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14 zeroquindici Luglio - Agosto 2009 Un morso alla Grande Mela di Massimo Passera New York City, vivere la città più famosa al mondo S i accendono le luci della cabina. Tra qualche applauso (e qual- che sospiro), l’assistente di volo vi augura: “Welcome to JFK International Airport”. Signore e signori, siete atterrati nel- la capitale del mondo. Passport control, ritirate lo zaino, e oplà, siete sulla NYC subway: “Take the ‘A’ train”, man! Sì, quello di Duke Ellington. Harlem è laggiù, in fondo al binario. L’atmosfera at- torno a voi comincia a cambiare. Dov’è finito quel tipo indaffara- to tra Samsonite e Blackberry? E’ un processo graduale, ma i turisti che vi accompagnano (i pochi che non hanno preso il taxi - o l’eli- cottero - per raggiungere Manhattan) sembrano scomparire poco a poco, sommersi dalle ondate di umanità che invadono la vostra car- rozza ad ogni fermata. Euclid Avenue, East NY, Utica Avenue; è la NY che pochi stranieri conoscono; sono i milioni di persone che vivo- no la NY lontano dal glamour della Fifth Avenue. Un’ora dopo siete a Manhattan. Ovunque scendiate, l’emozione è forte. I suoni della città si mischiano a quelli del vostro iPod. Miles Davis. Washington Square, il cuore pulsante del Greenwich Village. Giocolieri, skate- boards, passeggini, punk, rappers, gente che legge, gente che balla. Chitarre ovunque. Ti sembra di sentire anche quella di Bob Dylan. E quell’elegante signora laggiù? Joan Baez? E’ lei! Vi guardate, ti sorride, ma per l’emozione non riesci nemmeno a dirle “Hi”! Sulla panchina,

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14 zeroquindici Luglio - Agosto 2009

Un morsoalla Grande Mela

di Massimo Passera

New York City, vivere la città più famosa al mondo

Si accendono le luci della cabina. Tra qualche applauso (e qual-che sospiro), l’assistente di volo vi augura: “Welcome to JFK International Airport”. Signore e signori, siete atterrati nel-la capitale del mondo. Passport control, ritirate lo zaino, e

oplà, siete sulla NYC subway: “Take the ‘A’ train”, man! Sì, quello di Duke Ellington. Harlem è laggiù, in fondo al binario. L’atmosfera at-torno a voi comincia a cambiare. Dov’è finito quel tipo indaffara-to tra Samsonite e Blackberry? E’ un processo graduale, ma i turisti che vi accompagnano (i pochi che non hanno preso il taxi - o l’eli-cottero - per raggiungere Manhattan) sembrano scomparire poco a poco, sommersi dalle ondate di umanità che invadono la vostra car-rozza ad ogni fermata. Euclid Avenue, East NY, Utica Avenue; è la NY che pochi stranieri conoscono; sono i milioni di persone che vivo-no la NY lontano dal glamour della Fifth Avenue. Un’ora dopo siete a Manhattan. Ovunque scendiate, l’emozione è forte. I suoni della città si mischiano a quelli del vostro iPod. Miles Davis. Washington Square, il cuore pulsante del Greenwich Village. Giocolieri, skate-boards, passeggini, punk, rappers, gente che legge, gente che balla. Chitarre ovunque. Ti sembra di sentire anche quella di Bob Dylan. E quell’elegante signora laggiù? Joan Baez? E’ lei! Vi guardate, ti sorride, ma per l’emozione non riesci nemmeno a dirle “Hi”! Sulla panchina,

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una studentessa (siete nella piazzetta della New York Universi-ty...) legge un libro di Henry James (“Washington Square”?). Un iguana si avvicina, meglio spostarsi. Nell’angolo giocano a scac-chi, da sempre. Più in là, all’angolo tra West 4th e 6th Avenue, i ragazzini si arrampicano nell’aria sul campetto da basketball. Comincia a far buio, l’atmosfera è tanto vibrante e densa da po-terla tagliar a fette, dice Diego. Scivolando giù per lo scivolo, sorridendo ad occhi chiusi, scatta due foto. Le sue immagini di quest’angolo di mondo sono tra le più belle che abbia mai visto. NY è così, è la “melting pot”, come la chiamano qui da sempre, il villaggio globale, anche se avete il Wi-Fi spento. Sarete una goccia d’acqua, una in più, come scrive Poly - in quest’oceano non è difficile sentirsi a casa. E’ mattino, vi alzate presto. Scarpe comode, caffè e bagel in mano, siete pronti a buttarvi nella mischia. Subito su, in cima all’Empire State Building. Quando mio padre mi portò lassù da ragazzino, guardando il luccichio della città non ebbi dubbi: “Qui, prima o poi, vengo a viverci!”. Qualche anno dopo ero lì. Da Caselle Torinese a NY, un bel balzo! Nei primi tempi, di not-te andavo alla base delle Twin Towers a stendermi su una pan-china e guardare all’insù, con gli U2 nelle orecchie. Ero davvero lì? Sì, e senza alcuna premura di andarmene! (Andarmene??) Poi, poco alla volta, il sottofondo rilassante dei campi da ten-nis di Caselle, il suono secco e pulito del colpo della racchetta, lasciò spazio al rumore degli antifurti dei parcheggi tra Mul-berry e Canal Street. A modo suo, NY stava diventando “casa”. Giù dai grattacieli: il nuovo MoMA, MET, Guggenheim. Too mu-ch! Central Park. Poly e Gus che giocano a pallone. Vi lasciate alle spalle gli “Strawberry Fields” di John Lennon. E’ ora di an-dare da “Zabar’s”, 80th e Broadway: un’aringa affumicata plache-rà quel languore di stomaco. Subway per downtown, a perdersi nel Village, a caccia di quel libro usato da “Strand”. Astor Place. Union Square, il farmers’ market. Mentre morsicate una mela, guardate all’insù. Quella era la “Factory” di Andy Warhol. Chis-sà come son stati qui gli anni ‘60?! A NY tutto cambia in fretta, ma le foto scattate da mio padre qui in quegli anni sono più vi-ve che mai. Alle gallerie di Chelsea e SoHo! Giù per Broadway, l’acciottolato di TriBeCa, Little Italy (Italy?), Nolita, l’East Village di Basquiat. Birretta fresca da “Sidewalk”, poi Tompkins Squa-

Foto di diego Beltramo

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16 zeroquindici Luglio - Agosto 2009

NEW YORK

re, Charlie Parker Place, i suoni Nuyorican, i murales di Loisai-da, i loft da capogiro di Williamsburg, a Brooklyn, i pesci (e le banche) di Chinatown. Siete emozionati, increduli e felici. Vi fer-mate da “Pearl Paint”, a Canal Street, per comprarvi due lattine di colore. (Che vi servano o no, entrateci ugualmente.) Passate il Manhattan Bridge, siete a Dumbo. Le scene della “25th hour” di Spike Lee vi scorrono davanti agli occhi. Trovatevi una bici e, da-to il numero di incidenti che ho avuto, un caschetto. D’ora in poi il vostro peggior nemico sarà l’onnipresente taxi giallo. Il Broo-klyn Bridge! Tornate a Manhattan. Woody Allen dev’essere qui. Wall Street (già, Wall Street). A Ground Zero non son mai anda-to. Preferisco così. Pedalate fino a Battery Park per prendere il ferry per Staten Island. Eccola lì, la Statua della Libertà! Ed El-lis Island. Alla fine dell’800 mio bisnonno aveva seguito fin qui il Sogno Americano. Da qui, all’inizio del 900, suo figlio parti-va per l’Italia. Prima o poi avrete fame e, pranzo o cena che sia, non c’è luogo sul pianeta che offra più possibilità di NY. Ci vor-rebbero pagine per raccontare i piatti, i profumi ed i sapori che ho archiviato in specifici files nell’ippocampo in tanti anni di ga-stronomia newyorkese (files in continuo aggiornamento). Gui-da “Zagat” in mano (sfogliatevela da Barnes&Noble, bevendo un caffè, o sull’iPhone), dalla “slice” di pizza all’arte di “Nobu” ci so-no ottime opzioni per tutti. Provate tutto: come perdersi il pa-strami di “Katz’s”, nel Lower East Side? (Non fatevi distrarre dal tavolino della celebre scena del finto orgasmo di Meg Ryan in “Harry ti presento Sally”!) E che dire della fantastica anatra al-la pechinese della “Peking Duck House”, a Chinatown, o dei ko-koretsi di “Barba Jorgos” ad Astoria, Queens? (A poche miglia da Flushing Meadows...) Se è Domenica, precipitatevi a Chinatown per il Dim Sum da “88 Palace”, sotto il ponte di Manhattan. Qui serve il quarto dan per raggiungere il tavolo, ma ne vale la pena. Eppoi c’è il sushi di “Tomoe” che, a mio parere, è secondo solo alla “finanziera” di mia madre ed al “bobó de camarão” di mia zia Lucia. A notte fonda vado all’”Olive Tree”, nel Village. Non chiude mai. Mentre aspetto la borscht e la mia fantastica insalata tabou-li, sul fondo scorrono i film di Charlie Chaplin. Li ho visti e rivisti qui mille volte, ma continuo a ridere. Prendo un gessetto bian-co e comincio a scrivere le mie formulette (i tavoli sono d’arde-sia). Arriva la pita, appena sfornata. Fuori nevica. Mezzanotte. Saliamo su un tetto. Su, fino alla cima della cisterna d’acqua più alta. La vista dell’East River è splendida. Scatto una foto. La se-rata promette bene. Chi suona stasera? Il fascino della Carnegie Hall, le luci del Lincoln Center, i gospel e le jam sessions di Har-lem, electronic dance downtown, punk nel Lower East Side, mi-nimal-techno off the beaten beat, samba o axé, salsa o rumba, reggae o reggaeton, hip hop o R&B... Nella “Big Apple” il proble-ma è solo scegliere. Fatevi guidare dai blog, dal “Village Voice”, e dalle vostre orecchie. Certo, locali chiudono, altri aprono. Il bel-lo sta anche lì. La musica sperimentale non è certo morta con la chiusura del “Tonic”, né il rock con quella del “CBGB’s”! E’ quasi mattino, gli afterhours clubs vi aspettano... São Paulo, Londra, Tokyo, Sydney; tutte le città fanno un pisolino. NY no. La metro-politana non si ferma, ristoranti e supermercati non chiudono mai. La spesa a Bleecker Street? La fai di notte, tornando a ca-

sa. Perché farla di giorno, quando la coda alla cassa è più lunga? “The city that never sleeps”. E di notte incontri anche gli homeless rannicchiati nei loro scatoloni, a sfidare il gelo d’inverno e le “heat waves” d’estate. NY è anche questo. A NY incontri molte persone, ognuno col suo viaggio, ognu-no diverso, come dice Vasco, ma le amicizie vere sono rare e preziose, co-me ovunque. Io ho avuto fortuna: i miei amici di NY sono ormai dispersi in tutto il mondo, ma ogni occasione è buona per ritrovarci tutti, da qualche parte, come si faceva a Washington Square. Ogni volta che torno qui mi si rovesciano addosso i miei anni ‘90 vissuti con loro. La notte che Sasha ha lasciato la Fisica, che Gus ha lasciato NY, che Leo ha lasciato me a JFK. Che Oleg ci ha lasciato. “Leaving New York, never easy”, scrivono i R.E.M. Ma il mondo è rotondo, e anche se NY te l’ha fatto vivere intensamente, presto ti accorgi che la crisi d’astinenza da questa città non è altro che l’insuccesso della ricerca in te stesso. Se sei saggio la risolvi, ci torni con occhi nuovi, e magari progetti una vita nuova da qualche altra parte. “Io amo NY”, scri-veva Italo Calvino un bel pò di anni fa, “...e l’amore è cieco. E muto: non so controbattere le ragioni degli odiatori con le mie [...] Farò scrivere sot-to la mia tomba, sotto il mio nome, ‘newyorkese’”. Riposa in un’antica cit-tadina toscana, all’ombra di siepi da cui si vede il mare. Il vostro tempo a NY passerà in fretta. Prima i giorni, poi le settimane e i mesi, e ben pre-sto la lunghissima lista che vi eravate preparati prima di arrivarci, di tut-to ciò che volevate vedere, ascoltare, toccare, gustare e annusare, adesso vi farà sorridere. Vi accorgerete che era in realtà così breve, così esigua! Non avevate scritto le corse in bici lungo l’Hudson River d’autunno, le par-tite a calcio a Brooklyn, le nottate con gli amici nel Lower East Side, qual-che metro sotto terra. Mancavano i kebab con mia madre nell’East Village, Washington Square con la neve, le scalate sui tetti di NYU al tramonto, il viaggio in Brasile che vi ha cambiato la vita. Ma come potevate immaginar-velo? Chissà, forse vi deciderete a comprare la vostra prima Moleskine e, macchina foto sempre con voi, comincerete ad annotare e fotografare tut-to. Un riflesso da “Mc Sorley’s”, un gigantesco quadro blu a Williamsburg, la luce del biliardo di “Sophie’s”, un viso ad Harlem. Anni dopo, quelle sen-zazioni sono ancora lì, ed altre si aggiungono. Magari vi chiederanno per-sino di scrivere un breve articolo sulla “vostra” NY. Cercherete allora le vostre Moleskine e vi ci perderete dentro. I giorni a NY non bastano mai. Dovrete per forza tornarci.

5TH AVENUE - NEW YORK CITY