RELAZIONE CONGRESSO 2013 - … · Ci fu poi la grande depressione che durò dal 1873 al 1895...

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I° CONGRESSO TERRITORIALE FEMCA MILANO - LEGNANO/MAGENTA 19 – 20 FEBBRAIO 2013 CENTRO CONGRESSI NOVOTEL VIALE SUZZANI 13 MILANO Relazione del Segretario Generale a nome della Segreteria

Transcript of RELAZIONE CONGRESSO 2013 - … · Ci fu poi la grande depressione che durò dal 1873 al 1895...

I° CONGRESSO TERRITORIALE FEMCA

MILANO - LEGNANO/MAGENTA

19 – 20 FEBBRAIO 2013

CENTRO CONGRESSI NOVOTEL

VIALE SUZZANI 13

MILANO

Relazione del Segretario Generale

a nome della Segreteria

Gentili ospiti,

carissime delegate, carissimi delegati,

benvenuti al I° Congresso FEMCA dei Comprensori di Milano e Legnano Magenta.

Il Congresso è il momento più importante per un’ organizzazione democratica, dopo la relazione che riassume i temi di discussione, si aprirà il dibattito con i nostri delegati presenti qui, oggi, proseguendo la discussione iniziata nelle numerose assemblee nei luoghi di lavoro con i nostri iscritti, avremo anche il contributo dei nostri ospiti e proseguirà domani con il documento finale che riassumerà gli orientamenti che avremo assunto ed il gruppo dirigente che avrà il dovere di governare l’organizzazione.

Il percorso Congressuale, inizia all’ombra di una crisi mondiale che si unisce idealmente al Congresso del 2009, la crisi allora era al secondo anno e non si era capito quanto sarebbe potuta durare e gli effetti devastanti che avrebbe portato alla vita delle persone comuni.

Abbiamo trascorso gli ultimi quattro anni ad ascoltare analisi e previsioni di sedicenti esperti che ci hanno fornito la loro ricetta per uscire da una crisi che viene considerata epocale, e che, a tutt’oggi non trova via d’ uscita, anche se tutti sono concordi nel prevedere che nulla sarà più come prima.

Purtroppo negli ultimi 220 anni, la storia si è ripetuta frequentemente.

Infatti già nel 1792 a causa della speculazione nei confronti dei titoli azionari della Bank of New York, si ebbe una crisi finanziaria, i piccoli risparmiatori corsero agli sportelli bancari e solo l’intervento del Governo, che fornì centinaia di migliaia di dollari alle banche, riuscì a prevenire l’espandersi di una crisi.

Circa trent’ anni dopo, esattamente nel 1825 ci fu il crollo del mercato azionario alla Banca di Inghilterra causato da investimenti speculativi in America Latina che si diffuse poi in tutti i mercati d’Europa; nel 1837 negli Stati Uniti scoppiò una grave crisi finanziaria causata da una serie di interventi speculativi, le banche sospesero tutti i pagamenti ed iniziò una depressione che durò cinque anni, alcune banche fallirono ed i livelli di disoccupazione raggiunsero cifre da record.

Ci fu poi la grande depressione che durò dal 1873 al 1895 esplosa dopo trent’anni di costante crescita economica, determinata dalla seconda rivoluzione industriale, che provocò massicci licenziamenti e diminuzione dei livelli salariali.

Nel 1907 a seguito di un tentativo di speculazione sul prezzo delle azioni della “United Copper Company”, la Borsa Valori di New York perse il 50% del proprio valore, si diffuse il panico che provocò una sorta di effetto domino; molte banche dichiararono bancarotta.

In seguito, la grande depressione degli anni ’30 determinata dal famoso “giovedì nero” dell’ ottobre del ’29 con il conseguente crollo del mercato azionario, causato da una bolla speculativa che in tre anni procurò perdite fino al 90% dei valori, colpì pesantemente la classe media. Ci vollero 25 anni per tornare ai livelli originari.

Il boom degli anni ’60 si interruppe bruscamente con la crisi sopraggiunta negli anni ’70, a cui seguirono quelle degli anni ’80, ’90, 2000, e così via fino ad oggi con la grande crisi iniziata nel 2008, originata anche questa negli Stati Uniti con lo stallo dei mutui subprime ed il fallimento della Lehman & Brothers; un ingente costo delle materie prime ha provocato un’ elevata inflazione; una stretta del sistema creditizio, operato dagli Istituti bancari per salvaguardare se stessi, che ha costretto i Governi ad ingenti finanziamenti di sostegno per evitare l’ennesimo effetto domino, contribuendo all’esplosione dei debiti sovrani, e

scaricando il peso sulla classe media che nel frattempo si è assottigliata notevolmente rispetto ad un ventennio fa, sui meno abbienti e prosegue ancora oggi, senza lasciare intravvedere spiragli di luce.

E’ del tutto evidente che la speculazione ha origini lontane, si potrebbe dire che, da quando esistono le banche, esiste la speculazione e, vista la crisi che stiamo attraversando, si potrebbe pensare che se gli speculatori e le banche, hanno imparato bene la lezione, non altrettanto hanno fatto i Governi che ciclicamente vengono colti di sorpresa e - tratto comune nella storia - non hanno misure di prevenzione e non riescono a tutelare le classi sociali più deboli che pagano in maniera pesante le azioni sconsiderate di pochi furbi senza scrupoli.

Dobbiamo altresì rilevare che l’origine delle crisi è sempre partita dai paesi anglosassoni e dagli Stati Uniti, patria del liberismo, diffondendosi poi in tutto il mondo.

Il Capitalismo è cambiato negli ultimi decenni.

Se nel secolo scorso questo sistema economico sociale era fondato su chi deteneva i mezzi di produzione, si arricchiva, ma garantiva lavoro e con esso la distribuzione della ricchezza, oggi non è più così; i capitani di industria, gli imprenditori illuminati, sono in via di estinzione, sostituiti da un capitalismo finanziario difficilmente individuabile.

Verrebbe da interrogarsi sulla validità del sistema, e se “ i Signori del Governo mondiale dell’economia” come il Fondo Monetario Internazionale oltre a fornire ricette depressive agli Stati indebitati, alla luce di più di 200 anni di crisi derivanti da speculazioni finanziarie e dall’assenza di misure di controllo che compromettono inevitabilmente l’economia reale ed il benessere delle popolazioni più deboli, siano in grado di vigilare e porre in atto misure di protezione a tutela dei cittadini onesti.

Il pensiero liberista, fondato su una visione del mondo che pone al centro della società l’economia e misura l’uomo secondo il proprio grado di successo e la sua capacità di accumulo di risorse, indipendentemente da ciò che gli succede intorno, sta mostrando tutti i suoi limiti.

Agli integralisti del liberismo, che negli ultimi vent’anni ci hanno spiegato che il mercato si regola da solo, vorremmo chiedere se sono ancora convinti che la mancanza di regole certe e di controlli efficaci da parte dei Governi e delle Istituzioni Internazionali, sia un modello funzionale alla crescita, allo sviluppo e ad un benessere diffuso.

Noi crediamo di no.

Dagli Stati Uniti, da sempre precursori di un modello capitalista in costante trasformazione, ci arrivano timidi segnali di cambiamento che ci inducono a qualche speranza; personaggi come Bill Gates o Warren Buffet, divenuti miliardari grazie al loro genio e alla loro inventiva, stanno dando un’ impronta diversa del capitalismo dei finanzieri d’assalto, assumendo un modello che potremmo definire dal volto umano, dichiarando la loro disponibilità ad essere tassati un po’ di più, aprendo fondazioni, sostenendo finanziamenti per i progetti nel terzo settore, per la salvaguardia dell’ambiente, per i poveri e per i malati.

La speranza è che questo modello di “capitalismo sociale” si affermi, trasformando la legittima voglia di accumulazione individuale, in attenzione agli interessi più generali dell’economia, del lavoro, dell’occupazione e di una diversa distribuzione della ricchezza.

Peccato che nel nostro Paese personaggi di questo genere non se ne intravvedano.

Siamo al quinto anno di una crisi che non accenna a finire anche se il Fondo Monetario Internazionale di tanto in tanto azzarda previsioni, salvo smentirle nel giro di qualche settimana.

Ad oggi, a nulla sono servite le abbondanti iniezioni di denaro a basso costo operate dalla Banca Centrale Europea a causa dell’ostinazione delle Banche a non concedere prestiti a condizioni accettabili ad imprese e famiglie, impedendo così l’avvio di una ripresa che sembra ancora lontana.

Si rende necessaria una profonda riforma dei sistemi internazionali, con la creazione di Istituti di controllo più attenti agli spostamenti di denaro da un continente all’altro e, in questo contesto, un diverso ruolo dell’Europa, riprendendo l’idea originale dei padri fondatori con la costituzione degli Stati Uniti d’Europa con un vero Governo politico centrale che possa rispondere con tempestività agli eventi straordinari e pianificare strategie condivise; una vera ed autonoma Banca Centrale Europea, che abbia la legittima possibilità di confrontarsi alla pari con le altre istituzioni economico finanziarie del mondo globalizzato.

Ci vuole più Europa!

Contrariamente a ciò che ci propongono, anche in questa campagna elettorale, politici in cerca di facile consenso, ci vuole più Europa.

E’ necessario che i Governi nazionali, nell’interesse del bene comune, accettino una perdita di sovranità a vantaggio di un Governo Europeo, nell’ottica della costruzione di un Europa sociale, un Europa dei cittadini e non solo di un Europa dei banchieri.

Crediamo che anche il sindacato italiano, in questo contesto, assieme agli altri sindacati europei, con il coordinamento della Confederazione Europea dei Sindacati, debba farsi promotore di una evoluzione del dialogo sociale, promuovendo iniziative per assumere strategie comuni di contrasto alla povertà, per il rilancio dell’occupazione, per uno sviluppo dei diritti sindacali e della partecipazione alla vita delle imprese.

Da questa crisi dovremo uscirne assieme, per questo motivo, riteniamo sia giunto il momento di gettare le basi per un omogeneizzazione dei trattamenti retributivi, fiscali e contributivi del lavoro nell’Europa a 27, al fine di creare le stesse condizioni di costo del lavoro in tutta l’ Unione Europea, abbandonando protezionismi locali a ribasso, dannosi ed inefficaci per i lavoratori, lasciando gli spazi di competizione tra le imprese, all’inventiva, alla creatività, alla produttività di sistema, scongiurando il rischio di speculazioni legate al “dumping” sociale.

La competizione, per essere vera, deve partire da condizioni uguali a tutti i partecipanti, altrimenti diventa una corsa ad handicap ed il risultato è falso, la partita truccata.

A livello di contrattazione aziendale in qualche Società Multinazionale, si sta tentando di omogeneizzare alcuni trattamenti, con la costruzione di piattaforme aziendali europee, dobbiamo solo decidere, come sindacato, se prenderne atto e lasciare le iniziative ai singoli rappresentanti dei lavoratori ed alle “aziende di buona volontà”, oppure fare di questo, l’obiettivo strategico per il futuro.

Noi, siamo convinti che il futuro sia lì e che quello sarà il prossimo terreno di confronto; per questo motivo crediamo sia necessario dotare i nostri delegati, a partire dai componenti dei Comitati Aziendali Europei di strumenti adeguati allo scopo, attraverso la formazione e lo sviluppo del dialogo con i sindacati degli altri Paesi Europei.

Il dipartimento Internazionale della CISL Lombardia su questo versante è impegnato già da qualche anno con buoni risultati e la FEMCA di Milano, non hai mai fatto mancare il proprio sostegno e la propria presenza; tutti i nostri delegati dei CAE, circa una ventina, più due Segretari, hanno partecipato negli anni a queste iniziative, ma non ci dobbiamo accontentare, dobbiamo investire di più, dobbiamo allargare la sfera di intervento, approfondire la materia e le conoscenze.

Bisogna avere coraggio e lungimiranza, non dobbiamo temere la perdita di ruolo a livello nazionale, perché questo verrebbe ampiamente compensato da maggiori possibilità di intraprendere azioni collettive efficaci, nell’interesse dei lavoratori e da un maggiore potere a livello Europeo.

Il rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro rileva che la crisi globale ha impattato pesantemente sui salari che sono cresciuti meno della produttività e sono in aumento i lavoratori definiti “poveri”, ma nel contempo aumentano i profitti, si allarga la forbice tra ricchi e poveri.

L’ Italia sta soffocando per le tasse, la pressione fiscale si avvicina al 45%, la miscela tasse nazionali, addizionali Regionali e locali, ha determinato, nei primi 9 mesi del 2012, una perdita del potere d’ acquisto delle famiglie pari al 4,1%.

In 30 anni il prelievo fiscale, per chi le tasse le paga, è cresciuto dal 31% al 52%.

I consumi sono in continuo calo, tanto da far dichiarare alla Confcommercio il 2012 come l’anno più difficile del dopoguerra.

Secondo i dati di Bankitalia nel 2011, la perdita del potere d’acquisto dei salari è stato del 3,4%, evidenziando un dato che merita attenzione: il 10% delle famiglie più ricche, detengono il 45,9% della ricchezza totale, la metà più povera, detiene il 9,4% della ricchezza totale.

Ci siamo persi la classe media, chi ne faceva parte, molta della gente che rappresentiamo, oggi appartiene alla classe dei nuovi poveri, solo 7 cittadini su 100 ritengono migliorato il proprio tenore di vita dal 2008 ad oggi.

Il risparmio famigliare che per decenni ha costituito l’ossatura della nostra economia, si sta dissolvendo; vent’ anni di “deregulation” non hanno diffuso il benessere, lo hanno concentrato nelle mani di pochi.

La crisi c’è, ma non per tutti.

E’ necessario cambiare rotta, ridare respiro e potere d’acquisto alle famiglie.

Per invertire la tendenza occorre una riforma fiscale organica e strutturale, un serio contrasto dell’evasione fiscale, che recuperi le risorse illecitamente sottratte alla comunità per restituirle ad essa attraverso un alleggerimento della pressione sul lavoro e sulle imprese, consentire una maggiore distribuzione della ricchezza nel segno dell’equità, “quell’equità” che assieme al rigore, era nei programmi del Governo tecnico che sta per concludere la sua esperienza.

L’eccessivo rigore, ha portato alla recessione.

Il rigore l’abbiamo visto, anzi subito, l’equità no; siamo in credito.

Le risorse si possono trovare; la CISL valuta possibile di recuperare, ad esempio, 80 miliardi di nuove entrate da destinare alla crescita ed all’occupazione, derivanti dal taglio delle agevolazioni e dalla lotta all’evasione per 40 miliardi; 10 miliardi dalla riforma Istituzionale e 30 miliardi dalla vendita del patrimonio immobiliare.

Partendo da questa premessa, crediamo che l’impegno della nostra Organizzazione, che negli ultimi due anni ha anche organizzato due manifestazioni nazionali per sensibilizzare la classe politica sul tema, non dovrà esaurirsi con il cambio di Governo, ma dovrà trovare maggiore impulso e determinazione, nell’incalzare le forze politiche del rinnovato Parlamento a cambiare rotta, ridare potere d’acquisto ai lavoratori dipendenti ed ai pensionati, spostando il carico fiscale dalla tassazione diretta, a quella indiretta, facendo pagare di più chi, anche in questi anni, sfruttando una posizione di vantaggio si è arricchito; premiando il lavoro, la difesa

delle pensioni ed il reddito familiare, riconoscendo la prima casa non come un investimento finanziario, ma un diritto ad una vita dignitosa e quindi fiscalmente non equiparabile ad un qualsiasi altro investimento.

L’IMU sulla prima casa, considerata anche dall’ Unione Europea una tassa iniqua e di accentuazione delle disparità tra ricchi e poveri, va rivista, con particolare attenzione a chi ha un mutuo da pagare; riteniamo infatti singolare la scelta di far pagare una tassa su un debito, per una proprietà che, fino all’ estinzione del prestito, non è nemmeno tua.

Non possiamo dimenticare che, quando fu tolta la vecchia tassa sulla casa, l’ ICI, a compensazione del mancato introito, per i Comuni furono introdotte le addizionali Comunali e Regionali; oggi è stata reintrodotta una tassa sulla casa, e le addizionali, non ci risulta vengano rimesse in discussione.

Si possono recuperare a nostro avviso, risorse compensative, attraverso la “Tobin Tax” sulle transazioni finanziarie, con particolare attenzione agli investimenti speculativi che, si spera, andrà in vigore nei prossimi mesi e dalla tassazione sui depositi all’estero, seguendo l’esempio di Francia e Germania.

Dispiace apprendere che l’equivalente dell’ammontare della prima rata dell’IMU, verrà impiegato per salvare il Monte dei Paschi di Siena, sull’ orlo del fallimento a causa del solito, secolare vizietto, anziché essere destinata alla riduzione del debito o più nobilmente ai servizi per i cittadini.

Questa crisi, da finanziaria si è trasformata in crisi di sistema; l’Occupazione ha fatto un salto indietro di vent’anni, complice anche la flessibilità malata, che si è trasformata immediatamente in precarietà e in disoccupazione, quella giovanile ha toccato ormai quota 37,1%, la disoccupazione femminile è al 47,2% e quella complessiva è all’11,2%. Il dato peggiore dal ’99 ad oggi.

Negli ultimi quattro anni si sono persi 567.000 posti di lavoro.

Bankitalia stima nel 12,3% la quota di lavoro nero.

Gli occupati a tempo pieno, con contratto a tempo indeterminato sono 8,8 milioni, mentre i lavoratori con contratti definiti flessibili sono 7 milioni, in Italia solo due posti di lavoro su dieci sono a tempo indeterminato.

Siamo diventati un paese di disoccupati e di precari.

Da una recente inchiesta su “dove va il lavoro” è emerso che il problema italiano non è tanto l’art. 18 e nemmeno il costo del lavoro, ma la pressione fiscale, il costo dell’energia, i tempi e i costi della burocrazia, sono gli ostacoli che fanno perdere l’ interesse delle Imprese agli investimenti nel nostro paese, tant’è che negli ultimi anni non solo le imprese estere hanno spostato gli investimenti in altre nazioni europee con un costo del lavoro anche superiore a quello italiano, ma anche gli imprenditori di casa nostra hanno preferito investire altrove.

Lo scorso anno ben 300 imprese italiane hanno attraversato il confine e si sono insediate in Svizzera, attratte da una burocrazia snella, infrastrutture moderne, un accesso al credito facilitato, una legge doganale di facile applicazione e accordi bilaterali di libero scambio favorevoli.

Non era forse il caso di partire da lì, per rilanciare l’occupazione e tentare di attrarre gli investimenti nel nostro Paese?

Noi, crediamo di sì.

Invece, dal fantastico mondo di Elsa, dove i lavoratori sono pigri e assenteisti, i giovani “choosy”, le donne troppo rinunciatarie, le risposte a questa drammatica realtà sono state:

• una riforma del Mercato del lavoro, insoddisfacente nel contesto in cui si colloca, confusa e contraddittoria, tanto che lo stesso “ Monti, versione politico”, ha dichiarato di voler intervenire per modificarla, e che qualcuno più importante ed autorevole di noi ha definito “una boiata”; noi più semplicemente diciamo che va ridiscussa.

E’ però apprezzabile a nostro giudizio, l’ ammodernamento dell’istituto dell’apprendistato. Un vero peccato che le Imprese mostrino tanta freddezza e scarsa considerazione a questa novità, nonostante il tempestivo recepimento nei Contratti Nazionali.

• Nuove norme di “flessibilità in uscita” che, dalle prime esperienze, sembrano più orientate a piccoli regolamenti di conti interni al luogo di lavoro che veri strumenti di flessibilità. Oggi in Italia si può licenziare chiunque … tranne i banchieri …

• una riforma delle pensioni che, in assenza di norme transitorie, ha gettato nella disperazione migliaia di lavoratori ” esodati ” spesso contro la loro volontà, e nello sconcerto migliaia di lavoratori che, per condizione sociale e familiare, sono entrati giovanissimi nel mondo del lavoro, contribuendo molto presto, con il loro lavoro, le loro tasse ed i loro contributi, alla crescita del paese, molti di loro studiando la sera, a proprie spese e non a carico della comunità. Meriterebbero rispetto e riconoscenza, queste persone, ma invece di essere premiati da uno Stato riconoscente, saranno vittime di un significativo prolungamento della permanenza al lavoro, e da una riduzione dell’assegno previdenziale.

E’ una riforma che non tiene conto della diversità oggettiva della platea a cui si rivolge, non tutti i lavori si possono fare fino a settant’anni, con la stessa efficacia ed in sicurezza per chi li svolge e per chi ci vive attorno.

E’ una riforma che sembra impostata su una classe sociale ben definita: quella degli studenti fino a trent’anni, universitari fuori corso con i soldi di papà, che avendo cominciato a lavorare molto tardi, per fare quaranta anni di lavoro devono lavorare fino a 70.

L’elite ha colpito ancora …

Proprio un bel lavoro, complimenti Professoressa!

E’ una riforma da rivedere.

Rimettere in discussione questo tema, diventa un impegno obbligato, nessuno si illude di tornare agli ormai “ mitici 35 anni ”, ma pretendere una riforma equa ed equilibrata, una riforma che tenga conto di una serie di variabili e di compensazioni, crediamo sia legittimo e doveroso.

Garantire un futuro dignitoso a chi ha dato tanto al Paese, crediamo sia un atto di civiltà, le spese inutili, gli sprechi, sono altrove.

E’ necessario intensificare la lotta all’evasione contributiva, fare maggiore attenzione ai criteri di assegnazione delle “pensioni d’oro”, alle false pensioni di invalidità, chiamando a rispondere in solido non solo il “falso invalido”, ma anche chi l’invalidità l’ ha riconosciuta.

E’ auspicabile che il prossimo Governo affronti questi temi con maggiore equilibrio e con maggior senso di equità e di giustizia, magari con un atteggiamento meno arrogante e presuntuoso, ascoltando chi, di lavoro ne capisce ed il mondo del lavoro lo conosce, frequentandolo tutti giorni, tutto l’anno, per quanto ci riguarda come CISL, da più di sessant’anni.

Ci vuole più concertazione!

Contrariamente a ciò che afferma il Professor Monti, l’uomo di Goldman Sachs, inviatoci dall’Europa che conta, per risanare i conti del nostro Paese, non crediamo che i sindacati siano una perdita di tempo, un ostacolo alla modernizzazione o di ostacolo al cambiamento.,.

La CISL non è resistente al cambiamento e nemmeno conservatrice e lo ha dimostrato, ma se aperti al cambiamento significa condividere il peggioramento complessivo dei lavoratori che rappresentiamo, rinunciare alla difesa dei più deboli, essere complici della divaricazione della forbice sociale, essere benevoli con chi si è costruito immeritatamente posizioni di vantaggio e tenta di svincolarsi dai propri doveri, allora sì, resistiamo, ci difendiamo, ma i conservatori sono altrove!

Conservatori sono quei sedicenti liberali che stanno riportando il Paese alle condizioni sociali di inizio ‘900!

Noi crediamo che la concertazione ed una nuova politica dei redditi sia la chiave per favorire una ripresa, nel rispetto delle ragioni di tutti; è su questi modelli che lanciamo la sfida.

Ci vuole un nuovo grande accordo generale per una nuova politica dei redditi!

Negli anni ‘92/’93 attraverso un accordo Interconfederale, abbiamo contribuito in maniera decisiva al risanamento del Paese, crediamo che quell’esperienza positiva, debba essere ripresa, al fine di poter costruire un nuovo “Patto per la Crescita” che funga da volano per sostenere la produzione industriale e di conseguenza l’occupazione e la crescita dei salari, che consenta una ripresa dei consumi e rimetta in moto il circolo virtuoso dell’economia.

L’accordo sulla Produttività ha segnato un primo passo, era necessario farlo, lo abbiamo fatto e questo è positivo, ma non è sufficiente.

Un lavoratore italiano lavora in media 1778 ore l’anno, 360 ore più di un tedesco, 278 ore più di un francese ma, secondo l’OCSE ha un indice di produttività decisamente inferiore.

Quest’ ultimo dato indica che la strada per far ripartire la crescita non può andare solo in una direzione, ma vanno attivate tutte le iniziative che possano favorire l’innovazione, bisogna superare i vincoli di una burocrazia ingessata ed autoreferenziale, attraverso le semplificazioni amministrative in modo da favorire gli investimenti; quello che ad esempio è accaduto con la vicenda dei rigassificatori ha dell’ incredibile; stiamo rinunciando ad una diversificazione degli approvvigionamenti energetici e ad opportunità occupazionali, a causa di immotivati allungamenti dei tempi di concessione che hanno fatto propendere le imprese disposte ad investire in Italia, per una delocalizzazione appena al di là del confine.

Siamo l’ottava potenza industriale al mondo, il secondo Paese manifatturiero in Europa, la qualità dei nostri prodotti viene apprezzata in tutto il mondo, ma negli ultimi 6 anni abbiamo perso il 25% dei volumi di produzione e quasi l’8% di PIL.

Sono più che mai urgenti misure di sostegno per difendere queste posizioni.

E’ necessario un sistema fiscale che incentivi gli investimenti delle imprese in particolare quelle ad alta innovazione tecnologica, costruendo un sistema che avvantaggi gli investimenti sulle attività produttive e l’ occupazione rispetto a quelli finanziari.

Particolare attenzione deve essere rivolta al sistema formativo, a sostegno della riqualificazione degli ultracinquantenni e la creazione di uno stretto collegamento tra scuola ed impresa, al fine di preparare le nuove generazioni, in funzione dei reali bisogni delle imprese, innestando un circolo virtuoso che riduca la possibilità della scuola di sfornare ogni anno giovani con titoli di studio e conoscenze inadeguate alle

necessità del mondo del lavoro, relegandoli nel limbo di una frustrante disoccupazione o di un’ occupazione di ripiego, disperdendo quelle opportunità di lavoro qualificato che ad oggi non trova risposte.

C’è bisogno di uno stato sociale universalista efficiente, che combatta gli sprechi senza tagliare i servizi.

Una politica energetica orientata alle potenzialità ed ai reali bisogni del paese con incentivazioni mirate al risparmio, alla diversificazione energetica e alla “green economy”.

Particolare attenzione deve essere rivolta alla compatibilità tra gli insediamenti di attività produttive ed il territorio che li ospita, la drammatica vicenda dell’ ILVA di Taranto ne è un classico esempio, è inaccettabile che si viva un drammatico scontro tra cittadini che rivendicano giustamente, il diritto alla salute e i lavoratori che difendono legittimamente il posto di lavoro.

Hanno ragione entrambi, anni di connivenze, di complicità e di omertà di chi doveva controllare e non ha controllato, chi doveva intervenire e non è intervenuto e chi doveva pretendere il risanamento ed ha preferito glissare……. rischiano ora di far pagare un prezzo altissimo a tutta la comunità con la perdita di migliaia di posti di lavoro su un territorio dove le opportunità occupazionali sono drammaticamente basse.

Ai nostri delegati, ai nostri RLS, alle nostre controparti, a noi tutti, lanciamo una sollecitazione; sul versante ambiente, salute, sicurezza, non nascondiamoci, lavoriamo assieme, affinchè casi come l’ ILVA sul nostro territorio, nelle nostre aziende, non accadano.

Nascondere i problemi, occultare gli incidenti, non paga, prima o poi la verità emerge, e con essa il rischio di non essere più in grado di gestire i problemi.

Il sindacato, la CISL attraverso la concertazione e la partecipazione deve dare il proprio contributo.

La CISL, e la FEMCA per quanto di sua competenza, si deve assumere l’incarico di far crescere persone responsabili, positive e partecipative, senza le quali è difficile intraprendere percorsi di concertazione e di partecipazione; in questa logica, la FEMCA di Milano, da anni investe nella formazione dei propri delegati ingenti risorse, dobbiamo però registrare, nel ricambio generazionale delle nostre controparti, un calo di attenzione sulle Relazioni Industriali, e questo ci preoccupa; crediamo che una buona qualità delle relazioni, sia un valore aggiunto e debba essere coltivato investendoci.

Per la prima volta, da quando esiste la Legge n. 223/91, a Milano, in un grande gruppo Multinazionale, dove le Relazioni Industriali sono sempre state buone, non abbiamo trovato l’accordo su una procedura di mobilità, nonostante i nostri tentativi di mediazione e l’impegno di Assolombarda, ci siamo trovati di fronte ad una delegazione aziendale rigida sulle proprie posizioni.

Per noi, che siamo il sindacato della contrattazione e siamo convinti che sia meglio un brutto accordo che porti qualcosa, di un mancato accordo che non porta nulla, è stata una brutta pagina nella storia delle relazioni che speriamo non si ripeta.

Noi siamo il sindacato della contrattazione, siamo impegnati a ricercare tutte le soluzioni possibili in ogni occasione, ma dalle nostre controparti pretendiamo rispetto, un negoziato è fatto da reciproci riconoscimenti e reciproche concessioni, se queste condizioni vengono a mancare, non c’è negoziato, non ci può essere accordo.

Al nostro operatore, che si è trovato in questa sgradevole situazione, va tutto il nostro appoggio, la decisione di non sottoscrivere l’accordo è stata presa con il consenso della Segreteria.

E’ necessario rafforzare la scelta culturale della partecipazione e allo scopo proporremo alle Aziende e alle loro Associazioni di rappresentanza di costituire momenti di formazione congiunta, al fine di non disperdere il patrimonio di relazioni industriali di questa categoria.

L’accordo del 28 giugno 2011ed il recente accordo sulla Produttività, hanno definito i soggetti legittimati a discutere i Contratti e a definire le regole della rappresentanza in un mondo del lavoro da tempo non più omogeneo.

Il Sindacato, la CISL, è un associazione fondata sulla libera adesione degli iscritti, per sua natura è soggetto di rappresentanza dei lavoratori, ma questo pone il problema della rappresentanza di tutto il mondo del lavoro e la sua legittimità a sottoscrivere accordi che vengono estesi anche ai lavoratori non aderenti all’organizzazione.

Si rende quindi necessario ridefinire le regole della rappresentanza, coniugando il diritto degli aderenti ad un Organizzazione ad essere rappresentati da essa ed il consenso generale che queste hanno all’interno dei singoli luoghi di lavoro e nelle R.S.U.

E’ inevitabile, a nostro avviso, andare al superamento della quota riservata di 1/3, privilegiando la proporzionalità pura con una soglia minima di sbarramento, al fine di evitare le degenerazioni tipiche della politica, con la costituzione di micro sindacati di scopo e di interesse particolare.

Il riscrivere le regole presuppone una ripresa dell’ azione unitaria, allo stato attuale gravemente compromessa non solo per una questione di regole; vi sono problemi di contenuto e di merito di non poco conto e la cosa ci preoccupa, le divisioni non aiutano la discussione su temi così delicati.

All’ interno della nostra Categoria, a livello nazionale, la cultura unitaria ha retto pur con qualche incrinatura, ma la determinazione dello sforzo unitario ci ha permesso ad oggi, di portare risultati positivi.

Il rinnovo del Contratto Nazionale dei Chimici ed il rinnovo del Contratto Nazionale dell’Energia e Petrolio ne sono un esempio e questo è un bene per i lavoratori che rappresentiamo.

La crescita media dei salari negli ultimi trent’anni non è mai stata così bassa, in media l’1,5% a fronte di un inflazione attorno al 3%, per ritrovare dati simili, si deve tornare al 1983.

Secondo i dati Istat, tra i lavoratori che hanno difeso il loro potere d’acquisto meglio di altri, ci sono i lavoratori chimici e i lavoratori dell’energia e questo anche grazie alla tempestività con cui i salari sono stati rivalutati attraverso la puntualità dei rinnovi contrattuali.

Lavorando assieme per obiettivi comuni, superando gli steccati ideologici, i risultati arrivano e questa è l’ennesima dimostrazione.

Il nostro lavoro non è finito, abbiamo ancora in fase di discussione numerosi rinnovi contrattuali e dobbiamo puntare in maniera decisa a chiudere tutte le vertenze aperte in tempi brevi, i lavoratori non possono aspettare più di tanto i tempi delle nostre liturgie.

A Milano, la tenuta unitaria a livello generale è buona, dobbiamo riconoscerci il merito di uno sforzo continuo di ricerca dei punti di convergenza nell’azione quotidiana e di determinazione nel salvaguardare la tradizione unitaria milanese della categoria.

A Claudio Bettoni e Pino Lavuda che sono presenti ai nostri lavori, va il nostro apprezzamento per lo sforzo fatto, anche nei momenti più difficili, di mantenere l’equilibrio possibile tra le indicazioni delle nostre “ case madri” e la tenuta dei rapporti unitari, basandosi sul rispetto reciproco delle diverse posizioni,

concentrandosi sull’ evidenziazione delle ragioni della propria Organizzazione, evitando polemiche strumentali sulle differenze con le altre Confederazioni.

Un modello positivo, apprezzato dai lavoratori, che non ci vogliono divisi e litigiosi, anche riconoscendoci il diritto di avere opinioni diverse, ma che pretendono da noi, capacità di sintesi e concentrazione sulla risoluzione dei loro problemi.

E’ con questo modello che ci presentiamo ai colleghi Massimo Mazza e Nicola Romano rispettivamente Segretari Generali di Uiltec e Filctem sul territorio di Legnano Magenta ed è con questa coerenza che intendiamo comportarci, convinti che assieme si possa lavorare in modo positivo.

Con Nicola, abbiamo già condiviso in passato tratti di esperienze comuni, nelle zone di Giambellino e Rho, esperienze che per quanto mi riguarda, ricordo con piacere.

Anche nei nostri settori la crisi si fa sentire, nessuno avrebbe immaginato qualche anno fa, che il Comparto Energia sarebbe stato colpito da una riorganizzazione così pesante.

Con la crisi attuale nessun settore è indenne da ripercussioni, ma se la politica e le aziende avessero ascoltato con più attenzione quanto da noi sostenuto, oggi forse l'impatto occupazionale negativo sarebbe stato minore.

L’ assenza di un piano energetico nazionale, la mancanza progettualità e di investimenti da parte delle aziende nel nostro paese in ricerca, in innovazione tecnologica e la scarsa lungimiranza nell’investire in riconversioni industriali, ha fatto sì che le raffinerie italiane arrivassero a chiudere lasciando centinaia di lavoratori senza prospettive.

Il sindacato, la Femca, ha cercato di attutire l'impatto di queste decisioni costruendo protocolli d'intesa che hanno portato a riconversioni in grado di salvaguardare, anche se non totalmente, i livelli occupazionali.

Sul nostro territorio, abbiamo gestito due mobilità importanti, una in seguito alla chiusura della raffineria Tamoil e l' altra per effetto del calo improvviso delle vendite alla Shell.

Ai delegati Femca di entrambe le società, facciamo i nostri complimenti, sono riusciti a comprendere il cambiamento e a tenere un atteggiamento propositivo che ha portato a significativi risultati, quali la clausola di garanzia in caso di cambiamenti normativi pensionistici, la mobilità volontaria e una copertura economica di tutto rispetto.

Queste aziende investono sempre di più all'estero e la popolazione dei lavoratori italiani espatriati aumenta di giorno in giorno grazie al loro alto livello di competenze, ma questo fa emergere nuovi problemi e nuove necessità a cui rispondere; dovremmo inserire nella contrattazione di secondo livello capitoli che possano cogliere le specificità di queste persone e soprattutto dare loro garanzie di carattere sindacale.

Oltre ad aver gestito riorganizzazioni, in questo ultimo anno abbiamo avuto anche esperienze nuove e positive, come ad esempio, con i delegati della società Terminale Adriactic LNG, con i quali abbiamo sottoscritto il primo accordo di secondo livello per un azienda di rigassificazione.

L'accordo riconosce un ottimo risultato economico sul lavoro svolto dai dipendenti e permette al sindacato e all'azienda, di creare momenti di socializzazione, contribuendo anche alle necessità famigliari.

Un'altra esperienza nuova sul territorio, è stata la sottoscrizione dell’ accordo sull' orario di lavoro per il Gruppo ENI di San Donato Milanese e Milano che ha riguardato oltre 12.000 dipendenti e 17 società con CCNL differenti, ed oltre 100 delegati coinvolti, ognuno con le proprie specificità, ognuno con la propria storia in materia.

I nostri delegati si sono distinti per essersi concentrati sulla trattativa abbandonando le logiche individualistiche e di convenienza spicciola e nonostante le difficoltà, la Femca è andata avanti con la convinzione di lavorare nell'interesse generale dei dipendenti, ed il risultato del Referendum, da noi proposto, ci ha dato ragione, l’accordo è stato approvato con una larghissima maggioranza.

I lavoratori ci hanno riconosciuto il merito del lavoro svolto in questi quattro anni con serietà, professionalità e in autonomia, garantendoci come risultato, il mantenimento della media degli iscritti dell’ ultimo triennio, nonostante i 1.510 lavoratori collocati in mobilità dall' ENI di cui circa 1.000 su Milano, 55 alla Tamoil sede di Milano e 35 alla sede Shell di Milano.

Oltre ad essere confermata la nostra rappresentatività, si è consolidata anche la nostra rappresentanza, con 75 delegati e gli oltre 20 attivisti che svolgono per noi tutti i giorni un doppio lavoro con passione e dedizione e, grazie a loro, abbiamo contribuito in maniera significativa al buon risultato a livello nazionale, nelle elezioni di Fondenergia e di Fiprem.

Vogliamo ringraziare tutti per l’impegno, continuando con lo stesso entusiasmo possiamo migliorare nella prossima stagione e aumentare sempre più' il consenso alla nostra Organizzazione.

Il 21 gennaio e' stato siglato l’accordo di rinnovo del CCNL Energia e Petrolio, nel quale sono contenuti degli elementi di novità a partire dalla denominazione che assumerà: Contratto dell' Industria Energetica, una definizione non casuale che presuppone, in prospettiva, dei cambiamenti sostanziali nel panorama del settore.

I contenuti più importanti riguardano l'impianto classificatorio, il superamento dell’ istituto degli scatti di anzianità con l’eliminazione degli automatismi, lo sviluppo delle possibilità della contrattazione di II° livello, una revisione degli orari di lavoro, l’incremento dello 0,25% della aliquota contributiva a carico delle Aziende per la previdenza complementare.

Rileviamo con interesse due novità che consideriamo politicamente importanti, la Conferenza annuale dell’Energia, che si pone l’obiettivo di diffondere la cultura della partecipazione e un accordo sul “ponte generazionale” finalizzato all’ introduzione di giovani in azienda.

Riteniamo strategicamente importante la creazione di due sezioni distinte per il Petrolio e per il Gas.

Quest’ ultima novità, ci auguriamo possa permettere al Contratto Energia e Petrolio e al Contratto Gas e Acqua di arrivare ad un unico contratto di settore per le aziende che producono e distribuiscono energia, riducendo il numero dei contratti e semplificando i negoziati, dando una risposta omogenea a tutti i lavoratori di questi settori.

Nel corso dell’ ultimo quadriennio il settore del gas e quello dell’ acqua hanno subito fortissimi cambiamenti, con la “piena” applicazione della Legge Galli del 1994, con la costituzione degli Ambiti Territoriali Ottimali e la creazione delle società di gestione del ciclo idrico integrato oltre alle cosiddette società patrimoniali che gestiscono gli investimenti sul territorio.

Milano e la Provincia hanno optato per la costituzione di due Ambiti territoriali.

La città è gestita da Metropolitana Milanese (MM), che applica il CCNL del pubblico impiego, una anomalia visto che, pur essendo una società a totale capitale pubblico, svolge un’attività di carattere industriale, mentre la provincia è gestita da Amiacque.

Amiacque nasce dalla fusione delle 4 precedenti società (CAP GESTIONE, S.I.No.Mi., TASM SERVICE e TAM SERVIZI IDRICI) che gestivano i diversi livelli di ciclo idrico e che oggi lo controllano integralmente, dalla captazione alla depurazione delle acque reflue.

Anche le 4 società patrimoniali (CAP HOLDING, TASM, TAM e IANOMI), dopo un percorso accidentato, visto il quadro normativo in continuo mutamento, hanno deliberato un atto che le porterà alla fusione entro giugno 2013 in CAP HOLDING, che diverrà la holding del gruppo e che comprenderà anche la società di gestione.

Il settore gas è ancora più complesso.

E’ dello scorso anno la costituzione degli Atem, con la suddivisione in ambiti del territorio.

Gli ambiti hanno visto la luce solo dal punto di vista formale, senza però essere ancora operativi in quanto si sta ancora discutendo sulle modalità con cui dovranno essere costituite le gare d’appalto, alle quali verrà applicata la clausola sociale che, dopo anni di insistenza da parte del sindacato, finalmente è stata istituita per legge, evitando postumi legali che negli ultimi anni ci hanno impegnato nelle aule dei tribunali, insieme ai sindaci illuminati che avevano deciso d’inserire il costo dei lavoratori nelle gare.

E’ in atto una nuova “nazionalizzazione” della distribuzione del gas; il gruppo F2i di Vito Gamberale, con una partecipazione del Ministero del Tesoro, ha acquisito, dopo il 70% di Enel Rete Gas, la totalità di Eon rete e di G6 , ex Gas de France Suez diventando così il 2° polo per milioni di metri cubi distribuiti sul territorio nazionale dopo Italgas.

Da questa operazione, si evince il disinteresse per la distribuzione del gas da parte delle multinazionali che operano in tutta Europa.

Diametralmente opposta invece, l'area della commercializzazione del gas, che ha visto la nascita di moltissime società grandi e piccole, che hanno “fiutato l’affare” e che, anche con una minima struttura, possono entrare nel mercato.

Ci troviamo di fronte a politiche di acquisizione di nuovi clienti sempre più aggressive con sconti e bollette duali per fornitura di gas ed elettricità.

Le ex municipalizzate sono attente a ciò che accade nel settore, pur mantenendo una sorta d'immobilismo, cercano di conservare i comuni attualmente in carico e di consolidarsi in alcuni ambiti, trasformandosi, in molti casi, in multiutility.

A2A ne è un esempio, ha formato una società di circa 8.000 dipendenti che si occupa di gas, elettricità ed igiene ambientale.

La partecipata Acsm/Agam, ha perso l'appalto a Como senza nemmeno aver presentato un'offerta degna di nota.

La città di Milano dovrebbe andare in gara nel 2014, le intenzioni dichiarate di A2A, sono di concorrere per mantenere il servizio, rinunciando invece ad alcuni piccoli comuni della provincia.

E’ una decisione importante, nel settore gas gli occupati sono circa 700; si tratta di capire le intenzioni

dell’azienda sul futuro dei lavoratori che oggi si occupano dei comuni che, per scelta aziendale, si

perderanno; anche in relazione alla questione posta alla presentazione del piano industriale di A2A, con la

dichiarata volontà di ridurre i costi per 70 Milioni di Euro, a conferma delle intenzioni anticipate

dall’Assessore Tabacci al convegno organizzato qualche mese fa da Job.

Noi non ci sottrarremo al confronto, intendiamo contribuire alla risoluzione dei problemi, tenendo nella

giusta considerazione, la valorizzazione delle competenze e delle professionalità coinvolte.

Alla luce di quanto sopra, la scelta operata dalla CISL sugli accorpamenti delle categorie, che sancisce definitivamente la collocazione della rappresentanza dei lavoratori elettrici in una federazione diversa da quella dei lavoratori del gas; la considerazione della specificità di A2A, che vede al proprio interno lavoratori regolati dal CCNL Gas Acqua, lavoratori con CCNL Elettrico ed altri con CCNL del Commercio, ci impone, come FEMCA di Milano, di elaborare assieme alla FLAEI e possibilmente alla FISASCAT, una strategia comune per rappresentare al meglio i lavoratori di A2A iscritti alla CISL e regolati da contratti diversi, pur operando in molti casi negli stessi ambienti.

L’obiettivo che ci poniamo, sotto la regia dei rispettivi responsabili di categoria, è mettere a disposizione dei nostri iscritti una struttura aziendale di delegati e di militanti che sappiano coordinarsi tra loro nella distribuzione delle responsabilità e nell’ organizzazione delle iniziative, per dare risposte puntuali ai bisogni dei lavoratori di questo gruppo, attraverso la loro conoscenza specifica e la loro disponibilità, indipendentemente dalla Federazione di appartenenza, nella convinzione che chi è iscritto alla CISL è “uno dei nostri”.

L’ esperienza dei corsi di formazione congiunti, FEMCA e FLAEI, le forme di collaborazione sinergica delle Segreterie Milanesi, negli ultimi tre anni, ci hanno permesso una crescita complessiva degli iscritti ed un buon successo nelle elezioni degli organismi del CRAEM e di Pegaso, ci fanno supporre che la strada intrapresa sia quella giusta.

In questo settore stiamo affrontando due rinnovi del CCNL con grandissime difficoltà per la presenza al tavolo della trattativa di 5 associazioni industriali di categoria che hanno obiettivi e strategie molto differenti tra loro che spesso ci fanno presente, che la redditività del gas rispetto a quella dell'acqua è di gran lunga differente.

Non si può non sottolineare tra le altre, la vicenda relativa al fondo gas, che non ha ancora trovato una risoluzione legislativa, sempre più necessaria, per consentire a tutti gli addetti del settore di avere una previdenza complementare che si possa definire tale.

Auspichiamo che il nuovo Contratto dell’ Industria Energetica, faccia da punto di riferimento in tal senso a tutti gli operatori del settore.

La situazione del comparto Chimico Farmaceutico della Provincia di Milano è sicuramente sull’onda della crisi generale che vale la pena di richiamare per centrare il contesto.

Il settore chimico gode di una discreta salute, anche se negli ultimi anni l’ occupazione è calata, sono aumentate le delocalizzazioni, soprattutto per seguire i mercati emergenti, ma hanno influito anche il costo dell’energia, l’eccessiva burocrazia.

Il settore farmaceutico, che nella nostra regione vede insediamenti tra i più importanti d’Europa, si sono persi circa 10.000 posti di lavoro negli ultimi cinque anni, con un calo delle produzioni del 6,2%, le difficoltà maggiori sono legate ai tagli di spesa operati dai Governi, i ritardi nei pagamenti che raggiungono una media di 250 giorni e la registrazione dei nuovi farmaci che raggiungono i 500 giorni medi.

Dall’ ormai lontano 2009, ogni zona della provincia coperta dalla nostra Organizzazione, sconta ristrutturazioni e riorganizzazioni con centinaia di lavoratori estromessi dal mondo del lavoro, utilizzando nella fase iniziale lo scivolo pensionistico, poi gli ammortizzatori sociali ed in altri casi più disperati, senza ammortizzazione alcuna.

Aziende di ogni dimensione, dai gruppi multinazionali, a importanti società locali, alle piccole e piccolissime che si sono conosciute attraverso le richieste di CIGO e CIG in deroga, si sono moltiplicate a dismisura.

Per assurdo, la conoscenza di queste nuove aziende ha permesso di collegare numerosi lavoratori che hanno poi aderito al sindacato ed hanno contribuito al mantenimento dei nostri livelli di rappresentatività, compensando la naturale emorragia di adesioni nelle aziende di grandi dimensioni dovuta a motivi precedentemente citati.

Tra le categorie più colpite nei processi di riorganizzazione del settore farmaceutico, troviamo gli Informatori Scientifici del Farmaco.

Strano destino il loro, in un triennio sono passati dagli altari, dove in particolare le “Big Farma” li avevano collocati per compiere le loro politiche aggressive del mercato, alla polvere, imputati dalle Aziende stesse di essere il centro dell’ inefficienza e i responsabili di costi insopportabili.

A questi lavoratori diamo la nostra solidarietà, noi eravamo al vostro fianco, vi consideravamo lavoratori caratterizzati da alta professionalità allora, siamo al vostro fianco e vi consideriamo lavoratori di alta professionalità oggi.

Insieme dobbiamo impegnarci a difendere il vostro ruolo, insieme dobbiamo individuare i percorsi più idonei per salvaguardare la vostra qualificazione nell’ambito di un mercato farmaceutico in trasformazione, al fine di rispondere alle nuove necessità che esso ci impone.

In tale panorama, la sigla dell’accordo di rinnovo del CCNL, ha significato la messa in sicurezza, in un quadro di aleatorietà normativa, politica e sociale, di tutti i lavoratori del comparto.

Nonostante la crisi abbia colpito anche il settore chimico e farmaceutico, sono bastati un paio di incontri per sottoscrivere il rinnovo del Contratto Nazionale.

La rapidità con la quale si è raggiunto il risultato, ha stupito la maggioranza degli osservatori esterni, il segreto di tanta rapidità consiste in una tradizione di Relazioni Industriali consolidate, incentrate su un pragmatismo di merito, scevro da ogni vincolo di carattere ideologico ed un sistema di funzionamento degli osservatori che permette, nell’arco della vigenza contrattuale, di affrontare temi e ricercare soluzioni che siano disponibili per il successivo negoziato, consentendo alle parti di ottenere risultati soddisfacenti, senza conflitti e in tempi brevi.

Anche i dubbi interpretativi dei parametri contrattuali frutto della sigla unitaria, conseguenza di una riflessione dei colleghi Filctem CGIL, sono stati sciolti dalle note di redazione conclusiva del testo contrattuale di pochi giorni or sono.

Crediamo che questo sia un modello da seguire.

Nel nuovo Contratto vi sono elementi innovativi, che contemplano sempre più la partecipazione dei lavoratori alle scelte conservative del proprio impiego, anche con il doloroso sacrificio di parti consolidate della propria storia, progetti che favoriscono l’occupazione giovanile e femminile, stabilizzazione dei rapporti di lavoro e che, con una sorta di salario d’ingresso, si determini una buona occupazione.

E’ un accordo che guarda oltre il presente; tra le parti degne di nota, l’attenzione alla “buona “occupabilità”, con l’originalità del “progetto ponte” per favorire l’introduzione di giovani nelle aziende, che ha avuto il merito di tracciare un percorso che ha fatto scuola ed è stato poi recepito da altri, nei loro accordi.

Un progetto interessante che dovrà trovare una sua concreta applicazione nella contrattazione di II° livello, che viene valorizzata anche attraverso il conferimento di tematiche importanti.

Lodevole l’introduzione del delegato alla formazione, il miglioramento del welfare, l’ipotesi di individuazione di sistemi premianti su fattori come l’esperienza, la polivalenza e la polifunzionalità, non sottovalutando poi, la portata politica delle aperture sui Comitati Paritetici e i Fondi Bilaterali, il tutto in coerenza con gli accordi sottoscritti a livello generale.

Non dobbiamo nasconderci che alcuni demandi alla contrattazione aziendale come le deroghe contrattuali, costituiscono un terreno scivoloso.

Come sempre la sfida lanciata dalla parte imprenditoriale non ci ha trovato impreparati, ma la nostra capacità di far rispettare le prerogative contrattuali, ci porta ad essere attenti e vigili: la novità della sospensione degli aumenti contrattuali, dovrà essere motivata secondo i criteri previsti dal CCNL.

Deroghe ai contratti, a Milano le abbiamo sempre fatte e sottoscritte unitariamente; a nostra memoria le prime risalgono alla fine degli anni ’80, ma allora non si chiamavano così, non erano di moda, non erano sorrette da posizioni ideologiche, ma le facevamo già.

Erano accordi aziendali che servivano a difendere l’occupazione, erano accordi di scambio, per favorire l’immissione di giovani non professionalizzati nel mondo del lavoro e che in ogni caso al massimo in tre anni, raggiungevano i trattamenti degli altri colleghi.

Per quel che ci riguarda, oggi le cose non sono cambiate, se ci sono delle necessità siamo pronti ad affrontare l’ argomento con la solita serietà, ma non ci si faccia illusioni, per avere un accordo sulle deroghe, bisogna avere i requisiti, la convenienza deve essere reciproca e chiara, la serietà ci deve essere da entrambi i lati del tavolo.

Se chiedere deroghe ai CCNL serve per ricavare risorse da distribuire poi unilateralmente al di fuori della contrattazione collettiva, se si chiedono le deroghe perché l’azienda va male e poi si scopre che i manager si sono staccati bonus da migliaia di euro; se si chiedono le deroghe, perché l’azienda ha registrato gravi perdite e poi si apprende dai giornali che l’azionista di maggioranza si è staccato un dividendo da 70 milioni di euro, la nostra disponibilità viene meno.

Il settore della gomma e della plastica, dai dati dell'ultimo Osservatorio nazionale del giugno 2012, evidenzia che le produzioni sono state pari a 621 tonnellate (2010) rispetto alle 566 tonnellate (2009), con una crescita totale del 10% , di cui 9% i pneumatici, il 10% negli articoli tecnici, il 15% in materiali da costruzione ma con un saldo negativo del 20% rispetto agli anni precedenti. Nell'epoca ante crisi, i dati del settore erano stati ben diversi: trasporto +30%, auto +22% e moto +15%; le esportazioni: +15% a quantità, con un +20% a valore. Sul totale fatturato l'esportazione rappresenta il 55%, l'area di esportazione prevalente è l’ Europa con il 70%. L’importazione è a +20% e la provenienza è del 60% dall'Europa, il 30% dall'Asia, 10% dal resto del mondo. I costi delle materie prime (polimeri) dal 2008 sono raddoppiati. Gli Articoli Tecnici, che registrano un - 50% destinati all'auto (oggi in crisi), interessano anche altre filiere, quali elettrodomestici ed elettrotecnico. La materia prima (gomma naturale e sintetica) è in mano purtroppo a pochi Paesi che fanno cartello e speculano. La Plastica ha retto negli ultimi due anni per gli imballaggi, mentre i Tubi registrano un - 45%; dovuto nel settore delle grandi opere (acquedotti) ai comuni che sono fermi e fanno solo manutenzione; alle gare al massimo ribasso della pubblica amministrazione; alla presa soffocante della grande distribuzione che acquista a prezzi al limite della sostenibilità, hanno provocato il risultato negativo.

Si aggiunge poi il “Fenomeno Arabo” che preferisce dare l’ Etilene a Paesi come la Cina piuttosto che al mercato italiano, anche a causa del tempo medio di pagamento della pubblica amministrazione, 720 giorni circa e dell'industria che paga mediamente in 60 giorni. L’ aumento del costo delle materie prime è pari al 60%. L’incapacità italiana, di creare consorzi d’ acquisto per le materie prime ed essere contrattualmente competitivi, limita ulteriormente le possibilità della nostra imprenditoria che, come spesso accade, prima di fare alleanze deve essere in situazioni catastrofiche. La crisi ha modificato i modelli organizzativi, spesso per evitare l’ utilizzo degli ammortizzatori sociali, si è preferito ridurre il numero dei turni, rallentando gli impianti, ma questo non ha impedito di sacrificare i lavoratori con contratto a tempo determinato e dei somministrati, tant’ è che l’occupazione negli anni si è ridotta di circa il 13%. Anche per le aziende del settore Gomma Plastica, come in altri settori, soprattutto quando si parla di piccola-media impresa, il tema annoso è il credito. A seguito delle nuove disposizioni di Basilea, le banche hanno ridotto e tagliato l'emissione di finanziamenti e crediti, soffocando il sistema impresa, aggravando la situazione delle aziende che lavorano per il sistema pubblico che rischiano di fallire a causa dei ritardi nei pagamenti che portano le aziende ad esporsi finanziariamente. L’altro elemento che accomuna i settori manifatturieri è il costo della trasformazione del prodotto, il costo dell’ energia in Italia pesa il 30% in più rispetto agli altri paesi Europei, di conseguenza le nostre imprese non riescono ad essere competitive né concorrenziali sul prezzo finale del prodotto. Il decreto “mille proroghe” del 2012 che ha sostanzialmente bandito i sacchetti di plastica, dando ai produttori la possibilità di usare materiali biodegradabili, ha portato un incremento dell’utilizzo dei sacchetti di carta, riducendo volumi e margini industriali agli operatori del settore plastica, colpevoli, in questo caso, di immobilismo imprenditoriale. I costi della materia prima, il cambiamento delle condizioni del prodotto, mettono a rischio l’ occupazione in numerose aziende. Nel settore auto, il più importante gruppo italiano, la Pirelli, con 26 siti in tutto il mondo di cui 2 solo sono in Italia, ha chiuso il 2011 con un bilancio record, registrando ricavi in crescita del 16,6%, utili per 440 milioni e una redditività media del 10,3%. L'andamento positivo del 2011 e il conseguente rialzo dei titoli della Bicocca, pari al 7,23% ha portato ad un rialzo degli obiettivi di fatturato e redditività con un aumento del dividendo per il 2012. A portare in alto il giro d' affari dell'azienda sono stati gli investimenti sui pneumatici “alto di gamma”, l'andamento nei mercati emergenti e la flessibilità della struttura dei costi. La divisione Tyre ha visto un aumento delle vendite del 17,4%, l'attività del Consumer ha toccato il 18,9% e per quanto riguarda l'Industriale i ricavi hanno avuto una crescita del 13,9%. Nel 2011 erano stati investiti 626 milioni di euro per ampliare la produzione in Argentina, avviare la costruzione di uno stabilimento in Messico e acquisire due impianti in Russia. La Pirelli nel 2012 ha confermato un progetto che prevede di investire nello stabilimento di Settimo Torinese nei prossimi 3 anni circa 40 milioni di euro, consolidando il polo produttivo. Dei risultati positivi, il territorio di Milano non ne beneficerà, siamo preoccupati, abbiamo la presenza della sede, che gestisce tutto il gruppo e il centro di ricerca; ma la storica fabbrica di Bollate, da alcuni anni non vede investimenti di sviluppo strategico, ma solo di mantenimento del sito che non ha la possibilità di espandersi, essendo situato in un centro abitato. Gli incontri sindacali e le richieste di avere a Bollate almeno produzioni di nicchia, ma di valore aggiunto, in modo che anche questo sito rimanga competitivo, non sono state soddisfatte.

La crisi Internazionale, si fa sentire pesantemente sul Comparto Tessile e Moda, con riflessi importanti ed in molti casi anche drammatici.

La peculiarità del Comparto Moda, sviluppata su una lunga filiera, mostra fragilità e forza nei diversi settori che la compongono, forza e debolezza nelle produzioni, con impatti più o meno pesanti, determinati da diversi elementi di redditività e volumi ordinati, che condizionano l’occupazione e l’ uso di ammortizzatori sociali.

La filiera a monte dell’ attività produttiva, è la parte più debole del Comparto, dovuto a margini più bassi ed a una concorrenza spietata dei Paesi cosiddetti emergenti, con “Democrazie discutibili” dove i lavoratori non hanno diritti e tutele.

I drammatici incidenti avvenuti nelle fabbriche in Bangladesh, dove sono morte 120 lavoratrici per mancanza delle minime condizioni di sicurezza, ne sono un esempio.

A valle invece troviamo diverse realtà di grande eccellenza.

Dall’analisi effettuata nel settore, seppur frammentata dalla dispersione attorno ai dati medi, si evidenzia un 40% di perdita di bilancio nel 2011, sia per il tessile che per l’abbigliamento.

Vi sono poi settori di nicchia che rispondono in maniera positiva con un mantenimento o un lieve aumento del fatturato, ma con una riduzione dei margini.

Si sottolinea la peculiarità del settore e la sua articolazione per business, con poche aziende che guadagnano molto, soprattutto grazie all’export, ma anche al mercato interno che mantiene le posizioni acquisite (i ricchi continuano a spendere anche se con più parsimonia), mentre tantissime aziende hanno risultati poco rassicuranti.

Molte realtà si ridimensionano o chiudono per via concorsuale o fallimentare.

Il dato occupazionale tra il 2007 e il 2011 è calato di circa il 13%; la produzione del 16%; nel 2012 del 10% ed il fatturato è passato dal + 7% del 2010 al + 6% nel 2011.

C’è una interessante domanda mondiale per il Made in Italy, dalla parte abbiente dei Paesi emergenti come Cina, Russia e Brasile, con un’ aumento della ripresa dei consumi di Stati Uniti e Giappone.

Questo dimostra che con tutte le difficoltà, il Mercato Mondiale è ancora in grado di richiamare i prodotti di qualità e di lusso, che è poi quello che sappiamo fare bene.

La parte sofferente è quella dei consumi interni, dove il calo nel settore si attesta al -5,3% sulla spesa corrente e un -4,7% sulla spesa costante.

Le aziende del territorio Milanese sono in linea con quello che succede a livello Nazionale; l’articolazione della Filiera, si caratterizza con la allocazione del “cervello operativo gestionale” dei Brand del Made in Italy nella City, la parte produttiva del comparto prevalentemente in provincia.

In questa articolazione vediamo che per i primi c’è una forte tenuta occupazionale; è la parte che tende ad avere un rapporto con il sindacato, un pò più incisivo rispetto a qualche anno fa, legato più da un interesse informativo che negoziale, accentuato dal clima aziendale, che durante la crisi ha favorito questo avvicinamento.

In queste sedi si fa poca contrattazione aziendale e si tende ad applicare ciò che viene concordato nelle sedi produttive, che in molti casi si trovano nel territorio lombardo, anche se la maggior parte si trova sul territorio Nazionale.

La Femca di Milano è presente in 72 aziende del Comparto, con 1600 addetti, e fa contrattazione aziendale sul 30% delle imprese, il restante 70% è contrattazione per crisi e assistenza individuale.

L’impatto della crisi è quindi evidente che si concentra maggiormente in provincia, sulle aree produttive, pur considerando che nel comprensorio Milanese, l’utilizzo di ammortizzatori è il più basso in Lombardia, assieme a Pavia e Cremona.

Oggi siamo al rinnovo di tutti i CCNL del Comparto Moda (Tessile, Calzaturiero, Occhiali...), ognuno di essi, sta vivendo le proprie situazioni di crisi e questo, nel complesso, complica molto la discussione.

Dobbiamo quindi fare un salto di qualità, vedere nel CCNL uno strumento essenziale, che tende creare opportunità al sistema Impresa, qualcosa che mette in comune gli stessi obiettivi a cominciare dal LAVORO, strumenti di avvicinamento tra i lavoratori e le imprese che getti le basi per una partecipazione attiva, anziché di semplici spettatori; ricercando modalità di attenzione alle persone e ai loro bisogni, come scambio per una flessibilità intelligente e gestita nell’interesse comune.

Alla FEMCA di Milano gli ultimi quattro anni sono stati molto intensi e vivaci, abbiamo operato un rinnovamento della struttura con l’inserimento di quattro nuovi colleghi in sostituzione di altrettanti usciti per pensionamento o per scelte di opportunità personale, qualcun’ altro già in struttura si è adattato ad un ruolo diverso con successo e reciproca soddisfazione.

Abbiamo inoltre avuto un significativo ricambio tra i delegati che ci ha impegnato ad investire maggiormente sulla formazione, ampliando la nostra offerta formativa e coinvolgendo i nostri iscritti, con numerose assemblee su temi specifici di largo interesse, molto apprezzate da tutti; si è consolidato il nostro servizio tecnico legale ed abbiamo introdotto una persona che si occupa delle domande di mobilità e di disoccupazione.

Queste scelte ci hanno permesso di migliorare i nostri servizi agli iscritti ed i risultati sono stati positivi.

Questa squadra, che intendiamo confermare per i prossimi anni, è molto eterogenea; ma abbiamo avuto il merito di fare di queste “diversità” una risorsa, contraddistinta da un senso di appartenenza encomiabile; portando valore aggiunto alla FEMCA.

Da questa fase Congressuale, uscirà un’ Organizzazione decisamente trasformata, la Cisl ha avviato una riorganizzazione della sua presenza nei territori e delle sue strutture puntando ad un rapporto più stretto ed efficace con gli iscritti.

Anche in Lombardia è partito questo processo, il primo passo sarà la riduzione del numero delle Unioni Sindacali Territoriali, dalle attuali 14, attraverso gli accorpamenti diventeranno 8 e questa prima operazione ci vede coinvolti direttamente.

In questa sala oggi sono entrate le strutture FEMCA dei Comprensori di Milano e di Legnano Magenta, domani, al termine del Congresso, avremo una nuova unica Federazione Territoriale.

Il Comprensorio di Legnano Magenta nasce circa 8 anni fa, la sua configurazione geografica è il risultato dell’ accorpamento della parte di territorio milanese dell’ex Comprensorio Ticino Olona ed il Comprensorio di Magenta Abbiategrasso.

La confluenza dei due territori non portò grandi differenze sul piano Industriale in generale, ma diversa nelle percentuali nei Comparti che lo compongono.

La media degli Iscritti Femca (2971) degli ultimi 4 anni , evidenzia la propria rappresentatività in circa 79% nel Comparto Moda, del 18% nel Comparto Chimico e del 13% nel Comparto Energia.

Purtroppo il Comprensorio della Femca di Legnano rispetto alla sua nascita , a seguito della crisi, ha subito un forte ridimensionamento della presenza industriale, sia da un punto di vista di cessazioni di aziende (incluse procedure concorsuali e fallimenti) che di forti interventi riorganizzativi e conseguenti ristrutturazioni, con elevate perdite occupazionali.

Ne citiamo alcune dove lavoravano centinaia e in taluni casi anche migliaia di addetti; la Manifattura di Legnano, la Novaceta, FRF ex Saffa (azienda fiammiferi), Safosa, Gruppo Zucchi … e tante medie e piccole realtà; inoltre si vivono alcune situazioni molto delicate e ancora aperte come il Centro Ricerche di Nerviano

La peculiarità del territorio è anche caratterizza da aziende leader sia nel settore tessitura come Denim, che nel calzaturiero del distretto di Parabiago.

Il distretto di Parabiago, si pone come elemento importante per la filiera produttiva del territorio, avendo una capacità di crescita molto buona; anche se nel settore, in alcune realtà, si hanno problemi legati più alla liquidità finanziaria che di mercato.

Il mercato di riferimento è quello dell’ alta qualità, con una forte propensione al mercato estero, quest’ultimo diventa destinatario principale dei prodotti realizzati.

Il distretto in questi ultimi anni, ha avuto una vivace crescita, sia in termini di produzione che occupazionali, mutando la fisionomia artigianale in industriale.

La difficoltà del comparto Moda è determinata da una carenza di offerta di manodopera qualificata; le strutture formativo/scolastiche non rispondono alle esigenze aziendali.

Sarebbe opportuno lavorare su politiche attive a supporto del distretto, per consolidare e incrementare l’offerta nel settore e, in questo ambito, andrebbero sviluppati veri progetti formativi “ su misura”.

Il Comparto meno sofferente sul territorio è quello dell’ Energia, investito da grandi trasformazioni, quali il settore Gas/Acqua che “tiene” sui livelli occupazionali ma vede una riorganizzazione operativa e organizzativa degli addetti.

La Femca Legnano Magenta ha anche una forte operatività nel settore artigiano, con una presenza radicata sul territorio.

La rete delle aziende artigiane, si è sviluppata con una maggiore presenza nel Comparto Moda, rispetto ai comparti Energia o Chimico.

Il numero degli addetti nelle realtà produttive di competenza Femca, non supera i 300 addetti, ad esclusione di Dolce&Gabbana che conta circa 800 addetti.

La Femca di Legnano Magenta è presente sul territorio in 257 aziende con circa 15.000 addetti.

L’ accorpamento delle due strutture contribuirà a costruire una FEMCA Territoriale decisamente più forte e completa, infatti ad una caratterizzazione del Comprensorio di Milano fortemente incentrato sul Comparto Chimico, con un importante comparto Energia ed una piccolissima entità del Comparto Tessile Moda, si

unirà il Comprensorio di Legnano Magenta fortemente caratterizzato dal Comparto Tessile Moda, un piccolo Comparto Chimico ed un piccolissimo comparto Energia.

Il risultato di questa operazione, determinerà il consolidamento dell’importanza del Comparto Chimico, un equivalente importante Comparto Tessile Moda ed un importante Comparto Energia.

Possiamo dire con soddisfazione che, nella nuova dimensione territoriale la FEMCA è significativamente rappresentativa in tutti i suoi Comparti.

L’impegno di tutti, operatori a tempo pieno e delegati, dovrà essere quello di lavorare per un’integrazione veloce e convinta, al fine di far crescere questa nuova struttura, valorizzando le persone, migliorando l’efficienza, la presenza sul territorio per crescere in rappresentatività tra i lavoratori all’interno delle Aziende.

Ci sarà poi una seconda fase, i cui tempi non sono ancora definiti, di accorpamento tra Federazioni.

La FEMCA si accorperà con la FIM, la nostra Federazione dei Metalmeccanici, per dare corpo alla futura Federazione dell’Industria così come è già avvenuto a livello internazionale.

La nuova Federazione, in attesa di una auspicabile riduzione del numero di Contratti di lavoro, dovrà essere articolata per Comparti, in modo da poter gestire con profitto le specificità dei diversi settori e le particolarità contrattuali oggi esistenti, evitando di disperdere tradizioni e culture tipiche di ogni singola esperienza.

Nella nuova dimensione territoriale, da questa operazione nascerà una Federazione con una quarantina di operatori a tempo pieno e, crisi permettendo, di 15.000 iscritti.

E’ un operazione complessa, dovremo impostare il presente, con l’integrazione delle strutture e dei sistemi organizzativi, caratterizzati da un diverso approccio culturale e pianificare il futuro della nuova Federazione, tenendo nella giusta considerazione le persone che vi operano, le loro abitudini, le loro aspettative, le loro legittime ambizioni.

Siamo convinti che dalla contaminazione delle culture sindacali tra le due Federazioni possa nascere una struttura migliore e di qualità più elevata, ma come tutte le operazioni complesse che coinvolgono le persone e le organizzazioni, il tempo diventa una risorsa importante per una buona integrazione, tenendo alta la motivazione ed il senso di identità di tutti.

Sarà necessario dare le giuste scadenze temporali, affinchè tutti i pezzi del mosaico vadano al loro posto; azioni affrettate, forzature nei tempi, prima che sia a regime la prima fase di accorpamento, quella dei territori, rischia di compromettere la buona riuscita della seconda.

Per esperienze passate, sappiamo che la somma dei problemi irrisolti, non produce una soluzione, ma spesso, un problema più grande ed una maggiore complessità nella gestione.

Ci sentiamo di suggerire a tutti prudenza nelle scelte, saggezza nell’ individuazione dei percorsi e calma nelle scansioni temporali, non dobbiamo battere record, dobbiamo agire con razionalità, perché l’operazione abbia successo.

Da questa fase di accorpamenti, ci permettiamo di rilevare una scelta per noi incomprensibile della collocazione della Federazione degli Elettrici nel nascente sindacato delle Reti, assieme a Telecomunicazioni e Trasporti.

Non comprendiamo quale logica possa accomunare le reti di trasporto delle persone, con le reti di trasporto informatico e la produzione e la distribuzione di energia elettrica, se non l’essere accumunate da fili …

Crediamo che il problema non stia nel mezzo di trasporto, il filo appunto, riteniamo il tema dell’Energia, uno dei nodi strategici sulla quale si gioca la partita del futuro industriale del nostro Paese; l’efficienza del sistema energetico, i costi di produzione e di distribuzione dell’energia elettrica nel suo complesso, l’approvvigionamento dell’energia a costi compatibili, sono temi che vanno affrontati con urgenza con il prossimo Governo, che ha bisogno di un interlocutore sindacale forte e rappresentativo, che sia legittimato a discutere avendo una visione complessiva dell’argomento.

La scelta fatta dalla nostra Organizzazione, di sancire definitivamente la separazione della rappresentanza dei lavoratori della produzione e della distribuzione di energia elettrica, dai lavoratori degli altri settori della produzione e della distribuzione di energia è a nostro avviso sbagliata, abbiamo perso una grande occasione per avere, oltre al grande sindacato dell’industria, il grande comparto dell’energia.

Fermo restando il rispetto per l’autonomia decisionale di ogni Organizzazione, nel fare le scelte ritenute strategicamente più idonee ai propri disegni, non possiamo non osservare l’ orientamento assunto da CGIL e UIL di un'unica Federazione con chimici, tessili ed energia, elettrici compresi, assieme.

Viene spontaneo chiederci se abbiamo intrapreso la via più giusta.

La FEMCA di Milano, è pronta ad affrontare con convinzione il progetto di riorganizzazione proposto dalla CISL, riteniamo però che, se l’obiettivo della nostra Organizzazione sia di liberare risorse da dedicare alla “prima linea” ed agli iscritti, l’accorpamento dei territori e delle Federazioni territoriali, non è sufficiente se i livelli superiori rimarranno invariati nei ruoli, nella quantità delle funzioni, nella distribuzione delle risorse disponibili.

Lo slogan “ Meno Segretari e più Operatori” che in linea di principio condividiamo, non risponde alla nostra struttura, in FEMCA siamo già tutti operatori, poi c’è qualcuno che fa “anche” il Segretario e qualcun altro che fa “anche” il Segretario Generale.

Le burocrazie, non abitano qui, il problema non crediamo sia quanti Operatori o quanti Segretari, ma chi fa che cosa e se questo è funzionale all’Organizzazione ed agli iscritti, oppure è funzionale ad altro.

Invitiamo tutti ad aderire convinti a questo progetto ed avere l’obiettività ed il coraggio che abbiamo avuto noi, in passato, di guardarci dentro ed essere coerenti.

Dal percorso Congressuale, che per noi inizia con la discussione di oggi e proseguirà sia a livello di Categoria, sia a livello di Confederazione per tutto il primo semestre di quest’anno, ci auguriamo possa nascere ed affermarsi l’ “AGENDA CISL”, un Agenda discussa e condivisa con i nostri militanti, un Agenda originale, alternativa all’unica Agenda oggi presente nel panorama politico.

Un AGENDA CISL, per confrontarsi e trovare le giuste convergenze con il “Piano per il Lavoro” presentato dalla CGIL, che abbia l’obiettivo di fare sintesi ed affrontare assieme la discussione con Confindustria e il suo “Progetto per l’Italia” presentato qualche settimana fa, al fine di sottoporre al prossimo Governo un programma condiviso, con obiettivi comuni per contribuire alla nascita di un Paese migliore.

Permettetemi infine di ringraziare i nostri Ospiti per aver partecipato al nostro Congresso e per il contributo offerto alla nostra discussione e un caloroso ringraziamento ai nostri delegati per la partecipazione.

Grazie a tutti per l’attenzione e la pazienza.

Buon Congresso.

Un ringraziamento particolare a:

• Elena e Lorena per l’impegno e la sentita partecipazione attiva ed emotiva alla organizzazione dell’evento,

• Antonello, Eustachio, Maurizio, Roberto e Salvatore per il contributo offerto nella redazione di questa relazione per i comparti di loro competenza.

• A Raffaele per le sollecitazioni ed al “vecchio Pietro” che nonostante gli acciacchi di questi mesi, mi ha fatto sentire la sua vicinanza come sempre.

• Domenico, Marco, Rino per la disponibilità

• A tutto l’apparato per avermi sopportato negli ultimi 15 giorni.