Di Don Luigi Girardi, che conosciamo già, dico solo due ... · Ecco, allora, io temo che non sarà...

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Di Don Luigi Girardi, che conosciamo già, dico solo due parole per chi non avesse ancora avuto occasione di ascoltarlo. È un prete della Diocesi di Verona, docente nella facoltà lì e poi Preside all’Istituto a Padova di Santa Giustina, molto famoso, una persona, diciamo, di grande prestigio. In questa seconda parte, nonostante la pausa pranzo sia pericolosa, però prosegue il discorso di stamattina, è molto importante capire che la Chiesa nel tempo ha avuto diverse forme, anche diversi modi di esprimere il rito del sacramento, la sua fede nell’atto matrimoniale. Questo è essenziale, diciamo, anche per una riflessione sull’oggi e su altre modalità rispetto a quelle attuali che sono poi, adesso ci dirà, legate ad un tempo da cui sono nate. Come tutti siamo abituati a pensarlo, hanno un origine che non è agli inizi ma da un certo punto in avanti. * * * Ecco, allora, io temo che non sarà facile con il tempo che occupo parlando. Rischierò di addormentarmi anch’io, quindi sentitevi legittimati a farlo anche voi se succede. Poi, tanto per cominciare, fin che prendiamo… si commentava con alcuni che avete invitato a parlare del matrimonio Cristina che non è sposata, io neanche... però facciamo del nostro meglio con l’esperienza indiretta, o meglio abbiamo l’esperienza di famiglia perché siamo tutti da famiglie e dentro vite in qualche modo familiari. Però la monaca che ci ha portato gentilmente l’acqua da bere ha distinto bene i generi, perché a me ha dato il bicchiere azzurro e rosa a… e su questo… non siamo una coppia di fatto, ma siamo qui così. E completiamo il discorso così per partire risvegliandoci un po’ di più, ecco. Io in parte mi aggancio alla relazione di stamattina e faccio anche qualche piccolo accenno sulla frase storica che sta dopo l’epoca patristica e prima di noi, insomma, però vi avviso da subito, anche, che in realtà, a dispetto della bellezza del matrimonio, che tanti di voi vivono, sarà anche difficile, non è che sia tutto così misticamente facile, ecco, però, insomma, comprendiamo facilmente cosa sia sposarsi, cosa sia avere una famiglia e così via. Ecco, a dispetto di questa realtà intuitiva, la riflessione sul matrimonio è molto più complicata. La teologia del matrimonio pure non ha avuto lungo la storia molti punti fermi così chiari come sembrerebbe che avesse dovuto averli oggi. Gli stessi testi biblici a cui si fa riferimento, farei anch’io una domanda a Cristina, i padri che cosa utilizzavano di più? Noi Efesini lo mettiamo in capo perché là si dice questo mistero è grande, lo dico di Cristo e della Chiesa, ma parla del marito e la moglie, mistero e sacramento sembra che sia il fondamento del sacramento. Ma in realtà non è così semplice e forse anche nella storia avevano tanto peso altre cose. Io quanto do un titolo ad interventi di questo genere dico: “io parlo eventualmente della celebrazione del sacramento del matrimonio” e dando questo titolo uso tre parole: la celebrazione del sacramento del matrimonio. Tre parole che dicono tre cose che non sono sovrapponibili e hanno ciascuna anche una specificità perché il matrimonio c’era prima dei cristiani, prima che noi lo chiamassimo sacramento, e c’è anche adesso fuori della Chiesa. E può essere, diciamolo subito,

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Di Don Luigi Girardi, che conosciamo già, dico solo due parole per chi non avesse ancora avuto occasione di ascoltarlo. È un prete della Diocesi di Verona, docente nella facoltà lì e poi Preside all’Istituto a Padova di Santa Giustina, molto famoso, una persona, diciamo, di grande prestigio.

In questa seconda parte, nonostante la pausa pranzo sia pericolosa, però prosegue il discorso di stamattina, è molto importante capire che la Chiesa nel tempo ha avuto diverse forme, anche diversi modi di esprimere il rito del sacramento, la sua fede nell’atto matrimoniale.

Questo è essenziale, diciamo, anche per una riflessione sull’oggi e su altre modalità rispetto a quelle attuali che sono poi, adesso ci dirà, legate ad un tempo da cui sono nate.

Come tutti siamo abituati a pensarlo, hanno un origine che non è agli inizi ma da un certo punto in avanti.

* * *

Ecco, allora, io temo che non sarà facile con il tempo che occupo parlando. Rischierò di addormentarmi anch’io, quindi sentitevi legittimati a farlo anche voi se succede.

Poi, tanto per cominciare, fin che prendiamo… si commentava con alcuni che avete invitato a parlare del matrimonio Cristina che non è sposata, io neanche... però facciamo del nostro meglio con l’esperienza indiretta, o meglio abbiamo l’esperienza di famiglia perché siamo tutti da famiglie e dentro vite in qualche modo familiari.

Però la monaca che ci ha portato gentilmente l’acqua da bere ha distinto bene i generi, perché a me ha dato il bicchiere azzurro e rosa a… e su questo… non siamo una coppia di fatto, ma siamo qui così.

E completiamo il discorso così per partire risvegliandoci un po’ di più, ecco.

Io in parte mi aggancio alla relazione di stamattina e faccio anche qualche piccolo accenno sulla frase storica che sta dopo l’epoca patristica e prima di noi, insomma, però vi avviso da subito, anche, che in realtà, a dispetto della bellezza del matrimonio, che tanti di voi vivono, sarà anche difficile, non è che sia tutto così misticamente facile, ecco, però, insomma, comprendiamo facilmente cosa sia sposarsi, cosa sia avere una famiglia e così via.

Ecco, a dispetto di questa realtà intuitiva, la riflessione sul matrimonio è molto più complicata. La teologia del matrimonio pure non ha avuto lungo la storia molti punti fermi così chiari come sembrerebbe che avesse dovuto averli oggi. Gli stessi testi biblici a cui si fa riferimento, farei anch’io una domanda a Cristina, i padri che cosa utilizzavano di più? Noi Efesini lo mettiamo in capo perché là si dice questo mistero è grande, lo dico di Cristo e della Chiesa, ma parla del marito e la moglie, mistero e sacramento sembra che sia il fondamento del sacramento.

Ma in realtà non è così semplice e forse anche nella storia avevano tanto peso altre cose.

Io quanto do un titolo ad interventi di questo genere dico: “io parlo eventualmente della celebrazione del sacramento del matrimonio” e dando questo titolo uso tre parole: la celebrazione del sacramento del matrimonio. Tre parole che dicono tre cose che non sono sovrapponibili e hanno ciascuna anche una specificità perché il matrimonio c’era prima dei cristiani, prima che noi lo chiamassimo sacramento, e c’è anche adesso fuori della Chiesa. E può essere, diciamolo subito,

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vissuto anche meglio di come lo vivono certi cristiani, non è detto che la vita di coppia, la vita di famiglia, non ha targhe da questo punto di vista. L’amore di una coppia non…

Quindi il matrimonio è una cosa che noi chiamiamo sacramento, diciamo il matrimonio dei cristiani è il sacramento, è un altro piccolo passaggio che noi celebriamo, questo è il terzo passaggio e, abbiamo visto dalla storia, non è scontato che tutto sia chiarito subito, ma anche che tutto avvenga subito per quanto riguarda la celebrazione, ecco.

Per cui, dire la celebrazione del sacramento del matrimonio vuol dire tener presente una catena anche di concetti che non sono sovrapponibili, che hanno appunto una loro storia.

Per di più, da questa storia ci arrivano in eredità anche in qualche caso un po’ ingombrante, un po’ pesante, non a caso anche stamattina sentivamo come sia bello mettere in luce quei testi in cui si parla bene del matrimonio, che però sono a volte anche a reazione a chi ne parla male, e quindi sembra quasi da subito… sarebbe interessante domandarsi perché anche nella Chiesa vi sia stata questa oscillazione, questa possibilità, di leggere in modo negativo questo aspetto.

In ogni caso, per quel che riguarda la celebrazione, l’impressione che ricaviamo dalla storia antica è che nell’antichità la Chiesa non ha competenza particolare su come ci si sposa, sul rito, diciamo così. Perché, diciamo, non ci sono tante documentazioni, anche se è evidente che un atto come il matrimonio ha facilmente, essenzialmente, una connotazione sociale, civile, che sia di cristiani o di non cristiani. E anche facilmente una connotazione vagamente religiosa o fortemente religiosa, si possono invocare gli Dei della fertilità, gli Dei protettori della famiglia, e così via.

E quindi, in un certo senso, è facile pensare che anche i cristiani abbiano vissuto in quest’ottica il loro sposarsi, ma nello stesso tempo abbiano sentito l’esigenza anche di caratterizzarlo dal punto di vista religioso e di collocarsi anche dentro una società con una specificità.

Però resta vero che non c’è, almeno fin dall’inizio, una competenza specifica per cui la Chiesa dice “no, il matrimonio si fa così”. E questo ci fa dire subito che i sacramenti sono sette, ma non sono tutti uguali come disse il Concilio di Trento. Non sono tutti uguali per tanti motivi, perché alcuni sono necessari ed altri no, ma anche perché sono in maniera analogica… ricoprono le caratteristiche tipiche di un sacramento.

L’Eucarestia ha una storia tutta diversa. Gesù nell’ultima cena fa una cosa che peraltro fonda radici nel popolo ebraico, dove la cena pasquale e così via… Il battesimo è un’altra storia ecc…

Il matrimonio ha una storia tutta particolare, emerge con queste apparenti lentezze. Si può dire… c’è una progressione da avere il comparire di una benedizione, è quello che noi chiamiamo sacramento del matrimonio? E qui si può discutere perché non è detto che questo sia il sacramento. La benedizione non è un sacramento necessariamente. Se due coppie che si sono sposate vanno a farsi benedire dal vescovo è sacramento o è un gesto di vera fede, di religiosità, ricevere una preghiera che ti aiuti a vivere cristianamente quello che appunto hai affrontato?

Però si passa, è vero, dalla benedizione impartita sugli sposi ad avere nei secoli successivi la presenza anche magari di un ministro della Chiesa alla celebrazione complessiva delle nozze, finchè si arriverà allo sposarsi non in altri ambienti ma proprio davanti alla Chiesa in facie ecclesie, come accennerò dopo, fino alla Chiesa che dirà “chi si sposa si sposa in questa forma oppure non è valido il matrimonio, la forma che decide lei”.

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Ma nel frattempo sono cambiate tante cose e non è senza significato anche il modo in cui la Chiesa si rapporta con lo Stato, perché il matrimonio deborda dall’aspetto religioso, è anche sociale, e finchè controlla lo Stato, la dimensione istituzionale è un conto, quando non c’è più lo Stato e subentra la Chiesa di fatto la Chiesa dà una forma molto più precisa anche celebrativa a quello che è il matrimonio.

Però va detto che per tutto il medioevo la forma di celebrazione non è una condizione per la validità del matrimonio. E questo è una cosa interessante perché da un lato mostra che, in fondo, la convinzione avuta e che fa da filo conduttore, non so se a partire dall’epoca apostolica, ma certamente quella che si è imposta nella Chiesa latina e che deriva dal diritto romano sostanzialmente, cioè qui l’influsso tutto sommato è molto più del diritto romano che non della ritualità giudaica o altro, è che a fare il matrimonio è il consenso.

Cioè, il matrimonio, lo diceva anche il mio parroco quando sono stati in parrocchia degli sposi, lo diceva con una carità splendida, perché si accorgeva che nel dirlo faceva… “il matrimonio è un contratto”, ma lo diceva con dolcezza, non è… perché se uno lo dicesse da commerciante, diciamo un contratto, sembra… però è la stessa parola, obbiettivamente. E in effetti, la visione che c’è sottostante è questa: il consenso contrattuale è la stipulazione di un legame tra due persone, che appunto può essere rescisso, per il rito romano, a determinate condizioni, appunto, ma ha questa convinzione di fondo anche la Chiesa che a fare il matrimonio è proprio la volontà dei due sposi che condividono e scelgono questo reciprocamente e quindi, creano questa novità, questo essere nuovo della loro identità che è appunto essere sposati, creare una nuova realtà.

E questo creava anche molti problemi perché? Perché voleva dire che se due stipulavano questo contratto a prescindere dalla forma in cui lo facevano, ma se era questo vero contratto era da ritenere un matrimonio valido.

Ora, due potevano sposarsi anche segretamente, e questo però era da ritenere un vero matrimonio. Potevano farlo in forma privata, in forma… per mille motivi. Solo che succedeva, e questa era la piaga a cui deve far fronte la Chiesa, che i matrimoni privati erano poi facilmente poi anche manipolabili, cioè uno poteva poi rimandare via la moglie, spesso succedeva così, quindi separarsi, divorziare, e però non aveva neanche l’onere di dimostrare che era… perché non era provato che fosse sposato perché mancava la forma, era un matrimonio segreto e quindi, se chiedeva di sposarsi ufficialmente, in questo caso con la Chiesa, la Chiesa non aveva motivi per impedire questo, però si rendeva conto che in tanti casi si sposava chi era già stato sposato ma aveva divorziato dalla moglie, quindi in qualche modo legittimava anche questa prassi strana. Strana anche perché, di fatto, poi a patire tutte queste conseguenze è sempre il membro più debole che viene ripudiato.

Di fronte anche alla sofferenza, non solo delle famiglie ma anche di uno Stato impotente che poi non sa più controllare, non sa regolare questo tipo di aspetto della vita, ad un certo punto vengono consegnate alla Chiesa anche le armi per controllare questa dimensione della vita sociale.

A quel punto la Chiesa prende in mano anche la forma celebrativa e comincia a dare una forma concreta al matrimonio. Qui siamo verso la fine del primo millennio, quindi siamo già a cavallo, all’inizio del secondo, ma la cosa si protrae ancora, cioè, diciamo, l’atto ufficiale che determina che la forma del matrimonio è essenziale per la validità è un decreto del Concilio di Trento, quindi del 1563, laddove si dice “qua succede ancora quelle cose strane che non dovevano succedere, e quindi

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decretiamo che per evitare questo, per avere la capacità di sposarsi validamente, occorre che si segua la forma canonica, la forma ecclesiastica stabilita da noi”.

Quindi non c’è possibilità di sposarsi validamente se non tramite la forma canonica, salvo che, questa forma canonica è stabilita dalla Chiesa e per ragione della Chiesa, quindi la Chiesa può derogare, volendo. Ma non è diritti divino, però stabilisce così, in modo da evitare altre possibilità di matrimoni, clandestini o in altra forma, che potrebbero accadere ancora.

Dietro c’è questa storia qua che il consenso fa il matrimonio. A dire il vero non è neanche così semplice neanche questo perché, nella matrice ebraica, ma non solo, anche nella discussione tardo medievale, poi posteriore, c’era anche chi diceva “bè, il matrimonio si sigilla non con il consenso ma con l’atto coniugale”. È quello che fa essere la coppia per quello che è. E allora era una fonte di discussione questa, noi prendiamo a volte il frutto di un’epoca come una cosa assodata ma il punto di arrivo era motivo di discussione, di diatribe teologiche, come abbiamo visto nell’epoca dei Padri, uno se la prende con l’altro, poi non si capisce più chi è l’eretico, chi è eccessivo, chi è rigorista… Ma di fatto allora si discuteva anche di questo, e ne è rimasta traccia, perché si parla anche… poi è rimasto anche nel diritto, che il matrimonio si dice che è valido quando c’è il consenso che viene stipulato tra… Ma per essere anche indissolubile deve essere consumato, il matrimonio orato e non consumato è un matrimonio valido ma gli manca ancora il compimento, per cui sembra che sia una realtà come più in divenire, in un certo senso, che abbia una dinamica non puntuale. E quindi resta qualcosa che probabilmente ha anche una certa saggezza, la saggezza semplice, umana, perché credo che su questo tema del matrimonio dovremmo abituarci a parlarne in maniera molto più laica, perché non dobbiamo sacralizzare troppo in frette quelle che sono abitudini di un’epoca, e non sono nel Vangelo le abitudini di un’epoca, sono il modo in cui quell’epoca ha tradotto… Ma è chiaro che se due si sposassero per restare fratelli e sorelle c’è qualcosa che non và, è evidente. E quindi si capisce anche il senso della cosa.

Però questa è la condizione, diciamo così, che ha portato lentamente la Chiesa a dire “no, ci si sposa sempre in maniera come chiedo, con una forma precisa. Ci si sposa in maniera pubblica, non segreta, quindi davanti alla Chiesa, in facie ecclesi”, e il matrimonio avveniva così, davanti alla facciata della Chiesa, davanti alla porta della Chiesa, non dentro. Dopo poteva esserci la Messa, forse è anche per quello che la benedizione che era rimasta nel matrimonio era… se noi la facciamo come precedente all’ultima edizione tipica hai il rito del matrimonio dopo la Liturgia della Parola e la benedizione degli sposi dopo il Padre Nostro. Può avere un senso buono però distante dal rito del matrimonio. Forse era molto più distante perché prima il matrimonio era già fatto fuori dalla porta della Chiesa, poi si entrava.

In ogni caso, c’è anche questa pubblicità, cioè il fatto che sia un evento pubblico. Addirittura si invitano i preti a fare un esame preciso delle coppie per vedere se ci sono impedimenti al matrimonio. E quindi l’esame canonico, che sono tutte cose che restano e che anche oggi vengono fatte, e che mostrano un po’ il debito che ha anche il rito del matrimonio nostro, in parte oggi molto mitigato, ma il debito che ha con una storia anche di controversie, di casi particolari.

E ci sono due debiti particolari che ci sono rimasti, due pesi su questa storia del matrimonio: uno è di tipo morale, o meglio direi moralistico, e uno è di tipo giuridico o giuridicista, per dire come sono due componenti del matrimonio ma che sono diventate preponderanti fin quasi in maniera eccessiva.

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La deriva moralista, anzitutto, sul matrimonio. Perché il matrimonio, all’inizio non è importante come è celebrato ma semmai come lo vivi. E la Chiesa continua ad insistere eventualmente sul modo di viverlo. Anzi, avrà il problema di giustificare la bontà del matrimonio, come sentiamo. Pensate che perfino nel Concilio Lateranense quarto, e siamo nel 1215, c’è un testo in cui la Chiesa dice “guardate che anche chi si sposa e vive onestamente e bene la sua vita di sposo può raggiungere la beatitudine”. Cioè deve difendere e tutelare che, insomma, i poveri cristiani, laici peraltro, ma in questo caso anche sposati, possono avere una via anche loro. Non purtroppo, ecco, per essere… Però questo resta, e tutto sommato, se c’è addirittura bisogno che un Concilio intervenga, e ogni tanto ce n’è bisogno sul tema, vuol dire che, al fondo, il pensiero comune non và in quella linea lì, non scrivi ciò di cui non c’è bisogno.

Vuol dire che, al fondo, c’è stato un grosso pregiudizio di tipo moralistico sul fatto che, insomma, ciò che riguarda la corporeità e, in particolare, la sessualità, sia qualcosa da arginare, sostanzialmente, qualcosa che obnubida la capacità dell’uomo, la passione che rende meno ragionevoli, che trasporta, e quindi quando vivi momenti di passione sei meno uomo, meno donna, meno persona. E quindi, questo pregiudizio ha pesato molto, pesa anche oggi. Veniva mitigato sapete come? Dicendo “bè, in fondo sposandosi si cercano dei beni che compensano questo limite”. Allora il bene primo è la prole, cioè abbiamo bisogno di figli e in qualche modo accettiamo che due si sposino, per avere figli devono fare quello che bisogna fare, e quindi… Ma poi il matrimonio porta un altro bene, cioè quello della fedeltà, cioè che i due devono non avere rapporti al di fuori. E poi il terzo vantaggio del matrimonio che compensa questa cosa è il sacramentum, ma inteso non in senso sacramentale, anche se la parola questa ambiguità la possa giocare. Cioè come giuramento, cioè l’idea che il matrimonio è indissolubile. Ecco, questo è l’altro vantaggio che il matrimonio cristiano ha, per cui con questi tre beni compensiamo questa visione un po’ negativa del matrimonio che resta al fondo.

A dire il vero, un’ipoteca un po’ moralistica resta fino ad oggi, fino a noi. Oggi, per esempio, i tre figli del matrimonio non si presentano più in questo modo. Capite che qui è assente, per esempio, l’idea che la vita di coppia abbia un senso, o è in funzione della prole o del non averne altri, ma che abbia un senso in sé buono sfugge, nessuno più lo presenta così. Però, tutto sommato, l’impressione di tanti giovani, per esempio, che oggi si sposano, è che la Chiesa ha un cumulo di divieti che ti pone davanti, per cui del matrimonio cristiano quello che immediatamente percepiscono spesso è che non devi fare questo, non devi fare quell’altro. In effetti è una deriva non colpevole, perché appunto ha dietro secoli di attenzione maggiore a questi elementi che ad altri, forse dati per scontato. Non si vede altro. Oggi la morale poi è su temi di sessualità, su temi di morale familiare ecc., sembra che parta da categorie metafisiche e tira giù tutto con una maniera lineare, non tutti quelli che fanno morale, ma a volte quando invece si vivono realtà anche in coppie molto molto complesse, e probabilmente dovremmo ripartire forse da un presupposto diverso, nuovo, per comprendere meglio quella che è la ricchezza del matrimonio perché, paradossalmente, il matrimonio si può vivere bene anche se lo pensi male. Cioè, anche se non sai giustificarlo teologicamente o antropologicamente, perché è una realtà che ha vita propria, per fortuna.

La seconda deriva grande che ha subito in questo decorso storico è la deriva giuridicista, dicevamo. Cioè, l’essenziale del matrimonio è stato consegnato anche, da una parte alla morale che controllava di salvare il salvabile, dall’altra al diritto. Cioè, il problema dei matrimoni erano i matrimoni clandestini o non clandestini, cosa lo fa valido e cosa non lo fa valido, la forma canonica, lo posso sciogliere o non lo posso sciogliere, lo posso dichiarare nullo o meno. Anche qui una dimensione essenziale, c’è anche la dimensione canonica dentro un matrimonio. Che ci dev’essere, dev’essere

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garantita, perché un matrimonio deve avere rilevanza sociale, intersoggettiva, pubblica. Sennò alla fine perdi anche il senso del matrimonio, probabilmente.

E uno dei problemi dei matrimoni di oggi è che sono al contrario, forse per reazione fagocitati in una logica romantica o post romantica che diventa soggettiva, per cui sembra attenti che ci si sposi solo perché ci si vuol bene. Detta così sembra una cosa giusta, ci mancherebbe altro, però, appunto, la controparte è: quindi quando non ci vogliamo più bene non ha più senso. Cioè, non ha più un valore istituzionale, non è protetto questo gesto, che è esposto come tutto il voler bene nelle persone a variabili, perché anche alla mia comunità posso volergli bene ma certe volte può anche darmi… Però, insomma, appartengo… ho fatto un voto, una promessa, ho cose che mi sorreggono in questo. Se noi consegniamo anche il matrimonio solo all’idea che è un moto dell’anima è esposto ad un sacco di fatiche, di difficoltà maggiori, di pericoli anche. Quindi, in un certo senso, la dimensione giuridica và… Però, caspita, è stato tutto spesso ridotto a questa dimensione. E anche oggi non sappiamo a volte affrontare le problematiche di oggi se non alla luce del diritto. E allora alla luce del diritto diciamo che una coppia è irregolare. E dici: “caspita, che bel nome”… No… “ti invito ad educare cristianamente i figli ma tu sei irregolare”.

Non so se dovessimo trovare anche altre modalità… lo stesso tema delle seconde nozze, come le impostava la Chiesa antica, che poi ora diciamo la Chiesa orientale, potrebbe essere rivisto ma credo che in quel caso deve essere dato primo spazio ad una riflessione teologica, non al diritto. Il diritto norma ciò che recepisce, il diritto garantisce che siano osservate le caratteristiche di un matrimonio che non decide lui cos’è. Ma il diritto della Chiesa ha come carta fondamentale, per esempio, il Codice dell’83 ha come carta fondamentale il Concilio Vaticano Secondo, non dice lui come deve essere la Chiesa, l’ha detto un Concilio perciò hanno rivisto anche il Codice del Diritto perché obbedisca a quello che la Chiesa presenta di sé. E allora non dobbiamo fare il contrario e dire “ma il diritto non prevede quindi non si può”. Dovremmo dire “ragioniamo sopra all’esperienza del matrimonio e vediamo che cosa poi di diritto potrà o come potrà recepire.

Ecco, queste sono, come dire, due grandi eredità che sono sorte per motivi anche concreti, va detto anche questo, non è che è una colpa che avessero insistito su una morale o su una visione così molto giuridica. Probabilmente veniva incontro ad esigenze che allora erano prioritarie. Ma oggi pesano sulla nostra riflessione, forse perché siamo anche in un’epoca di transizione, però dovremmo dire anche questo: la riflessione teologica di questi secoli non ha aiutato molto perché, dicevo anche prima, riflettere sul matrimonio è sempre stato un po’ un cruccio perché io dicevo “il matrimonio, secondo me, vive di vita propria”, tant’è che la Bibbia stessa, in qualche modo, lo fa risalire non a Gesù ma alla creazione. C’è già prima di Gesù il matrimonio. Tant’è che non è un’invenzione di Gesù, al massimo Paolo dice che ci si sposa nel Signore, ma il ci si sposa è una cosa normale, c’è prima. E dovremmo dire “allarghiamo lo sguardo altrove, c’è anche al di là della tradizione ebraica, in modi diversi, potremmo anche ragionare su questo, anche questo sarebbe istruttivo”.

Allora si dice “è veramente un sacramento il matrimonio. Se c’era già prima di Cristo, l’ha istituito Cristo? E’ importante che sia vissuto da cristiani”. Certo, allora basta il battesimo che ti fa cristiano a dire vivo cristianamente il matrimonio? O ci vuole un altro rito che dica…? Però uno può anche dire “no, il matrimonio lo vivi a livello naturale, ma adesso va vissuto a livello soprannaturale”. Però questo doppio piano oggi lo usiamo con molta più cautela e per il matrimonio pure diventava problematico perché vuol dire che c’è un altro piano ma in realtà il matrimonio poi lo si vedeva al piano degli uomini e delle donne, addirittura anche appunto con la ritualità. Certo, connotandolo sempre di più in termini cristiani, quindi non solo per il suo rito ma anche per un orizzonte di valori

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complessivo. Però la riflessione si è sempre trovata davanti a questo scoglio di una cosa che esiste già.

Per dirvi, fino alla scolastica, o meglio, la scolastica stessa, la riflessione scolastica nel 1100/1200, fa fatica a dire se il matrimonio ha un effetto di grazia. Dirà che il matrimonio è un sacramento, lo computa nei sette sacramenti, però quando è ora di dire che effetto ha non si sa bene cosa dire. Perché il sacramento pone un segno che realizza ciò che significa. Ora, il matrimonio sembra porre il segno di Cristo che ama la Chiesa, dicono, citando Efesini, ma il matrimonio non realizza questo, semmai è il contrario in un certo senso, partecipa di questo tipo di amore. Allora sembra quasi che non sia un vero e proprio effetto. Tommaso dirà “si, in parte la grazia è contenuta, in parte non è contenuta” con quella formula res significata et contenta, contenuta, e res significata è non contenta, il matrimonio è qualcosa di non contento, non contenuto.

Addirittura andiamo al Concilio di Firenze nel decreto pro proarmenis, che è un testo dove si presenta verso gli armeni come una bozza di quello che è quello che crede la Chiesa cattolica e cioè i sette sacramenti, tra l’altro si descrivono ciascuno per materia, forma, ministro ed effetto di grazie. Battesimo: materia è l’acqua e il lavacro, la forma è la formula del battesimo, ministro ordinario, il prete, e l’effetto è diventare figli, la relazione con la Chiesa e così via. Quando arrivi al matrimonio non dice niente, cambia genere, dice “gli scopi del matrimonio sono questi: il bene della prole e quelle cose lì”, non sa dire se c’è un effetto di grazie. Quindi vuol dire che anche la teologia è stata in difficoltà. Come dire, riempire quello spazio che poi è stato occupato dalla morale o dal diritto. Questo potremmo dirlo almeno a livello di riflessione storica.

Riflessione storica che però, va anche detto, oggi è molto mutata per una serie di ragioni non da poco, anche la visione personalistica che abbiamo maturato negli ultimi secoli, una teologia diversa su tanti fronti, anche quello della creazione, quindi delle cose creaturali, di corporeità, sessualità. E’ un modo complessivo, globale, che si presenta come un recupero di dimensioni che, se stiamo attenti, poi ci sono sempre state, perché quei testi bellissimi che accennava anche Cristina stamattina, insomma, ci fanno dire che non avevano paura i vecchi padri a dire cose belle sul matrimonio. Se poi qualche vescovo era anche sposato e sposava suo figlio che diventava vescovo a sua volta probabilmente l’approccio poteva essere diverso. Ma c’era comunque anche in quell’epoca chi invece poteva valutarlo anche in maniera non così positiva, ecco.

Oggi in realtà le cose sono molto più riequilibrate anche se rimangono alcuni nodi. Torno a dire nodi riflessivi, perché poi non è che la fatica dei matrimoni di oggi dipenda da un nodo riflessivo di questo genere qua, dipende da tutte altre cose eventualmente. Ma anche la bellezza del matrimonio non dipende dal fatto che ho risolto il nodo, magari il nodo mi resta però, di fatto, si vive bene il matrimonio, grazie a Dio. Non è detto che sia così.

Però, per dirvi il segno di un’evoluzione che pian piano si registra… sapete che i riti registrano le evoluzioni molto lentamente, non da poco. Ma il fatto è che, neanche nella prima edizione ma nella seconda edizione del rito del matrimonio, quella che probabilmente nessuno di voi, se si è sposato, ha usato, perché è del 2003, mi pare, o 2004. Non so se qualcuno si è sposato… c’è qualche coppia che si è sposata…? No.

Si diceva prima “io Luigi prendo te come mia sposa” almeno, notate, quella era la formula del consenso tradizionale avvenuta e nel consenso che fa il matrimonio sono presenti i due sposi, non è presente Dio, “io prendo te e prometto di esserti fedele sempre”, è un contratto tra me e te. La

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nuova formula ha cambiato il verbo, “io accolgo te”, si può decidere se sia meglio o peggio, ma forse se ci abituiamo suona meglio. E poi dice “con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre”, c’entra anche Cristo. E diciamo “ma possibile che prima non c’entrasse… “bè… altre cose, ma per dire “guarda che strano, nessuno prima percepiva che all’interno del matrimonio centrasse anche Dio in maniera esplicita. Non nel testo, ecco, quello intendo. Cioè, già lo si percepiva, però questo nasconde un fatto importante, tornerò ad accennarlo, e che è questo: che in fondo il matrimonio resta anche una realtà laica, come dicevo prima, cioè che il matrimonio si gioca nella scelta della condivisione di vita di due persone, dove non è che devo metterci dentro Dio come una certa cosa, ma è proprio lì che è emerge una qualità che fa spazio a Dio, probabilmente. Però, questo fatto che sia una cosa laica ci fa dire anche che il rito stesso del matrimonio, in qualche modo, torno a dire vive di vita propria, ha una forza che non è del tutto governabile neanche dalla Chiesa. Cioè, ha bisogno di esprimersi ad un livello così vero, così personale, e non ci sarebbe neanche bisogno di metterci dentro, sovrapporci, queste cose perché già lì dovrebbe esserci lo spazio per la grazia di Cristo che non necessariamente, appunto, la Chiesa deve metterci lo zampino, in maniera molto esplicita.

Sapesse il segno di questo che resta? Un segno fastidiosissimo per i preti, e non solo, è che il rito del matrimonio è in parte, direi metà, meno della metà, un rito gestito ecclesiasticamente. Più della metà è un rito famigliare, anzi amicale. Quel che succede nel matrimonio il prete decide pochissimo, decide molto di più la coppia. Non solo. Quel che gli fanno alla coppia, non lo decide la coppia, lo decide l’entourage. E non sono goliardate. Alcune sono proprio stupidaggini, però la cosa in sé è una “stupidaggine”, cioè la macchina piena di… le cose… Ma in realtà c’è il residuo di una ritualità “non governi tu Chiesa”, è un caso splendido per gli antropologi, per i sociologi, per gli studiosi del rito, di permanenza di un rito che è religioso senza essere ecclesiastico, che è civile, che è anche in mano, di fatto, autorevolmente alle persone.

E tant’è che tutte le volte che come Chiesa tentiamo di fare delle norme su questo sono norme odiose e poco praticate. Non si canta l’Ave Maria, non si butta il riso… Non è che siano sbagliate ma vediamo che non riusciamo a… ha vita propria, e quindi… Ma non è strano, perché lo sposarsi ha una vita propria. Non è come l’ordinazione del prete che è un atto tipicamente ecclesiale, di un ministero a servizio della Chiesa. Lo sposarsi, come in antichità, poteva capitare anche che io “è vero, sono cristiano, ma mi sposo un altro della mia religione”. I matrimoni misti, c’erano allora e ci sono anche oggi, e che pongono problemi diversi. Però il matrimonio ha una forza in sé che non è del tutto… neanche a livello riflessivo. Però bisogna dire che, proprio tenendo conto anche di questo si è riusciti ad equilibrare una visione del matrimonio che oggi è molto più integrale, molto più positiva.

E anche il rito la registra in parte. Per esempio, il nuovo rito, parlo della seconda edizione, sapete che c’è una seconda edizione del rito del matrimonio, il rito del matrimonio è stato uno dei primi ad essere rinnovati dopo il Vaticano Secondo e quindi è uscito un po’ in fretta, in un certo senso, in una forma anche un po’ povera, senza adattamenti, traduzione del libro latino e così via. Nel 2004, dopo un lungo iter, c’è questa nuova edizione che mostra un coraggio maggiore da parte della Chiesa italiana anche nel tentare un adattamento del rito, di introdurre cose nuove, cose proprie. Per esempio il poter mettere all’inizio una memoria del battesimo. È importante anche per la teologia del sacramento, perché dicevano innanzitutto è vero che, in fondo in fondo, la radice del fatto che il matrimonio sia un sacramento anche, è proprio perché sono due battezzati. Due battezzati in senso giuridico ma anche in senso di credenti, infatti rinnovano la fede del battesimo, non portano il certificato di battesimo, quello lo fai prima, non è che vai in Chiesa ecco… Dico credo perché la

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fede battesimale dovrebbe connotare anche il gesto che ora si fa in maniera celebrativa, quello del consenso.

Ma poi altri riti particolari… vabbè, non accenno a tante varianti che non sono sostanziali nel senso che magari o sono tradizioni diverse o modalità di fare il consenso non dialogato oppure dialogato e così via. Ma ci sono alcune variabili che invece sono di maggiore importanza. Per esempio la possibilità dell’incoronazione degli sposi, anche se io dubito che nella Chiesa occidentale possa avere un grande seguito. Spero anche di no perché in questa fase mettere dentro un rito del genere, che è della Chiesa orientale invece, metterlo dentro da noi verrebbe subito fagocitato in un’ottica che non è rituale. Però, insomma, si capisce invece che aveva un bel senso… potrebbe averlo ancora nella Chiesa orientale. Ma soprattutto la possibilità anche di fare durante la benedizione nuziale la velazio nella versione di Paolino di Nola, cioè quella degli sposi e non della sposa e, meglio ancora, di anticipare la benedizione al momento della celebrazione del rito degli anelli, perché questo è un segno molto importante che equilibra il senso del matrimonio. Anche dal punto di vista riflessivo e teologico, cioè, ti fa dire che il matrimonio è fatto non solo dal consenso ma da un consenso benedetto, potremmo dire così. Cioè da un consenso su cui Dio, nel quale Dio è presente come forza e come garanzia di efficacia di quella scelta, non è una benedizione che arriva a cose fatte ma è costitutiva in qualche modo del farsi del sacramento del matrimonio. Tant’è che se noi fossimo come gli orientali dovremmo dire “il ministro del matrimonio è il prete perché è lui che impartisce la benedizione, e il sacramento deve avere una parola benedicente”. Noi invece diciamo alla latina “no, sono gli sposi che hanno contratto un consenso, a fare il consenso sono i due sposi non il prete” sennò diventa lui, lei, l’altro… non funziona così.

E non solo. Sono state emesse di queste benedizioni anche alcune varianti, per esempio, anche qua è una novità esplicita che dice un elemento molto bello. Una epiclesi, dentro la benedizione, la prima in particolare che è quella tradotta più originale e più antica che abbiamo, si è osato intervenire cambiando il testo e inserendo una epiclesi esplicita, cioè una invocazione dello spirito che aiuti gli sposi a vivere questa scelta che fanno. E diremmo che anche qua finalmente centra anche lo Spirito, perché prima ci hanno messo Gesù e adesso anche lo Spirito, e finalmente gli sposi… cioè, quelli che si sposano con il nuovo rito dovrebbero avere tutta la Trinità dalla loro parte. No, anche prima evidentemente, ma vi leggo il testo. Per esempio “guarda ora con bontà questi tuoi figli che uniti nel vincolo del matrimonio chiedono l’aiuto della Tua benedizione e infondi su di loro la grazia dello Spirito Santo perché con la forza del Tuo amore diffuso nei loro cuori rimangano fedeli al patto coniugale”.

Ecco, in qualche modo l’aver richiamato che c’è un dono di grazia che precede, che è grande, che è eccedente anche, perché non solo precede ma eccede, va anche al di là delle capacità. Vuol dire, per esempio, di un botto, superare una visione moralistica del matrimonio. La visione moralistica fa dire che tu puoi sposarti se sei disposto a garantire, a giurare, a firmare, a dire che vuoi comportarti in maniera giusta. E allora c’è anche l’esame, prima ci sono anche qua le domande “volete essere fedeli? Volete essere…?”. Ok, ma se togliamo da questa decisione, che pure rimane, togliamo che c’è un dato di grazia che è più grande di quella decisione non avrebbe senso neanche, diventeremmo appunti rigoristi poi nel dire “no, hai mancato, sei infedele”, oppure nessuno si sposerebbe, oggi soprattutto.

Ma se stiamo attenti anche nell’ordinazione presbiteriale c’è una grazia che supera le mie qualità e che eccede. Per fortuna, tant’è che per fortuna quando agisco da ministro non sono io a dare la grazia, passa attraverso di me. Non è la mia santità che dà la grazia dei sacramenti. Ma tutte le altre

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cose potremmo dire che hanno sotto una benedizione di Dio che è più importante. Cioè sono sotto una visione scatologica, un evento di grazia, in forza di quanto Dio è disposto, perché ha già realizzato questo suo amore, questa sua fedeltà e dedizione, questo amore che supera le nostre capacità, l’ha già dato, lo offre come garanzia, come contesto di scelta agli sposi, per cui ha senso anche accettare il rischio di una scelta così. Perché è chiaro che una scelta così è un rischio, nel senso che è un’ipoteca positiva sul futuro, “io prometto di esserti fedele per sempre, non so cosa succederà. Buona o cattiva sorte. Però anticipo il futuro, mi metto tutto dentro”. Ecco, una scelta così è chiaramente una scelta impegnativa. Oggi, peraltro, la si sente ancora di più perchè i giovani fanno fatica a fare scelte definitive.

Ma in realtà tutto questo… se noi togliamo da questo la certezza che vi sia anche qualcosa che consente anche il riscatto della debolezza, il riscatto della fragilità, rischiamo appunto di diventare poi eccessivamente rigoristi. E allora, in questo senso, tutto ciò che nel rito richiama la precedenza del dono di Dio è importante, dà un equilibrio differente.

Poi, l’altra questione altrettanto grossa è questa: cioè, in fondo in fondo resta il nodo che dicevo prima. Il segno del sacramento del matrimonio che cos’è? Per il battesimo è l’acqua, dicevamo, per la cresima sarà il crisma, per l’eucarestia il pane e il vino, ecc… E nel matrimonio si dice è il consenso. Allora prendiamo sul serio questa cosa. Il segno del sacramento del matrimonio è il matrimonio, che il consenso è il matrimonio. Cioè sono gli sposi. Non è una cosa che do agli sposi, sono loro, la loro vita, la loro decisione, la loro scelta, e quello è il segno del sacramento, cioè quello è il luogo dove la grazia avviene, non occorre… Ecco perché forse anche nella Chiesa dall’inizio non si sentiva necessariamente il bisogno di fare una celebrazione diversa ma il segno era quello. Il matrimonio è il posto, che era recettivo della grazia di Dio. Perché? Perché ti sposi da cristiano, ti sposi nel Signore, e quindi il Signore custodisce con la sua grazia questa scelta che fai.

Ecco, se noi prendiamo sul serio questo ne ricaviamo anche delle cose interessanti e molto belle, cioè, per esempio, da un lato diciamo proprio questa dedizione reciproca è il vero segno della dedizione di Cristo per la Chiesa. Reciproca quindi la applichiamo nel rapporto tra marito e moglie. Allora dovremmo dire che la grazia del matrimonio è proprio questa, che loro, nella loro dedizione reciproca, sperimentino l’amore di Cristo per la Chiesa. E lo dico citando la quarta formula di benedizione che è un testo nuovo della Chiesa italiana, pare anche interessante per alcune espressioni, è dialogato e dice: “O Dio Padre di bontà nel tuo disegno d’amore hai creato l’uomo e la donna perché con reciproca dedizione, con tenerezza e fecondità, vivessero lieti nella comunione”. Bello, nel senso che non li hai creati perché facessero figli ma perché vivano nella tenerezza e fecondità, ecco, vivono insieme. Poi c’è la prima risposta: “ti lodiamo Signore, ti benediciamo”… “Quando venne la pienezza dei tempi hai mandato il tuo figlio nato da donna a Nazareth gustando le gioie e condividendo le fatiche di ogni famiglia umana e cresciuto in sapienza e grazia. A Chana di Galilea cambiando l’acqua in vino è divenuto presenza di gioia nella vita degli sposi…”. Tutte letture tipologiche, potremmo dire di… un tentativo, come dire, di vedere come Gesù stesso abbia vissuto in quanto, fattosi uomo, l’esperienza sia stata possibile dentro una famiglia e quindi abbia vissuto e confermato la bontà di una vita di coppia e di famiglia.

Fino a questo: “Nella croce si è abbassato fino all’estrema povertà dell’umana condizione e tu Padre hai rivelato un amore sconosciuto ai nostri occhi, un amore disposto a donarsi senza chiedere nulla in cambio”. È anche bella questa, bella letterariamente, perché non ci guasta un po’ di bellezza nei nostri riti, diciamo così, soprattutto nel rito del matrimonio perché per definizione tutte le spose sono belle, arrivano preparate. Ma, al di là di questo, perché è un evento che benedice una promessa

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della vita il matrimonio. Non può essere una cosa che fai di nascosto o per castigo. Ha una potenzialità in sé che è esplosiva. “Hai rivelato però nella croce, o padre di Gesù, una luce sconosciuta ai nostri occhi, un amore disposto a donarsi senza chiedere nulla in cambio”. E potremmo dire: “Ecco l’amore di Gesù per la sua Chiesa, per l’umanità, l’amore di chi dà la vita, di chi sorprende l’altro con questo suo amore, non è il corrispettivo, è di più, senza chiedere nulla in cambio.

“Con l’effusione dello Spirito Santo hai concesso alla Chiesa di accogliere nel tempo la tua grazia e di santificare i giorni di ogni uomo”, quindi la Chiesa vive di questo amore, “Ora Padre guarda N e N che si affidano a te, trasfigura quest’opera che hai iniziato in loro, rendila segno della tua carità, scenda la tua benedizione su questi sposi perché segnati con il fuoco dello Spirito diventino Vangelo vivo tra gli uomini”. E poi “siano lieti nella speranza…”, testi più conosciuti. Ma è interessante questa. Intanto la rimessione dello Spirito fortemente presente, anche questo fa parte di un’evoluzione della Chiesa occidentale, cioè lo Spirito Santo ne abbiamo vissuto ma non gli abbiamo fatto onore, ecco, con la riflessione. Mentre oggi ci accorgiamo che merita di più della nostra attenzione.

Trasfigura: è stata scelta questa parola non, per esempio “eleva il loro matrimonio a…” e volutamente. Perché io conosco anche chi ha scritto poi questo testo, fra l’altro. No, questa parola è stata scelta apposta, che sia giusta o sbagliato non lo so. Però si voleva dire una cosa: che non è che non ci sia niente, non è che ci debba essere un’altra cosa, è quella realtà di amore condiviso, che è segno di grazia. E quindi è il luogo di esperienza della grazia, deve essere trasfigurato, non elevato come se avesse qualcosa di mancante. Trasfigurato per poter essere vissuto nella sua pienezza. Poi non è che necessariamente per volersi bene da cristiani devo prima fare un atto di amore e dire un’Ave Maria. Adesso banalizzo ma, cioè, il vero amore non ha la targa quando vivi un gesto di amore. Non ha un cappello necessariamente. Ma questo lo apprendiamo dal Vangelo. Gesù, quando racconta la parabola del ____________ lascia sorpresi tutti. “Quando Signore ti abbiamo dato da mangiare? Non me n’ero accorto, non sapevo di farlo”. E quindi non occorre che io l’abbia fatto perché vedo nel marito e nella moglie Gesù. Ecco, uno potrebbe anche dire che c’è qualcosa che non quadra in un’espressione così. Ma è la verità dell’amore che è anche la verità del sacramento. O meglio, il sacramento si inserisce nel matrimonio vero per trasfigurarlo e non necessariamente per superarlo. La sessualità, per dire, nel matrimonio, non è troppo, è parte del matrimonio. Che possa essere vissuta bene o male… ma anche la mia intelligenza può essere adoperata bene o male, anche la lingua, le parole che diciamo, tutto può essere adoperato bene o male. A volte fa più danno di altre cose. Quindi non è un problema quello, ma è cominciare a dire: il segno realizzante il matrimonio è veramente il consenso?

Prendiamo sul serio anche questa deriva latina che dice giuridica, apriamola e radicalizziamola. E’ veramente la vita di coppia che si condivide? Si. Allora, per esempio, qualcuno dice o mette in luce questo: la grazia del sacramento è una grazia permanente. Cioè, tutte le volte che io vivo questa vita di coppia sto ponendo il segno del sacramento. Il consenso l’ho messo come atto istitutivo della scelta di coppia quando dico “io accolgo te” ma poi io accolgo te giorno dopo giorno, facendo una vita di coppia, una vita di famiglia, quando stai bene male, quando stai male, quanto abbiamo necessità, problemi, quando litighiamo e ci perdoniamo, e così via. Ecco, ogni volta che si mette in atto questa vita di coppia c’è chi dice “in fondo stiamo mettendo come facessimo il rito del matrimonio prolungato, è il segno della dedizione reciproca che è sotto la grazia di Dio”. E in effetti tutta la vita del matrimonio è sotto questa grazia di Dio.

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Tra parentesi, per svegliarci e poi anche chiudo, era sembrata una barzelletta, una stupidaggine, le vignette che si vedono sulla Settimana Enigmistica, frequento molto questo settimanale per la sera per dormire. E’ anche culturale a suo modo. Ci sono le vignette e in una c’erano due uomini seduti al tavolino del bar e uno dice all’altro “Il mio psicologo mi ha detto che il perdono nella vita di coppia è veramente ciò che cementa la vita di coppia, e allora io ogni giorno cerco di fare qualcosa per cui mia moglie debba perdonarmi”. In effetti è un modo per far funzionare la cosa. Chi ha fatto quella vignetta sarà stato un uomo, direbbe Cristina.

In ogni caso, e qui finisco la mia parte per lasciar spazio a voi… Questa visione più complessiva e più positiva del matrimonio potrebbe proprio aiutarci a dire “Guarda, se è vero che è la realtà di coppia che si crea ad essere il segno della grazia del matrimonio allora devo vederla in termini positivi. E’ addirittura sacramento e quindi, voglio dire, che senso ha quella concorrenza che a volte mettiamo negli stili tra verginità consacrata, celibato, scelte religiose e matrimonio?” E’ reduce di una storia. Non è che sia la stessa cosa evidentemente, una vita di matrimonio e una vita... Ogni tipo di vita ha, non svantaggi o vantaggi, non è sul quel piano che ci mettiamo perché uno sceglie quella che più confà a lui a dire il vero, ma ha delle sottolineature proprie. Però, appunto, entrando in quest’ottica, devo dire “Guarda, lì c’è qualcosa che manifesta il Regno nella vita di coppia”. Tant’è che si dice “sono chiamati a vivere il loro battesimo specificato dalla vita di coppia” e quindi il sacerdozio, la profezia, la regalità… devono essere vissuti dentro la vita di coppia come coppia. E tutto dev’essere… se è qualche cosa che manifesta e regna vuol dire che il Regno sarà fatto anche di questo tipo di amore, non vuol dire che là vivremo come coppie, ma neanche come single, neanche come ordini religiosi.

Mi interessava una battuta che diceva stamattina Cristina… Citavi quel padre che diceva “saremo come angeli” ma non lo riferiva contro il matrimonio per dire… non me lo ricordo più, non me lo sono segnato… Ma per dire, il fatto che si può dire “Ma poi non ci si sposa, saremo come angeli…” Non è che questo voglia dire “allora il matrimonio è una cosa da sopportare e sarebbe meglio non sposarsi” perché quell’essere come angeli non è equivalente ad essere celibi, perché sono celibe ma non sono ancora angelico. E quindi non è automatico. E ci sono delle squisitezze nel volersi bene che possono essere vissute e manifestate proprio a livello di coppia e a livello di famiglia. E questo manifesta il volto di Dio, molto.

Che questo possa avere una pertinenza per quanto riguarda la teologia del sacramento del matrimonio è una cosa tutto sommato abbastanza recente rispetto a questa storia, o meglio, è un filone che c’è sempre stato e che ora tentiamo di riportare alla luce anche se avrà bisogno di molto tempo ancora per assodarsi ancora di più, ecco. Ma alla luce di questo, come dire, primato dato da un lato a Dio, che si fa presente nel matrimonio come garante, come grazia escatologica, come colui che sopravanza il rapporto di coppia. Il rapporto di coppia in Lui è già un rapporto espressivo di una grazia di comunione piena, ma in Lui, in noi sappiamo che c’è tribolazione. Come si arriva poi a tutto questo? Si arriva come dappertutto, ecco. Ma questo è il primato di Dio da un lato, e dall’altro la valorizzazione di quella che è la vita di coppia, la realtà di coppia. Già a partire dal sacramento del matrimonio ci fa dire che probabilmente dobbiamo ridisegnare il ruolo degli sposi in maniera molto più ampia, molto più serena.

Altre questioni, ce ne sono all’infinito sul matrimonio e sui problemi matrimoniali, ma mi pare che farete anche altri incontri, quindi magari possono emergere anche in altri contesti. Però resta quel nodo che dicevo all’inizio che resta insoluto, però può essere punto di forza. Cioè che il matrimonio è qualcosa che precede, cioè un’esperienza umana che c’è. Può essere il punto di forza, perché ci fa

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dire “Guarda che Dio è presente proprio lì”. Cioè non devi necessariamente incasellare tutto allo stesso modo, ecclesiasticamente parlando, ma Dio è presente in quella vita laica, non occorre che facciate della casa una Chiesa per dire che la casa è una Chiesa. La casa è una casa, e quindi vivete come una casa. Certo preghiamo, ma avrei quasi più timore di uno che comincia a farmi l’altarino in casa, in camera… Poi c’è tutta la tipologia e la sacrestia, e la mensa, e la cucina… Poi tutto si presta perché in casa hai tante altre cose che non so come collocarle. Però mi pare una mistica… a volte… non voglio… però mi sembra che, come dire, sia quasi un voler forzare, quasi che non sia riconoscibile altrimenti che la vita di famiglia è una vita cristiana. Ma lo è perché è vita di famiglia, non perché assomiglia ad una sacrestia, in questo senso.

Questo che è il nodo di fondo perché… vi dico una problematica e poi finisco se continuo a dire finisco e non finisco più… Se in fondo in fondo il matrimonio precede la realtà della Chiesa, è frutto della creazione, la Chiesa ha inserito la propria visione del matrimonio, sacramento dentro la modalità in cui ci si sposa, la modalità in cui ci si sposa non l’ha controllata la Chiesa, subito almeno, ma dopo mille anni comincia a prendere in mano la cosa. Ecco, siamo sicuri che oggi non stia succedendo qualcosa di analogo? Cioè che la modalità con cui si arriva al matrimonio non lo controlla più la Chiesa? Solo in parte? Per esempio dicono, insomma, per quel che vedo nei corsi fidanzati, sono fatti per buona metà, se non di più, di coppie che già convivono, ecco, magari che hanno anche un figlio. E noi diciamo: “E’ un segno del degrado o è un segno…? Certo, non dobbiamo neanche penalizzare quelle tre coppie che sono lì, magari, perché no, che tengono duro, e sembra che siano i più stupidi, no? Però è un segno del degrado o è un segno che oggi socialmente si arriva al matrimonio in maniera più complessa? Guardate, nel dirlo uno deve fare anche un passo indietro perché sembra che autorizzino…

Però siamo sicuri di poter controllare noi i meccanismi economici, sociali, culturali, per cui si arriva…? E se queste coppie arrivano al matrimonio, a sposarsi, e poi stanno insieme e durano anche magari, potremmo dire “Ma guarda, hanno fatto un iter che a noi sembra… Però magari… Non è che per caso anche lì ci sia un cambio culturale?”. Non lo so, magari no, magari è tutto libertinaggio. In buona parte ci sarà anche quello, ci sarà chi lo fa, ma non viene a fare il corso fidanzati se non perché lo obblighiamo noi, questo è il limite di una pastorale. “Che per caso il lato umano dello sposarsi non rivendichi delle modalità che sono vicine alle esigenze di oggi? Che le nostre caselle non sanno contenere?”. Insomma, le difficoltà economiche, la fatica anche a capirsi, a scegliersi, l’incapacità di avere un rapporto sano da fidanzati. Ma non sano perché non ci guardiamo negli occhi, cioè, sano perché quando cominci a convivere saltano… cioè, non ti conoscevo, uno arriva a dire così. Cioè pesano in maniera completamente diversa cose che prima invece non pesavano e dici “Ma cosa avete fatto prima?” ti viene da dire, ma nel senso per conoscervi, per capirvi. Però se questa è una difficoltà che la coppia sperimenta capisco che prima di sposarsi abbia il desiderio di capire se possono convivere insieme. Ma attenzione, lo dico e mi tiro indietro perché uno dice “Ma come? Fai il gioco della cultura…?”. No, la cultura fa il suo gioco, ce l’abbiamo già, è questo il problema, non abbiamo dominato noi quel processo lì, sono già così.

Allora dovremmo dire “Aspetta che magari lì dentro ci può essere un crescere della grazia e del resto, quando noi diciamo che non ci può essere tra cristiani un vero matrimonio che non sia sacramento. Il diritto dice che è così. Mi viene da dire “Ma allora se tra due cristiani che si sono uniti e si vogliono bene, e stanno insieme, e non si sono sposati, non è che per caso assomiglia alla Chiesa antica? Sine manum magari? Ed è un vero sacramento anche se non è arrivata in tempo la celebrazione? Ecco che torno alla questione della celebrazione del sacramento del matrimonio. Ecco, se funzionano tutti e tre gli ingredienti siamo a posto. Se funziona solo la celebrazione ma

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manca l’idea di un sacramento e soprattutto manca il matrimonio, ne facciamo tante di celebrazioni ma poi… Ma forse la cosa interessante è che funzionano i matrimoni, e quello è il vero segno senza il quale non c’è né sacramento né la celebrazione ha più senso. Basta, chiudo qua.

* * *

Intervento del pubblico:

Io faccio una domanda relativa a questa ultima cosa che diceva… E cioè che è tutto ________________________ ma c’è un piccolo particolare che come sia nella nostra Parrocchia, per esempio, il parroco lo attesta in continuazione, sia in molte Parrocchie ____________________. Una delle cose che sta succedendo di più è quella di gente che conviveva da dieci anni, vent’anni, giunge a chiedere il matrimonio, a fare il corso di preparazione, poi si sposa e dopo si lasciano. Ed è un fenomeno tanto diffuso da poterlo notare. In Parrocchia da noi quasi tutti, diceva il nostro parroco. E in altre Parrocchie spesso, molte conferme di questo fenomeno. Allora come ci si comporta con quello che Lei diceva prima invece che è esattamente il contrario? Che le coppie che hanno vissuto insieme se non si sposano va tutto bene appunto perché se si sposano due mesi dopo sono già divisi.

* * *

Intervento del pubblico:

Con il nuovo rito, quello della relazione, forse sarebbe da togliere il fatto che ci vuole l’approvazione del Vescovo. Ci vuole l’approvazione del Vescovo per poterlo fare perché sarebbe una cosa da fare assolutamente data l’importanza. Forse sarebbe da non fare come è stato detto ma almeno da spiegare il senso anche dell’incoronazione perché, essendo che riprende dal rito orientale, dice che uno riceve la propria bellezza, la propria corona, perché in quel momento dice che lo sposo la sposa, quindi raggiunge la sua pienezza come Dio lo ha pensato. E quella cosa che è stata detta su chi è il ministro il catechismo mi sembra che sia dedicato, rispetto a come diciamo noi che i ministri sono gli sposi, lì non lo dice. Dice “Nella tradizione cattolica si dice che… Nella tradizione orientale si dice invece che il ministro è il sacerdote”. E mi sembra che non esprima una posizione netta, e questo mi sembra bello perché dice che ci sono due visioni complementari che forse vanno tenute insieme mettendole appunto nel catechismo della Chiesa cattolica e forse nell’insegnamento della Chiesa cattolica si potrebbe, come poi fare il rito se si riesce a capire sia da parte di chi presiede a chi celebra che viene accentuato, che c’è questa presenza anche del ministro perché è accentuato il discorso della grazia che viene. Poi sempre nel catechismo c’è che il sacramento del matrimonio viene messo in relazione al sacerdozio come sacramento in vista della comunione, cioè per la salvezza dell’altro, e quindi forse anche questo aspetto del fatto che uno si sposa perché diventi colui che aiuta la salvezza dell’altro sposo e di tutti quelli che il Signore gli affida. Anche questo sarebbe un aspetto, un insegnamento sul matrimonio che sarebbe da accentuare, che in parte è implicito nel matrimonio perché l’amore verso l’altro vuol dire implicitamente questo, però viene detto in qualche modo che la Chiesa ti affida ufficialmente la salvezza di tutti quelli che tu incontri.

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Risposta di Don Luigi Girardi:

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Incomincio a dire qualcosa intanto così pensate anche ad altre cose e poi… Sul primo intervento, sui casi che succedono, proprio questi casi ci fanno dire che dobbiamo stare molto attenti alla realtà. Perché è una realtà in evoluzione, come dicevo, e noi siamo dentro l’evoluzione, possiamo essere uno dei fattori che orientano questa evoluzione, ma non ne siamo i padroni, non la dominiamo, non siamo noi a… siamo dentro una cultura e lì dentro troviamo gli spazi per testimoniare anche una fede, un Vangelo specifico. Quindi non è male che abbiate anche un incontro, mi pare, con Bagnoncelli, che è un tipo sociologico, e vi presenti cos’è oggi e come viene vissuto. Perché abbiamo tante modalità e anche paradossalità. È vero, ci può essere quella coppia che convive per vent’anni e nel momento in cui si sposa dopo un mese non ce la fa più. Che verrebbe da dire: “Continuate a convivere”, da un certo punto di vista. Perché se è quella la modalità che vi consente un sostegno reciproco, vero… Bè, adesso verrebbe da dirlo provocatoriamente… Però dici: “Caspita, qua c’è qualcosa di strano”. Può essere che lo strano sia il peso giuridico che il matrimonio porta con sé che viene percepito oggi come un vincolo, una cosa che ti dà meno libertà. Non cambia niente, potremmo dire. Eri insieme prima, sei insieme dopo… Ma questa cosa può essere che abbia determinato un sentirsi meno liberi. Questo fa parte… Cioè, quelle persone sono persone del nostro mondo, come noi, che probabilmente devono essere aiutate a vivere le relazioni nel modo più pieno e più maturo possibile. Non perché noi ci riusciamo che siamo bravi, ma perché può essere che lì scatti qualcosa che noi non riusciamo a capire, ci suona anche strano perché… Ma come?

Però va anche detto che ci sono tanti altri casi. Cioè, c’è anche chi sposiamo troppo in fretta e si separa comunque dopo due mesi. Anzi, fanno più male quelli per certi aspetti, perché qualcuno… avremmo dovuto dire “No, non venire in Chiesa. Se proprio vuoi vai in Comune ma non siete pronti, non siete maturi, non siete...”. E invece poi si procede e abbiamo poi le “grane”, no? Di un matrimonio che comunque c’è e il diritto dice che è valido. Se vuoi dichiarare la nullità devi fare un processo, costa, non costa, ma qui c’è chi è più esperto di me…

Però, credo, dovremmo proprio capire cosa succede a livello generazionale, a livello culturale, a livello, peraltro, anche interculturale. Vabbè, noi siamo qui e ragioniamo qui. Se fossimo, non so, in un’altra cultura, in altri posti, in Africa, in alcuni posti dell’Africa, il modo in cui si arriva al matrimonio sarebbe molto diverso dal modo in cui arriviamo noi. Se il Vangelo si piantasse là e si facesse la stessa storia il sacramento del matrimonio assumerebbe quel modo in cui si arriverebbe al matrimonio, che per esempio prevede, magari in qualche caso, la nascita di un figlio, perché è la prova che c’è fecondità nel rito del matrimonio. Allora vorrebbe dire che per sposarsi bisogna essere sicuri che la coppia può generare, quindi genera prima. E però non è a caso, perché c’è un percorso. Voglio dire, questo è un dato culturale, ma non sto giudicando se è giusto o sbagliato. E dovremmo anche forse fare quel passo indietro culturale per dire “Tutto quello che noi leghiamo al matrimonio è tutto discendente dal Vangelo o è il modo in cui la nostra cultura lo ha elaborato?”. Perché se un'altra cultura fa un percorso diverso potrebbe elaborare valori uguali ma percorsi o accentuazioni magari differenti.

Ovviamente questo è un discorso teorico. Noi viviamo in una cultura, ci teniamo quella. Non è che possiamo sognare di un’altra, facciamo la nostra e quindi stiamo dentro lì. Però il problema c’è, non si può negare che oggi, appunto, la vita di coppia si crei, si disfi, si ricrei in modi differenti dal passato. Oggi i fidanzatini cominciano all’asilo, vi constano che uno gioca e dice la mia… e non sa neanche di cosa parla evidentemente. Però capite che razza di mens può giocare nella mente di quelli che poi diventano adolescenti. E non possiamo immaginare che vivano con le logiche di

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cinquant’anni fa neanche, tantomeno di mille anni fa. Quindi il problema è serio, da questo punto di vista.

Poi, ecco, le altre cose segnalate dal secondo intervento… Si, io penso che per la velazione e l’approvazione del Vescovo basterebbe che il Vescovo desse un’approvazione globale a quando è stato promulgato va reso obbligatorio per le Diocesi italiane e dire alle Diocesi “Autorizzo ad usare la velazione”. Non occorre che ogni matrimonio per farla debba chiederla al Vescovo, sarebbe una roba… Anche perché è un segno che recupera la tradizione romana, è un gesto, un rito discontinuo, più continuo di quello che c’era prima però, perché recupera qualcosa del precedente di antico, quindi siamo nella linea, quindi basterebbe questo.

Mentre per il resto, quello dell’incoronazione… Ecco, dicevo, secondo me è bello, il significato è molto bello, cioè non è che… Io non lo adotterei perché secondo me viene fuori un po’ un’idea da Miss Italia, ecco, in quel gesto lì. Nella cultura nostra attuale, non in sé. Ecco, noi non avendolo come sottofondo, a chi metti una corona in testa? Ecco, allora in quel senso lì. Non perché non abbia senso, ce l’ha eccome.

Gli altri aspetti sono giustamente cose interessanti. Il ministro, dicevo, noi abbiamo sempre messo gli sposi, il catechismo tiene la doppia versione e non c’è da scegliere obbiettivamente facilmente, ecco, la visione cattolica tipica dice “e… e…”. No ecco, tiene sempre insieme… Perché è vero che c’è una ministerialità complessa, se non ci fossero gli sposi non farebbe niente il prete, ma gli sposi da soli probabilmente cercherebbero, come è stato nella storia, un segno per loro. Perché comunque io sono ministro del matrimonio non perché lo do a me ma perché mi consegno all’altro e ricevo l’altro, meglio, no? “Io ricevo e accolgo te, quindi ho bisogno…”. Un sacramento non si dà a se stessi, non è che se lo fanno in coppia il sacramento. E quindi, come io ho bisogno dell’altro, insieme ci rendiamo conto di aver bisogno di questa apertura alla grazia di Dio e quindi la ministerialità della Chiesa esprime proprio questa dinamica. Allora non c’è bisogno di dire “o sono gli sposi o è il prete”. Sono tutti complessivamente. Spostare la benedizione e metterla lì nel momento del consenso forse proprio esprime questa visione integrale, non senza fatica.

Poi le altre osservazioni sono interessanti, corrette, cioè si possono applicare… Io accennavo prima a come in quel caso era famigliare il ___________, per esempio, di Giovanni Paolo II che diceva “vivere in coppia le caratteristiche del battesimo come la dimensione profetica, sacerdotale e regale”, quindi il sacerdozio anche, che appunto è della vita di coppia, quindi nella modalità della vita di coppia. Sono profeta non perché faccio la lettura ma perché aiuto me e l’altro a vivere e a tradurre e a recepire quella parola che la Chiesa ci consegna, che le Scritture ci testimoniano e così via, e sono sacerdote perché con l’altro offro me stesso e aiuto l’altro a vivere questa donazione, sono regale perché faccio regnare la carità.

* * *

Risposta Cristina Simoncelli:

No, semplicemente, a margine di quello che hai detto come prima risposta non si negano, ovviamente, la fattualità, la realtà di questi casi che vengono riportati. La generalizzazione di quell’esperienza fallimentare non lo so se è statisticamente e scientificamente reale dico, non lo so, dico proprio non lo so, ma in certi casi sospetto che un atteggiamento ancora di non voler perdere la metris come diceva Don Luigi, ci porti a considerare, magari, non voglio dire più volentieri perché magari dispiace, ma più volentieri le cose negative di un certo tipo di modalità che dell’altro.

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Parlavamo nell’intervallo, un conoscente comune, iniziando due/tre anni fa, quindi non vent’anni, un corso per fidanzati diceva, forse una serata storta, però diceva “Eh lo so. Voi la metà di quelli che siete qui già convivete, a buona parte degli altri non gli interesserà niente di quello che dico… bon, cominciamo”. Ora, ammettiamo che fosse una serata no, però, ecco, voglio dire, forse molte volte… mentre in realtà alla Diocesi di Verona abbiamo avuto un glorioso sinodo dieci anni fa e anche la trama normale, quindi non persone di punta, la trama normale dei parroci che partecipavano assieme agli altri a questo sinodo, riconoscevano che più della metà dei partecipanti, come è stato detto ai corsi per fidanzati, sono già conviventi. E allora… però questo chiederebbe, appunto, di rivedere anche gli archivi nostri su tante cose.

Un’altra cosa che però è un’ulteriore questione… non un’ulteriore questione, un aneddoto che mi sembrerebbe… mi sembra simpatico citare in merito a una delle tante interessanti cose che hai detto, quella sul matrimonio come rimedio della concupiscenza.

Allora, ho da poco visto, perché ho notato che anche a me era sfuggito come a molti altri, della presenza di uditrici al Vaticano Secondo. Dice che gli addetti ai lavori stretti lo sapevano da sempre però diciamo, a livello di grande diffusione non era tanto noto. Tra questi c’era una coppia, cioè il ditricile era lei insomma, ma anche il marito, una coppia messicana, i Casa Mendoza mi pare si chiamino di cognome, adesso non ricordo di preciso, e nei circoli in cui discutevano sulla gaudio _________ sarà stato portato il tema tradizionale del matrimonio come rimedio della concupiscenza. Allora lei ha alzato la mano e ha detto “La prego, no. Guardi, io ho tredici figli, perché…” – strano, tredici figli – “guardi, neanche uno è figlio di concupiscenza ma dell’amore tra me e mio marito. E creda, Eminenza, io sono convinta che anche Lei è nato dall’amore dei suoi genitori e non dalla loro concupiscenza”. Comunque non ce l’hanno messo eh! Non c’è, l’hanno tolto, almeno quello dalla gaudio ___________ l’hanno tolto.

* * *

Intervento del pubblico:

Intanto grazie. Grazie davvero tantissimo, insomma, anche se veramente oggi assistiamo, diciamo così, perfino allo sfascio delle premesse del matrimonio, ecco. E quindi di questo poi parleremo in seguito… Però mi pare che ne venga anche un po’ di ottimismo dalle vostre relazioni.

A te potrei chiedere, ma in futuro poi quando ci incontreremo, è una domanda che qualcuno si può rispondere, quando accidenti è entrato quell’accidenti di elenismo nella mente anche di tanti Padri, perché è ovvio che la nostra speranza è di ritorno alla visione della vita, della sessualità __________________ e con essa poi la vita rigorosamente e solo biblica, ebraica no. Perché senza il resto a quanto pare anche le lotte controtendenza agnosticheggianti, eretiche, non sempre poi hanno sortito un effetto capace di cambiare la mente no, dei dottori della Chiesa, qualche ripercussione no. A te mi viene da dire questo “si può dire, forse, che la benedizione primordiale delle nozze, che è profeticamente un anticipo della benedizione data all’umanità in Cristo della Chiesa, no, è Lui insomma, l’archetico no, la tradizione greca insomma, di fatto fluisce, continua a fluire nonostante il peccato nelle nozze, nell’amore umano, comunque voi siete _________ nella forma in cui viene sigillato il patto nuziale e nel medesimo tempo nel matrimonio cristiano ritrova tutto il suo vigore, tutta la sua sostanza, non esclusiva ma inclusiva, per così dire, delle altre esperienze.

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Mi spiego. Mi veniva da pensare, ecco, con riferimento… anch’io adesso la vedo in modo positivo, tendenzialmente positivo, le tante esperienze d’amore che possono poi portare al matrimonio. Da tanti anni, volenti o nolenti, seguiamo i corsi prematrimoniali cosiddetti in Parrocchia, e tante volte abbiamo verificato che in realtà vi è un cammino. In questo contesto di estremo caos, nel quale però la grazia agisce, possiamo dire con speranza che chi come noi ha ricevuto il dono del matrimonio, tra l’altro vivendolo nell’evocazione dello Spirito Santo, rito che abbiamo vissuto con Dossetti, rito speriamo corretto a livello canonico, insomma, ma nel quale era accentuato a dismisura l’epicresi, addirittura nel nostro matrimonio, in altri, precedente il consenso nuziale, cosicchè ________________ era dato alla grazia proveniente che è la sostanza dell’etologia di Dossetti, ecco.

Possiamo dire che questo possa essere vissuto nella speranza, e sapendo che il nostro matrimonio funziona per quello, non per altro, non mi in modo, per così dire, esclusivo ma inclusivo, e quindi con una testimonianza del fatto che l’amore, dove c’è l’amore, c’è Dio e che nelle forme e nei modi in cui il Signore chiama all’amore gli uomini del mondo, anche con riferimento al dialogo ______________ perfino, perché poi in realtà non l’avete cambiato in questo senso.

C’è però una chiamata profetica del cristiano che, se vissuta nell’umiltà, nella percezione che tutto quanto viene da Dio, possa essere un segno di speranza, di confronto, e speriamo di redenzione di grazia alle forme e nei modi in cui la grazia eccedenza la Chiesa, si manifesta nel mondo?

* * *

Intervento del pubblico:

Mi ero posto anch’io nella stessa linea appena accennata proprio per, appunto, per questa esperienza di incontro con queste coppie che magari chiedono di sposarsi e già conducono una vita matrimoniale molto onesta, con regole, alla quale… per cui, anch’io mi ero chiesto se non è bene che l’uomo sia solo nelle origini e si senta questo fatto che Dio stesso conduca l’uomo alla sua sposa, e quindi questa condizione, si diceva prima, primordiale, non fosse già presente, ecco, in tutta l’umanità. L’essere fatti ad immagine di Dio, e quindi questa componente già non soggiacesse nel tessuto profondo della vita dell’uomo e della donna. Sembra pensare appunto che tutto poi viene riepilogato dal fatto che tutto questo è stato già fatto in Cristo, ecco.

Quindi, ecco, in Cristo tutto questo è avvenuto, e quindi che cosa c’era da aggiungere di più? A mio avviso semplicemente il fatto di far scoprire a queste persone quello che è uno slogan, “Diventa ciò che sei”, ciò che è già operante nella loro vita grazie a questa preesistenza della vita di Cristo in loro potesse in qualche modo emergere attraverso un incontro più preciso, più fondato, su quelle che sono ____________, come diceva giustamente con grande enfasi prima, appunto.

E quindi io… mi pare che ci debba essere ben altra attenzione da parte della Chiesa oggi nella direzione di queste… altro che dire “Mah, faccio il corso” e metà sono gente che convive. Ma come? Il discorso è: se è gente che è già all’interno del cammino e se ti fa una richiesta vuol dire che è sensibile, sta a te sacerdote, comunità cristiana, farli progredire nella condizione di una conoscenza maggiore di quello che è il dono che già possiedono, ecco.

Quindi è proprio in questa linea che io mi inserivo, stando attenti anche a certi legalismi che permangono nella Chiesa che non hanno veramente senso. Io mi trovo nella condizione di un giovane sposo, che ovviamente ha un figlio e convive, e chiede il battesimo. Ora qual è il problema

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che nasce? È che il battesimo, appena battezzato, viene subito a sposarsi. Che io dico, siamo un po’ in là, perché lasciamo che maturi questo cammino verso il battesimo e dato per cui c’è questa condizione che, appunto, ho già cercato di dire, non è che da un rito che si battezza, al fatto che dopo, magari, ha un rapporto con sua moglie e commette peccato. Perché il problema che colgo è questo qui. Si battezza, è completamente, a questo punto, innocente, purificato, riceve la veste candida e dal quel momento li commetterebbe un peccato di adulterio, insomma di fornicazione, non so come dirlo, ma insomma, invece di dare tempo di maturare ulteriormente un matrimonio altrettanto forte dal punto di vista cristiano. E qui siamo veramente attaccati al ridicolo.

Intervento del pubblico:

Di cose ne sono state già dette e chieste fino ad ora, ma dico solo una piccola cosa, in riferimento alla relazione e cioè, faccio una domanda, diciamo così, di cartina tornasole: si vede come, in questa questione, il cambiamento di linguaggio, per esprimere la realtà che si vuole descrivere, denota in realtà un cambiamento profondo di percezione della realtà stessa, non è solo un aggiornamento. La domanda è questa qua: al termine della tua relazione, la domanda formale dal punto di vista, se si può dire, ideologico, qual’è l’effetto della grazia del sacramento? Nella prospettiva che tu hai detto, che cosa si può rispondere in due parole? Secondo me questa domanda con le categorie non si riesce più a rispondere. Bisogna cambiare orizzonte e linguaggio, per avere una percezione diversa della realtà e della vita e delle riflessioni che sono state fatte in questi due momenti.

* * *

Risposta di Don Luigi Girardi:

Comincio a rispondere. Poi non so quanto tempo, per quanto si resiste nella vita, cioè, per quanto prevediate.

Sui primi due interventi, tra l’altro che sono abbastanza simili ed anche il terzo mi pare ci sta dentro in quell’orizzonte, potrei rispondere con la battuta su, come dire, sulla fatica a volte di incasellare tutto. Noi abbiamo il matrimonio valido, rato e consumato, indissolubile. Concepiamo il matrimonio valido, rato e non consumato, ma oggi abbiamo quello consumato, ma non rato; ed in effetti, questo non è matrimonio, lo qualifichiamo…. Però pensate anche questo, come adulterio: allora, pensate di avere davanti queste coppie di corso fidanzati e voi cosa siete, una forma di adulterio. Ma per carità non è questione di vocabolario, ma proprio di modo di leggere l’esperienza, il problema non è che devo dire neanche “va bene così”, che torno a dire quelle povere coppie che invece si comportano secondo quel che credono e che è giusto per loro, rischiano di sembrare dinosauri di un’epoca. Però dovremmo avere forse anche un attimo di pazienza e capire come questa realtà possa essere interpretata e aiutata, perché non è automatico che sia vissuto bene anche questo loro percorso e, quindi, deve essere comunque… Per esempio, quel che dicevo prima oggi, il matrimonio rischia di aver perso o di perdere in fretta le connotazioni istituzionali. E questo è, radicalmente, un limite grosso, una debolezza di un rapporto che poggia solo sull’umore, sul volersi bene e non poggia su scelte, sul fatto che una società, per esempio, ti garantisce che se tu sei moglie dell’altro non sei terreno di caccia per chiunque. Le società antiche usavano i cosiddetti “tabù” che, nell’ordine antropologico, sono cose normalissime, il modo in cui si normano le cose, per dire che ci sono delle cose in cui, piaccia o non piaccia, tu le preservi, le rispetti. E da questo punto di vista, aiutare anche le coppie a dire no, aspettate e vediamo come potete essere aiutati e preservati in un rapporto che volete costruire.

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Però, appunto, tolta questa fatica di leggere o di trovare le categorie, a me sembra che sia possibile andare nella direzione che suggerivano i primi due interventi, peraltro non sono solo io, per esempio un autore di teologia sacramentaria, Franz Josef Nocke, Un tedesco, va in questa direzione con molta disinvoltura per esempio, cioè pensare appunto al dono di Cristo come al compimento supremo dell’amore, che si irradia in tutte le esperienze di amore. Dei cristiani? Perché solo dei cristiani? Lo Spirito è dato solo ai cristiani, oppure è fuso sull’umanità intera? Allora, se in qualche modo lo Spirito raggiunge tutti, anche coloro che la Chiesa non ha ancora trovato il modo di raggiungere, può essere che anche lì vi siano esperienze di amore dove si irraggia questo amore di Cristo, totale, questo amore oblativo e sconosciuto ai nostri occhi, che non chiede nulla in cambio, che dà tutto. Tant’è che noi possiamo rinvenire in tanta parte dell’umanità un tipo di condivisione di vita di coppia e di amore, di fedeltà, di apertura alla Bibbia, di sostegno, di dedizione, anche nella sofferenza, anche nel rifiuto dell’altro. Possiamo trovare tutte le esperienze non necessariamente solo cristiane.

Da questo punto di vista è vero che l’amore di Cristo salva anche quelli; cioè, è inclusiva questa grazia, questa benedizione. Qui ci vuole anche un minimo di accortezza teologica, perché tutte le volte che diciamo così sembra che svalutiamo l’essere cristiani: allora non cambia niente? Essere cristiano o non esserlo, sposarsi o non sposarsi in Chiesa, tanto vale che uno faccia la sua strada… Questa è una conseguenza non necessaria, però, se ci fosse, da evitare, perché non è neanche vero… a parte che io posso dire che è inclusivo perché conosco l’amore di Cristo, se non lo conoscessi non potrei neanche dire che è inclusivo dell’altro. Quindi ci vuole! Non solo, proprio perché è Cristo la fonte dell’amore, tutto ciò che mi porta a Cristo mi sostiene, mi sorregge, mi guida, mi amplifica queste capacità. Inoltre, io come cristiano so che la fonte dell’amore è Dio e sono chiamato ad annunciare questo, a vivere di questo e ad annunciarlo come la più grande fortuna per tutti. Non impedisce, quindi, che io debba portare un annuncio, un lieto annuncio e vivere di conseguenza. Anche perché devo scoprire cosa voglia dire tradurre l’amore oblativo di Cristo nei casi concreti della vita, perché, nell’economia, nella gestione economica di una famiglia, nella gestione delle scelte, mica è così facile dire “noi siamo una famiglia cristiana, quindi, facciamo la raccolta differenziata”. E uno dice, perché no…è vero, è un atto di carità, per le nuove generazioni, non inquiniamo. E’ vero, però, quante altre espressioni e non solo, ma questa forse sta diventando la più impegnativa o lo potrebbe essere. Quante altre modalità e su quante altre potremmo discutere. Prendo casa qui e non là! Una casa così e non cosà! E avanti.

E quindi, essere cristiani non dà un vantaggio automatico perché tu sai subito cosa fare. Magari la tua traduzione in scelte concrete non è all’altezza. Hai un vantaggio, sai dove attingere al Vangelo di Cristo, ma non è detto che ti è risparmiata la fatica del discernimento e della traduzione di amore vero e concreto nelle scelte che fai. Ecco allora, in questo senso, l’amore di Cristo è veramente ciò che riempie ogni cosa che è segno di esso.

Nell’Antico Testamento, il rapporto sponsale diventa simbolo dell’alleanza, ma non solo simbolo, è anche un modo per fare esperienza dell’alleanza. E’ per quello che la fecondità è importantissima. Perché Dio ha promesso ad Abramo una discendenza: ogni figlio che nasce è la benedizione, la promessa. Quindi non è solo, come dire Dio ci vuole bene così come noi ci vogliamo bene, oppure viceversa. No è che nel vivere la vita di coppia, noi simboleggiamo e traduciamo e sperimentiamo la grazia del Signore che ci dà fecondità, ci dà fedeltà e così via.

Se Cristo ha compiuto l’alleanza, la vita di oggi di una coppia che crede in Cristo, è riempita ed è partecipe di questa alleanza, di questo compimento, di questo amore, che è un amore oblativo,

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sconosciuto ai nostri occhi, un amore che supera le mie capacità limitate, che integra anche i miei peccati, le mie infedeltà, che mi dà capacità di trascendere e superare e così via.

Ecco, allora, la capacità del rapporto di coppia di essere simbolo di Cristo dipende dal fatto che Cristo ama così tanto. Cristo ama così tanto tutti! Tutti, in un certo senso, possono diventare in qualche modo traduzione di questo amore di Cristo per l’umanità.

E’ inclusivo! Non dobbiamo essere né gelosi, né invidiosi dell’amore, perché questa sarebbe una visione gretta, umanamente e cristianamente. E tutte le volte che diciamo “è ma i cristiani si vogliono più bene”. Dobbiamo capire cosa stiamo dicendo! Cioè, i cristiani possono avere il Vangelo dell’amore e possono anche volersi bene, abbiamo tantissime testimonianze di martiri, dedizione etc., ma non è detto che i cristiani, perché sono cristiani, automaticamente sono più bravi degli altri nel volersi bene. Il Vangelo è pieno di attenzioni in questo senso, come quello di oggi che ci dice: “non perché sei fariseo o perché appartieni alla stirpe Dio sei garantito. Dio può far sorgere figli di Abramo anche da queste pietre”. Scardina l’idea che l’appartenenza ad un popolo o ad una Chiesta, in questo caso, sia automaticamente l’idea di essere migliore degli altri.

E se io trovo esperienze autentiche d’amore, potrò aprire gli occhi di queste persone e dire: “guarda, sono contento. Imparo, godo di questo amore. Ed io credo che la fonte di questo amore, ad esempio, sia il Dio che io ho conosciuto ed in cui credo e te lo annuncio, perché io vivo e cerco di vivere questo amore, come te, come posso io, ma attingo a questa fonte”. Ecco, dicendo così, in un certo senso, si trasfigura l’amore, usando quella parola di prima, cioè non è che dico l’amore era imperfetto, era impreciso, ci manca qualcosa. Ti do quanto può consentirti di cogliere la vera natura e profondità e, quindi, di far venire fuori la vera figura più piena dell’amore, credo. Però resta vero che, anche lì dentro, non posso pensare che sia lontano Dio, sarebbe strano. E quindi, in qualche modo, possiamo credo avere una visione, come dire, inclusiva. E credo che questo sia anche una buona, una strada possibile dovrà trovare forme giuridiche, perché non è dominabile questa strada, cioè da quand’è che il matrimonio diventa sigillato, diventa sacramento? Intanto cominci, cominci ad abituarti, cominci a vivere insieme, infatti comprate casa, andate lì; cioè, dovremmo anche dire ad un certo punto, c’è un punto in cui istituzionalmente avviene una scelta, una decisione. Ed è un punto delicato, perché può succedere che non appena avviene quello, si rompe l’equilibrio paradossalmente. Però, appunto, i casi non sono tutti uguali.

Credo sul serio che il modo in cui si arriva al matrimonio possa essere vissuto e visto con questa progressività. Non perché dobbiamo dire dovete fare così, va bene fare così, è giusto fare così, perché di fatto già lo fanno; è un modo per reinterpretare il cammino che già fanno. Se una coppia non fa così, non è che non faccia niente, se vive un fidanzamento serio, onesto, in tutto, caspita fa quel che può fare in quel momento, per prepararsi a vivere il sacramento del matrimonio, anche una coppia di fidanzati che non convivono necessariamente. Quando hai una coppia che vive questo percorso, puoi leggerlo in una chiave di questo genere. Anzi, se non lo leggessimo così, sarebbe da mandar via e dire, non avremmo una proposta di Vangelo. Invece abbiamo una proposta di Vangelo che accoglie quanto di buono c’è e vi porta a di più, vi porta a questo cammino.

Ovviamente è una strada delicata, è una strada che richiede equilibrio e che rischiamo, come dicevo, di buttare a mare una prassi e di far spazio: “allora ognuno fa quello che vuole”. Nessuno ha detto così. Non è che si dice: “va, prendi la prima che capita, prova e dopo vediamo se…”. No, non è così. Ma neanche la gente fa così, salvo i più strambi. Ecco per cui, in questo senso sarebbe forse la…. Che poi succedano casi particolari, questo fa parte della varietà, ecco il caso citato dal secondo

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intervento qui era carino, questo qua che si sposa…. Ma c’è anche, mi è stato detto non so, indicazione cristiana di un adulto, quindi si converte, vuol farsi cristiano, ma è già sposato, allora viene il Vescovo, fanno la celebrazione, e il Vescovo lo battezza, fa la Cresima e poi va avanti con la Messa e poi arriva alla Comunione. E il Parroco lo ferma: no! Non faccia la Comunione al neofita!

Perché era già sposato sì, ma con una divorziata! E allora, fin che non era battezzato, era affar suo, dal momento che lo battezzo, l’ho fatto diventare irregolare e non può far la Comunione. E che strano! E’ un caso assurdo! Perché io non credo neanche che sia trattabile così perché, allora, avremmo dovuto dire “non devi essere battezzato”. Perché il Battesimo perdona tutto diciamo, anche il peccato originale, che non so dove pescarlo e quello lì no, ci è sfuggito. Cosa stranissima, non funziona, e questi sono i casi della vita su cui è meglio sorridere e domandarsi perché oggi ce ne sia una varietà enorme, non è strano che si presentino.

Sono anch’io dell’idea che, se capisco bene l’ultimo intervento, che le categorie tradizionali potrebbero anche essere riviste, non sempre funzionano bene per i sacramenti. Quindi, materia, forma, Ministro, effetto della grazia, quelle categorie sono debitrici, su uno sfondo vagamente metafisico, ma di termini di categoria applicati a cose, con elementi molto puntuali. La materia, la forma, è un modo per definire l’identità di una cosa, il sacramento è una cosa o è una persona che vive un’esperienza di grazia, o meglio è Dio che incontra la persona…. Perché se assumo una visione un po’ più processuale, un po’ più dinamica, non mi accontento di un momento che sancisce uno scatto di grazia, ma leggo l’esperienza che la traduce. E allora, forse, le categorie anche le sacramentarie, potrebbero essere allargate.

* * *

Intervento del pubblico:

Cosa centra questo con il matrimonio? E’ pensabile, allora, che ci sia la prospettiva, con i bambini che vengono al Catechismo, di parlare con loro del fatto che, uno dei loro obiettivi, è quello di pensare alla felicità dei loro genitori, al bene dei loro genitori in questo senso. Intesa alla pace, all’equilibrio raggiunto dai loro genitori. Più che all’unità di quelli di prima.

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Risposta di Don Luigi Girardi:

Il tema è interessante ed anche complesso, perché adesso magari arrivano bambini, magari alla Prima Comunione, che hanno quattro genitori, perché si è sposato, risposato, magari è capitato ancora che c’è, alla stessa celebrazione, la mamma di uno che adesso è sposata e che, quindi, è diventata la mamma di un altro, per cui in un certo senso è anche difficile… Però è vero che un bambino può percepire questa cosa credo con una grande facilità, loro stessi contribuiscono alla felicità ed alla realizzazione dei genitori in qualche modo. Quindi potrebbe essere uno spunto educativo, si parte dal basso appunto.

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Risposta di Cristina Simoncelli:

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Ecco, mi unisco solo giusto solo per dire anche una parola su questo. Sì, ovviamente penso che, l’ultima cosa che sarebbe da fare, sia di creare nei bambini un senso di disagio, un senso di colpa o di problema, che magari forse sentono, ma forse non sentono. Forse non è quello il momento di parlare di matrimonio. Quindi, credo che più sono a loro agio, meglio è. Certo con l’altra difficoltà che, questo famoso cantiere dell’iniziazione cristiana nei bambini, che tutte le volte si dice, va rivisto, e poi come sappiamo ci sono catechisti sempre più in ansia, ma non tanto per le situazioni familiari complicate, ma perché c’è un desiderio di chiedere qualcosa e li mandano, però le famiglie non hanno dei riferimenti religiosi chiari, per cui restano sotto una gran fatica ed una gran frustrazione. Comunque, forse in tutto questo sarebbe anche da unire un discorso più ampio che certo non riguarda il matrimonio e la coppia, però parlando di figli e parlando anche di famiglia allargata, sentivo l’anno scorso un economista di cui ora mi sfugge il nome che insegnava a Padova, che diceva, se noi poniamo la domanda sulla tenuta delle coppie in senso di “famiglia nucleare” abbiamo una risposta, ma se noi allarghiamo la domanda in Italia ad oggi, la struttura di famiglia allargata, forse anche in forma larghissima, tiene moltissimo, perché diceva che hanno fatto un’indagine su gli anni, adesso vado a caso perché non me lo ricordo, diversi decenni fa, le coppie che si sposavano, se potevano, se trovavano, andavano a vivere a meno di due chilometri dai genitori di uno dei due, di solito di lei. Cosa molto diversa da Nord Europa ad esempio. Oggi, fatta la domanda sulle coppie conviventi ed anche sui figli single, è grosso modo lo stesso dato: cercano di andare a vivere a non più di due chilometri dalla famiglia di origine.

Allora è chiaro questo centra col matrimonio? Si ed anche no, come diceva la Signora. I figli, la famiglia allargata centra. Nel senso che, appunto, in questa transizione di forme sociologiche, forse dobbiamo anche riallargare le domande. Senza contare, e noi ci stiamo ragionando come se fossimo tra noi, in realtà siamo un mondo molto mescolato e sempre di più. E con questo non riprendo la questione dell’Ellenismo, su cui però avrei molto da dire perché, tornare alle fonti è un conto, indietro non torna nessuno e poi adesso, con tutti i limiti, io sono una di quelle che non ha amato la cosiddetta “lezione di Ratisbona” in cui Benedetto XVI dava un rilievo particolare all’Ellenismo, secondo me criticabilissima e, tuttavia, non credo che questa questione sia soltanto un fattore Ellenistico. Ad esempio, si parla anche di dualismo “manicheo” di origine iranica-orientale, è stato un incrocio perverso di diversi fattori. Poi, però, credo che la complessità delle culture sia da tener presente più largamente ed io trovo interessantissimo quel tema dell’inclusivo, tra l’altro è un termine che mi piace molto e lo uso per dire, tante volte, anche per il canone, dicendo che ritengo che il canone della scrittura sia inclusivo, cioè quello è il canone della scrittura, ma benedicente anche altri scritti che non sono nel canone. E per questo qui sembra che, a margine di tutta questa riflessione, sul rischio di penalizzare una forma cristiana chiusa nella forma inclusiva, a me piace moltissimo una riflessione proposta da Piero Stefani in “Luce fra le genti” in cui commenta alcuni versetti di Isaia 19, in cui dopo oracoli di guerra tremendi, si apre uno scenario, ma voi lo conoscerete molto meglio, si apre uno scenario in cui si dice che in quel giorno ci sarà la strada dalla Siria verso l’Egitto e dall’Egitto verso la Siria. E, adesso non ricordo quale dei due, sarà mia proprietà e l’altro sarà mio popolo eletto, Israele sarà terzo”. Terzo? Benedizione in mezzo a loro.

Allora io trovo, che tra l’altro potrebbe avere molta affinità anche con il linguaggio sacramentale proprio questo termine della benedizione e dell’inclusivo ben al di là del matrimonio, anche proprio per quella che è la possibilità di essere cristiani senza invidia mi piace moltissimo. Ma non soltanto senza invidia ma in forma benedicente, perché questa forma, eucaristica se vogliamo, che riceve e dona benedizione non è perdere l’identità, è un’identità fortissima.