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Spedizione in A.P. Art. 2 - Comma 20/c Legge 662/96 D.C. Vicenza 2-3 Anno LIV - II e III trimestre 2015 Periodico trimestrale delle Suore Dorotee Istituto Farina, Vicenza Italia NELLA LUCE di S.M.Bertilla e di S. Giovanni Antonio

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Spedizione in A.P.Art. 2 - Comma 20/c

Legge 662/96D.C. Vicenza

2-3Anno LIV - II e III trimestre 2015

Periodico trimestraledelle Suore DoroteeIstituto Farina, VicenzaItalia

NELLA LUCEdi S.M.Bertilla e di S. Giovanni Antonio

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Direttore Responsabile: Giovanni Rumor

Direttore di Redazione: suor Emma Dal Maso

Redazione:

suor Mariangela Bassani, suor Elena Scida, suor Adele Requirez, suor Paola Germani, suor Anna Visonà, suor Maria Cappelletto, suor Silvana Miglioranza, suor Valeria Freato, Elisabetta Basso, suor Maria Teresa Thiella

Hanno collaborato a questo numero:

suor G. Proia, Studenti e docenti dell’Istituto Scolastico Farina di Vicenza, suor L. Pigozzo, suor P. Vetere, don Andrea Peruffo, suor C. Posenato

Fotografie:

Archivio Istituto Farina, A.I. Bassani, G. Bassani, A. Tessari, Fototecnica-VI, E. Scida, F. Rizzi, B. Basso, Varvara Khodykina, www.meteoweb.eu, www.wikipedia.org , http://tuttoggi.info/

Riguardo alle illustrazioni, l’Istituto Suore Maestre di S. Dorotea ha richiesto l’autorizzazione degli aventi diritto. Nel caso di irreperibilità resta a disposizione.

Questo numero della rivista copre tutto il periodo estivo. È in preparazione un numero speciale per il primo anniversario della Canonizzazione di san Giovanni Antonio Farina.

Ai lettori: ai sensi della legge n. 675 del 31.12.1996 (legge sulla privacy), si informa che i dati relativi ai lettori della Rivista sono ad uso esclusivo delle Suore Maestre di S. Dorotea per la spedizione del periodico e non verranno ceduti ad uso di terzi

Direzione e Amministrazione:

Istituto Farina, via S. Domenico, 23 - 36100 VICENZA (Italia)

Stampa: Rumor Industrie Grafiche - Vicenza

Autorizzazione: Tribunale di Vicenza, n.154 dell’8-2-1962

Imprimatur: Mons. Ludovico Furian, Vicario Generale Vicenza, 2015

La Rivista “Nelle Luce di S. M. Bertilla” viene inviata gratuitamente a quanti ne fanno richiesta. Essa non contiene pubblicità e si sostiene con le offerte dei suoi lettori che possono essere versate sul c.c.p. n.14467369, via S. Domenico, 23 - 36100 VICENZA (Italia)

Pubblicazione periodica trimestraledell’Istituto delle Suore Maestre di S. Dorotea,Figlie dei Sacri Cuorivia S. Domenico, 23 - 36100 Vicenza (Italia)Telefono 0444/202411 - Fax 0444/316776Sito internet: www.sdvi.orgE-mail: [email protected]

SOMMARIO

Apertura pag. 3 Luci che brillano

Giovanni Antonio Farina pag. 4 L'opera educativa del Farina pag. 9 Un conto aperto pag. 11 Fuoco che non si estingue pag. 12 Una nuova via dedicata a San Giovanni Antonio Farina pag. 13 Uno della grande schiera

S. Bertilla pag. 14 Durante la Guerra (1915-1918)

Arricchire il cuore pag. 18 Giubileo della Misericordia pag. 20 Libertà pag. 22 Pace

Tempo Giovane pag. 23 Mettere in gioco la vita pag. 24 Sulle orme della santità pag. 25 Risorti a vita nuova

Finestra sul mondo pag. 26 100 anni fa pag. 29 Eppure ci sono pag. 31 Giovani e Fede pag. 34 Generare la vita e la crisi

Vita di Congregazione pag. 36 Gita fuori porta pag. 37 Incontro degli adolescenti lavellesi con San Giovanni Antonio Farina pag. 39 Testimonianza degli studenti e di un loro docente pag. 40 Testimonianza di un ex alunno pag. 41 In breve

Nella Luce pag. 42 Grazie sorelle!

Cereda di Cornedo (VI), di fianco alla Chiesa parrocchiale: la cerimonia della

dedicazione di una via nominata a san Giovanni Antonio Farina.

Presiede il Cardinale Agostino Marchetto, alla sua sinistra don Bortolo Crocco,

Parroco di Cereda, e alla sua sinistra Martino Angiolo Montagna, Sindaco di Cornedo.

(continua a pag. 12)

Ricordiamo ai nostri lettori che nella cappella di S. Bertilla

a Vicenza, via S. Domenico 23, ogni primo lunedì del mese

è celebrata una S. Messa secondo le intenzioni dei devoti

della Santa.

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La spinta ad immaginare l’universo divino

come un firmamento ove si accendono infinite stelle, ci viene da Papa Francesco il quale si ri-volge alla Vergine Maria invocandola “Stella del-la nuova evangelizzazione” (Rallegratevi, p.68). Il profeta Daniele ci offre una visione sublime, di vivido fulgore quando afferma che “I saggi ri-splenderanno come stelle per sempre” (12.3). In questo panorama di arcana luminosità brillano anche figure di Suore che hanno camminato sul-le orme del Santo Vescovo Giovanni Antonio: prima fra tutte suor Bertilla, la Santa! Accanto a Lei emergono altre figure, inedite sotto vari aspetti, perché rimaste circoscritte nel tempo. La memoria del loro vissuto però non si è mai spenta nel cuore pulsante della nostra Famiglia religiosa! L’elenco potrebbe essere lungo, ma per ovvi motivi si fa il nome di qualcuna come suor Gemma Bevilacqua, suor Germana Spada e suor Brunella Russo. Non sembra fuori po-sto farle riemergere da un passato relativamen-te lontano della nostra vita di Congregazione. Il loro esempio acquista rilevanza e significato nella scia luminosa della Santità del nostro Pa-dre Fondatore. Suor Gemma, suor Germana e suor Brunella appaiono come riflettori di una santità capace di ispirare stili di vita che si adat-tano ad ogni persona. Esse, pur nella diversità delle loro origini, e mansioni dell’epoca in cui sono vissute, hanno testimoniato la fecondità di una sequela radicale a servizio degli altri.

Suor Gemma Bevilacqua, Confondatrice del-l’“Istituto educativo-assistenziale della Divina Provvidenza “ alla Certosa di Genova, è stata una donna di profonda Fede. La sua vita vir-tuosa, è seminata di aneddoti che rivelano l’in-tervento della Provvidenza divina nei momenti più disagiati dell’esistenza. A volte mancava il necessario per il cibo quotidiano delle giovani ospiti. In questi casi si affidava a Dio e qualche persona, conosciuta o molto spesso ignota, si

presentava all’Istituto per offrire più del fabbi-sogno giornaliero. Amava ripetere alle Suore la “Carità” verso gli ultimi, i “piccoli” e insegna-va a non dimenticare il contesto originario del “povero” per amarlo, comprenderlo, aiutarlo. Anche dopo la sua morte, non ha smesso di in-tervenire in modo tangibile per rispondere alle necessità di coloro che continuano a pregarla.

Suor Germana Spada ha vissuto la sua Consa-crazione totale a Dio con il servizio quotidiano nella cucina di Casa Madre per circa 60 anni. Sue doti preziose erano l’olio balsamico del sor-riso, il sale saporoso della saggezza, il profumo aromatico del silenzio, il pane fragrante della prudenza, l’acqua trasparente della semplicità, i l nutrimento benefico della disponibilità ope-rosa. Parlava a tutte con la sua presenza umile e discreta. La sua memoria è viva in tante Suore che l’hanno conosciuta e il suo esempio rimane come lampada che arde e rischiara.

Suor Brunella Russo rifulge per la mitezza ed un senso di pace che le trasparivano dal volto. Il suo parlare sobrio era intrecciato di “sì” , detti con gioia, a coloro che si rivolgevano a lei per un favore. Il suo servizio nella portineria della Casa Madre, durato circa 50 anni, è espressione di una Carità fatta di pazienza, modestia, acco-glienza serena e cordiale. Per chi bussava alla porta, lei appariva l’immagine riflessa dell’inte-ra Famiglia religiosa! Pensarla, è come sentirsi i l luminare da un faro che non si è mai spen-to. Saperci mettere in ascolto degli echi che ci giungono da lontano, è un segno di grata ap-partenenza a quella identità carismatica che qualifica la nostra Congregazione nella Chiesa. È anche un invito a lasciarci trasfigurare dalla Luce sfolgorante del Cristo risorto per superare le oscurità e il grigiore che talvolta segnano il nostro cammino esistenziale.

suor Giulia Proia

Luci chebrillano

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4S. GIOVANNI ANTONIO

L’opera educativa del Farina

Il vescovo Giovanni Antonio Farina da poco è stato proclamato santo; ciò significa che viene propo-sto come modello di vita per tutti i cristiani a livello di chiesa universale.

Varie sono le categorie di per-sone che possono attingere inse-gnamento al suo esempio di vita, dalla sua esperienza umana e re-ligiosa: i sacerdoti anzitutto e i vescovi (egli fu per 23 anni sem-plice sacerdote e poi per quasi 40 vescovo), ma anche i semplici cristiani hanno molto da impara-re dalla sua parola e dal suo esem-pio e in particolare gli educatori. Noi qui cercheremo di raccoglie-re la nostra attenzione sul Farina come autore di un’opera e di una

riflessione educativa, e come ini-ziatore di un Istituto scolastico di cui siamo gli eredi diretti. Egli ha certamente qualcosa di particola-re da insegnare anche a noi che operiamo nelle sue scuole.

Innanzitutto è bene focalizza-re il contesto storico-sociale in cui egli è vissuto e ha iniziato la sua opera, e di evidenziare la sua opzione a favore dell’educazione della donna. Ciò per conoscere i motivi che lo hanno guidato nel-le scelte ideali e operative e per capire quali di questi hanno un valore perenne e, quindi, costitu-iscono la nostra eredità.

Diamo come scontata la cono-scenza della vita del Farina, ricor-diamo solo: che è nato nel 1803 a Gambellara, in provincia di Vi-cenza, fino a 15 anni è vissuto in

famiglia, o meglio presso lo zio sacerdote che è il suo precettore, poi è entrato in seminario, è stato ordinato sacerdote nel 1827, nel 1851 è diventato vescovo, prima di Treviso per 10 anni, poi di Vicenza per 28 anni, e qui muore nel 1888.

Nel 1831, a 28 anni, il Farina dà vita alla sua prima opera edu-cativa: egli è cappellano nella par-rocchia di S. Pietro, a Vicenza, gli viene chiesto di occuparsi, oltre ai suoi impegni strettamente pasto-rali, anche di una minuscola scuo-la di alfabetizzazione che è appena sorta in parrocchia per opera di un laico, scuola che sta morendo. Egli la riorganizza dandole l’im-postazione di una vera e propria scuola elementare e stabilisce la sua sede in Contra’ S. Domenico.

L’attuale Istituto Omnicompren-

Vicenza, Facciata dell’Istituto Farina all’angolo della Stradella del Romano (foto di Luigi Rumor, 1898)

Vicenza, via S. Pietro, edificio della primaScuola di Carità

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5 S. GIOVANNI ANTONIO

sivo Farina di Vicenza è in continuità diretta con questa prima scuola fon-data da don Antonio, in particolare lo è la scuola elementare, dalla quale sono sorti poi, come polloni da un unico ceppo: l’Istituto Magistrale (negli anni ‘30 del 1900) la scuola Magistrale m(negli anni ‘50) la scuo-la Materna (pure negli anni ‘50) la scuola Media (negli anni ‘60) e il Li-ceo (negli anni '90).

La stessa cosa si può dire del-la scuola di Cittadella (PD) che, fondata dal Farina nel 1846, non ha mai cessato la sua attività e ha esteso la sua offerta educativa con l’apertura della scuola materna già nel 1874.

Contesto storico sociale degli inizi dell’opera del Farina

Diamo uno sguardo alla realtà sto-rico-sociale del tempo in cui è vissuto il Farina per capire il senso e la portata del suo intervento educativo, della sua opera. L’Italia agli inizi del 1800 era divisa in 8 Stati, Vicenza faceva parte del Lombardo-Veneto che era sotto il dominio dell’Austria. La maggioranza del popolo viveva una situazione di grande povertà che sconfinava non di rado nella miseria (per averne un’idea basta ricordare il film di Olmi “L’al-bero degli zoccoli”). L’economia era basata in modo prevalente sull’agri-coltura, i proprietari della terra erano pochi ricchi che avevano grandi pos-sedimenti, essi erano poco interessati a migliorare le condizioni di lavoro dei contadini e le tecniche lavorative usa-te erano arretrate.

Il popolo per lo più era costitui-to da braccianti, mezzadri, fittavoli, alle dipendenze dei ricchi, e da mi-cro proprietari. Tutti costoro vive-vano situazioni pesanti: i braccianti venivano retribuiti con bassi salari e il loro lavoro era discontinuo, i fit-tavoli dovevano versare ai padroni affitti che erano troppo pesanti per le loro magre entrate frutto di duro lavoro; in condizioni peggiori si trovavano i mezzadri specialmente quando il raccolto era scarso, pure i micro proprietari faticavano a cam-pare ed erano sempre esposti ai ri-schi, come gli altri, dell’andamento negativo del tempo.

La situazione era aggravata dal ripetersi delle guerre, dalle malat-

tie e dalle epidemie (come vaiolo, colera, malaria, tifo, pellagra) cau-sate da alimentazione insufficien-te, da ambienti di vita e di lavoro malsani e da mancanza di norme igieniche. In tali situazioni la mor-talità era elevata, in particolare quella infantile.

Non esistevano forme di previden-za sociale contro le calamità naturali come inondazioni, incendi, carestie.

Nelle città c’era chi lavorava come servo o con altre mansioni nelle abitazioni dei ricchi, molti però non trovavano nessun tipo di occupazione e giravano per la città in cerca di qualche piccolo lavoro giornaliero, o anche poche ore, per poter raggranellare qualcosa per

Vicenza, Istituto Farina: educande in cortile con le loro maestre (primi anni del '900)

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6S. GIOVANNI ANTONIO

sopravvivere, per dare un minimo di nutrimento ai figli. Il territorio di Vicenza agli inizi dell’800 si tro-vava, inoltre, a fare i conti con gli esiti di una grave carestia verifi-catasi nel 1815-16 che aveva affa-mato la gente e provocato ondate ricorrenti di epidemie. La gente abbandonava le campagne e afflu-iva nella città alla ricerca di una qualche possibilità di sopravviven-za; in città non si contavano gli ac cattoni e contadini indigenti.

Come ciò non bastasse la città era inoltre funestata da ricorrenti al-luvioni. Anche il settore economico dell’artigianato, che si era sviluppato con la lavorazione della lana e della seta, della ceramica e della paglia, e che aveva fornito pane e lavoro a pa-recchia gente, entrò in crisi.

In tale situazione i figli dei poveri,

con i genitori impegnati per soprav-vivere, erano abbandonati a se stessi, girovagavano per le strade sfaccen-dati ed esposti a tanti pericoli.

Il problema della gioventù era particolarmente vivo anche a Vi-cenza. Lo storico vicentino Gio-vanni Mantese parla di: misere-voli e deplorevoli condizioni di povertà e di immoralità dei ragaz-zi costretti a vivere sulla strada. Il problema preoccupava le autorità civili e religiose le quali cercavano una soluzione senza tuttavia riu-scire a trovarla. Per i giovani del popolo, che erano la maggioranza, non esistevano scuole in città. A dire il vero nella nostra città c’e-rano due classi di scuola, o meglio di alfabetizzazione, ma gli iscrit-ti, e peggio ancora i frequentanti, erano così pochi che la scuola non

aveva alcuna incidenza; meno an-cora nelle campagne.

Tale situazione era tuttavia co-mune al resto d’Italia. Solo i ric-chi potevano pagarsi un maestro in casa per le prime nozioni ele-mentari e poi potevano frequenta-re il ginnasio e il liceo della città o del seminario, le uniche scuole esistenti, e continuare poi con l’università. Accanto al problema dei giovani c’era quello delle fan-ciulle, delle famiglie povere, esse pure abbandonate sulle strade. Senza istruzione ed educazione erano spesso esposte ad ogni sor-ta di pericoli e di disagi. Tra i po-veri erano davvero le più povere, considerate e destinate ad essere le ultime della società.

"Lavandàre" in prossimità del Ponte degli Angeli, sulla sinistra del fiume Bacchiglione(da "Vicenza e il suo paesaggio", pag. 137)

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7 S. GIOVANNI ANTONIO

La situazione della scuola agliinizi dell'800

Nel periodo post napoleonico nei governi dei diversi Stati dell’Ita-lia inizia un certo interesse nei con-fronti della scuola e dell’insegna-mento, ma ci vorranno tempi lunghi perché esso maturi. Lo Stato in cui la politica scolastica venne realizzata in forma più esplicita e coerente fu il Lombardo Veneto.

L’Austria già nel 1818, attraverso un’apposita Risoluzione, aveva dato un’organizzazione alla scuola nel Lombardo Veneto e aveva solleci-tato i Comuni a fondare scuole gra-tuite per il popolo, in particolare: scuole elementari Minori (che com-prendevano due anni) in tutti i pae-si, scuole elementari Maggiori (che comprendevano tre o quattro anni) nelle città e nei paesi più popolosi.

Il loro programma comprendeva:

la Religione, cioè l ’ insegnamento del catechismo e la spiegazione dei Vangeli festi-vi; il leggere e lo scrivere calligra-ficamente; l’arit-metica mentale e scritta; pesi e misure; elementi di grammatica, di ortografia e prime regole per espor-re ordinatamente le proprie idee; nelle scuole femminili inoltre s’inse-gnavano i lavori donneschi più ne-cessari al buon andamento della fa-miglia. Le elementari maggiori che si componevano di tre classi svilup-pavano ad un livello superiore i pro-grammi indicati per la elementare minore, inoltre per i maschi era pre-

visto: lettura del latino e scrittura di questa lingua sotto dettatu-ra, mentre nelle scuole femmi-nili il latino era sostituito dall’e-stensione dei lavori femminili al ricamare, al r a m m e n d a r e , al tagliare ca-micie o abiti, e via dicendo. Le scuole elemen-tari maggiori di quattro anni

estendevano ulteriormente l’inse-gnamento delle discipline previste per i tre anni con lo studio della geometria piana e solida, della geo-grafia, della fisica, della storia na-turale e del disegno. Aveva previsto anche un corso di Metodica per la preparazione di futuri maestri (che comprendeva cinque mesi per inse-gnanti di scuola elementare Minore e di dieci mesi per quelli della scuola elementare Maggiore) il titolo di ac-cesso al corso era quello della scuola elementare Maggiore.

Nella scuola le classi dovevano essere distinte: non era ammessa la coeducazione di maschi e femmine, anche perché per le ragazze erano previsti studi inferiori rispetto a quelli per i maschi. Per la donna la possibilità di frequenza scolastica si fermava a questo punto. Nello Sta-to sabaudo solamente dopo il 1859 fu permesso l’accesso della donna alla scuola post elementare, ma so-lamente alla scuola Normale che

Vicenza, un gruppo di sordomute di fine '800

Educande e suore nei primi anni del novecento; gli edifici dietro i chioschi dei glicini furono demoliti nell'anno 1953 per far posto al nuovo edificio scolastico.

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8S. GIOVANNI ANTONIO

preparava i maestri per la scuola elementare; ed era già molto. Biso-gnerà arrivare alla fine del secolo, precisamente agli ultimi due decen-ni dell’800, perché alle ragazze sia aperto l’accesso ai ginnasi, ai licei, alle scuole e istituti tecnici e all’u-niversità. Per accedere all’insegna-mento universitario si dovrà atten-dere 1900. L’intervento dell’Austria specialmente a favore dell’istruzio-ne del popolo era un passo impor-tante ma, a causa della mentalità del tempo in cui la stragrande mag-gioranza della gente era analfabeta e considerava inutile l’istruzione, per mancanza di soldi da parte dei Comuni, cui spettava il compito e quasi tutto l’onere per l’apertura delle scuole, e per la situazione di crisi economica vigente anche nel territorio vicentino non se ne fece nulla o quasi nulla.

Tant’è che ancora nel 1866, nella diocesi di Vicenza, sul totale della popolazione in età scolare circa il 70 % dei ragazzi era analfabeta, e questa percentuale era molto più alta fra le donne.

La disposizione imperiale però aveva aperto una strada e qualcuno più coraggioso e lungimirante co-mincerà a percorrerla.

La condizione della donna

La donna in Italia, fino alla fine all’800, non godeva di alcuna consi-derazione sul piano civile, cultura-le, politico e perfino giuridico. Per alcuni aspetti la situazione si pro-trarrà fino alla metà del 1900. Tale condizione era comune alla mag-gior parte degli Stati europei.

Suo compito era quello di essere moglie e madre, di curare i figli e

la casa. Qui era racchiuso lo spazio della sua vita e della sua azione.

Si riteneva che l’uscire di casa del-la donna fosse causa di abbassamen-to morale della famiglia. Ella doveva essere soggetta al marito o al capofa-miglia. Non c’era scuola per la donna, neppure quella elementare. Era con-cezione dominante che l’istruzione non fosse necessaria per il popolo e tanto meno per le ragazze del popo-lo, si riteneva anzi che poteva essere per loro un pericolo perché poteva portarle alla vanità, al disgusto della vita umile e laboriosa cui erano desti-nate all’interno della famiglia. Si era convinti che la donna avesse capacità intellettuali inferiori all’uomo. Solo le donne ricche potevano avere una di-screta cultura e una buona educazione nei collegi monastici, ma anche la vita di queste si svolgeva all’interno della famiglia; solo alcune, ma sono una eccezione, hanno avuto un posto di rilievo nella società.

Le ragazze del popolo erano educate dalle madri alla vita cristia-na e a quella domestica per diventa-re buone donne di casa.

Ancora nel 1866, dopo trent’anni dalla fondazione del nostro Istituto che aveva dato un contributo note-vole alla scolarizzazione delle gio-vani, nella diocesi di Vicenza solo il 5% delle ragazze in età scolare frequentava la scuola elementare. Si dovrà giungere alla fine della secon-da guerra mondiale perché alla don-na venga riconosciuta la piena digni-tà e la parità di diritti con l’uomo.

suor Irene De BortoliCosì si presentava l'Istituto nei primi anni del '900: era attraversato da una strada, detta del Romano

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9 S. GIOVANNI ANTONIO

Ho avuto ancora un dono stra-ordinario e meraviglioso dal nostro santo Padre Fondatore G. A. Farina, l'incontro con la fortunata persona miracolata da lui proprio mentre a Roma si festeggiava la sua canoniz-zazione, Giorgio Castagna, sposo di Paola e padre di tre graziosi figli: Eleonora di 11 anni, Filippo di 8, e Matteo di 4. Abita a Pugnello, una frazione di Arzignano (VI). È un paesino situato fra Gambellara e Ce-reda. Anche questo, per noi che co-nosciamo la storia del Santo Farina, dice qualcosa. Ci siamo recate, noi suore di Cereda, a incontrarlo nel-la sua casa, spinte dalle notizie che, voci di popolo e altre fredde notizie diffuse dai giornali locali, erano cir-colate in paese e nelle zone limitrofe.

È stato per me, che vi trasmetto il fatto, un'esperienza di fede straordi-naria; ho percepito il contatto misti-co, ma reale tra il Cielo e la terra, la presenza di Dio tra gli uomini trami-te il nostro Santo Giovanni Antonio Farina. La vicinanza operante del Divino in una normale famiglia, lon-tana dai festeggiamenti e dalla legit-tima esultanza che in quel giorno a Roma la Chiesa, le diocesi di Vicenza e di Treviso, la Famiglia religiosa del-le Dorotee e di quanti lo conosceva-no, tripudiavano con canti, preghie-re e passi di gioia attraverso le vie della capitale e della nostra Italia. Sì, il miracolo è avvenuto proprio nella notte tra il 23 e il 24 novembre 2014.

Lascio Giorgio a raccontare la sua esperienza, direi, a proclamare il suo salmo che canta la grandezza di Dio e la lode che si sprigiona dall'animo, rico-

noscente e stupito, di chi è stato visitato dal Signore attraverso un santo amba-sciatore: Giovanni Antonio Farina.

«Il giorno 3 novembre 2014 ero al lavoro sul mio camion (faccio il magazziniere e camionista), come sia stato, non lo so, non ricordo di essere scivolato o svenuto, o altro, ricordo solo di aver sbattuto poten-temente con la testa nel cemento. Da allora di me non ricordo niente».

Interviene la moglie: «Il soccor-so è stato immediato e il responso, purtroppo altrettanto immediato da parte dei medici: pregate, pregate ... la situazione è grave ... si valuteran-no le conseguenze! Subito in stato di coma, e nella settimana successi-va anche di coma farmaceutico, mio marito segnava un progressivo ap-piattimento del cervello. L'angoscia e il dolore mi prendevano sempre di più. Mi sentivo però sorretta dalla

preghiera di tante persone special-mente della mia comunità parroc-chiale. - "quante preghiere, quanti rosari ... quante ore di adorazione" - aggiunge la suocera lì presente.

Anche i bambini della scuola ma-terna di Arzignano, frequentato dal mio nipotino, pregavano.

Suor Angiolita aveva consegnato a mia sorella l'immagine di s. G. A. Farina dicendo: "Pregate, dite tre Gloria ogni giorno, anche noi pre-ghiamo per voi. A Roma lo stanno facendo Santo ... ".

Per la verità, io questo Santo non sapevo nemmeno che esistesse. Ho sentito parlare della scuola Farina, ma pensavo che fosse semplicemen-te il nome della scuola. Comunque ho accettato l'immaginetta e messa nella borsa. Più il caso si aggrava-va, più invocavo l'aiuto del Signore, della Madonna, di s. Antonio di Pa-dova e un po' di quanti mi potevano aiutare. Quando la situazione di mio marito sembrava ormai insolvibile, sono caduta nella disperazione, ho avuto un momento nero, domandan-domi perché proprio a Giorgio, in fondo ha sempre fatto del bene alla famiglia, alla parrocchia e a quanti avevano bisogno, ... sì ho dubitato di Dio, ho dubitato ... Era domenica, 23 novembre. Il mattino del 24 cor-ro all'ospedale di Arzignano, come il solito, e mi accorgo che Giorgio mi guarda con uno sguardo vivo, presente, mi riconosce, mi saluta ... Stupita, mi interrogo e gli dico pre-cipitosamente: "Sei tornato? .. oh .. appena ti sarai ripreso andremo a ringraziare S. Antonio"».

Un conto aperto

G.A. Lamuscio: olio su tela di san Giovanni Antonio Farina

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S. GIOVANNI ANTONIO 10

Riprende Giorgio: «No! è san Gio-vanni Antonio Farina che mi ha guarito».

Furtivamente estraggo dalla bor-sa la sua immaginetta, e lui: «Sì, pro-prio questo, Giovanni Antonio Fari-na» e mi racconta dettagliatamente tutto quello che gli era capitato nella notte, senza ovviamente rendersi conto che era notte.

«Si è parato davanti a me un muro di nebbia, vedevo solo il monte Pasubio, i combattimenti della prima guerra mondiale, i feri-ti, i dispersi" …poi indietreggiando alquanto, ho visto il mio caro papà deceduto 8 anni fa' al quale ho chiesto come stesse, "Bene - mi ha risposto - ma qui fa tanto freddo". Subito dopo intravvedo un sacer-dote vestito di rosso che mi veniva incontro. lo non sapendo chi fosse, sono rimasto perplesso e titubante; mi sono permesso di chiedere: "Chi è lei?" E lui. "Giovanni Antonio Farina". lo non sapevo cosa dire perché non lo conoscevo e non ne avevo mai sentito parlare. E lui alza la mano, mi benedice; io faccio il se-gno della croce, poi egli si gira per andarsene, ma prima di scomparire si volta ancora verso di me dicendo: "Devo andare perché mi aspettano in un'altra parte". In quel momento ho sentito in me una forza e un'e-nergia inspiegabile, .. non riuscivo a parlare, ma mi sentivo guarito, ritornato ad essere me stesso, rico-nobbi mia moglie e quando lei mi ha mostrato l'immaginetta del San-to l’ho riconosciuto subito: È lui che è venuto a trovarmi».

Racconta la moglie: «È stato in

quel momento che mio marito è uscito dal coma e ha incominciato a rendersi conto di ciò che gli era successo; si domandava infatti per-ché si trovava all'ospedale e perché era legato. Voleva alzarsi da solo e ha strappato i polsini che lo teneva-no stretto per impedire pericolosi movimenti ... Ha ricominciato ad essere presente a se stesso la notte del 24 novembre. Ora non segna nessuna conseguenza del grave trauma cranico e del preoccupan-te ematoma che gli aveva messo in grave pericolo la vita e, nel caso di sopravvivenza, mi dicevano i medi-ci" avrebbe avuto delle serie conse-guenze. Invece lui parla, ricorda, si muove, cammina, è davvero ritor-nato a vivere».

«Sì, sono ritornato alla mia vita, però sento che è un'altra vita, una vita salvata, ridonata. Che forte esperienza ho fatto! E comprendo

quanto è grande il mistero di Dio, e chi sono io, proprio a me!?...»

"Ora per gli interventi subiti alla testa e per le molteplici fratture alla colonna vertebrale deve portare il busto per alcuni mesi per irrobusti-re e rinsaldare le molte vertebre frat-turate e il suo fisico tremendamente provato. Continuano i controlli me-dici e ad ogni visita o lettura o con-fronto dei vari referti con l'iniziale diagnosi, all'unanimità, la prima espressione dei medici è: "È andato dalla Madonna di Monte Berico?".

Riprende Giorgio: «Appena mi sarà possibile andrò a Vicenza, in via Domenico, dal Santo Giovanni Antonio Farina, perché ho un con-to aperto con lui, che non mi ha più abbandonato. Avverto in continua-zione la sua presenza protettrice, lo sento vicino a me».

a cura di suor Adriana Falaguasta

La famiglia Castagna di Pugnello di Arzignano (VI)

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11 S. GIOVANNI ANTONIO

Fuoco che non si estingue

In una sua lettera alle suore Madre Emma definisce il Padre Fondatore: un chiamato che diviene chiamante e ciò per la sua ricchezza di santità. Il suo fuoco interiore emana dalla sua intima relazione con Dio Padre, con il Figlio e con lo Spirito Santo, con i qua-li Egli è entrato in comunione sempre più profonda nell’interno del Tempio.

Anche Mosè, nel Roveto Arden-te, vede l’amore di Dio che brucia senza estinguersi; sente la voce di Dio che lo chiama per nome, riceve un mandato da Dio, deve far sapere a tutti “che Dio è” e opera segni e prodigi per la salvezza del suo popo-lo. Anche noi come Mosè siamo state convocate dallo Spirito di Dio a pe-netrare e a vivere la realtà del Roveto Ardente. Sostando davanti all’Euca-ristia, fuoco d’amore, veniamo edu-cati dallo Spirito Santo a dare amore a Gesù. La conseguenza è che più ci apriamo, più Egli si dona a noi, più bruciamo d’amore per Lui e più que-sto amore è capace di incendiare noi e altri cuori, ecco “il dono prezioso che abbiamo e possiamo condivide-re con gli altri”. In ciò sta la nostra azione vocazionale. Abbiamo ancora nei nostri cuori l’eco della Canoniz-zazione di Giovanni Antonio Farina. Più volte anche S. Giovanni Paolo II nei suoi ultimi anni aveva pregato e

sofferto per la Chiesa, per animarla a un rinnovato slancio di preghiera, di santità, di comunione e di annuncio. Aveva invitato i cristiani, in partico-lare i consacrati, a sostare davanti al “Roveto Ardente”, in un’adorazio-ne incessante davanti al Santissimo Sacramento, e ci aveva invitato a “ritornare al Cenacolo”. Unite nella contemplazione del mistero Eucari-stico, troviamo la spinta a compiere tutte quelle azioni che la vocazione specifica ci invita a fare. Li richiamo brevemente, cercando di interpre-tarli nelle vita di ogni giorno:

– camminare... ossia andare ver-so gli altri in pienezza di carità. Per noi gli altri sono tutte le persone che incontriamo nella comunità, nella scuola, nella parrocchia, nelle carce-ri, tra i malati e gli anziani, …

– crescere… nella santità della vita moltiplicare gli inviti ad amare il Signore, a dedicarci agli altri,…

– andare frettolose, ossia superando gli ostacoli che sulla strada ci frenano e ci fanno perdere occasioni preziose

– andare e tornare… presso il ta-bernacolo per rinfrancarci e, a volte, anche per curare le nostre ferite.

Ecco lo sguardo pieno di speranza che dovrebbe illuminare la nostra fede, la nostra vocazione, la nostra missione.

C.S.T.

ALLE SUORELe suore ricordino l’obbligo di accendere sempre più quel fuoco di carità che Gesù Cristo portò sulla terra (Regole per le suore, 1846).

A TUTTI I FEDELIScendi dal Tabernacolo, Signore, vieni in noi. A te aneliamo come cervo che desidera l’acqua, come campo che domanda la pioggia. Dacci il pane, riversa la manna, accendi il fuoco, con te siamo tutto, senza di te siamo niente. Colmi di te saremo anche sempre con te (Omelia aD 75, Pasqua 1871).

AI SACERDOTIBuoni operai del Signore, confortatevi ripensando che di tutte le cose divine, la divinissima è proprio quella che voi fate: cooperare con Dio nella salvezza delle anime. Confortatevi: l’opera vostra è graditissima a Dio. Ma bisogna saper trattare un’opera così divina in modo divino, e per poter far questo, oltre le ordinarie quotidiane pratiche della vita spirituale, abbiamo bisogno dell’aiuto straordinario degli Esercizi spirituali. Venite, venite a gustare le sante delizie della solitudine. Ne usciremo tutti irradiando fuoco di carità e di zelo (Lettera pastorale 30 luglio 1870).

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12S. GIOVANNI ANTONIO

Una nuova via dedicata aSan Giovanni Antonio

All’ombra del campanile del-la Chiesa Parrocchiale di Cereda (Vicenza), luogo caro e carico di affetti per la Famiglia di San Gio-vanni Antonio, si è celebrata, la domenica 19 Aprile la cerimonia di dedicazione di una particolare via proprio al nostro Santo.

È la “Salita San G. Antonio Farina”, una scalinata che risale del costo e raggiunge la Chiesa parrocchiale della comunità cere-dese, fatta costruire dal sacerdote Don Antonio Farina, zio del no-vello Santo e parroco di Cereda per quasi 20 anni.

Lungo il suo percorso sono dislo-cate le stazioni della Via Crucis che fanno di questa “salita” non solo una via per raggiungere il centro del pa-

ese, ma anche un cammino “verso il cielo” del cuore.

La cerimonia si è svolta con la

presenza del Vescovo Agostino Mar-chetto e delle autorità civili, del Par-roco e della Superiora Generale suor Emma Dal Maso e delle sorelle della comunità religiosa lì presente e ope-rante da più di una decina d’anni, e con la festosa vicinanza e partecipa-zione dei numerosi parrocchiani e di una piccola rappresentanza di suore provenienti da Casa Madre.

Tale segno esprime il desiderio condiviso della cittadinanza e dei cristiani che qui vivono di rima-nere strettamente legati al “loro” Santo, che su questa terra ha po-sato i suoi passi da giovane semi-narista e dove ha celebrato la sua prima Messa.

Possa la benedizione di San Gio-vanni Antonio scendere abbondan-temente su questa comunità parroc-chiale e su quanti percorreranno la sua “salita” verso la santità!

suor Anna VisonàCereda (VI): l'arcivescovo Agostino Marchetto benedice la nuova via.

Cereda (VI): la nuova via dedicata a San Giovanni Antonio Farina

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13 S. GIOVANNI ANTONIO

Quando nell’estate del 2014 le Suore Dorotee della mia parrocchia dettero notizia della prossima cano-nizzazione del già Beato Giovanni Antonio Farina, loro fondatore, ri-masi piacevolmente sorpresa, come se questa fosse avvenuta troppo velo-cemente. Sembrava ieri aver parteci-pato alla sua beatificazione in piazza S. Pietro, invece sono passati 14 anni in preghiera e approfondimento sul-lo stato delle sue opere geniali e di grande carità attuate nella sua vita terrena. Per noi della parrocchia di “S. Lucia” di San Giovanni in Fiore, in Calabria, il santo Giovanni Anto-nio è stato e sarà sempre il Fondato-re dell’Istituto delle Suore Maestre di S. Dorotea figlie dei Sacri Cuori, operanti nella nostra cittadina fin dal lontano 1976. Abbiamo conosciuto la spiritualità di questo Santo attraverso le attività pastorali, educative e cari-tative svolte dalle sue Figlie, quando dettero risposta positiva all’S.O.S. lanciato dall’allora parroco Padre Antonio Pignanelli, per lavorare in una realtà diversa da quella usuale e si può dire lanciate in una missione evangelica e di promozione umana coinvolgente ed entusiasmante.

La parrocchia era agli inizi, non c’era l’edificio della chiesa, ma loro hanno tanto lavorato nel costruire una Chiesa di pietre vive svolgendo attività:

a) pastorali e catechismo nelle scuole;b)caritative (non c’era allora la

Caritas ma la casa delle Suore era un centro di ascolto e un punto di raccol-ta, dove arrivava di tutto per essere distribuito ai poveri;

c) assistenza agli ammalati, non c’era l’o-spedale e la loro casa era un vero e proprio ambu-latorio a cui tutti facevano ricorso per qualsiasi ne-cessità.

Il carisma e la spiritualità del Santo Fondato-re è stato fatto conoscere a tutti tramite le attivi-tà educative e ne sono testimonianza le diverse chia-mate vocazionali femminili all’ordine religioso delle Dorotee: suor Angela Cimino, suor Paola Germani, suor Paola Sciarrotta, suor Rosa Veltri, e vocazioni alla vita presbiterale: Fra Emilio Morrone, Fra Salvatore Verar-di, Fra Mario Cimino, Don Gianpiero Belcastro e ultimo il seminarista Eu-genio Giorno. Altro punto di aggre-gazione è stato e continua ad essere il coro parrocchiale, sorto dapprima come coro polifonico. In tempi passa-ti lo stesso ha riscosso grandi successi sotto la direzione di una suora che ha permesso la partecipazione annuale al Raduno Regionale dei Cori Polifoni-ci della Calabria. Da sempre le suore hanno indicato e raccomandato al po-polo di Dio l’Adorazione Eucaristica (esiste il Gruppo del Movimento Eu-caristico) come la fonte da cui attin-gere forza e coraggio, e le preghiere al loro Fondatore quale intercessore presso Dio Padre, fiduciose di avere

già un santo in cielo.Infatti, nel viaggio di ritorno da

Roma, dopo aver assistito alla canoniz-zazione in piazza S. Pietro, numerose sono state le testimonianze espresse dai fedeli; molti lo avevano già invocato in necessità particolari. Di grande rilievo è stata la testimonianza della signora Fati, che ha voluto essere presente a questo grande avvenimento assieme al marito per la grazia ricevuta dallo stesso per aver potuto evitare un in-tervento molto delicato alla gamba. Di tutto diamo lode al Signore, di poter continuare il nostro cammino di fede con l’attuale parroco Don Emilio Sala-tino e la collaborazione di due suore e sotto la protezione del santo Giovanni Antonio Farina, adottato dal popolo calabrese e facente parte della schiera dei santi anche della Calabria, insieme a san Nicola da Longobardi, canoniz-zato anch’egli il 23 novembre 2014.

Una parrocchiana

Uno della grande schiera

La parrocchia "S. Lucia" di Giovanni in Fiore (CS)

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S. BERTILLA 14

Durante la Guerra 1915-1918

In occasione del Centenario della Grande Guerra, offriamo ai nostri let-tori un brano della vita di santa Bertil-la, di come lei visse e condivise la tra-gedia di molti italiani. Il brano è tolto dalla biografia “SANTA MARIA BER-TILLA” scritta dalla nostra carissima suor Cecilia Vianelli.

… mese di maggio 1915. Da quasi un anno l'Europa è in piena tormenta di fuoco e di sangue. L'Italia setten-trionale, il Veneto in particolare, ne è travolta, e i bombardamenti degli aerei nemici gettano spavento nella popolazione e il panico nell'ospedale di Treviso. A quest'epoca Suor Bertil-la ha 26 anni e mezzo; le restano da vivere ancora sette anni, sotto gli at-tacchi di un male interno che in cer-te ore l'opprime. Non è più il tempo in cui il lavoro nell'ospedale si svolge senza paura né pericolo! Seguiamola durante questi anni di tormenta e ve-diamo come ella sa tenere alto l'ideale dell'infermiera religiosa accanto ai fe-riti. Possiamo dire che ella è stata ve-ramente l'angelo della pace in mezzo ai terrori della guerra.

Non pensiamo che una persona della sua indole, fisica e morale, non abbia molto sofferto delle circostanze in cui la guerra la costrinse a trovar-si. Era così sensibile e così timida per natura! Ma gli anni terribili misero in evidenza l'ammirabile carità del suo cuore e la sua grande forza d'animo.

Leggiamo nel suo piccolo notes: «In questo tempo di guerra e di terrore io pronuncio il mio: - Ecce venio! - Ec-comi. o Signore, per fare la tua volontà,

sotto qualunque aspetto si presenti, di vita, di morte, di terrori; eccomi, o Gesù, a tua disposizione per vivere e per mori-re nell'amplesso del tuo divino volere. Volontà del Cuor di Gesù, disponete del mio cuore». Si presentò un'occasione di mettere in pratica queste belle paro-le; suor Bertilla, sempre ben ancorata al solido e al concreto, seppe realizzare nella condotta quello che aveva trac-ciato con la penna.

Le dame della Croce Rossa presta-vano volentieri il loro aiuto all'ospeda-le di Treviso sovraccarico di malati, ed ora anche di feriti di guerra. Alcune tra loro, come altra volta Marta a Be-

tania, «si inquietarono e si agitarono per troppe cose» e vollero fare secon-do il loro modo di vedere. Tutto non procedeva secondo il loro gradimento nell'ospedale e nel reparto dove suor Bertilla era infermiera responsabile. Queste dame incolparono dunque lei di tutti gli inconvenienti. Tali incon-venienti dovevano essere reali; il mo-vimento continuo dei malati rendeva quasi impossibile lo svolgimento rego-lare e tranquillo delle operazioni ospe-daliere, come in tempo di pace. Se nel reparto di S. Bertilla qualche cosa non appariva perfetta, la colpa non era di nessuno, e tanto meno sua. Si doveva,

Pagina autografa di un suo piccolo notes: «In questo tempo di guerra e di terrore io pronuncio il mio: - Ecce venio! - Eccomi. o Signore, per fare la tua volontà, sotto qualunque aspetto si presenti, di vita, di morte, di terrori; eccomi, o Gesù, a tua disposizione per vivere e per morire nell'amplesso del tuo divino volere. Volontà del Cuor di Gesù, disponete del mio cuore»

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S. BERTILLA15

anzi, a lei se le cose andavano meglio che altrove, perché tutta si prodigava, quanto e come meglio poteva, come la sua ardente carità, il suo altissimo senso del dovere richiedevano. Ma il malcontento, aumentato forse dal pettegolezzo, cresceva e la superiora, stanca di osservazioni, critiche e rap-porti, pensò di porvi un rimedio radi-cale: nominò come responsabile del reparto un'altra religiosa, giunta da poco all'ospedale, senza alcuna prati-ca della routine giornaliera.

«Adesso lei basta - dice la superio-ra a suor Bertilla; - capo ufficio sarà questa!» «Sì, superiora, rispose suor Bertilla, grazie!». La nuova infermiera supplicò suor Bertilla di aiutarla con i

suoi suggerimenti e consigli, per poter accontentare il meglio possibile i me-dici, i malati, le dame. L'umile Bertilla soffocò ogni risentimento, continuò il suo lavoro in sottordine, ubbidendo semplicemente e aiutando come se nulla fosse avvenuto, come se di nulla si risentisse. Nessuno neppure imma-ginò la tempesta terribile del suo spi-rito. Ella andava ripetendo a se stessa il ritornello dei suoi giorni antichi: «Io non valgo niente, io sono un’oca, non capisco niente» (Proc. 348, 359).

Dal suo diario

È il suo piccolo notes che la rivela a noi: tutto riempito in questo tempo di

riflessioni e di propo-siti che ce la dipingo-no al vivo. Per esem-pio, il 3 aprile 1917, scrive: «oggi io voglio, costi quel che costi, sollevare l'ardente sete di Gesù, con l'essere sempre uguale a me stessa, per quanto io debba soffrire, sia in-ternamente che ester-namente». Lo stesso proposito all'indoma-ni il 4 aprile: «Voglio vivere unita a Gesù coll'essere uguale a me stessa, in qualunque incontro». E il 5 apri-le: «Oggi voglio ve-gliare continuamente su me stessa e in ogni occasione abbando-narmi tutta nel Cuo-

re del mio Gesù, sempre uguale a me stessa, e amare tanto ... tanto Gesù!».

Tutto conduce a credere che la lot-ta interiore doveva essere aspra, per-ché ella scrive di nuovo il 7 e l' 11 apri-le: «Sabato 7. Voglio oggi vegliare su me stessa continuamente, su tutti quei nonnulla che mi succedono, ma che il mio amor proprio ingrandisce tanto, ed essere sempre uguale a me stessa, uni-ta continuamente al mio caro Gesù». - «Mercoledì 11. Bisogna proprio per necessità che io soffra che sia contrad-detta, e che sempre unita a Gesù, sia uguale a me stessa; oggi, Gesù mio, aiutami che sono proprio risoluta».

Una sorella le domanda come può trovare il tempo di scrivere i suoi pro-positi. Ella risponde che lo fa dopo avere stesa la lista del vitto per i ma-lati: «Non lascio neppure la penna e di seguito scrivo il proposito» (Proc. 315). (Era un consiglio suggerito in Novi-ziato quello di scrivere un pensiero, una risoluzione, dopo le sue devozioni del mattino, e lei voleva essere anche in questo fedele).

Treviso è bombardata

I bombardamenti aerei sconvol-gono sempre più frequentemente la città e l'ospedale, di giorno e di notte. Bisogna trasferire gli ammalati gravi e portarli al sicuro. Suor Bertilla dice alla superiora: «Non stia in pensiero, Madre, per me, il Signore mi dà tanta forza che la paura non la sento neppu-re» (Proc. 300).

Intona il Rosario ad alta voce e lo recita con gli ammalati durante

Treviso: la facciata dell'Ospedale S. Leonardo colpito da una bom-ba austriaca nel febbraio 1918 (dalla Rivista ULSS di Treviso)

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16S. BERTILLA

i momenti più terribili, movendosi continuamente presso l'uno o presso l'altro, per dare un po' di caffè o di marsala ai più spaventati. Dodici o tredici anni dopo un'infermiera, Rosa Vanzo, testimoniava ai Processi: "Du-rante il periodo delle incursioni aeree, quando si dava in città il segno della sirena, e si spegneva la luce elettrica, noi infermiere portavamo giù le infer-me che potevano essere trasportate, al rifugio finché il pericolo fosse finito. Le ammalate che non potevano essere trasportate restavano nei camerini, as-sistite da qualche suora più coraggiosa. Suor Bertilla era una di queste, anzi, credo che avesse meno paura di tutte, perché non solo si fermava nella sala propria, ma durante la notte quando capitava di dover mettersi in salvo, ella correva nel suo reparto e se ne stava lì senza paura. Quando veniva dato l'allarme, essa, se non era di guardia, correva subito al suo posto, conduceva

o portava giù, aiutata da altri, secondo il caso, i malati. Se ce n'era qualcuno di grave, bisognoso di assistenza, gliela prestava nel rifugio stesso, caso con-trario, si fermava in sala a far coraggio a quelli che vi erano rimasti. Non ho mai notato, né prima né dopo l'incur-sione - neppure quando una bomba colpì la facciata dell'ospedale - il mini-mo turbamento in suor Bertilla. Con-servò sempre il suo abituale contegno, la voce tranquilla. lo le chiedevo come non avesse paura; mi rispondeva: "Eh! vuoi avere paura? Io non ho paura ... quello che vuole il Signore!"» (Proc. 299, 300).

Più esposto delle altre parti dell'o-spedale era il lazzaretto, con una buo-na sessantina di ammalati assistiti da tre suore. Il padiglione era staccato dall'ospedale, situato vicino al nodo ferroviario di Bivio-Motta, e quindi particolarmente bersaglio dai nemi-ci, che miravano ad interrompere il

traffico dei treni. I bombardamenti avevano scosso i nervi delle religiose più ancora dei muri dell'edificio; bi-sognava pensare ad una sostituzione. La superiora pensò alla piccola suor Bertilla. «Le domandai - testimoniò ai Processi - se si sentiva la forza di passare al lazzaretto. Rispose: "Tanto volentieri, superiora! - Ma, io le dis-si, ho tanta paura suor Bertilla!. .. - "Non pensi a me, rispose, mi basta di poter essere utile!"» (Proc. 308).

Andò dunque al lazzaretto e con l'incarico di responsabilità. «Suor Bertilla - testimonia un'infermiera ai Processi - non perdette mai il suo sorriso, né la sua abituale serenità, quantunque nei momenti di spavento per lo scoppio delle bombe, si faces-se pallida come la morte. «Coraggio! - diceva ai malati - Gesù ci aiuta!". Vedendola sotto l'imperversare degli aeroplani nemici, mentre trasportava i malati dalla sala alla Chiesa attra-versando lo spazio scoperto, le gri-davo dietro: "Per carità! Restiamo bruciate in mezzo al cortile!". Ma lei continuava il suo pietoso lavoro di trasportare malati al sicuro, senza ba-dare al pericolo. "Gesù ci aiuta!" mi ripeteva» (Proc. 165-166).

La superiora telefonava dall'ospe-dale al lazzaretto dopo una nottata di incursione. Una suora le rispondeva dandole gli opportuni ragguagli ed aggiungendo sempre elogi all'intrepi-do coraggio di suor Bertilla, la quale, nonostante lo spavento che provava, visibile dal suo pallore mortale, si adoperava a condurre i bambini in chiesa, ove li faceva pregare dicen-do: «Qui c'è Gesù, non abbiamo pau-

Ospedale d'isolamento del comune di Treviso (da una litografia del primo '900)

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17 S. BERTILLA

ra!» Ma la superiora a volte, voleva parlare con suor Bertilla stessa: «Ma non ha paura? -le chiedeva. - Ah! - rispondeva - direi una bugia se dicessi di no. Ma il Signore mi dà molta for-za; abbiamo pregato con i bambini in chiesa» (Proc. 350).

Tale è la personalità irraggiante dei Santi. La loro energia morale non dimi-nuisce nelle circostanze più difficili. Tut-to il contrario. Si rafforza sempre più.

I malati vengono trasferiti

Alla fine del 1917 1a situazione era diventata insostenibile all'ospedale e negli edifici annessi... si dovette sgom-berare. Un primo gruppo di malati e di suore, seguito subito dopo da un se-condo gruppo, cercò rifugio nell'Italia

meridionale, a Napoli. Il terzo, ed ultimo - e più numeroso - partì il 9 novembre diretto a Villa Raverio, un pa-ese della Brianza. Suor Bertilla seguì questo gruppo, che contava più di duecento amma-lati. Il viaggio fu molto penoso: alcuni malati morirono per via, altri dovettero essere rico-verati negli ospedali lungo il tragitto ... «Le suore non ne potevano più - dice la superiora ai Processi - e mi fu necessario accordar loro un po' di riposo. Anche in quella occasione, suor Bertilla fu il mio rifugio. La pre-gai di attendere essa agli ammalati per

qualche tempo, ed ella lo fece allegra-mente come il solito. "Sì, sì poverette, dia alle mie consorelle qualche cosa, per me c'è sempre tempo!" (Proc. 309). Ma la superiora nota che suor Bertilla non sta bene: le parla di visite mediche, di cura ... «So cosa vuol dirmi - risponde - ma creda. superiora, che i miei disturbi non m'impediscono di disimpegnare il mio dovere. Non mi sento tanto male, e del resto, non ho bisogno di medici. Stia tranquilla che, se ne avessi biso-gno, glielo chiederò» (Proc. 310).

A Villa Raverio nuova separazione: alcune suore furono mandate a Nervi, sulla riviera ligure, altre a Bellagio, sul lago di Como, altre a Viggiù, in provin-cia di Varese. A Viggiù in un sanatorio militare, fu destinata suor Bertilla.

Vi rimase dodici mesi, tutto l'anno 1918. Qui l'attendevano prove duris-sime: era la salita del calvario che si apriva davanti a lei.

suor Cecilia VianelliViggiù (VA): così si presenta oggi l’ex-albergo Prealpi che fu Ospedale Militare (foto di F. Rizzi)

Viggiù (VA): lapide-ricordo all’interno dello stabileche fu Ospedale Militare

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18ARRICCHIRE IL CUORE

Giubileo della Misericordia

Abbiamo ormai imparato a cono-scere Papa Francesco, la sua affabilità, i suoi gesti di vicinanza alla gente e la sua pastoralità creativa (di “fantasia della Carità” parlava Papa Giovanni Paolo II nella Novo Millennio ineun-te). Ma forse l’indizione di un Giubi-leo ha sorpreso un po’ tutti!

Già nel 2015 la Porta Santa della Basilica di San Pietro tornerà ad aprirsi, senza attendere il 2025. E subito dopo quelle delle altre tre basiliche maggiori di Roma. Torna il tempo delle indul-genze e del pellegrinaggio. Convoca-to da papa Francesco l’11 aprile con la bolla Misericordiae vulnus «sarà un Giubileo straordinario che avrà al suo centro la misericordia di Dio», il tema portante del suo pontificato.

L’apertura sarà il prossimo 8 di-cembre, solennità dell’Immacolata: “L’Anno Santo si aprirà l’8 dicembre 2015, solennità dell’Immacolata Con-cezione. Questa festa liturgica indica il modo dell’agire di Dio fin dai primor-di della nostra storia. Dopo il peccato di Adamo ed Eva, Dio non ha voluto lasciare l’umanità sola e in balia del male. Per questo ha pensato e voluto Maria santa e immacolata nell’amore (cfr Ef 1,4), perché diventasse la Ma-dre del Redentore dell’uomo. Dinanzi alla gravità del peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono. La mi-sericordia sarà sempre più grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona. Nella festa dell’Immacolata Conce-zione avrò la gioia di aprire la Por-ta Santa. Sarà in questa occasione una Porta della Misericordia, dove chiunque entrerà potrà sperimentare

l’amore di Dio che consola, che per-dona e dona speranza” (MV 3).

Nella solennità dell’Immacolata celebreremo anche i cinquant’anni dalla chiusura del Concilio, una coin-cidenza non causale ma che, come

spiega una nota della Sala Stampa vaticana, è elemento che «acquista un significato particolare spingendo la Chiesa a continuare l’opera inizia-ta con il Vaticano II».

Papa Francesco ha affidato l’orga-nizzazione del Giubileo al Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione «perché pos-sa animarlo come una nuova tappa del cammino della Chiesa nella sua missione di portare ad ogni persona il Vangelo della misericordia». Secondo

il presidente del Pontificio Consiglio, monsignor Rino Fisichella, l’Anno Santo straordinario ha come obietti-vo specifico “la missione prioritaria” della Chiesa: essere segno e testi-monianza della misericordia in tutti gli aspetti della sua vita pastorale”. Questo giubileo, cioè, vuole aiutarci a vivere la misericordia non solo come “dimensione spirituale” ma come aspetto fondamentale della “vita con-creta della Chiesa”. Siamo certo molto contenti che ci venga offerto un anno della Misericordia: è bello pensare che Dio, la Chiesa, gli altri sono mise-ricordiosi con me, ma la medaglia ha sempre due facce: in questo anno io sono chiamato ad essere misericordio-so con gli altri, a farmi Misericordia per i miei fratelli! Non dimentichia-mo che il termine misericordia deriva dal latino misèreo che significa “ho pietà” e cordis, “cuore”, ed esprime il sentimento di compassione e pietà per l’infelicità degli altri che induce a soc-correre e a perdonare. Misericordia è dare il nostro cuore agli altri. Perciò la misericordia sarà elargita a noi in questo anno, sarà Grazia e dono ma dovrà essere anche nostro impegno! Così si esprime Papa Francesco nella Bolla di indizione: “Gesù afferma che la misericordia non è solo l’agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma, sia-mo chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia. Il perdono delle offe-se diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un imperativo da cui non possiamo prescindere.

Il logo del giubileo della misericordia,opera di padre M. I. Rupnik

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19 ARRICCHIRE IL CUORE

Come sembra difficile tan-te volte perdonare! Eppure, il perdono è lo strumento po-sto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici. Accogliamo quindi l’esor-tazione dell’apostolo: «Non tramonti il sole sopra la vo-stra ira» (Ef 4,26). E soprat-tutto ascoltiamo la parola di Gesù che ha posto la miseri-cordia come un ideale di vita e come criterio di credibilità per la nostra fede: «Beati i misericordiosi, perché trove-ranno misericordia» (Mt 5,7) è la beatitudine a cui ispirarsi con particolare impegno in questo Anno Santo” (MV 9).

Più volte papa Francesco ci ha spinto ad uscire, ad an-dare, a non restare chiusi nel nostro egoismo… ma egli non ci invia lontano, anzi ci chiama a restare dove siamo, ad accorgerci delle periferie che ci circondano. E non è un caso se indi-cendo l’Anno Santo Straordinario il papa vuole che tale evento sia vissuto con “un’attenzione particolare alla vita delle singole Chiese e alle loro esigenze”, al punto che ogni diocesi potrà aprire la propria Porta Santa, meglio chiamata “Porta della Miseri-cordia”. Perciò nessuno sarà escluso da questo cammino … nessuno potrà sentirsi non chiamato! “È mio vivo desiderio che il popolo cristiano ri-

fletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spiritua-le. Sarà un modo per risvegliare la no-stra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli. Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli af-

famati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i fo-restieri, assistere gli ammalati, vi-sitare i carcerati, seppellire i mor-ti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consi-gliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti” (MV 15).

Siamo convinti che il tema del-la Misericordia con la quale Papa Francesco ha immesso la Chiesa nel cammino giubilare potrà esse-re un momento di vera grazia per tutti i cristiani e un risveglio per continuare nel percorso di nuova evangelizzazione e conversione pastorale che il Papa ci ha indi-cato. Mi piace concludere questa riflessione presentando il logo del Giubileo, che è opera di padre Marko Ivan Rupnik: rappresenta il Buon Pastore che “con estrema misericordia si carica l’umanità, ma i suoi occhi si confondono con quelli dell’uomo” a significare che

Gesù vede con gli occhi di Adamo e questi con gli occhi di Gesù. Solo così potremo realizzare il motto che accompagna l’icona: "Misericordiosi come il Padre". Solo se siamo miseri-cordiosi come il Padre anche la nostra vita, come i tre ovali concentrici, di colore blu progressivamente più chia-ro verso l’esterno, saranno un cammi-no con il cuore aperto che ci porterà fuori dalla notte del peccato.

suor Elena Scida

Madonna della misericordia, olio e tempera su tavoladi Piero della Francesca

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20ARRICCHIRE IL CUORE

Libertà

L’estate è per molti di noi l’occa-sione per cambiare il ritmo normale delle giornate e succede più facil-mente di trovarci ad organizzare delle esperienze, dei momenti liberi da par-ticolari impegni. Sono le tanto deside-rate vacanze! Per alcuni è stimolante, per altri è solo una fonte di ansia in più il chiedersi: “Come mi organizzo l’estate, le vacanze?”. Spesso poi si caricano questi momenti di molteplici aspettative con il rischio che tutto fini-sca in una grande delusione.

Mi soffermo però sul fatto che in questi frangenti ciascuno di noi spe-rimenta maggiormente il suo essere libero da impegni e scadenze. Cosa vuol dire essere liberi? Cosa vuol dire vivere da liberi?

A volte si cercano consigli, modelli, ma poi sappiamo per esperienza di-retta che non è facile… la cerchiamo come l’aria ma poi rischiamo di non vi-verla condizionati come siamo da tutto il contesto che ci sta attorno. A volte poi ci lasciamo andare nei sogni ad im-

magini… una strada senza fine in mezzo alla natura, il cielo con le nuvole e de-gli uccelli che volano liberi e noi lì, blocca-ti con i piedi per terra, ma-gari in mezzo al traffico… e vorremmo poter pren-dere il volo liberi. Deside-rare la libertà fa parte della nostra più profonda es-senza, trovare il modo per esprimere se stessi nella piena autonomia, senza lasciarsi catturare dalle pressioni di chi ci sta attorno. Libertà come sinonimo di spontaneità, espressione di una per-sona che può manifestare quello che sente senza altre preoccupazioni, senza

troppi se e ma…La libertà come

frutto di un cam-mino che dal punto di vista psicologico è il progressivo passaggio da situa-zioni di dipenden-za (fisica, psichica, valoriale) verso una graduale capacità di autodetermina-zione. Il processo dello sviluppo si pone allora come un cammino di al-

largamento dello spazio della propria libertà, nella consapevolezza dei pro-pri limiti e condizionamenti, ma an-che nella certezza di poter rispondere ad un appello che non è solo interno all’uomo, ma che viene sperimentato come “altro” a cui la persona deve in qualche modo rendere conto. L’espe-rienza della libertà diventa così chia-mata a mettersi in gioco, a diventare protagonisti della propria storia.

Sfogliando le pagine di internet ho trovato un video che fa riferimen-to ad un testo famoso di Gaber dal titolo “Libertà”. Lo ascolto e penso. “Vorrei essere libero, libero come un uomo. […] La libertà non è star so-pra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spa-zio libero, libertà è partecipazione” (da "Dialogo tra un impegnato e un non so" del 1972).

Libertà e partecipazione. Un bi-nomio strano non immediato eppure ...una strada senza fine in mezzo alla natura...

...uccelli che volano liberi...

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21 ARRICCHIRE IL CUORE

sembra ripetere a suo modo proprio quello che ho evidenziato. Libertà si può ritradurre come partecipazione e questa potrebbe essere una chiave interpretativa di una modalità ma-tura, adulta di porsi nella vita. Non si tratta di spiccare il volo staccan-dosi da terra magari costruendosi la propria casa sull’albero (situazione intermedia fra cielo e terra) ma di essere profondamente inseriti nelle cose del mondo non solo per dire, ma anche per fare, per “metterci la propria faccia”.

Con un linguaggio diverso si po-trebbe dire che una volta conquistata la “libertà da…” tutte quelle situa-zioni che vincolano, che bloccano la persona, bisogna sapersi muo-vere nella prospettiva della “libertà per…”, quale espressione di un im-pegno per qualcosa o Qualcuno che si riconosce come importante e cen-trale per la propria vita. Si tratta di dare una direzione alla propria vita in modo che possa diventare espressio-ne di quello che siamo non in astratto ma nel concreto del tempo che stia-mo vivendo.

Ma tutto questo ha in sé una con-traddizione: nel momento in cui mi impegno in una cosa, partecipo ad un’esperienza, ad un progetto non posso che rinunciare ad altre possi-bilità e progetti. Porre delle scelte come espressione della propria liber-tà porta con sé la conseguenza di ve-dere diminuire le proprie possibilità per altre risposte. Con quella scelta la persona vedrà svanire per sempre alcune alternative che prima si pre-sentavano come possibili e concrete!

Così se decidi di an-dare in va-canza al mare non potrai andare allo stesso tempo in montagna, come pure se pensi di an-dare via con un gruppo di amici, devi la-sciare perdere l’idea di stare un periodo da solo per riflettere sulla tua vita: delle due o l’una o l’altra. D’altro canto il non scegliere finirà per rivelarsi un’illusione perché nel momento in cui pensi di avere tra le mani il tesoro prezioso conquistato con fatica ti accorgi di non avere concluso nulla, di avere sprecato il tuo tempo… di non aver usato il te-soro che possedevi.

La libertà è allora il cammino di una vita, è lo stile di vita che segna gli incontri di una persona come oc-casione di confronto e crescita; è lo stupore di cogliere il dono che l’altro è per te e che tu sei per l’altro; è il tagliare i molti cordoni che ci legano per poter esprimere la propria ric-chezza e unicità; è rischio ed ebrezza allo stesso tempo perché non è possi-bile controllare sempre tutto.

Infine libertà è anche l’invito che ci viene da un Altro che ci conosce nell’intimo e che riesce a stupirsi del-la sua più bella creatura. Libertà di-

venta così sinonimo di amore… solo dove c’è libertà c’è amore e l’amore vero è la condizione, il presupposto di una vita libera.

Solo se mi sento amato in questo modo assolutamente gratuito posso rischiare di mettermi in gioco fino in fondo senza correre il rischio del rifiuto… Solo se mi sento amato liberamente posso donare la mia libertà e scoprire che quel legame che abbiamo creato non è fonte di limitazione ma condizione di vita piena. Vivere da liberi non è allo-ra questione di non avere limiti ma di accettare i limiti che fanno parte del mio essere uomo, creatura che non si è dato la vita da solo ma la riceve come dono da condividere. La libertà diventa così creatrice di spazi di libertà per gli altri e appel-lo alla bellezza del vivere.

Don Andrea Peruffo

Libertà è sinonimo di amore

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22ARRICCHIRE IL CUORE

Pace

PACE: il termine stesso, pronun-ciato con le labbra o con il cuore, calma la tensione, allevia l’angoscia e ci rasserena. È il primo dono di Cristo Risorto ai suoi, a noi: frutto di un amore che ci ha amato fino al limite estremo e, passando attraverso la morte, ci ha acquistato la vita. Se non opponiamo resistenza, questo dono irrompe nella nostra esistenza e ci travolge con la sua forza suadente: è soffio leggero che ci sospinge nel cammino, ristora il cuore in questo nostro andare pellegrini e cercatori di Dio. Da esso attingiamo il corag-gio per affrontare provocazioni, per misurarci con situazioni in continuo cambiamento, per vivere certezze provvisorie. Ci rende sereni pur nella complessità di questa nostra realtà in-quieta e tormentata. Pace è misericor-

dia, è serenità ed equilibrio, è speran-za e fiducia... La pace rende possibile la comunione nelle differenze, crea solidarietà e condivisione. Costruita pazientemente dentro di noi, possia-mo donarla affinchè chiunque possa entrare in questo arcobaleno lanciato tra terra e cielo, festa di tutti i colori in cui ciascuno trovi accoglienza.

Noi oggi stesso offriremo pace in ogni nostro incontro, in ogni sguardo, in ogni stretta di mano; così in ogni passo lasceremo un’orma di PACE.

Imploriamo la pace per milioni di nostri fratelli privati di futuro e di speranza. Che il nostro cuore possa vivere in pienezza il dono del Risorto.

A ciascun lettore auguro di vivere la SANTA PASQUA.

suor Mariangela Bassani

“Sono risorto e sono ancora con te”: Gesù Risorto, mosaico del Centro Alettinella parrocchia di san Pasquale, Bari

Preghiera allo Spirito Santo

Vieni, o Spirito Santo, e

da' a noi un cuore grande,

aperto alla sileziosa e

potente parola ispiratrice,

un cuore grande e avido

di uguagliarsi a quello del Signore Gesù

e teso a contenere dentro di sè

le proporzioni della Chiesa,

le dimensioni del mondo.

Un cuore grande e forte da amare tutti,

e tutti servire, per tutti soffrire.

Amen.

(Paolo VI)

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23 TEMPO GIOVANE

Suore dorotee? Giovanni An-tonio Farina? Santità? Vocazio-ne? E con noi, cosa centra?

Forse sono state queste le do-mande che sono sorte nei cuo-ri dei tanti bambini e giovani (dei diversi gruppi: catechismo, ACR, Scout, piccolo grande coro, gruppo missionario, fra-ternità secolare) che noi, novizie e juniores abbiamo incontrato nella parrocchia di Noale (VE).

Venerdì, sabato, domenica: 17-18-19 aprile 2015; tre giorni intensi, impegnativi, ma carichi di voglia nel testimoniare la bel-lezza di mettere in gioco la nostra vita per quel Gesù che, per amo-re, non ha esitato a donare tutto

se stesso.La gioia

nello scopri-re il germe di santità che ciascuno ha ricevuto nel battesi-mo è stato il filo rosso che ha tracciato la strada in compagnia di Giovanni An-tonio Farina, vescovo e Fondatore della no-stra Congregazione. Con la sua vita ci ha insegnato che, per di-ventare santi, abbiamo solo bi-

sogno di essere attenti alla voce dei più piccoli, dei poveri!

Come allora non riprendere le parole del nostro Padre Fon-datore: “tenere i piedi nel mon-do e spingere il cuore in cielo”.

Sì, questo è il nostro augurio per voi, cari giovani alla ricerca della felicità che è Gesù, affin-ché possiate essere testimoni del Risorto nelle strade della vostra città, senza dimenticare di spin-gere il cuore in cielo verso oriz-zonti di eternità.

Infine, un canto di lode tra-bocca dal nostro cuore per rin-graziare il parroco don Antonio, il cappellano don Mattías, il dia-cono don Stefano, la comunità delle suore dorotee e quanti ci hanno accolto con tanto affetto e disponibilità facendoci sentire come “una grande famiglia” ri-unita nel nome dell’unico vero Dio e Signore.

suor Emanuela Abriani

Mettere in gioco la vita

Discussione in un lavoro di gruppo

Le giovani partecipanti

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24TEMPO GIOVANE

Sulle orme della santità

In questo anno celebrativo della santità di San Giovanni Antonio la Parrocchia di Cereda (VI) ha voluto incentrare la settimana della comu-nità proprio sul messaggio che la vita del Santo compaesano ancora oggi può trasmettere e contagiare per vita cristiana santa.

In collaborazione con le sorelle della comunità dorotea lì presente e del Parroco Don Bortolo, abbiamo vissuto giorni carichi di incontri, di annuncio e testimonianza.

Attraverso i diversi momenti di incontro con i diversi gruppi abbia-mo potuto conoscere una comunità viva e vivace che gode la gioia della santità di un Santo che è cresciuto in quel pezzettino di terra, tra gli affetti familiari e sotto lo sguardo e l’esempio dello zio sacerdote Don Antonio che li ha svolto il suo servi-zio di parroco per più di vent’anni.

Con i ragazzi che si preparavano alla Cresima abbiamo vissuto il bel pomeriggio con “Mani in pasta: il pane della Carità”, in cui sono sta-ti accompagnati a impastare il pane della propria vita, con la farina del-la loro storia, il lievito dei sogni e desideri, l’olio degli affetti, e tutto ben amalgamato per dare la forma che insieme a Dio vogliono dare alla propria vita per essere un buon pane fragrante!

I giovanissimi, a conclusione del loro cammino annuale sul tema del servizio hanno vissuto una serata all’insegna del “grembiule”: il se-gno che ci ricorda il grande e umile gesto compiuto da Gesù nell’ultima cena, con cui ci ha invitato a fare

della nostra vita un servizio con-tinuo e infaticabile. La vita di San Giovanni Antonio è la sintesi di una vita cristiana in cui il servizio diven-ta non solo il prestarsi in occasioni particolari per compiere il bene, ma uno stile di vita quotidiano.

Con i ragazzi e i bambini il mes-saggio di San Giovanni Antonio è diventato l’esperienza di una santi-tà bella e possibile, che ci chiede di vedere con occhi nuovi la realtà, di saper fiutare i piccoli gesti di bene da poter compiere ogni giorno, l’at-tenzione ad ascoltare le voci di chi ci sta accanto e il gusto per le cose belle e grandi!

Anche per gli adulti, in parti-colare per i genitori e i padrini dei ragazzi cresimandi, si è vissuta una serata di preghiera, assieme alla te-stimonianza offerta da una coppia di laici della nostra Fraternità secolare che si sono fatti testimoni di un cam-mino di famiglia che, incontrando la

spiritualità della famiglia di San Gio-vanni Antonio, ha riscoperto la pro-pria fede e che ora vive e testimonia la bellezza di essere famiglia cristiana dentro alla grande famiglia dorotea.

Come giovani in cammino verso la santità sulle orme del nostro Pa-dre, abbiamo vissuto questi giorni come un dono speciale, che ci ha permesso di mettere i nostri passi sulle strade in cui è cresciuto il gio-vane seminarista san Giovanni Anto-nio, di fare esperienza di un carisma che vive oggi attraverso la donazione incessante delle sorelle, di una co-munità che vive la carità operosa e creativa che voleva il nostro Santo.

Dopo questa esperienza si rinno-va nel nostro cuore la convinzione del fascino della santità del nostro Santo che ha bisogno di essere testimoniata e annunciata con la gioia della nostra Vita donata a Dio per i fratelli!

suor Anna Visonà

Suore e giovani animatrici dell'esperienza pastorale realizzata a Cereda (VI)

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25 TEMPO GIOVANE

Ci sono a volte fatti sconcertan-ti. Con fondatezza si parla di crisi a livello personale, familiare, sociale. Sequestri di persona, abbattimen-ti di aerei, atti di violenze, rapine e uccisioni: cosa fare dinanzi a questi crimini?

Abdicare alla speranza di un mondo migliore nel quale sia rispettata la vita di ogni singolo e soprattut-to la libertà venga sempre salvaguardata? Permettere che ad avere il sopravvento siano l’odio e la violenza? No, di certo. D'altra parte si avvertono pure sintomi che chiaramente denotano segni di pace. Quel che è necessario è il processo di spogliazione interiore.

Se l’uomo si libererà dal-la durezza del cuore, dall’ egoismo, dalla superbia, ca-dranno tanti ostacoli. Per-ché molto spesso è l'uomo stesso che si crea le situa-zioni e si pone difficoltà. II detto:” solo se io cambio, posso cambiare il mondo”, è fin troppo vero. Spesso, di-fatti, passiamo accanto agli altri senza guardarli, aiutarli, amarli.

Dio vuole che noi ci incontria-mo, ci aiutiamo, ci amiamo. Dob-biamo realmente essere con Lui col-laboratori per un mondo migliore.

Dio stesso ci dà l'esempio. Egli per primo va in cerca dell'uomo, ha sempre aiutato l’uomo, nel Cristo ha manifestato il suo infinito amore.

Con Abramo Dio stringe un'al-leanza personale; l'itinerario del "padre della fede" è movimento di liberazione ed inizio di vita nuova

verso la terra promessa. L'esodo del popolo ebreo dalla terra d'Egitto è l'esperienza di liberazione di un po-polo prima in schiavitù.

La Pasqua che celebriamo è l'ir-ruzione nella storia di un evento che dà all’intero creato, e più particolar-mente all'uomo, essere sociale, una

nuova dimensione. Cristo che risor-ge esalta l'umanità, perché, come ha scritto il teologo Karl Rahner, la risurrezione è “quasi la prima esplo-

sione d'un vulcano, a indi-care come nell’intimo del mondo già arda il fuoco di Dio, che avvolgerà ogni cosa d'una beata incandescenza nel suo fulgore”.

A noi preme prendere coscienza del mistero della Pasqua, per cui il figlio di Dio fatto uomo paga il ri-scatto per tutti in cambio di una libertà che deve essere di tutti. Pasqua è così spe-ranza di una società nuova, fondata sulla libertà e sull'a-more di tutti. Dal momento che tanti ancora sono nella sofferenza per le ingiustizie e i soprusi dei prepotenti, ancora oggi nella Pasqua Cristo paga e ci salva. Noi uomini dobbiamo disporci ad essere migliori.

Le crepe spaventose aper-tesi devono, con la buona vo-lontà di tutti, essere colmate.

Allora non si parlerà più di crisi della famiglia, della scuola, della società, della

politica. Ambizioni, guerre, di-sordini, lotte di classi, atti terroristici sono situazioni che fanno soffrire.

Cristo risorto suscita in tutti gli uomini, con la vita nuova che offre, la speranza di una società nuova, più giusta, più onesta.

Loredana Rodio

Risorti a vita nuova

Deposizione di Cristo, olio su tavola di B. Gatto

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26FINESTRA SUL MONDO

100 anni fa

La Grande guerra (1915-1918) ricordata attraverso i piccoli og-getti della quotidianità: i diari delle crocerossine, gli ex-voto, le gamelle, i telefoni da campo, le trombe da caserma per i segnali e perfino un pezzetto di pane vec-chio di cent’anni, pasto frugale di qualche soldato in trincea. E poi le divise austere degli ufficia-li della Brigata Roma, gli elmet-ti prussiani, le feluche dell’alta uniforme da contrammiraglio, le soprascarpe da sentinella, le tante bandiere e medaglie.

L’Omnicomprensivo “Farina” di Vicenza rievoca così una delle pagi-ne più tragiche della storia dell'uma-

nità, dedicando al conflitto, che costò alla sola Italia 650 mila militari caduti, un percorso didatti-co suggestivo in cui il visitatore è preso per mano e accom-pagnato dentro le trincee, sui campi di battaglia, nelle case, dove le madri attendevano con an-sia notizie dei figli partiti per il fronte. Il racconto è affidato a reperti, fo-tografie, documenti cercati e messi a disposizione dalle famiglie degli

alunni che sono riuscite nell’impre-sa tutt’altro che scontata di allestire una mostra ricca, di grande impatto

Un ospedale da campo situato nello stabile che ora è sede della nostra scuola primaria a Vicenza, Istituto Farina

Un manifesto per la chiamata alle armi

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27 FINESTRA SUL MONDO

emotivo, aperta per l’occasione an-che alla cittadinanza di Vicenza.

“Abbiamo voluto accendere i riflettori in particolare su Vicen-za, non a caso la mostra è intitola-ta Frammenti della nostra storia”, spiega uno dei genitori che ha ar-ricchito la rassegna con foto e dia-ri della propria famiglia.

Alla cerimonia di apertura, alla presenza di numerose personalità civili e militari, il prof. Michele Santuliana, docente di storia, ri-chiamando gli eventi rilevanti del conflitto, aggiunge: “Nei 600 chi-lometri del fronte italo-austriaco, il territorio vicentino e la città di Vicenza si trovavano in prima li-nea: la “Grande guerra”, è per ciascuno di noi storia di famiglia. Lo è anche per le Suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri

Cuori e per l’Istituto “Farina” di Vicenza. Il Corriere della sera del 14 settembre 1915 riporta la ca-duta delle prime quattro bombe

in città; una cade sul Collegio Fa-rina, danneggiando l'abside della Chiesa del S. Rosario. Del fatto è rimasta testimonianza, fra l’al-

Piccoli oggetti della quotidianità

Una giubba garibaldina del 1867

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28FINESTRA SUL MONDO

tro, in una lettera di suor Gemma Bevilacqua allo zio, generale Giu-seppe Vaccari, tuttora conservata nell’archivio della Congregazione. Lo stesso stabile, oggi scuola pri-maria, diviene ospedale da campo.

Molte suore svolgono attività di assistenza medica e spirituale ai malati, nel vicentino e in tutte le province in cui sono presenti. Fra le tante religiose impegnate in ben 37 ospedali c’è S. Maria Bertilla Boscardin, che opera in quello di Treviso e poi a Viggiù (VA), come ci riferiscono le biografie scritte su di lei. Il suo impegno per alleviare le sofferenze dei soldati esprime l’eroicità della sua dedizione.

Tra i tanti pezzi unici esposti nella mostra: una giubba garibal-dina rosso fuoco del 1867, il pri-mo modello della divisa degli al-

pini, una tuta di lana da pilota del 1818, la “Preghiera del marinaio” scritta da Antonio Fogazzaro, una bicicletta Bianchi, porta-ordini da ufficiale. Sono testimonianza rare offerte da alcuni genitori, custodi appassionati di cimeli che parlano di sofferenze, sacrificio, lotta per la libertà. Anche gli alunni della scuola media hanno personalmen-te contribuito producendo, assie-me ai loro insegnanti, pregevoli ricerche, grafici, video, plastici dei luoghi dove si è combattuto, op-pure arricchendo la mostra espo-nendo oggetti ritrovati in famiglia. Alcuni studenti, appositamente istruiti, hanno fatto da guida ai loro compagni e a quanti hanno desiderato visitare la mostra.

I frammenti della nostra storia sono fondamentali per compren-dere, condividere e difendere i valori di pace, libertà e giustizia

che sono sanciti dalla nostra Co-stituzione. In un’Europa che sten-ta, complice la crisi economica e sociale di questi anni, a ritrovare una direzione, la memoria del-le sofferenze patite cento anni fa può offrire valido spunto sentirci sollecitati a vivere con consape-volezza il presente, volgendo lo sguardo verso il futuro.

L’evento ha voluto essere una proposta di valori da trasmettere alle nuove generazioni per le quali non ci deve essere la celebrazione dei cento anni dalla “Grande guer-ra”, quanto piuttosto l’occasione per riflettere sulle sue conseguen-ze tragiche e la necessità di attuare scelte, mettere in campo risorse che garantiscano una pace che sarà più autentica quanto più mirerà al rispetto dei diritti di ogni uomo.

suor Luigina PigozzoIl primo modello della divisa degli alpini

Una bicicletta "Bianchi", porta-ordini da ufficiale

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29 FINESTRA SUL MONDO

Eppure ci sono

Per le buone notizie c'è poco spa-zio, quasi soffocate dalle spirali di un'inestricabile crisi.

Che una nuova vita e una nuova figura di umanità, sia pure molto fa-ticosamente e nonostante il travaglio di una crisi che non è soltanto eco-nomica, stia emergendo, non è solo l'illusione di un inarrestabile ottimi-smo. Non è decidere di rifugiarsi in un'inesistente isola felice.

La lettura attenta di ciò che sta accadendo lascia intravedere l'au-rora di un nuovo inizio e forse, pur con le sue contraddizioni, con i suoi risvolti di precarietà e di profonda incertezza, stiamo vivendo una cri-si... di crescita, che prelude a nuovi assetti sociali, a più funzionali pa-radigmi educativi e culturali, a più coerenti stili di vita.

Non è un semplice auspicio o un'evanescente illusione. Sembra

che si stia facendo un percorso sin-golare, un viaggio che muove dal ne-gativo per scoprire il buono che co-

munque si cela sotto la scorza ruvida e opaca delle brutte notizie.

Così è, ad esempio, per una del-le tante istituzioni in crisi, quella del matrimonio, vittima di un'instabili-tà che coinvolge genitori e figli, che compromette relazioni durature e rassicuranti, che rende più difficile amare. La lunga, secolare cultura del-la separazione e della contrapposizio-ne che nella storia ha conflittualizza-to le diverse identità, ha inciso anche sulla relazione coniugale lacerando rapporti e compromettendo la reci-proca fiducia dei suoi componenti.

Prendere consapevolezza di ciò, superare il pregiudizio che nonostan-te il matrimonio sia un… male ne-cessario, di fatto si risolve in “tomba della libertà”, debellare, finalmente, le “figurazioni belliche” che anco-ra dominano le nostre istituzioni, è

Il futuro è nelle mani dei giovani, capaci di giudicare il presente e progettare il nuovo mondo

La contemplazione è l'unica che riesce a silenziare il rumore del nostro "ego" e a di-sporci all'ascolto della Parola, un mezzo per stare davanti a Dio (J. A. Ratzinger)

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30FINESTRA SUL MONDO

comprendere pienamente come un vincolo, quello coniugale, possa di-ventare una vera “opera d'arte”, un luogo fondamentale della realizzazio-ne umana mistico e misterico, in cui due persone diventano uno, scopren-dosi uno con l'uno e con il Tutto.

Capaci di progettare il futuroGiovani davvero giovani, di

quelli che non si fanno distrarre dalla baraonda di chiacchiere che risuonano in tutto il mondo e che non si fanno sviare verso attivismi convulsi e vani, che sono capaci di giudicare il presente e progettare il futuro senza troppi riguardi o com-promessi, ce ne sono ancora.

Il futuro è soprattutto nelle loro mani, come pure la possibilità che la politica possa ritrovare il proprio entusiasmo e la propria carica pro-gettuale, vincendo lo smarrimento esistenziale, l'asfissia del discorso pubblico, la crisi delle democrazie occidentali, gli squilibri economici planetari. C'è ancora spazio, in-somma, per disegnare nuovi scena-ri e rigenerare il mondo.

Occorre andare oltre il grigio del presente, accogliere l’invito che sollecita all'azione, a fuggire lontano da paralizzanti conclusioni fatte di rassegnazione e fatalismo; è importante ritenere possibile una nuova “pedagogia dell'uomo”, che permette una straordinaria rivo-luzione culturale e un'educazione spirituale orientata all'unità e alla pace, la quale sazia la fame di pane e di parole che ci rende tutti poveri e stanchi, tristi e depressi.

Un cultura relazionaleAnche la crisi di

autorità che investe tutti i poteri tradi-zionali, dalla famiglia alla scuola, dalla sfera politica a quella re-ligiosa, può favorire un profondo e po-sitivo rinnovamento del concetto e dell'e-sercizio del potere. Si tratta di aprirsi ad una vera cultura dell'io relazionale per intendere il potere come “servizio alla più piena liberazione dell'uomo” a tutti i livelli.

Infine a chi è con-vinto che la società sia vittima di un'irre-versibile crisi della re-ligiosità tradizionale che sembra aver de-finitivamente minato il cristianesimo stori-co, riducendolo a pratiche religiose degenerate nel sociologismo, nello psicologismo, nell'ideologia e nella chiacchiera, si propone il ricorso ad una possibile “centralità contempla-tiva”, l'unica che riesce a silenziare il rumore del nostro ego e disporci all'ascolto della Parola. È la pratica della meditazione seguita da quella della contemplazione, recuperando stili che ci giungono dall'Orien-te cristiano e dalle grandi religioni non cristiane. Un mezzo, suggeriva il Cardinale Ratzinger, per stare da-

vanti a Dio.“Yes, we can” (“Sì, possiamo”),

è stata la campagna per la prima ele-zione presidenziale di Barack Oba-ma, che convinse gli elettori. Quello slogan suonava come uno scatto di volontà per recuperare il senso del bene comune e di responsabilità, per pensare e vivere un grande pro-getto. Parole che evidenziano l'in-tento da cui far partire anche oggi il nostro lavoro.

Mario Cutuli

Sposalizio della Vergine, olio su tavola di Raffaello

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31 FINESTRA SUL MONDO

Oggi fede e sentimento religioso perdono sempre più di importanza, soprattutto tra i giovani, per cui il Consiglio pastorale della Cappellania universitaria di Treviso ha voluto ap-profondire la problematica. Nel nuovo Millennio la secolarizzazione di massa, la diffusione della conoscenza scien-tifica e il condizionamento dei media hanno influenzato la percezione della presenza del divino nel mondo.

Quali previsioni, dunque, si posso-no profilare per il futuro? In alcuni casi, si può parlare di riscoperta della religio-sità o di declino nella diffusione della religiosità nel tempo e tra le generazio-ni? Come viene percepita la separazio-ne/collaborazione tra Chiesa e Stato?

Un recente sondaggio ha messo in evidenza che in Europa, solo una per-centuale variabile tra il 30% e il 50% ha riferito di considerare la religione un aspetto importante della propria vita. Negli Stati Uniti i numeri sono sorprendenti: la popolazione adulta, superiore ai 18 anni, ammonta a 240 milioni di persone; le percentuali si traducono circa in 48 milioni di “senza religione”, di cui 14 milioni sono atei/agnostici e 33 milioni sono persone che non aderiscono ad alcuna religione.

Quali sono i motivi di questo decli-no? La notevole diffusione della demo-crazia nel mondo sicuramente incide. Essa costituisce sicuramente una buo-na forma di governo, ma si sa che nelle nazioni che garantiscono il pluralismo religioso, nessuno può legittimamente reclamare una posizione privilegiata in base alla propria fede. Un secondo fattore è l'apertura delle frontiere eco-nomiche, come nel caso dell'Unione

Europea, che spesso sostituiscono il religioso con lo scambio finanziario. Il libero scambio e la divisione del lavoro hanno favorito un efficace stato di be-nessere socio-economico nella storia: tale benessere generalmente determina una perdita di significato sociale della religione e un calo nel numero di per-sone che basano la loro pratica di vita su norme religiose.

La proposta di un sondaggio e lo studio della situazione hanno rivelato interessanti elementi e cambiamenti in atto. Il sondaggio è stata condotto nel 2013 nella Sede universitaria di Treviso, succursale del Palazzo del Bo di Pado-va e della Ca’ Foscari di Venezia. Han-no risposto al test numerosi studenti, dei vari corsi e anni.

Il campione cui è stato sommini-strato il questionario era costruito da

75 maschi e 177 femmine e 15 casi senza risposta e quindi, complessiva-mente, da 267 soggetti. La percentuale maschi è stata pari al 28%, delle fem-mine del 66% e dei casi senza risposta del 6%. Nel campione studiato, si nota una netta prevalenza delle femmine sui maschi: non sappiamo se questo valore rispecchi la percentuale degli iscritti, che indicherebbe una notevole discrepanza fra i due sessi che studia-no presso la facoltà di Treviso, perché non abbiamo a disposizione il numero degli iscritti oppure se, semplicemente, le femmine sono state più solerti nella consegna del questionario. Dell’intero campione a disposizione, il 64% aveva un’età compresa fra i 18 e 22 anni, il 27% fra 23 e 26 anni, il 4% fra i 27 e 30; il 3% di età superiore/uguale ai 31 e il 2% non ha fornito il dato. Fra que-

Giovani e fede

Fede è credere oltre la vita

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32FINESTRA SUL MONDO

sti, il 71% erano solo studenti, il 12% sia studenti che lavoratori ed il 17% non ha fornito risposta.

Nel totale del campione, il 68% dice di credere in Dio, l’11% di non credere in Dio. Il 20% ha delle per-plessità e l’1% non ha risposto: alla luce dei dati, si stenterebbe a credere che una così alta percentuale della po-polazione giovanile affermi di credere in Dio. Se rapportato all’età, il 65% dei soggetti di età compresa fra i 18 e 22 anni dice di credere in Dio, il 73% dei soggetti fra i 23 e 26 anni, il 60% fra i 27 e 31, l’88% di età superiore ai 31. Sembrerebbe che il credere in Dio tenda ad aumentare con l’età, escluso un calo fra i 27 ed i 31 anni.

Per quanto riguarda la propria di-sposizione religiosa troviamo, calco-lato nel campione di 261 persone di ogni età e sesso, lavoratori e non, che

il 31% è praticante, il 21% è pratican-te saltuario, il 12% non è praticante, il 16% è un “praticante fai da te”, il 2% di un’altra religione (buddista), il 4% agnostico, il 6% ateo, il 6% indifferente ed, infine, il 2% si defi-nisce “arrabbiato”. Abbiamo voluto incrociare questa variabile con l’età, per vedere se quest’ultima influenza il proprio rapporto con la religione cattolica. Per quanto riguarda la fascia d’età compresa fra i 18 ed i 22 anni, troviamo che il 30% è praticante, il 21% è praticante saltuario, il 17% è praticante fai da te, il 3% pratica un’altra religione, il 5% è agnostico, il 6% è ateo, il 4% è indifferente, l’1% è “arrabbiato. Fra i 23 e 26 anni, il 36% è praticante, il 19% è praticante sal-tuario, il 15% è praticante fai da te, l’8% non è praticante, l’1% pratica un’altra religione, il 4% è agnostico, il

6% ateo, il 8% è indifferente, il 3% è “arrabbiato”. Nella fascia d’età com-presa fra i 27 e 31 anni, troviamo che il 30% è praticante, il 30% è praticante

saltuario, il 10% non è prati-cante, 10% è praticante fai da te, il 10% ateo, il 10% è in-differente. Da notare nessuno pratica un’altra religione, non è ateo e non è arrabbiato. Nella fascia d’età compresa fra i 27 e 31 anni, troviamo un campione che il 36% è praticante, il 19% è praticante saltuario, il 15% è praticante fai da te, l’8% non è praticante, l’1% pratica un’al-tra religione, il 4% è agnostico, il 6% è ateo, l’8% è indiffe-rente, il 3% è “arrabbiato”. Il campione di età superiore a 31 anni, il 34% è praticante, il 22% è praticante saltuario, l’11% è praticante fai da te, l’11% non è praticante, il 22% La fede è camminare verso Dio

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33 FINESTRA SUL MONDO

è “arrabbiato” e nessuno risulta esse-re nelle altre categorie (altra religione, agnostico, ateo, indifferente).

Riassumiamo in una tabella le va-riabili età e praticanti:

Si osserva che la maggior percen-tuale di praticanti in funzione dell’età è la fascia compresa fra i 23 e 26 anni, con il 36%, seguita con il 34% dalla fa-scia d’età maggiore a 31, mentre uguali al 30% di praticanti sono i soggetti di età compresa fra i 18 e 22, 27 e 31 anni.

Un’altra variabile studiata è di quanti hanno praticato catechismo, sull’intero campione. Le risposte va-lide sono state 250 su 267 e di questi solo 6 non hanno praticato il catechi-smo e fra questi 1 solo crede in Dio ed 1 ha delle perplessità.

Su 251 soggetti cui è stato chiesto se la formazione religiosa è risultata sufficiente per la fede, il 40% ha ri-sposto “sì” ed il 70% crede in Dio: si può ipotizzare che il catechismo sia utile per la futura comunicazione della fede, ma che non sia sufficiente per una buona formazione di fede.

Per quanto riguarda il ruolo del-la fede nella propria vita, 4 soggetti non sono stati conteggiati per man-canza di risposta ed il 28% ha dato risposta multipla. Per motivi di sem-plicità abbiamo escluso nei seguenti calcoli percentuali questo 28%, te-nendo conto solo delle risposte sin-gole ad ogni domanda. Il campione è complessivo per età, lavoratore, credente o meno e risulta essere di

154 soggetti. Il 21% di questo cam-pione ridotto ha risposto che la fede dà un senso dalla vita, solo il 4% che la fede lo rende felice, il 14% da un criterio di giudizio sulla realtà; per il 10% la fede dà regole, limiti e nor-me, per il 37% la fede lo aiuta nei momenti di sconforto ed il 14% la fede ha un ruolo nella vita, ma non è contemplato nelle domande poste dal questionario.

È interessante confrontare il ruo-lo nella fede nei giovani che hanno risposto di non credere in Dio. Da notare che, fra soggetti esclusi per risposte multiple o che non hanno fornito nessuna risposta, il campione su cui sono stati eseguiti i calcoli, era pari solo a 5 soggetti. Tutti e 5 han-no fornito come risposta del senso della fede nella vita: “altro”. Questo risulta abbastanza ovvio, perché non possono fornire un particolare senso a qualcosa in cui non si crede. Abbia-

mo eseguito i calcoli per i soggetti i quali affermano di essere indecisi su credere in Dio o meno. Il campione usato, dopo aver escluso le risposte multiple era pari a 22 soggetti. I ri-sultati ottenuti sono che per il 4% la fede dà un senso alla vita, per il 4% che la fede rende felici, per il 9% che dà un criterio di giudizio alla realtà, per il 17% la fede dà regole, limiti e norme, per il 30% la fede aiuta nei momenti di sconforto, per il 36% la fede ha un ruolo non previsto nelle domande formulate. Le differenze non sono notevoli, se non piccoli va-lori percentuali, mentre è importante osservare che, in entrambi i campioni, la fede è utile nei momenti di scon-forto. In generale, si può dire che per circa il 30% di chi crede o è indeciso, la fede è fondamentale nei momenti critici e faticosi della nostra vita.

Michele Voltolina

età → 18-22 23-26 27-31 >31

% → 30 36 30 34

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34FINESTRA SUL MONDO

In un primo momento sembrava difficile trovare punti d'incontro tra quanto queste parole lasciano inten-dere e l'esperienza che sono chiamata a condividere con voi. Perché qui per “vita” si intende un bimbo che nasce e per “crisi” quella economica, che tut-ti stiamo vivendo. Accanto al grande dono che il Signore ha fatto all'uomo, quello di generare la vita fisica, ne è presente però anche un altro e cioè la capacità di generare vita spirituale. lo sono Elena e poco meno di un anno fa mi è stato diagnosticato un tumo-re maligno al seno, raro e aggressivo. Penso che i medici, vedendo inizial-mente la mia situazione, non avrebbe-ro scommesso su di me. Ma Dio che è Padre ed è il Signore di tutte le cose, può cambiare il corso degli eventi, anche di quelli che umanamente sem-brano già decisi. lo e Roberto, mio marito, abbiamo intrapreso la doloro-sa strada della chemioterapia, seguita dall'operazione e dalla radioterapia. Ho terminato tutto questo ed ora sono in attesa dei risultati dei control-li. Il Signore conosce singolarmente tutte le ferite dell'anima e del corpo che questo calvario ha comportato ... e penso che qualsiasi persona toccata dalla sofferenza abbia ben presente le proprie. Ma quello che desidero sot-tolineare qui sono piuttosto le mera-viglie che il Signore riesce a compiere attraverso di noi, quando ci abbando-niamo a Lui.

Abbandono che per me è la cosa più difficile da imparare... Lui sa ge-nerare vita anche dove vita sembra non esserci più. Dove la morte, intesa anche solo come morte a se stessi, al

proprio corpo, come ci si era abituati a veder-lo e a sentirlo, ai propri deside-ri, alle proprie speranze... Sì, quello che i medici hanno trovato non era quello che forse loro si aspetta-vano. Infatti al momento dell'o-perazione non si sono evidenziate metastasi né in-filtrazioni.

Ma la cosa ancora più stra-ordinaria è stata l'onda-ta di amore, di partecipazione e preghiera da cui siamo stati sommersi io e Roberto. Non eravamo per nulla consapevoli di ciò che sareb-be accaduto quando, all'inizio della malattia, ci siamo aperti a familiari, ad amici e ai conoscenti chiedendo preghiere, certi che queste avrebbero potuto cambiare il corso delle cose, secondo la volontà di Dio. Forse il Si-gnore aveva bisogno di questo nostro, inconsapevole, atto di abbandono per iniziare ad operare. Solo più avanti, e solo perché ci è stato fatto notare, ab-biamo capito che il morire a se stessi stava producendo tanti frutti. Perché

non è facile, in un momento di diffi-coltà (che può essere quindi perso-nale, economica o derivante da una malattia) aprirsi agli altri.

Credere che, nonostante il fatto che non riusciamo a vedere luce in quella data situazione, la luce ci sia, la soluzione sia reale, la provvidenza operi. Sì, perché sono giunte a noi, e per noi, tante, tantissime preghie-re, dalle persone più varie e dai po-sti più lontani e inaspettati. Ed ogni volta che una persona ci fermava per dimostrarci il suo affetto, o quando

"Generare la vita e la crisi"

La palma, simbolo della sicurezza della vita: mosaico del Centro Aletti nel Santua-rio della Madonna della Salute degli infermi a Scaldaferro (VI)

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35 FINESTRA SUL MONDO

venivamo a conoscenza che in India, in Africa e in sud America si pregava per noi, noi non potevamo che escla-mare: "Quanto sei grande Signore!". E poi la nascita di piccoli cenacoli di preghiera, persone che si lasciavano interrogare dal nostro affrontare la malattia ancorati a Cristo, di famiglie in cui prima si pregava poco, ma che grazie all'opera di amici instancabili, si sono avvicinate alla preghiera.

Così la famiglia ha valicato le mura domestiche per aprirsi e fondersi in una famiglia più grande. Siamo stati accompagnati e “portati” in braccio da molti fratelli che hanno intercedu-to per noi presso il Cielo. Presenze a volte discrete e silenziose, ma, visti i frutti, molto efficaci.

Dobbiamo ringraziare le Sorelle, Suore di Santa Dorotea dei Sacri Cuo-ri, di Vicenza e Brendola per le tante preghiere che hanno rivolto per noi alla nostra cara Santa Maria Bertilla Boscardin, a cui siamo tanto legati, da diversi anni e che teniamo sempre come compagna del nostro cammino. Lei che sapeva bene affiancare i dot-tori nella cura dei malati, nel mio caso ha fatto da infermiera al Signore, no-stro primo medico. Ho ricevuto tan-tissime benedizioni tra cui quelle del francescano P. Camillo di Saccolongo (PD), confratello di Padre Daniele Hekic. Le Suore Figlie della Chiesa hanno pregato per noi con viva fede e costanza. E ancora tutta la famiglia Marianista, che si è fatta, appunto, famiglia reale, viva, presente in ogni tappa di questo calvario. Abbiamo sperimentato una presenza ed un calore che ci hanno emozionato. E

questo non è generare vita in una si-tuazione di crisi? Noi però non face-vamo nulla, perché il corso delle cure costringeva a riposi forzati e talvolta a ricoveri ed isolamento.

Nulla del cammino medico previ-sto ci è stato evitato, ma quanto so-stegno! Quanta forza scoperta in un corpo già provato da altre patologie.

Quanti piccoli, quotidiani, mira-coli, per occhi che vogliono vedere! Uso spesso il NOI, ma sin dal primo incontro questo NOI si è fatto spazio tra l'IO e il TU. E per me e Roberto è stato profetico. Ho sempre sentito forte la presenza di Dio nella nostra coppia, ma che avesse proprio pianta-to la tenda in mezzo a noi l'ho realiz-zato durante questa malattia.

Creare un NOI non comporta il perdere la nostra identità, la nostra personalità; è invece arricchente. E così può succedere non solo nella coppia, ma in ogni tipo di relazione.

Il NOI è più forte di fronte alla crisi, fosse anche quella economica. E la soluzione, a mio avviso, di tutte le crisi, andrebbe cercata proprio in questo. Stranamente, forse, i momen-ti di solitudine sono stati preziosi. In fondo non sono mai stata realmente sola, nemmeno quando in casa, per forza di cose, non c'era nessuno.

Ho trovato sostegno e consolazio-ne in letture spirituali: nella Parola di Dio, ma anche in vita di santi. Ad ogni momento di disperazione e di buio o negli spiragli di luce la presenza del Signore era forte e sentivo che le urla silenziose che prorompevano dal cuo-re, i miei "perché", i miei " non ce la faccio più", non andavano ad abbat-

tersi contro un muro, ma venivano ac-colti da una persona viva. Che aveva sofferto ben più di me, bastava solo attendere, momento per momento. E Gesù poi si è fatto prossimo, buon samaritano, curandomi e fasciandomi le ferite, assumendo il volto di mio marito. Roberto ha dimenticato se stesso. Che egli mi amasse ho avuto modo di sperimentarlo tutti i giorni da che lo conosco, ma che fosse ca-pace di amarmi così ... solo Dio può essere artefice di questa grazia. Con pazienza, dedizione e instancabile fiducia e serenità, ha vissuto con me ogni momento.

Ha curato ferite, ha lenito soffe-renze che sembravano non finire mai, ha asciugato lacrime con parole di speranza. Ma speranza vera, serenità concreta, vissuta in completo abban-dono alla volontà di Dio.

Nulla è scontato in una malattia, tutto assume connotati diversi. E tut-to è grazia. Una carezza, un'attenzio-ne, un pezzetto di cielo azzurro, un raggio di sole che riscalda il volto… E tutto può essere messo in discussione: le relazioni, il lavoro, il proprio ruolo, anche un amore che sembrava forte, se questo non è poggiato sulla roccia che è Cristo. Ma se guardiamo con gli occhi di Dio la visuale cambia.

Dice San Paolo: "…quando sono debole, è allora che sono forte". Per-ché è quando ci sembra di essere sen-za risorse che Dio può operare.

E Lui, Padre buono, vuole il me-glio per i suoi figli anche se noi, subi-to, non comprendiamo.

E. P.

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36VITA DI CONGREGAZIONE

“Quando so che vi volete bene e siete allegre, il cuore mi balza per l’allegrezza” (G. A. Farina).

Caro Padre Fondatore, sei contento di noi?

Da varie direzioni ci siamo ritrovate a Strongoli, la “Casa Madre della Ca-labria”, per trascorrere insieme, nella serenità e nella gioia, la pasquetta.

“Fiori” provenienti da Cosenza (CS), Rocca di Netto (KR), Strongoli (KR) e, più tardi nella loro sede, S. Gio-vanni in Fiore (CS), uniti per dare volto alla bellezza comunitaria e trasmettere il profumo dell’amore fraterno.

Profumo di nardo, proveniente dalla Terra Santa, offerto in una pic-cola anfora dalla comunità di Rocca e profumo di cibi deliziosi offerti dalle altre comunità, hanno allietato il nostro stare insieme reso ancor più

vivace dal “non ti scordar di me”, fiore reso visibile dai dol-ci ricordi del passato.

Non è man-cato Il profu-mo di un sen-so di libertà fondata sull’u-nità e sulla c o n d i v i s ione che ci ha fat-to staccare “la spina” dal q u o t i d i a n o assordante e frenetico per pelle-grinare spensierate fra le vie di Strongoli e poi lungo il mare gu-stando un abbondante e delizioso

gelato. Un forte vento ci sospin-geva ma era pronta una soluzione “mettere due sassi nelle tasche”. È stato bello lasciarci trasportare non dal vento atmosferico ma dal soffio dello Spirito che ci ha dona-to la possibilità di respirare il pro-fumo della preghiera comunitaria. Significativa l’esclamazione di una sorella: “Che bello! Mi sembra di essere proprio in Casa Madre”.

Ad allietare il nostro pranzo c’era pure la presenza del papà di suor Franca Gulizia, quasi a voler essere un richiamo tangibile del-la tua presenza, padre fondatore, che amavi definirti: “Sono sempre vostro Padre” e noi oggi abbiamo la gioia di dirti: San Giovanni An-tonio.

Nel ricordo di questa giornata rimane una sola parola: GRAZIE!

Le sorelle di Strongoli, Rocca di Neto, S. Giovanni in Fiore e Cosenza

Gita fuori porta

Veduta della piana da Strongoli (KR)

Le sorelle di Calabria riunite a Strongoli (KR)

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37 VITA DI CONGREGAZIONE

Incontro degli adolescenti lavellesicon san Giovanni Antonio Farina

Sabato 14 marzo le Suore Mae-stre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori di Vicenza, hanno dedicato una mattinata ai ragazzi dell’Istituto Com-prensivo Statale 1 di Lavello (Pz) per far conoscere il loro Santo Fondatore. La Coordinatrice della Scuola dell’In-fanzia “G.A. Farina” di Lavello, suor Vincenza Rossettini, e suor Clara Bisol, venuta da Roma, hanno rivol-to agli studenti della Scuola Media Statale una informazione intorno alla vita, al pensiero e alle opere di San Giovanni Antonio Farina.

L’entusiasmo dei giovani è stato sorprendente. Il linguaggio semplice, diretto e incisivo delle Suore ha cat-turato le menti e i cuori suscitando il loro interesse e la loro ammirazione. Le Suore usando anche le nuove tec-nologie didattiche sono entrate subi-to in empatia con i giovani discenti, fornendo, oltre a informazioni vere e proprie, spunti di riflessione da cui sono scaturite domande e interven-ti molto pertinenti. Le sollecitazioni

belle ed importanti ricevute hanno “mosso le loro menti” e li hanno aiutati a pensare in primis a se stes-si, al senso della loro vita e delle loro azioni, alle cose che possiedono a cui, spesso, non attribuiscono importan-

za, avviandoli ad un percorso di riconoscimento e gratitudine quo-tidiana per tutti i doni che hanno ricevuto. Sono stati visionati brevi filmati, pre-sentate slides con immagini molto significative.

Il clima coin-volgente e la metodologia in-terattiva ha in-

curiosito ed interessato, veicolando messaggi efficacissimi di alto spessore spirituale ed umano: San Giovanni è entrato a scuola in punta di piedi ma ha lasciato un GRANDE SEGNO !

Le tematiche trattate sono state molteplici: i veri valori dell’uomo, la solidarietà e il rispetto soprattutto verso i più deboli, la passione verso la vita in tutti i suoi aspetti, anche quando delude le nostre aspettative e la resilienza di fronte alle difficoltà e agli impedimenti che incontriamo sulla nostra strada. La vita di san Gio-vanni Antonio Farina ci offre un mo-dello da emulare nel coraggio, nella determinazione per perseguire i pro-pri obiettivi, con i “piedi in terra e lo sguardo al cielo”.

Ed ora lasciamo parlare la sua vita. Giovanni Antonio Farina nacque

l’11 gennaio 1803 da Pietro e Fran-La dirigente prof. Lucia Scuteri, suor Vincenza Rossettini e suor Clara Bisol

La dirigente Lucia Scuteri, presenta agli studenti il quadro del Fondatore

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38VITA DI CONGREGAZIONE

cesca Bellame a Gambellara (VI), un paese adagiato tra il verde dei colli e i vigneti veneti. Fu battezzato il gior-no seguente. Crebbe forte e buono in una famiglia di solida fede cristiana. Ancora fanciullo conobbe la soffe-renza; il padre morì presto, la madre qualche anno prima della sua ordi-nazione era divenne cieca. Fu con-sacrato Sacerdote il 14 gennaio 1827 e fu inviato come cappellano nella parrocchia di S. Pietro, a Vicenza, e, notate dal Vescovo di allora le sue spiccate doti educative, fu anche no-minato insegnante in Seminario. Fra gli altri compiti fu anche incaricato della direzione della Pia Opera di S. Dorotea, un'istituzione fondata per la sorveglianza e la formazione della gioventù femminile. Decise nel 1831 di fonderla con la scuola di carità, dando vita ad una nuova istituzione, destinata all'istruzione ed educazio-ne delle fanciulle povere. Divenne così educatore preparandosi, senza saperlo, ad una grande missione. Convinto che la nuova scuola avesse bisogno di maestre in grado di for-nire una continuità educativa con una dedizione totale e disinteressata, fondò un Istituto religioso che assi-curasse "maestre di provata voca-zione, consacrate al Signore e dedite all'educazione delle fanciulle pove-re" (Archivio dell'Istituto "Farina", Memorie storiche dell'Istituto, 1828-1839). Nacque così nel 1836 l'Istitu-to delle Suore Maestre di S. Dorotea figlie dei Sacri Cuori, per il quale il Fondatore scrisse le costituzioni, sol-lecitando e ottenendo l'approvazione governativa, vescovile e pontificia.

Successivamente la scuola fu aperta alle fanciulle cie-che, sordomute, minorate psichi-che e a chiunque chiedesse di fre-quentare la scuo-la. Le fanciulle accolte aumenta-vano di giorno in giorno, e le Suore dell'Istituto fon-dato si aprirono al vasto campo del l ’educaz io-ne in varie parti d’Italia, allargando il raggio d'azione dell’Istituto che qualche anno dopo dispiegò la sua missione anche nell'assistenza degli ammalati e degli anziani a domicilio, negli ospedali e nei ricoveri. Giovan-ni Antonio Farina favorì la nascita e l'istituzione nelle parrocchie di as-sociazioni per il soccorso materiale e spirituale ai poveri, sollecitando la costituzione di una congregazione di sacerdoti per l'assistenza spirituale e sanitaria degli ammalati. Forte at-tenzione riservò al catechismo per i fanciulli e all'istruzione religiosa per gli adulti. Nel 1850 divenne Vesco-vo della diocesi di Treviso e dieci anni dopo della diocesi di Vicenza. Si spense nella pace del Signore il 4 marzo 1888.

L’amore verso i fratelli soprattut-to poveri si tradusse, per lui, in gesti concreti, spesso piccoli ma significa-tivi, ed anche in fatti ed opere che hanno lasciato un solco nella storia. Il capolavoro della sua carità, fuoco che

ha fatto ardere ormai migliaia di ani-me e al quale si sono avvicinate schie-re innumerevoli di piccoli e adulti, di sofferenti di ogni età e condizione, ri-mase però la Famiglia Religiosa delle Figlie dei Sacri Cuori. Famiglia Reli-giosa che oltre che in Italia si diffuse anche in altre parti del Mondo. Nep-pure una parola delle Suore è andata persa: tutti gli studenti hanno apprez-zato e hanno ringraziato sinceramen-te suor Vincenza e suor Clara per la graditissima visita, per l’omaggio ai ragazzi che hanno ricevuto un segna-libro con l’immagine e la preghiera di San Giovanni Antonio Farina, e per il quadro donato e raffigurante il dolce e rassicurante volto del Santo che ora è affisso nell’atrio della scuola e acco-glie i nostri studenti a scuola.

Grazie, San Giovanni Antonio Fari-na. Grazie, suor Vincenza e suor Clara.

La Dirigente dell’IstitutoComprensivo Statale 1

Lucia SCUTERI

Studenti della Scuola Media statale di Lavello (PZ) attenti alla presentazione

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39 VITA DI CONGREGAZIONE

Testimonianza degli studentie di una loro Docente

Nel mese di marzo la Dirigente della nostra scuola ha organizzato un incontro con le Suore Dorotee, presenti nel nostro paese da molti anni, le quali continuano il loro ser-vizio alla nostra comunità con amore e fervore cristiano profuso nell’inse-gnare e dare affetto ai bambini nella scuola dell’infanzia.

La Superiora, suor Vincenza Ros-settini, e suor Clara Bisol, presenti all’incontro, ci hanno parlato con luce negli occhi, della vita di San Giovanni Antonio Farina, Fondato-re del loro Istituto.

Abbiamo appreso, da quanto ci hanno detto con dolcezza e chiarez-za verbale e con l’ausilio di slides, la conoscenza della vita, delle virtù e dell’impegno profuso nelle opere realizzate da San Giovanni Antonio Farina. È stato un buon esempio di misericordia e carità verso tutti.

Nel periodo in cui visse, siamo nel 1800, la società era nettamente divisa in due ceti: la ricca borghesia e i pove-

ri contadini.L’ a n e l l o

più debole di quella società era la donna, che non veni-va considera-ta: era esclusa da ogni tipo di attività so-ciale e cultu-rale, non era cons iderata una persona da rispettare ma una “don-na-oggetto”.San Giovanni Antonio Farina istituì una scuola per accogliere tutte le bambine povere e dare loro una cultura che le formasse e le preparasse a farle diventare delle donne e madri esemplari, e non rele-garle ai margini della società. La scuola era totalmente gratuita e gestita in un primo momento da insegnanti laiche,

poi successiva-mente dalle Suore Maestre. La vita di San Giovanni Antonio Farina ci ha insegnato ad essere sempre disponibili nell’a-iutare il prossi-mo: se si agisce secondo la pa-rola di Dio tutto è possibile! Noi tutti dobbiamo seguire questo insegnamento,

affinché il mondo diventi migliore, senza disuguaglianze e con parità di diritti fra tutti gli abitanti della terra creati da Dio.

Alunni e Docenti, dalla testimo-nianza sulla vita di San Giovanni Antonio Farina, abbiamo maturato questa riflessione: viviamo in una forte interdipendenza e siamo fatti per completarci gli uni con gli altri, attraverso lo scambio, il dono reci-proco di stima, di amicizia, di affetti, di beni, di rapporti.

Chi ha più rispetto degli altri ser-ve al bene di tutti.

Il quadro raffigurante il Santo e il segnalibro che ci sono stati donati ci ricorderanno sempre questa matu-rata riflessione e questo evento avve-nuto nella nostra Scuola.

Gli alunni della III°Ae la Prof.ssa Angela Beatrice Coviello

I.C.S.1 Lavello

Gli alunni della Scuola Media, attenti e interessati

Gli alunni della III°A, Scuola Media partecipi e attenti

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VITA DI CONGREGAZIONE 40

La mia esperienza con le suore Do-rotee è stata altamente formativa. All’e-tà dell’asilo e poi della scuola elemen-tare i miei genitori scelsero di farmi frequentare l’EDUCANDATO, una istituzione scolastica locale diretta dal-la Sig.na Salvatore Maria. Accoglienza, Pazienza, Competenza sono i tratti caratteristici che ancora oggi fanno da contorno al ricordo di quegli anni.

Accoglienza: avevo tre anni, il distacco dai miei genitori non lo ri-cordo particolarmente traumatico. suor Viva Maria e suor Pasqualina si presero cura di me sin dall’inizio, come del resto avveniva con ogni bambino. Mi sentivo come a casa amato e coccolato, in più, iniziavo ad imparare le regole dello stare insieme. Poi il passaggio alla scuola elementare, sempre nella stessa isti-tuzione: le mie prime letture, le pri-me pagine di scrittura e il rapporto con i “numeri”.

Nel 1970 ebbi il mio primo in-contro con la lingua Inglese, che oggi insegno ai miei studenti. Un

progetto linguistico sperimentale che nella lungimiranza “didattica-educativa” delle Suore e della Di-rettrice Sig.na Salvatore, anticipa-va, allora, ciò che oggi è un aspetto imprescindibile della formazione dei giovani.

Un percorso scolastico che ha gettato le basi per la mia futura professione e professionalità, e un percorso formativo umano e socia-le che, sin dall’inizio, mi ha dato valori come la convivenza civile, il rispetto delle regole, il senso del dovere, il piacere della scoperta.

Oggi, credo di poter raccontare tutto ciò convinto che la presenza delle suore nella mia prima infan-zia abbia rappresentato uno stra-ordinario punto di partenza, che augurerei a tutti i bambini. Quan-do parlo di quel periodo della mia vita, amo dire che le suore Doro-tee, per me, hanno rappresentato la quintessenza dell’amore. Sono stato un bambino fortunato.

Ora ho conosciuto suor Vin-cenza e suor Clara e la vita del loro Fon-datore “Santo”, gioisco e godo perché abbia-mo bisogno di Santi che ci in-dichino la via della santità.

DonatoDi Fazio

Docente diLingua IngleseIl prof. Donato Di Fazio con un gruppo di alunni

RICORDIAMO

Katrikutty, mamma di suor Maria e suor Eli-sabeth MangalathMary, mamma di suor Rose VadakenparampilDavid, papà di suor Terezinha de Souza Na-scimentoRemigio, papà di suor Marisa CostalungaSa’ad Deeb, papà di suor Maysoon RihaniAdua e Rita, sorelle di suor Rosanna RossiAldina, sorella di suor Scolastica GumieroAnna, sorella di suor Franceschina CasellaAnna, sorella di suor Gianna MuttinAntonietta, sorella di suor Giuseppina NigroCarmela, sorella di suor Elena BaldassaCaterina, sorella di suor Ester LovatoGemma, sorella di suor Domenica PistolatoGiovannina, sorella di suor Marcellina VialettoGiuseppina, sorella di suor Cristina PistrelliItala, sorella di suor Lucia LorenziLucia, sorella di suor Assunta PeruffoMaria, sorella di suor Gabriella PomariMaria, sorella di suor Jolanda VanzoMaria, sorella di suor Maria Teresa ZordanNeàmeh, sorella di suor Maria Grazia BarakatRachele, sorella di suor Ernesta RigolonRina, sorella di suor Costanzina DidonèRosina, sorella di suor Leonilla LovatoSuor Natalina, Suore del Sacro Cuore, sorella di suor Vincenza GrandiAngelo, fratello di suor Elena BaldassaAntonio, fratello di suor Alfreda GrigoloAntonio, fratello di suor Oliva e di suor Pa-squina AndolfattoApolonio, fratello di suor Teodora Cortijo OrtizCarlo, fratello di suor Imelda CumerlatoErmenegildo, fratello di suor Umberta VenzFelice, fratello di suor Lucinda DanieliGino, fratello di suor Floriana GalloGiovanni, fratello di suor Beniamina VedelagoGiuseppe, fratello di suor Giovannina GaspariGuido, fratello di suor Margherita CarrettaIgino, fratello di suor Agilberta MilaniJoseph, fratello di suor Angela PallikaraLino, fratello di suor Italina FrisonLuigi, fratello di suor Valeria FreatoNello, fratello di suo Graziata BertarelliPadre Emilio o.f.m., fratello di suor Eugenia FurlatoSilvio, fratello di suor Rosacandida CazzolaroUmberto, fratello di suor Lidiana Zolin

Alle nostre Sorelle toccate dal dolore e ai loro familiari assicuriamo la nostra partecipazio-ne e il ricordo nella preghiera.

Testimonianza diun ex allievo

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41 IN BREVE

I genitori della piccola Alessia pongono la loro bimba sotto la protezione di santa Bertilla e in-vocano benedizioni per tutta la famiglia.

Rosanna Porto e Mau-ro Rinelli, di Pisa, chiedono la protezione di santa Maria Bertilla e la pregano per otte-nere dal Signore una grazia che tanto desi-derano. Tutti noi letto-ri ci uniamo alla loro preghiera.

Viola, Nicole e Melissa si affacciano alla vita con serenità e gioia si-curi della protezione di santa Maria Bertilla e di san Giovanni Anto-nio. Per loro e con loro lo chiedono i genitori che pregano intensa-mente i nostri santi.

Tina Caporale e Mauro Cumbo da Agrigen-to (Sicilia) chiedono la protezione di san Giovanni Antonio Farina e lo pregano per ottenere una grazia che tanto desiderano. Anche noi lettori ci uniamo a loro nell’in-tercessione.

Le sorelle voti perpetui e neo professe con le altre. Davanti da sinistra; Sr. Jyothi, Sr. Jasmatt, Sr. Sandhya, Sr. Reetha, Sr. Frenshy, Sr. Prasanna, Sr. Manju, Sr. Anjana, Sr. Princy, Sr. Shiny (Maestra delle novizie). Dietro sa destra; Sr. Liya, Fr. Varghese, il Vescovo, Fr. Alex e Sr. Gracy (maestra delle juniores).

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NELLA LUCE 42

Grazie sorelle!

n. Arcugnano (VI) 22.04.1920m. Vicenza 05.01.2015

Suor Giocondina Ester Todescato

Ester nacque ad Arcugnano (VI), penultima di tredici fratelli. Il papà, fale-gname, era una persona allegra e giovia-le, la mamma, donna di fede e di pietà. Purtroppo, nel 1935, il papà fu investito, poco lontano da casa, e morì. La gio-vane Ester andò a servizio dal parroco del paese e qui maturò la sua vocazione per la quale si era sentita attratta fin da fanciulla; nel frattempo la sorella Regina nel 1938 entrò nella Congregazione delle Suore Dorotee di Vicenza assumendo il nome di Suor Onorina e un fratello, in quello stesso anno, veniva ordinato sacer-dote tra i Servi di Maria. Ester poté realiz-zare il suo desiderio di donarsi al Signore e il 29 gennaio 1948 emise la Professione religiosa col nome di suor Giocondina. Fu inviata all’ospedale di Treviso per gli studi di infermeria e, diplomata, fu man-data all’ospedale di Arzignano (VI) dove rimase sedici anni nel reparto di mater-nità. Quando i bambini avevano bisogno di attenzioni particolari, si alzava di notte per assisterli, curarli con la generosità, con spontaneità e delicatezza. Vivace e altruista, era di sostegno anche per le giovani infermiere che dimoravano tutta la settimana nel Convitto dell’ospedale. Dall’ottobre 1969 all’agosto 2006 prestò il suo servizio come Responsabile di co-munità in varie realtà: fu dapprima a Val-dobbiadene (TV), poi a Treviso Ca’ Fon-cello, rivelando di essere una educatrice saggia, prudente, materna e forte allo

stesso tempo, corroborata dallo spirito di fede e da una vita di dedizione e di Offer-ta. Era molto stimata anche da medici e operatori sanitari: infondeva fiducia per la sua schiettezza, per la cordialità e per il suo altruismo donato con semplicità. An-che in Infermeria e nella comunità “Ma-ter Gratiae”, a Vicenza, seppe concretare la sua profonda spiritualità con l’ascolto e con gesti materni, rivestiti di compas-sione, aperti a chi era bisognoso di cure. Testimoniò una sapiente autorevolezza nelle relazioni con le Sorelle, promuo-vendo, per il loro benessere, iniziative atte ad equilibrare i vari momenti di vita comunitaria: preghiera intensa, impegno lavorativo, sano sollievo. Tutte la ricorda-no con tanto affetto.

n. Montecchio M. (VI) 27.03.1923m. Vicenza 08.01 2015

Suor Ottilia Paolina Peron

Suor Ottilia è nata in una famiglia, da genitori ricchi di fede e di sacrifici che hanno educato ai valori umani e cristiani otto figli, e generosamente donato al Signore cinque di essi: tre religiosi Giuseppini del Murialdo, mis-sionari in America latina, e due religiose, Suore Dorotee Figlie dei Sacri Cuori. Suor Ottilia ha aderito continuamente, con il suo Eccomi, alle richieste di Gesù, ha vissuto nella gioia e ha irradiato la Pace; ha parlato con l’esempio dell’amore di Dio agli altri, promuovendo la benevolenza, l’aiuto reciproco, la compassio-ne; ha donato con semplicità quei valori che l’hanno resa “umile e alta”. Durante la sua vita è passata accanto a tantissime persone con la sua presenza e il suo dono silenzioso, discreto

e attentissimo ai bisogni degli altri, pronta a consolare, a sostenere, ad accompagnare, con il calore della sua amicizia materna. Ha amato molto ed è stata amata molto. Dopo decenni dalla sua partenza dalle comunità dove era stata, la ricordavano e le telefonavano persone amiche da Strongoli (KR) e da Piraino (ME), per non parlare delle “sue carcerate” e del per-sonale di sorveglianza del carcere di Vicenza, che venivano a trovarla regolarmente e la cer-cavano come punto di riferimento per la loro vita. Anche le Sorelle di Casa Madre, del Novi-ziato e del “Cuor di Maria”, a Vicenza, hanno goduto per anni della sua saggezza, del suo ser-vizio silenzioso intessuto di preghiera e di sor-riso. Era come avere una mamma, una sorella maggiore che consigliava, a momento oppor-tuno, con parola pacata ma sempre saggia, e le accompagnava con uno sguardo di tenerezza e di comprensione. Abilissima nei lavori di sarto-ria, di ricamo e di rattoppo, dava un prezioso contributo in comunità e rallegrava le feste con i suoi lavoretti manuali; pregava continuamen-te e la sua presenza ha sostenuto e accompa-gnato, ogni giorno, tutte e ciascuna. Ora che il Signore l’ha chiamata con Sé in Paradiso, il vuoto della sua presenza umana è colmato dalla certezza di avere un angelo protettore che intercede presso lo Sposo e rimane accan-to a tutti coloro che ha conosciuto e amato.

n. Longare (VI) 18.11.1923m. Vicenza 11.01.2015

Suor Elda Bruna Miotello

Primogenita di undici fratelli e cre-sciuta nel sacrificio, fin da fanciulla, Bruna ha imparato ad amare Gesù dall’esempio di fede dei suoi genitori, che donarono

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43 NELLA LUCE

al Signore due figlie entrate, entrambe, nell’Istituto delle Suore Dorotee di Vi-cenza. Bruna era semplice e docile, di animo buono e generoso, precisa nello svolgimento dei suoi doveri. A diciannove anni entrò nel nostro Istituto dove assunse il nome di suor Elda e il 24 ottobre 1944 emise la Professione Religiosa ad Isola Vi-centina, dove le Novizie erano sfollate in seguito ai bombardamenti che, a Vicenza, avevano distrutto il Noviziato. Ha presta-to il servizio di cuoca e di collaboratrice per quarantanove anni in un impegno ove si richiedeva equilibrio, disponibilità piena, attenzione ai bisogni dei bambini della scuola materna in cui operava e con i quali scherzava volentieri e rideva con gusto. Quando si recava alle funzioni par-rocchiali cantava con fervore e partecipava con vivacità, segno evidente della sua gioia interiore che manifestava con naturalezza. Lavoro, preghiera e sacrificio, sembrano mansioni di routine e faticose ma, in re-altà, sono rese “grandi” perché svolte con amore e con dedizione. Ringraziava conti-nuamente quando veniva aiutata nel suo lavoro; coltivava la preghiera del cuore, che le permetteva di rimanere con Gesù nelle sue occupazioni quotidiane svolte con serenità. Nel 1998 fu trasferita in Casa Madre per apportare il suo aiuto nella pre-ziosità di un servizio silenzioso, che svolse con dedizione e premura per dieci anni. Accompagnata in Infermeria per motivi di salute, visse di preghiera e di offerta, accettando con pazienza e abbandono nel Signore la graduale perdita di autonomia. Spesso poté godere della presenza dei pa-renti, che venivano a trovarla settimanal-mente e si intrattenevano affettuosamen-te con lei. Quando Il Signore venne ad accoglierla, ella aveva la lampada accesa e colma dell’ Olio di tanta carità che per lunghi anni ha versato a piene mani nella preghiera e nel sacrificio, componenti che ci ricordano l’espressione del Fondatore San Giovanni Antonio Farina: la carità as-sapora ogni piccolo atto e lo rende fecondo, meraviglioso, gigante.

n. Campiglia dei Berici (VI) 18.07.1928m. Vicenza 11.01.2015

Suor GemmaDiana Albiero

Suor Gemma fu la terzogenita di cinque fratelli, cresciuti in una famiglia che li educò a forti valori umani e religiosi. A dodici anni entrò in Ancellato, presso Monte Berico dove, maturò la sua vocazione e a diciotto anni en-trò nella Congregazione delle Suore Dorotee di Vicenza. Il 27 ottobre 1949 emise i Voti. Frequentò l’Istituto magistrale e, ottenuto il “diploma di abilitazione all’insegnamento”, insegnò nella scuola elementare per quaran-totto anni con grande saggezza, creatività e competenza. Fu insegnante e direttrice della scuola “S. Rosario” a Roma per quaranta anni, amata, stimata da alunni e genitori per la sua professionalità e per la capacità di persuasio-ne che le permetteva di ottenere la disciplina in classe senza alzare la voce, in una costante amabilità e nella continua pazienza e sereni-tà. Era bravissima nell’adattare ai suoi alunni recite impegnative ricavate da opere famose, che intervallava con balletti e canti in coope-razione con gli insegnanti di musica e di edu-cazione fisica. Collaborava assiduamente con i genitori, instaurava con loro un rapporto sem-plice, fraterno in un atteggiamento impronta-to a stima e fiducia reciproca. Gli ex alunni l’hanno definita una maestra insuperabile per la sua umanità, la sua bravura, il suo modo di insegnare, di comunicare con loro e con la loro famiglia. Nel 1991 fu trasferita a Lavello (PZ) come responsabile di comunità continuando nell’insegnamento con la stessa vivacità e ricca di esperienza educativa. Nel 2000 fu inviata come responsabile di comunità nel semina-rio vescovile di Fiesole (FI), amata dalle con-sorelle, dai sacerdoti e dai seminaristi per la sua bontà, per la sua donazione instancabile in qualsiasi circostanza e per le sue attenzioni

premurose e sollecite verso i sacerdoti anziani. Fu colpita da ictus, ricoverata a Firenze, poi a Vicenza e successivamente nell’Infermeria della Congregazione dove si adeguò al nuovo tipo di “missione” lasciandosi plasmare da Gesù, suo Sposo, che ha sempre amato con tutta se stessa, pienamente radicata in Lui con adesione totale alla Sua Volontà.

n. Pozzoleone 28.02.1921m. Vicenza 17.01.2015

Suor Palma Oliva Luigia Dalla Pria

Suor Palma è ricordata per la sua te-stimonianza gioiosa di quasi settantacin-que anni consacrati con dedizione instan-cabile al Signore Gesù e al prossimo che Egli le ha posto accanto nella Missione di educare tanti fanciulli alla fede. Ha avver-tito la vocazione di donarsi al Signore fin dalla preadolescenza e, a 16 anni, è entra-ta nella nostra Congregazione, dove ha emesso i Santi Voti il 27 ottobre 1940. È stata inviata ad Asiago (VI), nella comu-nità del “Patronato” da dove ogni matti-na si portava alla Scuola Materna “Regina Margherita” e allestiva con amore il pran-zo ai bambini; nel pomeriggio rientrava in comunità e si dedicava alla preparazio-ne delle particole per tutte le parrocchie dell’Altopiano, alla lavatura e stiratura degli arredi sacri, in particolare i corpora-li, per la Chiesa di Asiago e di altre chiese. Alla domenica, dopo le funzioni, inse-gnava Catechismo curando, soprattutto, i gruppi dei bambini della prima Comu-nione. Il 12 maggio 1962, dopo diciotto anni di permanenza ad Asiago, fu trasfe-rita alla Scuola materna della Parrocchia di Costalunga (VR): accoglieva i bambini alla loro entrata a scuola, preparava loro il pranzo, si dedicava al catechismo seguen-

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44NELLA LUCE

do i fanciulli e i preadolescenti; era mini-stro della consolazione nelle famiglie. Vi è rimasta cinquanta anni, celebrando con solennità, rispettivamente, il 65° e il 70° della sua Professione religiosa festeggiata dai parrocchiani, che la sentivano parte viva della loro vita di fede per l’amore donato a profusione e per la sua testimo-nianza di Dono fatto servizio, di umiltà obbediente, di povertà generosa. Anche le sue consorelle di Villa Mater Dei dove ha vissuto i suoi ultimi anni, la ricordano con affetto e godono della Luce e del Ca-lore che ha profuso nella sua lunga vita.

n. Vicenza 03.07 1926m. Vicenza 19.01.2015

Suor Marcella Anna Busolo

Suor Marcella, ultimogenita di sette fratelli, è cresciuta in una famiglia in cui ha appreso profondi valori umani e cristiani che si sono concretizzati nelle sue operose giornate. Infatti, fin da adolescente, aiutò in famiglia poiché i suoi fratelli erano in guerra. Intelligente, estro-versa, determinata nelle sue idee, dotata di grande vitalità, trasmetteva la sua gioia di vive-re, l’amore per la natura, per la musica, per il canto e per la sua “armonica”; ha frequentato nella sua parrocchia di San Pietro la corale di-retta dai maestri Stella e Sacchetti. Nel 1958 en-trò nella Congregazione delle Suore Dorotee di Vicenza e il 29 ottobre 1960 emise i Santi Voti Fu inviata a Villa Bedin (VI) e poi a Cittadella (PD) in aiuto ai fanciulli della scuola elemen-tare. Ritornata in Casa Madre nel 1964 le fu affidato “l’ufficio stampa” della Congregazione, per curare il “Bollettino d’informazione”, una pubblicazione ciclostilata dove venivano narrati i principali avvenimenti dell’Istituto, mandati in tutte le comunità; lei redigeva la Presentazione e il “corso di barzettologia”. Nel suo lavoro

di aiuto tecnico di dattilografa e di tiratura della stampa, era precisa e accurata: si era sicuri che quanto le veniva affidato era prontamente eseguito alla perfezione; si prestava volentieri anche per la sorveglianza degli alunni della scuola durante gli intervalli. Ma suor Marcella è conosciuta da tutte le suore della Congrega-zione anche per l’animazione delle feste: nelle ricorrenze giubilari di 25° e di 50° di Profes-sione religiosa o in altre occasioni importanti, alla fine del pranzo, ella rappresentava scenette teatrali, cantava mottetti con la sua “spinetta”, raccontava barzellette; era la gioia per tutte le commensali che godevano delle sue battute spassose. Nel 2007, col declino delle forze, lasciò il suo servizio e passò nella comunità “Cuor di Maria” dove continuò, per quanto poteva, a rallegrare le consorelle con le sue bat-tute e barzellette, e dove aumentò il suo tempo di preghiera alla quale univa l’offerta della fa-tica di non poter più disporre liberamente di se stessa. In Infermeria, dove fu trasferita nel 2012, ha lasciato un ricordo del suo sostare frequente e prolungato in cappella: aveva una fede forte, amava intensamente il Signore e soleva mettersi sotto la protezione della Vergine Maria con grande fiducia. Ed Ella sicuramente le è venuta incontro per presentarla a Gesù e ai suoi cari familiari defunti per l’abbraccio gioio-so e definitivo.

n. San Giorgio in Bosco (PD) 13.08.1913m. Vicenza 30.01.2015

Suor Imelda LuciaAnna Carmela Battistella

Suor Imelda Lucia è terzogenita di dieci fratelli cresciuti in un clima familiare sereno in cui si viveva la solidarietà e l’aiuto recipro-co. Alla domenica il papà la accompagnava a Cittadella al ricreatorio delle suore dorotee e alle riunioni dell’Azione cattolica e delle zela-trici missionarie. Fin dall’età dei dodici anni

avvertì la chiamata a consacrarsi al Signore, ma lo decise dopo aver letto e riletto la biogra-fia di Santa Bertilla. Entrò in Congregazione il 20 aprile 1933 e altri quattro fratelli, come lei, si sentirono chiamati alla vita religiosa. Il 27 ottobre 1935 emise i Santi Voti e fu inviata ad Arcugnano (VI) nella clinica “Villa Norde-ra” per l’assistenza alle ammalate. Il Signore le donò anche la vocazione missionaria e nel febbraio 1940 partì per la Terra Santa con altre consorelle. Era intelligente, riflessiva, aveva attitudini per la musica e per il canto, sapeva ricamare come un’artista. I Superiori le avevano affidato l’insegnamento ai bambi-ni dell’età delle elementari dell'Istituto Rati-sbonne presso Gerusalemme ed ella vi andò con entusiasmo, ma dopo qualche mese, con l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Triplice alleanza, gli Inglesi, che erano della Triplice Intesa e avevano il Protettorato sul-la Palestina, fecero prigionieri tutti gli Ita-liani, comprese le Suore. Furono portate in campo di concentramento dapprima a Deir Rafat, a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv, poi nell’ex seminario, successivamente all’ “ospizio austriaco”. Le più giovani, oltre che nei lavori di pulizia, si impegnarono nello studio del francese, inglese e arabo, e questo fu provvidenziale per suor Imelda Lucia che poté essere “apostola” paziente e feconda nel-le nuove missioni che l’attendevano. Giunta la liberazione nel 1943, fu trasferita nella comu-nità del Patriarcato latino e, nel 1946 , nell’o-spedale psichiatrico di Betlemme per assistere le malate: condusse una vita sacrificata perché lavorava anche di notte, ma amò molto le sue “malate” e ne era ricambiata. Nel 1966 il Si-gnore l’ha fatta passare dalla “vita nascosta” alla “vita pubblica”: fu inviata, pioniera, nella comunità di Zarqa, in Giordania, aperta sia alle attività educative che assistenziali, tra la gente e per la gente con tante soddisfazioni. Ma dopo qualche anno scoppiò la guerra ci-vile. Aveva tanta paura a causa dei bombarda-menti, ma rimase nella sua missione, sorella e madre, vicina a chi stava soffrendo. Dopo questa grande purificazione, fu destinata all’opera Effeta di Betlemme per bambini au-diolesi, in portineria perché parlava corretta-

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45 NELLA LUCE

mente l’arabo e l’inglese, così poteva comuni-care con i genitori delle bambine e accogliere i pellegrini in visita alla Terra Santa. Qui poté donare, per 29 anni, la saggezza maturata in tanti anni di dedizione intessuta di preghiera. Nel 2000, a causa della salute malferma, ritor-nò a Vicenza, dapprima nella comunità Ma-ter Dei, poi in Infermeria. La sua è stata una magnifica avventura d’amore segnata da una donazione eroica e dalla fedeltà al Signore.

Suor Leonella Fidelia Perozzo

Suor Leonella ha concluso la sua missione terrena di una consacrazione vissuta in pienezza mentre era ancora sul suo “campo di servizio”, ed esternava lo slancio della sua dedizione verso gli altri con la semplicità dei gesti, e l’accoglienza cordiale verso tutti. È stata formata alla vita cristiana dall’esempio dei genitori, che hanno insegnato ai loro undici figli i valori della solidarietà e l’importanza del-la fiducia in Dio. È entrata in Istituto il 26 aprile 1954 ed ha emesso i Santi Voti il 27 ottobre 1956. Conseguiti a Treviso i titoli di infermiera professionale e di “abi-litazione a funzioni direttive nell’assistenza infermiera” ha svolto la sua missione fra i malati con grande amorevolezza, pazienza, con competenza, sempre pronta e precisa nella sua professionalità. Dal 1960 al 1971 è stata a Mestre (VE) caposala nel reparto del Pronto Soccorso e, successivamente, responsabile di comunità in alcune realtà ospedaliere del Veneto: ad Asiago (VI), a Mestre, a Jesolo (VE), ed Arzignano (VI). In seguito al terremoto in Irpinia, fu trasfe-rita a Bisaccia (AV), con funzioni diverse:

animatrice di comunità, aiutante nei servizi generali, sempre delicata e premurosa ver-so le persone che suonavano il alla porta, o andando lei stessa a trovare gli anziani e gli ammalati nelle loro case, missionaria nel ministero della consolazione. Nel 2005 fu inviata a Strongoli (KR) e continuò a donarsi nella portineria della scuola ma-terna, nella visita dei malati a domicilio, nell’intrecciare relazioni con ogni persona del paese, offrendo il consiglio, la vicinan-za ai problemi delle famiglie con cuore di madre fino alla chiamata definitiva del Si-gnore a “germogliare” in una realtà nuova, soprannaturale, partecipe per sempre alla comunione dei Santi in cielo.

n. Santa Bona (TV) 01.07 1922m. Vicenza 31.01.2015

Suor AmedeaElsa M. Crosato

Primogenita di cinque fratelli, suor Amedea è cresciuta in una famiglia pa-triarcale costituita da ventidue membri, dove tutti collaboravano nel suddividersi i lavori agricoli e dove, ogni sera, prega-vano insieme il Rosario con la nonna. Lei si recava alla S. Messa tutte le mattine con la nonna, frequentava il catechismo, l’A-zione cattolica, il ricreatorio e la scuola di lavoro presso le Suore Dorotee della sua parrocchia. Entrò nel nostro Istituto il 18 aprile 1941 e il 28 giugno 1944 emise la Professione religiosa. Il giorno seguente fu inviata all’Istituto medico-pedagogico di Thiene (VI) fra i fanciulli con proble-mi di tipo comportamentale. In comunità c'era un clima di aiuto reciproco e lei si de-dicava ai fanciulli con premura agevolata dall’esempio e dai consigli delle consorel-le con maggiore esperienza. Rettitudine, preghiera assidua, fede forte, altruismo, delicatezza d’animo sono prerogative che

ella ha vissuto fin dalla fanciullezza e che ha corroborato durante la sua vita religio-sa. Poi fu inviata come Responsabile in varie comunità dove poté esercitare que-ste sue doti a favore delle consorelle a lei affidate, delle fanciulle e delle adolescenti dell’orfanatrofio di Valdagno (VI) e dei bambini di scuole materne parrocchiali. È ricordata da tutti con gratitudine per la sua generosità e umanità. Era un punto di riferimento sicuro e le persone si sentiva-no stimolate ad imitarla perché motivate a fare tutto per il Signore e a compiere ogni azione santamente. Era semplice e mite; di fronte all’errore, faceva ragionare con delicatezza, incoraggiava, insegnava ad essere disponibili. Tre giovani risposero sì al Signore attirate dal suo esempio, a con-ferma di quanto ha affermato Papa Fran-cesco secondo il quale “le vocazioni nuo-ve nella chiesa avvengono per attrazione”. Suor Amedea ha vissuto intensamente il carisma del suo Fondatore San Giovanni Antonio Farina, soprattutto la mitezza del Cuore di Gesù e l’ amorevolezza del Cuor di Maria.

Suor GrazianaMaria Zaira Roviaro

Suor Graziana è la primogenita di dieci fratelli ed è stata per loro una “se-conda mamma”, imparando, fin da fan-ciulla, ad usare mente, cuore e creatività nell’accudire alle necessità e alle esigenze di tanti bimbi. Era intelligente, semplice, dinamica, di carattere forte, talvolta im-pulsivo, mitigato dalla generosità e dalla disponibilità al sacrificio, attirava facil-mente la simpatia perché era espansiva e affettuosa. Con una certa frequenza visi-tava uno zio sacerdote, si confidava con

n. Montagnana (PD) 30.09.1932m. Brendola (VI) 18.02.2015

n. Crosara (VI) 26.04.1930m. Strongoli (KR) 24.01.2015

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46NELLA LUCE

lui e ne riceveva luce. Quando ha deciso di intraprendere il cammino per il quale si sentiva chiamata, i fratelli hanno pianto, soprattutto i più piccoli, e anche gli altri familiari hanno avvertito il vuoto che ha lasciato. È entrata nel nostro Istituto il 14 ottobre 1953 ed ha emesso la Profes-sione Religiosa il 3 maggio 1956 Fu de-stinata come cuoca, dal 1956 al 1970, in strutture ospedaliere e in Case di Riposo dove si richiedeva capacità organizzativa, lavoro assiduo e spesso faticoso; succes-sivamente in Comunità di Congregazione meno onerose, ma ugualmente impe-gnative. Nel 2010 fu inviata a Brendola (VI), nella Casa vescovile ove si sentiva onorata di essere a servizio del Vescovo Pietro Nonis, che ammirava molto. Ha vissuto con fedeltà e coerenza la sua vita religiosa, sempre aggiornata nei program-mi di formazione religiosa, attenta alle ispirazioni divine e, pure, “ai silenzi” di Dio che amava intensamente. Lasciò una preghiera molto significativa da lei stessa sottoscritta: Signore Gesù, Tu mi chiami a seguirti e mi fai comprendere, a poco a poco, soprattutto con l’avanzare degli anni e con l’esperienza, che seguirti è bello, ma richiede uscita da me stessa, dedizione agli altri, esige la forza del perdono e il coraggio della mitezza. Ti chiedo di imprimere in me queste virtù, che sono Tuo Dono, così Tu vivrai in me e io in Te diventando sorgente di verità e di pace per tanti fratelli.

Suor ZelieCaterina Busellato

Suor Zelie è ultimogenita di sette fratelli cresciuta nel periodo post-bellico della prima guerra mondiale stremato

dalle grandi perdite umane e dalla conseguente povertà. Essendo la più giovane, con fratelli sposati e numerosi nipotini, si è dedicata a loro per aiutare la famiglia. Ha conosciuto le Suore Dorotee di Valdagno (VI) alle quali ha confidato il suo desiderio di consacrarsi al Signore; esse l’hanno invitata a fare esperienza, durante i mesi estivi, a Castelvecchio di Valdagno nella loro comunità con le bambine orfane, ed ella ha deciso di entrare nella loro Congregazione il 24 ottobre 1934. Il 22 aprile 1937 ha emesso la Professione Religiosa. Qualche giorno dopo, è stata inviata a Villa San Sebastiano (AQ), comunità da poco avviata con attività educative e parrocchiali. Lei stessa ricordava che erano state accolte festosamente dagli abitanti i quali le aiutavano in tutto e, in quei tempi di grande povertà, portavano loro quanto avevano bisogno. Successivamente, suor Zelie ha conseguito il diploma di infermiera e i Superiori l’hanno destinata a svolgere la missione di assistenza sanitaria in vari ospedali del Veneto fino al 1993 quando, per salute malferma dovuta all’età, è passata a Dolo (VE) nella comunità “Casa Betania” e nel 2011 in Infermeria a Vicenza. Era una persona energica, dal carattere forte, ma anche allegra, affettuosa e scherzosa; aveva forte pietà e carità. Con i malati era solerte e premurosa nel curarli e confortarli. Una ragazza, che aveva la mamma ricoverata all’ospedale di Soave (VR), è stata attratta dalla sua testimonianza di altruismo e di dedizione nel chinarsi con tanta umanità verso i malati e, dovendo decidere in quale Istituto consacrarsi al Signore, ha scelto quello delle Suore Dorotee. Nella vita religiosa, suor Zelie si è sentita sostenuta dall’amore intenso per la Madonna, che pregava in continuazione e dall’affetto filiale per il Fondatore e i suoi insegnamenti di vita. Nel 2010 ella annotava: Gesù, Tu mi vuoi così. La Tua Volontà si compia in me: mi abbandono in Te che sei Bontà infinita e usi grande Misericordia.

Suor NerinaGiuliana Fasan

Decima di tredici fratelli, suor Nerina è cresciuta in un clima familiare sereno: vivace, allegra, dinamica, piena di zelo apostolico, ha avvertito ben presto la chiamata del Signore e all’età di diciotto anni è entrata nella Congregazione delle Suore Dorotee di Vicenza e il 23 ottobre 1955 ha emesso la Professione Religiosa. Dopo alcuni anni di attività nel Seminario vescovile di Vicenza, fu scelta ad essere missionaria in Ecuador ove per trentatré anni portò la sua profonda ricchezza interiore, l’amore incondizionato per Gesù con una vita attiva e contemplativa. Nel 1994 passò in Colombia per tredici anni, dapprima a Medellin, poi a Bogotà servendo le Sorelle della comunità e gli allievi della scuola con passione e generosità. Nell’ottobre 2003 fu trasferita ad Azuqueca (GU) in Spagna in aiuto alle sorelle della Comunità e nell’apostolato parrocchiale, dove insegnava catechismo e, con la sua bella voce di canto e la sua esuberanza, animava la liturgia facendo partecipare tutti i fedeli. Nel 2014 fu inviata nella “Casa Sacerdotale” di Guadalajara e vi andò con gioia perché si sentiva privilegiata nel potere mettersi a disposizione dei sacerdoti. Fece cinquantaquattro anni di Missione, lontana dalla Patria e dai suoi familiari, ma sempre felice nel dono di sé verso tutti. Suor Nerina ha sempre testimoniato la bellezza della vita religiosa vissuta in semplicità ed entusiasmo, fedeltà alle piccole cose come alle grandi, mai stanca, mai scoraggiata. Diceva che la vera missionaria faceva tutto con ardore.

n. Valli di Pasubio (VI) 13.04.1917m. Vicenza 21.02.2015

n. S. Giustina in Colle (PD) 25.08.1935m. Guadalajara (Spagna) 02.03.2015

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47 NELLA LUCE

E un sacerdote della ”Casa Sacerdotale” le ha dedicato le seguenti espressioni: Suor Nerina, anche se te ne sei andata, sappiamo non te ne sei andata del tutto, perché ci rimane il salutare e magnifico esempio che ci hai dato; e ci rimane il tuo affetto e il profumo del tuo spirito. Siamo sicuri che il Signore ti ha accolto nelle felici Dimore del suo Eterno Paradiso.

Suor AntoninaSantina Vianello

Suor Antonina è entrata nel nostro Istituto il 19 ottobre 1949 all’età di ven-tun anni, attirata dalla spiritualità vis-suta dalle Suore che aveva conosciuto a Pellestrina e, il 25 ottobre 1952, emise la professione Religiosa. Si è donata al Si-gnore e al prossimo vivendo gioiosamente e con amore, mettendo a frutto le qualità ricevute e coltivate. Osservando le sue at-titudini per il canto, la mamma la avviò allo studio del pianoforte e del canto co-rale e, pure, all’apprendimento dell’arte del merletto veneziano, in particolare del “tombolo” in un armonioso intreccio di dita e fuselli dai quali scaturivano pizzi artistici. Nella sua missione apostolica fu educatrice di numerosi bambini nella scuola dell’infanzia: li educava con pas-sione a scoprire il mondo, a conoscere la bellezza della fede, cantava e giocava con loro; si rapportava cordialmente con i genitori, che la cercavano per ricevere consigli e la apprezzavano per la compe-tenza e la disponibilità. Collaborava in parrocchia con i gruppi dell’Azione cat-tolica, nel catechismo e nel canto sacro, che accompagnava con il suono. Chi l’ha conosciuta ne ricorda con riconoscenza

l’impegno, la parola buona, la serenità. Era sempre gioviale e attiva in comu-nità aiutando ovunque ci fosse bisogno e, nella sua originalità creativa, anche nella comunità “Villa Sant’Antonio” con le consorelle quiescenti sapeva creare un’atmosfera festosa: alla sera, durante la ricreazione, suonava la spinetta e guidava un coro di voci allegre che riempivano il cuore di contentezza. Ha fatto della sua vita apostolica l’espressione caritativa della sua vocazione, ha comunicato e of-ferto, nella semplicità del cuore, il mes-saggio di Gesù che l’ha illuminata e gui-data, giorno dopo giorno: con coerenza ha dimostrato che “chi confida nel Si-gnore non vacilla, è stabile per sempre”. Ed è illuminante la seguente espressione scritta di suo pugno: Gesù, fammi pane umile, nascosto, silenzioso nella purezza del sacrificio e nell’intensità dell’amore.

Suor GemmaGiannette Hayrabedian

Suor Gemma nacque a Gerusalemme in una famiglia di origine armena. Rimas-ta orfana di padre a due anni, ultima di sei figli, visse tra fatiche e sofferenze an-che a causa di guerriglie tra palestinesi ed ebrei che la videro profuga con la famiglia a Gerico per due anni. Lavorò, poi, sempre con la mamma, a Gerusa-lemme, fino alla sua entrata in convento, nel 1957, nel nostro Istituto. Il 24 otto-bre 1959 emise la Professione Religiosa e, completata la sua formazione spiri-tuale e culturale, esplicò il suo servizio in varie scuole dell’infanzia: a Vicenza, a Roma, a Istrana, in Terra Santa (Deir Rafat e Hashimi). Nell’insegnamento,

che esercitava con grande competenza, rispettava i tempi di crescita dei bam-bini, che seguiva con impegno; creativa e geniale, era insuperabile nel pre-parare “festine” con attività manuali e nell’aiutare le maestre ad approntare la “mostra” di fine anno scolastico, propa-gando tanta soddisfazione. Nel 1991, a causa della sua salute precaria, affetta da parecchi mali, passò in Casa Madre e, dal 6 novembre 2014, trascorse gli ultimi mesi della sua vita in Infermeria Era molto sensibile ed emotiva; reduce da un passato di sofferenza e di disagi fisici e morali, nelle comprensibili dif-ficoltà relazionali chiedeva scusa; era espansiva, generosa, affettuosa e rich-iedeva ricambio di affetto. Aveva tanta fiducia nella Madonna e nel Signore, che chiamava “papà mio.” Parlava delle sue “radici culturali”, delle sue tradizioni, della perseveranza nella fede e della sopportazione ammirabile della sua famiglia durante la deportazione. Ci ha aiutato, così, a mantenere la memo-ria del suo amato popolo armeno segnato, nella storia, da tanta sofferenza che lei viveva anche con riconoscenza al Si-gnore, per averla amata di un amore di predilezione, chiamandola ad essere Sua sposa. Nella preghiera personale pre-sentava a Dio tutta se stessa con l’ardore e l’intensità che la caratterizzavano. Lasciò scritto, tra l’altro, le seguenti espressioni: “Gesù, mi hai raccolta a di-ciotto anni dal profondo dei pericoli. Ero come pecora smarrita e tu sei venuto a cercarmi. Con le tue sante mani mi hai raccolta, mi hai stretta al tuo Cuore e al Cuore della Mamma Maria. Mi hai messo nella tua Casa, in questa Congregazione dei Sacri Cuori. Mi hai portato qui dal-la nostra Terra, Gesù, che Tu ami e per la quale hai pianto più volte: “Gerusa-lemme, Gerusalemme!” Anche a me ca-dono le lacrime spontaneamente quando nei Salmi leggo questo nome. Gesù, credo in Te, spero in te. Maria, sono figlia Tua, io ti amo, Mamma mia…”.

n.Venezia 09.08.1928m.Vicenza 11.03.2015

n. Gerusalemme 01.04.1935m. Vicenza 13.03.2015

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IN CASO DI MANCATO RECAPITO RESTITUIRE Rifiutato DecedutoA VICENZA C.P.O. PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE Indirizzo incompleto SconosciutoCHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TARIFFA Indirizzo inesatto Trasferito

Periodico «Nella Luce di S. M. Bertilla» - Istituto Farina - Via S. Domenico, 23 - 36100 VICENZA (Italia)

Dal cuore dell’IstitutoLa sera del 30 marzo, Lunedì Santo, l’antico e meraviglioso ex refettorio delle suore, sito negli ambienti di Casa Madre, è stato lo scenario della prima assoluta del Reading Teatrale dal titolo: “Più vivere dentro”. Esso è stato presentato non solo come un atto teatrale, ma in primo luogo co-me un quadro meditativo che ha avuto come sfondo la vita e l’opera di San Giovanni Antonio Fa-rina, che ha parlato direttamente al cuore del pubblico presente. Il Reading, scritto da una suora Dorotea e realizzato sotto la magistrale direzione del prof. Gilberto Dal Cengio, ha visto coinvolti quattro giovani provetti attori della scuola superiore: Varvara Khodykina, nei panni di un medico russo, Naomi Di Carlo e Anna Ercole ad impersonare due giovani suore Dorotee e Giovanni Cor-radin, novello Mons. Farina. Un sentito grazie va anche alla prof.ssa Laura Fabris per aver curato la parte musicale e al coro da lei diretto. Infine i ringraziamenti vanno alla Madre Generale per aver dato l’opportunità di recitare in un luogo storico per l’Istituto e alla Presidenza della Scuola per aver sostenuto tale progetto.

Il gruppo del Laboratorio Teatrale