invece l’opinione di Berruto in 31997, 11.35 Vd. Krefeld 2002.36 Vd. Krefeld 2002a.

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permetta anche di focalizzare la eterogeneità di un punto, vale a dire l’intersecarsidi spazi vissuti diversi (eventualmente plurilingui).

Nello stesso tempo la diatopia, che confronta aree distribuzionali, cederebbe ilposto ad una ,glossotopia‘, ossia ad una tipologia di diversi glossotopi basata –oltre alla raccolta di dati – sulla ricostruzione ermeneutica degli spazi vissuti coin-volti. Sarebbero esemplari p. es. i tipi seguenti: paesi di agricoltura tradizionale,centri turistici, centri industriali (o postindustriali), metropoli (rioni borghesi esobborghi).

Monaco di Baviera, agosto 2004

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Appendice: Presenza dell’emigrazione nell’AIS

Elenco e cartina dei punti d’inchiesta dell’AIS dove gli esploratori hanno constatato un’emigrazione più o meno massiccia e di quelli dove l’informantedell’AIS ha vissuto in emigrazione.

Liguria

P 190 Airole (Prov. Imperia): „Gli uomini emigrano“;

Piemonte

P 109 Albogno (Prov. Novara): Inf. „8 J. […] in una fattoria americana come mungi-tore“;

P 118 Malesco (Prov. Novara): Inf. „2 J. Rimini, 10 anni […] a Rheinfelden [Svizze-ra]“;

P 124 Selveglio (Prov. Novara): „Soggetto dall’età di 14 anni a Saint-Amour (Jura),dove gli uomini della famiglia da 200 anni periodica-mente emigrano. Soggetto lavora da 32 anni conti-nuamente nel comune francese, ogni inverno ritornaal suo villaggio“;

P 128 Nonio (Prov. Novara): Inf. „Dall’età di 32 anni fino ai 46 donna di serviziopresso una famiglia originaria di Nonio che abita nelprincipato di Monaco“;

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P 132 Ronco Canavese (Prov. Torino): „La maggior parte degli abitanti del villaggio emi-grano come vetrai a Parigi, gli uomini dei comunidella valle alta emigrano come conciabrocche nelNord dell’Italia“;

P 133 Vico canadese (Prov. Torino): Inf. figlio in Paraguay;P 142 Bruzolo (Prov. Torino): Inf. „14 anni in Francia; ogni inverno ritorna a

Uase“;P 144 Corio (Prov. Torino): „Nei mesi di novembre e dicembre gli uomini vanno

nella pianura piemonese come pettinatori“;P 150 Sauze di Cesana (Prov. Torino): „Comune: nella valle fertile con coltivazioni di cerali;

ricco. La popolazione maschile emigra specialmentea Marsiglia“;

P 161 Ostana (Prov. Cuneo): „Villaggio montano con forte migrazione verso laFrancia. All’inizio dell’inverno gli uomini vannospesso in pianura come pettinatori. Parlano un gergodi lavoro“;

P 163 Pancalieri (Prov. Torino): Inf. „Per 16 anni all’estero (Europa, Africa e special-mente in Argentina)“;

P 181 Valdieri (Prov. Cuneo): Inf. „Per 2 anni coltivatore e giardiniere nellaRiviera francese […] Per 10 anni a Mentone comegiardiniere“;

Grigioni e Ticino

P 7 Ardez (Grigioni): „Poca emigrazione, prima in Germania, adesso versol’Italia come pasticcieri e commessi in negozi“;

P 31 Osco (distr. Leventina; Ticino): „In seguito all’ingente emigrazione il comune si èlinguisticamente modernizzato“;

P 35 Bivio (Grigioni): „Immigrazione di famiglie bregagliotte di Soglio […]dall’Oberhalbstein“;

P 42 Sonogno (distr. Locarno; Ticino): „Il precedente gergo degli spazzacamini che migra-vano periodicamente è quasi del tutto scomparso“;

P 44 Mesocco (Grigioni): „Ingente emigrazione in Francia“;P 58 Sommaino, Poschiavo: „Prima i Poschiavini migravano come calzolai nell’Ita-

lia settentrionale“;P 70 Indemini (distr. Locarno): „Ingente emigrazione nella Svizzera tedesca“;P 73 Corticiasca (distr. Lugano): „Uomini migrano spesso come muratori nella Sviz-

zera tedesca“;

Lombardia

P 205 Prestone (Prov. Sondrio): „Abitanti spesso lavoratori migranti, durante l’invernoin pianura (spesso come distillatori di acquavite)“.

P 209 Isolaccia (Prov. Sondrio): Inf. „per 40 anni con compaesani alcuni mesi comeboscaiolo a Scanfs (Engadina)“;

P 222 Germasino (Prov. Como): 1° Inf. „Come donna di servizio 15 anni a Milano“,2° Inf. „8 mesi a Londra, 9 anni in Argentina“;

P 224 Curcio (Prov. Como): Inf. „2 anni nell’America del Sud“;P 245 Stabello (Prov. Bergamo): „È stato operaio in Francia (1 anno), a Milano (6

anni), in America (22 anni)“;P 229 Sonico (Prov. Brescia): „Ingente emigrazione“; Inf. „È stato in Francia, in

Australia (5 anni), in Argentina (2 anni), nel Canton

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dei Grigioni (1 anno) come sterratore, panettiere,ma ha parlato anche all’estero la parlata del suo villaggio“;

P 231 Arcumeggia (Prov. Como): „Come tutta la Val Cuvio, che pare moderna, registraanche Arcumeggia, con popolazione povera, un’in-gente emigrazione di uomini come muratori in Svizzera. Ampia mescolanza delle parlate special-mente presso la popolazione maschile“;

P 284 Cremona: Inf. „è stato ripetutamente in America del Sud“;P 299 Sermide (Prov. Mantova): Inf. „3 volte in America (una volta per 6 anni, le

altre per 2)“;

Trentino, Veneto alpino, Friuli

P 307 Padola, Com. Sup. „Gli uomini migrarono prima della guerra come(Prov. Belluno): conciabrocche in Germania, Austria e Svizzera. Sulle

spalle delle donne pesa la coltivazione dei campi. Ledonne hanno chiaramente mantenuto con più tena-cia la parlata più antica.“

P 310 Piazzola (Prov. Trento): „Gli uomini emigrano in Germania e America comesegatori“.

P 311 Castelfondo (Prov. Trento): „Ingente emigrazione verso l’America“;P 313 Penia (Prov. Trento): „Gli uomini emigrano prima della guerra in Ger-

mania, in Austria e in Svizzera“;P 317 Pozzale (Prov. Belluno): „Gli uomini emigrano come minatori, artigiani edili

e venditori ambulanti in tutte le parti del mondo,mentre sulle donne incombe l’intera attività agricola.Grosse difficoltà a trovare un informante adatto“;

P 318 Fori Avoltri (Prov. Udine): „Ingente emigrazione specialmente in Svizzera“;P 319 Cedarchis (Prov. Udine): Inf. „lavorò 7 anni a Aquileia come sarto, 4 anni a

Udine, 4 anni a Cervignano“;P 320 Pejo (Prov. Trento): „Gli uomini girano per l’Italia come venditori di rame

e conciabrocche mentre le donne curano il lavoro neicampi. L’antica parlata è soggetta ad un completo/inesorabile declino.“

P 323 Predazzo (Prov. Trento): Inf. „Muratore in Austria e in Germania“;P 325 Cencenighe (Prov. Belluno): „Gli uomini emigrano come muratori“; Inf. „Come

muratore per alcuni anni in Italia, poi per 23 estatiin Svizzera (perlopiù a Lugano)“;

P 326 Claut (Prov. Udine): „Gli uomini vanno in Germania, Francia, Americacome muratori, artigiani edili. In inverno produconostoviglie di legno, cucchiai e simili che le donne ven-dono porta a porta nell’Italia settentrionale e neivicini territori germanofoni“;

P 327 Forni di Sotto (Prov. Udine): Inf. „4 estati in Austria“;P 328 Tramonti di Sotto (Prov. Udine): „Tutti gli uomini migravano prima verso l’Italia,

l’Austria e i Balcani come conciabrocche e lattonieri;adesso perlopiù come muratori e manovali all’estero“.

P 329 Travasans (Prov. Udine): Inf. „dall’età di 12 anni (ne ha 64) come muratore inAustria, Baviera e Bosnia, ogni inverno ritorna“;

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P 330 Mortaso (Prov. Trento): „Ingente emigrazione; gli abitanti prima andavanospesso come arrotini in Svizzera, adesso piuttostocome operai in America“;

P 331 Stenico (Prov. Trento): „ingente periodica emigrazione di operai invernalicome segatori in pianura“;

P 332 Faver (Prov. Trento): „poveri[…] villaggi che soffrono a causa dell’ingenteemigrazione e che sono linguisticamente moderniz-zati“;

P 333 Citadella (Prov. Trento): „Ingente emigrazione in America“;P 336 Ponte nelle Alpi (Prov. Belluno): Inf. „come muratore alternativamente in Germania,

a Nizza e a casa, ha sempre mantenuto i contatti conla patria“;

P 338 Adorgnano (Prov. Udine): „Ingente emigrazione“;P 346 Tarzo (Prov. Treviso): „durante l’estate manovale in Germania e in

Svizzera“;P 348 Sant’Odorico (Prov. Udine): Inf. „2 anni a Rom, alcuni mesi a Vienna“;P 349 Gorizia (Prov. Udine): Inf. „2 anni a Graz, 1 anno a Pola, poi a casa, nuo-

vamente 6 anni a Graz nella ferrovia, alcuni mesi inAmerica“;

P 352 Tonezza (Prov. Vicenza): „tutti gli uomini emigrano nei mesi estivi come operai in Germania, Svizzera, Francia e America“;

P 357 Ronchis (Prov. Udine): Inf. „per alcuni anni durante i mesi estivi in Germa-nia e Austria“;

P 360 Albisano (Prov. Verona): Inf. „prima del 1914 ha lavorato per 12 anni 1–3mesi a Innsbruck, sempre presso lo stesso mastro“;

P 374 Teolo (Prov. Padova): Inf. „1 anno sterratore in Germania“ (vd. Jaberg/Jud 1928, 39 ss.);

P 375 Gambarare (Prov. Venezia): Inf. „pochi mesi in Austria e Italia settentrionale“;P 385 Cavarzere (Prov. Venezia): Inf. „è stato lunghi anni nell’America del Sud“;

Emilia-Romagna

P 413 (Prov. Parma): Inf. „parecchi anni operaio nella Svizzera tedesca“;P 420 Coli (Prov. Piacenza): „gli uomini emigrano molto spesso in America o

come lavoratori stagionali in pianura“;P 424 Poviglio (Prov. Reggio): Inf. „mattonai in Francia e in Germania durante

l’estate, in inverno sempre a casa“;P 432 Bardi (Prov. Piacenza). „un notevole villaggio, benestante in seguito all’emi-

grazione“;P 453 Villa Minozzo (Prov. Inf. „prima spesso lavoratore stagionale durante iReggio Em.): grandi lavori nei campi in Toscana e nella pianura

padana“;P 464 Sestola (Prov. Modena): Inf. „in gioventù lavoratore stagionale poi come

tagliapietre in Francia, nell’Africa settentrionale,Bulgaria, Romania e America del Nord“;

P 478 Meldola (Prov. Forlì): Inf. „4 volte ha lavorato come manovale in fonderiefrancesi“;

Toscana

P 513 Prunetta (Prov. Firenze): „Gli uomini emigrano spesso come carbonai e mina-tori con le loro famiglie“;

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P 515 Barberino di Mugello Inf. „2 mesi in Germania“;(Prov. Firenze):P 542 Montecatini di Val di Inf. „per alcuni anni minatore nell’Italia settentrio-Cecina (Prov. Pisa): nale e in Francia“;

Marche

P 528 Sant’Agata Feltria (Prov. Pesaro): „5 anni in Alsazia, 15 anni in Tunisia“;P 548 Montecarotto (Prov. Ancona): Inf. „per 14 volte lavoratore stagionale durante la

stagione della raccolta del fieno e dei cereali nellacampagna romana“;

Umbrien

P 556 Loreto (Prov. Perugia): Inf. „1 anno in Svizzera, 2 anni in Francia, per 25anni lavoratore stagionale con altri compaesani inestate nella Campagna Romana e in inverno nellaMaremma“;

P 575 Boara, Trevi (Prov. Perugia): „Gli uomini lavorano come mietitori nella Maremma“;P 576 Norcia (Prov. Perugia): „Gli uomini lavorano come macellai di suini in To-

scana e a Roma“ (Inf. 3 anni in America);

Abruzzo

P 616 Colli, Amatrice (Prov. Aquila): „Gli abitanti emigrano spesso come camerieri, com-messi e personale di servizio a Roma. Molti ospitidelle case di cura trascorrono l’estate nel villaggio.La parlata si avvicina notevolmente al romanesco“;

P 637 Capestrano (Prov. Aquila): „Gli uomini emigrano in America“;P 648 Fara San Martino (Prov. Chieti): Inf. „ha vissuto per due volte 3 anni nell’America del

Nord“; 2 soggiorni di 3 anni ciascuno nell’Americadel Nord:

Lazio

P 633 Sant’Oreste (Prov. Roma): Inf. „soggiorno di 2 anni in Brasile“;P 640 Cerveteri (Prov. Roma): „La maggior parte degli abitanti è immigrata dalle

Marche, dagli Abruzzi e dall’Italia settentrionale“;P 643 Palombara (Prov. Roma): Inf. „4 anni come minatore in America“;

Campania

P 701 San Donato (Prov. Caserta): „dialetto in forte regressione in seguito all’emigra-zione“;

P 712 Gallo (Prov. Caserta): Inf. „3 volte in America (in totale 15 anni)“;P 713 (Prov. Caserta): Inf. „28 anni nell’America del Nord“;P 714 Colle Sannita (Prov. Benevento): Inf. „8 anni nell’America del Nord“;P 724 Acerno (Prov. Salerno): Inf. „circa 20 anni in America“;

Puglia

P 709 Vico del Gargano (Prov. Foggia): Inf. „3 anni e mezzo […]nell’America del Nord“;P 715 Faeto (Prov. Foggia): „In seguito all’ingente emigrazione nell’America del

Nord la parlata locale (franco-provenzale) lentamentesi dissolve e viene adeguata al dialetto pugliese“;

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P 716 Ascoli Satriano (Prov. Foggia): Inf. „7 mesi nell’America del Nord und 5 anni inRomagna“;

P 728 Alberobello (Prov. Bari): „In seguito al vivace traffico di mercato e all’emigra-zione la parlata ha sofferto molto“;

Lucania

P 726 Ripacandida (Prov. Potenza): Inf. „4 anni nell’America del Nord“;P 733 Castelmezzano (Prov. Potenza): Inf. „3 anni nell’America del Nord“;P 742 Acquafredda/Maratea „Ingente emigrazione verso il Sud della Francia(Prov. Potenza): (Montepellier) e il Venezuela“;P 744 Santa Chirico Raparo Inf. „3 anni in Argentina“;(Prov. Potenza):

Calabria

P 760 Guardia Piemontese „La parlata provenzale-piemontese è straordinaria-(Prov. Cosenza): mente vitale. Anche i figli di famiglie originarie di

Guardia Piemontese residenti in America parlano laparlata locale“;

P 761 Mangone (Prov. Cosenza): Inf. „2 anni e mezzo in America“;P 772 Centrache (Prov. Catanzaro): Inf. „6 anni in America“;P 783 Polistena (Prov. Reggio Inf. „6 anni in America“;Calabria):P 792 Ghorio/Roghudi Inf. „19 anni nell’America del Nord“;(Prov. Reggio Calabria):P 791 San Pantaleone „In seguito all’emigrazione in America e al servizio(Prov. Reggio Calabria): militare sono evidenti forti influssi della lingua

scritta“;P 794 Benestare Inf. „1 anno e mezzo in America“;(Prov. Reggio Calabria):

Sicilia

P 817 San Fratello (Prov. Messina): Inf. „4 anni in America“;P 819 Mandanici (Prov. Messina): Inf. „1 anno in America“;P 824 Baucina (Prov. Palermo): „Ingente emigrazione in America“;P 836 Sperlinga (Prov. Catania): „Ingente emigrazione nell’ America del Nord e del

Sud“;P 844 Villalba (Prov. Caltanissetta): Inf. „5 mesi […] in America“;P 859 Mascalucia (Prov. Catania): Inf. „2 anni […] in Messico“;

Sardegna (solo migr. interna):

P 947 Fonni (Prov. Sassari): „Gli abitanti di Fonni migrano per la campagna,specialmente nel Nuorese; per cui la pronunziadell’antica parlata locale subisce il forte influsso diquella del dialetto di Nuoro“;

P 957 Désulo (Prov. Cagliari): „un tipico dialetto misto […] I pastori del villaggiomigrano in inverno con i greggi verso la pianurameridionale. Alcuni uomini vendono porta a portaoggetti di legno di castagno (ventilabri, cucchiai dilegno, madie) per tutta l’isola. Perciò anche la loroparlata ha qualcosa di instabile“.

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