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Venerdì 10 gennaio 2014 18 Venerdì 10 gennaio 2014 19 SCHEDA/ CHI ERANO GIOVANNI E GIOVANNI JUNIOR CULTURA & SPETTACOLI LA LUNGA STORIA DEL MUSEO A VENT’ANNI DALLA CESSIONE ALLO STATO, I RICORDI DI UNA FAMIGLIA E DI UN’EPOCA. E IL MITO DI TALOS DIVENTÒ IDENTITÀ Quando la passione di Jatta cambiò Ruvo Memoria, cultura e politica alle basi di una grande collezione di ANTONIO IURILLI H anno un prezzo i miti? Sembra di sì, a leggere le carte di due collezionisti pu- gliesi intenti, fra Settecento e Ottocento, ad accumulare un’imponente collezione di monumenti fittili magnogreci, e quindi avvezzi, proprio perché collezionisti, a monetizzare l’arte e a tradurre in valore di scambio l’estro mitopoietico degli antichi figuli. I loro libri contabili ci dicono, per esempio, che il Ratto delle Leucippidi valeva tremila ducati; quattromila Il mito delle Esperidi; diecimila (assolutamente il più caro) Il mito di Talos, custode di Creta, immortalato nelle Argonautiche di Apollonio Rodio. Prezzi (c’è da presumerlo) imposti non solo dal valore artistico del pezzo, ma anche dalla capacità del mito raffigurato di appagare la smania inguaribile del collezionista: quella di inseguire il valore on- nicomprensivo e spesso ingenuo della rarità. Il riferimento al Mito di Talos ci porta dritti nel naos domestico dei rubastini Giovanni Jatta senior e di Giovanni Jatta junior, suo nipote ex fratre, nel quale giganteggia, fra gli oltre duemila pezzi cu- stoditi, il celebre cratere su cui appunto quel mito è pregevolmente raffigurato: un sacrario ospitato nel loro palazzo avito a Ruvo e divenuto, lungo tutto l’Ottocento, meta irrinunciabile del grand tour . Le tortuose vicende che ne hanno faticosamente pro- piziato, esattamente vent’anni fa, il trasferimento allo Stato e lo status giuridico di Museo Nazionale, nulla hanno tolto al fascino di una fruizione ari- stocratica di quello straordinario patrimonio fittile, che ancora oggi, nonostante la sua inquietante col- locazione nell’offerta turistica di massa, si consuma nelle sale e fra le poltrone di velluto porpora sulle quali i padroni di casa intrattenevano Gregorovius e altri illustri visitatori di tutta Europa. Ma quale humus culturale ha nutrito, lungo quasi un secolo, la passione archeologica dei due Jatta? Qual è stato, al di là delle pulsioni tipiche dei col- lezionisti, il loro rapporto con l’antico? Credo non si possa scindere l’antiquaria di Gio- vanni senior, fondatore del Museo, dalle sue com- petenze giuridiche. La sua cultura forense, in forza delle quali egli liberò la sua città dalle angherie feudali della casa Carafa, fu, infatti, sì di matrice illuministica (decisivo fu per lui il magistero del prete giacobino Ignazio Falconieri), ma era ormai con- tagiata dal culto liberal-romantico della piccola pa- tria, la cui capacità di affrancamento civile dall’op- pressione feudale si nutre proprio della grandezza del suo passato. Negli anni in cui Giovanni primeggiava nel Foro di Napoli, l’archeologia partenopea accen- deva furori patriottici e libertari proprio in nome dell’antica grandezza greco-latina della Campania felix, ibridandosi sia col giacobinismo repubblicano, sia col regalismo conservatore. Ed è proprio il bisogno di rivendicare la grandezza delle radici, insieme al ritorno ottocentesco alle hi- storie municipali, a indurre Giovanni senior a scri- vere la prima storia della sua città: quel Cenno storico sull’antichissima città di Ruvo, che non a caso si conclude con l’elogio di un illustre rubastino, Do- menico Cotugno, suo prozio. Questa religione laica dei Lari professata dallo Jatta lo porta, insomma, a concepire la storia della sua città come il costante affermarsi della sua an- tichità nobiltà: una nobiltà di cui sono testimonianza proprio i monumenti fittili che le sue viscere re- stituivano in quegli anni nelle sue trepide mani. L’imago picta degli antichi figuli è, insomma, la rap- presentazione figurale di quel sistema etico-religioso originario del quale egli saggia il radicamento nella storia millenaria della sua città e la tenuta nella società attuale. L’esuberante mondo mitografico che egli contempla sui suoi crateri si fa allora Pantheon della memoria cittadina e lo induce a preferire il modello storiografico umanistico della laudatio ur- bis, non quello agiografico-cattolico che identifica la grandezza della città con la fama del suo santo pa- trono. È così forte in lui il bisogno di celebrare l’ellenizzazione della città, da rendere diseguale l’or- dito storiografico del Cenno storico, inducendolo a comprimere l’età romana e persino quel Medioevo cui pure essa deve il suo monumento più bello. Contagiato dalla cultura liberal-riformistica dello zio, Giovanni junior colloca Ettore Carafa, l’oppres- sore della sua città convertito all’utopia repubbli- cano-giacobina fino a morirne, nella candida rosa dei beati che, sul modello dantesco, circondano in un paradiso tutto giacobino la Dea Libertà: in un poe- metto intitolato Agesilao Milani, mancato attentatore dell’ultimo Borbone. Ma guida in quell’empireo è Vincenzo Gioberti, simbolo del patriottismo catto- lico-liberale professato dalla borghesia napoletana, rappresentato però da Giovanni nell’atto di scon- fessare davanti a Dio proprio il suo progetto fede- ralista e neoguelfo, mentre il «settario» Mazzini vi è trattato come attentatore all’idea di nazione: esa- sperazioni ideologiche destinate ad acquietarsi, all’indomani dell’Unità, nella pax sabauda e nel suo buen retiro di Parco del Conte, la villa di famiglia sulle prime pendici della Murgia barese. È lì che Giovannino traduce l’amorevole impegno ad accrescere la collezione affidatagli dallo zio in quel raffinatissimo catalogo che egli concepisce, con inat- tesa modernità, come ecphrasis, come traduzione verbale della mitografia fittile, in forza di un grado di formalizzazione letteraria che rende la parola uguale, se non superiore, all’immagine e l’armonia narrativa capace di trasmettere i valori pittorici della rap- presentazione fittile: una performance ecfrastica che lo Jatta ritiene perfino sostitutiva della fruizione visiva della collezione, quando essa è mortificata dagli spazi espositivi troppo angusti. Questa aspirazione divulgativa del patrimonio fit- tile rubastino, che Giovanni intende conseguire at- traverso la forza icastica della parola, fa tutt’uno con la rivendicazione, ormai postunitaria, dell’identità I due pugliesi, Giovanni e Giovanni junior e la loro «missione» di inseguire il valore della rarità: nasce così una grande realtà archeologica MUSEO JATTA A RUVO DI PUGLIA Nella foto grande, un’immmagine del palazzo con gli splendidi vasi in esposizione La storia degli Jatta comincia nel Settecento e attraversa i secoli successivi, rappresentando anche uno spaccato della storia culturale pugliese La crisi intristisce i romanzi Studio inglese prevede un’ondata di volumi cupi e dai finali «deprimenti» ARCHITETTURA E SPAZI OGGI ALLA LATERZA PRESENTAZIONE DEL VOLUME DI NICOLA AUCIELLO Il mondo? Si progetta anche all’interno di quattro case romane Vetrina SCOPERTE PER CASO DA UNA STUDIOSA BRITANNICA NELL’ESSEX Le lettere di Mary Shelley: preoccupata per la statura del figlio n Una studiosa britannica ha trovato una delle maggiori collezioni di lettere inedite di Mary Shelley mentre stava facendo ricerche su internet ed è incappata per caso in una voce dell’archivio pubblico dell’Essex in cui venivano catalogate le 13 missive. Nora Crook, dell’Anglia Ruskin University, ha scoperto quanto era passato inosser- vato a tutti gli altri suoi colleghi. Un vero e proprio tesoro di 13 documenti, classificati come «Lettere di Mary Wollstonecraft Shelley», scritte dall’autrice di Frankenstein nel periodo dal 1831 e 1849, e rimaste a prendere polvere nell’archivio. Al loro interno emerge una Shelley alle prese con la vita quotidiana: si rammarica anche per il figlio di bassa statura L’ANNUNCIO DATO DALL’ACCADEMIA DEI LINCEI. FONDÒ I «QUADERNI URBINATI» Scomparso all’età di 98 anni il grecista Bruno Gentili n Il grecista Bruno Gentili, insigne studioso della letteratura classica e in particolare della metrica greca, è morto l’altro giorno a Roma all’età di 98 anni. L’annuncio della scomparsa è stato dato dall’Accademia dei Lincei di cui era socio dal 1984. Nato a Valmontone (Roma) il 20 novembre 1915, Gentili era professore emerito dell’Uni- versità di Urbino, dove ha insegnato letteratura greca dal 1963, nella Facoltà di Lettere che insieme al rettore Carlo Bo ha contribuito a istituire. E’stato fondatore nel 1966 della rivista «Quaderni urbinati di cultura classica», di cui è stato a lungo direttore. STILE CUPO John Steinbeck autore di «Furore» Due uomini, due secoli tra Napoli e la Puglia Il bisogno di rivendicare le radici si lega poi al pensiero liberal-riformistico e diviene voglia di lottare contro i nuovi «conquistatori» CASALPALOCCO Uno dei progetti riportati nel volume di NICOLA SIGNORILE S mall, medium, large ed extra-large. Quattro ta- glie per quattro case, quattro grandezze stan- dard per quattro architetture d’interni. È strano, ma è così: ogni casa è un pezzo unico, un universo personale gelosamen- te concepito e custodito. E tut- tavia quando l’architetto pensa ad essa fa ricorso al sistema di misura più industriale che ci sia, quello dell’abbigliamento prêt-à-porter , tutto il contrario della sartoria. È una contrad- dizione in cui sempre si impasta l’architettura e che è esplosa con il Movimento Moderno. Un’on- da lunga che attraversa il «se- colo breve» e arriva fino a noi, a giorni nostri, e che l’architetto Nicola Auciello cavalca con il suoi progetti e le sue realizza- zioni, sinteticamente racconta- te in alcuni episodi esemplari con il libro intitolato Quattro ca- se viste da dentro (Lettera Ven- tidue ed., pp. 144, euro 18). Le quattro case sono tutte a Roma e dintorni. Una piccola (small) di appena 28mq, un’altra media di 70 metri quadri, poi una grande (150mq, più altri 100 di terrazzo) e infine una molto grande, 250 metri quadri su sette livelli e un giardino). Cherubino Garbadella, nella presentazione al volume, dice di essere grato a Auciello per avergli raccontato, con queste quattro case, una parte di quella città in cui pure ha abitato per un decennio: «Mi mancava un enorme pezzo di Ro- ma», dice. Come sia possibile che un’architettura di interni possa svelare l’esterno di una casa è appunto il mistero – o la ragione! - del lavoro di Auciello. Il quale, con lo studio di archi- tettura «na3», che ha fondato dieci anni fa, mette in campo una strategia progettuale che poggia saldamente sulla lettura del contesto urbano e della iden- tità dello spazio da abitare. In- somma si tiene sulla frontiera mobile fra l’interno e l’esterno. Meglio ancora, parafrasando il titolo di una poesia di Peter Han- dke del 1969, possiamo dire che egli progetta «il mondo interno dell’esterno dell’interno». Co- me? «Partire dalla città – affer- ma – per poi arrivare al quar- tiere, alle persone, tenendo con- to delle esigenze». Per esempio, dialogando nella Casa all’Eur (è quella large ) con il progetto ori- ginario di Claudio Dall’Olio (l’appartamento è del 1953), li- berandolo delle incongrue tra- sformazioni avvenute nel tempo e valorizzando l’elemento forte di questo spazio, una scala, ad- dossata a una parete curva, che egli rende contemporanea con l’inserimento di un corrimano bianco e, alla base, di uno zoc- colo color turchese. Ma tanto quanto le piastrelle di grès, qui hanno avuto un peso le visioni esterne del quartiere di Piacen- tini, con i colonnati e le bucature evocate in un racconto di Fe- derico Fellini. Ogni architetto vorrebbe rea- lizzare una casa come opera to- tale, non essere limitato alla sca- tola vuota, costretto a dedicarsi solo alla parte pubblica dell’edif- cio, mentre le stanze sono do- lorosamente lasciate alla furia degli abitanti che riempiono quei magnifici vuoti di insop- portabili mobili e soprammobi- li! Scherziamo, naturalmente. Ma vi siete mai chiesti perché nelle riviste si pubblicano so- prattutto immagini di architet- ture senza persone? Ogni architetto vorrebbe di- segnare tutto e non lasciare nul- la al caso, dal pilastro di cemen- to armato fino alla maniglia del comodino. Ma talvolta deve fare i conti con una casa già costruita e ad essa conferire vita, una vita che sia anche la vita o almeno lo spazio vitale di chi la abiterà, in definitiva il committente. Come quel misantropo del padrone di casa dell’appartamento small che in meno di 30 metri quadri pretende non solo di lavorare (è il suo studio professionale) ma anche di dormirci. Quasi quasi, siamo vicini all’Existenzmini- mum dei maestri del Bauhaus! Grande o piccola che sia la casa, per un single o per una famiglia con bambini, Auciello mantiene ferma la sua cifra: progetta gli interni con un lin- guaggio onestamente contem- poraneo, fedele finché può alla linea retta, entusiasta di un bianco minimale ma capace – come segnala Gloria Valente in uno dei tredici scritti-ospiti nel libro – di maneggiare i colori, «azzurri liquidi e trasparenti» o «verdi spessi e brillanti» che «si attaccano a certi muri qualche volta» e anch’essi raccontano storie in una stanza, «e ti fanno credere che quel posto sia il cen- tro di tutto». l Gloria Valente presenta oggi alle 18,30 alla Libreria Laterza il volume di Nicola Auciello «Quat- tro case viste da dentro» (Lettera Ventidue, ed.). Sarà presente l’autore. Letture di Paola Mar- telli. magnogreca della sua città, pur nel quadro condiviso di un nazionalismo sabaudo non proprio tenero, co- me sappiamo, verso i municipalismi, specialmente meridionali. Non è allora un caso che egli sottolinei l’ipertrofica presenza del Mito di Teseo nella pro- duzione fittile rubastina: di un mito, cioè, che «si rendeva un soggetto eminentemente nazionale» in quanto «abolì la tirannide, stabilì la democrazia, liberò la patria dal servile tributo dagli Ateniesi pagato a Minosse». E che concluda: «Ora, il vedere quel mito con tanta frequenza espresso sui vasi di Ruvo, costituisce un altro non lieve argomento dell’origine attica di questa città, le quali cose tutte provano senza dubbio un sentimento profondo della propria antichità in un popolo che trasmette da una generazione all’altra consimili tradizioni». Un modo culturalmente elegante di rivendicare l’identità della sua piccola patria al cospetto dei nuovi «conqui- statori», sia pure ammantati del tricolore. l Giovanni Jatta (Ruvo 1767 - Napoli 1844) studiò diritto a Napoli, dove esercitò a lungo e con grande reputazione la pro- fessione forense. Di sentimenti liberali, subì la persecuzione dei Borboni, dai quali fu costretto all’esilio in Svizzera e, successivamente, in Francia. L’avvento dei francesi nel Regno di Napoli ne favorì il ritorno e il reinserimento nella vita pubblica. Fu giudice di Corte d’Appello ad Altamura e sostituto procuratore generale a Napoli, nonché procuratore generale presso il Consiglio delle prede marittime. Il ritor- no dei Borboni ne provocò la definitiva emarginazione dall’attività forense e dalla pubblica amministrazione. l Giovanni Jatta junior (Ru- vo 1832 - 1895), nipote ex fratre del precedente, coltivò interes- si letterari e archeologici. È autore di un poemetto antibor- bonico d’ispirazione dantesca: Agesilao Milani (Napoli, 1863). Scrisse anche una raccolta di Rime (Napoli, 1850). Fornì numerosi contributi al- la conoscenza di alcuni reperti della collezione archeologica che egli ereditò dallo zio e in- crementò, facendoli confluire nel ponderoso Catalogo del Museo Jatta con breve spiega- zione dei monumenti da servir da guida ai curiosi (Napoli, 1869). l PARIGI. Un grande campus univer- sitario sul modello anglosassone, come Harvard o Cambridge, pluridisciplinare e totalmente ecostenibile: è il progetto di Ren- zo Piano il vincitore del concorso lanciato dall’Ecole nationale supèrieure di Cachan (Ens), in Francia, per la concezione di una delle sue sedi nella periferia sud di Parigi. Il progetto di Piano e della sua agenzia, la Renzo Piano Building Workshop, è stato scelto tra i cinque selezionati su un totale di 124 candidature. Si compone di quattro blocchi di vetro disposti in modo rettan- golare attorno a un parco di oltre un ettaro, per una superficie totale di 64.000 metri quadrati. Il costo dei lavori è di 143 milioni di euro finanziati in gran parte dallo Stato. La nuova sede dell’Ens nel Campus di Pa- ris-Saclay aprirà i battenti nel 2018 e ac- coglierà 3.000 studenti. «Ci siamo ispirati alla qualità dei grandi campus anglosassoni, come Harvard e Cambridge – ha spiegato Anne-Hèlène Te- menides, architetto associato alla Renzo Piano Building Workshop -. Il giardino è un luogo d’incontro, ma gioca anche un ruolo di micro-clima in quanto protetto dal vento grazie ai palazzi circostanti». Il progetto dell’università francese includerà anche un teatro, un ristorante, una caffetteria, una sala conferenza e spazi per i professori. La facciata è trasparente, il design è sobrio con grandi portici alti fino a 16 metri senza porte. [Aurora Bergamini] PARIGI IL PROGETTO DELLA SUA AGENZIA È STATO SCELTO FRA 124 CANDIDATURE: QUATTRO BLOCCHI DI VETRO Piano firmerà la «Harvard» sulla Senna Un grande campus universitario pluridisciplinare ed ecosostenibile SENNA Parigi di notte P agine scure, sentimenti cupi, finali tristi. Questo attende all’orizzonte gli amanti della narrativa che pare rimarrà profondamente segna- ta dagli attuali anni di crisi, ri- producendone il deprimente stato d’animo in letteratura. Un’eredità destinata ad emergere con un’on- data di libri malinconici se non addirittura tristi a partire dal pros- simo decennio. È quanto prevede uno studio condotto da esperti dell’Università di Bristol e basato su analogie e trend identificati an- che in passato. Così andò negli anni '80, e in maniera ancora più evidente negli anni '40, sottolineano i ricercatori dell’Università di Bristol, tra cui l’antropologo italiano Alberto Acer- bi che spiega come il gruppo di studiosi è giunto ad elaborare que- sta sorta di indice per decodificare l’umore nella letterature: «Abbiamo lavorato su un database di Google che contiene otto milioni di libri, circa il 6% di tutti i libri mai pubblicati e al loro interno abbiamo cercato la frequenza dei termini che denotano certe emozioni». Da cui la deduzione che ci potrebbe essere un pattern, uno schema, magari ri- corrente, «sappiamo quello che è successo nel secolo scorso e sì, dopo periodi di crisi economica sono seguiti periodi in cui la letteratura, il suo umore, è risultato per così dire più triste». Con una distanza, però, di almeno un decennio, è stato riscontrato. E anche in questo senso la deduzione ha una logica, come spiega Alex Bentley cha ha guidato il gruppo di ricerca, nel fatto che «negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza si formano i ricordi più forti che possono poi risultare i più evocativi negli anni successivi, magari all’inizio dell’età adulta che è di solito quando un autore comincia a scrivere», caratterizzandone quindi il suo lavoro. L'analisi ha riguardato la nar- rativa inglese, americana e tedesca, e allora è presto spiegato il tono non certo allegro di Money , pubblicato dal britannico Martin Amis negli anni '80 per esempio, che stando a quanto emerso dallo studio, potreb- be con tutta probabilità essere stato influenzato dai sentimenti che la crisi energetica del decennio pre- cedente provocò. La tendenza sembra ancora più evidente per la narrativa degli anni '40, si pensi a Furore di John Stein- beck, grande classico della lette- ratura americana, che attinge a quei sentimenti di frustrazione e sofferenza generati poco più di un decennio prima nel periodo della Grande Depressione. [Anna Lisa Ra- panà]

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Venerdì 10 gennaio 201418 Venerdì 10 gennaio 2014 19

SCHEDA/ CHI ERANO GIOVANNI E GIOVANNI JUNIOR

C U LT U R A &S P E T TAC O L I

LA LUNGA STORIA DEL MUSEO A VENT’ANNI DALLA CESSIONE ALLO STATO, I RICORDI DI UNA FAMIGLIA E DI UN’EPOCA. E IL MITO DI TALOS DIVENTÒ IDENTITÀ

Quando la passionedi Jatta cambiò RuvoMemoria, cultura e politica alle basi di una grande collezione

di ANTONIO IURILLI

Hanno un prezzo i miti? Sembra di sì, aleggere le carte di due collezionisti pu-gliesi intenti, fra Settecento e Ottocento,ad accumulare un’imponente collezione

di monumenti fittili magnogreci, e quindi avvezzi,proprio perché collezionisti, a monetizzare l’arte e atradurre in valore di scambio l’estro mitopoieticodegli antichi figuli. I loro libri contabili ci dicono, peresempio, che il Ratto delle Leucippidi valeva tremiladucati; quattromila Il mito delle Esperidi; diecimila(assolutamente il più caro) Il mito di Talos, custode diCreta, immortalato nelle A rgo n a u t i ch e di ApollonioRodio. Prezzi (c’è da presumerlo) imposti non solo dalvalore artistico del pezzo, ma anche dalla capacità delmito raffigurato di appagare la smania inguaribiledel collezionista: quella di inseguire il valore on-nicomprensivo e spesso ingenuo della rarità.

Il riferimento al Mito di Talos ci porta dritti nelnaos domestico dei rubastini Giovanni Jatta senior edi Giovanni Jatta junior, suo nipote ex fratre, nelquale giganteggia, fra gli oltre duemila pezzi cu-stoditi, il celebre cratere su cui appunto quel mito èpregevolmente raffigurato: un sacrario ospitato nelloro palazzo avito a Ruvo e divenuto, lungo tuttol’Ottocento, meta irrinunciabile del grand tour. Letortuose vicende che ne hanno faticosamente pro-piziato, esattamente vent’anni fa, il trasferimentoallo Stato e lo status giuridico di Museo Nazionale,nulla hanno tolto al fascino di una fruizione ari-stocratica di quello straordinario patrimonio fittile,che ancora oggi, nonostante la sua inquietante col-locazione nell’offerta turistica di massa, si consumanelle sale e fra le poltrone di velluto porpora sullequali i padroni di casa intrattenevano Gregorovius ealtri illustri visitatori di tutta Europa.

Ma quale humus culturale ha nutrito, lungo quasiun secolo, la passione archeologica dei due Jatta?Qual è stato, al di là delle pulsioni tipiche dei col-lezionisti, il loro rapporto con l’antico?

Credo non si possa scindere l’antiquaria di Gio-vanni senior, fondatore del Museo, dalle sue com-

petenze giuridiche. La sua cultura forense, in forzadelle quali egli liberò la sua città dalle angheriefeudali della casa Carafa, fu, infatti, sì di matriceilluministica (decisivo fu per lui il magistero del pretegiacobino Ignazio Falconieri), ma era ormai con-tagiata dal culto liberal-romantico della piccola pa-tria, la cui capacità di affrancamento civile dall’op -pressione feudale si nutre proprio della grandezza delsuo passato. Negli anni in cui Giovanni primeggiavanel Foro di Napoli, l’archeologia partenopea accen-deva furori patriottici e libertari proprio in nomedell’antica grandezza greco-latina della Campaniafelix, ibridandosi sia col giacobinismo repubblicano,sia col regalismo conservatore.

Ed è proprio il bisogno di rivendicare la grandezzadelle radici, insieme al ritorno ottocentesco alle hi -storie municipali, a indurre Giovanni senior a scri-vere la prima storia della sua città: quel Cenno storicosull’antichissima città di Ruvo, che non a caso si

conclude con l’elogio di un illustre rubastino, Do-menico Cotugno, suo prozio.

Questa religione laica dei Lari professata dalloJatta lo porta, insomma, a concepire la storia dellasua città come il costante affermarsi della sua an-tichità nobiltà: una nobiltà di cui sono testimonianzaproprio i monumenti fittili che le sue viscere re-stituivano in quegli anni nelle sue trepide mani.L’imago picta degli antichi figuli è, insomma, la rap-presentazione figurale di quel sistema etico-religiosooriginario del quale egli saggia il radicamento nellastoria millenaria della sua città e la tenuta nellasocietà attuale. L’esuberante mondo mitografico cheegli contempla sui suoi crateri si fa allora Pantheondella memoria cittadina e lo induce a preferire ilmodello storiografico umanistico della laudatio ur-b i s, non quello agiografico-cattolico che identifica lagrandezza della città con la fama del suo santo pa-trono. È così forte in lui il bisogno di celebrare

l’ellenizzazione della città, da rendere diseguale l’or -dito storiografico del Cenno storico, inducendolo acomprimere l’età romana e persino quel Medioevocui pure essa deve il suo monumento più bello.

Contagiato dalla cultura liberal-riformistica dellozio, Giovanni junior colloca Ettore Carafa, l’oppres -sore della sua città convertito all’utopia repubbli-cano-giacobina fino a morirne, nella candida rosa deibeati che, sul modello dantesco, circondano in unparadiso tutto giacobino la Dea Libertà: in un poe-metto intitolatoAgesilao Milani, mancato attentatoredell’ultimo Borbone. Ma guida in quell’empireo èVincenzo Gioberti, simbolo del patriottismo catto-lico-liberale professato dalla borghesia napoletana,rappresentato però da Giovanni nell’atto di scon-fessare davanti a Dio proprio il suo progetto fede-ralista e neoguelfo, mentre il «settario» Mazzini vi ètrattato come attentatore all’idea di nazione: esa-sperazioni ideologiche destinate ad acquietarsi,

all’indomani dell’Unità, nella pax sabauda e nel suobuen retiro di Parco del Conte, la villa di famiglia sulleprime pendici della Murgia barese.

È lì che Giovannino traduce l’amorevole impegnoad accrescere la collezione affidatagli dallo zio in quelraffinatissimo catalogo che egli concepisce, con inat-tesa modernità, come e c p h ra s i s, come traduzioneverbale della mitografia fittile, in forza di un grado diformalizzazione letteraria che rende la parola uguale,se non superiore, all’immagine e l’armonia narrativacapace di trasmettere i valori pittorici della rap-presentazione fittile: una performance ecfrastica chelo Jatta ritiene perfino sostitutiva della fruizionevisiva della collezione, quando essa è mortificatadagli spazi espositivi troppo angusti.

Questa aspirazione divulgativa del patrimonio fit-tile rubastino, che Giovanni intende conseguire at-traverso la forza icastica della parola, fa tutt’uno conla rivendicazione, ormai postunitaria, dell’identità

I due pugliesi, Giovanni e Giovannijunior e la loro «missione» di

inseguire il valore della rarità: nascecosì una grande realtà archeologica

MUSEO JATTAA RUVO DI PUGLIANella foto grande,u n’immmagine delpalazzo con glisplendidi vasi inesposizioneLa storia degli Jattacomincia nelSettecento eattraversa i secolisuccessivi,rappresentandoanche uno spaccatodella storia culturalepugliese

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La crisi intristisce i romanziStudio inglese prevede un’ondata di volumi cupi e dai finali «deprimenti»

ARCHITETTURA E SPAZI OGGI ALLA LATERZA PRESENTAZIONE DEL VOLUME DI NICOLA AUCIELLO

Il mondo? Si progettaanche all’internodi quattro case romane

Ve t r i n aSCOPERTE PER CASO DA UNA STUDIOSA BRITANNICA NELL’ESSEX

Le lettere di Mary Shelley: preoccupata per la statura del figlion Una studiosa britannica ha trovato una delle maggiori collezioni di lettere inedite di

Mary Shelley mentre stava facendo ricerche su internet ed è incappata per caso inuna voce dell’archivio pubblico dell’Essex in cui venivano catalogate le 13 missive.Nora Crook, dell’Anglia Ruskin University, ha scoperto quanto era passato inosser-vato a tutti gli altri suoi colleghi. Un vero e proprio tesoro di 13 documenti, classificaticome «Lettere di Mary Wollstonecraft Shelley», scritte dall’autrice di Frankensteinnel periodo dal 1831 e 1849, e rimaste a prendere polvere nell’archivio. Al loro internoemerge una Shelley alle prese con la vita quotidiana: si rammarica anche per il figliodi bassa statura

L’ANNUNCIO DATO DALL’ACCADEMIA DEI LINCEI. FONDÒ I «QUADERNI URBINATI»

Scomparso all’età di 98 anni il grecista Bruno Gentilin Il grecista Bruno Gentili, insigne studioso della letteratura classica e in particolare

della metrica greca, è morto l’altro giorno a Roma all’età di 98 anni. L’annuncio dellascomparsa è stato dato dall’Accademia dei Lincei di cui era socio dal 1984. Nato aValmontone (Roma) il 20 novembre 1915, Gentili era professore emerito dell’Uni -versità di Urbino, dove ha insegnato letteratura greca dal 1963, nella Facoltà di Lettereche insieme al rettore Carlo Bo ha contribuito a istituire. E’ stato fondatore nel 1966della rivista «Quaderni urbinati di cultura classica», di cui è stato a lungo direttore.STILE CUPO John Steinbeck autore di «Furore»

Due uomini, due secolitra Napoli e la Puglia

Il bisogno di rivendicare le radicisi lega poi al pensiero

liberal-riformistico e diviene voglia dilottare contro i nuovi «conquistatori» C A S A L PA LO C C O Uno dei progetti riportati nel volume

di NICOLA SIGNORILE

Small, medium, large edextra-large. Quattro ta-glie per quattro case,quattro grandezze stan-

dard per quattro architettured’interni. È strano, ma è così:ogni casa è un pezzo unico, ununiverso personale gelosamen-te concepito e custodito. E tut-tavia quando l’architetto pensaad essa fa ricorso al sistema dimisura più industriale che cisia, quello dell’abb i g l i a m e n t op r ê t - à - p o r t e r, tutto il contrariodella sartoria. È una contrad-dizione in cui sempre si impastal’architettura e che è esplosa conil Movimento Moderno. Un’on -da lunga che attraversa il «se-colo breve» e arriva fino a noi, agiorni nostri, e che l’a rch i t e t t oNicola Auciello cavalca con ilsuoi progetti e le sue realizza-zioni, sinteticamente racconta-te in alcuni episodi esemplaricon il libro intitolato Quattro ca-se viste da dentro (Lettera Ven-tidue ed., pp. 144, euro 18).

Le quattro case sono tutte aRoma e dintorni. Una piccola(small) di appena 28mq, un’altramedia di 70 metri quadri, poiuna grande (150mq, più altri 100di terrazzo) e infine una moltogrande, 250 metri quadri su settelivelli e un giardino). CherubinoGarbadella, nella presentazioneal volume, dice di essere grato aAuciello per avergli raccontato,con queste quattro case, unaparte di quella città in cui pureha abitato per un decennio: «Mimancava un enorme pezzo di Ro-ma», dice. Come sia possibileche un’architettura di internipossa svelare l’esterno di unacasa è appunto il mistero – o laragione! - del lavoro di Auciello.Il quale, con lo studio di archi-tettura «na3», che ha fondatodieci anni fa, mette in campouna strategia progettuale chepoggia saldamente sulla letturadel contesto urbano e della iden-tità dello spazio da abitare. In-somma si tiene sulla frontieramobile fra l’interno e l’ester no.Meglio ancora, parafrasando iltitolo di una poesia di Peter Han-

dke del 1969, possiamo dire cheegli progetta «il mondo internodell’esterno dell’interno». Co-me? «Partire dalla città – af fer-ma – per poi arrivare al quar-tiere, alle persone, tenendo con-to delle esigenze». Per esempio,dialogando nella Casa all’Eur (èquella l a rge ) con il progetto ori-ginario di Claudio Dall’Olio(l’appartamento è del 1953), li-berandolo delle incongrue tra-sformazioni avvenute nel tempoe valorizzando l’elemento fortedi questo spazio, una scala, ad-dossata a una parete curva, cheegli rende contemporanea conl’inserimento di un corrimanobianco e, alla base, di uno zoc-colo color turchese. Ma tantoquanto le piastrelle di g rès, quihanno avuto un peso le visioniesterne del quartiere di Piacen-tini, con i colonnati e le bucatureevocate in un racconto di Fe-derico Fellini.

Ogni architetto vorrebbe rea-lizzare una casa come opera to-tale, non essere limitato alla sca-tola vuota, costretto a dedicarsisolo alla parte pubblica dell’edif -cio, mentre le stanze sono do-lorosamente lasciate alla furiadegli abitanti che riempionoquei magnifici vuoti di insop-portabili mobili e soprammobi-li! Scherziamo, naturalmente.Ma vi siete mai chiesti perchénelle riviste si pubblicano so-prattutto immagini di architet-ture senza persone?

Ogni architetto vorrebbe di-segnare tutto e non lasciare nul-

la al caso, dal pilastro di cemen-to armato fino alla maniglia delcomodino. Ma talvolta deve farei conti con una casa già costruitae ad essa conferire vita, una vitache sia anche la vita o almeno lospazio vitale di chi la abiterà, indefinitiva il committente. Comequel misantropo del padrone dicasa dell’appartamento smallche in meno di 30 metri quadripretende non solo di lavorare (èil suo studio professionale) maanche di dormirci. Quasi quasi,siamo vicini all’Existenzmini -mum dei maestri del Bauhaus!

Grande o piccola che sia lacasa, per un single o per unafamiglia con bambini, Auciellomantiene ferma la sua cifra:progetta gli interni con un lin-guaggio onestamente contem-poraneo, fedele finché può allalinea retta, entusiasta di unbianco minimale ma capace –come segnala Gloria Valente inuno dei tredici scritti-ospiti nellibro – di maneggiare i colori,«azzurri liquidi e trasparenti» o«verdi spessi e brillanti» che «siattaccano a certi muri qualchevolta» e anch’essi raccontanostorie in una stanza, «e ti fannocredere che quel posto sia il cen-tro di tutto».

l Gloria Valente presenta oggialle 18,30 alla Libreria Laterza ilvolume di Nicola Auciello «Quat-tro case viste da dentro» (LetteraVentidue, ed.). Sarà presentel’autore. Letture di Paola Mar-telli.

magnogreca della sua città, pur nel quadro condivisodi un nazionalismo sabaudo non proprio tenero, co-me sappiamo, verso i municipalismi, specialmentemeridionali. Non è allora un caso che egli sottolineil’ipertrofica presenza del Mito di Teseo nella pro-duzione fittile rubastina: di un mito, cioè, che «sirendeva un soggetto eminentemente nazionale» inquanto «abolì la tirannide, stabilì la democrazia,liberò la patria dal servile tributo dagli Ateniesipagato a Minosse». E che concluda: «Ora, il vederequel mito con tanta frequenza espresso sui vasi diRuvo, costituisce un altro non lieve argomentodell’origine attica di questa città, le quali cose tutteprovano senza dubbio un sentimento profondo dellapropria antichità in un popolo che trasmette da unagenerazione all’altra consimili tradizioni». Un modoculturalmente elegante di rivendicare l’identità dellasua piccola patria al cospetto dei nuovi «conqui-statori», sia pure ammantati del tricolore.

l Giovanni Jatta (Ruvo 1767 -Napoli 1844) studiò diritto aNapoli, dove esercitò a lungo econ grande reputazione la pro-fessione forense.

Di sentimenti liberali, subì lapersecuzione dei Borboni, daiquali fu costretto all’esilio inSvizzera e, successivamente, inFrancia. L’avvento dei francesinel Regno di Napoli ne favorì ilritorno e il reinserimento nellavita pubblica. Fu giudice diCorte d’Appello ad Altamura esostituto procuratore generalea Napoli, nonché procuratoregenerale presso il Consigliodelle prede marittime. Il ritor-no dei Borboni ne provocò ladefinitiva emarginazionedall’attività forense e dalla

pubblica amministrazione.

l Giovanni Jatta junior (Ru-vo 1832 - 1895), nipote ex fratredel precedente, coltivò interes-si letterari e archeologici. Èautore di un poemetto antibor-bonico d’ispirazione dantesca:Agesilao Milani (Napoli, 1863).Scrisse anche una raccolta diRime (Napoli, 1850).

Fornì numerosi contributi al-la conoscenza di alcuni repertidella collezione archeologicache egli ereditò dallo zio e in-crementò, facendoli confluirenel ponderoso Catalogo delMuseo Jatta con breve spiega-zione dei monumenti da servirda guida ai curiosi (Napoli,1869).

l PA R I G I . Un grande campus univer-sitario sul modello anglosassone, comeHarvard o Cambridge, pluridisciplinare etotalmente ecostenibile: è il progetto di Ren-zo Piano il vincitore del concorso lanciatodall’Ecole nationale supèrieure di Cachan(Ens), in Francia, per la concezione di unadelle sue sedi nella periferia sud di Parigi.

Il progetto di Piano e della sua agenzia, laRenzo Piano Building Workshop, è statoscelto tra i cinque selezionati su un totale di124 candidature. Si compone di quattroblocchi di vetro disposti in modo rettan-golare attorno a un parco di oltre un ettaro,per una superficie totale di 64.000 metriquadrati. Il costo dei lavori è di 143 milionidi euro finanziati in gran parte dallo Stato.

La nuova sede dell’Ens nel Campus di Pa-ris-Saclay aprirà i battenti nel 2018 e ac-coglierà 3.000 studenti.

«Ci siamo ispirati alla qualità dei grandicampus anglosassoni, come Harvard eCambridge – ha spiegato Anne-Hèlène Te-menides, architetto associato alla RenzoPiano Building Workshop -. Il giardino è unluogo d’incontro, ma gioca anche un ruolodi micro-clima in quanto protetto dal ventograzie ai palazzi circostanti». Il progettodell’università francese includerà ancheun teatro, un ristorante, una caffetteria,una sala conferenza e spazi per i professori.La facciata è trasparente, il design è sobriocon grandi portici alti fino a 16 metri senzaporte. [Aurora Bergamini]

PA R I G I IL PROGETTO DELLA SUA AGENZIA È STATO SCELTO FRA 124 CANDIDATURE: QUATTRO BLOCCHI DI VETRO

Piano firmerà la «Harvard» sulla SennaUn grande campus universitario pluridisciplinare ed ecosostenibile

SENNA Parigi di notte

Pagine scure, sentimenticupi, finali tristi. Questoattende all’orizzonte gliamanti della narrativa che

pare rimarrà profondamente segna-ta dagli attuali anni di crisi, ri-producendone il deprimente statod’animo in letteratura. Un’e re d i t àdestinata ad emergere con un’on -data di libri malinconici se nonaddirittura tristi a partire dal pros-simo decennio. È quanto prevedeuno studio condotto da espertidell’Università di Bristol e basatosu analogie e trend identificati an-che in passato.

Così andò negli anni '80, e inmaniera ancora più evidente neglianni '40, sottolineano i ricercatoridell’Università di Bristol, tra cuil’antropologo italiano Alberto Acer-bi che spiega come il gruppo distudiosi è giunto ad elaborare que-

sta sorta di indice per decodificarel’umore nella letterature: «Abbiamolavorato su un database di Googleche contiene otto milioni di libri,circa il 6% di tutti i libri maipubblicati e al loro interno abbiamocercato la frequenza dei termini chedenotano certe emozioni». Da cui ladeduzione che ci potrebbe essere unpatter n, uno schema, magari ri-corrente, «sappiamo quello che èsuccesso nel secolo scorso e sì, dopoperiodi di crisi economica sonoseguiti periodi in cui la letteratura,il suo umore, è risultato per cosìdire più triste».

Con una distanza, però, di almeno

un decennio, è stato riscontrato. Eanche in questo senso la deduzioneha una logica, come spiega AlexBentley cha ha guidato il gruppo diricerca, nel fatto che «negli annidell’infanzia e dell’adolescenza siformano i ricordi più forti chepossono poi risultare i più evocativinegli anni successivi, magariall’inizio dell’età adulta che è disolito quando un autore comincia ascrivere», caratterizzandone quindiil suo lavoro.

L'analisi ha riguardato la nar-rativa inglese, americana e tedesca,e allora è presto spiegato il tono noncerto allegro di Mone y, pubblicato

dal britannico Martin Amis neglianni '80 per esempio, che stando aquanto emerso dallo studio, potreb-be con tutta probabilità essere statoinfluenzato dai sentimenti che lacrisi energetica del decennio pre-cedente provocò.

La tendenza sembra ancora piùevidente per la narrativa degli anni'40, si pensi a F u ro re di John Stein-beck, grande classico della lette-ratura americana, che attinge aquei sentimenti di frustrazione esofferenza generati poco più di undecennio prima nel periodo dellaGrande Depressione. [Anna Lisa Ra-panà]

Nicola Auciello