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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE Ottobre 2015 DI CHI È IL POTERE? SQUILIBRI E CONCENTRAZIONE DI POTERE NELLE FILIERE AGRICOLE E COMMERCIALI www.equogarantito.org Uno studio sulla concentrazione del potere e sulle pratiche commerciali scorrette nelle filiere agricole

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALEOttobre 2015

DI CHI ÈIL POTERE?

SQUILIBRI E CONCENTRAZIONE DI POTERE NELLE FILIERE AGRICOLE E COMMERCIALI

www.equogarantito.org

Uno studio sulla concentrazione del potere e sulle pratiche commerciali scorrette nelle filiere agricole

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Promotori e curatori della pubblicazione in penultima di copertinaTraduzione di Elena TrainaEdizione italiana a cura di Equo Garantito - Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale (www.equogarantito.org) e Ctm altromercato (www.altromercato.it)Grafica ed editing: Altreconomia - www.altreconomia.it - Ottobre 2015

AGICES Assemblea Generale Italiana

del Commercio Equo e Solidale

fair trade

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

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PREMESSA 5

RIASSUNTO 7

ACRONIMI 8

1. TEORIE ECONOMICHE, CONCENTRAZIONE DEL POTERE

E CONCORRENZA SLEALE NELL’ECONOMIA ATTUALE 9

a. Come funziona un mercato ideale 9b. Falle nel modello di concorrenza perfetta: oligopolio e oligopsonio 10c. Modelli di concentrazione del potere nella catena del valore 11

2. LA CONCENTRAZIONE DEL POTERE NELLE CATENE DEL VALORE AGRICOLE 14

a. Un quadro globale della governance strutturale delle filiere agricole 14b. Profili più frequenti della concentrazione di potere 21c. Come la concentrazione di potere porta alle pratiche commerciali scorrette (PCS) 30

3. CONSEGUENZE SOCIALI E AMBIENTALI DELLA CONCENTRAZIONE

DI POTERE NELL’AGRICOLTURA 34

a. Le condizioni di vita insostenibili degli agricoltori 34b. Lavoro minorile 36c. L’occupazione precaria e le pessime condizioni di vita dei lavoratori 37d. Il degrado ambientale 39e. La crescente polarizzazione del mondo agricolo 41

INDICE

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

4. LE INIZIATIVE PUBBLICHE E PRIVATE PER GESTIRE

IL POTERE DEI COMPRATORI E LE PCS 44

a. Storia e principi delle leggi sulla concorrenza 44b. Lacune strutturali nell’approccio dominante alle leggi sulla concorrenza 45c. Mettere fine alle pratiche commerciali scorrette: un approccio recente ma frammentario 48d. Le iniziative private per regolare il potere contrattuale dei compratori e le pratiche commerciali scorrette 49

5. PROPOSTE PER REGOLARE IL POTERE DEI COMPRATORI 51a. La nostra visione: assicurare l’interesse a lungo termine dei consumatori, degli agricoltori e dei lavoratori 51b. Proposta 1: favorire un miglior equilibrio di potere nelle filiere agricole 51c. Proposta 2: favorire la trasparenza nella filiera agricola 52d. Proposta 3: rinnovare le linee direttrici europee sulla concorrenza 53e. Proposta 4: creare meccanismi di applicazione delle norme più rigidi per mettere fine alle pratiche commerciali scorrette 54f. Proposta 5: mettere in pratica i principi Commercio Equo e Solidale 55

RINGRAZIAMENTI 57

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prime. I grandi acquirenti ottengono dai venditori una serie di agevolazioni che riflettono il loro potere dominante, così come sconti dal prezzo di mercato che riflettono i guadagni che il venditore trae dall’aumento della produzione, o il passaggio al venditore di oneri normalmente sostenuti dal compratore, come la classificazione dell’allevamento o il rifornimento degli scaffali. Questo non solo incoraggia i rivenditori a comprare dagli acquirenti dominanti, ma offre loro anche dei benefici derivati dal potere superiore in mano a questi grandi fornitori. Rinforza la posizione degli acquirenti dominanti, che acquistano nel mercato a valle a prezzi più vantaggiosi rispetto ai compratori più piccoli, portando all’assorbimento dei mercati di acquisto e di vendita da parte delle aziende agroalimentari più grandi.

A causa di questi meccanismi auto-rinforzanti, che fanno sì che il potere dei compratori aumenti grazie a chi esercita il proprio potere su di loro, l’espansione delle catene di approvvigionamento ha come conseguenza una maggior concentrazione nella produzione alimentare e nelle catene di distribuzione. Come parte del processo d’integrazio-ne verticale che caratterizza complessivamente il settore agroalimentare, sia i grossisti che i rivenditori cercano di assicurarsi contratti di fornitura a lungo termine con i produttori, attraverso l’agricoltura “a contratto”, o tramite espedienti come le liste di fornitori preferenziali; gli appalti pubblici sono sempre più concentrati, così come l’area dalla quale i fornitori di materie prime si espandono dalle reti nazionali a quelle regionali e globali; e sempre più scambi commerciali avvengono all’interno delle singole imprese, come avviene con Cargill Argentina che vende la soia a Cargill Europa, per esempio, al posto che tra diverse compagnie e diverse nazioni.

Il rapporto preparato da BASIC offre uno studio dettaglia-to di questi sviluppi, che distingue le varie forme in cui la concentrazione in crescita sta assorbendo le catene di ap-provvigionamento nel settore agricolo. Ma è la conseguenza della cosiddetta “modernizzazione” delle catene globali di fornitura che importa veramente. Il predominio di ciò che Philip McMichael chiama “il regime dell’alimentazione industriale” - la crescita dell’impero alimentare, secondo le parole di Jan Douwe van der Ploeg - aumenta gli squilibri di

I passaggi di potere nel setto-re agroalimentare ormai sono diventati troppo frequenti e il loro impatto troppo significa-tivo per essere ignorati. Come dimostrato in questo rapporto, i compratori di materie prime

sono sempre più grandi e più concentrati rispetto al passa-to. Cercano di rispondere alle richieste dei loro clienti del settore alimentare aumentando il coordinamento verti-cale e, di conseguenza, esercitando un controllo maggiore sui fornitori. Anche l’industria della trasformazione si sta consolidando. Dopo un periodo iniziale tra gli anni ’80 e i primi anni ’90, durante il quale furono smantellate le grandi strutture di trasformazione parastatali, questo settore si è globalizzato sempre di più ed è passato nelle mani delle aziende multinazionali. I rivenditori globali e le catene di fast food sono in espansione, e hanno conquistato anche Cina, India, Russia, Vietnam e Africa Orientale e del Sud. Le catene di negozi si stanno diversificando, arrivando ad offrire non solo beni alimentari lavorati, ma anche alimenti semi-lavorati e, sempre più spesso, alimenti freschi.

Il processo di concentrazione è un processo che si rinforza da solo. I rivenditori su larga scala preferiscono comprare le proprie risorse dai grossisti e dalle aziende di lavorazione più grandi: acquistando da grossisti e aziende di trasformazione più grandi, i rivenditori abbattono i costi di transazione e hanno accesso a una varietà di tipi di prodotti disponibile allo “sportello unico”; il sistema di fatturazione è standar-dizzato, permettendo ai rivenditori di scaricare l’IVA e la responsabilità dei prodotti; e il packaging e il branding dei prodotti è di qualità superiore rispetto a quello che le piccole aziende di lavorazione sarebbero in grado di offrire. Questo porta a ciò che alcuni autori chiamano un “consolidamento rinforzante reciproco”: più rivenditori su larga scala dominano il mercato dei consumatori, più gli acquirenti di materie prime su larga scala tendono a dominare i mercati a monte.

Inoltre, questo processo conduce inevitabilmente a una corsa al ribasso, ovvero a salari più bassi per i contadini e per i produttori agricoli indipendenti che forniscono le materie

PREMESSAdi Olivier De SchutterRelatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo (2008-2014)

Olivier De Schutter

QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

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tere”, sostenuto dalla formazione di nuove cooperative di agricoltori organizzati, per migliorare il loro potere di contrattazione e per permettere loro di investire nei beni collettivi - dalle strutture di magazzinaggio agli impianti di lavorazione su piccola scala - e di ricevere una percentuale maggiore sul prezzo di vendita. Adesso è chiaro che le due strategie devono essere combinate: la legislazione sul diritto di concorrenza è importante per prevenire l’abuso di potere da parte dei compratori, ma ha i suoi limiti, poiché non sostituisce una migliore organizzazione degli agricoltori né una migliore organizzazione dei mercati perché diventino più inclusivi e socialmente equi.

Il potere nelle filiere alimentari è da sempre considerato un tabù. Certo, il bisogno di migliorare la gestione dei sistemi alimentari per evitare un predominio oligarchico di grandi imprese agroalimentari non viene quasi mai menzionato nei summit internazionali nei quali vengono discussi temi come la fame nel mondo e la malnutrizione. Questo studio colma una lacuna: stabilisce una serie di raccomandazioni che, se messe in atto, porterebbero il settore del commercio sempre più vicino al Commercio Equo e Solidale. Accolgo con piacere questo fondamentale contributo che riapre un dibattito che attendiamo da tempo.

Olivier De SchutterRelatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo (2008-2014)

potere nella catena alimentare alle spese dei settori meno organizzati e più dipendenti: i produttori di materie prime su piccola scala.Visto che un numero limitato di grandi imprese si comporta come se fossero dei “guardiani” del mercato di più alto valore delle nazioni più ricche, gli agricoltori su piccola scala fanno sempre più fatica a integrarsi in queste catene di approvvigionamento, e il divario tra grandi e piccoli pro-duttori si fa sempre più grande nel contesto in cui entrambe le categorie competono per avere accesso alle risorse, ai finanziamenti, al potere decisionale e al potere politico. I produttori più grandi hanno accesso più facilmente al capi-tale e, di conseguenza, alle strutture agricole non coinvolte direttamente nella coltivazione: depositi, serre e sistemi di irrigazione. Possono facilmente soddisfare le richieste e le domande ingenti imposte dai soggetti del settore agroali-mentare: gli acquirenti di materie prime, gli operatori nel campo della lavorazione e i rivenditori, a seconda di quali compagnie comprano le materie prime direttamente da chi le produce. L’unico modo in cui i piccoli agricoltori possono riguadagnare terreno è quello di abbassare il costo della manodopera, altrimenti diventano solo l’ultima spiaggia nel caso in cui compratori cerchino dei rivenditori di materie prime meno rischiosi, come conseguenza del fatto che le grandi compagnie agroalimentari hanno più opzioni di mercato e si dimostrano meno affidabili. La conseguenza più allarmante è che ai piccoli agricoltori tocca pagare un prezzo molto alto per guadagnarsi l’ingresso nelle filiere globali: a causa degli ostacoli strutturali che devono af-frontare, possono competere solo autosfruttandosi, per esempio accettando di stipendiare al minimo coloro che lavorano per loro (spesso membri della stessa famiglia), oppure impelagandosi in situazioni di estrema dipendenza nei confronti dei compratori.

Niente di tutto ciò è inevitabile. Per tanti anni, soprattut-to dalla pubblicazione nel 1952 di American Capitalism, il best-seller di John K. Galbraith che documentava l’ascesa delle imprese agroalimentari su larga scala, i pareri sono stati contrastanti. Alcuni proponevano lo “smantellamento delle grandi aziende” facendo leva sulla legislazione rela-tiva al diritto alla concorrenza. Altri seguivano il pensiero di Galbraith, che parlava dell’urgenza di un “contropo-

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

RIASSUNTO

Questi sviluppi sono inoltre associati ai fardelli ambientali sempre più incombenti che minano la sostenibilità del-la produzione alimentare in molte regioni, a causa della carenza di terreno e di acqua, e delle perdite causate dal cambiamento climatico4.

In questo contesto, il movimento del Commercio Equo e Solidale (Fair Trade) ha commissionato questo studio per esplorare e analizzare la questione della concentrazione di potere nelle catene agricole: qual è la relazione tra il potere del compratore e le pratiche commerciali scorrette (PCS)? Quali sono gli impatti sui piccoli agricoltori, sui lavoratori e sull’ambiente? Come può il sistema regolare il potere dei compratori con successo?

Questo rapporto dimostra che:• La concentrazione del potere nelle catene agricole non è sporadico, ma diffuso tra i fornitori, i commercianti, le aziende manifatturiere e i rivenditori;• Il potere ottenuto dai grandi compratori porta a quattro fenomeni riscontrati nelle catene agroalimentari - l’integra-zione verticale (modello gerarchico), le attività vincolate, le reti relazionali e le filiere standardizzate - attraverso i quali i compratori sono in grado di controllare i fornitori fino al processo di produzione, ben lontani da un modello di concorrenza commerciale esemplare;• Abuso del potere dei compratori e pratiche commerciali scorrette; non solo al livello del dettaglio ma anche nei paesi produttori, e a tutti i livelli della catena agricola;• La combinazione di un potere centralizzato con la libera-lizzazione e la finanziarizzazione dei mercati mondiali au-menta la pressione e la volatilità dei prezzi, e lo spostamento verso sistemi agricoli più intensivi e meccanizzati. Questo, a sua volta, produce un impatto significativo sui piccoli agricoltori e lavoratori in molti settori e regioni, portando a qualità della vita sempre meno sostenibili, lavoro minorile, condizioni di lavoro precarie e degrado ambientale;

Negli ultimi decenni, la crescita delle catene di supermerca-ti, l’aumento dei prodotti alimentari lavorati da loro venduti e il consolidamento delle imprese di rivendita, lavorazione, logistica e del settore chimico e delle sementi hanno portato a un’urgenza di nuove pratiche di appalto pubblico.

Le filiere che trattano prodotti agricoli sono diventate più globali e più coordinate tra di loro. I requisiti base e gli standard imposti dai compratori hanno portato alla ri-strutturazione delle catene, favorendo i produttori medi e grandi e gli esportatori che sono in grado di soddisfare le loro richieste1.L’interesse si è spostato da ciò che il fornitore può offrire a ciò che il compratore esige. Non funziona più che gli agricoltori prima producono e poi cercano un mercato. Al contrario, coloro che controllano le catene di approvvigio-namento decidono quali sono i bisogni dei consumatori e poi adattano le filiere di conseguenza. I vantaggi dei quali godono i soggetti delle filiere globali vengono distorti a favore delle imprese leader nella catena. Le percentuali di guadagno maggiori non vengono percepite da coloro che forniscono un prodotto fisico, bensì da coloro che possono apportare le informazioni richieste per far funzionare la catena globale con successo2.

Nonostante la catena nel suo insieme risulti produrre un certo profitto, i termini contrattuali per i piccoli produttori sono diventati più svantaggiosi, sia nel Sud del Mondo che in Europa; il divario tra i prezzi dei produttori e i prezzi di rivendita è aumentato; le condizioni di lavoro si sono de-teriorate; e gli agricoltori su piccola scala sono esclusi dai mercati di più alto valore.Queste tendenze stanno accelerando una trasformazione radicale delle società rurali e del modo in cui gli agricoltori si guadagnano da vivere: ristrutturando il settore agroali-mentare e il mercato fondiario e causando esodi rurali e soppressione del lavoro.3

1. Center on Globalisation, Governance & Competitiveness, Duke University, Skills for upgrading: Workforce Development and Global Value Chains in Developing Countries, novembre 2011.2. Olivier de Schutter, Addressing Concentration in Food Supply Chains, Briefing Note, dicembre 2010.3. IIE, Small Producer Agency in the Globalised Market, 20124. Oxfam Research Report, Who Will Feed the World?, aprile 2011

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ACRONIMI USATI NEL TESTOCE Commissione EuropeaCIRAD Centro di Cooperazione Internazionale nella Ricerca Agronomica per lo SviluppoFAO Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’AgricolturaFOB Franco a bordo (Incoterm)ICCO Organizzazione Internazionale del CacaoICI Iniziativa Internazionale del CacaoICO Organizzazione Internazionale del CaffèIIED Istituto Internazionale per l’Ambiente e per lo SviluppoILO Organizzazione Internazionale del LavoroILRF Forum Internazionale per i Diritti del LavoroISO Organizzazione Internazionale per la NormazioneIUF Unione Internazionale dei Lavoratori nei Settori Agroalimentare, della Ristorazione, del Catering, del Tabacco e Settori AnnessiPCS Pratiche commerciali scorretteRSCE Tavola Rotonda per un’Economia del Cacao SostenibileTCC Coalizione per il Commercio di Prodotti TropicaliUE Unione EuropeaUNCTAD Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo SviluppoUNDP Programma di Sviluppo delle Nazioni UniteUNEP Programma Ambientale delle Nazioni UniteUNIDO Organizzazione Industriale dello Sviluppo delle Nazioni UniteUSDA Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti

• La normativa europea sulla concorrenza non è nella posi-zione di gestire i problemi relativi al potere dei compratori, e gli strumenti legali esistenti che trattano le pratiche com-merciali scorrette sono molto frammentari e non designati per far fronte a questo problema;• Per gestire gli abusi di potere da parte dei compratori e per assicurare la sostenibilità delle filiere agricole, la normativa europea sulla concorrenza dovrebbe tener conto che il be-nessere del consumatore va ben oltre la semplice questione del potere d’acquisto, e che dovrebbe essere considerato insieme al benessere degli agricoltori e dei lavoratori;Tra i provvedimenti concreti che potrebbero raggiungere questi obiettivi, si considerano:

- Riassestare gli squilibri di potere sostenendo le organizzazioni degli agricoltori e dei lavoratori;- Potenziare la trasparenza dei costi nelle filiere agricole;- Riformare la politica di concorrenza nell’Unione Europea, riaffermando il principio di neutralità e affrontando i problemi strutturali e comportamentali;- Costruire meccanismi di esecuzione più rigidi per mettere fine alle pratiche commerciali scorrette;- Promuovere i principi del Commercio Equo e Solidale nelle filiere agricole.

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1. Teorie economiche, concentrazione del potere e concorrenza slealenell’economia attuale

a. Come funziona un mercato ideale

I modelli teorici sviluppati dall’economia classica e neoclassica del XIX e IX secolo si basano sul concetto di “Homo œconomic-us”5, che definisce gli esseri umani come soggetti che badano al proprio interesse, che consiste nell’ottimizzare:

• l’utilità del loro consumo di beni e servizi;• il profitto economico che traggono dai beni e/o dai servizi che producono/vendono

Uno dei principi fondamentali di questa teoria è che, per un soggetto privato, decisioni ottimali basate su uno scambio vantaggioso per entrambe le parti portano a risultati sociali ottimali, purché il sistema di mercato operi seguendo le con-dizioni di una “concorrenza perfetta”.

Tale concorrenza perfetta deve sottostare a diversi criteri, tra cui6:

• Tutti i soggetti economici (compratori e venditori) sono price-takers, ovvero non hanno potere sufficiente per imporre o influenzare il prezzo di mercato dei prodotti o dei servizi che comprano o vendono;• C’è un grande numero di produttori, e ognuno di loro occupa uno spazio relativamente piccolo sul mercato;• Tutti i produttori possono entrare e uscire liberamente dal mercato (nessuna barriera d’ingresso) e hanno pari accesso alle risorse (tecnologiche, finanziarie… etc.);• Tutti i compratori sono in possesso di informazioni com-plete e trasparenti sui prodotti in vendita e sui prezzi richiesti da ogni soggetto economico;• Tutti i compratori considerano i prodotti venduti da ogni produttore come prodotti equivalenti.

In teoria, un modello di concorrenza perfetta permette ai beni e ai servizi di essere assegnati a coloro che attribuiscono

loro un valore più alto, grazie a una struttura decisionale e di scambio decentralizzata (non c’è bisogno di un pianificatore per assegnare le risorse). Così facendo, i mercati concorrenziali permettono un uso più efficiente di capitali/benefici, che vengono distribuiti in maniera ottimale tra gli individui, aumentando il benessere globale. In definitiva, questo modello fa sì che gli individui ottengano ciò che è meglio per la società come un ente collettivo tramite il perseguimento razionale dei loro stessi interessi.

La teoria della concorrenza perfetta si tradusse successivamente in un modello matematico chiamato “la teoria dell’equilibrio generale” che presume l’esistenza di un equilibrio stabile, meccanico e ottimale del sistema macroeconomico7.In questo modello, la concorrenza perfetta è rappresentata da curve teoriche di domanda e di offerta, che illustrano come il mercato raggiunge il suo equilibrio quando l’offerta di ogni prodotto/servizio corrisponde alla domanda. Questo punto si chiama ottimo paretiano, che significa che nessun soggetto a questo punto può migliorare ulteriormente la sua situazione senza che qualcun altro ci rimetta.

Il sistema dei prezzi gioca un ruolo cruciale nel coordinamento e nel bilanciamento di questo modello teoretico: il fatto che tutti i soggetti abbiano a che fare con gli stessi prezzi è ciò

5. Cf. Adam Smith, The Wealth of the Nations, vol. I-III. Penguin Classics, 1989, p. 119: “Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del panettiere che ci aspettiamo la nostra cena, bensì dal loro riguardo nei confronti dei loro stessi interessi.”6. Paul Krugman e Robin Wells, Microeconomics, seconda edizione, 2010.7. Léon Walras, Eléments d’économie pure, ou théorie de la richesse sociale, 1874.

Equilibrio

QuantitàQ*

P*

Prez

zo Domanda Offe

rta

TEORIA DELL’EQUILIBRIO GENERALE CURVE DI DOMANDA E OFFERTA (Fonte: Wikipedia)

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che in economia genera l’informazione comune richiesta per coordinare una vasta varietà di decisioni individuali8.

Per consolidare questo modello economico, parecchi eco-nomisti hanno indagato sulle divergenze tra il modello e la realtà osservata. Hanno identificato costi e/o benefici che rimangono al di fuori del mercato, e li hanno chiamati “esternalità”, portando la teoria al livello successivo all’inizio del XX secolo. In presenza di esternalità, positive o negative, il mercato non riesce a essere perfettamente concorrenziale e non raggiunge l’equilibrio ottimale. Per risolvere il problema, le esternalità vengono considerate in fase di fissazione di prezzi “giusti e validi”, così che i mercati funzionino al meglio. I criteri per un modello di concorrenza perfetta sono quindi stati estesi all’esclusione delle esternalità e dei costi di transazione.

b. Falle nel modello di concorrenzaperfetta: oligopolio e oligopsonio

Tuttavia, la competizione nel mondo reale differisce dal modello teorico in diversi modi:

• In vari settori, un numero limitato di soggetti è abbastanza grande da influenzare i prezzi di mercato attraverso il loro potere di negoziazione, perché vendono o comprano una grande percentuale della domanda totale. Inoltre, questi soggetti leader spesso hanno un accesso più facilitato al

capitale e alla tecnologia rispetto alla maggior parte dei loro concorrenti.• I consumatori quasi sempre sono in possesso di informazio-ni incomplete, e le loro preferenze e scelte sono influenzate dal marketing e dalla pubblicità.• Infine, la parità tra prodotti è difficile da giudicare in ma-niera razionale a causa dei continui sforzi delle compagnie per differenziare i loro prodotti da quelli dei concorrenti.

In definitiva, la ragione principale per cui il modello di con-correnza perfetta fallisce nella pratica è la capacità di alcuni soggetti a guadagnare un potere economico sufficiente a influenzare il mercato, rendendo nulli gli altri principi del modello teorico.

La concentrazione del potere si verifica quando molti meno soggetti sono presenti (singolarmente o in numero esiguo) con rispetto ad altri. Possono essere distinti tre livelli a seconda del numero di agenti e della posizione del compratore o del venditore (vedi tabella).

Dal lato del venditore, quando la concorrenza è ridotta, la tendenza dei venditori non è più di mantenere i loro prezzi al pari delle altre imprese, bensì di ristabilire un prezzo più alto possibile. I venditori tendono a stabilire il prezzo di rivendi-ta al di sopra del prezzo d’equilibrio, a seconda di quanto i compratori sono disposti a pagare. Questo porta a un netto deterioramento del benessere generale nella teoria econo-

8. Jonathan Levin, General Equilibrium, 2006.

COMPRATORI

VENDITORI

SOLO UNO

UN NUMERO LIMITATO

NUMEROSI

duopolio

monopsonio contrapposto

monopolio

monopsonio contrapposto

oligopolio bilaterale

oligopolio

monopsonio

oligopsonio

concorrenza perfetta

SOLO UNO UN NUMERO LIMITATO NUMEROSI

MODELLO DI CONCORRENZA DI STACKELBERG (Fonte: BASIC)

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soglia per determinare la posizione dominante in un accordo verticale è che almeno una delle parti detenga una posizione del 35% della quota di mercato (o che accordi simili siano diffusi e influenzino la concorrenza). Tuttavia, questa legge modello non viene applicata nel caso di potere del compratore9.

c. Modelli di concentrazione del potere nella catena del valore

La teoria economica istituzionale10 offre una prospettiva più ampia sull’economia reale, considerando che le perdite sociali non sono casuali, casi eccezionali o disordini minori, ma sono il risultato normale di una concorrenza di mercato in una società pecuniaria11, e sono strettamente legati alle relazioni di potere tra i soggetti economici.Ispirata all’istituzionalismo, la teoria delle catene di valore glo-bali assume un punto di vista sul commercio internazionale radicalmente diverso da quello dell’economia neoclassica:

Mentre la teoria classica del commercio internazionale si concentra solo sulle transazioni, la teoria delle catene di valore globali si interessa di tutto l’insieme di attività tra la produzione e il consumo, compresi i collegamenti che li separano (dalla produzione alla rivendita, fino allo smaltimento dei prodotti);Mentre la teoria classica del commercio internazionale dà per scontato che “i compratori e venditori di diversi mercati si incontrano come soggetti indipendenti” (spiegando il commer-cio come un risultato della differenziazione tecnologica, dei gusti e dei prodotti), il modello della catena del valore globale mette in evidenza il contesto istituzionale delle relazioni di potere che circonda il commercio, e i suoi soggetti chiave che stabiliscono le regole del gioco.Il concetto di Catena di Valore Globale (CVG) fu originariamen-te definito una “rete di processi di manodopera e produzione il cui risultato è una merce di scambio”12. Fu consolidato da Ge-reffi e altri nel contesto della globalizzazione come “un’entità

mica neoclassica (che viene rappresentato graficamente dal “triangolo di Harberger” ).

Dalla prospettiva del compratore, quando la concorrenza viene ridotta, le aziende a valle possono influenzare i termini di commercio con i fornitori a monte. Si può fare una distin-zione tra il potere monopsonista e quello di contrattazione, con diverse conseguenze sul benessere globale:

• Il potere monopsonista si riferisce a una situazione in cui un gruppo di compratori può trattenere la domanda per far scendere il prezzo pagato dai fornitori fino a sotto il prezzo di equilibrio, causando così un’alterazione delle quantità, una perdita di efficienza e un possibile danno ai consumatori. • Con potere di contrattazione si intende quanto i comprato-ri sono in grado di contrattare con i fornitori con i quali fanno affari. Quando il potere di contrattazione viene esercitato (che sia un potere oligopsonista o di contrattazione), i for-nitori potrebbero sentirsi obbligati ad accettare condizioni che normalmente non accetterebbero e, inoltre, non se ne lamenterebbero per paura di una ritorsione commerciale da parte del compratore. Le conseguenze sul welfare non sono altrettanto chiare. Se il potere di contrattazione eser-citato dai compratori è compensativo (ovvero permette di compensare il potere di mercato dei venditori), può perfino avere degli impatti positivi, come in un aumento della produzione del mercato a monte e un miglioramento del welfare dei consumatori del mercato a valle.

In pratica, rivelare una posizione dominante di compratori o venditori spesso è molto complicato perché i criteri di valu-tazione variano ampiamente. Diverse nazioni usano diversi metodi per stabilire la posizione dominante sul mercato. Alcuni usano misure quantitative, altri qualitative, e ci sono grandi divari tra i livelli di quote di mercato ai quali un’azienda viene considerata dominante - dalla percentuale più bassa del 20% fino al 70%. Per esempio secondo il modello di legge OCSE, la

9. Dhanjee, R. “The tailoring of competition policy to Caribbean circumstances: some suggestions”, Centre on Regulation and Competition Working Paper, n°79, 2004.10. Sviluppata da studiosi come Thorstein Veblen, Karl Polanyi e William Kapp.11. Swaney e Evers, 1989.12. Hopkins e Wallerstein, 1986: 159.

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

Gli altri quattro schemi spiegano i modi in cui il potere si concentra nelle mani dei compratori leader che controllano la catena:

• Nella catena del valore modulare, gli imprenditori “chia-vi in mano” impostano la produzione in base alle richie-ste specifiche dai clienti chiave per un servizio limitato di componenti (con richieste formali che possono variare). In questo accordo i servitori si prendono piena responsabilità nel processo di produzione, usando tecnologia generica per limitare gli investimenti specifici, e impostano il budget per conto dei loro clienti. Le norme tecniche spesso aiutano a semplificare le interazioni all’interno di questo sistema;• Le catene del valore relazionali sono caratterizzate da complesse interazioni tra alcuni compratori e alcuni vendito-re chiave, tra i quali spesso si stabilisce una forte dipendenza reciproca e un’alta specificità delle risorse investite. Sono spesso gestite per reputazione o legami personali. La vici-nanza geografica gioca un ruolo importante nel sostenere questo tipo di relazioni, ma la fiducia e la reputazione posso-no agevolare gli scambi in reti disperse sul piano geografico;• Nei sistemi vincolati, i piccoli fornitori dipendono com-mercialmente da compratori molto più grandi. I fornitori fanno fronte a costi di passaggio notevoli e perciò sono “assoggettati”. Tali reti sono spesso caratterizzate da un alto grado di monitoraggio e di controllo da parte delle aziende leader;• Infine, il tipo gerarchico è caratterizzato da un’integrazio-ne verticale. In questo sistema, la forma di governance do-minante è il controllo manageriale, che scorre dai manager ai loro subordinati, o dalle sedi alle filiali e aziende affiliate.

La figura sotto illustra questi tipi di meccanismi sotto forma di grafico, mostrando i cinque modelli di catene del valore globali disposti secondo il livello di coordinamento esplicito e di squilibrio di potere.

strutturata socialmente che riflette i cambiamenti nell’or-ganizzazione della produzione e della distribuzione a causa della globalizzazione economica, del progresso tecnologico e delle regolamentazioni”13.

Le CVG sono modellate attraverso quattro dimensioni chiave:• La struttura input-output delle catene;• Il territorio da loro interessato (copertura geografica);• La struttura di governance (nella quale le nozioni chiave di barriere di ingresso e coordinamento della catena vengono prese in considerazione dal quadro analitico);• Il quadro istituzionale che incornicia le catene e che delinea le condizioni in cui i soggetti chiave o “leader” incorporano dei soggetti subordinati tramite il loro controllo dell’ac-cesso al mercato e dell’informazione (sia tecnologica che di mercato).Sulla base di questo quadro analitico, cinque schemi ri-correnti di governance sono stati identificati insieme alla catene del valore, che possono essere definiti come “le relazioni di autorità e di potere che determinano come le risorse economiche, materiali e umane vengono assegnate e scorrono lungo la catena”14.

Gli schemi di governance descrivono come le aziende leader nelle catene del valore sono in grado di prendere decisioni fondamentali sull’inclusione o l’esclusione dei fornitori, sulla distribuzione di attività particolari tra i diversi soggetti della catena, e perfino sulla struttura della produzione.

Il primo tipo di schema è chiamato di mercato ed è il più vicino alla teoria della concorrenza perfetta. L’esempio che ne illustra meglio il funzionamento è il mercato a pronti tradizionale. In questo modello, il costo per cambiare partner commerciale è basso per entrambe le parti. Tuttavia, i collegamenti di mer-cato non devono essere per forza completamente transitori, come accade nel mercato a pronti tradizionale, ma possono persistere nel tempo, con transazioni ripetute.

13. Gereffi e Korzeniewicz, Commodity Chains and Global Capitalism, 1994.14. Ibid.

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

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I modelli di governance relazionali e modulari hanno tre va-rianti: lo scambio con i fornitori di componenti o di materie prime all’estremità più bassa della catena può essere gerarchi-co, vincolato o basato sul mercato (solo quest’ultimo è stato rappresentato nel diagramma precedente).

Il prossimo capitolo si sviluppa sul quadro analitico offerto da Gereffi, Humphrey e Sturgeon per indagare sul potere contrattuale dell’acquirente nelle catene del valore agricole, sulla sua evoluzione e sulle ripercussioni sugli agricoltori e sui lavoratori del settore.

Le freccette in fila rappresentano lo scambio basato sul prezzo, mentre le frecce più grosse in blocco rappresentano flussi di informazione e di controllo più ingenti, regolati dal coordi-namento esplicito. Questo include non solo le istruzioni che arrivano da un compratore (o manager) più potente a un fornitore meno forte (o subordinato), come nelle catene del valore globali vincolate o gerarchiche, ma anche le sanzioni sociali che regolano il comportamento dei partner nelle CVG relazionali. Nel caso delle CVG modulari, i flussi di informa-zione sono molto più codificati e il fornitore “chiavi in mano” può stabilire con i suoi fornitori catene basate sul mercato, vincolate o relazionali.15

15. Gary Gereffi, John Humphrey e Timothy Sturgeon. “The Governance of Global Value Chains”. Review of International Political Economy 12, n°1 (febbraio 2005): 78-104.

Gerarchia

materiali

destinazione

grado di coordinamento esplicito

grado di squilibrio di potere

Aziendaintegrata

Mercato Modulare

graddo di

Fornitore“chiavi in mano”

Aziendaleader

Fornitoridi componenti

e materiali

Relazionale

Aziendaleader

Fornitoridi componenti

e materiali

Fornitorerelazionale

Vincolato

Fornitorivincolati

Aziendaleader

“prezzo

Clienti

Fornitori

CATENE GLOBALI DEL VALORE, 5 MODELLI DI GOVERNANCE (Fonte: BASIC, basato su Gereffi, Humphrey e Sturgeon - 2005)

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

2. La concentrazione del potere nelle catene del valore agricole

a. Un quadro globale della governance strut-turale delle filiere agricole

Una prospettiva storicaLa concentrazione del potere nelle filiere agricole è un proble-ma sempre più pressante che risale all’epoca coloniale europea.

Tradizionalmente, i prodotti agricoli venivano commerciati all’in-terno di mercati di paese disgregati a causa dei limiti logistici e della deperibilità di molti dei prodotti. Con l’ascesa dei comuni in Europea, mercati all’ingrosso più grandi e più centralizzati cominciarono ad apparire nel Medioevo (anche se all’inizio solo per la vendita di beni non deperibili), come per esempio le fiere di Champagne e Lione in Francia, e Piacenza in Italia16.

I primi cambiamenti radicali si ebbero con l’avvento del colo-nialismo europeo: nel XVI secolo fu inventata l’agricoltura di piantagione per produrre lo zucchero di canna nelle Americhe, e rapidamente si iniziò a usare anche per molti altri prodotti tropicali. Il successo di questo tipo di agricoltura fu determinato principalmente dall’impiego di schiavi africani, che per tre secoli fornirono la manodopera necessaria, per poi essere sostituiti gradualmente dai lavoratori a contratto a seguito dell’abolizione della schiavitù nelle colonie britanniche nei Caraibi (183017).I coltivatori rivestivano il ruolo centrale nella catena. Pos-sedevano piantagioni agricole su larga scala che potevano sfruttare la specializzazione e divisione della manodopera, mi-nimizzando i costi e avendo un ritorno commerciale sufficiente a coprire gli alti costi di investimento. Il prodotto rimaneva in loro possesso durante tutto il trasporto dalla regione tropicale fino al punto vendita in Europa, assumendosi i rischi che ne derivavano (tempo e distanza) e la necessità di credito18.Il secondo cambiamento avvenne a metà del XIX secolo negli Stati Uniti, dove la rapida espansione del telegrafo, dei

battelli a vapore e della ferrovia permise a persone, bestiame e merci agricole di attraversare il continente più velocemente, più economicamente e in maniera più affidabile. Con l’ascesa delle città, poi, i contadini divennero sempre più dipendenti dalle filiere a lunga distanza per poter vendere le loro merci ai consumatori urbani (tramite la spedizione o il trasporto ferroviario). L’incredibile evoluzione del trasporto e delle co-municazioni portò con sé due innovazioni che trasformarono radicalmente l’organizzazione della filiera agricola: l’introdu-zione di norme tecniche (standard) per valutare la qualità del prodotto e la nascita dei mercati a termine, entrambi emersi nel Chicago Board of Grain Trade19.

Questi nuovi strumenti si diffusero rapidamente dal grano al cotone e ad altri prodotti, prima negli Stati Uniti e poco tempo dopo in Europa. Emerse un nuovo modello di filiera agricola chiamato mercato tradizionale dei beni indiffe-renziati (altresì detti commodity), nel quale i commercianti erano soggetti indipendenti e influenti, non più dei semplici rappresentanti dei produttori al servizio dei rivenditori20. I soggetti che potevano investire e organizzare le infrastrutture dei trasporti erano anche in grado di decidere quali agricoltori o comunità erano connessi alla rete dei trasporti e, di conse-guenza, al mercato stesso21.

Fino all’inizio del XX secolo, queste dinamiche si protrassero e furono accelerate da:

• Importanti progressi tecnologici che rendevano possi-bile la produzione di massa di prodotti agroalimentari standardizzati: i fertilizzanti chimici, la pastorizzazione, i conservanti alimentari, i cibi in scatola e la refrigerazione meccanica22;• La diffusione del consumismo23, che gradualmente im-

16. Braudel, 1979.17. Sheridan, The Abolition of the Atlantic Slave Trade, 198118. Daviron e Ponte, The Coffee Paradox: Global Markets, Commodity Trade & the Elusive Promise of Development, 200519. In un mercato a termine, il commerciante vende un “contratto” nel quale si impegna a consegnare un determinato bene senza ancora esserne in possesso. Questo contratto definisce una qualità specifica, una quantità e la data di consegna del prodotto. Può essere comprato e venduto indipendentemente dal prodotto fisico.20. Daviron e Ponte, 2005, op. cit.21. Heffernan, Agruculture and Monopoly Capital, 1998; Van der Ploeg J. D., The New Peasantries, 2009.22. Mokyr e Strotz, Northwestern University, The Second Industrial Revolution 1870-1914, agosto 1998.23. Cf. A. Smith, The Wealth of the Nations: “Consumption is the sole end and purpose of all production and the welfare of the producer ought to be attended to, only so far as it may benecessary for promoting that of the consumer.”

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• L’invenzione e diffusione delle automobili, dei camion e dei sistemi stradali, che trasformarono radicalmente la distribuzione alimentare;• La meccanizzazione e industrializzazione dell’agricoltura con i trattori e i macchinari agricoli.

Il periodo dal 1945 al 1980 fu caratterizzato dall’interna-zionalizzazione dell’industria alimentare e fu descritto come l’era d’oro del marchio di fabbrica e delle campagne di comunicazione di massa per i prodotti alimentari30. Lo stesso periodo vide anche la creazione di norme e regola-mentazioni pubbliche che riuscirono a controllare i prezzi agricoli tramite scorte-tampone e quote di esportazione, in particolare nella Politica Agricola Comune Europea e nelle associazioni internazionali per la produzione di caffè, cacao, gomma e zucchero di canna31.

In questo contesto, le aziende alimentari di marca diven-tarono il soggetto più influente nelle filiere agricole (per esempio Nestlé, Unilever, Mars, etc.), mentre il commercio all’ingrosso cominciò un declino a lungo termine e le catene di supermercati raggiunsero progressivamente la copertura nazionale e una distribuzione su larga scala in Europa e negli Stati Uniti32. L’integrazione verticale fu la tendenza generale nell’industria, principalmente dominata dalle imprese, ma anche da alcuni rivenditori33.

Il periodo dagli anni ’80 in poi ha avuto come protagonista un processo di globalizzazione inedito, alimentato dalla liberalizzazione dei mercati finanziari34.I crescenti problemi di sovrapproduzione agricola, l’emergere

pose il concetto che lo scopo principale dell’economia fosse la soddisfazione del consumatore e la domanda finale di beni e servizi24;• Lo sviluppo delle leggi di mercato libero, ispirate dalle teorie economiche classiche25, che imponevano ai gover-ni delle nazioni con le economie più forti ad allentare le restrizioni commerciali (dazi, proibizioni, etc.) e sostenere un movimento di globalizzazione commerciale e di inte-grazione dei mercati agricoli26;• La diffusione del Sistema Aureo, che aprì un periodo di liberalizzazione finanziaria, permettendo al capitale di fluire da una nazione all’altra senza il rischio di improvvisi cambiamenti della valuta27.

Il sistema economico che ne risultò, dominato dai grandi commercianti e produttori, si innescò una dinamica a lungo termine di esclusione dei piccoli agricoltori tradizionali. In parecchie nazioni europee, il prezzo dei beni alimentari si abbassò così tanto che gli agricoltori cominciarono a chiedere il sostegno dei loro governi28.

Questo processo di trasformazione fu arrestato dalle due guerre mondiali, per poi riattivarsi a metà del XX secolo, avviato da queste tendenze29:

• Il processo di ricostruzione e lo sviluppo dei mercati di massa diretti al consumatore in Europa e in Giappone;• La diffusione di beni lavorati grazie allo sviluppo di brand nazionali creati dalle industrie alimentari e la diffusione della pubblicità nella stampa, alla radio e in televisione;

24. Global Development and Environment Institute, Tufts University, Consumption and Consumer Society, 2008.25. Adam Smith, David Ricardo e John Stuart Mill (vedi primo capitolo).26. Rodrik, The Globalisation Paradox: Democracy and the Future of the World Economy, 2011.27. Ibid.28. Mokyr and Strotz, 1998, op. cit.29. R. W. Cotteril, “Dynamic Explanations of Industry Structure and Performance”, saggio presentato alla conferenza della USDA “The American Consumer and the Changing Structure of the Food System”, Washington DC, maggio 2000.30. Ibid.31. P. Gibbon, Agro-Commodity Chains: an Introduction, 2002.32. J. M. Connor, R.T. Rogers, B.W. Marion e W.F. Mueller, “The Food Manufacturing Industries: Structures, Strategies, Performance and Policies”. Lexington, 1985.33. R.W. Cotteril, “Dynamic Explanations of Industry Structure and Performance”, 2000, op. cit.34. Mentre il controllo del capitale era diffuso durante il regime Bretton-Woods stabilito negli anni ’40, il sistema iniziò a frantumarsi nel 1968 quando l’America sospese la conversione del dollaro in oro. Ne conseguì il collasso del sistema a tasso di cambio fisso nel 1973, e gli Stati Uniti abbandonarono il controllo dei movimenti di capitali nel 1974.

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

di nuovi grandi paesi produttori (principalmente in Asia) e il dominio del concetto di libero mercato tra i responsabili politici portarono al collasso delle organizzazioni interna-zionali di beni indifferenziati (caffè, cacao…) e al graduale smantellamento degli strumenti di stabilizzazione dei prezzi (quote e scorte), sia nei paesi in via di sviluppo che in Europa e negli Stati Uniti. Ne conseguì che i produttori persero ogni potere di controllo, e i commercianti internazionali diven-tarono sempre più influenti35.I responsabili della lavorazione, le imprese e i distributori si specializzarono sempre di più e l’integrazione verticale iniziò a declinare in maniera significativa mentre nuovi soggetti globali emergevano nel settore, come le compagnie chimiche e le compagnie produttrici di sementi. La concen-trazione del mercato aumentò nella fase di produzione e, con conseguenze ancora più importanti, nella fase di rivendita attraverso le fusioni e le acquisizioni aziendali. Diverse ca-tene di supermercati raggiunsero la copertura nazionale e si fecero sempre più influenti nelle filiere agricole. Grazie allo sviluppo dei propri marchi di fabbrica si imposero sempre di più competendo con i grandi marchi internazionali per l’egemonia sul mercato36. La disponibilità di servizi di tra-sporto marittimo di linea e la liberalizzazione dei mercati al

consumo potenziò la capacità dei supermercati di controllare la filiera con nuovi strumenti: liste di fornitori preferenziali, centrali di committenza, e norme tecniche qualitative37. Di conseguenza, il controllo dei canali di approvvigionamento agricolo è chiaramente passato dalle mani delle imprese nazionali e internazionali a quelle dei rivenditori38.

Il risultato finale del processo storico di consolidamento dei processi di rivendita, lavorazione, catene logistiche e industrie annesse (chimiche e delle sementi…) è stato l’emergere delle moderne pratiche di appalto che hanno globalizzato le filiere agricole e le hanno rese più strettamente coordinate39: l’at-tenzione si è spostata da quello che il fornitore può offrire a quello di cui ha bisogno il compratore. Non funziona più che gli agricoltori prima producono e poi cercano un mercato. Al contrario, coloro che controllano le catene di approvvigiona-mento decidono quali sono i bisogni dei consumatori e poi adattano le filiere di conseguenza40. Le norme tecniche e le richieste dei compratori leader sul mercato hanno portato alla ristrutturazione delle filiere, favoreggiando i produttori, esportatori, industrie e soggetti fornitori di informazioni che più sono in grado di soddisfare le loro richieste41.

1980194519141850XVI secoloXV secolo 1980194519141850XVI secoloXV secolosecolo secolo 1850 1914 1945 1980

Villaggi localie frammentari

Ascesa dei mercati all'ingrosso centralizzati

Colonizzazione, modello a piantagione, schiavitù/lavoro forzato

Sviluppo dei trasportie delle comunicazioni Consumismo

e standardizzazione

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Agricoltori e mercanti

35. P. Gibbon, 2002, op. cit. e Fondazione Schuman, L’Europe et la crise du lait, 2009.36. R.W. Cotteril, 2000, op. cit.37. Fairtrade Foundation, Britain’s Bruising Banana Wars: Why Cheap Bananas Threaten Farmers’ Futures, 2014.38. R.W. Cotteril, op. cit.39. Common Fund for Commodities, Current Trends and the New Development Role of Commodities, novembre 2006.40. ILO, Tripartite Meeting to Examine the Impact of Global Food Chains on Employment, 2007.41. Center on Globalisation, Governance & Competitiveness, Duke University, Skills for Upgrading: Workforce Development and Global Value Chains in Develoing Countries, novembre 2011.

EVOLUZIONI PRINCIPALI DELLA FILIERA AGRICOLA (Fonte: BASIC)

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

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Ecco un’istantanea delle evoluzioni principali nelle filiere agricole nel corso della storia analizzate in questo capitolo:

All’inizio del XXI secolo, l’agricoltura continua a essere caratterizzata da una forte atomizzazione dei produttori e dei consumatori. Nonostante una rapida urbanizzazione e l’aumento della coltivazione commerciale su larga scala, molta dell’agricoltura globale è di nuovo nelle mani di pro-duttori su piccola scala42. Più di un terzo della popolazione mondiale vive di agricoltura, e 2,5 miliardi di persone dipen-dono più o meno direttamente dall’agricoltura (500 milioni di piccoli agricoltori sostengono due miliardi di persone2843 e 450 milioni di lavoratori lavorano nell’agricoltura globale44). Dall’altro lato della catena agroalimentare, i 7 miliardi di consumatori vivono sempre di più in realtà urbane: più di metà della popolazione mondiale vive nelle città45, e secon-do alcune stime più di metà di questa popolazione urbana appartiene alla classe media, grazie alla rapida crescita delle economie in crescita46.Attraverso le moderne filiere agricole, la concentrazione del potere si presenta come un fenomeno strutturale e converge in mano ai seguenti soggetti (vedi diagramma)47:

• Le industrie chimiche e di sementi (gli input-suppliers, i fornitori di input agricoli)• I commercianti• I responsabili della lavorazione e le aziende manifat-turiere• I rivenditori

“Dobbiamo democratizzare l’economia. L’economia è un sistema non democratico che genera iniquità, e questo non è salutare. [Nei nostri paesi] lasciamo l’economia nelle mani di 5 o 6 famiglie, mentre la maggior parte delle altre persone rimane povera.” Luis Martínez Villanova, UCIRI - Messico

La crescente concentrazione di potere nelle mani di questi soggetti li ha resi “i condotti angusti attraverso i quali le merci devono passare per arrivare all’utente finale”. Il loro potere contrattuale dà loro un’enorme capacità di influenzare e stabilire i prezzi dei prodotti agricoli che comprano48.

La concentrazione dei fornitori di input agricoliL’aumento della concentrazione del settore agrochimico negli ultimi vent’anni è piuttosto impressionante: mentre le 20 maggiori aziende rappresentavano il 90% delle vendite globali alla fine degli anni ’80, questo numero è sceso a sette nel 2002 (Syngenta, Aventis, Monsanto, BASF, Dow, Bayer e DuPont)49.Oltre al settore agrochimico, queste compagnie hanno in-vestito anche nel settore delle sementi.

42. IIED/hiVos/Mainumby Nakurutú, Small Producer Agency in the Globalised Market - Market Choice in a Changing World, 2012.43. Oxfam Research Report, op. cit.44. AO, ILO, IUF-UITA, Agricultural Workers and their Contribution to Sustainable Agriculture and Rural Development, 2007.45. UN habitat, 2010.46. The Economist, 2009.47. UNIDO, Global Value Chains in the Agrifood Sector, 2006.48. Olivier de Schutter, Addressing Concentration in Food Supply Chains, Briefing Note, dicembre 2010.49. Lang, Food Industrialisation and Food and Power: Implications for Food Governance, Development Policy Review, 2003.

CATENE DI APPROVVIGIONAMENTO GLOBALI (Fonte: BASIC)

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

Il processo di concentrazione è avvenuto in tre diverse fasi:• L’interesse da parte delle industrie chimiche e alimentari emerse tra gli anni ’60 e ’70 con la riuscita dei primi espe-rimenti di colture ibride;• Negli anni ’80, le compagnie agro-tecnologiche che svilup-pavano prodotti geneticamente modificati cominciarono a interessarsi sempre di più del commercio delle sementi, come un potenziale canale di distribuzione per i loro nuovi prodotti: questo portò compagnie come Du Pont, ICI, Elf-Aquitaine, Monsanto, Rohm e Haas, e Unilever a immi-schiarsi nel business delle sementi. Cercavano di sfruttare le complementarietà tra le sementi e gli altri input (per esempio, le sementi resistenti a certe specie di erbicidi)50.• Negli anni ’90, le aziende specializzate in biotecnologie, come la Monsanto e la Novartis, diventarono le più promi-nenti nel settore, combinando il loro interesse nelle sementi con quello nel settore agrochimico e farmaceutico. Questa mossa rientrava tra le loro strategie relative al diritto di proprietà intellettuale e alle certificazioni sulla tutela delle nuove varietà vegetali51.

I commerciantiI commercianti a livello globale rivestono un ruolo di coordi-namento verticale, collegando i fornitori ai consumatori in tutto il mondo attraverso un sistema molto libero di rapporti a base contrattuale, che si limita a una sola commodity. Anche quando erano i governi a regolare le filiere tra gli anni ’50 e gli anni ’80 con i monopoli di mercato, le scorte cuscinetto e le quote d’esportazione, queste compagnie commerciali conti-nuavano a coordinare verticalmente le loro filiere52.L’esempio più significativo della concentrazione nel com-mercio agricolo è il cosiddetto “ABCD agricolo”, costituito dalla Archer Daniels Midland (ADM), fondata nel 1902, dalla Bunge (1818), Cargill (1865) e dalla Louis Dreyfus, fondata nel 1851. Queste imprese sono coinvolte nel 90% del commercio mondiale dei cereali. Hanno anche esteso gradualmente le loro attività mondiale ben oltre il settore dei cereali53:

• La ADM è diventata una delle più grandi imprese di tra-

sformazione di semi di soia, mais, grano e cacao. La ADM produce anche farina di soia e petrolio, dolcificanti, farina, etanolo e biodiesel. Inoltre possiede un ampio portfolio di mangimi per animali e altri prodotti industriali.• La Bunge è una delle più grandi imprese mondiali nel settore agrochimico e alimentare. La compagnia sostiene di essere la più grande impresa di trasformazione di semi oleosi, la più grande produttrice e fornitrice di fertilizzante agli agricoltori del Sudamerica, la più grande esportatrice di soia dal Sudamerica e una delle aziende leader nella produzione del biodiesel.• La Cargill è diventata una figura importante nel sourcing, nel commercio e nella trasformazione di grano, cacao, soia, riso, orzo, mais, lino, avena, colza, zucchero, verdure, petrolio, pollame, carne di manzo e di maiale, integratori dietetici e additivi, e prodotti geneticamente modificati. Inoltre offre un determinato numero di servizi finanziari: prestiti, consulenza finanziaria, assicurazioni, etc.• La Louis Dreyfus è ad oggi una delle più grandi imprese che si occupano del commercio e della lavorazione di zucchero di canna, olio di palma, arance, limoni, soia, mais, grano, cotone, olio di girasole e semi, noccioline e riso.

Imprese di trasformazione e industrie di marcaLa concentrazione sta aumentando anche nel campo delle imprese di trasformazione e di produzione, e in quello delle aziende di marca dirette al consumatore. Come illustrato nella sezione precedente:

• Le filiere globali nel settore di caffè, cacao, gomma, tè, zucchero, olio di palma e legname tropicale si sono accor-ciate negli ultimi decenni e sono state dirette da gruppi molto concentrati di imprese di trasformazione e marchi internazionali che rivestono il ruolo di assegnazione delle funzioni nella catena;• L’aumento della concentrazione si è anche verificato nella produzione orticola, favorendo le grandi imprese di trasformazione che sono in grado di fornire le adeguate competenze tecniche e il capitale di investimento54;

50. Srinivasan, Concentration in Ownership of Plant Variety Rights: some Implications for Developing Countries, 2003.51. Dichiarazione di Berna, Agropoly: A Handful of Corporatons Control World Food Production, 2013.52. P. Gibbon, Agro-Commodity Chains: an Introduction, 2002.53. Oxfam Wereldwinkels, Concentration of Power in Supply Chains: a Game of Giants, 2013.54. Dolan e Humphrey, 2000 e 2004.

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• Lo sviluppo del cibo lavorato ha anche stimolato la con-centrazione nelle catene correlate nei settori di manzo, pollame e carne di maiale, e dei mangimi per animali, come i semi di soia e il mais55. Le catene risultanti si sono integrate verticalmente e orizzontalmente in maniera crescente, e i soggetti leader mantengono una forte presenza nel campo alimentare, come nel settore delle sementi, della biotecnologia, degli ingredienti alimentari, dei dolcificanti e nel settore ittico56.

I primi 10 soggetti più influenti nel settore del cibo confezio-nato sono: Nestlé, Kraft/Mondelez, Unilever, PepsiCo, Mars, Danone, Kellogg’s, General Mills, Associated British Foods e la Coca Cola. Il loro rendiconto annuale ammonta a più di 450 miliardi di dollari americani57, rappresentando più del 15% del-

le vendite al dettaglio mondiali58 e una fetta di mercato molto più ampia nei settori chiave (caffè, tè, dolci, latticini e acqua).L’illustrazione qui sotto riporta le principali compagnie in mano ai top 10:

Le catene di supermercatiLa diffusione a livello globale delle catene di supermer-cati, apparsi prima in Europa e negli Stati Uniti, si verificò intorno agli anni ’90. Nel 1992, le cinque catene più grandi di supermercati negli Stati Uniti occupavano il 19% delle vendite alimentari. Nel 2005, secondo stime piuttosto caute la percentuale si aggirava intorno al 28,7%59. Quando iniziò a vendere alimentari a metà degli anni ’90, Wal-Mart era un distributore piuttosto piccolo. Adesso si posiziona in cima alla lista dei rivenditori alimentari più grandi del mondo, e

55. Un complesso di catene interconnesse è emerso a livello globale, collegando la produzione animale negli Stati Uniti, Europa e Asia con la produzione di mangimi per animali negli Stati Uniti e Sudamerica.56. Una prospettiva generale di queste catene un decennio fa può essere riscontrata nei lavori di McMichael (2000) e Francis (2000) all’interno di un’edizione speciale di «World Development».57. Oxfam, Behind the Brands: Food Justice and the “Big 10” Food and Beverage Companies, febbraio 2013.58. Euromonitor, Packaged Food 2010 – Global Market Performance, novembre 2010. 59. Sophia Murphy, op. cit.

AZIENDE PRINCIPALI DI PROPRIETÀ DELLE GRANDI COMPAGNIE ALIMENTARI (Fonte: Oxfam, Behind the Brands, 2013 - behindthebrands.org)

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

da solo rappresenta il 6,1% delle vendite al dettaglio globali60. Nel Regno Unito, i primi quattro rivenditori rappresentano il 75% del mercato alimentare61 e la concentrazione delle cinque più importanti catene di supermercati in Europa nel settore alimentare supera in media il 50% (vedi sotto).

Nei paesi in via di sviluppo, la “rivoluzione dei supermercati” iniziò nei primi anni ’90 ed è continuata fino al presente, causan-do anche una rapida ascesa delle quote al dettaglio nel settore della rivendita alimentare, a danno dei negozi tradizionali e dei mercati alimentari62.

La diffusione della vendita di alimentari al dettaglio sembra essersi verificata molto più rapidamente in regioni in via di sviluppo che nei paesi dell’OCSE, svolgendosi in tre diverse ondate63:

• La prima ondata in America Latina, Centro Europa e Su-dafrica passò da una piccola percentuale di vendite dei supermercati all’interno della rivendita alimentare generale all’inizio degli anni ’90 (5-10%) a più del 50% a metà del primo decennio del nuovo millennio.• La seconda ondata, da metà a fine anni ’90, avvenne nel Sudest asiatico (oltre paesi di transizione come il Vietnam),

America Centrale, e Messico. Le nazioni asiatiche della se-conda ondata iniziarono più tardi e raggiunsero il 30-50% a metà degli anni 2000.• La terza ondata, dalla fine degli anni ’90 e negli anni 2000, ebbe luogo in Cina, Vietnam, India, Russia e Sudafrica e in alcune nazioni dell’Africa orientale e australe è appena iniziata.

In queste diverse nazioni, la diffusione delle catene di su-permercati si è anche estesa dalle grandi città a quelle più piccole, dalle classi più alte alla classe media e alle fasce più povere, dai cibi lavorati a quelli semilavorati fino ai prodotti freschi, e dalle catene domestiche locali alle multinazionali.

Negli ultimi anni, le catene di supermercati nelle regioni in via di sviluppo sono passate dal vecchio modello di appalti basato sul sourcing di prodotti provenienti dai grossisti internazionali e dai mercati all’ingrosso, all’utilizzo di un nuovo sistema di appalti. Inizialmente, gli appalti della vendita al dettaglio moderna erano in gestione ai mercati all’ingrosso a pronti, e venivano applicate poche norme tecniche. Gradualmente, gli approvvigionamenti sono diventati sempre più diretti e affidati a pochi fornitori preferenziali, ovvero fornitori specializzati,

60. Olivier de Schutter, op. cit.61. Action Aid and South Centre, op. cit.62. Reardon e altri, The Rise of Supermarkets in Africa, Asia e America Latina, 2003.63. Reardon, The Global Rise and Impact of Supermarkets: an International Perspective, Keynote Address, 2011.

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LIVELLI DI CONCENTRAZIONE NEI MERCATI ALIMENTARI EUROPEI – 2004/2005 (Fonte: OECD, fonte originaria DEFRA - 2006)

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

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compagnie alimentari, cooperative e agricoltori. Infine, si sono sviluppati i centri di distribuzione e le reti nazionali e regionali (che includevano il commercio intraregionale nella catena), che usano norme tecniche private. Questi cambiamenti si sono estesi dalle multinazionali alle grandi catene domestiche, fino ad arrivare alle catene più piccole. Si sono anche estesi dal settore dei cibi lavorati e quello dei prodotti freschi64.

Questa “rivoluzione dei supermercati” è stata mossa dagli stessi fattori nelle diverse regioni: per quanto riguarda la domanda, dall’incremento del reddito e dall’urbanizzazione, mentre per quanto riguarda l’offerta, dagli investimenti esteri diretti (IED), dalla diversificazione del format - diretta a soddisfare le esigenze del consumatore - da investimenti domestici com-petitivi, e una modernizzazione dei sistemi di appalti che ne abbatte i prezzi.

Le ripercussioni di quest’evoluzione si concretizzano in di-versi modi, tra cui65:

• I rivenditori tendono a selezionare i produttori che riforniscono i mercati d’esportazione, per assicurare che gli standard qualitativi e sanitari vengano rispettati (tramite ispettori o valutazioni da terze parti). Anche gli enti pubblici committenti tendono ad affidarsi alle aziende agricole più grandi;• I coltivatori sono responsabili per tutte le attività post-raccolto fino al momento in cui i loro prodotti raggiungono i centri di distribuzione dei supermercati. In caso di merci deperibili, gli agricoltori sono tenuti a effettuare consegne giornaliere con i camion frigoriferi di loro proprietà o noleggiati. Per cui il capitale richiesto dalle fasi di successive al raccolto è abbastanza ingente, e solo i coltivatori che soddisfano tutti i requisiti possono restare sulle Liste dei Fornitori Preferenziali;• Fare sourcing in una nazione ed esportare in un altro ha creato parecchie tensioni, soprattutto nei mercati nei quali la concorrenza si fa sentire. Nei paesi meno sviluppati, i produttori locali possono essere emarginati a causa dei risorse importate e per i rivenditori è sempre più facile importare le risorse al posto di comprarle localmente.

La recente evoluzione delle dinamiche nelle filiere agricoleA causa dell’aumento di concentrazione su vari livelli nelle filiere agricole, ci sono più frequenti lotte di potere per il controllo della catena tra i diversi soggetti principali, ovvero tra i supermercati, le imprese di marca, gli operatori della trasformazione, i commercianti e i fornitori di input.La preoccupazione crescente che interessa la fornitura a medio termine di commodity di base come caffè, cacao o banane a causa della combinazione di risorse limitate (terra, acqua, energia) con il calo della manodopera, il cambiamento climatico, etc. ha generato una concorrenza spietata al con-trollo del sourcing in questi settori. Questo ha portato a una tendenza generale di supermercati e marchi a bypassare gli altri soggetti fondamentali della filiera (in particolare i commercianti) per acquisire il controllo verticale della catena fino ai produttori, attraverso strumenti di negoziazione (per risparmiare sui costi dell’integrazione verticale).Parallelamente, la crisi finanziaria ed economica iniziata nel 2008 ha anche esercitato un pressione sempre maggiore sui margini e sui risultati finanziari dei soggetti interessati, in particolare delle compagnie multinazionali, portando molte di queste a ripensare i loro settori principali e a specializzarsi sempre di più. Queste tendenze potenzialmente opposte hanno portato sempre più spesso alla riconfigurazione azien-dale o alle alleanze all’interno della filiera agricola, portando a delle conseguenze che ora come ora sono difficili da predire.

b. Profili più frequenti della concentrazione di potere

Come illustrato da Gereffi e altri (vedi capitolo 1), la concentra-zione del potere nelle catene del valore globali non è casuale, ma strutturale; porta a schemi di governance attraverso i quali i “compratori principali” sono in grado di controllare i fornitori, la distribuzione delle attività e la struttura della produzione e della lavorazione, ben lontano dal modello di mercato a concorrenza perfetta.Nelle filiere agricole, questi profili possono essere ridotti

64. Ibid.65. Weatherspoon, D., e Thomas Reardon. “The Rise of Supermarkets in Africa: Implications for Agrifood Systems and the Rural Poor.” Development Policy Review, 2003.

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

a 4 casi più ricorrenti che differiscono significativamente dal modello di mercato a concorrenza perfetta (vedi diagramma successivo):

1. Integrazione verticale di tutte le attività, dalla produzio-ne di beni finiti alla produzione negli impianti industriali, mentre la distribuzione è lasciata nelle mani dei distributori (modello gerarchico);2. Sistemi vincolati, nei quali i produttori agricoli dipendono dai grandi compratori che controllano la catena dallo stadio della produzione o distribuzione;3. Reti relazionali a lungo termine sviluppate da grandi im-prese di marca con i grandi commercianti, che mantengono i produttori agricoli con un legame vincolante;4. Catene modulari, sviluppate dalle grandi imprese ma-nifatturiere con i fornitori “chiavi in mano”, che producono merci intermedie standardizzate e fanno sourcing dai pro-duttori agricoli assoggettati.

L’integrazione verticaleIl vecchio modello di controllo nelle filiere agricole è l’integra-

zione verticale. Risale al commercio coloniale di risorse indiffe-renziate esportate (cf. paragrafo storico visto in precedenza). È stato sviluppato principalmente nei settori dei frutti tropicali (banane, ananas, mango…), di tè (soprattutto in Sri Lanka e Africa orientale), zucchero di canna, olio di palma, soia e, più recentemente, delle verdure fuori stagione.La caratteristica che accomuna questa filiere è il controllo strutturale eserci-tato dalle compagnie che storicamente hanno integrato la catena dalla produzione alla lavorazione del prodotto finito.

I fattori che più sostengono l’integrazione verticale sono la ricerca di economie di scala, stabilità dei volumi, alta qualità dei prodotti e gestione dei rischi associati ai prodotti deperibili. Tale modello gerarchico è stato spesso caratterizzato da relazioni patriarcali nelle quali i grandi proprietari forniscono anche scuole, strutture sanitarie e alloggio agli agricoltori delle loro piantagioni in cambio della loro dedizione e della pace sociale. Queste catene integrate gerarchicamente sono sempre più contrastate da modelli più liberi di controllo verticale, che sono stati agevolati dalla globalizzazione e dalla specializzazione dei soggetti nelle filiere agricole.

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CATENE GLOBALI DEL VALORE, 5 MODELLI DI GOVERNANCE (Fonte: BASIC, basato su Gereffi, Humphrey e Sturgeon (2005))

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

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CATENA DI APPROVVIGIONAMENTONEL SETTORE DELLE BANANE

BANANE: UN ESEMPIO PRINCIPALE DI INTEGRAZIONE VERTICALE STORICAIl passaggio delle banane a commodity commerciabili a livello internazionale risale al XIX secolo. Data la natura deperibile della banana, il suo commercio è stato storicamente domina-to da imprese integrate verticalmente che ne controllavano la produzione, il confezionamento, la spedizione, l’importa-zione e (a volte) la stagionatura.

Dal 1900 al 1930, la UFC (United Fruit Company) dominava il mercato americano, mentre Fyffes esercitava un quasi-mo-nopolio nel Regno Unito66. A seguito delle decisioni anti-trust delle corti americane, furono create la Standard Fruit Company e la Del Monte67. Negli anni ’80 e ’90, solo 5 compagnie - la Dole (ex Standard Fruit Company), la Chiquita (ex United Fruit Company), Del Monte, Fyffes e Noboa - commerciavano più dell’80% mondiale delle banane68.

La filiera nel settore delle banane è un tipico modello di catena gerarchica, nel quale queste multinazionali hanno integrato verticalmente tutte le operazioni lungo la filiera, dallo stadio di produzione (attraverso la proprietà delle piantagioni) ai canali di distribuzione (ai piccoli negozi, ai rivenditori e, infi-ne, al consumatore) per controllare l’offerta e l’influenza del mercato a valle.

Più recentemente, la disponibilità dei servizi di trasporto marittimo di linea, la creazione di norme di qualità tecniche da parte dei supermercati e la liberalizzazione del mercato europeo hanno stimolato i rivenditori a comprare le banane indipendentemente dalle multinazionali. Di conseguenza, diversi grandi supermercati hanno iniziato a costruire catene più liberamente controllate, dai consumatori ai produttori, scaricando le responsabilità - di gestione dei rischi, controllo qualità e logistiche - ai loro fornitori69.La competizione sempre più spietata tra le grandi compa-gnie di frutta per poter rimanere i “fornitori preferenziali”

dei supermercati ha portato a un’inversione della struttura di governance delle catene globali del settore delle banane, che sono sempre più influenzate dai rivenditori al posto che dalle imprese integrate del settore della frutta. Questo ha innescato una rinnovata dinamica di concentrazione del potere nell’industria delle banane. Una delle più notevoli riguarda la fusione tra Chiquita (l’azienda più importante al mondo per la commercializzazione delle banane) e Fyffes (la quarta più importante), annunciata nel marzo del 2014.

Quest’evoluzione delle filiere mondiali nel settore delle ba-nane ha portato all’insorgere di nuove configurazioni nelle quali i produttori (di piantagione o piccoli agricoltori) sono più indipendenti, ma sempre vincolati dai supermercati dall’altra estremità della catena (anche se non sono completamente integrati nelle loro catene di approvvigionamento).

66. William H. Friedland, University of California, Agrifood Globalisation and Commodity Systems, 2003.67. Marcelo Bucheli, Stanford University, The Role of Demand in the Historical Development of the Banana Market, 2002.68. AO, The World Banana Economy 1985-2002, Roma, 2003; International Centre for Trade and Sustainable Development (ICTSD), Value Chains and Tropical Products in a Changing Global Trade Regime, 2008.69. Fairtrade Foundation, op. cit.

(basato sul Gereffi Models)

CATENE GLOBALI DEL VALORE DELLE BANANE (Fonte: BASIC)

QUOTA DI VALORE DETENUTA DA OGNI SOGGETTO

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

Sistemi vincolatiQuesto tipo di struttura della governance ha una lunga tradi-zione nell’agricoltura. I primi casi della storia si verificarono per mano dei commercianti di commodity coloniali, soprat-tutto commercianti che si trovavano nei paesi produttori.Questo modello è stato applicato nella produzione di di-versi prodotti, ogni volta che gli agricoltori dipendevano da pochi compratori che esercitavano un bel po’ di controllo. Le relazioni di potere sbilanciate in questi modelli vincolati obbligano gli agricoltori ad accettare le condizioni del commercio e un alto grado di monitoraggio da parte dei compratori.

Oggi, questo modello si riscontra soprattutto nella produ-zione e distribuzione di questi prodotti:

• Nella frutta fresca tropicale e nel settore dell’olio di pal-ma, dove gli agricoltori medi e piccoli vengono utilizzati come fornitori di scorte cuscinetto dagli esportatori che dominano il mercato e che possiedono le piantagioni (cf. il caso delle banane descritto in precedenza);• Nel settore dello zucchero di canna, dove le imprese di trasformazione più grandi esternalizzano la produzione di queste merci deperibili da un grande numero di pic-coli agricoltori che devono vendere loro il prodotto il più velocemente possibile, prima che questo vada a male;• Nel cotone, in Asia (e in misura più ridotta anche nell’A-frica dell’Ovest), dove i piccoli agricoltori che sono sot-tomessi a produzione sotto contratto dipendono quasi esclusivamente dal compratore che fornisce loro i servizi di marketing e gli input agricoli di produzione (fertilizzanti e pesticidi);• Nel settore caseario, soprattutto in Europa, nel quale i produttori sono alle dipendenze direttamente dalle im-prese casearie fortemente concentrate (Nestlé, Lactalis…).

UN CHIARO ESEMPIO DI AGRICOLTORI ASSOGGETTATI: LA FILIERA DELLO ZUCCHERO DI CANNAQuasi l’83% dello zucchero mondiale viene estratto dalla canna da zucchero, mentre la percentuale rimanente copre lo zucchero estratto dalla barbabietola. La canna da zucchero viene coltivata principalmente nel Sud del Mondo. Il Brasile è il maggior esportatore mondiale (50% della produzione), seguito da Australia, Tailandia, Cuba, Guatemala, Sudafrica, Mauritius, Colombia, El Salvador e Fiji70.Per molte nazioni del Sud del Mondo, la coltivazione della canna da zucchero rappresenta un’importante fonte di reddito (il 70% delle esportazioni a Cuba, e il 40% nel Beli-ze e Fiji) e di occupazione rurale (l’industria della canna da zucchero impiega più di un milione di persone in Brazile e il 25% della forza lavoro delle Fiji)71.

In molti paesi produttori, la lavorazione e la raffinazione sono concentrate nelle mani di poche ma grandi compagnie private72 che hanno una presenza nazionale, e le cui esporta-zioni di zucchero sono di norma controllate da una sola desk company73. Mentre le aziende private controllano sempre di più la catena in modo verticale, importanti normative protezioniste nei mercati delle nazioni e regioni principali (USA, UE, Brasile, India, Cina) vengono ancora applicate per influenzare i prezzi di mercato.

La lavorazione dello zucchero e la raffinazione sono pro-cessi tipicamente ad alta intensità di capitale, e cruciali per la concorrenza del settore. Sono sempre stati i settori più vincolanti delle catene del valore dello zucchero74. Ecco perché i maggiori commercianti più importanti nel settore dello zucchero - Cargill, Louis Dreyfus, Bunge ED&F Man, Sucden e Czarnikow - nell’ultimo decennio hanno investito sempre di più negli impianti di raffinazione75, così come hanno fatto le grande raffinerie brasiliane in espansione

70. FAO, Markets and Trade Division, Sugar International Market Profile, background paper for the Competitive Commercial Agriculture in Sub-Saharian Africa (CCAA) Study, 2007.71. Fairtrade Foundation, Fairtrade and sugar, commodity briefing, gennaio 2007.72. Il livello di concentrazione anche nell’Unione Europea sembra molto alto: secondo un rapporto di Oxfam, pubblicato nel 2002, una compagnia controlla i contingenti dello zucchero di barbabietola in otto di 14 stati membri UE.74. Helvetas, Value Chain Governance that Benefits the Poor, 2010.75. Ethical Sugar, The Development Model of Brazilian Sugarcane, 2009.

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

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(Copersucar, Cosan e Crystalsev)76. Più recentemente, le raf-finerie europee hanno iniziato a fondersi con i commercianti internazionali e a investire sempre di più negli impianti di raffinazione locali per tenere sotto controllo l’offerta: la AB Sugar (controllata dalla società di capitali Associated British Food) adesso possiede la Czarnikov e la Illovo (i produttori di zucchero leader dell’Africa orientale e australe), mentre Süd-zucker ha acquisito buona parte della ED&F Man. Ancora più di recente, nel settembre del 2014, la Cargill e la Copersucar hanno annunciato che avrebbe unito le forze nell’attività di commercializzazione dello zucchero, unendosi nell’impresa più forte del settore a livello nazionale.

Lo zucchero di canna viene raffinato negli zuccherifici, che di solito si trovano vicino alle aree di coltivazione77. Uno zuccherificio di solito viene usato da diversi agricoltori ed è improbabile che ci siano più impianti nella stessa area78. Questo crea un forte sbilanciamento di potere, soprattutto nelle nazioni nelle quali la canna da zucchero è coltivata principalmente da piccoli agricoltori, come in Pakistan e nelle Filippine, dove la maggior parte dello zucchero vie-ne coltivato in proprietà che raggiungono estensioni non superiori ai 5 ettari79. L’offerta di zucchero viene regolata attraverso accordi contrattuali tra i piccoli agricoltori e lo zuccherificio, che fornisce loro credito, proroghe e servizi sociali (come scuole e ambulatori)80. Di conseguenza, i piccoli coltivatori di canna da zucchero sono assoggettati allo zuccherificio, che è l’unico canale attraverso il quale possono vendere il loro prodotto, e che fornisce loro gli input agricoli cruciali - in particolare i pesti-cidi - e i servizi dei quali hanno bisogno. La loro dipendenza è aggravata dal fatto che devono vendere loro il prodotto il più rapidamente possibile, appena raccolto, prima che perda il suo contenuto di saccarosio.La situazione è molto simile in Africa orientale e australe,

dove le grandi piantagioni di canna da zucchero contrattano i piccoli agricoltori indipendenti nelle vicinanze per fornire loro delle scorte cuscinetto. Le grandi proprietà offrono semi, fertilizzanti e il trasporto alle loro fabbriche. In cambio, gli agricoltori sono obbligati a vendere loro il 100% della loro produzione e ad accettare che i rimborsi dei prestiti vengano detratti direttamente dalla loro percentuale sulla vendita81.

Come spiegato in precedenza, la catena del valore dello zucchero di canna è un chiaro esempio del modello di go-vernance vincolato definito da Gereffi come descritto nel primo capitolo di questo studio.

76. Ethical Sugar, The Development Model of Brazilian Sugarcane, 2009.77. Le canne vengono frantumate da grandi rulli per ottenerne il succo, che contiene saccarosio. Lo zucchero grezzo viene ulteriormente raffinato prima di poter essere usato nelle catene alimentari. Il processo rimuove le impurità e il colore, tramite lavaggio e filtraggio. Lo zucchero raffinato viene poi cristallizzato, essiccato e impacchettato, già pronto per le industrie che lo rivenderanno al consumatore finale.78. J. Clay, World Agriculture and the Environment, Island Press, USA 2004.79. United Nations Development Program, Sugar Scoping Paper, 2010.80. International Centre for Trade and Sustainable Development (ICTSD), Value Chains and Tropical Producs in a Changing Global Trade Regime, 2008.81. USAID, Value Chain Governance and Access to Finance: Maize, Sugar Cane and Sunflower Oil in Uganda, settembre 2007.

CATENE GLOBALI DEL VALORE DELLO ZUCCHERO (Fonte: BASIC)

QUOTA DI VALORE DETENUTA DA OGNI SOGGETTO

CATENA DI APPROVVIGIONAMENTONEL SETTORE DELLO ZUCCHERO

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

LE CATENE DEL VALORE GLOBALI NEL CAFFÈ: SOLIDE RETI RELAZIONALI TRA TORREFAZIONI E COMMER-CIANTI CHE VINCOLANO I PICCOLI AGRICOLTORI

«La nostra associazione è un esempio di organizza-zione di molti piccoli agricoltori: non sapevamo mai chi erano i nostri clienti, non avevamo un rapporto diretto con loro. Potevamo solo sperare che i nostri esportatori facessero dei buoni affari anche per noi.»Javier River Laverde, ASOPECAM - Colombia

Il caffè viene coltivato da circa 25 milioni di produttori (princi-palmente proprietari di piccole piantagioni, inferiori ai 10 acri) e consumato da 500 milioni di persone in tutto il mondo83. Solo cinque aziende gestiscono il 45% delle torrefazioni che si occupano della tostatura del caffè - Nestlé, Kraft-Monde-lez, Sara Lee, Procter & Gamble e Tchibo - mentre solo tre aziende hanno in mano il 50% del commercio mondiale di caffè crudo - Neumann Gruppe, ECOM e Volcafé (adesso controllata dalla ED&F Man)84.

Dalla liberalizzazione del commercio del caffè nel 1989, la catena del valore del caffè è stata sempre più influenzata dalle torrefazioni (molto più che dai rivenditori), ben oltre la storica influenza dei commercianti. Questi sono inoltre i soggetti che generano la maggior parte del “valore aggiunto” nella catena. Tuttavia, non influenzano la catena come soggetti individuali, bensì in stretta collaborazione con i commercianti internazionali di caffè con i quali stringono rapporti di lavoro da decenni85. In molte aree, la struttura delle filiere del caffè è fortemente legata all’influenza combinata di torrefazioni e commercianti, in particolare attraverso l’innalzamento di barriere all’accesso (quantità minime, inventari gestiti dai venditori…) e l’approvvigionamento di caffè dai piccoli colti-vatori che si trovano intrappolati in una situazione vincolata a causa dello sbilanciamento del potere di negoziazione86. La forte posizione dei commercianti e delle torrefazioni nelle catene globali del caffè ha permesso loro di influenzare la

Un altro esempio molto simile viene riscontrato nella pro-duzione del cotone, nella quale la maggior parte dei picco-li agricoltori, sia nell’Africa occidentale e australe che nel Sudest asiatico, dipendono dalle imprese di sgranatura che controllano il primo stadio di lavorazione della catena, nello stesso modo in cui gli zuccherifici controllano la prima fase di lavorazione dello zucchero: le imprese di sgranatura controllano il prezzo pagato agli agricoltori e forniscono loro gli input cruciali di cui necessitano (semi, fertilizzanti…).

Le reti relazionali che si approvvigionano dagli agricol-tori assoggettatiLe filiere agricole non sono sempre così concentrate come descritto nei casi precedenti. I modelli a rete relazionale sono emersi nel XX secolo nei settori agricoli prevalentemente gestiti da un grande numero di piccoli agricoltori, nei quali la concentrazione del potere dei commercianti aumentava in linea con quella delle industrie manifatturiere e di tra-sformazione coinvolte nella filiera.

La governance relazionale si verifica quando i compratori e i venditori hanno stabilito uno stretto rapporto diretto che crea una barriera impossibile da valicare per gli altri soggetti della catena. Collaborazioni lavorative così strette rivestono un ruolo fondamentale per le aziende, perché queste continuino ad approvvigionarsi anche in ambienti tumultuosi, soprattutto nei mercati agricoli sempre più instabili. Il contratto legale è l’unico meccanismo che unisce le aziende e gestisce il loro rapporto di interdipendenza.82

Nelle filiere agricole, il modello di governance viene combinato con l’approvvigionamento vincolato con i piccoli agricoltori per assicurare che i prezzi delle risorse siano i più bassi del mercato.Gli esempi principali di questi modelli si trovano nell’industria del caffè (tra commercianti e torrefazioni) così come nel settore di altre commodity, come il cacao e il burro di karitè (tra com-mercianti e industrie di trasformazione). Sono anche diffusi nell’industria tessile, in particolare in quella del cotone.

82. Helvetas, Value Chain Governance that Benefits the Poor, 2010.83. ICO, International Coffee Figures, 2010.84. CC, Coffee Barometer, 2012.85. Daviron e Ponte, The Coffee Paradox: Global Markets, Commodity Trade & the Elusive Promise of Development, 2005.86. Ibid.

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

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quota di valore del caffè crudo nel prodotto finale (vedi sotto).Le torrefazioni e i commercianti sono riusciti a incrementare il loro margine lordo mentre la quota assegnata agli agricoltori

è diminuita. La situazione ha portato a una crisi chiamata “il paradosso del caffè” che, nel 2000, ha visto gli agricoltori fare fronte ai prezzi più bassi del secolo mentre, allo stesso tempo, il valore dei prodotti a base di caffè nei paesi consumatori aumentava87.Di conseguenza, nonostante a livello globale il potere sia distribuito più ampiamente nel settore del caffè che in altre filiere agricole - come quelle delle banane - i coltivatori di caffè sono più condizionati ad accettare i termini di scambio imposti dai loro compratori, a meno che non riescano a organizzarsi collettivamente in cooperative. Questo è un chiaro esempio di come funzionano le catene di valore basate su reti relazionali.

Catene modulari basate sui fornitori “chiavi in mano” e sugli agricoltori assoggettatiDi recente, catene agricole più complesse si sono sviluppate per produrre il cibo lavorato attraverso l’assemblaggio di “prodotti intermedi” (ingredienti).

Queste catene più complesse sono spesso organizzate attraver-so un insieme di produttori “chiavi in mano” di “componenti”, ognuno dei quali controlla le filiere, strutturate nella maniera già illustrata, con gli agricoltori intrappolati in “cattività”. I for-nitori “chiavi in mano” nelle catene del valore modulari creano i prodotti secondo le esigenze del cliente, coprendo i costi relativi

87. Daviron e Ponte, op. cit.

La forte posizione di commercianti e torrefattori in catene di caffè a livello mondiale ha permesso loro di influenzare il valore di quota di caffè verde nel prodotto finale.

Valore aggiunto nei paesi consumatoriCosti di trasporto e perdite nel pesoValore aggiunto nei paesi produttoriPrezzi dei coltivatori

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2001

2003

GOVERNANCE DELLA CATENA DEL CAFFÈ (Fonte: BASIC)

EVOLUZIONE DELLA RIPARTIZIONE DEL VALORE DEL CAFFÈ DAGLI ANNI ‘60 (Fonte: Daviron & Ponte 2005)

TORREFAZIONI COMMERCIANTI

QUOTA DI VALORE DETENUTA DA OGNI SOGGETTO

CATENA DI APPROVVIGIONAMENTONEL SETTORE DEL CAFFÉ

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

Berry Callebaut40,00%

Altri28,30

Cargill - 11,00%

alla tecnologia necessaria alla lavorazione. L’informazione richiesta è altamente codificata attraverso le normative relative al processo e al prodotto. All’inizio della catena, gli agricoltori spesso sono intrappolati in modelli vincolati con i commercianti e/o con le imprese di trasformazione88.

La maggior parte dei prodotti alimentari lavorati sono pro-dotti attraverso catene modulari, a capo delle quali si trovano le imprese di marca mentre dall’altra estremità i produttori agricoli principali: alimenti confezionati, cibi pronti, piatti congelati, etc. Questo fenomeno è altrettanto diffuso nell’in-dustria della moda.

IL CIOCCOLATO: UN CASO ESEMPLARE DI CATENA DI ALIMENTI LAVORATI CONCENTRATA SU DIVERSI LIVELLIUno dei casi più esemplari di una struttura di governance modulare è il caso del cioccolato, che viene prodotto attraverso l’assemblaggio di pasta di cacao, burro di cacao, zucchero e lecitina di soia (con l’eventuale aggiunta di vaniglia alla ricetta standard).

Alla fine della catena del cioccolato, c’è una concentrazione in crescita: in primo luogo, a causa delle numerose barriere d’accesso al mercato (i costi di investimento nel processo di ricerca e sviluppo, budget pubblicitari, etc.) che limitano l’in-sorgenza di nuovi concorrenti; e in secondo luogo, a causa delle numerose fusioni e acquisizioni nell’industria del cioccolato, che continuano a ridurre il livello di competizione. Le principali aziende manifatturiere - Mars, Kraft/Mondelez (che di recente ha comprato anche la Cadbury), Nestlé, Ferrero e Hershey - rappresentano più del 50% del mercato dolciario mondiale.89

A monte, l’ultima trasformazione della catena è la produzione di cioccolato industriale, chiamato “cioccolato da copertura” (che non è quello che comprano i consumatori). Ci sono due categorie di operatori:

• Le catene verticalmente integrate di aziende manifat-turiere di marca che producono cioccolato industriale per uso personale (Mars, Kraft/Mondelez, Nestlé…) e rappre-

sentano il 52% della produzione globale di cioccolato90;• Le aziende manifatturiere di cioccolato industriale (chia-mato anche cioccolato da copertura) per i clienti esterni, che rappresentano il 48% della produzione di cioccolato globale, altamente concentrato: in questa categoria, più dei due terzi del mercato mondiale è prodotto da solo 4 compagnie (Barry Callebaut, Cargill, Bloomer e ADM). Solo la Barry Callebaut rappresenta una fetta di mercato che si aggira intorno al 40%91. Più di recente, nel set-tembre del 2014, la Cargill ha comprato le operazioni di produzione del cacao dalla rivale Archer Daniels Midland per aumentare l’integrazione verticale dal commercio dei chicchi di cacao alla produzione di cacao industriale.

88. Helvetas, Value Chain Governance that Benefits the Poor, 2010.89. TCC, op. cit.90. Barry Callebaut, Tapping into a Fast-Growing Chocolate Market, ottobre 2013.91. TCC, Cocoa Barometer, 2012.

Fonte: BASIC, basato su Euromonitor 2009

Fonte: BASIC, basato su UNCTAD (2008) e Barry Callebaut (2013)

QUOTE DI VALORE DEL MERCATO DEL CIOCCOLATO INDUSTRIALE

Kraft/Mondelez - 13,89%

Mars16,49%

Altri38,92%

Nestle - 10,99%

Ferrero - 10,19%

Lindt - 2,94%

Hershey - 6,58%

Blommer - 9,50%

ADM - 8,00%

Cemoi - 3,20%

Al livello successivo nella filiera, anche il settore della ma-cinazione del cacao è strutturalmente molto concentrato. Le tre maggiori compagnie di lavorazione del cacao - ADM, Cargill e Barry Callebaut - rappresentano il 45% del mercato. Diverse tipi di compagnie operano nel settore: compagnie che si occupano del commercio di commodity, imprese specializzate nella macinazione e industrie dolciarie come Kraft/Mondelez,

QUOTE DI VALORE DEL MERCATO DOLCIARIO MONDIALE

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Nestlé e Ferrero, che hanno integrato il processo di macinazione per esigenze particolari92. Più recentemente, un meccanismo di concentrazione del potere si è rinnovato a questo livello della catena con l’acquisizione del reparto del cacao della Petra Foods da parte della Barry Callebaut nel luglio del 2013, creando l’impresa più grande al mondo nel settore del cacao, già leader mondiale nel settore del cioccolato.

Al livello della produzione del cacao, più del 90% del cacao mondiale è coltivato da circa 5,5 milioni di piccoli coltivatori, principalmente in Africa Occidentale (Costa d’Avorio e Ghana). Altri 14 milioni di operatori agricoli dipendono direttamente dal cacao per il proprio sostentamento. Gli agricoltori vendono il loro prodotto tramite i grandi commercianti di commodity, che spesso comprano i chicchi di cacao tramite intermediari locali. Da questa parte della catena, la struttura è organizzata secondo un modello di catena vincolata nella maggior parte dei paesi produttori. La quota sul prodotto finito che viene lasciata agli agricoltori è diminuita a partire dalla liberazione

92. Ibid.

del cacao nel 1990, mentre la quota generata dalle attività a valle è aumentata in maniera significativa, insieme al prezzo del prodotto finale (per esempio, una barretta di cioccolato), in particolare grazie allo sviluppo del prodotto e delle attività di marketing del marchio. Questa situazione riflette il crescente potere di mercato dei soggetti alla fine della catena (com-mercianti, imprese di macinazione, aziende manifatturiere, marchi).Il cacao, l’ingrediente principale del cioccolato, è un ottimo esempio delle conseguenze del modello vincolato nel quale i coltivatori si trovano intrappolati all’inizio della catena del valore modulare.

GOVERNANCE NELLA CATENA GLOBALE DEL CACAO/CIOCCOLATO (Fonte: BASIC)

QUOTA DI VALORE DETENUTA DA OGNI SOGGETTO

Una prospettiva globale della catena del valore del cacao è illustrata dal seguente diagramma:

Cargill - 14,00%

Barry Callebaut(incl. Petra)

21%Altri

28,30%

ADM - 12%

Blommer - 5,00%

Kraft/Mondelez- 4,00%

Nestle - 3,00%

CAMEROON COSTAD’AVORIO

GHANA NIGERIA

1987-1995 1996-2005

10%9%8%7%6%5%4%3%2%1%0%

CATENA DIAPPROVVIGIONAMENTONEL SETTORE DEL CACAO

FILI

ERA

Fonte: BASIC, basato UNCTAD (2008) e Barry Callebaut (2013)

QUOTE DI VALORE NEL SETTORE DELLA MACINAZIONE DEL CACAO

QUOTE DI VALORE DEI PRODUTTORI NEI PRINCIPALI PRODUTTORI DI CACAO IN PERCENTUALE SUL PREZZO DI RIVENDITADEL CIOCCOLATO IN REGNO UNITO

Fonte: BASIC, basato UNCTAD (2008) e Barry Callebaut (2013)

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

Inoltre, la produzione del cacao coinvolge anche altri ingre-dienti - zucchero, lecitina di soia ed estratto di vaniglia - che spesso sono organizzati in catene vincolate degli impatti analoghi (in particolare, nel caso della vaniglia prodotta in Madagascar e India).

c. Come la concentrazione di potere porta alle pratiche commerciali scorrette (PCS)La concentrazione strutturale del potere del compratore nelle filiere agricole descritta nella sezione precedente può portare a casi di abuso di potere e può essere associata alle pratiche commerciali scorrette: “pratiche che si discostano gravemente da una buona condotta commerciale, che sono contrarie alla buona fede e alla correttezza, e che vengono im-poste unilateralmente da un partner commerciale a un altro”93.

PCS nella fase di rivenditaI casi meglio documentati di pratiche commerciali scorrette riguardano i supermercati, i quali si sono imposti nel settore della rivendita alimentare durante le ultime decadi cambiando l’equilibrio di potere nelle filiere agricole94.I comportamenti scorretti dei supermercati in questione includono: compressione dei prezzi, minacce di depenna-zione dalle liste di fornitori preferenziali95, la riduzione o il cambiamento dei prezzi con valore retroattivo, richieste di commissioni di fedeltà dai fornitori, opacizzazione del prez-zo, contratti a breve termine o nessun contratto, richieste di accordi regionali/globali coi fornitori, pagamenti posticipati, richieste di promozioni globali a breve termine e richieste di implementazione degli standard alle spese dei fornitori96. I supermercati leader possono anche scaricare rischi eccessivi o ingiustificati sui fornitori, e possono minare la concorrenza

dei marchi alimentari indipendenti97. Inoltre, sono stati se-gnalati ripetuti casi di distorsione della concorrenza in-store collegati con i marchi dei supermercati (private labels) che sono stati creati per competere con i marchi indipendenti: miglior posizionamento dei marchi dei supermercati, imitazione del packaging di aziende rivali, servizi in-store scadenti forniti ai marchi indipendenti, etc.

Tuttavia, i reclami sono quasi inesistenti, perché i fornitori temono di infastidire i loro clienti più grandi e di perderli98. L’esistenza di un “clima di apprensione” tra i fornitori è stato chiaramente documentato in molte nazioni, in particolare dall’inchiesta della UK Competition Commission sul comporta-mento dei quattro supermercati britannici più grandi. In alcuni casi, la posizione privilegiata dei supermercati è tale che le loro decisioni di inserimento in lista influenzano la sostenibilità finanziaria dei loro fornitori99. Queste pratiche commerciali scorrette aumentano la pressione economica sulle aziende di marca, perfino su quelle internazionali, che a loro volta esercitano forti pressioni a monte sui prezzi che pagano ai loro fornitori nei paesi produttori, aumentando il rischio che gli agricoltori e i lavoratori abbiano i ritorni commerciali e i salari necessari a sopravvivere, tanto più che non si trovano in una situazione in cui poter contrattare, appartenendo a un regime vincolato con i loro compratori o datori di lavoro100.

PCS nei paesi produttoriLe PCS possono verificarsi in qualsiasi stadio della filiera agricola, e possono assumere diverse forme. Per questo studio, abbiamo particolarmente indagato sulla situazione nei paesi produttori attraverso interviste con i rappresentanti dei piccoli agricoltori e gli esperti del settore in diversi prodotti e regioni: banane nei Caraibi, zucchero in Sudamerica e Africa australe, e

93. CE, Affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese, comunicazione al Parlamento Europeo e al Comitato Economico e Sociale Europeo, 2014.94. Weiss e Wittkopp, “Buyer Power and Product Innovation: Empirical Evidence from the German Food Sector”, FE 0303, Università di Kiel, giugno 2003, p. 395. Blythman, Shopped: the Shocking Power of Britain’s Supermarkets, Harper Perennial, 2007, pp. 150-151.96. South Center, Traidcraft, Rebalancing the Supply Chain, Buyer Power, Commodities & Competition Policy, 2008.97. I marchi alimentari possono essere obbligati da contratto a sostenere i costi di: 1) spedizione su pallet o cassette di terze parti (imposte dai supermercati) ai punti vendita individuali; 2) rifornimenti in-store; 3) attività di marketing e promozionali in-store; 4) ammanchi; 5) lamentele del consumatore; 6) previsione sbagliate dei profitti e profitti garantiti; 7) articoli invenduti; e 8) condizioni di credito positive sfruttate dai supermercati.98. Bevan, “Trolley Wars: the Battle of the Supermarkets”, Profile Books, 2006: 174-175.99. Thomasen, Lincoln e Aconis, Retailization - Brand Survival in the Age of Retailer Power, Kogan Page, 2006. 100. ILO, Tripartite Meeting to Examine the Impact of Global Food Chains on Employment, 2007.

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caffè in Centro e Sud America. I risultati di questi studi indicano che i compratori applicano pratiche commerciali scorrette ricorrenti, precludendo ai piccoli agricoltori l’accesso al mercato (nel caso delle banane), imponendo dei prezzi ingiustamente bassi (nel caso dello zucchero) e impedendo ai piccoli agricoltori e lavoratori nel settori di organizzarsi collettivamente (nel caso del caffè). Queste pratiche non sembrano essere specifiche di determinati prodotti, ma possono succedere in qualsiasi filiera agricola, se sussistono le condizioni.

Precludere l’accesso al mercato ai piccoli agricoltori, tenendoli come fornitori di scorte cuscinettoCasi di questo tipo sono stati riscontrati nella Repubblica Dominicana, dove l’agricoltura è fortemente polarizzata tra “agricoltura famigliare” e “agricoltura industriale” o agribusi-ness (secondo l’ufficio dei registri agricoli nazionali, le aziende agricole a conduzione familiare rappresentano in media il 65% del numero totale di produttori, e usano solo l’11% del territorio arabile totale). In questo contesto, la produzione delle banane è un esempio primario di concorrenza sleale tra piccoli agricoltori e piantagioni nella nazione. Le banane sono la seconda esportazione agricola più importante della Repubblica Dominicana, e un’importante fonte di occupazione e di reddito nelle regioni più povere della nazione101.Il 90% dei produttori sono piccoli agricoltori (con proprietà che si estendono dall’1,2 ai 2,5 ettari), e rappresentano approssimativamente il 50% della produzione di banane102.

A causa della natura deperibile delle banane, le cooperati-ve di piccoli agricoltori non hanno la capacità di esportare in proprio, né sono disposti ad assumersi tale rischio; per questa ragione, i piccoli agricoltori finiscono per affidare la loro produzione a esportatori privati che generalmente sono integrati nelle catene verticali.

Dato che gli esportatori sono spesso proprietari di grandi piantagioni di banane, tendono a vendere prima i loro prodotti

clienti, e a usare la produzione delle cooperative agricole come “scorte cuscinetto”, indipendentemente dalla qualità del prodotto e dalla competitività della loro offerta103.Non avendo accesso diretto agli importatori o alle informa-zioni di mercato (se non tramite l’esportatore), le cooperative vengono mantenute alle dipendenze dell’esportatore, il quale può imporre delle condizioni commerciali molto sfavorevo-li, lasciando alle cooperative un’autonomia molto limitata all’interno della catena104.Questa situazione è ulteriormente peggiorata dal fatto che la maggior parte dei compratori eu-ropei e americani (compagnie ortofrutticole e supermercati) danno priorità alle scorte molto grandi e a una produzione omogenea di buon aspetto, e impongono standard qualitativi sempre più costosi, che le piantagioni sono in grado di fornire con più facilità rispetto alle cooperative di piccoli agricoltori105.

Casi del genere possono essere ritrovati in molti prodotti e regioni dove i piccoli agricoltori vengono impiegati come coltivatori esterni dalle grandi piantagioni o proprietà, per esempio nei settori del tè, caffè e zucchero, nell’Africa austra-le e orientale, o nel settore degli ananas in Centro America.

Imporre dei prezzi ingiustamente bassi ai piccoli agricoltoriNelle filiere agricole capita molto spesso che ai piccoli agricoltori vengano imposte condizioni commerciali sfavo-revoli che li forza a vendere a prezzi che non coprono i costi di produzione. Un esempio si verifica con il caso dei piccoli produttori di canna da zucchero che dipendono fortemente dai loro zuccherifici locali come loro unici compratori (come descritto nella sezione precedente).

In pratica, il prezzo che ottengono si basa sul contenuto zuccherino delle canne che consegnano alla fabbrica. Ma questa quantità è calcolabile solo nel momento in cui la canna da zucchero fresca viene lavorata. Di conseguenza, è lo zuccherificio che spesso calcola questa percentuale e determina il prezzo finale dovuto agli agricoltori. Data

101. Millennium Development Objectives Achievement Fund, scheda informative sulla Repubblica Dominicana, aprile 2013.102. Banana Link, Banana Trade News Bulletin, giugno 2012.103. Interviste anonime con i produttori di zucchero e gli esperti nei paesi produttori.104. Ibid.105. Ibid.

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veicolate da esportatori privati che non producono caffè, ma lo comprano soltanto dai piccoli agricoltori tramite gli intermediari locali. Questi esportatori spesso possiedono impianti di lavorazione e di confezionamento, un gran numero di camion e spesso anche magazzini nelle zone in cui il caffè viene prodotto. Inoltre assumono un gran numero di esperti del caffè in tutto il paese per fornire input e servizi ai piccoli agricoltori, assoggettandoli come fornitori in cattività. Hanno accesso a capitali convenienti e grandi fondi d’investimento pubblici. Ma soprattutto, sono i fornitori preferenziali delle imprese di tostatura, che difficilmente cambiano fornitore, a meno che non si trovino obbligate a farlo.108

In confronto, le cooperative di caffè in questi paesi devono attingere alle proprie risorse economiche attraverso i loro membri (e, a volte, tramite le piccole ONG che li sostengo-no, o i piccoli partner commerciali nei mercati di nicchia). Soprattutto, non hanno sufficienti legami personali con le imprese di tostatura e le aziende manifatturiere.

Nella concorrenza per il sourcing, sono stati segnalati diversi casi nei quali i grandi esportatori di caffè hanno usato le loro risorse finanziarie per spingere i produttori a lasciare le cooperative a cui facevano già parte. Nel momento più cruciale dell’anno, gli intermediari che lavorano per questi esportatori offrono pagamenti anticipati in contanti in cam-bio della vendita dell’intero raccolto, indipendentemente dalla qualità. Questo può succedere solo in caso nei contratti tra piccoli agricoltori o gruppi piccolissimi di coltivatori, mentre le co-operative vengono escluse da questo tipo di offerta. Quando i prezzi sono alti sul mercato del caffè, le cooperative non possono competere con questi grandi esportatori, perché non hanno le risorse necessarie. Vengono indebolite e, a volte, finiscono per doversi disgregare.109

l’alta variabilità del contenuto zuccherino, i coltivatori non hanno altra soluzione che fidarsi delle stime offerte dall’impianto di raffinazione106.

Nonostante casi di lavoro sottopagato vengano segnalati regolarmente, i coltivatori non hanno modo di lamentarsi perché dipendono dall’impianto di raffinazione per lavorare e vendere il loro prodotto, e non hanno clienti alternativi nelle regioni dove hanno i loro appezzamenti107.Queste situazioni sono molto comuni ovunque i piccoli agricoltori siano costretti da condizioni vincolanti e abbiano poca o nessuna possibilità di trovare rotte commerciali alter-native, come nella produzione del latte in Asia, della vaniglia in Madagascar o degli anacardi in Africa occidentale e Asia.

“Le pratiche commerciali ingiuste sono molto comuni tra quei compratori che chiamiamo “coyotes”. Loro fanno leva sulle loro risorse finanziare per competere con le cooperative di piccoli agricoltori che non hanno le liquidità necessarie per comprare il caffè dai loro membri al giusto momento. Nel commercio convenzionale, siamo sempre in difficoltà con i grandi compratori.”Raúl Claveri, COCLA - Perù

PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE CONTRO PICCOLI AGRICOLTORI DISPOSTI A ORGANIZZARSI COLLETTI-VAMENTEIn molti casi, quando i piccoli agricoltori cercano di orga-nizzarsi collettivamente (in cooperative, sindacati, etc.) in assenza di norme pubbliche, la concentrazione di potere nelle mani di compratori viene anche usata per minare o impedire le loro iniziative.

Questo è il caso, in particolare, del Messico, del Nicaragua e del Perù, dove più del 70% delle esportazioni di caffè sono

106. Interviste anonime con i produttori di zucchero ed esperti nei paesi produttori.107. Ibid.108. Interviste anonime con i produttori di caffè ed esperti nei paesi produttori.109. Ibid..

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ingiustamente le cooperative per prodotti scadenti, così da approvvigionarsi dagli agricoltori non organizzati, facendo in modo che le imprese di tostatura non potessero entrare in diretto contatto con le cooperative per verificare le false accuse. Non potendo presentare ricorso, le cooperative di caffè non hanno avuto scelta, se non quella di accettare un rinegoziazione dei prezzi e delle condizioni dopo che il caffè era già stato spedito. Negli ultimi anni, questo tipo di situazione ha portato al fallimento di diverse iniziative di relazioni commerciali dirette tra piccoli agricoltori e grandi aziende manifatturiere.110

Casi dello stesso tipo sono stati riscontrati nei settori e nelle regioni nei quali le organizzazioni collettive di agricoltori (cooperative, sindacati…) sono in confronto diretto con i grandi compratori che vogliono mantenere o aumentare il loro potere nella catena, in particolare nella produzione di cacao e latte in America Latina, Africa e Asia.

“L’ultima cosa che i grandi compratori vogliono è di avere a che fare con organizzazioni di piccoli produttori. Preferiscono gli agricoltori isolati che possono esser manipolati a proprio piacimento tramite pagamenti a breve termine che non garantiscono il sostentamento della loro famiglia. Le pratiche commerciali scorrette vengono istigate dalle stesse compagnie che vengono finanziate dai nostri governi statali.”Luís Martínez Villanova, UCIRI - Messico

Anche quando le cooperative riescono a stabilire degli scambi commerciali direttamente con le grandi imprese di tostatura nei paesi importatori, i loro affari vengono minati dei grandi esportatori, che possono rompere le loro partnership commerciali, innalzando cortine di fumo.In molti casi segnalati, gli esportatori che operano tra le cooperative di caffè e le imprese di tostatura hanno accusato

110. Ibid.

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“La concentrazione della produzione in poche mani e la scomparsa dei produttori piccoli e medi favoriscono il monopolio e il controllo dei prezzi e del mercato, che creano pressioni negative sulle condizioni sociali, i salari e i diritti umani.”SINTRAINAGRO - Colombia

a. Le condizioni di vita insostenibili degli agricoltori

È la combinazione della concentrazione del potere nella fi-liera agricola con la liberalizzazione e “finanziarizzazione” del mercato mondiale che comporta gravi conseguenze per i piccoli agricoltori, soprattutto per quanto riguarda l’au-mento della pressione sui prezzi e una maggiore volatilità.

Come descritto nel precedente capitolo, il graduale smantel-lamento degli strumenti di stabilizzazione dei prezzi (quote e azioni) e il collasso delle organizzazioni internazionali delle commodity (caffè, cacao, zucchero…) hanno creato le premesse per le quali l’accumulo di potere nelle mani del compratore può comportare pressioni illimitate sui prezzi a danno dei fornitori nell’interesse dei consumatori, aumentando il rischio di pratiche commerciali scorrette a danno dei soggetti più deboli della catena. Questa tendenza ha anche agevolato la speculazione da par-te dei grandi compratori nei mercati di commodity agricole, causando una volatilità dei prezzi mai vista prima e diverse crisi alimentari nei paesi in via di sviluppo.

Di conseguenza, i vantaggi che dovrebbero ritornare ai soggetti della filiera agricola tendono a convergere sempre di più a favore delle aziende più potenti. Il guadagno viene imputato sempre più spesso non a coloro che forniscono il prodotto fisico, bensì a coloro che possono apportare l’in-formazione necessaria per garantire il successo della filiera alimentare a livello globale111. Nonostante la maggior parte delle filiere agricole nel complesso siano abbastanza reddi-

tizie, le condizioni commerciali per i produttori primari sono peggiorate, il divario tra i prezzi del produttore e i prezzi di rivendita si è allargato, e gli agricoltori familiari sono esclusi dai mercati di più alto valore112.

In molte regioni, e per molti prodotti agricoli, i piccoli agricol-tori sono i primi a pagare le conseguenze di questa situazione: le loro condizioni di vita si sono deteriorate incredibilmente nel corso degli ultimi due decenni e, in molti casi, sono diventate insostenibili.

Si può prendere ad esempio ciò che accade nei settori del caffè e del cacao, tenendo in considerazione che casi molto simili si verificano anche con aziende agricole di diversi altri settori (banane, canna da zucchero, olio di palma, latte, etc.).

Gli impatti sistemici delle crisi dei prezzi del caffè sui piccoli agricoltoriIn qualità di una delle più importanti commodity al mondo, il caffè riveste un ruolo cruciale come mezzo di sostenta-mento di milioni di famiglie di agricoltori nei paesi in via di sviluppo. Oltre a circa 25 milioni di piccoli coltivatori di caffè che dipendono direttamente dal caffè come fonte di reddito primaria, il caffè contribuisce significativamente ai proventi del commercio estero e gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo del settore delle infrastrutture e dell’occupazione in più di 50 paesi in via di sviluppo.

Fino al 1989, i produttori e consumatori concordavano sulla necessità di accordi e normative volte a ottenere un mercato disciplinato e prezzi equi sul caffè, e a garantire una certa quantità di approvvigionamenti per l’industria del caffè. Dalla rottura dell’accordo internazionale sul caffè del 1989, questa conformità d’intenti ha ceduto il passo alla dottrina della liberalizzazione.

Questo cambiamento radicale nella governance del settore del caffè abilitò un lungo periodo di crisi caratterizzato da prezzi bassissimi e un eccesso di offerta di chicchi di caffè.

3. Conseguenze sociali e ambientali della concentrazione di poterenell’agricoltura

111. ILO, Tripartite Meeting to Examine the Impact of Global Food Chains on Employment, 2007.112. IIED, 2012, op. cit.

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In particolare, i prezzi collassarono al di sotto del costo me-dio di produzione dal 1989 al 1992, e dal 2000 al 2004. Per esempio, nel 2002 i prezzi raggiunsero un minimo storico di 46,2 centesimi di dollaro alla libbra (circa 1,01$ al chilo), rispetto a 1,2$ alla libbra (2,64$ al chilo), considerato un costo di produzione sostenibile e sufficiente per gli agricoltori e le loro famiglie per vivere dignitosamente. Nel 2002, i soldi che gli agricoltori ricavavano dal caffè avrebbero comprato un quarto di quanto avrebbero comprato nel 1960113.

Queste crisi del prezzo hanno generato una perdita signi-ficativa di reddito e ripercussioni sui piccoli agricoltori in molti paesi in via di sviluppo: abbandono delle coltivazioni, aumento della disoccupazione, proventi da esportazioni ed entrate fiscali ridotti, ripercussioni su altri settori economici, migrazioni dalle campagne alle città, emigrazioni all’estero, meno fondi per la sanità e l’educazione, aumento delle famiglie al di sotto della soglia di povertà, malnutrizione, indebitamento, aumento delle colture illegali, etc.114

Le condizioni di vita insostenibili dei coltivatori di cacao dell’Africa occidentalePiù del 90% della produzione globale di cacao è coltivata da circa 5,5 milioni di piccoli proprietari terrieri. Altri 14 milioni di agricoltori dipendono direttamente dal cacao per la loro sussistenza.

Sotto pressione per liberalizzare i loro mercati, nazioni come la Nigeria, il Camerun e la Costa d’Avorio privatizzarono completamente le loro strutture interne ed esterne negli anni ’90, mentre fino ad allora nell’Africa centrale e occi-dentale prevalevano i sistemi commerciali centralizzati. Il Ghana Cocoa Board è l’unica struttura che ancora stabilisce il prezzo del cacao da pagare ai coltivatori e controlla il 70% del commercio di cacao. Nella maggior parte degli altri paesi produttori ha prevalso un sistema di libero mercato.La Tavola Rotonda per un’Economia del Cacao Sostenibile

(RSCE) riconosce che: “La liberalizzazione dell’industria del cacao non ha avuto i risultati aspettati in termini di aumento della concorrenza tra i compratori a favore degli agricoltori. I piccoli agricoltori e produttori di cacao si trovano ancora all’i-nizio di una filiera gestita dai compratori, nella quale il potere dei compratori è fortemente concentrato a livello mondiale nelle mani di pochissime compagnie”.115

La questione critica nell’economia del cacao è la man-canza di sostenibilità economica nella coltivazione del cacao, causata dall’instabilità dei prezzi e da una tendenza al ribasso nei prezzi reali del cacao. In molte nazioni dell’A-frica occidentale, il reddito delle famiglie dei coltivatori di cacao scende facilmente sotto la soglia di povertà. Questa situazione chiaramente rende la coltivazione del cacao economicamente insostenibile.Vivendo in aree rurali, molti coltivatori di cacao non hanno accesso a infrastrutture di base come strade, elettricità, acqua potabile, servizi sanitari, educazione e altre comodità essenziali.

Le profonde disuguaglianze del commercio del cotoneIl mercato mondiale del cotone è un esempio lampante di globalizzazione commerciale, e ne illustra le disparità: da una parte, la produzione intensiva su larga scala del cotone, con alti livelli di input, è concentrata in pochi paesi nei quali gli agricoltori godono di notevoli sovvenzioni116 e sono in grado di vendere il loro raccolto a prezzi inferiori ai costi reali di produzione; d’altra parte, milioni di piccoli produttori - in Africa centroccidentale, India, Bangladesh… - nonostante i loro costi di produzione più bassi e i loro impatti ambientali più contenuti, pagano le ingenti conseguenze della libera-lizzazione del mercato, tra cui l’alta volatilità dei prezzi del cotone, il dumping causato dalle esportazioni sovvenziona-te, e la pressione esercitata dalle multinazionali sementiere.

Le conseguenze di tale fenomeno negli ultimi decenni hanno

113. ICO, rapporto stilato dal Direttore per la Conferenza UNCTAD, giugno 2004.114. Ibid.115. Roundtable on Sustainable Cocoa Economy, RSCE, 2010.116. Secondo un recente studio condotto dalla Commissione Europea, negli Stati Uniti i prezzi imposti dagli agricoltori del cotone sono superiori di circa 90-154% rispetto ai prezzi del mercato globale.

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verifiche per i fornitori, così da assicurare che non fosse in atto alcun tipo di lavoro minorile. La scadenza iniziale, a luglio del 2005, non fu rispettata e fu prorogata. Nel luglio del 2008, la ridiscussione dei parametri portò a un nuovo protocollo.Relazioni indipendenti sullo stato di avanzamento del Protocollo Harkin-Engel misero apertamente in discussione i principi base del “concetto di certificazione” proposto dall’industria del cacao. Il Forum Internazionale per i Diritti del Lavoro (ILRF) che ha monitorato attentamente il Protocollo del Cacao dichiara che il concetto di certificazione proposto dall’industria del cacao non offre alcuna certezza ai consumatori sul fatto che le aziende abbiamo veramente adottato le misure necessarie a sradicare il lavoro minorile all’interno delle loro filiere agricole, un dato riconosciuto dall’industria stessa del cacao119.

Oggi, il problema del lavoro minorile nell’Africa occiden-tale deve ancora essere affrontato a partire dalla cause endemiche che ne stanno alla base: povertà, prezzi delle commodity instabili, e concentrazione di potere nelle mani dei compratori. Anche se i compratori di cacao si sono dichiarati disposti a favorire un aumento del reddito degli agricoltori incrementando la rendita, in realtà questo non ha fatto che avvantaggiare ulteriormente le grandi imprese, lasciando quasi inalterati i redditi degli agricoltori.

Il lavoro minorile e le situazioni di rischio sul lavoro nel settore della canna da zuccheroLa produzione dello zucchero è un lavoro ad alta intensità di manodopera: il raccolto viene ancora effettuato a mano e affidato a zone dove è disponibile una grande manodopera a basso costo. Riveste un ruolo fondamentale nelle economie di molti dei paesi meno sviluppati.Come nel caso del cacao, la canna da zucchero viene venduta nel mercato globale a prezzi che appena coprono i costi di produzione. Questo incoraggia il lavoro minorile e le pessime condizioni lavorative nel settore della canna da zucchero, come documentato da diverse organizzazioni della società civile e per i diritti umani120. Nelle Filippine, il lavoro svolto

colpito le economie di intere regioni africane e asiatiche, e una fetta significativa della popolazione sta abbandonando la coltivazione del cotone, o il settore agricolo in generale, per provare a fare carriera nelle grandi città.117

b. Lavoro minorile

Le condizioni economiche insostenibili dei piccoli agricoltori appena descritte hanno innescato un circolo vizioso di povertà in molte regioni, ed è anche uno dei principali motori del lavoro minorile nelle aree rurali, come mostrato dalla situazione nel settore del cacao e della canna da zucchero.

Il lavoro minorile strutturale nella produzione del cacao in Africa occidentaleLa povertà e la mancanza di adeguate opportunità di istruzio-ne spingono molti coltivatori di cacao dell’Africa occidentale a decidere di far lavorare nei campi anche i loro figli. In alcuni casi, questo comporta il verificarsi delle forme peggiori di lavoro minorile, come definite delle Convenzioni dell’ILO al riguardo118.

Nel 2002, uno studio citato dal rapporto del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti sui diritti umani in Costa d’Avorio riscontrò che tra i cinquemila e i diecimila bambini venivano trafficati all’interno del paese per lavorare a tempo pieno o part-time nel settore del cacao. Questo studio ha anche riscontrato che circa 109.000 lavoratori bambini (70% dei quali impiegato nelle aziende agricole di famiglia) lavoravano in condizioni di potenziale pericolo nelle coltivazioni di cacao della nazione, in situazioni descritte dallo studio come “le forme peggiori di lavoro minorile”.Il Protocollo Harkin-Engel (comunemente chiamato il Proto-collo del Cacao) stabilito nel 2001 fu un tentativo di eliminare le forme peggiori di lavoro minorile nell’industria del cacao dell’Africa occidentale. Uno dei principi fondamentali del Pro-tocollo obbligava le aziende a imporre un sistema credibile e indipendente di monitoraggio delle aziende, e certificazioni e

117. ICTSD, Cotton: Trends in Global Production, Trade and Policy, maggio 2013.118. Child Labour Cocoa Coordinating Group, rapporto annuale, 2012.119. Rapporto dell’IRLF sul Protocollo Harkin-Engel, 2009; Child Labour Cocoa Coordinating Group, rapporto annuale, 2012.120. UNDP, Sugar Scoping Paper, aprile 2010.

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dai bambini nelle piantagioni di Leyte (una delle regioni principali della canna da zucchero del paese) è un esempio fondamentale della “zona grigia” tra il lavoro minorile e le peggiori forme di sfruttamento minorile.

Le mansioni dei bambini variano dalla diserbatura e impianto, alla fertilizzazione e raccolto. Nonostante i genitori cercano di proteggere i bambini dalle mansioni più pericolose, i bam-bini sono comunque esposti a un grande numero di rischi. La coltivazione, il raccolto e la lavorazione dello zucchero sono lavori pericolosi, stancanti, dalle temperature elevate. La fal-ciatura della canna da zucchero è un processo estremamente pericoloso (le ferite da machete sono molto comuni) e ci sono molti problemi associati all’esposizione a fumo, pesticidi e animali velenosi. Punire i genitori per il lavoro minorile vorrebbe dire punirli per la loro povertà. Per questa ragione i programmi governativi cercano di offrire ai genitori fonti di reddito alternative alla piantagione121.

c. L’occupazione precaria e le pessime condizioni di vita dei lavoratoriL’aumento strutturale del potere dei compratori, associato alla liberalizzazione del mercato e alla finanziarizzazione, non ha ripercussioni solo sui piccoli agricoltori: colpisce tutti coloro che sono impiegati nei diversi stadi della produzione e lavorazione delle filiere agricole.

“L’instabilità dell’occupazione aumenta ogni giorno mentre le compagnie che applicano del-le politiche di riduzione dei costi giudicano che la sicurezza del posto di lavoro aumenta i costi di produzione a causa dei diritti rivendicati dai lavoratori.”SITRAP - Costa Rica

La situazione precaria dei lavoratori nel settore agricolo“A monte”, la percentuale di forza lavoro impiegata nelle filiere agricole sta calando notevolmente, soprattutto nei paesi sviluppati. L’industrializzazione dell’agricoltura e dei processi agroalimentari richiede meno lavoratori e sta spo-stando molto del lavoro dal campo alla fabbrica o al centro di confezionamento122. Nella maggior parte dei casi, i lavoratori casuali e quelli a tempo indeterminato impiegati nelle aziende agricole rappresentano la fascia più povera della popolazione nella catena. Nonostante i lavoratori non siano direttamente esposti al mercato come i piccoli agricoltori, le prove sugge-riscono che la pressione sul prezzo esercitata dai compratori principali si ripercuote sui lavoratori attraverso la precarietà dei posti di lavoro, le pessime condizioni lavorative e salari al di sotto della soglia minima123.

Il settore delle banane è un esempio lampante di questa situazione. Per decenni, è stato caratterizzato da conflitti ricorrenti nell’ambito dei diritti dei lavoratori nelle pianta-gioni, e denunce per repressione attiva dei sindacati, incluse vessazioni e repressione violenta dei membri del sindacato o degli scioperanti124.Dal 2000, più di una dozzina di conflitti e casi di abuso dei diritti dei lavoratori sono stati portati all’attenzione del Co-mitato dell’ILO sulla Libertà di Associazione e resi pubblici in Europa e negli Stati Uniti, dove questi casi hanno aiutato a sensibilizzare i consumatori sulle questioni etiche associate alla produzione e al commercio delle banane125. A seguito delle pressioni dai sindacati latinoamericani e dagli alleati della società civile in Europa e Nord America, a partire dagli anni ’90 sono riuscite a emergere alcune ini-ziative volte a promuovere le organizzazioni di lavoratori, tra le quali spicca il Framework Agreement firmato nel 2001 tra Chiquita, il sindacato internazionale dei lavoratori nel settore agricolo e alimentare (lo IUF) - e il COLSIBA (Alleanza dei Sindacati Bananieri dell’America Latina)126.

121. Ethical Sugar, Sugar Cane and Child Labour: Realities and Perspectives, 2011.122. GRAIN, Agricultural Workers Still Struggle for their Rights, 2010. ILO, Tripartite Meeting to Examine the Impact of Global Food Chains on Employment, 2007.123. Ibid.124. Ethical Consumers, In Search of a Fair Price, maggio/giugno 2012; FAO, The Banana Economy, 2003.125. Ibid.126. ILO, op. cit.

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cloropropano, conosciuto anche come Nemagon), ritenuto responsabile di una serie di problemi di salute, inclusi danni epatici e renali, e sterilità maschile. Negli anni ’90, i lavora-tori latinoamericani del settore delle banane intrapresero delle azioni legali contro le grandi compagnie chimiche e di frutta (Dole, Del Monte, Chiquita, Dow Chemicals, Shell e Occidental) per aver usato il Nemagon nelle piantagioni di banane, nonostante la messa al bando del prodotto del 1977. Le azioni legali si protrassero fino al 2011, quando fu riconosciuta la responsabilità delle compagnie e ai querelanti fu concesso un risarcimento132.Casi simili sono stati riscontrati in diversi prodotti e regioni, per esempio nelle piantagioni di zucchero, tè, caffè e fiori. Anche in questo caso, pagano le conseguenze anche i lavo-ratori impiegati in altri stadi della filiera agricola, affetta da diversi gradi di precarietà occupazionale.

La crescita dell’occupazione precaria nel resto delle filiere agricoleSecondo i più recenti dati disponibili presso l’ILO, l’industria alimentare è una delle fonti di impiego maggiori in tutto il mondo: nel 2010 dava lavoro a 22 milioni di persone, rap-presentando il 4% del PIL mondiale.Per quanto riguarda la sicurezza e la salute, se i lavoratori nell’industria alimentare non devono, tutto sommato, fare fronte ai problemi che riguardano i lavoratori del settore agricolo - in particolare, l’uso di pesticidi e di agenti chimici - le operazioni di confezionamento e di trasformazione del prodotto portano con sé problemi fisici associati al dolore muscolare.Per quanto riguarda le condizioni d’impiego, le industrie alimentari oggi pretendono il lavoro su turni per coprire le 24 ore giornaliere e una certa dose di flessibilità a causa delle pressioni esercitate dalla concorrenza a livello globale nelle filiere alimentari. Questa flessibilità si riflette nei ter-mini di impiego e nelle condizioni lavorative. C’è un chiaro

Negli ultimi anni, 4 ulteriori tendenze sono state documen-tate nel settore, soprattutto in America Latina:

1. Il lavoro regolare pagato a tariffe orarie è stato sostituito da contratti a cottimo tramite l’attuazione della “Gestione Totale della Qualità” nelle piantagioni. Questo aumenta la pressione sulla produttività e permette ai datori di lavoro di trasferire i rischi sui lavoratori, che devono lavorare il tempo necessario a guadagnare il minimo salariale (se non c’è lavoro, non vengono pagati affatto)127. 2. Le piantagioni assumono sempre più lavoratori per cicli ripetibili di tre mesi, riducendo così il numero di lavoratori permanenti. Un caso esemplare è stato docu-mentato dal SITRAP (Sindicato de Trabajadores Agricolos y Plantaciones) nel Costa Rica, dove, nel 2000, i contratti a tempo indeterminato precipitarono dall’80% al 40%128.3. L’uso di subfornitori e agenzie interinali è aumentato, permettendo ai proprietari delle piantagioni di banane di prendere le distanze dalle loro responsabilità relative alle leggi sul lavoro129.4. Il flusso di lavoratori migranti è aumentato in molti paesi, fornendo alle piantagioni una manodopera più conveniente, economicamente vulnerabile, e potenzial-mente più facile da manovrare, spesso sprovvista della documentazione necessaria. Il caso dei migranti nica-raguensi alle piantagioni costaricane, degli haitiani alla Repubblica Dominicana, e dei migranti centroamericani al Belize sono tutti chiari esempi di questa situazione130.

Inoltre, le banane per l’esportazione sono prodotte solo nelle monocolture delle regioni tropicali e i pesticidi utilizzati per favorire la coltivazione in tali zone possono rivelarsi molto pericolosi per i lavoratori, esposti senza interruzione ai loro effetti, inadeguatamente equipaggiati o privi di indumenti protettivi131.Un esempio chiave è l’insetticida tossico DBCP (il dibromo-

127. P.K. Robinson, Precarious and Temporary Work: the Real Cost of the High Yieldin, Top Quality, Low-Priced Banana, 2011.128. Banana Link, Collateral Damage: How Price Wars between UK Supermarkets Helped to Destroy Livelihoods in the Banana and Pineapple Supply Chains, novembre 2006.129. P.K. Robinson, op. cit.130. Ministero del Lavoro della Repubblica Dominicana, “Inmigrantes Haitianos y Mercado Laboral”, 2010.131. Wilson e Otsuki, To Spray or not to Spray: Pesticides, Banana Exports and Food Safety, Banca Mondiale, 2002132. Cf. independent.co.uk, lunedi 27 giugno 2011: “Latin American Banana Labourers File Pesticide Exposure Claims”.

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aumento della flessibilità della manodopera nell’industria alimentare. I dipendenti impiegati informalmente o tramite contratti a tempo determinato o a collaborazione occasio-nale (ovvero “i precari”) - soprattutto le donne, i migranti e i giovani - hanno molte più probabilità di essere colpiti dalle ripercussioni negative di queste tendenze nell’industria133.

Nonostante non manchi il potenziale per migliori relazioni industriali e più alti livelli di osservanza degli standard lavorativi di base (dai quali trarrebbero vantaggio sia le com-pagnie che i lavoratori), la preoccupante tendenza generale vede le potenti industrie principali esercitare forti pres-sioni al ribasso sul prezzo che devono pagare ai fornitori, particolarmente nei paesi in via di sviluppo, impedendo a quei fornitori di remunerare i loro dipendenti in maniera decorosa (e legale) o di garantire loro delle condizioni lavorative dignitose.

Si potrebbe sostenere che il lavoro precario è meglio della disoccupazione. Tuttavia, i suoi impatti negativi sulla società sono sempre più significativi e in crescita134:

• Le ricerche hanno rilevato che, nel giro di quattro anni, molti dei “vantaggi percepiti” del lavoro precario svani-scono a danno dei lavoratori135;• Il lavoro precario lascia i lavoratori e le comunità in situazioni instabili e insicure, sconvolgendo le loro scel-te di vita a lungo termine: sposarsi, avere dei bambini, comprare casa…136;• I lavoratori precari sembrano soffrire di un’alta incidenza di problemi di salute e di sicurezza sul posto di lavoro, poiché i subappalti vengono spesso usati come un modo per spostare i rischi sui lavoratori esternalizzati;Il lavoro precario inasprisce le divisioni di genere e peg-giora la situazione dei lavoratori migrant137;

Tra i dipendenti che si trovano in una situazione precaria senza via d’uscita, sono in pochi quelli che si sentono abba-stanza sicuri da negoziare collettivamente o da iscriversi a un sindacato correndo il rischio di perdere il lavoro138.

“Se un prodotto ha costi di produzione più alti in Cina, le fabbriche di proprietà delle grandi compagnie vengono spostate in aree di produzione più economiche, come il Vietnam, la Cambogia, etc. Lo sfruttamento di questi lavoratori incide sui produttori di tutto il mondo. Se si considerano i prezzi applicati dai produttori asiatici, ci si può solo chiedere quante e quali irregolarità abbiano luogo sui posti di lavoro.”KAPULA - Sudafrica/artigianato

d. Il degrado ambientale

L’aumento della concentrazione di potere e la conseguente forte pressione sui prezzi da parte dei compratori a tutti gli stadi della filiera stanno anche amplificando lo spostamento verso sistemi agricoli più intensificati e meccanizzati, in una corsa verso le economie di scala, la produttività e il ritorno econo-mico. Ne conseguono delle sfide critiche e delle minacce dirette nei confronti della sostenibilità ambientale di molte regioni.

Certo, l’agricoltura mondiale è messa alle strette da diverse difficoltà ambientali, in particolare la crescente scarsità di terra e acqua in molte regioni, e le perdite sul raccolto derivate dal cambiamento climatico139:

• Circa il 25% delle terre emerse sono coltivate (quasi tutti i terreni adatti disponibili);

133. ILO, op. cit.134. ILO, Bureau for Workers’ Activities - Regulations & Policies to Combat Precarious Work, 2011.135. Addison, J. And Surfield, C. J., 2009.136. Dörre, K., 2006.137. Menéndez M., Benach J., Muntaner C., and O’Campo, P., 2007.138. Brophy, E., 2006.139. UNEP, Millennium Ecosystem Assessment, 2005; The Economics of Ecosystems and Biodiversity, Report for Policy Makers, 2010.

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• L’espansione e l’intensificazione delle grandi pian-tagioni di banane delle compagnie di frutta multina-zionali interessate all’economia di scala danno luogo a una serie di problemi ambientali. Siccome le banane sono prodotte principalmente come una monocoltura in un clima tropicale umido, durante tutto il processo di produzione vengono applicati un numero e una quantità significativa di agenti chimici, tra cui fungicidi, insetticidi e diserbanti, destinati a proteggere le banane contro insetti e malattie142. Metodi inappropriati di produzione spesso portano a importanti impatti in molte regioni di produzione: inquinamento del terreno, dei corsi d’acqua e delle falde acquifere143 con conseguenze sanitarie per le comunità locali, e una riduzione della biodiversità144.• La canna da zucchero è prodotta principalmente in sistemi di monocoltura. La produzione a larga scala dello zucchero di canna non solo richiede un alto uso di input chimici e di pesticidi, ma anche enormi quantità d’acqua. Anche nelle aree dove la coltivazione si avvale di sistemi che godono dell’irrigazione piovana, spesso condizionano anche il corso dei fiumi, intercettando il deflusso dai bacini idrografici e attingendo dalla falde sotterranee145. Inoltre, il processo di lavorazione e di raffinazione per ottenere lo zucchero grezzo o raffinato dalla canna consuma altre quantità significative di acqua, oltre a causare l’inquina-mento idrico. Infine, rappresentano un problema molto importante anche le emissioni di anidride carbonica derivate dal raccolto e, soprattutto, dalla combustione della canna da zucchero.

Altri considerevoli problemi ambientali associati con le filiere agricole moderne sono le perdite alimentari e lo spreco che si verificano lungo tutta la catena, dalla produ-zione primaria al consumo domestico. Nei paesi a reddito medio-alto, il cibo è principalmente sprecato nel momento in cui viene consumato (le stime si aggirano intorno ai 95-115

• L’agricoltura e l’industria alimentare si avvalgono di più del 70% del consumo mondiale di acqua;• L’agricoltura e l’industria alimentare sono anche respon-sabili di più del 30% delle emissioni di anidride carbonica.

Rispondere alla pressante domanda di cibo e prodotti ali-mentari richiede perciò un aumento della produttività dei terreni coltivati esistenti, adottando nel frattempo dei me-todi di produzione più sostenibili140.

Tuttavia, nonostante i sistemi agricoli tradizionali - in particolare quelli agrosilvopastorali - generino un impatto ambientale relativamente basso, i continui sforzi compiuti per aumentare la produttività negli ultimi decenni hanno intensificato in maniera considerevole i sistemi di produ-zione agricola, amplificandone gli impatti negativi sull’am-biente: erosione del suolo, deforestazione, inquinamento associato alla monocoltura e alla produzione industriale, captazione dell’acqua, riduzione dell’assorbimento del car-bonio e diminuzione della biodiversità di flora e fauna, in particolare dei mammiferi141.

Inoltre, la mancanza di sostenibilità economica per i piccoli agricoltori ha anche degli effetti negativi sulla sostenibilità ambientale. I produttori, che mirano alla generazione di reddito, invadono le foreste per avere accesso a più terreni quando la loro produttività risulta troppo bassa, e tendo-no ad aumentare l’uso di fertilizzanti chimici e pesticidi (nonostante non abbiano né le risorse economiche e né l’informazione necessaria a utilizzarli).

Le banane e la canna da zucchero sono due chiari esempi delle ripercussioni ambientali della rapida espansione del modello di produzione industriale su larga scala che genera impatti difficili, se non addirittura impossibili, da controllare:

140. OXFAM Research Report, Who Will Feed the World?, aprile 2011.141. TCC, 2008.142. S. Williamson, PAN UK, citato in Ethical Consumers, 2012, op. cit.143. Dr Raul Harari, IFA, Trabajo, ambiente y salud en la producción bananera del Ecuador, novembre 2009.144. Environmental Toxicology and Chemistry, Pesticides in Blood from Spectacled Caiman (Caiman Crocodilus) Dowstream of Banana Plantations in Costa Rica, settembre 2013.145. WWF, 2005, Sugar and Environment: Encouraging Better Management Practices in Sugar Production, 36 p.

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chilogrammi annuali pro capite in Europa e Nord America), mentre nei paesi più poveri il cibo viene perso molto più spesso negli stadi anteriori, stimando lo spreco annuale a livello domestico intorno ai 6-11 chilogrammi procapite nell’Africa sub sahariana, e nel Sud e nel Sudest asiatico.146

Nonostante le cause di questo problema siano diverse (tecni-che, legali, fiscali e organizzative), c’è un legame intrinseco tra la perdita/spreco di cibo da una parte, e lo sviluppo del consumo di massa e la standardizzazione dei prodotti in un crescente numero di paesi dall’altra. Entrambe le tendenze sono a loro volta accelerate dai grandi compratori delle filiere agricole, in particolare i supermercati, le aziende manifatturiere e i fornitori di input.

e. La crescente polarizzazione del mondo agricolo

Come descritto in precedenza, il ritiro degli interventi statali e la liberalizzazione del commercio mondiale, amplificati dalla concentrazione del potere nelle catene agricole, hanno messo l’agricoltura su piccola scala in diretta competizione con l’agricoltura moderna su scala industriale, e l’hanno esposta direttamente alla volatilità globale dei prezzi, non solo nei mercati di esportazione, ma anche in quelli nazionali e locali dove commerciano la maggior parte dei produttori147.

I produttori agricoli, sia grandi che piccoli, stanno assistendo a fenomeni di instabilità e di cambiamento nella società rura-le, tra cui la transizione demografica, l’urbanizzazione, la crisi della manodopera a causa delle migrazioni, e l’evoluzione del lavoro non agricolo, che sconvolgono il modo in cui gli

abitanti delle zone rurali si guadagnano da vivere. Di con-seguenza, le zone rurali stanno assistendo a un importante fenomeno demografico migratorio alle zone urbani: molti giovani sperano di poter lasciare l’agricoltura, un’aspirazione spesso condivisa e sostenuta dalle loro famiglie148.Questa profonda trasformazione porta a una crescente divisione tra tre diversi tipi di produttori agricoli149:

1. Le aziende agricole famigliari di sussistenza per i quali la sicurezza alimentare è una preoccupazione primaria. Possiedono molto poco terreno in ambienti sfavorevoli e necessitano della maggior parte delle risorse, concen-trando la produzione sul consumo domestico. Combinano l’agricoltura di sussistenza con il lavoro esternalizzato (spesso nelle piantagioni) e le migrazioni temporanee per la propria sopravvivenza150.2. I piccoli agricoltori-imprenditori sono famiglie coin-volte nell’agricoltura e nel commercio. La produzione si basa principalmente sul lavoro dei familiari su piccoli appezzamenti, che coltivano sia per fini commerciali che di sussistenza. Si dimostrano efficienti in termini di alta produzioni, ma dispongono di risorse limitate. No-nostante i piccoli agricoltori-imprenditori costituiscano da tradizione le fondamenta delle economie rurali, è una fascia della popolazione in diminuzione che sta in-vecchiando: difficilmente le nuove generazioni rilevano l’attività di famiglia151, incluso nei paesi sviluppati152.3. Gli agricoltori su larga scala sono imprese medie e grandi coinvolte nei mercati di esportazione ad alto valore, che impiegano lavoratori full-time a tempo in-determinato. Rappresentano una percentuale molto piccola dell’agricoltura mondiale, ma sono diventate una parte vitale dell’industria agroalimentare globale. Hanno diretto accesso a risorse economiche, strumenti

146. FAO, Global Food Losses and Food Waste: Extent, Causes and Prevention, Rome, 2011.147. IIIED/hiVos/Mainumby Ñakurutú, op. cit.148. Proctor e Lucchesi, 2012.149. Basandosi su cinque definizioni del mondo agricolo (OECID 2006) in “Promoting Pro-Poor Growth: Agriculture, on the Definition of Competitive Commercial Agriculture in Competitive Commercial Agriculture in Sub-Saharian Africa (CCAA) Study” (World Bank, 2008a) e sulla definizione adottata da Oxfam International (2009a), “Harnessin Agriculture for Development Research Report”.150. Food Inc., Corporate Concentration from Farm to Consumer, 2005.151. Food Inc., op. cit.152. La Francia ha perso metà dei suoi agricoltori nel giro di tre censimenti (1982, 1990 e 1999) e in Germania il numero degli agricoltori è declinato di un quarto dal 2000. La stessa tendenza è stata documentata negli Stati Uniti e in Canada.

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di gestione dei rischi, informazioni e infrastrutture, che permettono loro di rimanere competitive e di rispondere ai rigidi standard imposti dalle industrie di trasformazio-ne e dai rivenditori.

Inoltre, mentre il numero di agricoltori sta diminuendo a livello mondiale, sempre più lavoratori agricoli vengono impiegati dalle aziende agricole che si ingrandiscono, favorendo la migrazione transfrontaliera153 e il lavoro oc-casionale nell’agricoltura e nell’industria di trasformazione.

Il rapido sviluppo delle grandi aziende agricole (e la scom-parsa dei piccoli produttori) è fortemente alimentato dai grandi compratori (supermercati, aziende manifatturiere e di marca, etc.) che si approvvigionano dalle unità indu-striali su larga scala a causa della loro maggior produttività percepita basata sulle economie di scala, la capacità di investimento, l’accesso ai mercati, le competenze tec-niche e l’abilità di raggiungere un alto livello di qualità standardizzata154.

Per contro, i piccoli agricoltori sono generalmente conside-rati inefficienti per il mercato a causa della loro portata ri-dotta e della mancanza di competenze tecniche e di risorse.

153. Sophia Murphy, Concentrated Market Power and Agricultural Trade, documento di discussione dell’Ecofair Trade Dialogue, 2006.154. F. H. Buttel, University of Wisconsin, Internalizing the Societal Costs of Agricultural Production, 2003.

DIMENSIONI MEDIE DELLE COLTIVAZIONI MONDIALI: PREDOMINIO DEGLI AGRICOLTORI DI PICCOLA SCALA

REGIONE DIMENSIONI MEDIE (HA, ETTARI) % < 2 HA

America Centrale 10,7 63Asia Orientale 1 79Europa 32,3 30Sudamerica 111,7 36Asia Meridionale 1,4 78Sudest asiatico 1,8 57Africa Sub-Sahariana 2,4 69Stati Uniti 178,4 4Asia occidentale 4,9 65e Nord Africa

Fonte: basato su World Bank 2010 in OXFAM Research Report, Who Will Feed the World, aprile 2011

CATENA DEGLI IMPATTI PROMOSSE DALLA CONCENTRAZIONE DI POTERE D’ACQUISTO IN CATENE AGRICOLE (Fonte: BASIC)

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155. F. H. Buttel, op. cit.156. OXFAM, 2011, op. cit.

Così facendo, i compratori principali delle filiere agricoli diventano i soggetti principali di un sistema di mercato che ignora:

• I costi esterni relativi all’industrializzazione dell’a-gricoltura: i costi dell’inquinamento, i costi relativi alle spese mediche per gli agricoltori e i lavoratori, i costi non recuperabili derivati dall’esaurimento delle risorse naturali, perdita dei servizi eco sistemici, condizioni di vita non sostenibili degli agricoltori, dei lavoratori e delle loro comunità155;• L’effetto positivo e moltiplicatore degli agricoltori su piccola scala nelle economie locali, il più alto livello di impiego che offrono alla gioventù delle zone rurali, il loro contributo alla sicurezza alimentare e, alla fine, il loro apporto significativo alla riduzione della povertà (che hanno portato la FAO, la Banca Mondiale e molti altri enti di cooperazione internazionale a mettere i piccoli agricol-tori in cima alle loro priorità, promuovendo iniziative a favore della popolazione più povera per salvaguardare le esternalità positive che le tendenze del mercato mondiale stanno mettendo sempre di più in pericolo156).

In conclusione, il diagramma qui a sinistra illustra la catena di impatti causati dalla concentrazione di potere nelle mani dei compratori e gli abusi che ne derivano nella filiera agricola. Mostra come le reazioni a catena sono i principali motori e fattori aggravanti dell’esodo rurale, dell’esclusione sociale e della salute precaria in molte regione e paesi.

Per fare fronte a questi impatti in espansione, esistono diversi strumenti legali, principalmente all’interno delle leggi quadro sulla concorrenza e sulla lotta alle pratiche commerciali scorrette. Inoltre, i soggetti delle filiere agricole e delle organizzazioni della società civile interessati hanno sviluppato iniziative private per affrontare tali questioni e porre rimedio alla mancanza di sistemi di regolamentazione pubblica.

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comportamento delle aziende sul mercato. Più precisamente, si può definire come l’insieme di espedienti giuridici volti a organizzare e controllare il mercato, così come a garan-tire una concorrenza sufficientemente competitiva per assicurare la massima efficienza economica. Il concetto di efficienza economica domina ancora le normative sulla concorrenza correnti.

L’economia neoclassica ha modellato l’approccio storico alle normative sulla concorrenza, considerando che il compor-tamento delle aziende può portare a un aumento del loro potere di mercato e può alterare le condizioni concorren-ziali, causando un deterioramento del benessere sociale (in particolare del benessere dei consumatori). Da questa prospettiva, il ruolo delle normative sulla concorrenza è quello di mantenere l’economia “reale” più vicina possi-bile alle condizioni della concorrenza perfetta. Questo approccio è chiamato scuola strutturalista (o anche Scuola di Harvard o di Friburgo). Storicamente, lo strutturalismo ha largamente dominato la dottrina della legge sulla con-correnza fino agli anni ’70, quando un nuovo approccio è emerso e si è affermato come la dottrina dominante negli anni ’80: la Scuola di Chicago.

Contrariamente all’approccio strutturalista, la Scuola di Chicago - che fu grandemente influenzata dalle teorie eco-nomiche di Joseph Schumpeter e dalla scuola austriaca - non fa capo alla concorrenza perfetta come alla teoria di riferi-mento. Si concentra, invece, sull’efficienza economica. Si basa sull’idea che la concorrenza è un processo dinamico in grado di portare il benessere maggiore a lungo termine, anche quando le aziende hanno il potere di mercato, permanente o temporaneo. Pratiche di concorrenza aziendale come la corsa al primato non sono necessariamente dannose per l’efficienza economica157. La Scuola di Chicago stabilisce che il fine ultimo della legge sulla concorrenza è solo quello di massimizzare il benessere del consumatore e che una struttura di mercato ad alta con-centrazione favorisce il raggiungimento di tale scopo.Da questa prospettiva, i profitti più alti delle aziende più

a. Storia e principi delle leggi sulla con-correnza

La storia delle leggi sulla concorrenza risale al 50 a.C., quando la legge romana conosciuta come Lex Iulia de Annona fu emanata per proteggere il commercio del grano. Venivano applicate delle sanzioni a chiunque cercasse di bloccare l’arri-vo delle navi cariche di grano per creare carenze temporanee e un conseguente rialzo dei prezzi. La preoccupazione in merito alle pratiche scorrette è persistita durante il Medioevo e il Rinascimento, con speciale riguardo nei confronti dei rifornimenti alimentari, in particolare delle scorte di grano.

Generalmente si ritiene che le leggi moderne sulla con-correnza siano nate con la creazione delle “leggi anti-trust” americane, in particolare lo Sherman Act del 1890 e il Clayton Act del 1914, che si basavano su dei principi che risalivano alla English Common Law del XVI secolo. La leggi sulla concorrenza in molti paesi europei si svilupparono a modo proprio (per esempio il Codice Napoleonico stilato in Francia nel 1810) fino alla fine della Seconda Guerra Mon-diale, quando gli Stati Uniti ne uscirono come un modello. In particolare, gli articoli sulla concorrenza nel Trattato di Roma (Trattato della Comunità Europea, firmato nel 1957) sono molto simili alle disposizioni previste dalla legislazione antitrust degli Stati Uniti.

Il concetto moderno di concorrenza è strettamente con-nesso alla teoria microeconomica, al modello neoclassico di Walras in particolare (vedi capitolo 2), e si basa sul pre-supposto che, in certe condizioni, la concorrenza di mercato perfetta porta alle condizioni sociali migliori e, di conse-guenza, permette un uso efficiente di risorse limitate. La concorrenza tra le aziende è quindi vista come una virtù, e suggerisce di impegnarsi per fare un buon uso di risorse limitate per soddisfare le esigenze. Dovrebbe quindi essere promossa e stimolata.

Le normative sulla concorrenza possono essere definite semplicemente come una serie di regole che governano il

4. Le iniziative pubbliche e privateper gestire il potere dei compratorie le PCS

157. The Information Technology & Innovation Foundation, Economic Doctrines & Approaches to Antitrust, gennaio 2011.

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grandi sono considerati un risultato positivo dei loro costi di produzione più bassi ed economie di scala158. In pratica, la Scuola di Chicago è l’approccio dominante usato per definire le norme di competizione in molti paesi, soprattutto in Europa.In reazione alla posizione conservativa della Scuola di Chica-go, una versione più liberale ma sempre radicata nei principi di economia neoclassica emerse negli anni ’90. Le teorie definite di “Post-Chicago” si concentrano sull’efficienza del mercato, ma differiscono in alcuni punti159. Tuttavia, al di là di queste differenze minimali, i due approcci hanno molto in comune e si fondano sulla stessa base teorica160.

Una quarta e più recente teoria si basa sull’economia dell’innovazione, che parte dal presupposto che la priori-tà delle norme pubbliche dovrebbe riguardare la crescita economica a lungo termine, e che la creazione di nuove for-me di modelli economici è cruciale per una migliore qualità di vita e una maggiore ricchezza pro capite. Diversamente dall’economia neoclassica, che si preoccupa di cogliere i segnali dei prezzi per massimizzare l’assegnazione delle risorse, l’economia dell’innovazione si occupa di spronare i soggetti economici a essere più produttivi e innovativi161.

Di conseguenza, l’approccio “innovativo” alle leggi sulla concorrenza si concentra di meno sui mercati concorrenziali, e di più sull’analisi dei processi che favoriscono lo sviluppo di aziende competitive, innovative e produttive162. I quattro diversi approcci alle normative di concorrenza sono riassunti nella tabella qui sotto.

b. Lacune strutturali nell’approccio dominante alle leggi sulla concorrenza163

Negli ultimi anni, la politica di concorrenza dell’Unione Eu-ropea si è sempre più avvicinata all’approccio della Scuola di Chicago. Il suo obiettivo principale è quello di proteggere il consumatore individuale e/o il cittadino e di impedire ai fornitori di merci e servizi di esercitare il proprio controllo sul mercato per estorcere pagamenti indebiti dai propri clienti. In pratica, le leggi sulla concorrenza europee considerano che il prezzo - solamente il prezzo - è l’unico valore legittimo. Il presupposto su cui si basa è quello secondo il quale se i con-sumatori consumano sempre più in fretta e a prezzi sempre più economici, l’economia prospererà.

158. Ibid. 159. In particolare, le teorie Post-Chicago si preoccupano di più delle barriere d’ingresso e hanno più fiducia nell’abilità del governo di distinguere tra comportamenti concorrenziali o anti-concorrenziali.160. The Information Technology & Innovation Foundation, op. cit.161. Ibid.162. Ibid.164. Javier Berasategi, Supermarket Power: Serving Consumers or Harming Competition, febbraio 2014.

Fonte: BASIC, basato su ITIF, Economic Doctrines and Approaches to Antitrust (2011)

Obiettivo principale

Piano temporale

Concentrazione di mercato

Efficacia dell’intervento del governo

Rischio di potere del compratore

Giustizia per i consumatori

Breve termine

Sospetta causa di comportamenti anticoncorrenziali

Alta

Alto

Efficienza economica

Breve termine

Non problematico, se nonper la fissazione dei prezzi

Bassa

Basso

Efficienza economica

Breve termine

Sospetta causa di comportamenti anticoncorrenziali

Moderata

Moderato

Innovazione e produttività

Lungo termine

Può aiutare le azienda a trovare una maniera di affrontarele sfide collettive

Varia

Basso

DOTTRINE ANTITRUST

STRUTTURALISMO CHICAGO POST-CHICAGO INNOVAZIONE

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Le regolamentazioni europee si impegnano a proteggere i consumatori dai monopoli e dai rischi di collusione dei prezzi, ma senza tenere in considerazione l’interesse di agricoltori e lavoratori o, anzi, danneggiando il loro stesso interesse.Per esempio, nel Regno Unito alcuni grandi rivenditori si sono trovati nei guai con le autorità garanti della concorrenza per aver cercato di alzare il prezzo del latte. La punizione per la collusione era potenzialmente severa e includeva sanzioni molto pesanti e la possibile detenzione dei manager. Alcuni degli imputati che erano stati accusati di collusione per aver alzato i prezzi di rivendita hanno affermato che il loro intento era quello di assicurare agli agricoltori dei proventi equi, ma la loro collusione nell’alzare i prezzi di rivendita sugli scaffali dei supermercati è stata giudicata un crimine perseguibile a norma di legge. Le disposizioni successive in materia delle merci tessili da parte dell’autorità responsabile dei diritti di concorrenza del Regno Unito nel 2008 dichiarò che la legge sulla concorrenza non viene infranta se, e solo se, i consumatori sono abilitati a comprare merci, anche se vengono prodotte da lavoratori che non sono stati pagati abbastanza per sopravvivere.

Da una prospettiva ancora più grave, il quadro teorico della legge sulla concorrenza a livello europeo considera ogni segmento della filiera come un organismo a sé stante, con-centrandosi sulla relazione compratore-venditore. Questo approccio è quindi incapace di qualsiasi analisi sistemica che prenda in considerazione l’intera filiera, in particolare nel caso in cui all’interno della catena uno dei soggetti acquisisca un controllo verticale.

In particolare, il quadro istituzionale sulla concorrenza a livello europeo - e la mentalità che sta alla base - ha dei pregiudizi sul potere del venditore, favorendo il potere del compratore.Da una parte, quando le autorità in materia di concorrenza controllano il potere delle aziende manifatturiere (venditori), semplicemente si riferiscono a tale potere come al “potere di mercato” e non al “potere dei venditori”. Dall’altra, quando indagano sul potere dei rivenditori (nei loro rapporti con le aziende manifatturiere), evitano la definizione di “potere di mercato” e fanno riferimento al “potere dei compratori” o “potere di contrattazione”, sottintendendo implicitamente

che si tratta di una forza compensativa (ed equilibrante) in diretto confronto con il potere delle aziende manifatturiere.In maniera analoga, diverse autorità competenti in materia di concorrenza riunite alla tavola rotonda dell’OECD hanno cercato di distinguere tra “potere di contrattazione” (pro-con-correnza) e “potere monopsonistico” (anti-concorrenza)164. Questo approccio presume, implicitamente o apertamente, che il concetto di potere monopsonistico è una questione pret-tamente teorica che non gioca alcun ruolo significativo nell’ap-plicazione e nell’esecuzione di normative sulla concorrenza.

I supermercati: un caso esemplare dei limiti concettuali della legge europea sulla concorrenzaIl potere dei supermercati ha permesso loro di sviluppar-si secondo due modelli aziendali: si comportano a tutti gli effetti come prestatori di servizi nei confronti delle aziende di alimentari indipendenti, ma nel frattempo controllano la concorrenza nel settore della rivendita tramite il loro ruolo ufficiale di rivenditori. Di conseguenza, i supermercati non sono più commercianti neutrali, come contemplato dalla teoria economica dominante. La loro posizione ha delle conseguenze sia per i fornitori che per i consumatori. Le ricerche dimostrano che lo sfruttamento dei fornitori può, in molti casi, eccedere i potenziali guadagni previsti a favore dei consumatori, anche in condizioni di forte concorrenza tra supermercati. A lungo termine, i comportamenti dei supermercati più forti possono danneggiare l’innovazione, la varietà e la qualità nel settore alimentare. Gli effetti cumulativi delle decisioni unilaterali prese da pochi supermercati per negare l’implementazione di nuove tecniche innovative può avere effetti negativi sul benessere del consumatore e sulla crescita economica.In questo contesto, l’analisi della concorrenza convenzionale si limita a una semplicistica valutazione teorica del predominio dei supermercati o delle aziende manifatturiere, basandosi su elevate quote di mercato che non tengono in considerazione le vere cause del potere contrattuale esercitato dai supermercati sui loro fornitori.

Le moderne politiche di concorrenza considerano ancora i supermercati come trasmettitori neutrali della domanda del consumatore, e come agenti/rappresentanti dei consuma-

164. OECD, “Tavola rotonda sul monopsonio e sul potere dei compratori”, commissione competente, DAF/COMP, 2009.

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tori (per esempio, le Linee Direttrici sulle Restrizioni Verticali dell’UE associano ancora il termine “consumatore” con il ter-mine “distributore”, e si riferiscono ai rivenditori come semplici distributori di merci165).

Le autorità garanti della concorrenza si basano sul presuppo-sto che i mercati al dettaglio siano complessivamente com-petitivi per quanto riguarda i prezzi, traendo la conclusione che i supermercati a) non hanno alcun potere contrattuale sui fornitori, o b) esercitano il loro potere con il fine ultimo del benessere dei consumatori166. I vantaggi a breve termine della concorrenza dei prezzi sono tenuti in considerazione molto di più dei suoi limiti a lungo termine.L’integrazione verticale dei supermercati nei prodotti ali-mentari (marchi privati) nell’analisi della concorrenza è a) assente oppure b) considerata come una forza compensativa del potere del venditore e, di conseguenza, adatta a favorire la concorrenza167. In realtà, le nuove Linee Direttrici sulle Restri-zioni Verticali dell’UE menzionano la potenziale preclusione delle aziende indipendenti da parte dei supermercati, ma i rivenditori non sono ancora considerati “aziende manifattu-riere” nel momento in cui subappaltano la produzione delle merci ai loro stessi marchi di fabbrica.Quindi, le norme convenzionali sulla concorrenza nel settore del commercio al dettaglio sono state limitate al controllo delle concentrazioni (ovvero ad assicurare che le singole posi-zioni dominanti, misurate da elevate quote di mercato, non si fondano nei mercati locali) e alla advocacy della concorrenza (ovvero la rimozione delle barriere legali che limitano l’ingresso e l’espansione).Tuttavia, più recentemente, alcune autorità garanti della concorrenza hanno iniziato a mettere in dubbio l’analisi dominante e convenzionale sulla concorrenza - soprattutto per quanto riguarda i supermercati - benché ne rispettino i principi.

La Competition Commission del Regno Unito ha avuto il ruolo di precursore di questo movimento evolutivo. I suoi studi, pubblicati nel 2000 e nel 2008, hanno sottolineato l’esigenza di trovare delle soluzioni nell’appalto dei mercati al dettaglio, e hanno spianato la strada ad altri studi sulla concorrenza e iniziative di regolamentazione168.Il Grocery Report del Regno Unito commissionato nel 2000 dalla Competition Commission ha riscontrato che cinque supermercati leader (Asda, Safeway, Sainsbury, Somerfield e Tesco), ognuno rappresentante almeno dell’8% delle quote su-gli acquisti alimentari, avevano sufficiente potere contrattuale da influenzare negativamente la concorrenza tra alcuni dei loro fornitori, e alterare la concorrenza nel mercato dei fornitori.Come rimedio, la UK Competition Commission ha stabilito che ogni supermercato che rientri nella fascia dell’8% deve conformarsi a un codice di condotta in grado di fornire una soluzione alle controversie. Il Supermarket Code of Practice entrò in vigore nel 2002.Il Grocery Report del 2008 si è spinto oltre le normative otte-nute dal suo predecessore. Nonostante ammetta che il potere contrattuale del compratore teoricamente vada a vantaggio dei consumatori, lo studio segnala i pericoli di un trasferi-mento eccessivo dei rischi dai supermercati ai fornitori. Di conseguenza, la UK Competition Commission ha ampliato lo scopo e i contenuti del nuovo Grocery Supply Code of Practice (GSCOP), e ha proposto la creazione di un ente regolatore con poteri di attuazione e di sanzione (l’Ombudsman, ora chiamato Adjudicator).Nel complesso, il GSCOP è un primo tentativo strutturato di riconciliare il potere dei supermercati con l’efficienza economi-ca e la libera concorrenza nella filiera alimentare, nonostante persistano alcune scappatoie giuridiche.

Seguendo il tracciato della UK Competition Commission, l’autorità spagnola garante della concorrenza ha redatto un

165. EU Guidelines on Article 101(3) TFEU and Commission Notices, Guidelines on Vertical Restraints (“EU Vertical Guidelines”), 2000.166. Cf. Javier Berasategi, Supermarket Power: Serving Consumers or Harming Competition, febbraio 2014: La logica delle autorità garanti della concorrenza è la seguente: “È in atto un circolo virtuoso di minimi prezzi/massimi risultati: (1) il potere del compratore porta a prezzi d’appalto più bassi, senza limitare i fattori di produzione; (2) i prezzi di acquisto bassi diventano prezzi bassi di rivendita, aumentando la domanda del consumatore finale; e (3) l’aumento della domanda rinforza il potere del compratore e porta a prezzi di appalto ancora più bassi, senza limitare i fattori di produzione.”167. OECD, Roundtable on Competition and Regulation in Agriculture, 2005.168. UK Competition Commission, “Supermarkets: A Report on the Supply of Groceries from Multiple Stores n the United Kingdom”, 2000; e “The Supply of Groceries in the UK Market Investigation”, 2008.

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rapporto sul settore nell’ottobre del 2011169. In seguito, le au-torità finlandesi competenti hanno pubblicato uno studio170

sulla falsariga dello studio di settore spagnolo, seguite dalle autorità francesi, che hanno concentrato gli studi su Parigi171, e dalle autorità italiane, interessate alle alleanze tra grandi rivenditori172.

Nel settembre del 2014 il Bundeskartellamt ha pubblicato un’inchiesta sul potere contrattuale nel settore alimentare. Questo studio dimostra che un’azione decisiva da parte delle pubbliche autorità è necessaria per prevenire un peggiora-mento delle condizioni concorrenziali nel settore. Si basa su un’analisi economica di tre anni che ha dimostrato che “i grandi gruppi di rivendita che rappresentano l’85% del mercato tedesco hanno una grande influenza sui concorrenti medio-piccoli e possono servirsi dei loro vantaggi strutturali nelle negoziazioni con le aziende manifatturiere, perfino con quelle più grandi dotate di marchi di fabbrica, che sono esposte al potere contrattuale del rivenditore.173”

c. Mettere fine alle pratiche commerciali scorrette: un approccio recente ma fram-mentario174

In confronto alle leggi sulla concorrenza, le pratiche com-merciali scorrette (PCS) di recente sono state riconosciute e discusse molto più a fondo. Un buon numero di sondaggi condotti in Europa negli ultimi anni hanno iniziato a dimo-strare che le PCS si verificano di frequente, soprattutto nelle filiere alimentari:

• Nel 2011, un sondaggio effettuato nell’Unione Europea

tra i fornitori nella filiera alimentare rivelò che il 96% dei soggetti intervistati confermava di essere stato oggetto di PCS175;• In uno studio del 2011 commissionato dall’autorità spa-gnola garante della concorrenza sulle relazioni tra le aziende manifatturiere e i rivenditori nel settore alimentare, il 56% dei fornitori intervistati ha affermato che i cambiamenti retroattivi sui termini contrattuali accadono di frequente o occasionalmente176;• Il sondaggio condotto dall’autorità garante della concor-renza italiana nel 2013 ha mostrato che il 57% dei produttori accetta spesso o sempre cambiamenti unilaterali retroattivi, perché temono di subire di ritorsioni commerciali se non accettano i cambiamenti177.

Nella sua comunicazione più recente, la Commissione Europea riconosce che le PCS sono abbastanza comuni e possono avere effetti dannosi, soprattutto sulle imprese medio-piccole della catena alimentare, minando la loro capacità di sopravvivere nel mercato, di intraprendere nuovi investimenti finanziari nei prodotti e nella tecnologia, e di sviluppare attività tran-sfrontaliere sul Mercato Unico178. Questi risultati sono stati confermati dai soggetti interessati nel “Forum di alto livello per un migliore funzionamento della filiera alimentare”, istituito dalla Commissione nel 2010.

Le possibili ripercussioni delle PCS a livello europeo non solo hanno suscitato l’interesse e la preoccupazione della Com-missione Europea, ma anche del Parlamento Europeo: nel gennaio del 2012, il Parlamento ha adottato una risoluzione che ha messo in luce la dimensione europea degli squilibri nella filiera alimentare che possono portare alle pratiche scor-rette. Questa risoluzione identifica una lista di determinate

169. Comisión Nacional de los Mercados y la Competencia, Informe sobre las relaciones entre fabricantes y distribuidores en el sector alimentario, 2011.170. Finnish Competition Authority (FCA), “FCA Study Shows that Daily Consumer Goods Trade Uses its Buying Power in Several Ways that are Questionable for Competition”, 2012.171. Authorité de la Concurrence, Avis n°12-A-01 du 11 janvier 2012 relatif à la situation concurrentielle dans le secetur de la distribution alimentaire à Paris.172. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, “Indagine conoscitiva sul settore della Grande Distribuzione Organizzata”, 2013. 173. Bundeskartellamt, Gliederung der Sektorunersuchung Lebensmitteleinzelhandel, settembre 2014.174. Comunicazione dalla Commissione Europea: Affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese, 2014.175. Sondaggio sulle Pratiche Commerciali Scorrette in Europa, marzo 2011, organizzato da Dedicated per conto di CIAA (Associazione europea per l’industria alimentare) e di AIM (associazione europea dei marchi).176. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, 2013, op. cit.177. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, 2013, op. cit.178.Comunicazione della Commissione Europea, 2014, op. cit.

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PCS, sollecitando la creazione di regolamentazioni specifiche, supervisioni e sanzioni che ne regolino il comportamento179.

Per comprendere meglio il problema, la Commissione ha pubblicato un Libro Verde sulle PCS nel gennaio del 2013 raccogliendo i punti di vista dei soggetti interessati sull’inci-denza di PCS nelle filiere alimentari e non, identificando delle possibili soluzioni al problema180.

Le principali categorie di PCS identificate dal Libro Verde sono:• L’uso da parte di una delle due parti commerciali di clauso-le contrattuali ambigue, stipulate in maniera non specifica o incompleta;• L’eccessivo e imprevedibile trasferimento abusivo dei costi o dei rischi commerciali da una delle due parti com-merciali all’altra;• L’uso abusivo delle informazioni confidenziali da parte di una delle due parti commerciali;• La risoluzione scorretta dei rapporti commerciali.

Tuttavia, gli strumenti legali esistenti che possono essere usati per contrastare le PCS e i loro effetti negativi sono molto frammentari e non sono pensati per affrontare questo problema specifico181:

• La nuova Politica Agricola Comune (PAC) e la nuova Politica Comune per la Pesca (PCP) rinforzano la posizione dei produttori della filiera nei confronti degli operatori a valle, in particolare sostenendo la creazione e lo sviluppo delle organizzazioni dei produttori;• La nuova Organizzazione Comune dei Mercati Agricoli del PAC include elementi che mirano a ridurre il divario del potere contrattuale tra agricoltori e altre parti nella filiera alimentare, in alcuni settori in particolare (latte, olio d’oliva, carne di manzo e vitello, colture arabili).• La direttiva sulle pratiche commerciali182, la direttiva

sulle clausole abusive nei contratti coi consumatori183, la proposta di direttiva sul segreto commerciale184 e le legislazioni intersettoriali possono essere considerate dei validi strumenti per contrastare dei casi specifici di PCS.• A livello nazionale, le PCS vengono affrontate in diversi modi: alcuni Stati Membri hanno adottato dei provve-dimenti regolamentari ma la maggior parte di loro ha optato per degli approcci autoregolamentari, oppure non hanno affatto adottato misure specifiche per con-trastare le PCS nelle filiere, facendo affidamento a dei principi più generali.

Ogni parte esposta alle PCS in teoria può ottenere giustizia tramite causa giudiziaria contro le clausole contrattuali improprie. Tuttavia, le denunce sono molto rare perché le cause giudiziarie comportano determinati costi e tempi, e i fornitori temono di perdere i loro clienti più grandi.Questo spesso li scoraggia dall’intraprendere azioni legali, il che a sua volta può limitare il fattore dissuasivo per la parte commerciale che applica le PCS. In questo contesto, alcuni Stati Membri hanno istituito un’autorità competente, indipendente dai soggetti del mercato coinvolti e in grado di condurre delle indagini e di gestire le lamentele confidenziali sulle presunte PCS.

d. Le iniziative private per regolare il potere contrattuale dei compratori e le pratiche commerciali scorrette

Alla luce delle lacune nella pubblica regolamentazione, le parti coinvolte nelle filiere agricole e nelle organizzazioni della società civile hanno intrapreso delle iniziative private per risolvere le questioni sollevate dal potere dei compratori e per limitare il suo impatto sui piccoli agricoltori e lavoratori.

179. European Parliament Resolution on Imbalances in the Food Supply Chain of 19.01. 2012180. Libro Verde sulle Pratiche Commerciali Sleali nella Catena di Fornitura Alimentare e non Alimentare tra Imprese in Europa/* COM/2013/037181. Comunicazione della Commissione Europea, Affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese.182. Direttiva 2006/114/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 concernente la pubblicità ingannevole e comparativa.183. Direttiva 93/13/CEE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 aprile 1993 concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.184. Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l’acqui-sizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti del 28 novembre 2013, COM(2013) 813

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diventare soggetti riconosciuti. Possono anche sviluppare strategie a lungo termine per assicurare delle condizioni di vita sostenibili per le loro comunità e strumenti di protezione dell’ambiente più efficaci.• Tramite le campagne di sensibilizzazione, il movimento del Commercio Equo e Solidale ha stimolato le aspettative etiche dei consumatori, incoraggiandoli a interessarsi dell’origine dei prodotti che acquistano e delle condizioni sociali e ambientali nei quali questi vengono prodotti. Ha inoltre creato una forte aspettativa di trasparenza nella filiera agricola.

Anche se non impeccabile, il movimento del Commercio Equo e Solidale offre una linea di condotta significativa e attendibile per contrastare il potere del compratore e le pratiche commerciali scorrette nelle filiere agricole, agendo sulle cause che stanno alla base degli impatti negativi che condizionano i piccoli agricoltori e lavoratori in molti regioni e settori186.

Tra gli altri, il Commercio Equo e Solidale ha dimostrato che grandi iniziative possono essere attuate su larga scala dai soggetti economici della filiera agricola per regolare le relazioni di potere e permettere ai piccoli agricoltori e lavo-ratori di guadagnarsi da vivere e investire collettivamente a lungo termine. Così facendo, il Commercio Equo e Solidale è anche venuto incontro alle crescenti esigenze etiche dei consumatori.

Diversi studi indipendenti condotti nell’ultimo decennio hanno dimostrato gli impatti positivi degli strumenti del Commercio Equo e Solidale sul campo185:

• Quando un Prezzo Minimo Fair Trade viene applicato, agisce da rete di sicurezza per i produttori, offrendo una protezione contro la volatilità dei prezzi. Basandosi su calcoli dettagliati dei costi della produzione sostenibile, ha un effetto stabilizzante, e a volte anche potenziante sul reddito degli agricoltori. Combinato con i contratti a lungo termine e ai prefinanziamenti, permette ai piccoli agricoltori di pianificare il futuro.• Il margine Fair Trade Premium, deciso collettivamen-te tra i piccoli agricoltori e lavoratori, permette loro di sviluppare delle attività redditizie (sul campo e fuori dal campo) e potenziare la loro capacità di risparmiare; questo migliora le loro condizioni di vita e riduce il rischio di povertà. Quando viene investito nella produttività, nella qualità, nelle infrastrutture pubbliche o in ulteriori certificazioni, il Fair Trade Premium permette ai piccoli agricoltori di ottenere prezzi migliori sul mercato e di ridurre i loro costi di produzione, aumentando il loro reddito disponibile.• Attraverso le organizzazioni democratiche interne alla comunità, i piccoli agricoltori e lavoratori acquisiscono abilità di management e di negoziazione; possono riven-dicare i propri diritti, ottenere una posizione migliore nella catena, interagire con le altre parti interessate e

185. CIRAD, Carthography of Impacts: What Do We Really Know about the Impacts of Fair Trade?, 2010. - Sally Smith, IDS, University of Sussex, “Fairtrade Bananas: a Global Assessment of Impact”, aprile 2010. - Oreade-Breche, Study on the Impact of Fairtrade Labelling in the Dominican Republic Banana and Cocoa Sector, 2008. - Oreade-Breche, Study on the Impact of Fairtrade Labelling in the Peruvian Coffee Sector, 2007. - Agronomes et Veterinaires Sans Frontieres, Study of the Impact of Fairtrade Labellin in the Peruvian Mango Sector, 2009.Agronomes et Veterinaires Sans Frontieres, Study of the Impact of Fairtrade Labelling in the Bolivian Coffee Sector, 2006. 186. Ibid.

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Per affrontare e risolvere le questioni descritte nei capitoli precedenti, questa sezione propone di adottare una strategia comprensiva che si basa su:

• Una visione del benessere del consumatore che va oltre il potere d’acquisto e che sottolinea il suo legame intrinseco con il benessere degli agricoli e dei lavoratori;• Provvedimenti per bilanciare il potere economico nelle filiere agricole a breve termine;Meccanismi per favorire la trasparenza nelle filiere agricole così che le parti interessate possano identificare meglio i rischi di abuso del potere dei compratori e delle pratiche commerciali scorrette;• Nuove linee direttive europee sulla concorrenza in grado di regolare meglio tali abusi;Meccanismi di esecuzione per mettere fine alle pratiche commerciali scorrette (PCS) all’interno delle filiere alimen-tari che servono il mercato europeo;• Iniziative volte a promuovere e diffondere le pratiche di commercio equo e solidale a medio e lungo termine.

a. La nostra visione: assicurare l’interesse a lungo termine dei consumatori, degli agri-coltori e dei lavoratori

Innanzitutto, si tratta di un cambiamento paradigmatico.

Le persone non fanno delle scelte solo sulla base delle loro egoistiche preferenze economiche, ma anche in base alle loro opinioni su ciò che è appropriato per loro e per la società intera. Le loro decisioni riflettono i loro valori e la loro idea di bene comune187. Inoltre, non ha senso mettere i consumatori da una parte e gli agricoltori e i lavoratori dall’altra. Il deterio-ramento delle condizioni commerciali e della qualità della vita degli agricoltori e dei lavoratori, sia in Europa che nel resto del mondo, crea importanti rischi di mancanza di disponibilità dei prodotti e di inaccessibilità dei prezzi per i consumatori a medio termine, riducendo, alla fine, il loro benessere188.

Ecco perché, per affrontare gli abusi derivati dal potere dei compratori e dalle relative PCS, le norme sulla concorrenza dovrebbero considerare che il benessere dei consumatore non è solo interessato dalla semplice questione del potere d’acquisto, ma strettamente collegato al benessere degli agricoltori e dei lavoratori.

«Dobbiamo esigere dai nostri governi che emanino delle norme che regolino le condizioni commerciali e che intervengano maggiormente nelle politiche di mercatoe di prezzo.”SINTRAINAGRO - Colombia

b. Proposta 1: favorire un miglior equilibrio di potere nelle filiere agricole Principi generaliCome descritto nei capitoli 2b, 2c e 4d, gli strumenti tradizionali che favoriscono un miglior equilibrio di potere nelle filiere agricole sono le organizzazioni collettive, come le coopera-tive di agricoltori, le cooperative di credito per gli agricoltori e i sindacati, purché queste vengano protette dagli abusi di potere e dalle pratiche commerciali scorrette. Le organizza-zioni democratiche e indipendenti di agricoltori e lavoratori necessitano perciò di essere supportate per permettere loro di negoziare meglio con gli altri soggetti della catena, per rivendicare i propri diritti e realizzare il proprio potenziale.

Più recentemente, la nuova Organizzazione Comune dei Mer-cati Agricoli del PAC include elementi che mirano a ridurre il divario del potere contrattuale tra gli agricoltori e gli altri soggetti della filiera alimentare tramite la creazione di orga-nizzazioni di produttori che possono negoziare collettivamente con i compratori in alcuni settori selezionati (latte, olio d’oliva, carne di manzo e di vitello, colture arabili). Tali provvedimenti devono essere estesi oltre questi prodotti specifici e oltre i confini europei.

5. Proposte per regolare il poteredei compratori

187. Come dimostrato da Amartya Sen in: “Rational Fools: A Critique of the Behavioural Foundations of Economic Theory”, 1977 (in Philosophy and Public Affiars 317, 332).188. JM Keynes, “The General Theory of Employment, Interest and Money”, 1936.

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Per raggiungere questo obiettivo, c’è un bisogno cruciale di investimenti pubblici e privati per aiutare le organiz-zazioni di piccoli agricoltori e lavoratori ad aumentare le loro capacità e consolidare la loro posizione nella catena.Certo, parecchie iniziative riuscite come la cooperativa Man-duvira di coltivatori di zucchero in Paraguay e Café Direct nel Regno Unito - un marchio che appartiene alle cooperative di piccoli coltivatori di caffè in America Latina e Africa - dimo-strano che un miglioramento della situazione degli agricoltori è possibile in molte filiere agricole.

“Ciò che abbiamo fatto [per affrontare le pratiche commerciali scorrette] è stato investire tramite le organizzazioni collettive nelle infrastrutture, negli impianti di raffinazione e di lavorazione.”Raúl Claveri, COCLA - Peru

Raccomandazioni all’Unione Europea1.1. Incentivare degli investimenti maggiori attraverso la creazione di Fondi Europei Sostenibili per il Sud del Mondo, concentrati su prodotti chiave e mirati a:

• Sostenere le organizzazioni di piccoli agricoltori e lavoratori nel campo delle abilità di management, della salute e della sicurezza sul posto di lavoro, della protezione dell’ambiente, e della condivisione delle conoscenze.

1.2. Trovare un modo di estendere le iniziative sul potere contrattuale nella PAC agli agricoltori non europei che forniscono prodotti al mercato europeo.

Raccomandazioni ai governi nazionali dei paesi del Sud1.3. Riabilitare e rivisitare il concetto di tavole rotonde settoriali di negoziazione per riunire produttori, commer-cianti e aziende manifatturiere a discutere la sostenibilità delle filiere agricole e le condizioni commerciali necessarie. Queste tavole rotonde dovrebbero essere abbastanza aperte per assicurare che non creino cartelli di interesse. Tali iniziative hanno una lunga tradizione (per esempio in Francia) e sono state reintrodotte di recente da diversi paesi del Sud del Mondo, come in Ecuador per il settore delle banane.

c. Proposta 2: favorire la trasparenza nella filiera agricola

“Lo scambio di informazioni tra le organizzazioni dei produttori di diversi paesi è fondamentale per migliorare le loro capacità aziendali.”Baltazar Miguel, ASOAGRI - Guatemala

Principi generaliCome spiegato dettagliatamente nel capitolo 2b (nel caso dello zucchero e del caffè), 2c e 3a, misurare i costi di una produzione sostenibile può essere uno strumento unico per identificare i rischi di abuso del potere dei compratori e le relative pratiche commerciali scorrette. Aiuterebbe certamente a rivelare la soglia dei prezzi sotto la quale l’accessibilità dei prodotti, e più in generale la sostenibilità dell’intera catena, verrebbe messa in pericolo. Identificare i prodotti e le regioni dove questi costi non vengono coperti fornirebbe delle utili informazioni sui casi in cui il potere dei compratori potrebbe essere il più forte, e di conseguenza permetterebbe di contrastare le PCS tramite misure preventive. La FAO sembra trovarsi nella posizione migliore ed essere l’organizzazione più legittima e adatta a dare inizio a tale meccanismo, visto che la maggior parte delle filiere agricole sono globalizzate. La FAO potrebbe infatti partire dal World Banana Forum, che ha sostenuto e facilitato dal 2009, e consolidare la linea di condotta con altre iniziative simili.

Infine, assicurare una maggior trasparenza nei confronti del consumatore sulla ripartizione del valore dei prodotti acquistati contribuirebbe a prevenire i rischi di abuso del potere contrat-tuale da parte dei compratori. Una delle cause principali del problema consiste nella strategia del “prezzo basso giornaliero” sviluppata dai compratori, soprattutto dai rivenditori. La traspa-renza si concentrerebbe sui soggetti più deboli della catena - i piccoli agricoltori e i lavoratori - e fornirebbe informazioni sul prezzo medio all’origine e sugli stipendi dei lavoratori nelle catene di rifornitura, per mettere fine al circolo vizioso della corsa al ribasso sui prezzi finali.

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Raccomandazioni ai rivenditori2.1. Pubblicizzare l’informazione trasparente sulla ripar-tizione dei costi totali, in particolare rendere noti i prezzi medi all’origine e gli stipendi medi dei lavoratori, oltre a comunicare i propri prezzi al consumatore.

Raccomandazioni alla FAO2.2. Iniziare un meccanismo trasparente e credibile di con-trollo regolare dei costi della produzione sostenibile nei pro-dotti agricoli fondamentali. Questo meccanismo andrebbe sviluppato con i soggetti principali nella catena: organizza-zioni di produttori (soprattutto quelle che rappresentano i piccoli agricoltori), sindacati (lavoratori), commercianti (esportatori, importatori…), aziende di trasformazione, aziende manifatturiere e di marca, e rivenditori. Nel corso del tempo, queste valutazioni dovrebbero tenere in consi-derazione anche i costi diretti, i redditi di sussistenza dei piccoli agricoltori, gli stipendi dei lavoratori e le esternalità sociali e ambientali principali, e i costi opportunità.

Raccomandazioni ai consumatori2.3. I consumatori e le associazioni dei consumatori dovreb-bero esigere dai rivenditori la trasparenza sulla ripartizione dei costi e di essere messi al corrente dei prezzi medi all’origi-ne e degli stipendi medi dei lavoratori coinvolti nella catena di rifornimento, così da poter confrontare i rivenditori sulla base dei loro criteri di applicazione dei prezzi lungo la catena.

Raccomandazioni ai governi nazionali in Europa e nel Sud del Mondo2.4. Le autorità responsabili della pubblicità e le autorità ga-ranti della concorrenza dovrebbero fare uso dell’informazione sulla ripartizione dei costi resa pubblica nelle loro operazioni.

d. Proposta 3: rinnovare le linee direttrici europee sulla concorrenza

Principi generaliPer fare fronte alle lacune del sistema legale europeo il-lustrate nel capitolo 4b, in particolare ai limiti relativi alle fondamenta teoriche e agli strumenti concreti, il quadro

normativo dovrebbe porsi l’obiettivo di mantenere una sana economia di mercato che possa realizzare il bene collettivo per tutti i soggetti della catena, ovvero anche per gli agricoltori e i lavoratori, non solo per i consumatori.Più dettagliatamente, l’applicazione delle norme a tutela della concorrenza nel campo degli accordi anticoncorrenziali, dei comportamenti scorretti unilaterali e del controllo delle fusioni dovrebbe prendere in considerazione le preoccupa-zioni legittime dei consumatori europei anche in termini di sostenibilità, qualità, scelta dei consumatori e mercato equo e solidale. Il valore aggiunto di questi criteri dovrebbe essere considerato parte del concetto di “benessere del consumatore” già considerato dalle normativa europea.

La normativa europea a tutela della concorrenza dovrebbe anche riaffermare il principio di neutralità, nel senso che un potere del compratore eccessivo dovrebbe essere regolato come viene regolato il potere eccessivo del venditore a cau-sa dei suoi probabili impatti negativi sul benessere sociale e benessere del consumatore in Europa (mentre al momento solo lo strapotere del venditore viene considerato nell’attuale quadro normativo europeo). Le istituzioni europee dovreb-bero astenersi dal fare discriminazioni tra i problemi relativi ai compratori e quelli relativi ai fornitori nelle loro politiche di esecuzione e di definizione delle priorità.

Raccomandazioni all’Unione Europea3.1. Fare fronte ai problemi strutturali come l’accumulo di potere nelle mani del compratore e di crescente concentra-zione di mercato nel settore del commercio al dettaglio, tra-mite un approccio riveduto al controllo della concentrazione:

>> Riferimento alle riflessioni sul tema della sostenibilità com-prese nei considerando della normativa europea sul controllo delle operazioni di concentrazione e l’uso di concetti legali disponibili (come per esempio la posizione dominante collettiva) e di strumenti economici (per esempio l’Indice di concentrazione di Herfindahl-Hirschman).

3.2. Fare fronte ai problemi comportamentali, come per esempio gli accordi anticoncorrenziali e i comportamenti scorretti unilaterali nel settore del commercio al dettaglio, che hanno un impatto negativo sui piccoli fornitori e con-sumatori.

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QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

siterebbe di una rete di enti nazionali per l’attuazione delle leggi - coordinate dal segretariato dell’Unione Europea - per:

• Garantire la possibilità di fare ricorso e proteggerebbe l’anonimato delle fonti dell’informazione per contrastare il clima di terrore nei casi di abuso di potere da parte dei compratori, basandosi sull’esperienza della figura del Gro-ceries Code Adjudicator creato nel Regno Unito nel 2010;• Sollecitare l’attenzione sulle compagnie che sono state condannate per abuso di potere del compratore e pratiche commerciali scorrette rendendo pubbliche le sentenze, basandosi sulle normative della Commissione Fair Trade Coreana che prevedono che le violazioni della legge a tutela della concorrenza da parte delle compa-gnie vengano rese pubbliche tramite articoli e inchieste sui principali quotidiani (cf. le sentenze di condanna del 2001 contro Wal-Mart e Carrefour in Corea);• Applicare sanzioni più dure ed efficaci per compensare i limiti della gestione caso per caso delle questioni e delle violazioni concorrenziali. Questo rappresenterebbe un primo passo verso la creazione di strumenti più sistemici per contrastare gli abusi del potere dei compratori e le pratiche commerciale scorrette.

Nel 2013, i Libri Verdi della Commissione Europea hanno riconosciuto che potrebbe essere necessario stabilire un “assetto comune di applicazione delle norme” per le pra-tiche commerciali scorrette a livello europeo. Nonostante la Commissione si concentri sul giusto funzionamento del mercato interno, i Libri Verdi menzionano anche le pericolose conseguenze delle pratiche commerciali scorrette sui forni-tori che si trovano in una posizione contrattuale sfavorevole, oltre agli impatti sui lavoratori e sull’ambiente causati dalla riduzione dei prezzi che si propaga lungo tutta la filiera.

Raccomandazioni per l’Unione Europea4.1. Come descritto nel rapporto del BIICL pubblicato nel 2014, l’Unione Europea dovrebbe adottare una direttiva ba-sata sull’Articolo 114 (o, alternativamente, sugli articoli 115 o 116) del Trattato di Lisbona, stabilendo degli obiettivi per l’attuazione delle norme negli Stati Membri e delle norme per il loro coordinamento con le istituzioni dell’Unione Europea e degli altri Stati Membri, tra cui i seguenti provvedimenti:

>> Adozione di un regolamento generale di esenzione per categoria nel settore alimentare, che favorirebbe gli accordi tra le aziende agricole quando l’obiettivo è di migliorare le condizioni commerciali e le condizioni di vita dei produttori, e/o di migliorare le linee guida ufficiali su come la legislazione esistente dovrebbe essere interpretata per venire incontro a queste preoccupazioni.

3.3. Introdurre la neutralità come principio generale del-le normative europee sulla tutela della concorrenza che condizionano l’interpretazione e l’esecuzione di regole che riguardano l’equilibrio di potere lungo la catena di approv-vigionamento.

>> Adozione di linee guida ufficiali che chiarifichino che i proble-mi concorrenziali di fornitori e compratori devono essere trattati in maniera neutrale o, almeno, in maniera equa all’interno del contesto delle norme europee a tutela della concorrenza (per esempio, correggendo il linguaggio “pro-dettagliante” usato in diversi strumenti legali).

Raccomandazioni ai governi nazionali in Europa e Sud del Mondo3.4. Promuovere la legislazione che regola la questione degli abusi della dipendenza economica così che venga messa sullo stesso piano del concetto di abuso di posizione dominante.3.5. Aumentare il controllo esercitato dalle istituzioni eu-ropee sulle operazioni di concentrazione delle imprese nel settore del commercio al dettaglio con una posizione che a priori preclude l’accumulo di strapotere nelle mani del compratore e la concentrazione del mercato.3.6. Assegnare maggiori risorse alle operazioni di attua-zione delle leggi a tutela della concorrenza nel settore del commercio al dettaglio.

e. Proposta 4: creare meccanismi di appli-cazione delle norme più rigidi per mettere fine alle pratiche commerciali scorrette

Principi generaliSulla base di un’analisi dei limiti degli strumenti legali at-tualmente disponibili per fare fronte alle PCS illustrate nel capitolo 4c, una regolamentazione più rigida delle PCS neces-

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• Tutti i soggetti e le parti interessate nella catena di approvvigionamento alimentare che commerciano in qualsiasi Stato Membro dell’Unione Europea dovrebbero avere accesso al meccanismo, indipendentemente dalla loro origine geografica;• Il meccanismo dovrebbe fornire un mezzo con il quale proteggere l’anonimato e la confidenzialità di qualsiasi soggetto che possa presentare ricorso, soprattutto dei fornitori che corrono il rischio di perdere la loro attività come conseguenza;• Il meccanismo dovrebbe essere dotato di un numero di strumenti di applicazione delle leggi che possano essere impiegati per cambiare la condotta e le pratiche inade-guate, sia a livello europeo o nazionale all’interno degli Stati Membri (per esempio, tramite il dialogo informale, le sanzioni pecuniarie e persino l’incarcerazione);• Stabilire procedure per il coordinamento tra la rete delle autorità preposte all’applicazione nell’Unione Europea e negli Stati Membri e le misure di cooperazione inter-nazionale con le autorità non europee;• Stabilire procedure e meccanismi per lo scambio di informazioni e il coordinamento tra i paesi membri e non membri dell’Unione Europea, in particolare tramite legami più stretti con i Ministeri dell’Agricoltura nel Sud del Mondo;• Sviluppare i criteri che determinano quali imprese del settore alimentare debbano essere soggette al mecca-nismo di applicazione, come per esempio grandezza, potere, grado di concentrazione o ruolo all’interno della catena di approvvigionamento.

f. Proposta 5: mettere in pratica i principi del Commercio Equo e Solidale

Principi generaliI soggetti commerciali all’interno della filiera agricola de-vono impegnarsi più seriamente per affrontare i problemi relativi all’abuso di potere del compratore e alle pratiche commerciali scorrette.

Come illustrato dettagliatamente nel capitolo 4d, il mo-vimento del Commercio Equo e Solidale (Fair Trade) ha

dimostrato che tale impegno può essere profuso su larga scala da tutti i soggetti della filiera agricola, e può avere degli impatti positivi sui piccoli agricoltori e lavoratori, agendo sulle cause che stanno alla base dei problemi in questione. Dunque rappresenta un modello di condotta rilevante e positivo per sviluppare degli strumenti concreti.

“Il Commercio equo e solidale è un sistema alternativo che è emerso dagli sforzi delle associazioni di piccoli agricoltori. Potrebbe non essere l’unica alternativa, ma è il mezzo più efficace che abbiamo per poter vivere dignitosamente.”“Crediamo nel potere dei consumatori. I consumatori hanno la possibilità di votare ogni giorno quando scelgono che cosa portare a casa. Il consumatore informato e che si interessa delle conseguenze dei suoi consumi quando si rende conto che può usare questo potere è in grado di esigere di più dalle compagnie dalle quali compra.” Luis Martínez Villanova, UCIRI - Messico

Raccomandazioni per i soggetti economici nelle filiere agricole5.1. Per i loro approvvigionamenti, i soggetti economici dovrebbero sottostare ai principi del Commercio Equo e Solidale e utilizzare diversi strumenti concreti, in particolare:

• Contratti con i produttori più lunghi rispetto a quelli in vigore al momento presente. Questi contratti dovrebbero fornire una maggior visibilità sulla volatilità degli acquisti e dei prezzi ridotti;• Prezzi che coprano i costi di una produzione sostenibile e favoriscano dei proventi/stipendi adeguati e sufficienti per vivere dignitosamente, almeno in fase di produzione agricola;• Contratti formali scritti, che siano trasparenti sui prezzi e sulle condizioni commerciali, e che seguano dei mec-canismi bilanciati di negoziazione e di risoluzione delle controversie tramite un sistema di arbitrato indipendente;• Le relazioni commerciali dei compratori con i fornitori dovrebbero essere condotte in buona fede, senza distin-zione tra accordi formali e informali, di spontanea inizia-

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sempre più ampio riguardo le questioni critiche relative al potere dei compratori e mostrare loro come questo influen-za negativamente le condizioni di vita degli agricoltori e dei lavoratori e la sostenibilità dei prodotti che acquistano regolarmente.

tiva e conformemente ai bisogni relativi ai rischi e ai costi del commercio dei fornitori, in particolare quelli relativi ai problemi di produzione, di consegna e di pagamento.

Questi principi dovrebbero essere integrati al cuore delle strategie di sourcing dei compratori e dovrebbero andare oltre l’etichettatura e la certificazione di una gamma limi-tata di prodotti.

Raccomandazioni per i consumatori5.2. I consumatori dovrebbero esigere un maggior impegno e responsabilità da parte dei rivenditori e dalle aziende mani-fatturiere di marca nei confronti dei principi del Commercio Equo e Solidale. È necessario sensibilizzare un pubblico

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57Ringraziamenti

Questo studio è stato commissionato da Fair Trade Advocacy Office,da PFCE (Plate-Forme Française du Commerce Equitable), Traidcraft, e Fairtrade Deutschland.

In collaborazione con:

È stato prodotto con l’aiuto degli esperti di queste organizzazioni che hanno messo a disposizione informazioni, materiali, dati e le loro competenze.

Prodotto da:

Con il sostegno di:

Questo documento è stato prodotto con il sussidio di Unione Europea, della Cooperazione allo Sviluppo Belga, dell’Agenzia Francese per lo

sviluppo, e per la regione Île de France. I contenuti di questo documento sono di responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente

le politiche o le opinioni di queste organizzazioni.

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“Il Commercio Equo e Solidale è un approccio alternativo al commercio convenzionale;

esso promuove giustizia sociale ed economica, sviluppo sostenibile, rispetto per le

persone e per l’ambiente, attraverso il commercio, la crescita della consapevolezza dei

consumatori, l’educazione, l’informazione e l’azione politica.

Il Commercio Equo e Solidale è una relazione paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella

catena di commercializzazione: dai produttori ai consumatori”

Carta italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale

Pubblicazione tradotta dall’originale inglese nell’ambito del progetto

“Advocating together for EU Fair Trade Policies - DCI NSA-ED/2012/279-833”.

AGICES Assemblea Generale Italiana

del Commercio Equo e Solidale

fair trade

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Una pubblicazione di Equo Garantito - Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale

Su iniziativa del socio Altromercato