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1 Esperienze di Marketing in ANIC di Pierluigi Calvi Prima Edizione del documento, Giugno 2010.

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Esperienze di Marketing in ANIC

di Pierluigi Calvi

Prima Edizione del documento, Giugno 2010.

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Esperienze di Marketing in ANIC................................................................................................................................ 1

di Pierluigi Calvi ....................................................................................................................................................... 1

PREFAZIONE ............................................................................................................................................................. 3

ESPERIENZE DI MARKETING IN “ANIC” ............................................................................................................. 4

INTRODUZIONE ....................................................................................................................................................... 4

CAPITOLO 1° - INTERPRETAZIONI e DEFINIZIONI di MARKETING................................................... 5

CAPITOLO 2° - FUNZIONI e FINALITA’ del MARKETING......................................................................... 6

CAPITOLO 3 - MARKETING nella GESTIONE del PRODOTTO................................................................ 7

CAPITOLO 4° - MARKETING a TUTTO CAMPO. ........................................................................................... 8

CAPITOLO 5° - PIANO di MARKETING ............................................................................................................ 9

CAPITOLO 6° - MARKETING dalla RICERCA al MERCATO. .................................................................. 10

CAPITOLO 7° - MARKETING del PRODUTTORE nel RUOLO di AGENTE di VENDITA............... 15

CAPITOLO 8° - MARKETING per INCREMENTARE QUOTE di MERCATO. ..................................... 20

CAPITOLO 9° - MARKETING per ACQUISIRE SEGMENTI di MERCATO. ......................................... 24

CAPITOLO 10° - MARKETING per SCOPRIRE NUOVI SETTORI di IMPIEGO ................................. 27

CAPITOLO 11°- MARKETING nei PAESI EX-ECONOMIA di STATO. .................................................. 30

CAPITOLO 12° - MARKETING per i DEALER.............................................................................................. 31

CONCLUSIONI ........................................................................................................................................................ 35

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PREFAZIONE

Invecchiando, vedendo che il tuo futuro ti riserva sempre meno spazio per renderti utile, ti

rifugi nel tuo passato, sforzandoti con i brandelli di memoria rimasti, di rinverdire ciò che di

buono credi di aver fatto. Purtroppo, il decadimento psico-fisico è inarrestabile ed allora,

per non arrenderti, devi reagire “non dando tregua né al corpo né alla mente”. Occorre toni-

ficare il fisico col movimento di una camminata, di esercizi di ginnastica, ecc. e costringere

il cervello ad essere attivo in ogni circostanza possibile per mantenere lucidità e prontezza

di riflessi.

Per quanto mi riguarda, il ricorso alla scrittura di avvenimenti del passato o di fatti attuali

mi sembra che costituisca una buona terapia, naturalmente senza la pretesa di volermi con-

siderare uno scrittore. Io scrivo perché mi piace, se poi qualcuno mi legge, ben venga, per-

ché provo compiacimento, che va ad accrescere il mio piacere.

Ho scritto questo saggio sul “marketing” senza pretese d’insegnare niente a nessuno, ma so-

lamente perché nella mia vita lavorativa ho sempre agito col mio pragmatismo, come se fos-

si inconsapevolmente guidato dai principi e dalle regole del marketing. Ricorrendo ad una

metafora, chi dovesse leggermi, potrebbe anche pensare che io mi ritenessi un profeta sceso

in terra a predicare il verbo. In verità, nell’epoca cui mi riferisco, non erano molti a cono-

scere le linee guida del marketing, ma sicuramente c’era una maggioranza che navigava a vi-

sta, compiendo le mie stesse azioni di “marketing pragmatico“.

La prima società che mi assunse “Montecatini”, è stata la mia palestra per esercitarmi ad

apprendere il marketing. Sicuramente, un esperto troverebbe molte mie asserzioni in con-

flitto con la teoria ed i principi di quella, che a torto o ragione, viene ritenuta una scienza.

Purtroppo, la fusione con l’Edison, mi lasciò con l’amaro in bocca e pertanto, dopo sei anni

dall’inizio della mia attività svolta in Montecatini diventata Montedison, decisi di imboccare

un’altra strada.

La seconda società “Anic del Gruppo ENI”, alla quale approdai, nel mio saggio appare talvol-

ta un po’ lenta a prendere una decisione, ovvero per non essere frainteso, in ritardo con i

tempi, non per colpa delle individualità di tutto rispetto e dotate di capacità professionali,

che ne erano parte integrante, ma della mentalità comune dominante, che non era ancora

dotata del tipo di cultura chimica necessaria per potere agire con rapidità. L’Anic, infatti, si

era formata da pochi anni e pertanto non aveva ancora potuto maturare una tradizione ed

esperienza adeguata.

Anch’essa, comunque, seppe aggiornarsi, muovendosi l’apparato societario nella giusta dire-

zione, non certo per la mia spinta! Io ho servito questa società impegnando tutto me stesso

e sono riconoscente, perché ha permesso di svolgere il mio compito con un buon grado di li-

bertà, perché ha apprezzato e riconosciuto i risultati raggiunti, anche se ho dovuto attraver-

sare periodi di alti e bassi, che sono stati per me alternativamente motivi di esultanza e mo-

tivi di sconforto.

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ESPERIENZE DI MARKETING IN “ANIC”

(Azienda chimi ca del Gruppo ENI)

Dal pragmatismo della pratica al riscontro con la teoria.

INTRODUZIONE Durante la mia vita lavorativa ho svolto diverse attività, dalla ricerca di base a quella appli-

cata, dall’assistenza tecnica agli acquisti, dalla promozione commerciale alla vendita diretta

ed indiretta sul mercato, operando in un settore chimico specifico, trattando materie prime

a medio ed elevato contenuto tecnico, muovendomi in campo nazionale ed estero.

Ebbene in tutto questo lungo percorso, maturando un’esperienza assai diversificata, senza

praticamente aver eseguito alcuna preparazione o studio del marketing, ho sempre “fatto

marketing” in maniera spontanea, razionale e riflessiva, guidato semplicemente dalla mia

formazione culturale di base e senso dell’intuizione. Infatti, qualsiasi cosa dovessi fare o de-

cisione dovessi prendere, avevo bisogno di costruire un quadro conoscitivo, che suffragasse il

mio operato, senza che nessuno me ne facesse richiesta o che fosse evidenziato nelle mie

mansioni.

E’ così che analizzando le ragioni dei successi e degli insuccessi, ebbi modo di scoprire che

tutti rientravano in varie casistiche, che in diversi modi venivano catalogate come un risulta-

to del marketing.

In questo saggio racconto la mia visione del marketing pragmatico svolto sul campo, che ha

trovato riscontro nelle teorie sostenute dal marketing studiato a tavolino.

Dopo aver analizzato a grandi linee quali sono state le mie mosse che mi hanno portato a

conclusioni di marketing, ho descritto a conferma di ciò alcuni casi esemplificativi.

Ritengo comunque necessario precisare che il “marketing da me vissuto” si discostava da

quello in generale descritto nella maggior parte dei casi, che si riferiscono a beni di largo

consumo, beni strumentali, servizi, ecc.

Il mio marketing si è delineato invece in un settore specifico, ristretto agli addetti ai lavori,

che riguardava la produzione e la vendita di materie prime di natura chimica, caratterizzate

da un certo contenuto tecnico di grado più o meno elevato (elastomeri o gomme sintetiche).

Nel loro uso, questi prodotti entrano a far parte di una filiera industriale lunga e complessa,

attraverso stadi successivi, che iniziano dalla creazione delle materie prime (Ricerca, Produ-

zione) per passare alla realizzazione dei semilavorati e/o dei prodotti finiti (Trasformazione)

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sino all’utilizzazione nella componentistica (Utilizzatore finale) oppure direttamente come

manufatti idonei per tutti gli usi che le loro peculiarità permettono e consigliano (Consuma-

tore finale).

CAPITOLO 1° - INTERPRETAZIONI e DEFINIZIONI di MARK ETING.

Scorazzando su dizionari, enciclopedie, testi specifici sull’argomento marketing, si trovano

le definizioni più disparate di questa parola generica e un po’ misteriosa.

Si passa dalla sua identificazione più semplice come sinonimo di commercializzazione, come

espressione per ricerche di mercato, per studio ed analisi di mercato, per indagine di merca-

to, per azione idonea a lanciare un prodotto sul mercato fino ad arrivare a quella più espli-

cativa come “l’insieme di attività svolte da qualsiasi tipo di azienda per organizzare a fini di

scambio il flusso di merci e di servizi dalla loro origine all’utilizzo finale” ovvero ancora “

compiere tutte le azioni necessarie per ottimizzare la vita di un prodotto”.

Quest’ultima definizione è quella che più si avvicina e rappresenta il mio personale pensiero

sull’argomento, essendoci arrivato tramite un mio percorso sul campo di lavoro giorno dopo

giorno e di fase in fase, con livelli di responsabilità crescenti ed esperienze diversificate.

Questo è il punto, interpretare il marketing, partendo dall’esercizio della pratica per com-

prenderne il significato e poter pervenire alla teoria.

E’ questo un iter che solo pochi addetti ai lavori si sono resi conto di seguire adottando un

approccio pragmatico, perché la stragrande maggioranza inizia con l’apprendimento di no-

zioni teoriche per poi tentare di applicarle nello svolgimento della propria attività lavorati-

va, in genere restringendo l’esperienza nella specificità del loro campo d’azione.

Io ho fatto parte della prima schiera di seguaci del marketing, avendo sperimentato sulla

mia pelle, aiutato dalla mia indole pragmatica, quasi tutte le sfaccettature e pieghe di quel-

la che a torto o a ragione può essere considerata una scienza imperfetta o una disciplina o-

perativa, un tentativo di disciplinare l’operatività lavorativa nella sua generalità.

Ricordo un episodio accaduto,quando svolgevo la funzione di responsabile vendite di prodotti

a contenuto tecnico (elastomeri) e l ‘ Anic, a quei tempi già di importanza internazionale,

aveva formato una joint-venture con un partner statunitense pure a carattere mondiale (Oc-

cidental). Il direttore americano della struttura nascente, un uomo di marketing riconosciuto

ad alto livello,in occasione di un primo incontro esplorativo e conoscitivo sulle mie respon-

sabilità ed attività svolte nella società di appartenenza, mi chiese se sapevo che cosa fosse il

marketing, in quanto secondo Lui, io avevo soltanto realizzato esperienze di vendita. Io gli

spiegai che il suo pensiero non era da me condiviso, in quanto il mio modo di operare nel

condurre le vendite non si limitava semplicemente a creare un buon rapporto col cliente on-

de finalizzare al meglio il prezzo e le condizioni di vendita, ma era preceduto da tutta una

serie di indagini e di verifiche sul mercato di pertinenza per individuare le peculiarità e sa-

per valutare il cliente col più alto grado di conoscenza.

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Secondo la visione del mio interlocutore, il marketing era il padrone(gestore) del prodotto,

mentre le vendite erano i referenti dei clienti. I compiti erano paralleli e separati, ma nello

stesso tempo alternativi e coincidenti. La struttura era ritenuta come un corpo, con la testa

manovrata dal marketing in simbiosi con le braccia mosse dalle vendite. Ecco qui la teoria

che non fa una grinza, ma quando si passa all’applicazione, sorgono le prime difficoltà.

In verità, io avevo maturato nella mia definizione di marketing una similitudine col corpo

umano più completa e complessa, chiamando in causa l’abbinamento tra le funzioni vitali di

una azienda e gli organi di base del corpo. Pertanto, nella mia immaginazione, il Cuore è il

simbolo del marketing, da cui partono tutti gli impulsi nelle varie direzioni, verso il cervello

sede dell’Alta Direzione, verso gli organi sensoriali dove si inserisce la Ricerca, verso l’ appa-

rato digerente e respiratorio, dove agiscono la Produzione, l’Amministrazione e Finanza e la

Gestione del Personale, verso le braccia che muovono l’Assistenza Tecnica ed infine verso le

gambe, dove agiscono le Vendite, che devono tenere in moto l’attività dell’azienda. Ovvia-

mente, a questo ciclo comunicativo di andata, deve far ritorno al Cuore un corrispondente

ciclo informativo e questi flussi non devono mai fermarsi, come avviene nel corpo umano col

sangue.

CAPITOLO 2° - FUNZIONI e FINALITA’ del MARKETING. Molti sono i parametri influenti, quali ad esempio le qualità e le capacità delle risorse uma-

ne impiegate ed il loro livello di preparazione, le esperienze maturate, la distribuzione delle

responsabilità, la chiarezza dei compiti di ciascun componente della struttura, lo spirito di

corpo, l’onestà intellettuale e così via. Ciò per dire che la componente umana ha una forte

incidenza nelle scelte, nel riconoscere i meriti altrui, nel gestire i rapporti interpersonali e

queste particolarità possono influire pesantemente sulle opportunità di finalizzazione in

concerto fra marketing e vendite.

Per definizione, il marketing è vicino al prodotto, le vendite al cliente. Ma il prodotto è una

cosa” inerte”, il cliente è una cosa “viva”, che ha l’anima pulsante, che spesso si mette a

battere in sintonia col fornitore, sfilandolo dalle indicazioni del marketing.

Così, il marketing fissa una linea di prezzi sulla base delle informazioni raccolte dal mercato

e delle esigenze gestionali dell’azienda. Ma, se non esiste una mutua e leale cooperazione

fra le funzioni aziendali impegnate, le decisioni prese vengono distorte dall’ ambiguità delle

motivazioni che le hanno determinate. Così il venditore si scontra con le richieste del clien-

te, che gioca inevitabilmente al ribasso, adducendo le ragioni più varie e forza il fornitore a

premere sul marketing per ottenere condizioni migliori. Il venditore raccoglie un certo nu-

mero di casi analoghi, mostra di credere al cliente, attira nella sua rete il marketing, che

comincia dare segni di cedimento. Qui occorrerebbe armonia e sincronismo tra vendite e

marketing, invece il corpo si scoordina, perché il marketing non riceve i reali input o non è

capace di analizzare asetticamente i dati di mercato disponibili, mentre le vendite non suf-

ficientemente supportate dal marketing o tendenzialmente non in sintonia con la funzione

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antagonista, si arrendono al cliente.

Se invece le vendite svolgessero contemporaneamente ed in proprio il marketing, quasi sicu-

ramente non cadrebbero in gravi errori di interpretazione del mercato e riuscirebbero a rag-

giungere obiettivi più ambiziosi.

Nella mia esperienza personale, io, tranne una breve parentesi nell’Enoxy, joint-venture A-

nic – Occidental, ho avuto sempre modo di svolgere un ‘ attività tecnico-commerciale sorret-

ta da consistenti spunti di marketing. Infatti, pur non essendo finalizzato negli ordini di ser-

vizio, sarà per predisposizione, apertura mentale, formazione di base, curiosità, cultura ed

altre qualità, io ho sempre affrontato le vendite, confortato e sorretto da mie personali in-

dagini conoscitive su tutti i parametri, che avrebbero potuto ottimizzare il risultato delle

stesse. Quindi, la mia voglia di essere preparato su tutti gli aspetti prima di prendere una

qualsiasi decisione, mi spingeva a dialogare con la ricerca, la produzione, il controllo della

qualità, la logistica, l’assistenza tecnica, la gestione ed il controllo, gli acquisti, la pubblici-

tà, le indagini di mercato, le statistiche di importazione relativa alla concorrenza,

l’affidabilità dei clienti, la loro dimensione e potenzialità, l’evoluzione tecnologica, ecc.

Una vendita così concepita è diretta da un cocktail di marketing, è suffragata da una cono-

scenza globale di tutti gli aspetti, che permettono di finalizzare la vendita con vera cogni-

zione di causa e priva di ogni dubbio o remora sulle decisioni prese per ottenere le migliori

condizioni condivisibili sia dal fornitore che dal cliente.

CAPITOLO 3 - MARKETING nella GESTIONE del PRODOTTO .

Esistono un’infinità di casi realmente accaduti, che si sono svolti secondo la descrizione anzi

fatta. Quando in Enoxy, il marketing cominciò ad agire in una sede neutrale (Enichemical di

Zurigo), mentre le vendite vennero concentrate in società e filiali nei Paesi ritenuti di mag-

gior interesse, venne alla luce un problema di intercomunicabilità. Le società periferiche

dovevano dimostrare di essere in grado di conseguire risultati espressi dai volumi,che quasi

sempre andavano a scapito della remunerazione dei prezzi, ovvero per loro i ricavi consiste-

vano unicamente nei volumi raggiunti. Per giustificare la loro presenza e per la loro soprav-

vivenza dovevano conseguire un determinato fatturato, dal quale attingevano un mark-up

necessario per coprire i loro costi. Dall’altra parte, il marketing vedeva seriamente compro-

messi i margini, che si riducevano sempre di più causa la discesa dei prezzi, l’ aumento dei

costi fissi e variabili. Qui entrava in gioco un elementare e semplice esercizio matematico,

configurabile nell’eguaglianza (m’q’ = m”q”= m^q^), dove “m” è il margine unitario e “q” la

quantità. Prendendo ad esempio un prodotto qualsiasi con un margine unitario di 700 Euro

per tonnellata ed una vendita di 10000 Tonnellate, si ricava un margine totale di 7 milioni di

Euro. Ipotizzando di dover ridurre il prezzo per acquisire maggiori volumi di vendita provo-

cando una riduzione del 10 % del margine unitario,occorrerebbe vendere almeno 1111 Ton.

in più per pareggiare i conti.Infatti si avrebbe che il margine unitario ridotto del 10% diver-

rebbe 630 Euro / Ton., per cui 700. 10000=630. X =7000000 : 630 =11111 Ton.,cioè per otte-

nere il medesimo risultato di ricavo del margine totale si dovrebbe vendere 1111 Ton. oltre

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le 10000 già sul mercato. Analogamente invece si dovesse aumentare i prezzi per incremen-

tare il margine del 10%, si otterrebbe 700. 10000 = 7000000 :770 =9090 Ton. e pertanto si-

gnificherebbe che si potrebbero sacrificare 910 Ton. Ovviamente questa è soltanto

un’indicazione di massima, che non tiene conto di numerosi altri parametri che intervengono

nella definizione dei prezzi e dei margini, ma è già uno strumento di pronto impiego che può

essere utilizzato dal marketing per poter decidere con rapidità. Qui è il

marketing che deve valutare se il gioco vale la candela !Esiste spazio sul mercato, tenuto

conto della qualità del prodotto richiesto, della forza dei concorrenti presenti, ovvero dei

punti di forza e di debolezza propri e degli altri fornitori, per ottenere tale obiettivo ? E’

opportuno aumentare la propria quota di mercato, acquisire un cliente strategico, frenare

l’aggressività della concorrenza o semplicemente dare soddisfazione al “braccio delle vendi-

te”, che in tal modo si appuntano la medaglia per avere incrementato i volumi, il numero

dei clienti, il fatturato, mettendo però a rischio sia gli equilibri esterni del mercato sia quel-

li interni dell’azienda di appartenenza ?Questo è uno dei principali argomenti di conflittuali-

tà, che secondo me sorgono in un’azienda avente una struttura composta dalle funzioni mar-

keting e vendite separate, pur facenti capo ad un unico vertice.

Io ritengo di avere iniziato il “ marketing” pragmatico quando le teorie, soprattutto statuni-

tensi, sulla basi fondamentali di questa disciplina, cominciavano ad apparire in Italia riporta-

te da testi in lingua inglese, mentre noi italiani commercializzavamo il prodotto vendendolo

a determinate condizioni, in virtù essenzialmente di un marchio di fabbrica o di una posizio-

ne quasi di monopolio, nel senso che ciò che si produceva, si doveva vendere ed i risultati

venivano poi evidenziati dalle statistiche. Se si era guadagnato o si era perso certamente si

sapeva, ma se si sarebbe potuto fare di più, se era equo l’obiettivo raggiunto, se esistevano

alternative, se arrivavano nuovi fornitori o prodotti o tipi alternativi, se era opportuno sti-

molare i consumi agendo sugli utilizzatori coll’ausilio dell’assistenza tecnica, la pubblicità,

campagne promozionali, ecc., tutto ciò rimaneva oscuro o parzialmente conosciuto e saltua-

riamente dibattuto. La vendita era la gestione “senza cuore” di un prodotto, certamente cu-

rata, corretta, ma trainata dagli eventi del mercato e non guidata per prevenire gli eventi,

era insomma concettualmente considerata “ production oriented” e non “market oriented”.

CAPITOLO 4° - MARKETING a TUTTO CAMPO. Il marketing nel mio apprendimento pragmatico è cominciato nella fase iniziale di ricerca

“pura” di nuovi prodotti, nella successiva ricerca” applicata” per la messa a punto dei po-

tenziali prodotti già individuati, nell’assistenza qualificata per la loro promozione sul merca-

to e nella loro commercializzazione.

La ricerca pura o di base per essere tale deve essere libera di spaziare nell’ intero scibile e

questo è compito dell’ Università, però nemmeno può prescindere dalla progettazione di

prodotti utili e sfruttabili dai consumatori, non può creare senza spirito e volontà di innova-

zione. Quindi occorre un legame stretto con l’industria per metterle a disposizione nuove

opportunità: a questo punto anche la ricerca dovrebbe attivarsi nell’uso del marketing per

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scoprire gli impieghi dei prodotti scoperti, le aziende interessate già esistenti o per proget-

tarne di nuove, trovare i finanziatori, programmarne lo sviluppo.

Per converso, le aziende dovrebbero sensibilizzare la ricerca in proprio se hanno le risorse

necessarie o attraverso le Università, traendo le loro intuizioni per la creazione di nuovi pro-

dotti attraverso i loro canali di marketing, utilizzati nel senso più ampio e completo possibi-

le, ovvero con un’indagine conoscitiva estesa a 360°.

Altro passo importante è la promozione del prodotto sul mercato, dove la funzione del mar-

keting è indispensabile per cogliere e vagliare gli input di ritorno e guidare il consolidamento

sul mercato. Qui è importante per il marketing coordinare l’azione dei promotori qualificati,

secondo le tipologie dei prodotti e quella dei venditori, nel caso esista una struttura paralle-

la ovvero trovare un affiatamento ed un collaborativo punto d’incontro fra i vari attori

chiamati in causa, nel caso le vendite ed il marketing costituiscano un’unica funzione.

Finora si è parlato di prodotto, ma deve essere chiaro che può essere una materia prima, un

semilavorato, un articolo finito, un bene di largo consumo, un materiale a basso, medio, al-

to, altissimo contenuto tecnico o tecnologico, un bene durevole ed una vasta gamma di ser-

vizi, anzi quest’ultimo è il settore dove in anni recenti più il marketing si è affermato e ha

cavalcato i forti cambiamenti nei più svariati settori.

CAPITOLO 5° - PIANO di MARKETING .

Sarà bene a questo punto ribadire il concetto di marketing da me più condiviso, che in sinte-

si si riassume nel “promuovere tutte quelle azioni atte ad ottimizzare la gestione di un pro-

dotto”.

Schematicamente occorrerà procedere passando attraverso le seguenti fasi:

� Definizione dell’obiettivo

� Analisi della situazione in essere (struttura organizzativa, punti di forza e di debolez-

za, potenzialità, disponibilità finanziarie, qualità servizio, ecc.)

� Azione (target, tempistica, personale in gioco, promozioni, tipi comunicazione (con-

tatto diretto, conferenze, pubblicità istituzionale, privati, associazioni, ecc.)

� Controllo

Finora si è filosofeggiato mettendo in evidenza l’aspetto teorico delle regole del marketing,

dalle quali però non sono partito per applicarle nel corso della mia attività lavorativa, ma al-

le quali sono giunto a teorizzare per interpretare le esperienze acquisite. In pratica, è come

se fossi partito dalla fine per esplicitare l’inizio, attraverso un percorso inverso alla logica.

Personalmente, però ritengo che in tal modo sono riuscito ad ottenere risultati significativi e

concreti, avendo adottato il mio senso pragmatico e soltanto dopo avendo riscontrato che

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inconsapevolmente mi ero mosso secondo i canoni caratteristici del marketing.

Cercherò ora di descrivere a titolo esemplificativo fatti realmente accaduti e da me vissuti,

che dimostrano l’attendibilità delle tesi da me sostenute. Trattasi di esperienze personali

svoltesi nel mio ambito di lavoro in un contesto ben definito e specifico, ma comunque, per

quanto riguarda le teorie che ne ho tratto, estendibili per innumerevoli altre situazioni an-

che molto diverse come tipologia di prodotti o di servizi.

Riferirò i seguenti casi :

� Scoperta di un prodotto a contenuto tecnico elevato, suo sviluppo e promozione delle

vendite sul mercato.

� Introduzione sul mercato di un prodotto a contenuto tecnico, svolgendo la funzione di

agente esclusivo di vendita.

� Potenziamento della quota di mercato di un prodotto a contenuto tecnico.

� Diversificazione della penetrazione nel mercato su basi settoriali e geografiche.

� Promozione di prodotti in nuovi settori di impiego.

� Marketing nei mercati ad economia di Stato.

� Marketing acquisti /vendite nell’attività di dealer.

CAPITOLO 6° - MARKETING dalla RICERCA al MERCATO.

Caso 1 -Scoperta di un prodotto a contenuto tecnico elevato, suo sviluppo e promo-zione delle vendite sul mercato. Negli anni 1950 quando la ricerca in Italia in campo chimico era ancora in auge ed in partico-

lare si sviluppava attraverso una stretta collaborazione tra aziende private ed Istituti scienti-

fici ed Università, assunse eccezionale valore una scoperta, che permetteva di ottenere po-

limeri con strutture molecolari “tailored made” tali da dare vita a prodotti con caratteristi-

che diverse per poter essere impiegati in innumerevoli campi industriali. Fu il risultato della

proficua cooperazione fra l’ Istituto di Chimica Industriale del Politecnico di Milano e la Mon-

tecatini, che fece conseguire al Professore Natta il premio Nobel della chimica.

Io ebbi modo di seguire, collaborare e lavorare per alcuni anni alla messa a punto di uno di

questi prodotti, svolgendo attività di ricerca applicata, di assistenza tecnica e di sviluppo

degli impieghi, di promozione e di finalizzazione delle vendite. Facevo parte della più im-

portante società chimica italiana, che vantava un passato glorioso e che disponeva di una

equipe di ricercatori e di tecnici di primo piano, nonché di una visione commerciale moder-

na, che già precludeva ad azioni di tipo marketing da svolgere all’interno dell’azienda e sui

mercati, quando ancora in Italia il marketing era una parola inglese non facilmente definibi-

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le.

Il prodotto in questione era un elastomero denominato Dutral, con caratteristiche peculiari

di notevole resistenza all’invecchiamento, all’ozono, al calore ed a diversi agenti chimici,

quindi con concrete possibilità di realizzare manufatti fino allora ottenuti con prodotti aven-

ti caratteristiche inferiori. In pratica si veniva a disporre di un prodotto, che permetteva la

soluzione di problemi tecnici, tali da migliorare la qualità e la durata nel tempo, favoriva

l’evoluzione tecnologica ed il progresso industriale, in molti casi rivelando anche interessan-

ti aspetti di maggiore economicità.

Il prodotto, uscito dallo studio della ricerca di base dopo alcuni anni dalla sua nascita, passò

al vaglio della ricerca applicata che si svolgeva nei laboratori della società a Ferrara e venne

iniziata la costruzione di un piccolo impianto pilota in previsione di realizzare un impianto

industriale. In contemporanea cominciò ad agire principalmente sul mercato italiano

un’equipe tecnico-commerciale, che si occupava della promozione e dello sviluppo del pro-

dotto nelle sue varie applicazioni.

Questa connessione fra laboratori di ricerca applicata, che facevano crescere con

l’esperienza mano a mano acquisita tecnici preparati in grado di offrire contributi notevoli

per lo sviluppo del prodotto e l’equipe tecnico-commerciale, che attingeva tutte le notizie

possibili dal mercato e che trasmetteva sempre maggior conoscenza del prodotto ai poten-

ziali utilizzatori, costituiva senza dubbio un primo buon esempio di cooperazione, caratteriz-

zato da interventi di marketing per la finalizzazione del progetto. Stava iniziando un nuovo

modo per affrontare il mercato, non più solo produzione e posizionamento del prodotto sul

mercato così come era stato impostato, ma si cominciava a seguire un approccio diverso, si

stava creando una collaborazione a doppio senso fra ricerca, produzione, promozione e assi-

stenza tecnica, vendita. L’equipe tecnico-commerciale aveva una funzione capitale, indaga-

va sul mercato la potenzialità del prodotto per essere impiegato (settori d’uso, consumi, a-

spetti tecnici ed economici, tecnologie da applicare, specifiche da rispettare in caso di sosti-

tuzione di altri prodotti o di creazione di nuovi prodotti e così via), trasmetteva questi input

all’ interfaccia puramente tecnica, che verificava la fattibilità e metteva a punto a livello di

laboratorio il manufatto proposto. Questo veniva riproposto all’azienda committente, che ne

verificava la possibilità di impiego ancora con test di laboratorio, poi passava ad una produ-

zione su scala semindustriale, che se risultava positiva permetteva il definitivo inserimento

del prodotto nella linea di produzione.

Però in tutte queste fasi spesso occorreva ancora l’intervento dell’ assistenza tecnica per

definire la messa a punto e poi doveva essere trattato l’aspetto commerciale e logistico. A

raccontarlo sembra un iter facile e semplice, ma a condurlo era necessario mettere

d’accordo tutte le varie funzioni, che intervenivano nel progetto, essendo ovviamente non

sempre condivisibili i punti di vista delle stesse. L’equipe tecnico-commerciale non si limita-

va a contattare il potenziale cliente allo scopo di finalizzare la vendita, ma procedeva anche

ad un’altra importante operazione di marketing, che consisteva nell’individuare gli utilizza-

tori finali del prodotto per qualificarne ed incrementarne l’uso e per estenderne la doman-

da, in definitiva per mettere a punto un’azione di traino sul proprio fornitore, il cosiddetto

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trasformatore, che a sua volta doveva rivolgersi al diretto fornitore della materia prima a-

datta alla soluzione del problema.

Ad esempio, il nostro prodotto come materia prima per le sue peculiarità destava curiosità,

interesse, accettabilità soprattutto nelle industrie, che operavano nel settore automobilisti-

co ed elettrodomestico. Era dunque di estrema importanza collegarsi con i fabbricanti di au-

tomobili e di lavatrici per sollecitarne l’interesse ad impiegarlo, portando benefici qualitati-

vi per il progresso tecnologico. Inoltre, erano importanti questi contatti, perché permette-

vano di guardare oltre nel futuro e di prepararsi ad affrontare nuovi problemi, che il prodot-

to avrebbe potuto risolvere. Naturalmente, si dovettero superare vari ostacoli all’interno

dell’azienda produttrice, dei trasformatori e degli utilizzatori finali, dovuti ad oggettive dif-

ficoltà tecniche degli uni e degli altri, ma anche a posizioni preconcette nell’interpretazione

dei fatti di mercato, delle sue esigenze, dell’attività della concorrenza a livello mondiale,

dei forti cambiamenti nelle strutture delle aziende, degli indebitamenti finanziari con con-

seguenti tagli di costi e di teste, che portarono ad allungare sensibilmente i tempi di affer-

mazione del prodotto, alla fine comunque sanzionato da un reale successo.

Riporto soltanto qualche esempio per far capire come in teoria tutte le azioni sopra descrit-

te rientrano in elementari operazioni di marketing, soggette a regole note, ma bastano ba-

nali contrattempi per complicare le cose, rendere tutto più difficile e talvolta far fallire

qualche brillante progetto.

Per il prodotto, di cui abbiamo parlato, un errore venne compiuto fin dagli inizi della fase di

applicazione. Il prodotto era nato come elastomero a catena molecolare satura per esaltare

le caratteristiche di resistenza agli agenti atmosferici ed al calore, ma nella sua lavorazione

intermedia presso il trasformatore per ottenere il manufatto di impiego finale, non poteva

essere trattato con i necessari ingredienti tradizionali, bensì bisognava ricorrere ad altre so-

stanze specifiche per il prodotto. Ciò costituiva un pesante ostacolo per i trasformatori e

creava grossi problemi, tanto che nella maggior parte dei casi il prodotto veniva riconosciuto

come innovativo proprio per le sue caratteristiche peculiari,ma di modesto interesse per il

suo impiego su scala industriale. A nulla valeva la caparbietà delle forze in campo per con-

vincere il “mercato”, che si manifestava da una parte con la riluttanza al cambiamento,

dall’altra con la presunzione che doveva essere il trasformatore ad adeguarsi

Insomma, esisteva ancora lo scontro di opinioni fra coloro che erano seguaci dell’indirizzo

“product oriented” rispetto a quelli del “market oriented “. Un messaggio decisivo perveni-

va sempre più frequente e consisteva nell’osservazione che la concorrenza, cominciando a

disporre anch’essa di un prodotto similare, si era immediatamente allineata alla domanda

del mercato, andando così a proporre un prodotto modificato, che rientrava nelle aspettati-

ve degli utilizzatori. Questo fu un tipico scontro fra teoria e pragmatismo, dove nella prima

fase prevalse l’opinione puramente scientifica pur di alto livello,ma lontana dalla realtà del

mercato nel quale doveva confrontarsi. Da questo però cominciarono arrivare input, che len-

tamente spostarono l’obiettivo sulla giusta strada. Tutto ciò fece perdere preziosi anni e

quando finalmente si arrivò a disporre del prodotto industriale, che la domanda del mercato

esigeva, si dovette affrontare la concorrenza da una posizione di debolezza. Infatti, è impor-

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tante arrivare primi per inserirsi subito come fornitore, che deve difendere la sua posizione

dagli attacchi della concorrenza e generalmente tale posizione di forza costa molto meno.

Ad esempio, prodotti di questo tipo devono soddisfare i capitolati emessi dalle industrie e

spesso vengono suggeriti come utilizzabili a titolo esemplificativo uno o due marchi di pro-

dotti. Non è che con questo si obblighi il fornitore/trasformatore ad usare quel prodotto e

non quello di altri produttori concorrenti. Riferendomi ad un caso pratico, esistevano tutti i

capitolati Fiat, che prevedevano l’impiego di quel prodotto con un determinato marchio e ci

vollero alcuni anni di prove e di controprove di laboratorio per convincere i responsabili e-

stensori di quei capitolati ad inserire finalmente anche il marchio del nostro prodotto. Que-

sta fu una vera azione di marketing, una cooperazione fra ricerca applicata e gruppo tecni-

co-commerciale, che lavorò perseguendo quest’obiettivo e che non avrebbe ottenuto nulla

se soltanto le forze di vendita si fossero presentate sul mercato per promozionare ed offrire

il prodotto. Perché, l’indicazione del marchio sui capitolati, provocò a catena l’interesse dei

trasformatori, che erano i fornitori dell’industria automobilistica e pertanto nostri potenziali

clienti, i quali si affrettarono a testare il nostro prodotto fino ad ottenerne l’omologazione a

livello di produzione industriale.

Un’altra iniziativa di marketing “strategicamente pragmatico” fu quella di inserire nelle due

filiali di vendita dislocate nelle due aree di mercato, dove c’era il maggior addensamento

industriale (Torino e Milano), due persone, che fino allora avevano agito dal centro, ma che

invece era opportuno si trovassero vicino al mercato per sviluppare il prodotto coinvolgendo

l’intera filiera, dalla promozione del prodotto sull’utilizzatore finale all’assistenza data al

trasformatore per la messa a punto della sua produzione ed infine alla realizzazione in con-

creto della vendita. La vicinanza fra produttore-fornitore, utilizzatore-trasformatore ed uti-

lizzatore finale dava parecchi vantaggi, dava maggiore fiducia e sicurezza all’acquirente, in

quanto si rendeva più facile la comunicazione, permetteva interventi tempestivi, era eco-

nomicamente più valida in quanto eliminava i tempi di trasferimento, sostituendoli con una

maggiore presenza sul territorio e quindi assiduità di visite alla clientela.

In questo modo si era creata un’interfaccia facilmente attivabile in ogni caso di necessità,

cosa che invece diventava piuttosto complicata in quei tempi, quando bisognava reperire

l’interlocutore nei meandri di una grande azienda. Veniva così creato un rapporto preferen-

ziale, che spesso si realizzava in una collaborazione ad ampio raggio, proficua per

l’utilizzatore, ma molto anche per il fornitore, perché gli permetteva di raccogliere e di ela-

borare una grande quantità di notizie, sia di ordine tecnico che commerciale, che talvolta

possono dare la soluzione di un problema da tempo esistente per la mancata conoscenza del

mercato, nel senso più lato della sua espressione.

Riferisco un caso eclatante su tale argomento. Il Dutral, che come già detto in precedenza,

dapprima si voleva imporre sul mercato senza però ottenere un risultato adeguato e che in-

fine venne modificato per seguire l’orientamento della concorrenza, così come veniva co-

stantemente messo in evidenza dall’attività del gruppo tecnico dell’azienda, a mano a mano

che si affermava il suo impiego, richiedeva continuamente innovazione, nel senso che con

opportuni accorgimenti si tramutava in tipi diversi, che salvaguardavano le caratteristiche

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peculiari, ma che permettevano di ottenere articoli finiti con caratteristiche di comporta-

mento differenti. Ad esempio nascevano nuovi tipi chiamati olio-estesi, ovvero contenenti

grandi quantità di plastificanti (oli minerali) : al fine di non abbattere troppo le caratteristi-

che del prodotto tal quale, bisognava usare oli paraffinici o al limite naftenici, il cui alto co-

sto però era antieconomico e quindi metteva fuori causa l’impiego del prodotto. Gli oli in

questione erano allora gravati da pesanti imposte di fabbricazione che soltanto il produttore

poteva evitare, mentre tutti gli utilizzatori/trasformatori dovendo anch’essi usarli per met-

tere a punto le loro ricette non avevano questo beneficio e quindi si assumevano maggiori

costi oppure erano costretti a trovare altre soluzioni.

Per merito invece dell’attività di collaborazione svolta come già detto, venni a sapere che

un trasformatore usava un plastificante di particolare natura e di prezzo limitato. Ottenuto

un campione, ebbi l’opportunità di dimostrare che effettivamente tale ingrediente offriva la

soluzione del problema e venne immediatamente depositato un brevetto per il suo impiego

esclusivo da parte della mia azienda. Fu certamente un colpo di fortuna, chiaramente ne

capitano pochissimi, ma se allora non si fosse creata quella struttura sul territorio, difficil-

mente si sarebbe realizzato.

In effetti, se non fosse esistita quella stretta collaborazione sorta con la forte ed assidua

presenza sul territorio, un tecnico dell’azienda che avesse avvicinato anche più volte la con-

troparte utilizzatrice, per una sorte di riservatezza e di insufficiente confidenza, di presumi-

bile segretezza, difficilmente sarebbe stato messo al corrente dell’uso del suddetto prodot-

to, di cui lo stesso trasformatore non ne conosceva le “ virtù”, ma lo aveva adottato perché

conveniente. Ugualmente, nel caso di un trasformatore visitato da un venditore, difficilmen-

te sarebbe seguito un discorso “tecnico “.Ecco pertanto come a quei tempi, un venditore

tecnico poteva interpretare giustamente un ‘azione di marketing, di cui allora non si cono-

sceva neppure il significato, ma che in seguito trovò la sua teorizzazione.

In definitiva, quello descritto è nella sua generalità un bel esempio di marketing a tutto

campo, con regole abbastanza semplici ed intuitive, ma da giudicare largamente innovative,

data l’epoca in cui furono consapevolmente seguite ed applicate. L’unico, comunque come

già spiegato in precedenza, grosso neo risultò l’incomprensione sorta nella componente a-

ziendale con potere decisionale, probabilmente causata da una comunicazione non abba-

stanza convincente, da un arroccamento tecnico fermo su posizioni preconcette, non ancora

maturo ad accettare incondizionatamente gli orientamenti dei clienti e dei concorrenti. Pur-

troppo, questo temporaneo atteggiamento, lontano dalle buone regole del marketing, pro-

vocò perdite notevoli di denaro e l’inserimento del prodotto in ritardo colle aspettative sia

interne nell’ambito dell’azienda sia esterne da parte dei clienti.

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CAPITOLO 7° - MARKETING del PRODUTTORE nel RUOLO di AGENTE di VENDITA.

Caso 2 - Introduzione sul mercato di un prodotto a contenuto tecnico, svolgendo la funzione di Agente esclusivo di vendita. Esistono produttori di materie prime, in prevalenza del passato, che privilegiando la ricerca

di base, da questa hanno dato vita ai loro prodotti, mentre altri, soprattutto negli ultimi de-

cenni e principalmente italiani, non avendo più le possibilità di investire nella ricerca o rite-

nendo più economico e veloce ricorrere all’acquisto di licenze brevettuali, hanno scelto que-

sta via meno impegnativa ed anche meno qualificata per intervenire sul mercato con prodot-

ti, che rientrano nella compatibilità e finalità della loro gamma produttiva.

Riferisco un caso, anche questo vissuto in prima persona con un certo grado di responsabili-

tà, che comportava l’introduzione sul mercato nazionale di un elastomero (policloroprene)

con caratteristiche peculiari di buona resistenza agli agenti atmosferici ed a una varietà di

aggressivi chimici, che ne suggerivano l’uso per realizzare tubi,guaine per cavi elettrici, na-

stri trasportatori, pavimenti, guarnizioni, ecc. Io assunsi l’incarico quando già il contratto di

agenzia esclusiva per l’ Italia era stato definito dalla mia società col produttore francese(

Distugil), che deteneva il brevetto di produzione e che aveva iniziato a commercializzare il

prodotto in vari Paesi europei. Questa era una prassi abbastanza normale, in quanto proce-

dendo in tal modo, si poteva testare il prodotto direttamente sul mercato, da cui si poteva-

no trarre tutte le informazioni necessarie per dare un giudizio obiettivo riguardo al suo gra-

do di accettazione e sulle sue possibilità di successo.

Trascorsi parecchi mesi senza ottenere risultati tangibili,l ‘ Anic ritenne che bisognava re-

sponsabilizzare una persona, che avesse già maturato un’esperienza sul campo e che si muo-

vesse come coordinatore del progetto. In effetti, sino a quel momento la struttura di vendita

era costituita da un responsabile, da cui dipendevano vari venditori, ciascuno con una zona

geografica propria in cui agire, dove si presentavano con l’intera gamma dei prodotti, ten-

denzialmente portati ad acquisire ordinazioni per quelli più tradizionali e generalmente,

quasi per via inconscia, trascurando gli altri prodotti di “contorno”, come ad esempio quello

di cui sto riferendo, che ovviamente necessitava di una adeguata promozione tecnico-

commerciale. Avrò modo di approfondire questo aspetto di carattere organizzativo più avan-

ti quando descriverò il terzo caso.

Io provenivo da una grande società, dove avevo svolto una variegata e proficua esperienza

tecnico-commerciale (vedi primo caso nel cap. 6°) e quindi ero titolato per assumere

l’impegno. Così, mi trovai responsabile della vendita in Italia di questo prodotto unitamente

ad un’altra famiglia di elastomeri con caratteristiche peculiari di resistenza agli oli ed a vari

agenti chimici (Butadiene-nitrile acrilico). In questa e successive operazioni devo dire che ho

sempre avuto il sostegno del Direttore commerciale.

Secondo mia abitudine e modo di procedere, dedicai un certo tempo a studiare il prodotto,

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cercando di evidenziare i punti di forza e di debolezza, che incontravamo sia all’interno del-

la nostra azienda sia con l’ interfaccia francese, sia con l’approccio al mercato e col com-

portamento nei confronti della concorrenza. Intanto il prodotto rientrava in una classe di e-

lastomeri ben definita, ma come la maggior parte di essi, nasceva da materie prime diffe-

renti e con procedure di produzione pure diverse, per cui anche se si realizzava la formula

finale di analoghi prodotti della concorrenza, il suo comportamento si discostava in lavora-

zione presso i trasformatori, allontanandosi in certi casi in misura notevole

dall’intercambiabilità, che ogni trasformatore antepone per poter usare in alternativa pro-

dotti di origine diversa. Inoltre, nell’analisi non si era tenuto conto o era stato sottovalutato

che questo prodotto avrebbe avuto vita difficile di fronte alla comparsa sempre più consi-

stente di un altro prodotto qualitativamente e specificatamente più adatto in un grande nu-

mero di applicazioni, nelle quali quindi lo avrebbe facilmente scalzato (elastomero Etilene-

propilene,ad esempio Dutral).In questo caso occorreva assicurare un’assistenza tecnica ade-

guata al potenziale cliente, attività questa che per contratto doveva rimanere a carico del

produttore francese, ma d’altro canto era necessario mettere in campo una forza di vendita

preparata per raccogliere i problemi sorgenti e capace di trasferirli con cognizione di causa

al dipartimento tecnico. Purtroppo, i venditori dell’Anic coinvolti non possedevano tali ca-

ratteristiche, erano completamente privi di conoscenze tecniche.

L’approccio al mercato mancava di aggressività, era stato impostato su un livello di seconda

fila, che veniva neutralizzato nelle maglie della concorrenza. Questa era rappresentata da

due tradizionali produttori, uno statunitense (DuPont) e l’altro tedesco (Bayer), che fino al-

lora si erano “simpaticamente” spartiti i consumi del mercato, che tuttavia in quel periodo

stava entrando sotto minaccia di un produttore giapponese,il quale secondo “stile giappone-

se” manifestava aggressività, indifferenza a rompere qualsiasi equilibrio di mercato preesi-

stente, costanza nella sua azione dirompente fino a raggiungere il traguardo che si poneva.

La nostra strategia consisteva invece nel posizionarci come livelli di prezzo a ridosso dei due

produttori tradizionali, distinguendoci dai giapponesi, ma ottenendo risultati insoddisfacen-

ti, da un lato perché il nostro prodotto non offriva nessun vantaggio, né di qualità e né di as-

sistenza,dall’altro perché eravamo troppo lontani nelle nostre offerte di prezzo per poter

destare l’interesse del potenziale cliente a compensare le lacune del nostro prodotto.

L’unico punto a noi più favorevole era l’aspetto logistico, nel senso che il luogo di produzio-

ne, pur trovandosi fuori confine (vicino a Grenoble), poteva essere considerato come distan-

za e quindi come costo di trasporto e tempestività di consegne alla pari di una fonte produt-

trice italiana.

Poiché la società francese, per contratto allo scopo di controllare il mercato, si era riservata

di autorizzare i prezzi inferiori ad una soglia concordata trimestralmente o di volta in volta

secondo i casi, immancabilmente comunicava proposte di vendita che non andavano a buon

fine, perché il potenziale nostro acquirente non le giudicava degne di attenzione per

l’omologazione del prodotto nelle loro lavorazioni sia dal lato tecnico che da quello com-

merciale. In definitiva, il fronte dei clienti voleva rompere il duopolio dei due fornitori stori-

ci ed era quindi alla ricerca di un terzo attore sul mercato, ovvero di un fornitore, che desse

loro garanzia di continuità ed un soddisfacente vantaggio economico. Da questa analisi risul-

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tava chiaro che noi avremmo potuto inserirci, presentando un prodotto in primo luogo sor-

retto da un’assistenza tecnica adeguata per vincere le remore sulla qualità ed abbreviare i

tempi di omologazione e in secondo luogo mostrando un’aggressività di vendita con quota-

zioni più vicine a quelle giapponesi che non a quelle degli altri due fornitori, al cui livello

per molteplici ragioni non avremmo mai potuto considerarci.

Bisognava pertanto intensificare notevolmente il dialogo con la società francese e vincere la

sua ritrosia ad inserirsi sul mercato con maggior convinzione, diventando più flessibile nella

sua politica di promozione del prodotto, concedendo più fiducia a noi, che in realtà non rap-

presentavamo la figura di un agente tradizionale, ma eravamo una grande società, ben più di

loro presente sui mercati internazionali con un portafoglio di prodotti e di clienti di primo

ordine, che avevamo concluso con loro un contratto di agenzia “ponte” per arrivare a con-

quistare una quota di mercato, che giustificasse la costruzione di un impianto in Italia.

Ispirato da questi input, che avevo maturato nella mia analisi ed indagine conoscitiva sullo

status quo, decisi di compiere due mosse principali, la prima iniziando a comunicare giorno

dopo giorno alla società francese una quantità notevole di informazioni relative alla situa-

zione di mercato, che invece fino allora erano state piuttosto scarse,la seconda concordando

incontri mensili per discutere tutte le problematiche, che sempre più frequenti nascevano a

seguito del nostro crescente protagonismo sul mercato, che cominciava a dare i suoi frutti,

poiché in casa nostra tutte le azioni venivano concordate, seguite, programmate, verificate,

discusse ogni settimana dal nostro gruppo ristretto di venditori e tecnici.

I risultati non tardarono ad arrivare e nell’arco di due anni avevamo conquistato una quota

del 40% ca. sul totale dei consumi del mercato, da una parte del quale eravamo praticamen-

te esclusi (settore degli Adesivi), in quanto il nostro prodotto incontrava notevoli difficoltà

per l’inserimento, rivelandosi troppo differente nel comportamento e non offrendo nessuna

opportunità di intercambiabilità con i prodotti concorrenti già affermati.

La nostra assidua presenza sul mercato e professionalità nelle trattative che impostavamo,

aveva convinto la maggior parte della clientela a considerarci alla pari dei fornitori tradizio-

nali. A sostegno della nostra attività, organizzammo anche “Customer events “ nei principali

luoghi di concentrazione dei clienti, oltre ad invitare ed accompagnare i più importanti a vi-

sitare lo stabilimento francese. Ovviamente in tutto questo rapido e fruttuoso andamento

delle cose, ne trasse anche un vantaggio la società francese per ottenere maggiore visibilità.

In un certo senso però rimase sempre al nostro traino, consapevolmente compiaciuta per i

rapporti che si erano instaurati con noi e per i risultati che venivano raggiunti insieme. Infat-

ti, chiaramente ed onestamente si doveva riconoscere che da quando era iniziato il nuovo

corso, da parte loro veniva dato tutto il sostegno sia tecnico che commerciale per appoggia-

re la nostra azione sul campo.

Malauguratamente un giorno venne fuori un’amara realtà e venne a galla un errore di “mar-

keting” compiuto dall’Anic quando decise di cimentarsi con questo prodotto. A me era stato

dato l’incarico di coordinare l’attività commerciale per la promozione del prodotto, avente

come obiettivo finale la costruzione in Italia di un impianto basato sul know-how francese.

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Ma non venne rivelato quale fosse il target da raggiungere, ovvero il volume di prodotto che

si doveva vendere entro un determinato periodo onde poter avviare il progetto della nostra

produzione. Chiaramente dopo due anni di responsabilità, la mia influenza sulla struttura di

vendita di cui facevo parte era fortemente aumentata e così finalmente ebbi modo di venire

in possesso del contratto di agenzia. Non fu difficile scoprire che era stata compiuto uno

sbaglio determinante, in quanto il target di volume di vendita da raggiungere in un arco di

tempo di qualche anno copriva una quota eccessiva rispetto al consumo globale del nostro

mercato nazionale. Ciò stava a significare che noi avremmo dovuto vendere sul nostro mer-

cato italiano una quantità percentualmente non molto distante dal suo consumo totale, pra-

ticamente significava ridurre ad una modesta presenza gli altri tre fornitori, quasi estromet-

terli, cosa questa realisticamente ed assolutamente impossibile.

La mia reazione fu immediata e seppure a malincuore, tenuto conto di una specie di senti-

mento affettivo, che era nato nel gruppo di persone intensamente unite per il raggiungimen-

to di un obiettivo comune, fui costretto a formalizzare la decisione dell’Anic di annullare la

collaborazione con la società francese. Questo racconto dei fatti è pieno di spunti di buono e

cattivo marketing, molto significativo per individuare tutti gli errori commessi. Il principale,

madornale, è già stato evidenziato e purtroppo colpiva il cardine dell’intera operazione, che

la nostra società avrebbe dovuto compiere per il potenziamento del portafoglio prodotti.

Appare evidente che l’indagine sul mercato e la sua analisi e sintesi dei dati necessari per

poter definire i parametri capitali del contratto con l’azienda francese, era stata effettuata

in modo superficiale. L’obiettivo era fuorviante, perché l’analisi della situazione di mercato

oggettivamente esistente non era stata individuata, probabilmente per l’inadeguatezza qua-

litativa e quantitativa della struttura preposta per tale incarico e quindi per l’incapacità ad

evidenziare i suoi punti di forza e di debolezza, tanto che le azioni studiate e messe in atto

sul mercato non avevano fornito risultati soddisfacenti. Continuando a sbagliare, non erano

state cercate le cause dell’insuccesso. Concedendomi una perifrasi, sembrava di trovarsi su

una barca a remi, che faceva fatica ad avanzare sull’acqua e nessuno era in grado di capirne

le ragioni, se erano da imputare alla rottura di un remo o se era venuto meno il sincronismo

fra i rematori o se correnti contrarie stavano ponendosi come ostacolo alla navigazione.

Ricorrendo ad un semplice ed elementare piano di marketing, sicuramente si sarebbe evitato

l’accaduto, anche se un “pizzico” di buon senso avrebbe comunque permesso, perlomeno

per la decisione più importante, di pervenire ugualmente alle stesse indicazioni

dell’approccio teorico del piano anzi menzionato. Prima di tutto l’analisi della situazione.

Partiamo dalla strategia di espansione, che l’Anic aveva abbracciato per entrare nel mercato

mondiale con una gamma di prodotti di impiego esteso (gomma Butadiene-stirene), la cui

collocazione a quei tempi sembrava dipendere più dalla “fama” o “immagine”in qualche

modo creata di chi produceva che non da un’idonea e forte struttura organizzativa di vendi-

ta in seno all’azienda produttrice. L’Alta Direzione sosteneva che quel prodotto praticamen-

te si poteva vendere da sé! Però, l’evoluzione tecnologica cambiava velocemente per ac-

compagnare lo sviluppo industriale ed adeguarsi sempre di più alla domanda del mercato di

un prodotto “X” piuttosto che presentare un prodotto “Y” già noto o obsoleto. Quindi, non

bastava più il portafoglio dei prodotti allora esistente, ma si rendeva necessario estenderlo

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ed arricchirlo con nuovi prodotti, qualitativamente più validi, di minor consumo,ma di costo

e di remunerazione più elevati, più bisognosi di concedere assistenza tecnica alla clientela,

più difficilmente intercambiabili, meno soggetti ai colpi della concorrenza.

Fu così che l’ Anic pose la sua attenzione sul prodotto francese, da poco nato, di cui non si

conosceva la reale accoglienza del mercato, allora dominato da un duopolio statunitense e

tedesco, che stava ricevendo il duro attacco in Europa di un produttore giapponese molto

agguerrito.

L’ Anic per poter produrre questo prodotto non aveva altra alternativa che acquistare il

know-how, ma giustamente per cautelarsi, aveva scelto l’opportunità di testare il mercato

prima di avventurarsi nella costruzione dell’impianto. Venne stipulato il famoso contratto,

che metteva in luce alcuni errori, nei quali era incorsa la nostra società, ma non era nem-

meno fuori luogo non incolpare in parte anche i francesi. Questi “furbescamen-

te”,conoscendo la situazione meglio di noi, si erano messi in una botte di ferro, perché con

una loro minima spesa diretta ed uno sforzo invece notevole da parte nostra, sottoscrivendo

le condizioni, sapevano benissimo che avremmo “regalato” loro un mercato, “comunque fos-

se “ certamente ben più importante di quello che sarebbero riusciti ad ottenere soltanto con

il proprio coinvolgimento. I nostri punti di forza erano : a) ampia conoscenza della clientela,

più generica, che faceva anche uso di quel prodotto considerato però secondario rispetto ad

altri usati per le produzioni principali ; b) offerta di una vasta gamma di prodotti, però an-

che qui rivolti più in consumi per manufatti di impiego generale che non con caratteristiche

speciali ; c) vicinanza del punto di approvvigionamento, praticamente come si trattasse di

un sito nel Nord Italia, dove si concentrava la maggior parte dei potenziali clienti ; d) ulte-

riore vantaggio logistico, potendo disporre di un magazzino nelle vicinanze di Milano con

ampia giacenza di merce allo stato estero e sdoganabile alla bisogna per far fronte in tempi

rapidi alla consegna di lotti inferiori a quelli di un camion completo, che in effetti costitui-

vano il grosso delle vendite ; e) disponibilità finanziarie adeguate.

Purtroppo, i punti deboli erano molto significativi : a) esisteva una modesta conoscenza del

mercato specifico del prodotto, sia riguardo gli aspetti tecnici che commerciali; b) il prodot-

to,chiaramente di contenuto tecnico di buon livello veniva affidato a forze di vendita pres-

soché prive di conoscenze tecniche; c) era palese lo scoordinamento fra assistenza tecnica e

struttura di vendita, in quanto ciascuno seguiva le strade già note sulla base del portafoglio

di prodotti preesistente, per cui veniva spesso ignorata la presenza di potenziali utilizzatori

del prodotto certamente importanti, che agivano in altri segmenti di mercato. A questo pun-

to si sarebbe dovuto tirare le somme per verificare se fosse ancora possibile sostenere gli in-

put dati. Se le indagini sul mercato e l’analisi delle informazioni raccolte fossero state ese-

guite correttamente, non ci sono dubbi che sarebbe stato facilmente evidenziato

l’inattuabilità dell’obiettivo di quantità fissato nel contratto. Pervenuti a tale risultato, non

si sarebbe fatto nulla o perlomeno l’impegno sul mercato sarebbe stato affrontato in modo

completamente diverso.

Certamente se fosse ancora esistita la volontà francese, il contratto avrebbe avuto una ste-

sura diversa, soprattutto con un obiettivo realistico e a portata di mano. In effetti, ai fran-

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cesi interessava in primo luogo la cessione del know-how, a noi verificare la risposta del

mercato prima di costruire l’impianto, che comunque costituiva anche per noi l’obiettivo

primario, essendo per vocazione “ produttori” e non rivenditori o distributori di prodotti. In

definitiva, quello descritto è stato veramente un pessimo esempio di marketing totale, come

è stato sopra già evidenziato e spiegato, avendo coinvolto tutte le funzioni della società, in-

capaci di scoprire la superficialità e l’inadeguatezza delle informazioni di mercato, prima di

arrivare alla formalizzazione del contratto. Sicuramente, sbagliarono le indagini sulle carat-

teristiche del mercato, le previsioni di crescita del consumo nel mercato, l’Alta Direzione

che approvò il progetto, facendo affidamento su una struttura organizzativa aziendale, della

quale non conosceva la debolezza. Di seguito, a cascata, commisero errori di strategia e di

tattica le strutture di Assistenza tecnica e delle Vendite, ciascuna procedendo su strade se-

parate e pertanto con scarso coordinamento, incapaci di affrontare le problematiche del

mercato e di finalizzare un risultato di rilievo.

CAPITOLO 8° - MARKETING per INCREMENTARE QUOTE di MERCATO.

Caso 3 -Potenziamento della quota di mercato di un prodotto a contenuto tecnico. Trattasi di un caso, che si avvicina a quello in precedenza descritto, anche se le conclusioni

non sono state disastrose e tendono ad allinearsi a quello che potrebbe essere stato un ap-

proccio adeguato classificabile nelle regole tradizionali del marketing.

L’Anic, come già detto, era nata realizzando impianti, che nel settore in cui operava, offri-

vano al mercato prodotti di largo consumo. Proprio per questo genere di mentalità imprendi-

toriale, non era molto incline a trattare prodotti più avanzati o più specifici, con le caratte-

ristiche di prodotti speciali, fabbricati in “piccoli” impianti e destinati a “piccoli e sofistica-

ti” mercati.

Nel pacchetto di una famiglia di prodotti (elastomeri Butadiene-stirene), di cui era stato ac-

quistato il know-how in USA, esisteva anche un’altra serie di prodotti (gomme nitriliche),

che rientrava nell’evoluzione mercantile della mia società, essendo utilizzati per produrre

articoli resistenti agli oli e quindi costituendo per essa un segmento di mercato nuovo e del

tutto particolare.Il settore principale di applicazione era nell’industria dell’auto (O-ring,

manicotti, guarnizioni gomma-sughero, guarnizioni d’attrito) e nei tubi per svariati usi.

Però anche qui, la carenza della struttura organizzativa a vari livelli, la mancanza di uomini

capaci di interpretare i segnali provenienti dal mercato e di trasferirli all’interno della so-

cietà per essere valutati, erano le cause della fase di stallo, in cui si trovavano le vendite e

lo sviluppo qualitativo del prodotto. Questi “parametri” sono strettamente collegati, poiché

si vende di più se vengono incrementate le opportunità di capire le esigenze del cliente e di

conseguenza il prodotto si sviluppa di più e si evolve, permettendo di scoprire nuove nicchie

di collocamento.

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La struttura del mercato era abbastanza complicata per la presenza di un eccessivo numero

di fornitori, praticamente uno per ciascuno dei mercati europei più importanti, quando non

erano due e poi tre, come in Italia, a cui si aggiunsero più tardi i giapponesi. Il mercato na-

zionale era il più frazionato come utilizzatori del prodotto ed il più “battagliato”, trovandosi

schierati tutti i produttori con varie quote, che nessuno aveva intenzione di ridurre o cede-

re. Inoltre, il primo produttore italiano(Montecatini),che si era inserito sul mercato,per ra-

gioni brevettuali aveva messo a punto un prodotto (Elaprim), il cui comportamento in lavo-

razione si discostava dagli altri, ma era riuscito ugualmente a crearsi una sua quota. Noi, se-

condi arrivati, con un prodotto più similare a quello degli altri, ci trovavamo quindi fra due

fuochi sia per motivi tecnici sia per i prezzi da praticare. L’altro produttore italiano,infatti,

poteva difendere la sua posizione, perché il suo prodotto, una volta inserito nelle produzioni

dei clienti, non poteva essere facilmente sostituito dal nostro e qualora fosse successo, veni-

va difeso con l’arma del prezzo. Questo atteggiamento aveva soprattutto buon gioco in Ita-

lia, mentre all’Estero la diversità dell’ elastomero Montecatini non ne favoriva

l’introduzione. In generale, essa aveva però il vantaggio di adeguare continuamente la sua

gamma di prodotti alle esigenze che man mano si rivelavano con l’innovazione della tecno-

logia.

La Montedison, erede della tradizione culturale della Montecatini, era fra le prime ad orga-

nizzarsi ed attivarsi per applicare criteri di marketing, già noti negli USA, ma che comincia-

vano appena allora ad affacciarsi in Europa ed in particolare in alcuni Paesi. In quegli anni,

era in atto nel settore specifico della lavorazione degli elastomeri un importante cambia-

mento tecnologico, che si verificava nello stampaggio di molti articoli passando dal procedi-

mento a compressione a quello ad iniezione. Alcuni produttori si resero subito conto di quan-

to stava succedendo e collaborarono con i trasformatori per mettere a loro disposizione pro-

dotti adatti per la nuova tecnologia. In tal modo, riuscirono a conquistare rapidamente ulte-

riori quote di mercato a scapito dei concorrenti rimasti al palo.

Avendo maturato la mia prima esperienza proprio nella Montecatini, che poi quando appro-

dai all’Anic mi ritrovai come concorrente, iniziai subito come venditore a scontrarmi con le

problematiche messe in luce sopra ed avviai una vera e propria campagna di informazione

sul mercato e sull’operato della concorrenza, purtroppo non molto ascoltato. Ma,in realtà,

col passare del tempo, “qualcuno” si rese conto che i nostri prodotti non si vendevano sol-

tanto ai fabbricanti di pneumatici e che avevano un comportamento differente nelle varie

tipologie, per cui occorreva un’organizzazione diversa del personale tecnico e commerciale

per dar corso alla nuova strategia della società di volersi espandere in settori di mercato,

dove era stata assente fino allora.

Fu così che mi trovai responsabile della vendita delle “gomme speciali” ed acquistai maggior

peso nel far prendere in considerazione all’interno della mia società le informazioni, che ri-

cevevo dai mercati. Prima di tutto, non disponendo di venditori tecnico-commerciali, cercai

di stringere quanto possibile la collaborazione con i colleghi, che erano stati preposti per

l’assistenza tecnica dei prodotti speciali.

Furono concordati programmi settimanali di intervento sulla clientela, analizzando la situa-

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zione dal punto di vista tecnico e commerciale di tutti i potenziali clienti, effettuando veri-

fiche mensili per il controllo dell’avanzamento dei lavori, vagliando le varie opportunità che

di volta in volta si presentavano e diventavano più concrete. La collaborazione tecnico-

commerciale dava senza dubbi risultati positivi in tempi più brevi e in misura più precisa, in

quanto era espressione del dialogo con i nostri interlocutori del mercato sia sulla loro situa-

zione tecnica che su quello commerciale (acquisti). La collaborazione inoltre permetteva di

essere più forti nei confronti delle altre funzioni aziendali,che erano coinvolte nei processi

decisionali. In particolare, dimostravamo maggior convincimento verso la Ricerca e la Produ-

zione ad accettare e sviluppare le nostre proposte di estensione della gamma dei tipi, di mi-

glioramento della qualità e degli imballi,ecc., allo scopo di uniformarci alla concorrenza più

qualificata. Altre iniziative di carattere promozionale e di immagine vennero organizzate dal

nostro gruppo tecnico-commerciale sotto forma di “Customer events”, ottenendo notevole

consenso per il successo di partecipazione, di interesse e di sviluppo di nuovi business.

Passando ora agli aspetti teorici, è evidente come in questo caso esemplificato, si sia fatto

ricorso a numerosi principi ed elementari regole del marketing, in primo luogo un piano di

marketing che dettasse le linee su cui muoverci per ottenere un determinato obiettivo. Si è

analizzata la situazione di mercato, identificando tutti i potenziali clienti, stimando i loro

consumi per ogni singolo tipo di prodotto, i fornitori presenti stabilmente, gli eventuali ten-

tativi di ingresso di altri fornitori, le quotazioni prevalenti, la consistenza finanziaria,

l’esperienza e la conoscenza tecnica, la professionalità mostrata dagli acquisti,ecc. Compiu-

ta questa estesa e complessa analisi, si è passati a determinare i nostri punti di forza e di

debolezza ed identificate le opportunità migliori, sono stati calibrati gli obiettivi che la so-

cietà intendeva acquisire, verificandone la fattibilità. Venne stabilita una strategia, che se-

gnava la linea d’azione più efficace per raggiungere gli obiettivi. Si fece ricorso alle tatti-

che, sotto varie forme, per inseguire le diverse opportunità, definendo quali azioni intra-

prendere caso per caso. Stabilite scadenze e budget dei costi, vennero effettuati periodica-

mente controlli per evidenziare lo stato di avanzamento ed il rispetto dei tempi.

Come già detto, era questo un mercato difficile, che bisognava conoscere in tutte le sue

pieghe per evidenziare le sue caratteristiche più peculiari. Infatti :

• - non coinvolgeva grossi volumi, ma prospettava soddisfacenti ricavi in situazioni di

mercato tranquillo. Purtroppo, ciò non accadeva, perché la concorrenza spiazzava di

continuo tutti.

• - richiedeva un costante ed evoluto supporto tecnico, data la particolarità dei suoi u-

si.

• - erano presenti in numero elevato i produttori con offerte di materiale di gran lunga

superiore alla domanda

• - il business per ragioni di costi e di difficoltà intrinseche, doveva essere concentrato

in Europa Occidentale nel mercato libero e nel mercato ad economia di Stato in Euro-

pa Orientale.

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• - nello stesso mercato dell’Europa Occidentale, si doveva distinguere fra Italia e Fran-

cia, Germania, Spagna, il primo essendo popolato da un elevato numero di trasforma-

tori, così come la Spagna, che però non aveva un proprio produttore nazionale ed era

di dimensioni più piccole, i due rimasti con maggiori consumi, minor numero di tra-

sformatori, ma di dimensioni più grandi.

• - il mercato ad Economia di Stato, essendo complessivamente carente di questo pro-

dotto e disponendone soltanto di qualità scadente, era obbligato rivolgersi ai fornitori

occidentali, generalmente una volta all’anno, ricorrendo ad aste pubbliche più o me-

no pilotate.

• - la presenza dell’elevato numero di produttori rimase una costante per una ventina

di anni, anzi la situazione peggiorò con l’arrivo dei giapponesi.

A quel punto, considerato che il prodotto in situazione di mercato tranquillo, era in grado di

dare notevoli guadagni, purché si garantisse la qualità e l’assistenza tecnica in caso di ne-

cessità, ci sarebbe voluto un marketing “strategico”, che inducesse l’ Anic ad entrare in pos-

sesso delle quote di mercato di alcuni concorrenti, in modo da conquistare una posizione di

Leader per gestire almeno il 70 % dei consumi. In realtà, un inizio di tale manovra, accadde,

quando per ragioni politiche- sociali, dovette assorbire gli impianti degli altri due produttori

italiani(Montedison, Sir). Questo avrebbe dovuto costituire lo spunto per aprire trattative

con i produttori inglese, belga, olandese, francese, che si erano messi in vendita. Purtroppo,

la Holding,, era piuttosto lontana dal business chimico e sembrò non approvare un possibile

piano di acquisizione, che invece fu realizzato dal produttore tedesco (Bayer).

Secondo me, in questa descrizione veloce del mercato, sono venute meno o non sono state

applicate o non sono state individuate quelle azioni, alcune semplici, altre complicate, che

avrebbero dovuto condurre l’Anic ad assumere la posizione di leadership, avendone i requisi-

ti sia dal lato tecnico che commerciale. Non si è tenuto conto del cambiamento,

dell’innovazione, dell’internazionalità, dell’organizzazione, della peculiarità del prodotto e

dei prevedibili profitti di una strategia di crescita.

In definitiva, come già riportato sopra, in questo settore delle gomme speciali, si fecero no-

tevoli progressi di avvicinamento alle teorie del marketing, nei suoi vari aspetti della comu-

nicazione, organizzazione e competenze del personale addetto all’Assistenza tecnica, nella

preparazione e conduzione delle forze di Vendita, nella conoscenza delle caratteristiche dei

singoli mercati in riferimento alle esigenze dei clienti ed alle attività della concorrenza,

nell’efficienza dei canali di distribuzione, nell’individuazione di nicchie di consumi, nelle in-

formazioni ed elaborazioni dei dati, nell’innovazione, nelle previsioni di consumo, nella de-

terminazione dei prezzi, nella misurazione dei risultati conseguiti, negli obiettivi e target da

raggiungere, nelle opportunità da non perdere, nel posizionamento sui mercati, nella qualità

dei prodotti, nella qualità dei servizi, nell’affidamento dei clienti, nei costi fissi e variabili

dei prodotti, nella valorizzazione dei dipendenti, nel potenziamento dell’immagine azienda-

le.

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CAPITOLO 9° - MARKETING per ACQUISIRE SEGMENTI di M ER-CATO.

Caso 4 -Diversificazione di penetrazione nel mercato su basi settoriali e geografche. Parlerò ancora in questo caso di una materia prima del tipo di quelle trattate negli esempi

precedenti, di contenuto tecnico però inferiore e di tipo meno specialistico, con uso più ge-

neralizzato, con consumi elevati, più alti di quelli di tutti gli altri elastomeri messi insieme.

Anche questo (gomma Butadiene-stirene), comunque, viene considerato un prodotto “a

comportamento”, quindi con le sue peculiarità e differenzazioni, facendone uso in impianti

destinati alla produzione di manufatti simili, ma dislocati in aree diverse e costruiti in epo-

che diverse. E’ questo il prodotto più conosciuto nel settore di impiego, che vanta il maggior

numero di impianti nel mondo e che ha sostituito in buona parte il prodotto naturale prima

impiegato. Praticamente il 70% entrava nella produzione di pneumatici, mentre il rimanente

costituiva pur sempre un grande mercato, soprattutto delle calzature e di innumerevoli arti-

coli tecnici, che però sembrava venisse trascurato dall’Anic.

Infatti, nei primi tempi di produzione e di commercializzazione di questo prodotto, ”correva

voce che si vendesse da solo!“, in quanto veniva trattato da una società di primordine, che

dava tutte le garanzie e si presentava come contraltare per le società acquirenti di fama

mondiale (Goodyear, Michelin, Pirelli, Goodrich, ecc.). Succedeva che l’organizzazione di

vendita era basata su questo genere di business e veniva trascurato il mercato alternativo o

considerato secondario, ma non meno importante, anche comunemente distinto come “non-

tyres” in contrapposizione a quello dei “tyres”.Nella lotta dei prezzi, mentre nel segmento

dei “tyres” si creava un certo equilibrio che soddisfaceva fornitori e clienti, nell’altro seg-

mento dei “non-tyres” si operava in campo aperto, convogliando il prodotto, che pur rien-

trando nelle specifiche standard del produttore, era fuori da quelle più severe garantite ai

clienti primari e costituiva anche da valvola di sfogo per tutti gli altri prodotti meno qualifi-

cati. Questa “precarietà” di mercato favoriva le offerte di prezzo più svariate e spesso in-

controllabili, generalmente inferiori a quelle praticate ai pneumaticisti. L ‘ Anic tentava in-

vano di opporsi e si muoveva con molta circospezione per “non dispiacere ai tyres”, però

operando in tal modo si escludeva da un mercato, che aveva notevole importanza, sia per la

diversificazione degli impieghi del materiale,sia per l’opportunità affatto trascurabile di al-

leggerire velocemente i magazzini piazzando i prodotti al limite delle specifiche, sia infine

per la immediata presa di conoscenza degli aspetti commerciali più complicati e controversi.

Quando approdai all’Anic, avevo acquisito una certa esperienza pragmatica di marketing,

che ho continuato a sviluppare e che mi fu di estremo aiuto quando fui nominato responsabi-

le del settore delle gomme speciali e successivamente quando a più riprese richiamai

l’attenzione sull’operato suicida della commercializzazione di questo prodotto. Anche que-

sta volta, a lungo andare, fui ascoltato tanto che la Direzione Commerciale venne riorganiz-

zata, istituendo due Servizi, uno dei cosiddetti tyres con uffici Italia e Estero, l’altro dei

non-tyres, con uffici Italia prodotti di uso generale, Italia con prodotti di uso specialistico ed

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Estero per tutti i prodotti.

Anche in questo caso, il marketing era rimasto piuttosto latitante, soprattutto nel pervenire

ad una conoscenza adeguata ed approfondita dei mercati nazionale ed esteri. A causa di ciò,

venne accumulato notevole ritardo prima di riorganizzare il settore delle vendite e conse-

guentemente l’acquisizione di importanti consumi,la diversificazione ed arricchimento della

gamma dei tipi disponibili, la presa di conoscenza delle proprie forze, per fronteggiare la

concorrenza ricorrendo ad azioni non più sporadiche, ma continue e programmate sui merca-

ti dove era più radicata e temeva di meno la nostra rappresaglia.

Quando, successivamente divenni anche responsabile delle vendite nel settore tyres, poten-

do godere di una visione completa delle diverse caratteristiche proprie dei mercati dei tyres

e non-tyres, il mio fiuto di approccio pragmatico al marketing mi portò a migliorare ancor

più i buoni rapporti (comunque già preesistenti) con i produttori di pneumatici.

L’acquisizione del produttore inglese(International Synthetic Rubber =ISR) da parte dell’Anic

e l’organizzazione delle vendite in Filiali estere, mi permise di incrementare i volumi e di

conquistare nuovi clienti, facendo leva sulla comunicazione e promozione, sul controllo,

sull’informazione ed elaborazioni dei dati, sull’internazionalità, sugli obiettivi, sulle oppor-

tunità, sui piani di marketing, sulle previsioni, sulla qualità, sul servizio, sul marketing geo-

grafico, ecc. Disponendo di due impianti, uno in Italia e l’altro in Inghilterra, subentrò anche

la necessità di effettuare presso i clienti già acquisiti e quelli potenziali degli scambi di pro-

venienza del prodotto, in funzione dell’adattabilità di un tipo piuttosto che di un altro, della

distanza geografica, della logistica, dell’intercambiabilità dei prodotti italiano ed inglese,

della differenza dei costi fra i due prodotti. Tutti questi traguardi furono perseguiti anche

tenendo ben collegate e sotto stretto controllo le Filiali di vendita, cercando di creare un

buon rapporto di cooperazione fra l’organizzazione centralizzata in sede e quella periferica

delle filiali. Insomma, i risultati vennero ottenuti in virtù di azioni, che rientravano perfet-

tamente nelle svariate e numerose pieghe della disciplina del marketing.

Pur essendo un prodotto nella fase calante del suo ciclo di vita, inseguendo le opportunità

del mercato, sia dei pneumatici che degli articoli tecnici nel senso più lato, furono messi a

punto col coinvolgimento dell’intera linea, dalla Ricerca all’Assistenza tecnica, alla Produ-

zione ed alla promozione delle Vendite, alcuni tipi con caratteristiche ad hoc o come noi si

diceva “tailored made”, che permisero di soddisfare precise domande del mercato, via via

sempre più mirate ed innovative.

Allargando il nostro campo d’azione per fronteggiare soprattutto l’invadenza dei produttori

giapponesi, sudcoreani, brasiliani, argentini, messicani, ecc., fu possibile contenere la loro

aggressività sul nostro mercato, potendoli immediatamente colpire con azioni mirate in casa

loro e ciò per merito di tutto il lavoro di investigazione e di “intelligence” svolto anteceden-

temente nelle loro aree di pertinenza. A mia veduta, questi sono stati esempi di operazioni

in linea colle indicazioni del marketing internazionale e del marketing mix.

Ma il più soddisfacente successo ottenuto da un’indagine di marketing, che mise in luce le

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notevoli differenze fra i due mercati tyres e non-tyres, è stato proprio quello di aver eviden-

ziato altre opportunità ed occasioni non sfruttate, proprie del settore, che poteva essere

segmentato in tre sottosettori principali, quali la ricostruzione dei pneumatici, l’industria

delle calzature e quello degli articoli tecnici in generale (tubi, nastri trasportatori, pavimen-

ti, ecc.). Non dico che questi segmenti di mercato non fossero noti ai miei predecessori, ma

in un certo senso venivano abbastanza trascurati, perché la loro strategia e politica di vendi-

ta era quasi interamente rivolta verso i fabbricanti di pneumatici, sforzandosi di non farsi

scoprire di praticare prezzi inferiori a clienti più modesti e con consumi notevolmente più

piccoli. Questo avveniva perché non si era indagato a sufficienza per approfondire le cono-

scenze del mercato.

Invece, non era e non fu affatto controproducente chiarire a queste grosse ed importanti a-

ziende che a loro, per l’elevato grado di rischio insito nel impiego dei manufatti fabbricati

(pneumatici), veniva fornito un prodotto con specifiche nettamente più severe, che venivano

soddisfatte dal” cuore” della nostra produzione. Ciò era molto dispendioso, perché si andava

incontro a costi addizionali rispetto alla produzione standard, principalmente dovuti ad un

extra lavoro necessario per selezionare i lotti di prodotto da essere forniti a questa esigente

clientela. La nostra impostazione fu capita ed accettata, ma in seguito venne fuori una com-

plicazione, in quanto alcuni di questi fabbricanti di pneumatici, avevano anche produzioni di

altri articoli, che dovevano essere competitivi con quelli di concorrenti di differente calibro

e soprattutto che riuscivano a beneficiare di un prodotto di qualità, anche se non così eleva-

ta come quella dei tyres. Ad esempio, Pirelli costituiva un caso e solo assumendo la posizio-

ne di cui sopra riuscimmo a convincerli che avrebbero potuto ottenere un prodotto analogo a

prezzi competitivi, ma con specifiche meno severe e che comunque non pregiudicavano le

quotazioni più elevate pagate per il medesimo tipo di prodotto.

Essendo in gioco elevati consumi di prodotto ed essendo pressoché tutte multinazionali, si

era costretti ad agire in uno scacchiere tutt’altro che facile, perché per ragioni imposte o

sorte casualmente, accadeva sovente che i prezzi pagati dalle singole aziende locate in Paesi

diversi, risultavano con differenze anche sensibili.Qui, in certi casi si era costretti ad effet-

tuare trattative con l’organizzazione degli acquisti centralizzata, che era in grado di fare i

paragoni facilmente fra i vari Paesi dove esistevano i loro impianti, mentre in altre situazio-

ni, pur esistendo un coordinamento, ogni azienda trattava sul proprio mercato, cercando di

ottenere il meglio. E’ fuori dubbio che una azienda fornitrice, priva di un’interfaccia di mar-

keting, non avrebbe mai potuto presentarsi con un’azione di vendita coordinata e mirata op-

pure lo avrebbe fatto in notevole ritardo.

Nell’esempio descritto, già ci trovavamo in un’epoca successiva a quella degli esempi citati

in precedenza, praticamente negli anni Ottanta, quando già mettendo a frutto l’esperienza

passata, tutta la società (la gestione del mio business rappresentava una fetta) si stava spo-

stando verso un atteggiamento e propensione al marketing, che la maggior parte dei concor-

renti aveva attuato. Anche questo è un buon esempio, che mostra come le varie decisioni

prese ed esperienze fatte per migliorare la gestione del prodotto, rientravano per via natu-

rale nelle linee guida dei principi teorici del marketing.

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CAPITOLO 10° - MARKETING per SCOPRIRE NUOVI SETTORI di IMPIEGO.

Caso 5 - Promozione commerciale di prodotti in nuovi settori d’impiego. Dopo qualche anno che l’Anic si era dotata di numerosi impianti per produrre una resina pla-

stica di vasto uso (Politene), era stato deciso di diversificare, venendo a disporre di prodotti

più mirati, ma rispetto a numerosi altri concorrenti, il portafoglio realizzato era abbastanza

modesto e poteva coprire soltanto qualche segmento di mercato poco significativo.

Allo scopo di creare nuove applicazioni e conseguentemente incrementare i consumi, era

stato costituito un apposito servizio, dotato di due unità operative, una di stampo puramen-

te tecnico e l’altra di inclinazione commerciale. L’obiettivo era di “ creare mercato” per i

propri prodotti, sia collaborando con i clienti tradizionali, sia cercando di contattare gli uti-

lizzatori finali, in modo da procurare consumi per sostituire materiali usati fino allora con

quelli che venivano da noi proposti. Si agiva in vari settori industriali, quali l’arredamento

privato e pubblico (scolastico ospedaliero,ecc.), tempo libero,nautica, automobile, elettro-

domestici, imballaggi dalle bottiglie alle pedane, ecc. Lo scopo era appunto di realizzare

una nuova domanda dei nostri prodotti, nuovi segmenti di mercato oppure l’allargamento di

quelli già esistenti, cercando di attivare l’interesse e la specifica richiesta dall’ultimo stadio

della filiera occupata dal consumatore finale. Come si può capire, qui era già presente

un’impronta di marketing,definibile dalla struttura organizzativa che era stata studiata sulla

base di alcune regole del marketing, a cui però non c’era stato seguito di azioni sufficiente-

mente pragmatiche per ottenere gli obiettivi.

Intanto, pur facendo parte dello stesso servizio, il canale tecnico procedeva “a vista” con il

commerciale e viceversa, né l’uno né l’altro sforzandosi di operare in stretta collaborazione.

Questo era evidentemente un problema di uomini, i tecnici nutrendo poca fiducia verso i

commerciali in genere sprovveduti di conoscenze tecniche ed a loro volta i commerciali, in

generale piuttosto presuntuosi e gelosi dei rapporti che bene o male intrattenevano con i

clienti, cercavano di apparire come gli unici aventi il merito del risultato raggiunto.

Quando fui nominato responsabile dell’unità commerciale, in un genere di attività, non mol-

to attinente con quella che avevo fino allora sperimentato, il mio compito consisteva nel da-

re un’impronta più pragmatica all’operato, che fino allora era sembrato più di facciata, per

cui mi attivai subito con l’aiuto delle linee guida, che avevo maturato nel tempo.In primo

luogo, iniziai analizzare quali obiettivi erano stati perseguiti, in base a quali criteri, come

venivano gestiti i rapporti interpersonali interni ed esterni, verificare i costi ed in particola-

re accertare la congruità fra forze profuse e risultati raggiunti ed ancora indagare sulla con-

sistenza delle tematiche trattate e sulla loro riuscita di procurare risultati concreti di vendi-

te di prodotto. Questo che alla fine diventava l’obiettivo primario e conclusivo si scontrava

anche con l’operato dell’unità addetta formalmente alle vendite, la quale sovente non rico-

nosceva che un determinato incremento dl fatturato nasceva dall’azione positiva svolta

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dall’unità di promozione, anzi se ne assumeva il merito soprattutto con i clienti già acquisiti.

I risultati della mia indagine possono così essere riassunti :

• - in teoria, l’organizzazione come era stata strutturata si mostrava valida, ma

l’interpretazione che ne veniva data dal personale coinvolto non era adeguata ;

• - l’unità promozione commerciale era composta in maggioranza da operatori, che

muovendosi da cani sciolti, senza cognizioni tecniche e senza capacità commerciali

adeguate, inseguivano obiettivi fumosi e poco realistici.

• - la maggior parte dei progetti erano fondati più su una fantasia creativa che non su

una impostazione realistica, l’unica questa che potesse far prevedere con un certo

grado di probabilità il raggiungimento dell’obiettivo fissato.

Si scoprì anche che molti traguardi erano ambiziosi ed innovatori solo sulla carta, in quanto

non disponevamo dei prodotti con le caratteristiche necessarie oppure li impostavamo ed af-

frontavamo in maniera sbagliata. Posso qui di seguito elencare alcuni esempi eclatanti :

• - voler realizzare la bicicletta di plastica, che poteva concorrere per un posto di ec-

cellenza al Museo di Arte Moderna di New York, ma che non aveva nessuna funzionali-

tà di bicicletta a causa dell’impossibilità di costruirla per l’indisponibilità di materiale

idoneo da parte della nostra società ( in realtà, l’innovazione avvenne impiegando fi-

bre di carbonio);

• - voler realizzare paraurti, plancia cruscotto, parafanghi,struttura dei sedili anteriori

delle automobili, anche per questi manufatti non disponendo dei materiali idonei, se

non in minima parte. Questo era un settore molto importante, che prospettava scena-

ri grandiosi, un’idea eccellente che purtroppo non diede successo alla nostra società,

ma che invece costituì la fortuna dei produttori,che disponevano del materiale idoneo

(polipropilene).

• - voler realizzare arredi, quali mobili da cucina, armadietti e letti per ospedali, ban-

chi, armadi e sedie per la scuola, purtroppo anche qui privi in gran parte dei materiali

adeguati ;

• - voler ripetere gli stessi errori, di cui sopra, rincorrendo ad obiettivi innovativi,senza

essere sostenuti dai prodotti adatti, introducendoci in settori importanti degli imballi,

della nautica, dell’edilizia, ecc.

Venne messo in luce un aspetto molto negativo, causato dalla presunzione e pretesa di rea-

lizzare gli obiettivi, basandosi sulle capacità ed esperienze dei nostri operatori e dei tra-

sformatori che usavano i nostri prodotti, ignorando nella maggior parte dei casi che la filiera

terminava all’utilizzatore finale, dal quale partivano tutti i segnali riguardo le richieste di

cambiamento e di innovazione. Volendo chiarire il concetto, a mio avviso era assurdo pre-

tendere di mettere a punto un nuovo arredo per la scuola o ospedale, fabbricare una bici-

cletta, una barca, un componente importante per l’auto, se non si finalizzava una forma di

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collaborazione con le aziende leader operanti sui mercati, nei quali si riteneva ci fossero i

presupposti per lo sviluppo dei consumi dei nostri prodotti. La domanda doveva nascere

spontaneamente dalla collaborazione fra le varie componenti – promotori, trasformatori, uti-

lizzatori - con il ricorso al nostro coordinamento allo scopo di garantire che ciascuno svolges-

se il proprio ruolo.

La mia sterzata avvenne nel senso che come nostro primo atto si dovesse scoprire quale tipo

di innovazione il mercato richiedeva, mentre in seconda battuta si doveva arrivare alla ste-

sura di un piano di fattibilità basato sugli aspetti tecnico-economici e di immagine. Fatte le

necessarie verifiche ed approvato il progetto, si doveva coinvolgere il trasformatore e

l’utilizzatore con incentivi e sponsorizzazioni per ottenere il target prefissato.

D’accordo col responsabile del servizio, furono effettuati alcuni riassetti del personale delle

due unità, ottenendo una più stretta collaborazione, che come si attendeva non tardò a dare

risultati interessanti. Nel settore dell’auto, si riuscì a finalizzare una collaborazione a tre,

che oltre a noi nella funzione di esperti di materiali tecnologici e progettisti degli stampi

necessari per la loro trasformazione,comprendeva l’azienda Pininfarina quale designer ed u-

tilizzatore finale ed un’azienda all’avanguardia nella realizzazione di stampi particolarmen-

te complessi e nel loro impiego per realizzare i manufatti. Si riuscì a produrre prototipi di

paraurti di “plastica”, che verso la fine degli anni settanta si imposero definitivamente nella

industria automobilistica mondiale.

Nel settore scolastico, erano stati realizzati numerosi manufatti, ma quanti rispondessero

realmente alle esigenze strutturali ed economiche richieste, era del tutto discutibile. Man-

cava, a mio parere, l’anello rappresentato dal fornitore nella catena di distribuzione. Ese-

guita un’indagine mirata, contattammo quelle aziende che risultavano più attive nel settore

e fra queste, a seguito di nostre ponderate valutazioni, scegliemmo la società F.lli Palini,

che in realtà era poi il leader del settore. Con questa stringemmo un eccellente rapporto di

collaborazione, avendo verificato che aveva una notevole introduzione nelle svariate pieghe

tecnico-amministrative-politiche-sociali-ministeriali, che caratterizzavano burocraticamente

le forniture degli arredi scolastici. In questo contesto, fu anche possibile arricchire

l’immagine della nostra società, che figurava operare al fine di soddisfare un maggior gradi-

mento dell’utenza della scuola. Così venne sponsorizzata la partecipazione di Palini al

“MIA”(Mostra Internazionale Arredamento),organizzando a latere un Convegno della durata

di un giorno orientato sulle problematiche inerenti l’arredo scolastico e pubblicando un libro

intitolato “Arredo scolastico 75”, che riportava il testo degli interventi fatti al Convegno da

Esperti giunti da vari Paesi europei.

In questo caso sono stati messi in luce aspetti positivi e negativi, tutti riconducibili a situa-

zioni anomale, che non sarebbero state tali solamente se si fossero applicati alcuni principi

fondamentali del marketing e per contro qualche aspetto positivo in linea con le regole del

marketing, come ad esempio aver creato un’organizzazione ad hoc con un chiaro obiettivo

da raggiungere ed essere riusciti da un’azione ben combinata nel settore degli arredi scola-

stici a dare un notevole contributo all’immagine della società, impegnata ad operare nel so-

ciale allo scopo di soddisfare un maggior gradimento dell’utenza della scuola.

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CAPITOLO 11°- MARKETING nei PAESI EX-ECONOMIA di ST A-TO.

Caso 6 - Marketing per creare nuovi mercati. Questo è un caso anomalo, nel cui titolo da me volutamente formulato, esiste l’antitesi e-

strema fra il significato di marketing e quello di economia di Stato. Come si può applicare i

principi e regole del marketing, che sono il “condimento” dei mercati liberi, a situazioni di

mercati inesistenti, sostituiti dallo Stato, con i suoi Ministeri e Piani quinquennali, triennali,

ecc.? Come responsabile Commerciale della Holding, nella quale era stata ristrutturata la

mia società di appartenenza, dovendo agire nella zona dei Paesi riuniti nel Comecon, una

specie di Patto di Varsavia mercantile, nel periodo antecedente e posteriore alla Caduta del

Muro, le mie attività erano riconducibili a tre canali principali, le vendite dei nostri prodotti,

gli acquisti dei loro e la cooperazione tecnico-scientifica.

I miei predecessori praticamente non avevano mai svolto attività commerciale di tipo occi-

dentale,perché come già detto era incompatibile con le caratteristiche economiche dei Pae-

si dell’ Europa Orientale e della Cina e di Cuba. Il loro compito si traduceva essenzialmente

nel curare le relazioni interministeriali, che si sviluppavano durante gli incontri tecnico-

scientifici, ai quali partecipavano, a seconda delle situazioni più o meno importanti, le Dele-

gazioni guidate da Ministri o Vice Ministri o Alti Funzionari Governativi e Ministeriali. Le de-

legazioni erano composte da tecnici e “sorveglianti politici” e in questo ambito si dava vita a

lunghe discussioni, che riguardavano la parte tecnica, mentre ad alto livello venivano indivi-

duati i temi della cooperazione scientifica, approvando e firmando “Accordi Quadro” ad am-

pio respiro. Nel contesto, venivano anche trattati scambi di prodotti, che erano soprattutto

di interesse delle nostre controparti, ma che nelle condizioni in cui si operava ci obbligava a

ricevere prodotti del tipo di quelli da noi posseduti,ma di qualità più scadente.Ad essere be-

nevoli con le regole del marketing, in effetti mantenere buone relazioni con i numerosi in-

terlocutori coi quali si veniva periodicamente in contatto, non era facile e questa poteva es-

sere considerata come l’unica linea guida da poter applicare.

Quando mi venne assegnata la responsabilità di promuovere business in quell’area verso la

fine degli anni Ottanta, già il vento del cambiamento cominciava a soffiare e viaggiando in

quei Paesi, soprattutto in quelli più vicini all’Occidente, si aveva sentore che qualcosa do-

vesse succedere finché giunse la Caduta del Muro. Purtroppo, quando iniziai a studiare il

compito assegnatomi, nulla o quasi nulla si conosceva dei mercati (clienti,consumi,prodotti,

produttori-fornitori, prezzi, canali di distribuzione, produzione di manufatti e loro impie-

go,disponibilità finanziarie,ecc.).Come era allora possibile impostare un’azione di marke-

ting, anche semplice ed elementare, se non esistevano i punti di riferimento su cui basare la

nostra azione ?

Invece, il cambiamento stava avvenendo in modo così rapido, che bisognava immediatamen-

te impegnare risorse umane preparate e mezzi finanziari adeguati per realizzare in tempi

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brevi una struttura organizzativa, che si ponesse come interfaccia per raccogliere e valutare

tutti i numerosi effetti e problematiche, che il nuovo corso sollevava.Si stava tentando la li-

beralizzazione dei mercati, messa in atto per la maggior parte da gente impreparata e “con-

gelata ancora nei loro tabù burocratici” ed in molti casi invece da “Arrivisti e Speculatori”,

che non avevano nessun ritegno a “sbattere” le merci ovunque pur di arricchirsi senza limiti.

Potenzialmente, soltanto considerando il fattore demografico e il bassissimo tenore di vita di

quei Paesi, si poteva certamente pensare che la loro crescita si sarebbe accompagnata al

consolidamento di mercati reali, che avrebbero create molte opportunità di business.

Ecco qui bisognava veramente attivare tutte quelle azioni, che sono insite nella definizione

di marketing, che a me piace tanto ed alla quale ero arrivato, privo di ogni nozione al ri-

guardo, ma attraverso i risultati del mio modo di operare, vale a dire “compiere tutti gli in-

terventi, di carattere psicologico, tecnico, organizzativo, commerciale, gestionale allo scopo

di perseguire il raggiungimento degli obiettivi prefissati ed alla loro ottimizzazione”

Intanto, bisognava star vicino al territorio e per questo motivo, si organizzarono uffici di

rappresentanza nelle varie capitali,dirette da nostro personale espatriato, che si avvaleva

per l’attività lavorativa di personale locale. Questi uffici dovevano sussistere in funzione del

business, che riuscivano a sviluppare. I risultati ottenuti furono conseguenti a questa prima

mossa di marketing, che in realtà si irradiava in più direzioni. In particolare, il nostro impe-

gno si era rivolto innanzi tutto a migliorare la comunicazione, a far crescere la fiducia nei

nostri confronti favorita dalla presenza attiva di personale locale, che parlando la loro lingua

forniva maggior sicurezza, a migliorare il nostro servizio dando risposte in tempi accettabili

alle loro richieste ed in compenso esigendo sempre più attenzione nel raccogliere informa-

zioni dal mercato, a difendere ed accrescere la nostra immagine, a soppesare le opportunità

per cogliere eventuali occasioni da non perdere, ad elaborare con ponderazione e serietà le

previsioni di business a breve e medio termine.

La descrizione di questo caso mette in evidenza che la conoscenza dei principi e delle regole

del marketing, aiuta a realizzare gli obiettivi, rischiando di meno e conseguendo maggior ef-

ficacia, sia per i tempi più brevi che si impiegano sia per la qualità dei risultati che si rag-

giungono.

CAPITOLO 12° - MARKETING per i DEALER .

Caso 7 - Marketing acquisti/ vendite nell’attività di dealer. E’ questo un esempio di esperienza vissuta dopo il mio pensionamento, che mi ha fatto cala-

re in una realtà completamente diversa da quella, in cui praticamente avevo percorso tutto

il mio iter lavorativo.La mia figura era quella di consulente di marketing in campo chimico.

L’epoca era negli anni Novanta, quando con la caduta del Muro, anche i mercati occidentali

subirono un forte impatto, venendo invasi da prodotti di largo impiego, di qualità più sca-

dente, offerti a quotazioni assai inferiori da vari Paesi dell’Europa Orientale ed Asiatici.

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Questo succedeva perché con lo sconvolgimento avvenuto nei Paesi est-europei, i nuovi re-

sponsabili erano spinti a svuotare i magazzini essenzialmente per due ragioni, la prima con-

seguente alla necessità di approvvigionarsi di valuta forte per l’acquisto di materie prime,

che dovevano servire a proseguire la produzione e rimettere in funzione altri impianti che

avevano subito la fermata con l’arrivo della crisi, la seconda per fare guadagni immediati e

consistenti fino a quando fossero riusciti a sfruttare una situazione personale di privilegi.

A causa di questa confusione ed anarchia organizzativa, scoppiata nell’ Europa Orientale, le

aziende occidentali che fino allora avevano gestito con buona padronanza i propri mercati, si

trovarono a dover difendere le loro posizioni fino all’estremo, dovendo scegliere i clienti più

affidabili ed abbandonare quelli meno sicuri o con produzioni più correnti o di qualità sca-

dente. Per non soccombere però definitivamente, i produttori occidentali furono costretti a

rivedere le loro decisioni mettendosi in molti casi praticamente sul livello di questi new co-

mer e contribuendo all’impoverimento qualitativo dei manufatti che venivano immessi sui

mercati.

In questo “tormentone” trovarono buon gioco i cosiddetti broker o dealer, che potendo go-

dere di maggior libertà di manovra, senza timore di guastare la propria immagine, importa-

vano in Europa Occidentale ogni genere di prodotto, che in qualche modo fosse in grado di

sostituire quelli tradizionali fino allora usati,riuscendo ad applicare quotazioni allettanti e

ricavando notevoli guadagni.

Ebbene, anche in questo caso ora descritto, il ricorso ad alcune regole di marketing aiutò a

riportare passo dopo passo un po’ di ordine e di chiarezza, stabilizzando i rapporti, renden-

doli più seri ed affidabili. Io ebbi esperienze diverse con russi, cecoslovacchi, bulgari, rome-

ni, polacchi, ungheresi, ma anche con argentini, brasiliani, messicani, indiani e coreani. Co-

me già indicato in un accenno sopra, devo precisare che nell’arena erano anche scesi altri

Paesi extra – europei ed asiatici, i quali per varie ragioni tentavano di riversare in mercati

lontano da loro tutte le sovra produzioni marginali,in cui erano incorsi.

In quest’ultimo caso, limito la mia testimonianza a due esempi, uno che riguardava importa-

re in Italia un prodotto molto usato nelle mescole di gomma, anzi determinante nella mag-

gior parte della fabbricazione dei manufatti, l’altro che riguardava l’importazione di alcune

famiglie di elastomeri dalla Corea del Sud. Il rivenditore che aveva richiesto la mia collabo-

razione, manovrava grossi volumi, soprattutto gomme e resine, in genere fuori specifica o

anche scarti, che talvolta rilavorava per ottenere prodotti più omogenei e costanti nelle ca-

ratteristiche più importanti. I profitti erano molto soddisfacenti, ma l’azienda presente ca-

pillarmente sul mercato nazionale era un po’ carente di immagine considerata la gamma di

prodotti che offriva. Il mio compito consisteva appunto nell’acquisire a titolo esclusivo la

collaborazione e fornitura di prodotti a norma da parte di produttori nel mondo, che non

fossero già rappresentati in Italia o che in quell’epoca fossero intenzionati a cambiare !

Il mio approccio avvenne ancora una volta impostando un piano di marketing, che mi met-

tesse in condizione di definire in quale direzione dovessi andare per realizzare l’obiettivo. In

sintesi, il punto di forza era nell’efficienza e conoscenza del mercato del titolare

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dell’azienda, che si avvaleva della valida operosità di tre venditori e che si impegnava a da-

re un buon servizio alla clientela. Invece, il punto di debolezza era effettivamente la man-

canza nel suo portafoglio di prodotti di qualità, la cui garanzia doveva appunto provenire da

produttori noti e di livello mondiale.

Bisognava quindi scoprire quali e quanti erano i produttori del mondo assenti dal mercato i-

taliano o che facevano apparizioni saltuarie scaricando le loro merci per poi scomparire e

riapparire in periodi diversi. Il problema però nasceva dal fatto che tutti i produttori più o

meno formalmente figuravano rappresentati da agenti/distributori e soltanto casualmente

poteva aprirsi una chance di agganciarne qualcuno. L’analisi del mercato (clienti, prodotti,

fornitori, politiche, affidabilità, servizio, qualità, ecc.) era la regola da seguire ed in effetti

si scoprì che qualche spiraglio esisteva, però occorreva sempre agire tempestivamente cer-

cando di anticipare altri operatori, che si muovevano con gli stessi intenti. A tale scopo, la

mia strategia consisteva nel trasmettere a loro quante più notizie di mercato ricavavamo per

dimostrare le nostre capacità superiori. Infatti, i nostri antagonisti avevano un comporta-

mento opposto, comunicando poche informazioni di mercato, perché non le possedevano o

non le ritenevano determinanti o temevano che venissero utilizzate dagli interlocutori senza

poi concludere la trattativa a loro favore. Io, al contrario, non avevo queste remore ed in-

fatti riuscii ad entrare in contatto col più importante produttore di nerofumi in Russia. Que-

sto, col nuovo corso, per essere vicino al mercato, per offrire un servizio adeguato, per faci-

litare le comunicazioni, aveva costituito due società nello stesso sito, una proveniente da

un’azienda di pneumatici,che aveva usato il nerofumo russo e si stava tramutando in società

commerciale, la seconda invece nata successivamente, più snella, con inclinazione a seguire

gli orientamenti e la domanda del mercato. Io, grazie alla mia impostazione di marketing di

non lasciare nulla al caso, decisi di approfondire le mie verifiche e di entrare in contatto con

entrambe. Non fu difficile scoprire il loro legame, che era stato anche “furbescamente “so-

stenuto per un atterraggio morbido della società più obsoleta sino arrivare alla sua estinzio-

ne senza grosse perdite ed invece poter agire più liberamente sui mercati con la seconda so-

cietà. La conclusione avvenne definendo una cooperazione, che portò a risultati molto ap-

prezzabili e soddisfacenti, sia per la qualità del prodotto in partenza già buona e costante-

mente migliorata ponendosi sui livelli dei prodotti occidentali e sia per la continuità di im-

piego da parte dei trasformatori, che cominciarono a considerare la società di distribuzione

italiana con maggior riguardo.

Il secondo esempio fa invece riferimento a trattative condotte con due produttori coreani di

gomme sintetiche (Khumo e Hyundai), sempre nella veste di consulente della stessa azien-

da.Entrambi facevano parte di due Gruppi molto importanti, comprendenti aziende con pro-

duzioni diversificate in vari settori merceologici. Mentre con uno il contatto fu ottenuto con

una certa facilità, avendo il Gruppo coreano costituito una propria società di rappresentanza

in Italia, che aveva appunto come scopo quello di trovare collaborazioni con società italiane,

con l’altro fu molto più complicato e faticoso,dovendo impostare tutta la trattativa tramite

continuo scambio di corrispondenza e telefonate per convincerli sulle nostre buone intenzio-

ni di definire rapporti duraturi e basati sulla reciproca fiducia. Fu con questi ultimi che ini-

ziai a porre le basi per aprire un business di tutto rispetto ed ebbi il piacere di ricevere la lo-

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ro diretta conferma che era stato proprio il mio modo di comunicare un’elevata mole di in-

formazioni ad ampio spettro a convincerli che valeva la pena di sceglierci come partner per

il loro sbarco in Europa.

Purtroppo per motivi indipendenti dalla mia volontà, questa cooperazione venne interrotta e

fu per questa ragione che si iniziò adoperare sul mercato italiano con l’altra società corea-

na.In questi esempi riportati è bene ricordare che il mio ruolo era completamente diverso e

lontano da quelli impersonati durante la mia attività lavorativa, certamente non si può fare

nessun confronto, di nessun genere, tra il modo di operare di un dealer e quello di un pro-

duttore, le loro esigenze e le finalità non sono confrontabili, gli obiettivi sono agli antipodi.

Ciononostante, ho potuto constatare che il mio marketing “pragmatico” mi è venuto spesso

in aiuto, muovendomi in una realtà, che avevo dovuto nel passato contrastare e poi,invece,

sostenere per raggiungere gli obiettivi che mi erano richiesti. Se il dealer vuole affermarsi

sul mercato,dare continuità alla propria azione,deve pensare di migliorare la sua immagi-

ne,seguire l’innovazione e porsi degli obiettivi. Allora, ecco qui che “un piccolo piano “ di

marketing dovrebbe essere chiamato in causa,potendosi formulare attraverso gli obiettivi,

l’analisi e l’azione.

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CONCLUSIONI Nel mio percorso pragmatico del marketing, io credo di essere venuto a contatto e di aver

interpretato quasi tutti i principi del marketing, applicabile nell’ epoca da me vissuta. Dico

questo perché col progresso, coll’innovazione, con il cambiamento il marketing è in continua

evoluzione e ciò che era vero ai miei tempi, non è detto che lo sia ancora oggi. Avrei potuto

aggiungere molti altri casi “vissuti”, ma tutti avrebbero portato alle stesse conclusioni di

quelli descritti, ribadendo i principi fondamentali del marketing coincidenti col mio pragma-

tismo.

Pertanto, a mio modo di vedere, per concludere il mio saggio ritengo che le linee guida, col-

le quali mi sono mosso facendo ricorso alla mia professionalità e “buon senso” possano esse-

re riassunte qui di seguito.

- CAMBIAMENTO è un principio da osservare sempre : le aziende che si adeguano prima delle

altre, acquisiscono un vantaggio competitivo. Ci sono varie forme di cambiamento, interne

nelle imprese ed esterne sul mercato, ma sia le une che le altre, influiscono in positivo o

negativo, a seconda di come vengono affrontate le situazioni, che si sono create a causa di

un determinato evento. Prima di tutti, sono i clienti che devono essere soddisfatti in mag-

gior misura di quanto non riescano a fare i concorrenti. Occorre compiere azioni, che ri-

chiamino e stimolino l’attenzione della clientela.

- INFORMAZIONE è un altro caposaldo, anche questo un principio basilare del marketing, so-

prattutto per le imprese che producono e distribuiscono il loro prodotto sul mercato. E’ que-

sta la via principale per individuare le esigenze dei clienti e proporre le soluzioni più idonee.

E’ in questo contesto che possono essere individuate le nicchie di clienti e di utilizzo di pro-

dotti, che sono sempre numerose nella maggior parte dei mercati e che se vengono gestite

con capacità, diventano fonte di guadagno consistente e duraturo nel tempo.

- PERSONALE si identifica con l’azienda da cui dipende ed ha un’importanza capitale, perché

col suo atteggiamento e comportamento può contribuire a realizzare o mandare all’aria un

progetto dell’impresa. Occorre disporre di dipendenti motivati, talentuosi, responsabili per

soddisfare questo indiscutibile principio del marketing, che se viene attuato nell’azienda con

lungimiranza può costituire lo strumento più efficace per acquisire un vantaggio competiti-

vo. La forza di vendita di un’impresa motivata e preparata, valutata in funzione della sua

performance, è uno degli elementi determinanti e deve essere sostenuta dal marketing, fa-

vorendo lo scambio continuo delle informazioni, che interpretate e rielaborate dalle varie

funzioni aziendali chiamate in causa, determinano gli input di ritorno alle vendite. Ma tutti i

dipartimenti di un’azienda sono l’interfaccia del marketing ed è quasi inevitabile che sorga-

no conflitti interni, quindi un principio essenziale è quello di eliminare le barriere e raziona-

lizzare le varie funzioni operative per dare luogo ad un lavoro di squadra.

- ANALISI è un processo operativo, che si effettua frequentemente in ogni tipo di situazione

prima di prendere qualsiasi iniziativa. Ad esempio, l’analisi di un mercato diventa più preci-

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sa ricorrendo alla segmentazione per evitare una superficiale banalizzazione delle esigenze e

richieste dei clienti. Si possono così evidenziare le differenze fra i settori di maggior impor-

tanza, fra le nicchie dispensatrici dei migliori profitti e fra i clienti più appetibili ed affidabi-

li per i livelli di potenzialità che presentano. Se l’analisi viene spinta in questi termini, si fa-

vorisce anche la possibilità di esprimere previsioni a breve, medio e lungo termine più at-

tendibili, proprio perché si è approfondita la conoscenza della struttura del mercato esami-

nato.

- PIANO DI MARKETING è fondamentale per qualsiasi azienda che voglia impegnarsi per rag-

giungere propri obiettivi.Esso si basa essenzialmente su alcuni punti chiave, di maggiore o

inferiore complessità in dipendenza del progetto che si deve finalizzare. Le fasi per un caso

semplice sono l’analisi della situazione, la definizione degli obiettivi, la strategia e l’azione,i

costi ed i controlli.

- POTERE DECISIONALE deve essere anch’esso considerato un passaggio imprescindibile e de-

licato nelle regole del marketing ; esso deve essere esercitato dalle cariche competenti ai li-

velli più alti dell’impresa per decidere l’avvio e l’attualizzazione dei progetti più importanti

e significativi. Non è sempre facile farsi intendere e quindi convincere un certo tipo di

management, che talvolta tende ad arroccarsi sulle proprie idee, rimandando la decisione

più avanti nel tempo.

- MARKETING MIX ovvero le “ 4 P” è un'altra regola, che viene sempre chiamata in causa ogni

qualvolta si deve realizzare un impianto di produzione e l’immissione del prodotto sul mer-

cato. Il marketing deve dare alle vendite gli strumenti necessari e realistici per la promozio-

ne tecnico – commerciale del prodotto. L’espressione delle “ 4 P” fa riferimento al Prodotto,

Prezzo, Punto di vendita, Promozione. Pertanto, è diverso l’atteggiamento se si presenta un

prodotto simile a quello già esistente, usato normalmente oppure se si tratta di un prodotto

nuovo richiesto dal mercato. Analogamente il prezzo deve essere mantenuto in linea con le

aspettative del mercato, non troppo basso tale da generare mediocri profitti e nel contempo

provocare la reazione dei concorrenti. Il terzo principio da seguire è scegliere un punto di

vendita adatto alle caratteristiche del prodotto, dell’impresa e del mercato, secondo cui la

distribuzione è preferibile venga effettuata direttamente dal dipartimento aziendale della

logistica oppure, fatta eccezione per i grossi volumi, si avvalga di distributori locali. Per

quanto riguarda la promozione del prodotto, oltre a poter contare di interventi mirati

dell’assistenza tecnica, nella maggior parte dei casi bisogna proporre incentivi a tempo de-

terminato.

- QUALITA’ costituisce pure un tema da non sottovalutare, che investe un aspetto tecnico

importante del prodotto, esplicandosi con le sue peculiarità unitamente al prezzo giusto ed

alla promozione sul mercato, ma il termine diventa anche l’indice per identificare il servizio

che l’impresa è in grado di offrire e che deve essere curato per soddisfare la cliente-

la,tenendo conto del tipo di distribuzione scelto, della regolarità e tempestività delle conse-

gne, dell’imballaggio della merce.

- MARCHIO è un fattore non estraneo alla qualità del prodotto e del servizio, che si identifica

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con la “immagine” dell’azienda, che produce e si confronta sul mercato. Un buon marchio

che via via si afferma nel tempo con l’attività dell’azienda, costituisce un eccellente bigliet-

to da visita per introdurre i suoi prodotti sul mercato, ma richiede un continuo impegno per

sostenerlo evitando mosse sbagliate. In questo contesto, sempre tenendo conto della tipolo-

gia del prodotto, sono coinvolte le relazioni pubbliche, l’organizzazione di eventi, le sponso-

rizzazioni, la pubblicazione di notizie e di bollettini tecnici, la Pubblicità.

- RELAZIONI è il mio ultimo riferimento delle linee guida, alle quali col mio pragmatismo mi

sono attenuto nei miei movimenti in azienda e sul mercato, ma certamente non le ultime ad

essere applicate.Proprio per svolgere un buon marketing risulta essenziale impostare corretti

rapporti di rispetto e di collaborazione con i colleghi dipendenti dell’azienda, con i clienti,

fornitori, distributori, agenti e, in generale, con tutti gli attori che si incontrano sul merca-

to. E’ fuori dubbio che tale comportamento contribuisce all’arricchimento dell’immagine a-

ziendale.

C. V. dell’Autore Pierluigi Calvi è nato nel 1934 a Torino, dove ha conseguito la Laurea in Chimica. E’ stato as-sunto dalla Montecatini nel 1961. Ha frequentato per oltre un anno uno stage per ricercatori presso l'Istituto di Chimica Indu-striale del Politecnico di Milano diretto dal Prof. Natta e successivamente destinato all'Istitu-to Ricerche dello stabilimento di Ferrara per svolgere attività di ricerca applicata, assistenza tecnica e promozione vendite del nuovo elastomero etilene-propilene. Nel 1966,lasciata la Montedison per approdare ali' Anic, ha coperto vari livelli di responsabi-lità, soprattutto nelle vendite delle gomme sintetiche, con una parentesi di due anni come responsabile della promozione commerciale delle resine polimeriche. Nominato Dirigente nel 1977, responsabile delle vendite "Worldwide" delle gomme sinteti-che. Nel 1982 trasferito al/' Enoxy, Joint-venture fra Eni e la statunitense Occidental, re-sponsabile del marketing degli elastomeri in Italia,quindi nel 1983 Marketing Manager delle gomme sintetiche di uso generale all' Enichemical di Zurigo e successivamente responsabile di Business �Lines in Enichem Elastomeri. Nel 1988 responsabile in Enichem Holding delle attività commerciali dell'area Comecon (Pa-esi ad Economia di Stato ), incarico confermato in Enimont, dopo aver assorbito una struttu-ra analoga della Montedison. In pensione dal 1990, iscritto all’APVE dal 2001

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