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di Terry L. Hunt E se non fosse stato il degrado ambientale a provocare il olio della civiltà famosa per le e gigantesche statue di pietra? Recenti ricerch PV lppy r; gni anno, migliaia drfuristi di tutto il mondo compiono lunghi voli attraverso il Paci ico me i- dionale per ammirare le,celebri figure megalitiche dell'Isola di Pasqua. È dal 1722, l'anno in cui giunsero i primi europei, che questegrandi statue di pietré,Noai,Affascinano i visitatori. Gli interrogativi su come furono realizzate e trasportate queste opere conduce inevitabilmente a un'altra domanda di difficile soluzione: che cosa accadde alla Popolazione che le costruì? Secondo la ricostruzione più diffusa del /passato dell'isola, gli abitanti— che chiamano se stesti Rapanui e ' ll . sola Rapa Nui— un tempo avevano dato vita a una società fiorente e popolosa, rtia fi- nirono'rierprovocare la propria rovina causando un grave degrado ambientale. In questa versio- ne degli eventi, un piccolo gruppo di colonizzatori polinesiani sbarcò sull'isola intorno all'800- 900 d.C. In un primo momento la popolazione aymentò lentamente, ma verso il 1200 l'aumento demografico e l'ossessione per la costruzione déi moai cominciarono a esercitare una pressio- ne ambientale sempre più forte. Alla fine del XVII secolo, i Rapanui avevano ormai abbattuto tut- ti gli alberi dell'isola, scatenando guerre, carestie e infine il croll9 della loro cultura.

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di Terry L. Hunt

E se non fosse

stato il degrado

ambientale a

provocare il

olio della civiltà

famosa per le

e gigantesche

statue di pietra?

Recenti ricerch

PV lppy r;

gni anno, migliaia drfuristi di tutto il mondo compiono lunghi voli attraverso il Paci ico me i-dionale per ammirare le,celebri figure megalitiche dell'Isola di Pasqua. È dal 1722, l'anno in cui

giunsero i primi europei, che questegrandi statue di pietré,Noai,Affascinano i visitatori. Gli

interrogativi su come furono realizzate e trasportate queste opere conduce inevitabilmente a

un'altra domanda di difficile soluzione: che cosa accadde alla Popolazione che le costruì?

Secondo la ricostruzione più diffusa del/passato dell'isola, gli abitanti— che chiamano se stesti

Rapanui e 'll.sola Rapa Nui— un tempo avevano dato vita a una società fiorente e popolosa, rtia fi-

nirono'rierprovocare la propria rovina causando un grave degrado ambientale. In questa versio-

ne degli eventi, un piccolo gruppo di colonizzatori polinesiani sbarcò sull'isola intorno all'800-

900 d.C. In un primo momento la popolazione aymentò lentamente, ma verso il 1200 l'aumento

demografico e l'ossessione per la costruzione déi moai cominciarono a esercitare una pressio-

ne ambientale sempre più forte. Alla fine del XVII secolo, i Rapanui avevano ormai abbattuto tut-

ti gli alberi dell'isola, scatenando guerre, carestie e infine il croll9 della loro cultura.

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Isola di PasquaPitciirn (Rapa Nui)

IsoleMarchesi

PolinesiaFrancese

KiribatiGalapagos

IsoleMarshall

Samoa

FigiTonga

OCEANO PACIFICO MERIDIONALE

,..-- Nuova Zelanda

Isola di Pasqua(Rapa Nui)

O 1 2 3 Chilometri

elp

2EP

2EP

Jared Diamond, geografo e fisiolo-go dell'Università della California a LosAngeles, ha usato la vicenda di RapaNui come paradigma dei pericoli delladistruzione dell'ambiente. «In pochi secolisoltanto - scrisse in un articolo del 1995per la rivista «Discover» - la popolazionedell'Isola di Pasqua abbatte totalmente leforeste, provocò l'estinzione delle piantee degli animali che le popolavano e videla propria complessa società degenerarein caos e cannibalismo. Seguiremo anchenoi la stessa strada?». E nel suo libro del2005, Collasso. Come le società scelgono dimorire o vivere (Einaudi, Torino), Diamonddescrive Rapa Nui come «l'esempio piùchiaro di una società che si autodistrus-se attraverso uno sfruttamento eccessivodelle proprie risorse».

Due elementi chiave della ricostruzio-ne di Diamond sono il numero elevato diabitanti dell'isola e la loro eccessiva pro-pensione ad abbattere alberi. Passando inrassegna le stime della popolazione indi-gena, lo studioso afferma che non sarebbesorpreso se nel suo momento di massimaespansione Rapa Nui avesse ospitato piùdi 15.000 persone. Una volta tagliate tuttele grandi foreste di palme, le conseguen-ze furono «carestie, crollo demografico ela caduta nel cannibalismo». Quando glieuropei arrivarono, nel XVIII secolo, tro-varono soli resti di quella civiltà.

Diamond non è certo l'unico a vedereRapa Nui come una parabola ecologista.Nel loro libro, Easter Island, Earth Island,John R. Flenley della Massey University in

Nuova Zelanda e Paul G. Bahn si preoc-cupano di ciò che il destino di Rapa Nuiimplica per il resto della civiltà umana.«La cupidigia dell'umanità è senza limiti.Il suo egoismo sembra determinato gene-ticamente... Ma in un ecosistema limita-to, l'egoismo porta a crescenti squilibri dipopolazione, crisi demografiche e infineall'estinzione».

Quando arrivai per la prima volta aRapa Nui per le mie ricerche archeolo-giche, pensavo che avrei contribuito aconfermare questa storia. Al contrario,ciò che scoprii non coincideva con il qua-dro cronologico di quella ricostruzione.Esaminando attentamente i dati di scavi

IL VIAGGIO DELLARTISTA INGLESE

WILLIAM HODGES all'Isola di Pasqua,

awenuto poco dopo il 1770, ispirò

questo dipinto raffigurante alcune

delle ormai celebri statue di pietra.

Ma fu Thor Heyerdahl, antropologo

ed esploratore norvegese,

ad attirare l'attenzione del

grande pubblico sull'isola con

la sua avventurosa spedizione

archeologica del 1955. Anche la

convinzione (errata) di Heyerdahl

che i Rapanui fossero di origine

sudamericana ha contribuito

alla confusione sulla storia

dell'isola. Nella foto qui a fianco,

Heyerdahl a bordo del Kon-Tiki,

la zattera di legno di balsa con

cui navigò dal Sud America alla

Polinesia nel 1947.

archeologici precedenti, condotti sull'isoladi Pasqua e in altri siti insulari del Pacifi-co, compresi che molte delle affermazionisulla preistoria di Rapa Nui era solo spe-culative. Oggi sono convinto che la tesidel disastro ambientale per mano umananon spieghi affatto il crollo della civiltàdei Rapanui.

Le datazioni con il metodo del radio-carbonio sui materiali raccolti durante gliscavi che ho effettuato negli ultimi anni,e i dati paleoambientali a essi collegati,indicano una spiegazione diversa di ciòche accadde sulla piccola isola. La storia,insomma, è più complessa di come vieneraccontata di solito.

RAPA NUI, spesso definita come l'isola abitata più remota del mondo, si trova a oltre 2000 chilometri

di distanza dall'isola di Pitcairn e a più di 3000 chilometri dalla costa del Cile, paese del quale fa

parte politicamente dal 1888.

PUR ESSENDO MOLTO PICCOLA, Rapa Nui è ricca di tesori archeologici. L'autore dell'articolo ha diretto

scavi sulla spiaggia di Anakena, ritenuta sede dei più antichi insediamenti umani. Altri siti importanti

sono i tre crateri in cima ai vulcani spenti Rano Kau, Rano Aroi e Rano Raraku, e la Penisola di Poike. Ipuntini neri indicano i luoghi dove si trovano gli ahu, le basi in pietra delle maestose figure megalitiche.

• La versione più diffusa della storia di Rapa Nui presenta gli abitanti come vittime

di una catastrofe ecologica causata da loro stessi sfruttando eccessivamente le

risorse locali.

• I risultati di nuovi scavi archeologici e di studi di ecologia comparata, tuttavia,

indicano che questa storia potrebbe essere da riscrivere.

• In realtà la popolazione di Rapa Nui non superò mai di molto i 3000 abitanti. Ma,

soprattutto, non fu l'unica responsabile della deforestazione: sarebbe stato il ratto

polinesiano, introdotto da quei primi colonizzatori, a distruggere le foreste di palme.

Probabilmente i primi colonizzatoriarrivarono secoli più tardi di quanto si èsempre ritenuto, e di certo non viaggia-vano da soli. Portavano con sé polli e rat-ti, che servivano come fonti di cibo. Mal'elemento più importante, in realtà, è diche cosa si cibavano i ratti. Questi pro-lifici roditori potrebbero essere stati lacausa principale del degrado ambientaledell'isola. Usare Rapa Nui quale esempiodi «ecocidio», come fa Diamond, è senz'al-tro molto avvincente dal punto di vistanarrativo, ma la realtà della tragica storiadell'isola non è meno interessante.

Le prime indagini

Oltre 3000 chilometri di oceano separa-no Rapa Nui dal Sud America, il continen-te più vicino. L'isola abitabile più prossimaè Pitcairn (quella su cui nel XVIII seco-lo approdarono i celebri ammutinati delBounty), che si trova oltre 2000 chilometripiù a ovest. Rapa Nui è piccola (appena171 chilometri quadrati) e, trovandosi asud del Tropico del Capricorno, ha un cli-ma un po' meno invitante rispetto a molteisole tropicali del Pacifico. I forti venti, chetrasportano goccioline di acqua salata, el'ampia variabilità delle piogge possonorendere difficile coltivare la terra.

La flora e la fauna di Rapa Nui sonolimitate. A parte polli e ratti, i vertebra-ti terrestri sono pochi. Molte delle speciedi uccelli che vivevano sull'isola sonolocalmente estinte. Buona parte dellasua superficie è stata a lungo coperta daforeste di grandi palme del genere Jubaea,anch'esse ormai scomparse. Una recentericerca ha trovato sull'isola solo 48 tipidiversi di piante originarie, comprese le14 introdotte dai Rapanui.

I racconti dei viaggiatori europei chevisitarono Rapa Nui sono stati citati atestimonianza che, all'epoca della scopertadell'isola, nel 1722, i Rapanui erano ormaiin decadenza; ma i resoconti sono abba-stanza contraddittori. Nel suo giornale dibordo, l'esploratore olandese Jacob Rog-geveen, che comandava la prima spedizio-ne europea sbarcata su Rapa Nui, descrissel'isola come desolata e senza alberi. Dopola partenza, tuttavia, sia Roggeveen sia icapitani delle sue tre navi la ritraggonocome un luogo «eccezionalmente fertile,che produce banane, patate e canna dazucchero di rimarchevole grandezza, e

40 LE SCIENZE

458 /ottobre 2006

www.lescienze.it

LE SCIENZE 41

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XII

Tracce di

presenza umana

i i

20 - 8

2

RAPA NUI FU RICOPERTA DA GRANDI FORESTE DI PALME per migliaia di anni. Una specie arborea molto

simile, Jubaea chilensis (sopra, a sinistra), cresce tuttora in Cile e in altre regioni, ma dall'Isola di

Pasqua gli alberi scomparvero nei secoli successivi al suo popolamento. Ancora oggi il paesaggio è in

gran parte spoglio, come mostra la foto dell'area intorno all'Ahu Tongariki (sopra, a destra). Sebbene gli

abitanti dell'isola siano stati in una certa misura responsabili della deforestazione, la causa principale

fu l'enorme aumento della popolazione di ratti polinesiani (a destra), che mangiano i semi delle palme

quindi compromettono il rinnovamento della copertura arborea.

Segni

di deforestazione

E

Sabbia fine

Sabbia media

Argilla e sabbia

Depositi alluvionalie sabbiaArgilla

—o— 20042005

I i I i I i I1000 900 800 700 600 500

Età (anni del radiocarbonio)

GLI SCAVI SULLA SPIAGGIA DI ANAKENA hanno

mostrato che i primi colonizzatori raggiunsero

l'isola solo 900 «anni del radiocarbonio» fa,

un valore che corrisponde al 1200 d.C. circa.

Otto datazioni di frammenti di carbone di legno

scoperti negli scavi sono riportate nella figura

in corrispondenza dei livelli stratigrafici da cui

provengono (i livelli non sono disegnati in scala,

25 -

molti altri tipi di frutti della terra... Que-st'isola è così fertile e il clima così favore-vole che potrebbe essere trasformata in unParadiso terrestre, se fosse lavorata e col-tivata adeguatamente». Nel suo resocontodel viaggio, uno dei capitani di Roggeveenscrisse in seguito di aver visto in lonta-nanza «ampie zone boscose».

Un visitatore europeo del XIX secolo,J.L. Palmer, riferì sul «Journal of the RoyalGeographic Society» di aver visto «gruppidi grandi alberi, Edwardsia, palme da coc-co e ibisco». Poiché le palme da cocco sonostate introdotte sull'isola solo di recente,gli alberi che vide potrebbero essere statipalme del genere Jubaea, ora estinte.

Evidentemente, la documentazione sto-rica è assai lacunosa. E gli stessi ricercatoriche hanno tentato di trovare risposte piùcerte sulla preistoria dell'Isola di Pasqua avolte hanno contribuito alla confusione.

L'errore di Heyerdahl

L'esploratore e antropologo norvegeseThor Heyerdahl, per esempio, visitò RapaNui negli anni cinquanta, diffondendo intutto il mondo l'interesse per i rnoai e legrandi piattaforme di pietra, gli ahu, su cuisono spesso collocati. Ma diffuse anchealcune conclusioni fuorvianti. Heyerdahlera convinto che le isole della Polinesia,compresa Rapa Nui, fossero state popolate

10

da naviganti provenienti dal Sud America,e non dal Pacifico occidentale. Nel 1947organizzò la famosa spedizione del Kon-Tiki, nel corso della quale guidò una pic-cola zattera, fatta di legno e altri materialimolto semplici, dal Perù alle Isole Tu amo-tu per dimostrare che il viaggio era allaportata di navigatori preistorici.

Nel 1955 Heyerdahl diresse una spedi-zione archeologica a Rapa Nui. Sostene-va che la popolazione dell'isola dovesseessere giunta da oriente, e a riprova di ciòfece notare le somiglianze fra i ?mai e lesculture in pietra sudamericane. In segui-to, dati linguistici e genetici hanno dimo-strato senza possibilità di dubbio l'originepolinesiana dei Rapanui, ma le conclusionidi Heyerdahl perpetuano tuttora qualcheequivoco nel quadro archeologico.

Un frammento di carbone di legno sco-perto sulla Penisola di Poike - presumibil-mente il resto di un antico focolare - fudatato al intorno 400 d.C. Insieme all'ipo-tesi allora predominante secondo cui la lin-gua dei Rapanui mostrava una separazionedi molti secoli dagli altri gruppi linguisticipolinesiani, quella datazione indusse moltistudiosi a concludere che l'insediamentoumano nell'isola risaliva al 400 d.C.

Più di recente, però, gli archeologi han-no messo in dubbio la datazione del fram-mento della Penisola di Poike. Altri si sonochiesti se i dati linguistici non rispecchino

semplicemente l'isolamento geograficodei Rapanui, anziché una colonizzazio-ne molto antica. Questa seconda fase diricerche ha permesso di spostare intornoall'800-900 d.C. la data probabile della piùantica colonizzazione umana.

Una storia da riscrivere

Benché sia stato dedicato molto impe-gno al tentativo di stabilire l'epoca del-l'arrivo dei primi abitanti, gran parte dellavoro di ricerca si è concentrata nellostudio dei mutamenti provocati dai colo-nizzatori, con particolare riguardo per ladeforestazione. Il gruppo di Heyerdahl rac-colse campioni di pollini che dimostravanocome un tempo sull'isola le palme fosseroabbondanti. Nel corso degli scavi, inoltre,i membri della spedizione trovarono trac-ce dell'antica presenza di radici, segno chein passato la vegetazione era più diffusa eche la sua scomparsa avrebbe potuto esse-re imputata all'opera dell'uomo.

Le prove più recenti a questo propositosi devono in gran parte a Flenley. Alla finedegli anni settanta e nel corso degli anniottanta analizzò carote di sedimenti prele-vate in tre aree, corrispondenti ad antichicrateri vulcanici: Rano Aroi, al centro del-l'isola; Rano Raraku, adiacente alla cavadove fu scolpita la maggior parte dellestatue; e Rano Kau, situato all'estremità

sudoccidentale dell'isola. Ciascuna di que-ste cavità contiene un lago poco profondodove si raccolgono i sedimenti sollevatidal vento in altre zone di Rapa Nui.

La documentazione migliore fu forni-ta da un carota di 10,5 metri provenienteda Rano Kau, che dimostrava come l'isolafosse stata ricoperta di foreste per decinedi migliaia di anni, ma gli alberi fosseroscomparsi tra 1800 e il 1500 d.C. Tuttaviain seguito Flenley e altri scienziati hannosollevato dubbi riguardo a queste date,che furono ottenute con misure al radio-carbonio dell'età dei sedimenti lacustri. Nel2004 Kevin Butler della Massey University,Christine A. Prior del Rafter RadiocarbonLaboratory e lo stesso Flenley hanno dimo-strato che le carote provenienti da quei sitispesso contengono frammenti di carbonioconsiderevolmente più antichi dell'epocadi deposizione dei sedimenti; questo fapensare che la cronologia inizialmenteproposta da Flenley per la deforestazionecausata dall'uomo potrebbe essere troppoantica, anche di alcuni secoli.

Altre ricerche archeologiche e paleoam-bientali compiute di recente hanno a lorovolta rimesso in discussione quelli chesembravano punti fermi della preistoriadi Rapa Nui. Catherine Orliac del Cen-tre national de la recherche scientifiquefrancese ha effettuato un notevole studiosu 32.960 campioni di legno, semi, fibre

e radici. Oltre a identificare 14 taxa nonriscontrati in precedenza sull'isola, laOrliac ha dimostrato che vi fu un drasti-co cambiamento nella fonte primaria delcombustibile utilizzato dai Rapanui. Tra il1300 e il 1650 d.C. gli abitanti bruciaronolegna ottenuta dagli alberi, ma in seguitoutilizzarono erbe, felci e altre piante similiLa ricercatrice ha però sostenuto anche chealmeno dieci taxa di vegetali di ambienteforestale potrebbero essersi conservati finoall'arrivo dei primi navigatori europei.

In un altro studio, Catherine Orliac haesaminato i resti dei duri gusci che proteg-gono i semi della palma Jubaea. I campionicon tracce di carbonizzazione o di morsi diratto, o che erano stati rinvenuti in asso-ciazione con manufatti, testimoniavano lapresenza umana sull'isola. Datato un certonumero di esemplari, ha rilevato che eranotutti posteriori al 1250 d.C.

Gli ecologi Andreas Mieth e Hans-RudolfBork dell'Università Christian-Albrechtdi Kiel, in Germania, hanno studiato ilprocesso di deforestazione di Rapa Nui.Usando documentazione di varia prove-nienza, ma principalmente dalla Penisoladi Poike, hanno concluso che un tempo lepalme Jubaea coprivano gran parte dellasuperficie dell'isola. La deforestazione, aloro parere, iniziò intorno al 1280 d.C. IRapanui abbandonarono quasi totalmentela penisola nel giro di 200 anni, sebbene ne

oO , , , i i i ,2400 2200 2000 1800 1600 1400 1200 1000 800 600

Età (anni del radiocarbonio)

GLI STUDI PRECEDENTI SU MATERIALI CHE INDICAVANO LA PRESENZA UMANA

sull'isola (come frammenti di carbone di legno, segno dell'accensione di

fuochi) hanno portato alla pubblicazione di 45 datazioni più antiche di 750

anni fa (a sinistra). Tuttavia, quando l'autore dell'articolo ha vagliato questi

dati secondo criteri di affidabilità, sono rimaste solo nove datazioni (le parti

più scure delle colonne), la maggioranza dei quali corrisponde a età vicine

a 900 anni (1200 d.C. circa). L'unica datazione che indicava una cronologia

1200 1000 800 600 400 200

Età (anni del radiocarbonio)

più antica è molto incerta, con un intervallo di date molto ampio, tra il 657 e

il 1180 d.C. Anch'essa, quindi, è compatibile con l'ipotesi che i primi abitanti

siano giunti sull'isola verso il 1200 d.C. Gli studi sulla deforestazione di Rapa

Nui hanno evidenziato segni di attività umana solo a partire da circa 800

anni fa (a destra). Una possibile spiegazione è che prima di quest'epoca la

popolazione fosse scarsa e avesse un limitato impatto ambientale; ma forse

l'isola è semplicemente stata disabitata fino a circa 800 anni fa.

42 LE SCIENZE

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Sbarca un piccologruppo di

,colonizzatori;la popolazione

Inizia lacostruzione

degli ahue dei Inoai

La crescitademografica

provocal'abbattimento

La velocitàdi deforestazioneraggiunge il valore

massirtiti;:la-Popoàzìone

La deforestazione,ormai quasi completa,

scatena guerretra clan, carestie

Sbarcano i primieuropei e trovanouna popolazione

residua dìcresce lentamente delle foreste

a grande scalaurnarta~celitio a

15.000--211.13-00 personecun

demografico2000-3000 persone

Sbarca un piccolo gruppodi colonizzatori;

la pop~ope:0-_escerapielamentée)Iregò

dà iniziò alla èostruzionedegli ahu e dei rnoai

Cronologia riveduta

1250

La crescita demograficacontinua, provocando

- - --...--deforestazioneenerme. _

popoiagieòe,Oirattisi nutre.deisernidi palma,impedeMo il rinnovamento

delle foreste

"

13.50

Viene raggiuntala popolazioht umana

massima, forsedi ci rca.:COttp-ersone;

la défol'estazionecontinua

Lisolaè in gran partepriva di-foreste; arbustied erbe Veetelyo ,-,usat i

c°a l niepO-1 legno;

la popolazionerimane stabile

\<

Sbarcano i primi

europei e trovano. .„u Ina",p0ola-zie ne

di ci rca-3_Cighiergme;rimangono ancora

piccoli tratti di foresta

Versione tradizionale della storia dei Rapanui

1300

I ifp, I

1500 16001400I 40

1680 1722

1700 1800i

i kira i800 90e 1000

y

11100 1200I I I

zE

La popolazione umana raggiunseun picco di poco più di 3000 persone

L'AUTORE

TERRY L. HUNT insegna al Dipartimento di antropologia dell'Università delle Hawaii a Manoa,

dove svolge attività didattica dal 1988. Si è laureato in antropologia all'Università di Auckland,

in Nuova Zelanda, e si è specializzato all'Università di Washington. Da quasi trent'anni Hunt

effettua ricerche archeologiche sul campo nelle isole del Pacifico; attualmente è direttore della

Rapa Nui Archaeological Field School dell'Università delle Hawaii. Questo articolo è stato origi-

nariamente pubblicato su «American Scientist» di settembre-ottobre 2006.

RAPA NUI, VERSIONE 2.0. Nuovi dati inducono a modificare la visione tradizionale uLlia storia di Rapa

Nui. La versione più nota, quella del collasso ambientale, parla di una colonizzazione precoce e di

un picco di popolazione molto elevato (in alto). La cronologia riveduta tiene conto delle datazioni più

recenti, che indicano come l'insediamento iniziale risalga al 1200 d.C. circa (in basso). Secondo questa

versione dei fatti, la popolazione umana non superò mai di molto le 3000 persone, e i ratti svolsero un

ruolo predominante nella deforestazione dell'isola. In questo scenario, la cultura Rapanui non decadde

in maniera significativa fino all'arrivo degli europei. Nell'arco di un secolo e mezzo dai primi contatti,

tuttavia, malattie e schiavitù avevano ridotto la popolazione ad appena 100 persone.

abbiano rioccupato alcune aree tra il 1500 eil 1675 d.C. Nel 2003 il geologo Dan Mannha ottenuto datazioni con il radiocarbonioda frammenti di carbone di legno rinvenu-ti nel suolo di parecchie località dell'isoladocumentando antichi episodi di erosioneche, in base alle misure, avrebbero avutoinizio poco dopo il 1200 d.C. Il suo studio,come quello di Mieth e Bork, indica chela deforestazione avvenne tra il 1200 e il1650 d.C., mentre nel periodo precedentenon vi sono tracce di impatto antropico.

Sia il gruppo di Mann sia Mieth e Borkhanno riconciliato i loro risultati con ilquadro storico tradizionale, ipotizzandoche prima del 1200 d.C. la popolazionedovesse essere scarsa o insediata non sta-bilmente. Solo quando il numero di abitan-ti permanenti aumentò la presenza umanalasciò tracce rilevabili nella documentazio-ne paleoambientale.

Ma questo scenario richiede una pic-cola popolazione fondatrice, con un tassodi crescita lento e un ridotto impatto eco-logico. Dopo aver condotto a nostra voltaricerche a Rapa Nui, io e il mio gruppodi ricerca abbiamo cominciato a chiedercise la scarsità di dati sulla presenza uma-na prima del 1200 d.C. non debba inveceessere intesa in senso letterale: forse ilpopolamento dell'isola avvenne in epocapiù recente di quanto è stato ipotizzato.

I segreti di Anakena

Quando sono andato per la prima voltaa Rapa Nui, nel maggio 2000, non pensa-vo che sarei arrivato a mettere in dubbiotutto ciò che credevo di sapere sul passatodell'isola: anzi, mi sentivo più turista chearcheologo. Ma durante la visita incontraiSergio Rapu, primo governatore di etniaRapanui e mio ex studente, che si era spe-cializzato in archeologia all'Universitàdelle Hawaii, e che mi invitò a effettuarericerche a Rapa Nui.

Quando i miei studenti e io iniziammo ilavori, nell'agosto di quell'anno, mi aspet-tavo di contribuire a dare gli ultimi tocchia una storia ormai ben delineata. Ma, dopoaver riesaminato i dati delle ricognizioniarcheologiche, gli studi sui moai e le provesui mutamenti ambientali, mi sono resoconto che c'erano parecchie lacune nelleconoscenze su Rapa Nui: ogni giorno erosempre meno convinto che fosse già statodetto tutto sulla preistoria dell'isola.

Negli anni successivi abbiamo conti-nuato le ricerche per uno o due mesi all'an-no. Al nostro gruppo si è unito Carl P. Lipo,archeologo della California State Univer-sity. È stato lui a suggerirmi di sfruttarele potenzialità delle immagini da satellite,che abbiamo usato per individuare struttu-re come le strade lungo cui i Rapanui tra-sportarono i moai dalla cava presso il RanoRaraku agli angoli più remoti dell'isola.

Nel 2004 abbiamo iniziato gli scavi nelsito di Anakena. Questa spiaggia di sabbiabianca è senza dubbio il luogo miglioredove avrebbero potuto sbarcare i primicolonizzatori (altrove la costa è per lo piùcostituita da rupi e scogliere). Pertanto lamaggior parte degli antropologi ritiene chenelle zone intorno ad Anakena si trovas-sero gli insediamenti più antichi. La nostraidea era studiare le strategie di sussistenzae i cambiamenti ambientali, senza preoc-cuparci troppo della cronologia, che con-sideravamo già acquisita.

Abbiamo scavato nella sabbia, la cuistratigrafia immacolata è il sogno di ogniarcheologo: l'integrità degli strati è pre-ziosa per stabilire la successione deglieventi in un sito, in senso sia assoluto, siarelativo ad altre serie di avvenimenti. Magli scavi non sono stati facili. La sabbia diAnakena è soffice e non consolidata, sic-ché, dopo aver raggiunto una profonditàdi qualche metro, le trincee diventavanopericolose. Il passaggio di cavalli sullaspiaggia provocava vibrazioni inquietan-ti, e temevamo che qualcuno rimanessesepolto da un crollo.

Finalmente siamo arrivati alla base dellacopertura di sabbia. Nei primi 3-5 centime-tri degli strati argillosi sottostanti abbiamotrovato abbondanti frammenti di carbonedi legno (che testimoniavano l'uso del tuo-

co), ossa (tra cui quelle del ratto polinesia-no, una specie introdotta dai colonizzato-ri) e frammenti di ossidiana con evidentitracce di scheggiatura. Sotto questo livello,non c'era nulla che indicasse una presen-za umana. Il terreno argilloso era invecepercorso da cavità irregolari, che contras-segnavano i punti in cui un tempo si eranoinsinuate le radici delle palme Jubaea.

Evidentemente avevamo scoperto lostrato con i più antichi materiali associatialla presenza umana ad Anakena e, pre-sumendo che quello fosse il sito del primostanziamento sull'isola, potevamo deter-minare con certezza l'epoca di inizio dellacolonizzazione. Perciò fui deluso quandoricevetti un'e-mail dal laboratorio che ave-va effettuato la datazione dei campioni conil radiocarbonio. Sembrava che ci fosse unerrore. I materiali più antichi avevano circa800 anni, e questo implicava che il primoinsediamento risalisse al 1200 d.C., o giùdi lì. Le datazioni dei livelli più vicini alla

superficie erano via via più recenti, il chefaceva escludere la possibilità che i nostricampioni fossero stati contaminati da car-bonio moderno. I risultati erano inspiega-bili, almeno nella ricostruzione convenzio-nale della storia di Rapa Nui.

Un paio di settimane dopo è arrivata lacopia cartacea del referto di laboratorio, eho esaminato nuovamente i dati. Rifletten-doci sopra, ero sempre più convinto che ilproblema non era nei nostri risultati. Neparlai con Atholl Anderson, dellAustralianNational University, che aveva compiutoun'accurata revisione delle datazioni conil radiocarbonio ottenute in vari siti dellaNuova Zelanda e aveva concluso che i pri-mi colonizzatori vi erano arrivati intornoal 1200 d.C., parecchi secoli più tardi diquanto si ritenesse in precedenza. In un

primo momento, la reazione ai suoi risul-tati era stata piuttosto fredda, ma il tempoe ulteriori scoperte gli avevano dato ragio-ne. Forte della sua esperienza, Andersonmi consigliò di affrontare il problema amente aperta e di fidarmi più dei miei datiche delle vecchie convinzioni.

Nel 2005 Lipo e io siamo tornati adAnakena con i nostri studenti e abbiamolocalizzato un altro settore della duna

dove era più facile raggiungere gli stratipiù antichi contenenti resti di occupazio-ne umana. Dopo aver messo a nudo unasuperficie considerevole di terreno argil-loso, abbiamo prelevato altri campioni. Lenuove date relative al livello più profondosono risultate completamente in accordocon quelle ottenute in precedenza.

La cronologia convenzionale era tuttasbagliata? Lipo e io abbiamo esamina-

to criticamente le prove precedenti di uninsediamento umano più antico, valutan-do in base a un criterio di «appropriatezzacronometrica» le 45 datazioni al radiocar-bonio che indicavano una presenza umanaanteriore a circa 750 anni fa

Abbiamo scartato le misurazioni effet-tuate su campioni inaffidabili, come gliorganismi marini, che richiedono correzio-ni per eliminare il contributo del carboniopiù antico proveniente dall'ambiente ocea-nico. E abbiamo escluso anche le datazionisingole, non confermate da una secondaanalisi relativa allo stesso contesto archeo-logico. Considerare solo coppie di datecontribuisce a migliorare l'affidabilità deirisultati. I nostri criteri erano più generosidi quelli usati da Anderson nel suo studiosulla Nuova Zelanda, ma alla fine ci ritro-

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Page 5: di Terry L. Hunt - Katawebdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/2006... · 2011. 9. 16. · 2005, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere (Einaudi, Torino),

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vammo con appena nove datazioni accet-tabili. E, dopo questo vaglio, le prove cheindicavano un primo stanziamento intornoall'800 d.C. sono scomparse nel nulla.

I nostri risultati non concordavano conla ricostruzione più accreditata della colo-nizzazione di Rapa Nui, ma erano in ottimoaccordo con la cronologia della deforesta-zione stabilita da Orliac, Mann e Mieth eBork. Non sembra più accettabile, quindi,supporre che per secoli il popolamentodell'isola sia stato limitato o transitorio.Viceversa, la nostra ipotesi è che l'impattoambientale fosse considerevole fin dall'ini-zio. Lo spostamento al 1200 d.C. circa delladata di arrivo dei primi coloni a Rapa Nuinon è stato l'unico fattore che mi ha con-vinto a rivedere le concezioni tradizionali.Ricerche svolte su altre isole del Pacificoforniscono un parallelo eloquente, e unapossibile spiegazione del deterioramentodell'ambiente di Rapa Nui.

Ratti in paradiso

Per migliaia di anni l'isola fu ricopertada foreste di palme. Lo studio dei pollinidimostra che la palma Jubaea comparvealmeno 35.000 anni fa e resistette a nume-rosi cambiamenti climatici e ambientali.Ma all'epoca dell'arrivo di Roggeveen, nel1722, buona parte di queste ampie distesedi foreste era sparita.

Non è un'osservazione nuova chepressoché tutti i gusci dei semi di palmarinvenuti nelle grotte o nel corso di scaviarcheologici a Rapa Nui recano tracce delmorso di ratti, ma l'impatto di questi ani-mali sul destino dell'isola potrebbe esserestato sottovalutato. Le prove raccolte inaltre isole del Pacifico indicano che i rattihanno spesso contribuito alla deforesta-zione, ed è possibile che abbiano svoltoun ruolo importante anche nel degradoambientale di Rapa Nui.

L'archeologo J. Stephen Athens dell'In-ternational Archaeological Research Insti-tute ha condotto scavi sull'isola di Oahu,nelle Hawaii, scoprendo che la deforesta-zione della Ewa Plain avvenne in granparte tra il 900 e il 1100 d.C.; ma la primadocumentazione della presenza umana inquella parte dell'isola risale solo al 1250d.C. circa. Non vi è alcun fattore climaticoche possa spiegare la scomparsa delle pal-me, ma alcuni dati dimostrano come il rat-to polinesiano (Rattus exulans), introdotto

dai primi colonizzatori, fosse già presentenell'area intorno al 900 d.C. Athens hadimostrato che probabilmente furono iratti a deforestare ampie zone di Oahu.

I paleobotanici hanno evidenziato glieffetti distruttivi di questi animali sullavegetazione anche in altre isole, persi-no in quelle dove è presente una note-vole diversità ecologica, come la NuovaZelanda. Nelle aree dove i ratti vengonoeliminati, spesso la vegetazione ricomparerapidamente. E sull'isola di Nihoa, nellaparte nordoccidentale dell'arcipelago delleHawaii, dove sembra che i ratti non si anomai arrivati, la vegetazione originaria si èconservata nonostante il popolamento inepoca preistorica.

Non si sa se i ratti fossero passeggericlandestini o una fonte di proteine per inavigatori polinesiani, ma senza dubbio aRapa Nui trovarono un ambiente favore-vole: una disponibilità quasi illimitata dialimenti di alta qualità e nessun predatore,a parte l'uomo. In simili condizioni, i rodi-tori si riproducono così velocemente che laloro popolazione può raddoppiare ogni 6-7settimane: da una sola coppia può discen-dere una popolazione di quasi 17 milioni diindividui in poco più di tre anni. Negli annisettanta è stato riportato che sull'atollo diKure, situato nelle Hawaii a una latitudinesimile a quella di Rapa Nui, ma con unaminore disponibilità di fonti alimentari, ladensità di popolazione del ratto polinesia-no era di 112 individui per ettaro. A RapaNui un simile valore corrisponderebbe auna popolazione di oltre 1,9 milioni. Se ladensità fosse stata di 185 per ettaro, chenon è eccessiva considerando quanto fosseabbondante il cibo in passato, la popola-zione di ratti avrebbe potuto superare i tremilioni di individui.

Considerando i dati raccolti in altre areedel Pacifico, pare impossibile che questianimali non abbiano causato un degra-do ambientale diffuso e rapido. Rimaneda determinare quale fu l'effetto relativodella sovrabbondanza di ratti da una partee dall'altra dei cambiamenti provocati daicolonizzatori, che tagliavano alberi permolteplici usi e praticavano l'agricolturacon la tecnica del debbio. A mio parere, visono elementi a sufficienza per affermareche furono i ratti a dare il maggiore con-tributo alla deforestazione.

Nei nostri scavi ad Anakena - come eraavvenuto in altre ricerche archeologiche

- abbiamo rinvenuto migliaia di ossa deiroditori. Sembra che la popolazione delratto polinesiano sia cresciuta rapidamen-te, per poi ridursi fino a scomparire in tem-pi recenti, a causa della competizione conaltre specie di ratto introdotte dagli euro-pei. Dato che quasi tutti i gusci dei semi dipalma scoperti sull'isola mostrano segni dimorsi, se ne deduce che questi roditori untempo abbondantissimi furono effettiva-mente in grado di impedire la riproduzionedella palma Jubaea. Un altro motivo perattribuire responsabilità più pesanti ai rattiche all'uomo è fornito dall'analisi di sedi-

LA SPIAGGIA DI ANAKENA fu probabilmente il luogo

di approdo dei primi colonizzatori di Rapa Nui, ed è

h che l'autore ha condotto i suoi scavi archeologici.

menti prelevati sul Rano Kau, che, come ègià stato accertato per le Hawaii, sembramostrare che il declino della foresta siainiziato prima che gli abitanti facesseroampio uso del fuoco per deforestare.

Una metafora da rivedere?

Quando è arrivata la seconda serie dirisultati delle analisi al radiocarbonio,nell'autunno 2005, stava prendendo for-ma un quadro completo della preistoria diRapa Nui. I primi colonizzatori provenien-ti da altre isole della Polinesia sbarcaro-

no verso il 1200 d.C. La loro popolazionecrebbe velocemente, forse del 3 per centocirca all'anno: un valore in accordo con ilrapido aumento demografico che è statodimostrato in altri siti del Pacifico. Sull'iso-la di Pitcairn, per esempio, la popolazioneaumentò di circa il 3,4 per cento all'annodopo l'arrivo degli ammutinati del Bountynel 1790. Nel caso di Rapa Nui, una similecrescita significa che da una popolazioneiniziale di 50 persone si sarebbe arrivati aoltre 1000 abitanti nell'arco di un secolo. Lapopolazione di ratti avrebbe fatto segnareun boom demografico ancora più rapido,

e la sinergia tra i coloni che abbattevanogli alberi e i roditori che ne divoravano isemi avrebbe condotto a una rapida defo-restazione. Perciò, a mio parere, non vi fuun lungo periodo durante il quale la popo-lazione umana visse in una sorta di idillicoequilibrio con un ambiente fragile.

Sembra anche che gli abitanti dell'isolaabbiano iniziato a costruire i moai e gli ahupoco dopo il loro arrivo. La popolazioneumana raggiunse probabilmente un piccodi circa 3000 persone o poco più intornoal 1350 d.C., e rimase relativamente stabilefino all'arrivo degli europei. Le condizioni

ambientali di Rapa Nui non potevano per-mettere un ulteriore incremento demogra-fico. All'epoca dell'arrivo di Roggeveen,nel 1722, la maggior parte degli alberiera scomparsa, ma la deforestazione nonaveva innescato il collasso sociale, comesostenuto da Diamond e da altri.

Non vi è alcun dato credibile che fac-cia pensare che la popolazione abbia mairaggiunto un valore di 15.000 abitantio più, e in realtà il collasso dei Rapanuifu causato non da lotte tra clan, ma daicontatti con gli europei. Quando Rogge-veen sbarcò sulle coste di Rapa Nui, pochigiorni dopo Pasqua (da qui il nome datoall'isola), portò con sé oltre 100 dei suoiuomini, tutti armati con moschetti, pistolee sciabole. Dopo aver percorso pochi passi,

Roggeveen udì degli spari provenire dal-la retroguardia. Voltandosi, vide 10 o 12indigeni morti e diversi altri feriti. I suoimarinai dichiararono che alcuni Rapanuiavevano compiuto gesti minacciosi. Chevi fosse stata o meno provocazione, l'esi-to dell'incontro non fu certo un presagiofavorevole per gli abitanti dell'isola.

Nel secolo e mezzo successivo si susse-guirono l'introduzione di nuove malattie, iconflitti con gli invasori europei e la ridu-zione in schiavitù: queste furono le causeprincipali del collasso. Poco dopo il 1860,oltre 1000 Rapanui furono deportati dal-l'isola come schiavi, e intorno al 1880 gliabitanti indigeni erano solo un centinaio.Nel 1888 l'isola fu annessa al Cile, paese alquale appartiene tuttora.

La lezione di Rapa Nui

Negli anni trenta del Novecento, l'etno-grafo francese Alfred Metraux visitò RapaNui, e in seguito ne descrisse la fine come«una delle più orribili atrocità commessedall'uomo bianco nei Mari del Sud». Fuquindi un genocidio, non un ecocidio, aprovocare la caduta dei Rapanui. Una cata-strofe ecologica avvenne realmente a RapaNui, ma fu la conseguenza di parecchi fat-tori, e non solo dell'imprevidenza umana.

Sono convinto che oggi il mondo deb-ba fronteggiare una crisi ecologica globalesenza precedenti, e mi rendo conto di qualeutilità possono avere gli esempi storici delleconseguenze della distruzione ambientale.Perciò ho concluso con un certo rammaricoche Rapa Nui non è un modello appropria-to. Ma, da scienziato, non posso ignorare iproblemi impliciti nella ricostruzione con-venzionale della preistoria dell'isola. Errorio esagerazioni nelle argomentazioni por-tate in difesa dell'ambiente generano solorisposte semplicistiche che in definitivanuocciono alla causa. Finiremo per chie-derci perché le nostre semplici risposte nonsono riuscite a fare la differenza di fronteai problemi attuali.

Gli ecosistemi sono complessi, e lanecessità di conoscerli meglio è urgente.Certamente il ruolo dei ratti a Rapa Nuimostra l'impatto potenzialmente disastro-so, e spesso inaspettato, delle specie inva-sive. 11 mio auspicio è di poter proseguirele ricerche su ciò che accadde a Rapa Nui,per apprendere le altre lezioni che questoremoto avamposto può insegnarci.

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