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Massimo Bucca matr. 644978 1 Aerodinamica martedì 2 ottobre 2001 Su un’ala agisce la forza aerodinamica, questa può essere scomposta lungo due direzioni preferenziali, che sono la direzione normale e parallela alla direzione che il fluido che incontra la nostra ala ha a monte dell’ala stessa. L F V D Le componenti della forza aerodinamica vengono chiamate portanza e resistenza, e s’indicano con le lettere L e D. Definiamo come portanza la componente normale alla direzione del vettore velocità della forza aerodinamica, e resistenza la componente parallela alla direzione del vettore velocità asintotica. Abbiamo visto dal corso di fluidodinamica che il mezzo più sofisticato per studiare un fluido e quindi anche un corpo immerso in esso, sono le equazioni di Navier- Stokes. Queste ci permettono di conoscere tutte le variabili fluidodinamiche che entrano in gioco nel fenomeno, ma sebbene sono un mezzo molto potente, sono nello stesso tempo un mezzo poco pratico per l’enorme costo computazionale che ne segue per risolverle in modo soddisfacente. Allora si è costretti a scendere a dei compromessi, in pratica introdurre dentro il nostro modello delle semplificazioni che ci permettono comunque di arrivare a dei risultati soddisfacenti. Le semplificazioni più importanti che andremo a fare per studiare il nostro sistema fluidomeccanico sono due: Andremo a trascurare la comprimibilità del fluido, E/o andremo a trascurare la viscosità del fluido. Sappiamo che il gruppo adimensionale che regola la comprimibilità in un fenomeno fluidodinamico è il numero di Mach, cioè = a V Ma

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Aerodinamica martedì 2 ottobre 2001 Su un’ala agisce la forza aerodinamica, questa può essere scomposta lungo due direzioni preferenziali, che sono la direzione normale e parallela alla direzione che il fluido che incontra la nostra ala ha a monte dell’ala stessa. L F V∞ D Le componenti della forza aerodinamica vengono chiamate portanza e resistenza, e s’indicano con le lettere L e D. Definiamo come portanza la componente normale alla direzione del vettore velocità della forza aerodinamica, e resistenza la componente parallela alla direzione del vettore velocità asintotica. Abbiamo visto dal corso di fluidodinamica che il mezzo più sofisticato per studiare un fluido e quindi anche un corpo immerso in esso, sono le equazioni di Navier-Stokes. Queste ci permettono di conoscere tutte le variabili fluidodinamiche che entrano in gioco nel fenomeno, ma sebbene sono un mezzo molto potente, sono nello stesso tempo un mezzo poco pratico per l’enorme costo computazionale che ne segue per risolverle in modo soddisfacente. Allora si è costretti a scendere a dei compromessi, in pratica introdurre dentro il nostro modello delle semplificazioni che ci permettono comunque di arrivare a dei risultati soddisfacenti. Le semplificazioni più importanti che andremo a fare per studiare il nostro sistema fluidomeccanico sono due: • Andremo a trascurare la comprimibilità del fluido, • E/o andremo a trascurare la viscosità del fluido. Sappiamo che il gruppo adimensionale che regola la comprimibilità in un fenomeno fluidodinamico è il numero di Mach, cioè

∞=aVMa

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dove con V∞ si indica la velocità asintotica e con a∞ si è indicata la celerità del suono. Possiamo affermare che più alto è il numero di Mach più alta sarà la dipendenza del fenomeno fisico dalla comprimibilità. Anzi possiamo dire che il nostro fenomeno può essere chiamato subsonico se il Ma ≤ 1, sarà supersonico se il 1 ≤ Ma ≤ 4, sarà infine ipersonico se il numero di Mach è maggiore di 4. Tutti i fenomeni con numero di Mach compresi fra 0.3 e 1 vengono anche chiamati transonici. Comunque possiamo dire che l’effetto della comprimibilità comincia a farsi sentire proprio da Ma = 0.3. Noi nel nostro studio partiremo dallo stato più semplice possibile cioè da Ma = 0. Abbiamo visto che l’altra semplificazione che andiamo ad apportare al nostro modello è quella di fluido non viscoso. Sappiamo che questa nella realtà è una non verità, infatti non esistono dei fluidi in cui la viscosità non faccia sentire i suoi effetti, ma possiamo dire che in alcuni questo effetto è trascurabile. Il gruppo adimensionale che tiene conto degli effetti della viscosità è il numero di Reynolds, definito come

νLV∞=Re .

Dal numero di Reynolds capisco che gli effetti della viscosità si annullano, o per lo meno diventano infinitesimi, quando il numero di Reynolds tende a valori molto grandi. Questo però non vuol dire che in tutta la corrente questi effetti siano trascurabili. Infatti nelle immediate vicinanze di un contorno solido, e soprattutto dentro lo strato limite il numero di Reynolds non supera mai l’unità, quindi localmente gli effetti della viscosità sono tutt’altro che trascurabili. Da un punto di vista analitico succede che quando Re tende ad infinito, i termini alle derivate seconde delle N-S scompaiono, quindi le nostre equazioni si abbassano di esattezza. Questa dev’essere riacquistata con l’inserimento del modello dello strato limite, in cui sono descritti in modo sufficienti gli effetti locali della viscosità. Si badi bene che rinunciare alla viscosità ci porta a non poter più utilizzare la condizione di perfetta adesione alla parete solida, cioè V(c) = 0. Un’altra semplificazione che faremo è che il campo di moto sia irrotazionale. Questa semplificazione ci porta ad eliminare un altro problema che può sorgere considerando dei corpi che lasciano una scia notevole. Infatti in questa tutte le condizioni e tutti gli strumenti analitici che andremo ad utilizzare non valgono più, quindi supporremo che la scia sia “sottile”. Fortunatamente i profili di cui ci dobbiamo occupare hanno un bordo d’uscita molto aguzzo e se utilizzati con angoli d’incidenza ragionevoli, questo ci permette di essere abbastanza coerenti con il fatto che la scia debba essere molto sottile. Essendo molto sottile possiamo pensare che essa sia, nella trattazione analitica, comparabile ad una retta, cioè una specie di discontinuità del campo di moto che per il resto è irrotazionale.

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Prima di entrare nel complesso campo dell’aerodinamica, conviene fare una piccola e veloce trattazione sul calcolo tensoriale. Definiamo vettore una grandezza fisica caratterizzata da tre numeri che cambiano al variare del sistema di riferimento come cambierebbero le componenti del vettore in senso geometrico. Consideriamo un vettore v di componenti vi, se ipotizziamo un cambiamento di sistema di riferimento, non facciamo altro che utilizzare una matrice di rotazione, cioè

∑=

′=3

1jjiji vRv ,

la sommatoria degli Rij sono 9 numeri che regolano la rotazione, non sono tutti indipendenti, ma essendo la matrice di rotazione simmetrica, solo 6 sono indipendenti. Proviamo adesso che sia v che v′ sono uguali, per fare ciò basta verificare che hanno la stessa lunghezza,

∑ ∑∑∑∑= ====

′′=⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ ′⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛′=⋅=

3

1

3

1,,

3

1

3

1

3

1 i kjikjikij

kkik

jjiji

ii vvRRvRvRvvl

definito però jkkji

ikij RR δ=∑=

3

1,,

si ottiene

kk

k vvl ′⋅′= ∑=

3

1.

Il nostro scopo principale è quello di introdurre delle grandezze che non dipendono dal nostro sistema di riferimento. Il prodotto vettoriale è pseudo-invariante. Possiamo dimostrarlo facilmente, infatti

∑∑∑ ∑∑∑∑=== ====

′′=′′=′′=⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ ′⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛′=⋅=⋅

3

1

3

1,

3

1

3

1,,

3

1

3

1

3

1 kkk

kjkjjk

i kjikjikij

kkik

jjiji

ii vuvuvuRRvRuRvuvu δ

si vede che non dipende dal sistema di riferimento.

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mercoledì 3 ottobre 2001 Consideriamo una funzione scalare f e un vettore v, possiamo trovare una relazione lineare che mette in relazione il vettore e la funzione scalare, tramite 3 coefficienti ci:

vcvcfi

ii ⋅== ∑=

3

1

se invece noi vogliamo andare a trovare una relazione che ci lega un vettore f ad un altro vettore v, notiamo che i coefficienti che entrano in gioco nella relazione sono diventati 9,

∑=

=3

1kiiki vcf

Dobbiamo capire come variano questi 9 coefficienti in modo da stabilire con esattezza se questa relazione sia o meno invariante. Portata in un altro sistema di riferimento abbiamo:

∑ ∑∑= ==

′=′3

1

3

1

3

1 kj

jkjikh

hih vRcfR

∑ ∑∑= ==

′=′3

1,

3

1

3

1, kij

jkjikilh

hiihil vRcRfRR

sapendo che ∑∑==

′=′=′3

1,

3

1 hihihil

hhlhl fRRff δ e definendo ∑

=

′=3

1,kiljkjikil cRcR (*) si

ottiene,

∑=

′′=′3

1jjljl vcf

I coefficienti non sono arbitrari ma devono seguire la regola data dalla relazione (*), sicuramente posso affermare che se posso farlo allora posso cambiare il sistema di riferimento senza problemi. Adesso andiamo ad elencare alcune operazioni fra grandezze tensoriali che sono invarianti: • cba ⋅=

• cba = cioè jiij cba =

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• contrazione di un tensore, o traccia di c ( ) ∑=

==3

1Tr

iiicsc

• doppio prodotto tensoriale ∑=

==3

1, jiijij cbcbs

Gli approcci allo studio di un fluido possono essere portati da un punto di vista macroscopico o da un punto di vista microscopico. Quello che noi useremo sarà macroscopico, ma malgrado sia macroscopico esso si baserà e si fonderà con una visione microscopica. Se andiamo a considerare il nostro sistema fluido come una massa costituita da singole particelle possiamo incorrere in dei problemi, il più grosso dei quali è quello di scoprire che i nostri risultati non servono a niente, cioè abbiamo ottenuto dei risultati inutili. Allora dobbiamo cercare un altro punto di vista, un altro potrebbe essere quello statistico o probabilistico che ci permette di costruire dei legami fra le variabili macroscopiche e certe loro distribuzioni di grandezze a cui noi siamo interessati. Il nostro scopo ultimo è quello di riuscire a scrivere delle equazioni che riguardano il nostro sistema fluido, ma che siano indipendenti dal sistema di riferimento. Partiamo con il considerare una porzione di fluido che contiene un certo numero di particelle N. Questa porzione di fluido la ipotizziamo isolata con il mondo esterno, la i-esima particella avrà una massa mi, e le forze intermolecolari che esistono fra le N particelle vengono raccolte in un'unica energia potenziale ei

pot. La i-esima particella avrà una velocità propria che chiamiamo velocità microscopica, ottenuta derivando la posizione della particella rispetto al tempo,

dtxd

v ii =

possiamo scrivere il bilancio della conservazione della massa e della quantità di moto,

01

=⎟⎠⎞⎜

⎝⎛∑

=

N

iim

dtd , 0

1=⎟

⎠⎞⎜

⎝⎛∑

=

N

iii vm

dtd , 0

21

1

2 =⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +∑

=

N

i

potiii evm

dtd .

Se chiamiamo

M=∑=

N

iim

1 , Q=∑

=

N

iii vm

1 , E=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ +∑

=

N

i

potiii evm

1

2

21

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possiamo definire e quindi anche passare alle grandezze specifiche, cioè per unità di volume,

VM

=ρ , V

QQ

= , V

E E= .

Adesso vogliamo trovare le equazioni di bilancio, cioè collegare la variazione dello tempo con il flusso della nostra grandezza fisica attraverso il nostro volume di controllo. Prima di fra ciò dobbiamo vedere che cosa otteniamo dal flusso di una grandezza scalare. Infatti noi ancora non sappiamo che grandezza otteniamo, se uno scalare o un vettore. Sappiamo che,

∫∫∫∫∫∂

−=∂∂

Vf dSJdVf

t

oppure

∫∫∫∫∫∂

⋅−=∂∂

Vf dSnJdVf

t.

Notiamo che se fosse uno scalare l’intero integrale dovrebbe dipendere dalla superficie, ciò che non voglio che succeda. Mi accorgo che nel secondo caso esistendo lo scalare tra il vettore flusso e la normale alla superficie, questo problema non sussiste perché andrei a prendere la sua proiezione. Quindi concludo dicendo che il flusso di una grandezza scalare deve essere un vettore. Con un ragionamento analogo si può arrivare alla conclusione che il flusso di uno scalare è un tensore,

∫∫∫∫∫∂

⋅−=∂∂

Vf

dSnJdVft

.

Tramite il teorema di Stokes, che ci da l’uguaglianza tra l’integrale del flusso esteso alla superficie con l’integrale della divergenza estesa a tutto il volume d’integrazione, possiamo ancora scrivere,

0=⋅+∂∂

∫∫∫∫∫∂V

f dSnJdVft

0=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ⋅∇+∂∂

∫∫∫V

f dVJtf

se l’integrale vale per qualunque volume e se la funzione scalare f è continua e derivabile, allora possiamo andare ad annullare direttamente la funzione integranda,

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0=⋅∇+∂∂

fJtf ,

riscritta per le nostre quantità, cioè per la massa, la quantità di moto e l’energia, diventa,

0=⋅∇+∂∂

ρ

ρ Jt

0=⋅∇+∂

∂Q

JtQ

0=⋅∇+∂∂

EJtE

Cominciamo a considerare un fluido in quiete, sappiamo che questo è descritto appieno quando è noto il suo stato termodinamico. La quantità di moto totale, se il nostro sistema si trova dentro un contenitore chiuso, può essere considerata nulla quindi il suo stato termodinamico viene completamente descritto da sole due grandezze, la massa e l’energia delle particelle che lo compongono. Ma a noi non interessano dei sistemi che sono in quiete, supponiamo di avere un sistema meccanico che non sia in quiete e che non sia neanche in equilibrio termodinamico. Supponiamo ancora però, che questo equilibrio termodinamico non sia tanto lontano dal raggiungimento. Si può affermare che possano esistere delle regioni del sistema che sono già in equilibrio, e nelle regioni che ancora non lo sono i tempi caratteristici che occorrono al raggiungimento dell’equilibrio, sono bassi in confronto con i tempi caratteristici dell’intero sistema. l << L l t << T L

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I flussi di massa, di quantità di moto e di energia sono funzioni delle grandezze termodinamiche, cioè

( )EQJJ ,,ρρρ = , ( )EQJJQQ

,,ρ= , ( )EQJJ EE ,,ρ= . Andiamo a trovare la forma di questi flussi. Cominciamo con il flusso della massa, che è

QJ =ρ questo ci permette di definire la velocità macroscopica come,

=

== N

ii

N

iiidef

m

vmv

1

1

ma anche,

ρQ

m

vmv N

ii

N

iiidef

==∑

=

=

1

1 ⇒ vQJ ρρ ==

l’equazione di bilancio per la massa diventa,

( ) 0=⋅∇+∂∂ v

tρρ

.

A questo punto dobbiamo chiederci, l’equazione trovata sarà indipendente dal sistema di riferimento? Verifichiamolo introducendo una trasformazione qualunque da x a x′,

⎩⎨⎧

′=

′+′=tt

tvxx 0

il legame fra le derivate sarà,

( )⎪⎩

⎪⎨

∇′⋅+∂∂

=′∂

∂∂∂

=′∂

0vtt

xx

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andiamo a scrivere con queste opportune trasformazioni l’equazione di bilancio che avevamo calcolato per la massa. Nel nuovo sistema di riferimento x′ e t′ il bilancio di massa diventa,

⎟⎠⎞⎜

⎝⎛ ′′∇⋅+

∂′∂

=′∂′∂ ρρρ

0vtt

la massa si mantiene costante indipendentemente dal sistema di riferimenti, quindi ρ = ρ′, poi noto che

0vvv ii −=′ si ha,

( ) 01

01

01

vQvmQvvmvmQN

ii

N

iii

N

iii ρ′+′=′+′=+′′== ∑∑∑

===

( ) ( ) ρρρρρρ ′∇′⋅+′⋅∇′−′⋅∇′−=′∇′⋅+′+′⋅∇′−=′∇′⋅+⋅∇′−=′∂′∂

00000 vvQvvQvQt

ma dato che ( ) ρρ ′∇′⋅=′⋅∇′ 00 vv si ottiene,

0=′⋅∇′+′∂′∂ Q

abbiamo ottenuto la stessa equazione, quindi l’equazione di bilancio della massa è invariante. Adesso passiamo a trovarci quella della quantità di moto, il problema però non è facile come per la massa, in quanto con la massa avevamo trovato facilmente il flusso di massa, qui non è altrettanto facile. Quindi opereremo al contrario, cioè andremo a trovarci il flusso imponendo che l’equazione di bilancio sia invariante. L’equazione di bilancio per la quantità di moto è,

0=⋅∇+∂

∂Q

JtQ

costruendo la derivata con il cambio di riferimento otteniamo,

( ) ( ) ( ) 0000 =⋅∇′+′+′⋅∇′⋅−′+′′∂

∂Q

JvQvvQt

ρρ

( ) ( ) 00000 =⋅∇′+′∇′⋅−′∇′⋅−′∂′∂

+′∂

′∂Q

JvvQvvtt

Qρρ

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( ) ( ) 00000 =⋅∇′+′∇′⋅−′∇′⋅−′⋅∇′−′∂

′∂Q

JvvQvvQtQ

ρ

( ) 00000 =′−′−′−⋅∇′+′∂

′∂vvQvvQJ

tQ

affinché l’equazione sia invariante dobbiamo imporre che,

( )0000 vvQvvQJJQQ

ρ′−′−′−=′ essendo invariante con questa opportuna scelta del flusso, possiamo scegliere qualunque velocità v0, e per comodità scegliamo v0 = v, in modo che anche Q = 0, otteniamo allora,

( )00 vvJJQQ

ρ′+′= troviamo che il flusso di quantità di moto J′ è proporzionale al tensore unitario I, e una funzione proporzionale è data dalla funzione scalare p(ρ,E), la funzione scalare prende il nome di pressione, possiamo scrivere

( ) ( )IEpEJJQQ

,, ρρ =′=′ l’equazione di bilancio della quantità di moto diventa,

( ) 0=+⋅∇+∂∂

IpvvtQ

ρ

si ricordi che pIp ∇=⋅∇ . Andiamo adesso a ricavarci il flusso di energia e di conseguenza il suo bilancio. Partiamo dalla

0=⋅∇+∂∂

EJtE

( ) 020

10

20

2

1

2

21

21

21 vQvEevvvvmevmE

N

i

potiiii

N

i

potiii ⋅′++′=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ +⋅++=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ += ∑∑

==

ρ

passiamo al sistema x′ tramite le solite trasformazioni,

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( ) 022 0

20

0

20

0 =⋅∇′+⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛⋅′+′+′⋅∇′⋅−

′∂′∂

+′∂

′∂⋅+

′∂′∂

EJvQvEvvtt

Qv

tE ρρ

utilizzando le equazioni di bilancio e considerando la velocità v0 costante otteniamo,

( ) 022 000

20

0

20

0 =⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛⋅′−′−′−′−⋅′−⋅∇′+

′∂′∂ vvQvvvEQvvJJ

tE

QE ρ

come fatto per la quantità di moto andiamo a scegliere un sistema di riferimento comodo, cioè per v0 = v e per Q = 0, si ottiene che il flusso di energia deve avere la forma,

⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ ′+′+⋅′+′= 0

20

00 2vvvEvJJJ

QEE ρ

tramite le identità vettoriali IpJQ=′ e

2

2vEE ρ′−=′ si ha

vEvIpJJ EE +⋅+′=

ma dovendo valere l’isotropia ed essendo il flusso J′ dell’energia un tensore di ordine dispari, quindi non invariante rispetto al sistema di riferimento, questo flusso non può esistere, dunque il flusso di energia si riduce a

vEvIpJ E +⋅=

e l’equazione di bilancio sarà,

022

22

=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+⎟

⎞⎜⎝

⎛ +⋅∇+⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +∂∂ vpvvevet

ρρ

Abbiamo dunque trovato le equazioni di bilancio per la massa, per la quantità di moto e per l’energia. Queste tre equazioni vanno sotto il nome di equazioni di Eulero.

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Il sistema di equazioni di Eulero è,

( ) 0=⋅∇+∂∂ v

tρρ

( ) 0=+⋅∇+∂∂

IpvvtQ

ρ

0

22

22

=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+⎟

⎞⎜⎝

⎛ +⋅∇+⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +∂∂ vpvvevet

ρρ

possiamo notare che le equazioni scritte in questa forma, cioè con la derivata rispetto al tempo e poi con la divergenza di un certo vettore, vanno dette in forma conservativa. Non sempre la forma conservativa è la forma più semplice per lavorare con queste formule, certo se noi abbiamo già pronto un algoritmo al che ci consente di introdurre soltanto le quantità all’interno della derivata temporale e quella dentro la divergenza, questa forma è preferibile in quanto abbiamo subito sott’occhio le due grandezze, ma se vogliamo fare i conti noi stessi allora possiamo andare a semplificare un po’ queste formule. Cominciamo con quella di continuità, esplicitando la divergenza del prodotto tra la densità e la velocità v,

0=⋅∇+∇⋅+∂∂ vv

tρρρ

i primi due termini possono essere presi assieme e vanno sotto il nome di derivata sostanziale,

0=⋅∇+ vDtD ρρ

Passiamo ora alla quantità di moto, come primo termine ho la derivata temporale del prodotto tra la densità e la velocità, lo sviluppo ed ho:

( ) ( )tvvv

tvv

ttv

∂∂

+⋅∇−=∂∂

+∂∂

=∂

∂ ρρρρρ

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adesso andiamo a esplicitarci i due termini con la divergenza,

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) pvvvvIpvvIpvv ∇+∇⋅+⋅∇=⋅∇+⋅∇=+⋅∇ ρρρρ

come si vede facilmente due termini si elidono a vicenda quindi l’equazione diventa,

( ) 0=∇+∇⋅+∂∂ pvvtv ρρ

Questa forma dell’equazione della quantità di moto è chiamata forma convettiva. Ora tocca all’equazione dell’energia sviluppiamo la derivata temporale e la divergenza,

( ) ( ) 02222

2222

=⋅∇+⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +∇⋅+⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +⋅∇+⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +∂∂

+⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +∂∂ vpvevvevve

tve

tρρρρ **

per l’equazione di continuità il primo e il terzo termine si elidono, coi restanti termini faccio una combinazione lineare con l’equazione della quantità di moto moltiplicata scalarmente per v, e ottengo

022

22

=∇⋅+⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛∇⋅+⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛∂∂ pvvvvt

ρρ

sottraendo membro a membro con la ** si ottiene

0=⋅∇+∇⋅+∂∂ vpev

te ρρ

che può essere scritta in forma di derivata sostanziale,

0=⋅∇+ vpDtDeρ

Quando andiamo ad assumere che il nostro fluido è incomprimibile significa assumere che

0=dpdρ

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in questo caso l’equazione di stato diventa ρ = cost. Questo ci porta a capire che delle tre equazioni di bilancio che abbiamo ricavato, quella dell’energia diventa disaccoppiata rispetto alle altre due. Diventa del tutto secondaria se vogliamo calcolare il nostro campo do moto, a meno che non volgiamo calcolare la temperatura in tal caso è fondamentale. Allora nel caso di densità costante le nostre equazioni diventano

( )⎪⎩

⎪⎨⎧

=∇+∇⋅+∂∂

=⋅∇

010

pvvtv

v

ρ

Tutto quello che è stato trovato, e tutti i ragionamenti che ci hanno portato alla formulazione delle equazioni di bilancio si basano sulla condizione e ipotesi dell’equilibrio locale. Adesso facciamo un passo avanti e cerchiamo di toglierci da questo vincolo, noi sappiamo che il flusso delle nostre grandezze dipende dallo stato termodinamico del sistema, dipende quindi dallo stato puntuale che hanno le grandezze di stato in un determinato punto in un determinato tempo. Supponiamo adesso di spostarci dall’equilibrio, ma non di tantissimo, siamo in prossimità dell’equilibrio. Possiamo pensare che il generico flusso sia la somma del flusso che noi abbiamo all’equilibrio più un flusso che è dovuto al gradiente delle variabili di stato, cioè

( ) ( ) ( )QEJQEJJ df

eqff ∇∇∇+= ,,,, ρρ

Quindi andiamo a correggere il flusso con un termine ricavato dallo sviluppo in serie di Taylor di l/L, sotto l’ipotesi di linearità. Questa grandezza è dissipativa e considerando l’ipotesi di linearità possiamo dire che il flusso della quantità di moto deve essere,

( ) EcQbaJ d

Q∇+∇+∇= ρ

Adesso noi vogliamo che il nostro flusso sia indipendente dal sistema di riferimento, quindi deve essere anche indipendente il flusso dissipativo, abbiamo già affermato che non esistono tensori d’ordine dispari che siano indipendenti dal sistema di riferimento. Quindi posso concludere che i tensori a e c devono necessariamente nulli affinché JQ

(d) possa esistere. A dire il vero anche il secondo termine presenta delle difficoltà, infatti se consideriamo la quantità di moto, abbiamo

0vQQ ρ′∇+′∇=∇

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15

ci accorgiamo che anche la quantità di moto non è invariante, quindi andiamo a sostituire la dipendenza del flusso, invece della quantità di moto mettiamo la velocità v che essendo un vettore è sicuramente invariante, si ha

( ) vbJ d

Q∇=

b non potrà non essere che la combinazione lineare di solo tre tensori di ordine 4 che sono certamente invarianti, cioè

( ) ( ) ( ) jhikjkihhkijkhji EEEb δδργδδρβδδρα ,,,,,, ++= otteniamo,

( )∑∑∑ ⋅∇=⋅∇=∂∂

=∂∂

=∂∂

kij

k

kij

kh h

khkij

kh h

khkij Ivv

xv

xv

xv δδδδδδ

,,

vxv

xv

i

j

kh h

kjkih ∇=

∂∂

=∂∂

∑,

δδ

T

j

i

kh h

kjhik v

xv

xv )(

,∇=

∂∂

=∂∂

∑ δδ

possiamo concludere dicendo che la parte dissipativa del flusso diventa,

( ) ( ) ( )Td

QvvIvJ ∇+∇+⋅∇= γβα

A volte può ritornare utile scrivere il flusso dissipativo con la parte simmetrica e antisimmetrica del gradiente della velocità v.

( )( ) ( )2

TSIM vvv ∇+∇

=∇ e ( )( ) ( )2

TANT vvv ∇−∇

=∇

utilizzando queste due relazioni il flusso dissipativo diventa,

( ) ( ) ( ) ( ) ( )( )( )ANTSIMd

QvvIvJ ∇−+∇++⋅∇= γβγβα )(

Questo lavoro è stato fatto perché se siamo di fronte al caso particolare di moto rigido, sappiamo già che la rotazione rigida ha un tensore che è antisimmetrico e con traccia nulla, quindi i primi due termini scompaiono, e se vogliamo che il flusso dissipativo sia nullo, dobbiamo imporre che β = γ. In questo caso il flusso diventa,

( ) ( ) ( ) )( Td

QvvIvJ ∇+∇+⋅∇= βα

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che può essere ancora riscritto come,

( ) ( )( ) ( ) ( )IvIvvJ SIMd

Q⋅∇−⎥⎦

⎤⎢⎣⎡ ⋅∇−∇−= λµ

312

Si può fare discorso analogo sul flusso dell’energia il quale però ha questa forma,

( ) EfvedJ dE ∇+∇+∇= ρ

infatti si può notare facilmente che questa volta andrà via solo il secondo termine legato al tensore di ordine dispari, con una trattazione analitica si arriva alla conclusione che il flusso dissipativo dell’energia ha una forma del tipo,

( ) TkJ dE ∇−= .

martedì 9 ottobre 2001 L’obiettivo della aerodinamica è il calcolo delle forze e dei momenti che agiscono sulla nostra ala. Se andiamo a prendere l’equazione di bilancio della quantità di moto, e andiamo a considerare la quantità di moto totale, somma delle quantità di moto delle singole particelle che formano il nostro sistema, deve essere uguale al flusso del vettore JQ.

∫∫∫∫∫∂

⋅−=∂∂

VQ

dSnJdVQt

Questa relazione e il suo equivalente differenziale vale indipendentemente se ci troviamo di fronte ad un fluido o ad un solido, o ad un sistema che si compone di entrambi. Questo perché non abbiamo fatto nessuna ipotesi sulla isotropia del sistema. Se ci troviamo di fronte un sistema del tipo,

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Osserviamo che se facessimo tendere il volume, in cui si trova il fluido, al contorno del profilo, Capiamo che le proprietà di volume, tendendo il volume stesso al volume del profilo, diventano le proprietà del corpo. Quindi nell’equazione di bilancio della quantità di moto il I° termine ci da la forza a cui è sottoposto il corpo sotto l’azione del fluido. Abbiamo detto che il II° termine è quello delle proprietà di superficie, che sono dipendenti dal flusso del fluido. Se prendiamo in considerazione un fluido non viscoso sappiamo che il flusso della quantità di moto ha una forma particolare, che ci permette di scrivere che la forza aerodinamica sarà,

( )∫∂

⋅+−=V

dSnIpvvF ρ

ma essendo il fluido non viscoso, sulla parete del profilo la velocità non si annullerà quindi varrà la condizione v⋅n = 0, e allora si ha

∫∂

−=V

dSnpF

Ricordiamoci sempre che il flusso JQ vale dimensionalmente uno sforzo. Siamo in un caso simile a solidi soggetti a sforzi, solo che lì lo sforzo era dovuto a delle deformazioni, qui lo sforzo è dovuto a delle velocità. Possiamo fare un’altra osservazione sulla forza aerodinamica, infatti se andiamo a prendere il nostro profilo con il nostro volume di controllo, ma questa volta invece di ridurlo sul profilo, lo allarghiamo all’infinito possiamo concludere che le forze fluidodinamiche sono sempre uguali alle forze agenti sul copro se il fluido si muove si moto uniforme. Questo capita perché l’integrale derivante dalla quantità di moto della parte di volume del fluido è nullo, dato che il moto del fluido è stazionario, l’integrale si superficie dovrebbe essere nullo in quanto non c’è flusso netto, essendo il moto stazionario, quindi ci resta solo il termine concernente la forza agente sul corpo. Questo risultato è molto utile, perché sotto l’ipotesi di stazionarietà ci consente di trascurare la geometria del nostro profilo.

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Il problema differenziale non è ben definito se non riusciamo a chiuderlo, cioè se non riusciamo a trovare le condizioni al contorno. Le nostre incognite sono 5 derivanti dalle incognite delle equazioni di bilancio, ma tramite l’equazione di stato riusciamo a diminuire le incognite indipendenti quindi anche il numero delle condizioni al contorno necessarie per la risoluzione numerica delle equazioni di bilancio. Se ancora noi riusciamo a costruire il nostro sistema di riferimento in modo tale che esso sia solidale al profilo stesso, possiamo imporre che la velocità sul corpo sia nulla, vc = 0, questo ci permette di avere già tre condizioni al contorno. La quarta condizione ci viene da una grandezza del campo termico, che non ci interessa a tanto per quanto riguarda il campo di moto ma se vogliamo conoscere il campo di temperatura siamo costretti a risolverlo. Ma se siamo in presenza di un fluido incomprimibile non viscoso allora l’equazione di bilancio dell’energia è perfettamente disaccoppiata dalle altre due, questo ci permette di scendere a sole tre condizioni al contorno. Solo che nasce il problema che non portò usare più la condizione di perfetta adesione, e sarò costretto a porre come condizione al contorno che la derivata della velocità lungo la normale del profilo sia nulla, cioè la condizione di non penetrabilità del corpo. Le altre condizioni sono che le velocità tangenti al profilo non sono affatto nulle, in generale la giustificazione di questa trattazione ci richiederà di ricavare lo strato limite. Riprendiamo le equazioni di Eulero nel caso di fluido incomprimibile non viscoso,

( )⎪⎩

⎪⎨⎧

=∇+∇⋅+∂∂

=⋅∇

010

pvvtv

v

ρ

e ricordiamo anche che l’equazione di bilancio, disaccoppiata rispetto alle altre due, era così fatta,

0=⋅∇+ vDtDe ρρ

dall’equazione sostanziale di continuità ottengo,

DtDv ρ

ρ1

−=⋅∇ ⇒ 02 =−DtDp

DtDe ρ

ρ

ricordando che,

ρρρ

dpdepddepdvdeTds2

1−=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛+=+=

otteniamo,

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00 =⇒=DtDs

DtDsT

abbiamo ottenuto che il sistema è anche isoentropico. Avendo il sistema variazione di entropia nulla, ci permette di scrivere la densità, che era funzione della pressione e dell’entropia, come funzione della sola pressione, cioè

( ) ( )psp ρρρ == , e ci permette di definire una funzione P, come

( )∫= dppρ

1P

nel caso in cui il sistema sia comprimibile e isoentropico il sistema di equazioni sarà,

( )

( )⎪⎩

⎪⎨

=∇+∇⋅+∂∂

=⋅∇+∂∂

Fvvtv

vt

P

0ρρ

Possiamo introdurre anche le equazioni di bilancio sotto la forma di Crocco, infatti se prendiamo in considerazione il secondo termine dell’equazione di bilancio della quantità di moto, e ricordando la relazione vettoriale

( ) ( ) ( )vvvvvv ∇⋅−⋅∇=×∇× e definendo v×∇=ω si ha,

( ) vvvv ×+⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛∇=∇⋅ ω2

2

l’equazione di bilancio diventa considerando la risultante delle forze nulle,

02

2

=×+⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +∇+∂∂ vv

tv ωP .

Da questa formula si possono ricavare le relazioni dei teoremi di Bernoulli: 1. Caso stazionario,

02

2

=×+⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +∇ vv ωP

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e moltiplicando scalarmente per v si ottiene,

02

2

=⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +∇⋅ Pvv

da cui si vede chiaramente il binomio è costante lungo ogni linea di corrente. 2. Caso irrotazionale e stazionario,

02

2

=⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +∇ Pv

da cui si vede subito che il binomio si mantiene costante in tutto il campo di moto. 3. Caso irrotazionale,

02

2

=⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +∇+∂∂

Pv

tv

se esiste un potenziale scalare per cui possa scrivere, ϕ∇=v allora si ha,

( ) 02

2

=⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +∇+∂∇∂

Pv

tϕ ⇒ 0

2

2

=⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +∇+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛∂∂

∇ Pv

02

2

=⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ ++∂∂

∇ Pv

si conclude dicendo che questo trinomio che abbiamo trovato si mantiene costante in tutto il campo di moto, si noti che questa volta la costanza è soltanto spaziale ma non temporale. Se il nostro campo di moto è un campo di moto irrotazionale, allora possiamo trasformare ulteriormente la nostra equazione di bilancio della quantità di moto, infatti passiamo a fare il rotore di tutta l’equazione, otteniamo

02

2

=⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡×+⎟

⎞⎜⎝

⎛ +∇+∂∂

×∇ vvtv ωP

questa equazione è quasi equivalente al sistema,

( )⎪⎩

⎪⎨⎧

×∇=

=××∇+∂∂

v

vt

ω

ωω 0

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Ho detto che l’equazione precedente è quasi equivalente al sistema sopra scritto, poiché non è detto che tutte le soluzioni del sistema siano soluzione dell’equazione, il viceversa è sempre vero. Se il dominio è monoconnesso allora le soluzioni del sistema e dell’equazione andranno a coincidere, altrimenti bisogna garantire che la soluzione sia tale che la

quantità vtv

×+∂∂ ω sia un gradiente, e che sia garantito anche

∫ =⋅⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ×+∂∂ 0dcv

tv ω

Per il nostro studio ci conviene fare il passaggio dalle coordinate euleriane, cioè fissi nello spazio, ad un sistema di coordinate lagrangiane, cioè con un sistema mobile nello spazio che segua istante per istante il nostro sistema fisico. Il sistema di riferimento lagrangiano si muove con velocità pari a quella macroscopica del fluido, andiamo a vedere come si trasformano le derivate evolutive in derivate lagrangiane. La generica trasformazione in spazio e tempo è,

tt

xx

iji

j

i ∂∂

∂∂

+∂∂

∂∂

=∂∂

ξξξ e

ttt

xtx

t j

j

∂∂

′∂∂

+∂∂

′∂∂

=′∂

il passaggio da terna fissa a terna lagrangiana è specificato da,

⎪⎩

⎪⎨⎧

=′∂

∂=′

jj v

tx

tt

scopriamo che la derivata sostanziale sarà

jj x

vtt ∂

∂+

∂∂

=′∂

Tornando sulla nostra equazione in vorticità, ottenuta facendo il rotore dell’equazione di bilancio della quantità di moto, e sapendo che

( ) ( ) ( ) ( ) ( )vvvvv ∇⋅−⋅∇−∇⋅+⋅∇=××∇ ωωωωω il primo termine dell’uguaglianza vettoriale si annulla tramite l’equazione di continuità, e il terzo pure dato che la divergenza di un rotore è nulla per definizione. Allora l’equazione in vorticità diventa,

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( ) ( ) 0=∇⋅−∇⋅+∂∂ vv

tωωω ⇒ ( )v

DtD

∇⋅= ωω

in coordinate lagrangiane abbiamo, h

i

i

l

h

l

xv

xv

∂∂

∂∂

=∂∂ ξ

ξ

h

i

i

lh

h

lh

l

xv

xv

DtD

∂∂

∂∂

=∂∂

ξωωω

il secondo termine esprime le componenti della derivata sostanziale della vorticità e il terzo esprime le coordinate lagrangiane. Ma sappiamo anche

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

=∂∂

DtDxv l

ii

l

ξξ

e dato che la ξ e il tempo sono indipendenti posso scrivere,

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

=∂∂

i

l

i

l xDtDv

ξξ

quindi si ha

h

i

i

lh

h

i

i

lh

h

lh

l

xx

DtD

xv

xv

DtD

∂∂⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

=∂∂

∂∂

=∂∂

ξωξ

ξωωω

prendendo in considerazione il primo membro si ha,

( )hlhl

DtD

DtD ωδω

= ma l

i

i

l

h

llh x

xxx

∂∂

∂∂

=∂∂

ξδ

quindi si ha,

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

∂∂

+∂∂⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

∂∂

= hh

i

i

lh

h

i

i

lh

h

i

i

ll

xDtDx

xx

DtD

xx

DtD

DtD ωξ

ξωξ

ξωξ

ξω

si nota che, uguagliando le due derivate si hanno due termini uguali, e resta solo

0=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

∂∂

hh

i

i

l

xDtDx ωξ

ξ

le derivate di xl rispetto alle ξi essendo lo jacobiano della trasformazione non è mai nullo quindi lo possiamo semplificare e ottenere,

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( )0ih

h

i

xωωξ

=∂∂ ⇒ ( )

i

hih

ωω∂∂

= 0

dove con ωi

(0) si è indicati la costante di integrazione. Si può notare che nella nostra trattazione abbiamo fatto scomparire le derivate temporali, ma queste in verità non sono scomparse perché la dipendenza dal tempo rimane sempre nelle coordinate lagrangiane della x. Questa relazione ci dice che se abbiamo un campo di moto in cui la vorticità iniziale è nulla nelle sue tre componenti, allora essa si manterrà nulla per il resto del tempo, qualunque sia il moto del sistema lagrangiano. Questo è molto importante nel nostro studio di un profilo, infatti se noi assumiamo che all’infinito la velocità si mantiene costante e che la vorticità è nulla, allora sia sicuri che il profilo starà in un campo di moto irrotazionale, oltre ad essere un fluido non viscoso e incomprimibile per ipotesi, escludendo chiaramente la scia che è una regione del campo di discontinuità. Mercoledì 10 ottobre 2001 Abbiamo ricavato le componenti della vorticità nel caso di fluido non viscoso e incomprimibile, andiamo adesso a vedere come quelle formule possono variare nel caso di fluido comprimibile. Nel caso comprimibile sappiamo che l’equazione di bilancio della vorticità è,

( ) ( )vvDtD

∇⋅=⋅∇+ ωωω

grazie all’equazione di continuità il primo termine può essere scritto come,

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛−=−

ρωρωρ

ρω

ρρωρ

ρω

DtD

DtD

DtD

DtD

DtD

2

111

quindi si ha,

vDtD

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∇⋅=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛ρω

ρω

Si noti che il risultato raggiunto è simile a quello nel caso precedente, con la sola differenza che lì c’era solo la vorticità, al contrario qua compare il rapporto della vorticità rispetto alla densità. Scrivendo la formula raggiunta in coordinate lagrangiane, facendoci aiutare dai passaggi fatti in precedenza, si ha,

( )

i

hih xξρ

ωρω

∂∂

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛=

0

.

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Anche in questo caso se la condizione all’infinito è uniforme o è di quiete, allora possiamo concludere che in tutto il campo la vorticità sarà nulla. Passiamo all’equazione di bilancio della massa, e scriviamola in coordinate lagrangiane, partiamo dalla derivata sostanziale della massa,

0=⋅∇+ vDtD ρρ

come abbiamo fatto in precedenza, andiamo a scomporre la divergenza della velocità, scrivendola prima in coordinate cartesiane e passando poi in coordinate lagrangiane,

i

j

j

i

i

j

j

i

i

i

xx

DtD

xv

xvv

∂∂⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

∂∂

=∂∂

∂∂

=∂∂

=⋅∇ξ

ξξ

ξ

l’equazione diventa,

0=∂∂⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

∂∂

+i

j

j

i

xx

DtD

DtD ξ

ξρρ

ricordiamo che se abbiamo una matrice A con determinante |A|, possiamo dire

1−A : AdcdA

dcdA 1−=

dove c è un parametro qualunque. Considerando nel nostro caso il tempo come

parametro e riconoscendo con ξ∂∂

=xJ il determinante Jacobiano della

trasformazione che lega le coordinate x a quelle ξ, si ha

01 =+ −

DtDJJ

DtD ρρ

se J non è singolare,

0=+DtDJ

DtDJ ρρ ⇒ ( ) 0=J

DtD ρ

all’istante iniziale la densità vale ρ(0) = ρ(0) e lo jacobiano vale 1, in quanto all’istante iniziale i sistemi di riferimento cartesiano e lagrangiano vanno a coincidere. Lo jacobiano ci dice come varia il rapporto degli elementi di volume nei diversi sistemi x e ξ, man mano che il sistema lagrangiano si evolve. Quindi la relazione ci fa capire che la densità ρ evolverà in maniera inversa rispetto al volume.

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Quello che abbiamo fino ad ora detto ha un grosso difetto, infatti le soluzioni che noi ritroviamo vengono fuori da equazioni differenziali. Sappiamo che quando esiste una discontinuità del campo di studio non possiamo più utilizzarle. Quindi siamo costretti a ripiegare su delle equazioni di tipo integrale. Andiamo a guardare alcuni teoremi che ci verranno utili sotto l’ipotesi cinematica che ω = 0. Il teorema di Stokes ci dice,

∫∫∫∂

⋅=⋅SS

dcvdSnω

Il teorema di Kelvin ci dice che se noi calcoliamo il seguente integrale ∫ ⋅ dcv lungo un percorso chiuso che si muove con velocità macroscopica, possiamo pensare ai cerchi fatti col fumo, la derivata dell’integrale si manterrà uguale a zero,

( ) 0=⋅∫ dcvDtD

Dimostrazione:

( ) ( ) ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

∂∂

==⋅ ∫∫∫ jj

iiii dxv

DtDdxv

DtDdcv

DtD ξ

ξ

il cammino dell’integrale dipende dal tempo, ma essendo passato alle coordinate lagrangiane questa dipendenza scompare , quindi posso portare la derivata all’interno dell’integrale. Dopo passo a scomporre i due integrali che ottengo derivando il prodotto della funzione integranda,

∫∫∫ ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

∂∂

+∂∂

=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

∂∂

jj

iij

j

iij

j

ii dx

DtDvdx

DtDvdxv

DtD ξ

ξξ

ξξ

ξ

dimostrare il teorema significa dimostrare che questi due integrali sono entrambi nulli, prendiamo in considerazione prima il secondo

∫∫∫∫ ⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛∂∂

=∂∂

=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

∂∂

ji

jj

j

iij

i

jij

j

ii dvdvvd

DtDxvdx

DtDv ξ

ξξ

ξξ

ξξ

ξ 2

2

ci accorgiamo che è l’integrale di un differenziale esatto, che calcolato in un percorso chiuso è banalmente zero. Da notare come fino a questo punto non abbiamo fatto uso delle equazioni del moto.

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Passiamo adesso all’altro integrale,

∫ ∂∂

jj

ii dxDtDv ξ

ξ tramite la derivata sostanziale 0=

∂∂

+i

i

xDtDv P diventa,

∫∫ ∂∂

−=∂∂

∂∂

− jj

jj

i

i

ddxx

ξξ

ξξ

PP

anche qui abbiamo raggiunto un integrale di un differenziale esatto, che è nullo perché il percorso è chiuso. Quindi anche la derivata dell’integrale iniziale sarà nullo e il teorema di Kelvin è stato dimostrato, nelle ipotesi di fluido non viscoso incomprimibile o comprimibile isoentropico. Dal teorema di Kelvin possiamo ricavare i teoremi di Helmotz, che sono un misto di considerazioni cinematiche e dinamiche, passiamo comunque prima a definire alcune grandezze fisiche. Si definisce linea vorticosa il luogo dei punti che hanno istante per istante parallelo il vettore vorticità, matematicamente e definita localmente come 0=× dsω . Possiamo definire come superficie vorticosa una superficie che ha come direttrici delle linee vorticose. Se una superficie vorticosa ha come generatrice una linea chiusa allora si parlerà di tubo vorticoso, e l’area della generatrice verrà chiamata sezione del tubo. Se un tubo vorticoso ha una sezione che tende a zero, cioè la curva altro non è che un punto, allora parleremo di filamento vorticoso. Il primo teorema di Helmotz racchiude in se queste due proprietà: 1) il flusso di vorticità risulta costante in ogni sezione di un tubo vorticoso, 2) se si prende un tubo vorticoso o filamento vorticoso la circolazione è costante attraverso qualsiasi linea che circonda il tubo stesso. Il secondo teorema di Helmotz ci dice che una superficie che è in un dato istante superficie vorticosa lo sarà per tutti gli istanti successivi. Questo teorema deriva da quello di Kelvin. Sostituire al vettore velocità un potenziale scalare è una cosa che mi gratifica molto, perché mi fa capire che ci troviamo di fronte ad un campo irrotazionale. Ma questo non sempre è possibile farlo, perché devo stare attento al tipo di dominio io ho. Infatti se voglio che il mio campo di moto sia ovunque irrotazionale devo avere o fare in modo che sia monoconnesso. Purtroppo un problema aerodinamico non è quasi mai monoconnesso, infatti se considero il piano dove giace la sezione del mio profilo, mi accorgo facilmente che il profilo stesso fa in modo che il dominio non sia monoconnesso. Invece se trattiamo il problema in tre dimensioni allora è monoconnesso, perché anche se costruisco un percorso chiuso attorno all’ala, posso sempre estrarre fuori questo percorso e ridurlo in un punto nello spazio.

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Concludiamo dicendo che il problema aerodinamico è sempre monoconnesso in tre dimensioni, in due dimensioni invece è biconnesso. Ricordando che stiamo sempre trattando con fluido stazionario e non viscoso, abbiamo trovato che se il mio dominio è biconnesso allora il potenziale scalare ϕ non sarà monodromo, cioè non avrà un sol valore in un determinato punto del dominio. Allora noi possiamo spezzare il dominio tramite una striscia di apertura infinitesima,

Così facendo il dominio è monoconnesso, infatti non posso cerchiare il profilo con una curva chiusa. Logicamente quello che abbiamo fatto è soltanto un trucco, perché il problema sussiste comunque, infatti il valore del potenziale attraverso la striscia è comunque diverso, ma all’interno del dominio privato della striscia il potenziale sarà continuo. La scelta di dove porre la striscia non è obbligatoria, anche se vedremo che conviene scegliere un posto rispetto ad un altro. E che la striscia deve essere infinitesima e di lunghezza infinita. Nel caso di fluido incomprimibile e moto irrotazionale possiamo scrivere questo sistema di equazioni,

⎩⎨⎧

=×∇=⋅∇

00

vv

e scrivendo la velocità tramite il suo potenziale scalare ϕ, si ottiene l’equazione di Laplace,

02 =ϕ∇ Questa equazione differenziale del secondo ordine è lineare, e questo ci permette di applicare il principio di sovrapposizione degli effetti. Andiamo adesso a trovare le possibili condizioni al contorno per l’equazione di Laplace,. Se voglio che la velocità all’infinito sia v∞ allora posso dire che il potenziale sarà,

( ) ∞=∞ϕ⋅∇ v

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l’altra condizione possiamo ricavarla considerando il corpo, noi sappiamo che il fluido è non viscoso, quindi non possiamo dire nulla circa la velocità sul corpo, ma possiamo dire che la componente normale della velocità sul corpo è certamente nulla, cioè la condizione di non penetrabilità,

( ) 0=⋅ cnv ⇒ ( ) 0=⋅ϕ∇ cn . Le condizioni al contorno che abbiamo ricavato sono riferite ad un sistema di riferimento fisso, se ci mettiamo solidali con il fluido, le condizioni cambiano. Infatti la velocità all’infinito sarà nulla, e la velocità sul corpo sarà la velocità v∞, cioè

0=∞v ⇒ ( ) 0=∞ϕ⋅∇

∞= vvc ⇒ ( ) nvn c ⋅−=⋅ϕ∇ ∞ . Abbiamo detto in precedenza che il taglio che noi effettuiamo al nostro dominio, per renderlo monoconnesso, non sarà fatto in un posto qualunque, ma esso avrà un legame con la scia del nostro oggetto. Dovrò risolvere l’equazione di Laplace facendo in modo che il taglio mi tolga la discontinuità rotazionale che la scia mi dà nel mio dominio di calcolo. Per risolvere il mio problema, devo avere anche delle condizioni al contorno della scia, che sono doppie perché sui bordi della scia sappiamo che il potenziale è discontinuo, allora posso andare ad applicare una equazione di bilancio attraverso un contorno chiuso, che mi racchiude un pezzo della scia, in modo da ricavare delle relazioni che mi introducono un legame tra le quantità a cavallo della scia. Per fare ciò non posso utilizzare delle relazioni differenziali, poiché il campo presenta una discontinuità, passo allora a delle equazioni di tipo integrale. giovedì 11 ottobre 2001 Data la velocità e presi due punti sul piano P1 e P2, il potenziale sarà:

( ) ( ) ∫ ⋅=ϕ−ϕ2

1

12

P

P

dcvPP

se P1 e P2 vanno a coincidere, allora ci troviamo di fronte ad un percorso chiuso e l’integrale per il teorema di Stokes sarà nullo. I valori di ϕ(Pi) possono assumere infiniti valori, ma sappiamo con certezza che questi valori sono multipli interi della circolazione della velocità, cioè

∫ ⋅=Γ dcv

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Abbiamo detto che il taglio non andrà fatto in un punto arbitrario, ma noi imponiamo dove farlo. E risolvendo l’equazione di Laplace vado a determinare i legami che esistono tra le grandezze attraverso il salto che si crea sul taglio. Immaginiamo di avere un tratto della scia, e di costruire intorno ad essa un percorso chiuso, (1) A B F C E D (2) Andiamo a scrivere la conservazione della massa in forma integrale, si ha

0122211 =−+−+−+++=⋅ ∫∫∫∫∫∫∫A

F

F

E

E

D

D

C

C

B

B

Adyudyudxvdyudyudxvdlnv

le distanze verticali rispetto a quelle orizzontali del percorso sono molto più piccole, quindi i contributi degli integrali legati a y possono essere pensati nulli, ma nello stesso tempo le distanze AB e ED non sono eccessive, per fare in modo che la scia possa essere pensata rettilinea, quindi quelle distanze possono considerarsi uguali, si ha

2121 0 vvEDvABv =⇒=− ⇒ nn ∂ϕ∂

=∂ϕ∂ 21

siamo arrivati alla conclusione che le componenti normali della velocità sono uguali, quindi anche continue, e saranno uguali anche le componenti normali del potenziale. Ma andando a considerare la scia come una linea di corrente, sappiamo che una linea di corrente non ha componente normale, quindi possiamo ancora scrivere,

021 =∂ϕ∂

=∂ϕ∂

nn (solo sulla scia).

A questa conclusione siamo arrivati andando a studiare la conservazione della massa, se andiamo a considerare la conservazione della quantità di moto si ha,

( ) ( ) 21 || nIpvvnIpvv ⋅+=⋅+ ρρ

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ma essendo nullo il prodotto scalare della velocità con il versore normale, dalla relazione ci resta soltanto,

21 pp = . Quella che abbiamo ricavato è una relazione in cui compare la pressione, ma io voglio tradurla in termini di potenziale ϕ, per fare ciò metto in gioco il teorema di Bernoulli, ed ho

( ) ( )2

222

1

211

22p

tp

t+

ϕ∇+

∂ϕ∂

=+ϕ∇

+∂ϕ∂

( ) ( ) ( ) 02

22

21

21 =ϕ∇−ϕ∇

+ϕ−ϕ∂∂t

se definiamo 21 ϕ−ϕ=∆ϕ otteniamo,

( ) ( ) ( ) 02

2121 =ϕ∇+ϕ∇⋅ϕ∇−ϕ∇

+∆ϕ∂∂t

se definisco la velocità di un punto della scia come la media delle velocità dei punti al

di sopra e al di sotto della scia 2

21 ϕ∇+ϕ∇=v , ottengo

( ) ( ) ( ) ( ) 021 =∆ϕ∇⋅+∆ϕ∂∂

=ϕ∇−ϕ∇⋅+∆ϕ∂∂ v

tv

t

( ) 0=∆ϕDtD

Notiamo che l’equazione di Laplace non è dipendente dal tempo, ma questo è pura apparenza infatti la dipendenza del tempo è stata spostata nelle condizioni al contorno. Infine possiamo dire che l’equazione di Laplace ci consente di studiare il campo di moto, escludendo con un trucco l’unica regione di campo che è sicuramente rotazionale, e che presenta una difficoltà intrinseca di studio. L’equazione di Laplace non ci dice nulla su quanto riguarda la scia, ma noi imponiamo che il taglio di dominio prenda in gioco la scia e ce la elimini dal campo di moto. La discontinuità rimane in quanto da entrambe le parti della scia il potenziale assume due valori completamente diversi, ma questa discontinuità viene superata ricavando, come abbiamo fatto, altre condizioni al contorno che ci permettono di legare grandezze come la velocità normale e la pressione da cui ciamo riusciti a ricavare il potenziale.

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Passiamo ora a vedere alcune forme risolutive dell’equazione di Laplace, la scelta del sistema di riferimento dipende dal tipo di fenomeno che sto studiando, comunque sappiamo che l’equazione di Laplace potrà essere scritta come,

02

2

2

22 =

∂ϕ∂

+∂ϕ∂

=ϕ∇yx

questa forma è in coordinate cartesiane. Noi non sappiamo che forma avrà la soluzione di questa equazione, ma provo se possa essere di questo tipo,

( ) ( ) ( )yGxFyx =ϕ ,

sostituendo dentro l’equazione si ha,

( ) ( ) ( ) ( ) 0=′′+′′ yGxFyGxF ⇒ ( )( )

( )( ) 0=′′

+′′

yGyG

xFxF

affinché la somma di due funzioni di variabile diversa siano uguali a zero, deve accadere che le due funzioni siano costanti,

( )( )

( )( )yG

yGAxFxF ′′

−==′′

( ) ( ) 0=−′′ xFAxF e ( ) ( ) 0=+′′ yGAyG

le soluzioni di queste equazioni differenziali avranno una forma del tipo,

( )⎩⎨⎧

≥∈<∈

±=±==00

11

AseRaAseCa

aAkexF xk

( )⎩⎨⎧

≤∈>∈

±=−±==00

22

AseRiaAseCia

iaAkeyG yk

quindi la soluzione dell’equazione sarà,

( ) iayax eeyx ±± ⋅∝ϕ , Ma variando il dominio di calcolo e le condizioni al contorno, la soluzione più generale possibile che possiamo scrivere ha una forma del tipo,

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( ) ( )∫+∞

∞−

−=ϕ daeeakyx iayxa, Se prendo in considerazione una geometria in cui il mio dominio sia solo la parte positiva delle x, e quindi la mia condizione al contorno sia solo una funzione della sola y,

( ) ( )ygy =ϕ ,0 e devo pure stare attento a non fare andare ad infinito il mio potenziale, in questo caso basta mettere in valore assoluto la a all’esponente della x, perché sono sicuro che il contributo derivante dalla y sia limitato, poiché sono funzioni goniometriche, tramite la mia condizione al contorno ho

( ) ( ) ( )ygdaeaky iay ==ϕ ∫+∞

∞−,0

sfruttando la trasformata di Fourier si può prendere l’inversa ed avere,

( )∫∞+

∞−

−= dyeygk iaya π2

1 .

mercoledì 17 ottobre 2001 Abbiamo ricavato l’equazione di Laplace, e abbiamo anche visto la forma che può assume una sua soluzione espressa come il prodotto di due funzioni dipendenti da variabili separate. Ma tutto il procedimento seguito è stato svolto in coordinate cartesiane, questo a volte può essere un limite molto alto soprattutto quando siamo in presenza di domini circolari. Infatti se siamo in questo caso le coordinate più adatte sono quelle cilindriche, la topologia sferica o cilindrica va bene anche in casi di profili, cosa che a noi interessa molto. Quando abbiamo ricavato la soluzione dell’equazione di Laplace mediante il procedimento di separazione di variabili, abbiamo lavorato in coordinate cartesiane, ora non è assolutamente detto che in coordinate polari valga ancora quello che abbiamo fatto per il caso cartesiano, quindi siamo costretti a rifare i conti. In coordinate polari l’equazione di Laplace diventa,

0112

2

2=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛

∂ϕ∂

∂∂

+∂ϕ∂

rr

rrr θ

anche qui vogliamo cercare delle funzioni soluzioni che abbiamo la forma,

( ) ( ) ( )θθ GrFr =ϕ ,

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sostituendo nell’equazione di Laplace si ha:

( ) 012 =′

∂∂

+′′ Frrr

GGFr

⇒ ( ) 0=′′+′′

FrFr

GG

abbiamo separato le variabili, il primo addendo è funzione solo della θ, mentre il secondo è funzione solo della r, affinché diano somma nulla deve accadere che entrambi siano uguali a costanti, cioè

AGG

−=′′ e ( ) AFr

Fr

=′′

La prima equazione differenziale, quella dipendente da θ, è simile a quelle viste nel caso cartesiano, quindi avrà soluzione del tipo,

( ) θθ iaeG ±= la seconda equazione è una equazione di Eulero, cioè a coefficienti non costanti, ma che può essere riportata a coefficienti costanti con la banale sostituzione di variabile

drdr

dtddr

rdttr =⇒=⇒=

1log

quindi la nostra equazione

( ) 0=+′′ AFFrr

in funzione di t diventerà, con soluzione

( ) attt etFAFF ±=⇒=+ 0

e tornando nella variabile r, si ha

( ) arrF ±= Quindi notiamo che le due soluzioni separate hanno faccia diversa, cosa che non accadeva nel caso cartesiano. In più accade che le soluzioni trovate non comprendono tutte le soluzioni possibili al variare della costante A, infatti se supponiamo che A sia nulla abbiamo

( ) ( ) θθθ 210 CCGG +=⇒=′′

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( ) ( ) ( ) 000

0 log00 brarFraFaFrFrFrr +=⇒=′⇒=′⇒=′′⇒=′′

queste due soluzioni non venivano comprese nelle soluzioni generali trovate con A qualunque. Passiamo adesso a lavorare sulle condizioni al contorno e supponiamo di conoscere la condizione sul contorno circolare di raggio r0. Cioè supponiamo di conoscere la ϕ(r0,θ)=g(θ), la soluzione generale sarà la combinazione lineare più generale possibile fra le soluzioni r trovate separatamente, ricordiamo che noi θ stiamo cercando il potenziale in un punto r all’esterno del cerchio di raggio r0, quindi dobbiamo stare attenti che il nostro potenziale r0 non vada all’infinito. La soluzione generale sarà,

( ) ( )∫∞

∞−+++=ϕ daerakCbrar iaa θθθ 200 log,

abbiamo detto che il potenziale non può divergere allora il terzo termine non può esistere perché all’infinito il potenziale deve essere uniforme. Dovendo le funzione essere continue implica che l’esponente a dentro l’integrale non può essere reale ma intero, di conseguenza al posto dell’integrale posso sostituire una sommatoria così fatta,

( ) ( )∑∫+∞

−∞=

−∞+

∞−+=

n

innn

nn

iaa erBrAdaerak θθ

ma ci accorgiamo che anche quando r tende all’infinito il potenziale diverge, quindi dobbiamo eliminare dalla sommatoria anche le potenze di r con esponente positivo. La soluzione diventerà,

( ) ∑+∞

−∞=

−++=ϕn

innn erkbrar θθ ||

00 log,

adesso una semplice trasformata di Fourier e la condizione al contorno sul cerchio di raggio r0 ci permettono di ricavare i coefficienti della sommatoria kn, cioè

( ) ( ) ∑+∞

−∞=

−++==ϕn

innn erkbragr θθθ ||

0000 log, ⇒ ( )∫ −− =π θ θθ

π2

0

||0 2

1 degrk innn

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Finora abbiamo studiato come trovare il potenziale in un punto all’esterno del contorno scelto, ma vogliamo anche trattare il caso in cui il nostro punto sta all’interno del contorno. Il discorso da fare è abbastanza analogo, solo che mentre prima eliminavo i termini della sommatoria con esponente positivo, questa volta dovrò eliminare quelli con esponente negativo. E per lo stesso motivo devo eliminare il termine che compare con il logaritmo perché esso presenta una discontinuità in zero. Detto questo la soluzione avrà forma

( ) ∑+∞

−∞=

+=ϕn

innn erkbr θθ ||

0,

Per quanto riguarda la condizione al contorno per il problema interno non cambia assolutamente niente, infatti resta quella che abbiamo trovato prima con le dovute variazione di segno, quindi possiamo dire che c’è una simmetria della condizione di tipo Dirichlet per il problema esterno e interno. Cosa che non accade se andiamo a prendere una condizione al contorno di tipo Neumann, infatti se considero la derivata radiale per il problema interno, io ho

( ) ( ) ∑+∞

−∞=

−=ϕ=n

innnr ernkrg θθθ 1

00 ,

invertendo con la trasformata di Fourier si ha,

( )∫ −− =π θ θθ

π2

0

1||0 2

1 degrnk innn

andiamo adesso a notare che, se n = 0 il primo membro diventa identicamente nullo, quindi se anche il secondo membro, cioè l’integrale, fa zero non ho casini e il mio problema è ben posto, se zero non è allora il mio problema è mal posto. Affinché sia ben posto devo rispettare la condizione di compatibilità

0=⋅ϕ∇∫ dlnl

.

Questa condizione non ha luogo di esistere se consideriamo il problema esterno, infatti in quel caso dato che la soluzione generale cambia e la sua derivata di conseguenza anche, si avrà una condizione al contorno del tipo,

( ) ( )0

0100 ,

raernkrg

n

innnr +−=ϕ= ∑

+∞

−∞=

−− θθθ

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avendo un grado di libertà in più, riesco comunque a soddisfare la condizione di media non nulla della condizione al contorno. Quindi mi accorgo che il problema polare con condizioni di tipo Neumann non è affatto simmetrico. Con le coordinate polari possono essere risolti non solo domini prettamente circolari, ma anche domini che rappresentano corone circolari, Oppure spicchi di domini circolari, θ2 θ1 in questo caso le soluzioni avranno esponente non intero ma reale, perché essendo il dominio limitato secondo l’ampiezza non c’è il problema della continuità. Prima di andare a vedere qualche caso particolare di soluzione dell’equazione di Laplace, introduciamo il concetto di funzione di corrente, se abbiamo un campo di moto piano e una linea che unisce due punti A e B la funzione,

( ) ∫ ⋅=l

l dlnvBA,ψ

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se supponiamo di porre l’origine del sistema di riferimento nel punto A, la funzione di corrente ψ non dipenderà più dal punto A. e se supponiamo ancora di avere un moto irrotazionale e incomprimibile allora la funzione di corrente ψ non dipende dal percorso scelto, e sarà soluzione dell’equazione di Laplace cioè

02 =∇ ψ . Se prendiamo in considerazione il solito problema aerodinamico, possiamo dire che il corpo è linea di corrente, quindi anche la ψ è costante su ogni linea di corrente, se le condizioni al contorno sono del tipo Dirichlet sfruttando la ψ si hanno le seguenti formule,

uy

vx

vy

ux

=∂∂

−=∂∂

=∂ϕ∂

=∂ϕ∂

ψψ

Portiamo alcuni esempi di correnti, incominciamo con il caso di corrente parallela ad un piano obliquo, u∞ V∞ x v∞ Il potenziale ϕ e quello ψ saranno,

( )( ) yuxvyx

yvxuyx

∞∞

∞∞

+−=+=ϕ

,,

ψ

Prendiamo il caso della sorgente di intensità q, chiaramente è espressa per unità di profondità, se q > 0 allora si tratta di una vera e propria sorgente, se q < 0 allora si tratta di un pozzo. Considerando in coordinate polari il nostro sistema per determinare la velocità radiale, basta considerare una corona circolare da cui si ricava

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( )

( ) θπ

θψπ

θ

2,

log2

,

qr

rqr

=

ψ = cost ϕ = cost il termine log(r) prende il nome di termine di monopolo o sorgente. In questo particolare caso esiste un caso duale, cioè quando si invertono le curve del potenziale ψ e quelle del potenziale ϕ. Quando questo accade fisicamente si ha il caso del vortice piano con circolazione Γ, i potenziali diventano

( )

( ) rr

r

log2

,2

,

πθψ

θπ

θ

Γ−=

Γ=ϕ

ψ = cost Γ ϕ = cost Se abbiamo un sistema cinematico che comprende una sorgente e un pozzo posti ad una certa distanza d questo viene chiamato doppietta, poi ad un certo istante facciamo avvicinare queste due sorgenti in modo da far tendere a zero la loro distanza, e facendo in modo che il prodotto q⋅d si mantenga costante ed uguale a

µ== cstqd

ϕ = cost ψ = cost

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con µ indichiamo l’intensità della doppietta ed è caratterizzato da un segno, anche in questo caso possiamo ricavare i due potenziali ed avere,

( )

( )r

rr

r

θπµθψ

θπµθ

sen2

,

cos2

,

=

−=ϕ

Se mettiamo assieme una doppietta e un moto uniforme, otteniamo sapendo che vale il principio della sovrapposizione degli effetti, Y ψ = cost V∞ x

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −=−=−= ∞∞∞ rrV

rrV

ryV

πµθθ

πµθθ

πµψ

2sensen

2sensen

2

notiamo che θ = 0 e per θ = π si ha che il potenziale ψ si annulla, ma questo accade pure per il valore

02r

Vr ==

∞πµ

Notiamo che anche il dominio circolare di raggio r0 è linea di corrente, quindi non abbiamo fatto altro che disegnare la linea di corrente di moto uniforme che investe un cilindro. Andiamo ora a calcolarci le velocità, per derivazione dal potenziale ψ, e facile verificare che,

⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛−=

∂∂

= ∞ 2

201cos1

rrV

rvr θ

θψ

⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛+=

∂∂

= ∞ 1sen2

20

rrV

rv θψθ ⇒ ( ) θθ sen20 ∞= Vrv .

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giovedì 18 ottobre 2001 Riguardando ancora il problema del cilindro investito da una corrente uniforme, possiamo notare dalle linee a potenziale ψ costante che il nostro problema presenta una simmetria sia per quanto riguarda l’asse delle x, ma anche per quanto riguarda l’asse delle y. Se andiamo a calcolarci dalle velocità tangenziali il coefficiente di pressione, e lo diagrammiamo per la velocità, si ha Cp 1 π v sfera cilindro Da quello che abbiamo trovato seguono due importanti riflessioni. Dalla simmetria rispetto all’asse x ci viene che non esiste portanza, questo risultato però non contrasta con la realtà sperimentale, perché sappiamo che un cilindro non in rotazione relativa rispetto al fluido, non genera portanza. Ma dalla simmetria rispetto all’asse delle y notiamo che non si genera neanche resistenza, e questo in realtà non succede. Questa contraddizione che va sotto il nome di paradosso di D’Alembert, spunta dal fatto che si è trascurata la viscosità del fluido, che ci è servita per fare delle semplificazioni matematiche per ricavare le nostre formule. Infatti anche nella realtà se non avessimo viscosità non si genererebbe resistenza che comunque c’è sempre. Continuiamo a vedere altri metodi risolutivi della nostra equazione di Laplace. Abbiamo visto fino ad ora il metodo delle separazione delle variabili, sia in coordinate cartesiane che in coordinate polari. E siamo riusciti a ricavare una soluzione del tipo ϕ1(r,θ), allora mi chiedo, se esiste la ϕ1(r,θ) esisterà la soluzione ϕ2(1/r,θ), soluzione sì di un altro problema ma comunque soluzione che verifica l’equazione di Laplace? Ebbene esiste. Quello che faccio per prima cosa e trovare la formula di Laplace in coordinate polari nella nuova variabile

rr 1=′ ,

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sappiamo che la derivata prima sarà,

rr

r ′∂∂′−=

∂∂ 2

allora l’equazione di Laplace diventa,

02

223 =∂ϕ∂′+⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛

′∂ϕ∂′−

′∂∂′−

θr

rr

rr

Supponiamo di voler calcolare ϕ2 quando ϕ1 è il potenziale di una sorgente, che ha la forma

01 log rr −=ϕ in coordinate cartesiane diventa la soluzione,

( ) ( )( )21

20

201 log yyxx −+−=ϕ

in coordinate polari avremo

( ) ( )( )21

20

201 sencoslog yrxr −+−=ϕ θθ

Quindi l’altra soluzione, di non sappiamo quale problema ma comunque soluzione di Laplace, si ottiene sostituendo alla r la sua inversa, cioè

21

2

02

2

022 log ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −+⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ −=ϕ y

ryx

rx

Notiamo che mentre prima la singolarità della soluzione ϕ1 stava nel punto r0, adesso noi l’abbiamo spostata nel punto

20

00 r

rr =′

Questo metodo di ricerca delle soluzioni è il metodo delle immagini. Ma ci possiamo chiedere a che cosa ci serve la ϕ2. Supponiamo di avere il cerchio unitario, sappiamo che la soluzione ϕ1 e la soluzione ϕ2 hanno lo stesso valore, e se andiamo a considerare la funzione

213 ϕ−ϕ=ϕ

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che sarà certamente soluzione, perché combinazione lineare di soluzioni di Laplace, questa soluzione sarà identicamente nulla sul cerchio unitario, quindi non abbiamo fatto altro che trovare il campo di moto di una sorgente che differisce con un cilindro. Un problema così posto, avendo preso come condizioni al contorno i valori delle soluzioni sul cerchio unitario è di tipo Dirichlet, ma se noi abbiamo condizioni di tipo Neumann, allora invece della differenza delle funzioni dobbiamo prendere la somma delle soluzioni, cioè

214 ϕ+ϕ=ϕ Vediamo il perché. Per vederlo dobbiamo farci la derivata normale della soluzione ϕ4 sul cerchio unitario,

01 11

2121214

=

=∂ϕ∂

−∂ϕ∂

=∂′∂

′∂ϕ∂

+∂ϕ∂

=∂ϕ∂

+∂ϕ∂

=∂ϕ∂ r

rrrrr

rrrrr

Andiamo a vedere adesso una applicazione del metodo delle immagini, e per una spiccata dose di fantasia riprendiamo il problema del cilindro investito da una corrente di fluido che si muove con velocità uniforme. Sappiamo che il potenziale di una corrente uniforme è,

( ) ( ) θθ cos,, rVrxVyx ∞∞ =ϕ⇒=ϕ andiamo a prendere l’immagine di questa soluzione, cioè

θcos2 rV∞=ϕ

e adesso andiamo a trovare la somma delle funzioni trovate, prendo la somma perché la condizione al contorno è di tipo Neumann, cioè la non penetrabilità del cilindro,

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

++=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ +=ϕ+ϕ ∞∞ 2221

11cos1cosyx

xVr

rV θθ .

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Abbiamo visto che sotto il metodo della separazione di variabili ci sta la trasformata di Fourier, che ci consente la scomposizione delle coordinate al contorno in termini di funzioni sinusoidali, per poi applicare il principio delle sovrapposizione degli effetti. Adesso andiamo a vedere il metodo di Green che al contrario di quanto visto in precedenza si basa sulla somma infinita da valori puntuali per la determinazione della soluzione. Consideriamo la funzione di Laplace non omogenea, cioè la funzione di Poisson,

( )rg=ϕ∇ 2 questa equazione è lineare quindi varrà il principio della sovrapposizione degli effetti, questo ci consente di dire che la funzione soluzione dell’equazione sarà del tipo,

( ) ( ) ( )∫∫∫+=ϕV

dVrrGrgccr ,. 00 ,

il primo termine del secondo membro ci dice che la funzione deve dipendere dalle condizioni al contorno, il secondo termine ci da l’informazione che la soluzione sarà data dall’integrale del prodotto della funzione termine noto calcolata in tutti i punti del dominio per una funzione G, detta funzione di Green, calcolata in non solo in tutto il dominio ma anche nel punto r0. Andiamo adesso a semplificare questa espressione, e soprattutto andare ad eliminare le derivate del potenziale per sostituirle con le derivate della funzione di Green.

( )rgGG =ϕ∇ 2

( )∫∫∫∫∫∫ =ϕ∇VV

dVrgGdVG 2

( ) ϕ∇⋅∇−ϕ∇⋅∇=ϕ∇⋅∇=ϕ∇ GGGG 2

( ) ( )∫∫∫∫∫∫∫∫ ϕ∇⋅∇−⋅ϕ∇=ϕ∇

VV

dVGdSnGdVG 2

come si nota facilmente siamo riusciti ad eliminare tutte le derivate seconde di ϕ e anche eliminato un integrale di volume in uno al contorno, ma sappiamo ancora

( ) ( ) GGGGG 2∇ϕ−∇ϕ⋅∇=∇⋅∇ϕ−∇ϕ⋅∇=ϕ∇⋅∇

( ) ( ) ∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫ ∇ϕ+∇ϕ⋅−ϕ∇⋅=ϕ∇VV

dVGdSGndSGndVG 22

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Ma noi vogliamo la soluzione, cioè la ϕ(r0), quindi vado a scegliere una particolare forma della funzione di Green, cioè definisco

( )02 rrG −=∇ δ

dove la funzione δ è chiamata funzione di Dirach, questa funzione ha la particolarità che il suo integrale calcolato in un dominio infinitesimo quando essa tende ad infinito diventa unitario. A questo punto l’integrale di volume diventa

( ) ( )002 rdVrrdVG

VV

ϕ=−ϕ=∇ϕ ∫∫∫∫∫∫ δ

la soluzione sarà,

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )∫∫∫∫∫ ⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛

∂ϕ∂

−∂

∂ϕ+=ϕ dS

nrrrG

nrrGrdVrgGr

V0

00 ,, *

Adesso se sono in grado di trovare una funzione di Green adatta al mio contorno che mi permetta di eliminare a priori alcuni termini ho fatto bignè, altrimenti sono costretto ad integrare, il primo termine è un integrale noto, quindi facilmente integrabile. Andiamo a vedere alcune forme che possiamo trovare al variare del nostro dominio della funzione di Green. Cominciamo col caso di un dominio senza contorno, e se supponiamo di metterci sull’origine si avrà che

( )rG δ=∇ 2

le soluzioni devono godere della simmetria rispetto all’angolo, quindi non deve esserci la dipendenza della soluzione rispetto a θ, inoltre tranne nell’origine è anche soluzione di Laplace, queste considerazioni ci permettono di dire che l’unica forma che possiamo avere è del tipo

00 log braG += dobbiamo verificare che l’integrale esteso ad un dominio infinitesimo della G sia unitario, come contorno scegliamo un cerchio infinitesimo, ed abbiamo

( ) 0

2

00

00 2log ardradSbran

S

πθπ

==+∇⋅ ∫∫∂

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45

quindi la condizione affinché questo integrale sia unitario è π21

0 =a . Quindi la

funzione di Green avrà una forma del tipo,

0log21 brG +=π

posta non nell’origine sarà

00log21 brrG +−=π

.

In tre dimensioni la soluzione continuerà ad essere indipendente da θ, e la funzione di Green sarà,

00 b

raG +=

andiamo a verificare lo stesso integrale, ricordandoci che questa volta non avremo un angolo piano ma un angolo solido, quindi si avrà

0

4

0

220

00 4 adr

radSb

ran

S

ππ

−=Ω−=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +∇⋅ ∫∫∫

⇒ π41

0 −=a

041 b

rG +−=

π

non nell’origine

004

1 brr

G +−

−=π

.

Fino ad ora abbiamo visto casi in cui il contorno non esisteva, un altro caso semplice da studiare è quello con contorno circolare, infatti andiamo a prendere un cerchio di raggio unitario in cui r0 sta all’interno del cerchio e con condizione al contorno ϕ(1,θ) = g(θ). Se riesco a trovare una funzione di Green fatta in modo che sul contorno essa si annulli, allora certamente uno dei due addendi dell’integrale * se ne andranno. Cercare una funzione che sia annulli sul contorno è molto facile trovarla con il metodo delle immagini, per esempio

( ) ( )2

02

2

02

20

20 log

21log

21

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −+⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ −−−+−= y

ryx

rxyyxxG

ππ

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la soluzione sarà,

( ) ∫∫ ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂ϕ∂

−∂∂

ϕ=ϕ θrdr

GrGr0

così facendo siamo sicuri che il secondo termine dell’integrale di superficie si annulla dato che la G sul contorno, così come l’abbiamo costruita è nulla. La ϕ la conosciamo perché è una condizione al contorno, e abbiamo trascurato l’integrale di volume perché è un dato del problema, dopo averlo integrato. Con la nostra scelta di G, la sua derivata radiale sarebbe stata,

( ) ( )( ) ( )

⎟⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜⎜

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −+⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ −

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −−⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ −−

−−+−

−+−=

∂∂

2

0

2

0

0202

20

20

00

sen1cos1

sen1sen2cos1cos2

sencossensen2coscos2

41

yr

xr

yrr

xrr

yrxryrxr

rG

θθ

θθθθ

θθθθθθ

π

e la nostra soluzione di potenziale diventa,

( ) ( )∫=∂

∂=ϕ

πθθ

2

01

0 drGgr

r

Se invece della condizione sul cerchio unitario avremmo avuto una condizione del tipo Neumann, avremmo costruito la G invece che con la differenza, con la somma e non sarebbe cambiato un bel nulla. martedì 23 ottobre 2001 Andiamo a scrivere la formula di Green per un cerchio di raggio ρ, e con la G di spazio libero, si ha

( ) ( ) ( )∫∫∫ ϕ=∂ϕ∂

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +−ϕ=ϕ

πππθθρ

πθρρ

πθρ

πθρ

2

0

2

0 0

2

0,

21log

21

21,0 dd

nbd

r

in quanto il secondo addendo dev’essere nullo, questa relazione che va sotto il nome di corollario della media, ci dice che l’integrale del potenziale intorno su un cerchio di raggio qualunque ci da il potenziale calcolato nell’origine. Ma si può estendere il ragionamento al potenziale di qualunque punto r0, e non dipendendo dal raggio del cerchio l’integrale si può calcolare su qualunque cerchio centrato nel punto voluto. Questo risultato ci permette di capire e dimostrare che la soluzioni ottenuta da C.C. di tipo Dirichlet è unica. Diciamo anche che la soluzione di Laplace non può avere massimi e minimi a meno che questi non si trovano sul contorno.

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Supponiamo che ci siano due soluzioni del potenziale ϕA e ϕB, essendo soluzioni dell’equazione di Laplace, sono funzioni lineari quindi anche la differenza delle due sarà una funzione soluzione dell’equazione di Laplace,

213 ϕ−ϕ=ϕ

ma su un contorno di raggio qualunque entrambe le soluzioni devono avere lo stesso valore per il corollario della media, ottengo che la differenza è nulla, quindi il potenziale ϕC è nullo sul contorno, ma essendo nulla sul contorno deve essere nulla ovunque, da qui l’unicità dei due potenziali ϕA e ϕB. Le formule di Green ci permettono di avere un informazione qualitativa di come sarà il nostro campo di moto all’infinito, senza specificare il nostro problema di Laplace, ci chiediamo cosa succede quando r0 va ad infinito. Chiedere questo equivale a chiedere che la distanza tra r e r0 tende ad infinito, cioè

rr >>0

Questa condizione in assenza di scia ci va bene, in presenza di scia non tanto perché essendo che anche la scia va all’infinito, ci sarà qualche punto sulla scia che si avvicina ad r0. Prendiamo sempre in considerazione la formula di Green con la funzione G sempre quella di spazio libero, e in particolare concentriamo la nostra attenzione sul secondo addendo dell’integrale, trascurando eventuali costanti,

∫ ∂ϕ∂

− dln

rr 0log

sviluppiamo in serie di Taylor la quantità

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+

⋅−+⎯⎯→⎯+

⋅−=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛−⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛−=−=− ...ˆ

211ˆ2ˆˆˆˆ

0

02

0

2

020

2

0

0200

0

0

0

000

000 rrr

rrr

rr

rrrrr

rrr

rrrr

rrrrrr Taylor

...loglog 20

2

0

1000 +++≈−

ra

rararr

il primo addendo tenendo dentro l’integrale la derivata della G, cioè

( ) ( )∫∫ ϕ≈−−

⋅ϕ dlnrrrdl

rrrrnr

0

02

0

0 ˆ

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otteniamo che è dello stesso tipo del secondo addendo con la differenza della non presenza del logaritmo, questo ci consente di dire che quando r0 va all’infinito il potenziale può anch’esso andare all’infinito, ma la velocità essendo la sua derivata tende a zero. Il logaritmo non c’è sempre , ma lo troviamo solo quando abbiamo flusso di massa, quando non c’è il potenziale dipende dal vettore r come 1/r, mentre la velocità dipenderà come un fattore 1/r2. Andiamo a calcolarci la forza che agisce sul nostro profilo,

∫∫ ⋅−=1S

QdSnJF

calcolata attraverso una superficie molto prossima al profilo, sappiamo anche che se il nostro fluido è non viscoso la forza si riduce a,

∫∫−=1S

dSnpF .

Ma se il moto è stazionario, possiamo pensare che la variazione della quantità di moto sia nulla in tutto il campo di moto, quindi possiamo allargare la superficie S1 e portarla all’infinito, possiamo anche applicare Bernoulli, e considerare la velocità come la somma della velocità all’infinito più una componente infinitesima di variazione v, cioè

vVVVpVp+=+=+ ∞∞

∞ 22

21

21

ρρ

la forza diventa,

( )∫∫∞

⋅+−=S

dSnIpVVF ρ

∫∫∫∫∞∞

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅−⋅−++++−=⋅⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛+−= ∞

∞∞∞∞∞

SS

dSIvvvVpvvvVVvVVdSnIpVVF21

ρρ

ρρ

il primo termine dell’integrale essendo costante si può portare fuori, si ottiene l’integrale 0=∫∫

∞S

dSn , quindi possiamo trascurare il termine, allo stesso modo posso

fare per il rapporto p∞/ρ. Il terzo termine dell’integrale, essendo V∞ costante, lo porto fuori e mi rimane l’integrale 0=⋅∫∫

∞S

dSnv , che per la condizione di non penetrabilità

è nullo, quindi andiamo a trascurare il suo termine. Se siamo in 2D possiamo trascurare il termine v⋅v, perché sappiamo che all’infinito la velocità dipende da 1/r, quindi quel prodotto dipenderà da 1/r2.

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Quello che ci resta è, ( ) ( )[ ]∫∫

⋅−⋅−= ∞∞S

dSnvVvnVF

sfruttando il doppio prodotto vettoriale ( ) ( )cbabcacba ⋅−⋅=×× otteniamo la Relazione di Kutta-Jukonski,

∫∫∞

××= ∞S

dSvnVF ρ .

Abbiamo portato fuori dall’integrale la velocità all’infinito perché essa si mantiene costante, se siamo in presenza della scia e in 3D allora siamo costretti a fare l’integrale non solo sul profilo ma anche sulla scia, perché la presenza della scia mi fa saltare l’ipotesi che la distanza r0 sia molto maggiore della distanza r. Dalla relazione di Kutta-Jukonski notiamo che all’infinito la forza è normale alla velocità, quindi non abbiamo resistenza, scrivendo V al posto della velocità infinitesima v, e notando che l’integrale non è altro che la circolazione Γ, abbiamo

Γ== ∞VLF ρ

quindi se la circolazione è nulla dentro il campo di moto, anche la portanza sarà nulla, questo abbiamo già visto va sotto il nome di paradosso di D’Alembert. Se andiamo a considerare la scia abbiamo visto che la circolazione coincide con la variazione di potenziale attraverso la scia, ma al variare della circolazione noi otteniamo delle soluzioni del problema di Laplace tutte lecite, quindi ci accorgiamo che esso non è ben posto. Sappiamo che esiste

0=∆ϕ

DtD

ma non sappiamo quando si stacca e nemmeno dove si stacca la scia. Allora si dovrebbe ricorrere alla viscosità, ma non vogliamo farlo, quindi metto in gioco delle semplificazioni che derivano dai corpi aerodinamici che stiamo trattando. Diciamo che la scia deve staccarsi dal bordo d’uscita, questa considerazione equivale al saper trovare la Γ giusta, e saper mettere il taglio del nostro dominio proprio sulla scia.

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Ritorniamo alla nostra formula di Green, questa formula l’abbiamo ricavata per un punto r0 interno al campo di moto, ma qui ci interessa che stia fuori dal profilo, quindi penso di allargare la superficie S1 e portarla all’infinito. A questo punto metto il taglio per rendere connesso il dominio, sappiamo che la formula di Green è

( ) ∫∫ ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂ϕ∂

−∂∂

ϕ=ϕ dSn

GnGr0

e sappiamo anche che dobbiamo calcolarla sul contorno infinito S∞. La funzione di Green è continua sul taglio, devo fare in modo che anche il potenziale lo sia all’infinito, ma non lo è, però se prendo il potenziale così fatto lo diventerà,

xV ⋅−ϕ=ϕ ∞1 Prendiamo ora in considerazione la scia, su di essa sappiamo che la derivata normale del potenziale si mantiene costante, quindi i secondo addendo dell’integrale della formula di Green posso buttarlo via. Ma non è più vero che la funzione di Green sia continua, quindi devo tenere in conto l’integrale sulla scia. Dall’integrale di Green otteniamo che,

∫∫ ∂∂

∆ϕ=∂∂

ϕl

dlnGdl

nG

questo ci consente di trovare un potenziale che sia continuo sempre, in quanto noi riusciamo a eliminare la discontinuità togliendogliela, cioè

θπ212

∆ϕ−ϕ=ϕ .

mercoledì 24 ottobre 2001 Abbiamo visto che la composizione di un campo di moto uniforme è una singolarità, più precisamente una doppietta, ci da il campo di moto attorno ad un cilindro. Allora ci possiamo chiedere, se questo procedimento concettuale lo possiamo rifare per ogni geometria assegnata. Il problema sta nel fatto di non sapere dove sono le singolarità e la loro intensità, ma c’è anche il problema che non sappiamo che questa distribuzione di singolarità sia unica e che esista sempre. La formula di Green ci dirà che questa distribuzione esiste sempre. Come funzione di Green andiamo a prendere quella di spazio libero,

0log rrG −=

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ricordiamo che il 0log rr − non è altro che il potenziale di una sorgente di intensità unitaria, allora il secondo addendo dell’integrale della formula di Green a meno di segno ed eventuali costanti è,

∫ −∂ϕ∂ dSrrn 0log

altro non è che l’integrale di potenziali dati da sorgenti di intensità pari alla derivata normale del potenziale ϕ al variare punto per punto sul contorno di calcolo. Il secondo addendo diventa,

∫ −ϕ dS

rr 0

1

ma ricordando che 1/r è il potenziale di una doppietta, l’integrale di Green è il potenziale di una doppietta di intensità pari al potenziale ϕ, sempre calcolato al variare sul contorno. Questo che abbiamo enunciato è il principio su cui si basa il nostro futuro procedimento, adesso dobbiamo mettere tutto assieme, e per farlo utilizzeremo il metodo a pannelli. La scelta di singolarità da fare non è univoca, quindi noi andremo ad utilizzare una scelta fatta da Hen-Smith, i quali ci dicono che il potenziale scelto è la somma di tre potenziali, il primo è quello di moto uniforme, il secondo sarà il potenziale legato a delle sorgenti e il terzo sarà un potenziale legato a dei vortici.

vs ϕ+ϕ+ϕ=ϕ ∞

Supponiamo di avere un profilo, di cui vogliamo calcolarci il coefficiente di pressione e il coefficiente di portanza, allora ci serve il potenziale, da cui ricavare la velocità e poi tramite Bernoulli, il campo di pressioni. V∞ α 1 s N r0

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il potenziale all’infinito sarà,

( ) ( )αα sencos 000 yxVr +=ϕ ∞∞

sul profilo mettiamo un’ascissa curvilinea con una origine piazzata sul bordo d’uscita, e diciamo che le intensità dei potenziali delle sorgenti varia con la legge q(s), e quella dei vortici γ(s). I due potenziali saranno,

( ) ( )∫ −=ϕ dSrrsqrs 00 log21π

, ( ) ( )∫−=ϕ dSsrv θγπ21

0 .

A questo punto però ci accorgiamo che noi le geometrie reali non li sappiamo trattare, quindi andiamo a spezzare il nostro profilo, in N tratti rettilinei, facendo coincidere il primo pannello con l’origine dell’ascissa curvilinea, come in figura. I due integrali dei potenziali delle sorgenti e dei vortici, devono essere scritti nel nuovo contorno, quindi l’integrale finale sarà la sommatoria di N integrali fatti sugli N pannelli. Imponiamo che le intensità q(s) rimangano costanti su tutto il pannello, ma che cambino da pannello a pannello, al contrario dell’intensità γ(s) che rimane costante su tutti i pannelli. Quindi il potenziale diventerà

( ) [ ]∑ ∫=

−−=ϕN

j pannellijvs dSrrqr

100, log

21 γθπ

Ora non ci resta che risolvere il problema, notando che abbiamo N + 1 incognite, derivanti dalle N q(s) più la γ(s). Dobbiamo innanzitutto scegliere quali condizioni al contorno usare, potremmo usare quelle che ci anno la funzione di corrente ψ costante, oppure che non ci sia velocità normale. Per fare questo prendiamo il punto medio di ogni pannello e lo chiamiamo punto di controllo, i + 1 i punto di controllo j j + 1 noi imporremo che su ogni punto di controllo la velocità normale dovuta al potenziale infinito e ai potenziali delle distribuzioni di singolarità sia nulla. Questo significa scrivere una combinazione lineare fra N + 1 incognite, su tutti gli N pannelli. Ci accorgiamo che il numero delle incognite supera di uno numero di equazioni, ci viene in aiuto la condizione di Kutta.

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Infatti ci rendiamo conto che il nostro profilo ha una forma aerodinamica, quindi possiamo imporre che le velocità tangenti del pannello 1 e del pannello N sia uguali,

tvtv N ⋅=⋅1 .

La condizione di Kutta non è sempre questa ma varia a secondo del problema che sto affrontando. Queste relazioni che abbiamo trovato prendono il nome di coefficienti di influenza. Ci dicono qual è l’effetto del pannello i sul pannello j in base alla nostra distribuzione di singolarità. Trovati le intensità delle singolarità possiamo trovare il potenziale e quindi risalire alla nostra informazione cercata. Da notare che l’informazione dell’angolo di incidenza sta solo nel potenziale all’infinito, quindi dal punto di vista algoritmico, basta costruire un solo modello di calcolo per poi riutilizzarlo con angoli di incidenza diversi, in pratica quello che cambia in un sistema matriciale, non è la matrice dei coefficienti che è stata trovata identicamente, ma la colonna dei termini noti, dipendenti da α. Fino ad ora abbiamo calcolato, o tentato di farlo, il potenziale di un punto r0 che stava dentro il nostro campo di moto, ma se facciamo in modo che il punto r0 sta sul contorno, che cosa succede? Il metodo di Morino porta il punto r0 sul corpo, e la formula di Green diventa,

( ) ( ) ( )∫ ⎥⎦⎤

⎢⎣⎡

∂ϕ∂

−∂∂

ϕ=ϕ dSn

rrGnGrr ccc

111 ,

scegliendo la funzione di Green per lo spazio libero, crrG −= log . Ci accorgiamo che essendo rc sul contorno, prima o poi capita che r va a coincidere con rc. Vediamo cosa succede alla formula di Green, il secondo addendo sarà

∫ ∂ϕ∂

−− dSn

rr c1log

21π

otteniamo una singolarità, ma essendo un logaritmo questa singolarità non ci crea problemi, quindi possiamo non preoccuparcene. Prendiamo il primo addendo,

( )∫ −ϕ dS

rrr

c

121

anche questo integrale non è integrabile, ma possiamo adottare un trucco possiamo pensare che quando r tende a rc, lo facciamo passare non sul contorno scelto, ma bensì su una semicirconferenza infinitesima di raggio ρ, quindi l’integrale diventa,

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( ) ( )cc rdr 11 211

21

ϕ=ϕ∫ θρρπ

quindi l’integrale generale eliminando questa discontinuità diventa,

( ) ( ) ( )∫ ⎥⎦⎤

⎢⎣⎡

∂ϕ∂

−∂∂

ϕ=ϕ dSn

rrGnGrr ccc

111 ,

21 .

Adesso ci rimane da discutere la scia, prendiamo la formula di Green calcolata sulla scia, abbiamo

( ) ∫ ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂ϕ∂

−∂∂

ϕ=ϕsS

cs dSn

GnGr 1

1,1

ma sulla scia la derivata normale del potenziale è costante, la G è pure continua quindi l’integrale di circolazione è identicamente nullo, ci resta

( ) ( )∫∫∫+−+ ∂

∂ϕ−ϕ=

∂∂

ϕ+∂∂

ϕ=ϕ −+−+

SSSc dS

nGdS

nGdS

nGr1

e in caso di moto stazionario abbiamo,

( ) ∫+ ∂∂

∆ϕ=ϕS

c dSnGr1

A questi punto si continua come abbiamo fatto nel metodo dei pannelli discretizzando il dominio facendo le nostre ipotesi sulle intensità delle singolarità ecc. La circolazione non è altro che il salto di potenziale fra il potenziale calcolato sul primo pannello e quello calcolato sul pannello N. giovedì 25 ottobre 2001 Più volte si è detto che un problema che si deve affrontare nel calcolo del potenziale è quello relativo alla geometria assegnata. Infatti non è affatto semplice trattare con geometri che non sono quelle già viste, il cerchio. Ma per fare questo ci vengono in aiuto le variabili complesse. Infatti tramite la trasformazione conforme, noi riusciremo a trasformare un contorno noto, nel contorno che a noi interessa. E nella trasformazione noi otterremo che anche le leggi analitiche trovate per il contorno noto, si trasformano di conseguenza. La teoria su cui si basa tutto questo è la formula si Schwarz, che è la duale della formula di Green in variabili complesse.

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Trovare la soluzione del problema di Laplace significa trovare una funzione analitica che soddisfi certe condizioni, ma in variabili complesse, assegnata una condizione al contorno equivale a due condizioni. Perché esiste un legame fra la parte reale e immaginaria della condizione al contorno assegnata. Quindi ci basta, e supporremo che sia così assegnata solo la parte reale della funzione F(z) = g(θ) sul contorno scelto. Abbiamo detto che la funzione F(z) è analitica, quindi ammette sviluppo i serie di Taylor, e siccome anche la potenza di una funzione analitica è anch’essa analitica, la serie ottenuta da potenze di funzioni analitiche è a sua volta anche analitica. Possiamo esprimere la funzione F(z) come,

( ) ∑+∞

−∞=

=n

nn zazF .

Anche qui dobbiamo andare a distinguere il problema esterno da quello interno, quindi prenderemo le potenze positive quando abbiamo a che fare con il problema interno, e le potenze negative quando abbiamo a che fare con il problema esterno. Noi partiamo a studiare il problema interno. Quindi dobbiamo eliminare tutte le potenze negative, la serie diventa,

( ) ∑+∞

=

=0n

nn zazF .

Il nostro problema è quello di trovare i coefficienti an della serie nota che sia la condizione al contorno. Se come condizione al contorno avessi scelto la parte immaginaria della funzione F(z), avrei dovuto prendere la sommatoria moltiplicata per il coefficiente immaginario i. Ma noi conosciamo la funzione g(θ), e sviluppandola in serie di Fourier si ha

( ) ∑+∞

−∞=

=n

innecg θθ

invertendo la serie e calcolandoci i coefficienti della serie, si ha

( )∫ −=π

θ θθπ

2

021 degc in

n

Se la funzione F(z) la scriviamo solo per la parte reale sul cerchio, otteniamo, indicando con F*(z) il coniugato di F(z),

( ) ( ) ( )[ ] ( )∑∞+

=

−+==+

0

**

21Re

2 n

inn

inn

ii

eaeazFeFeF θθθθ

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confrontando questo sviluppo con quello della serie di Fourier della funzione g(θ), possiamo definire

[ ]00 Re0

2

2 acnac

ac

nn

nn

=>⎪⎭

⎪⎬

=

=

A questo punto possiamo andare a sostituire agli an dentro lo sviluppo della funzione F(z), i coefficienti cn ricavati dallo sviluppo della funzione g(θ). Si ha

( ) ∑+∞

=

+=1

000n

nn zaazF

( ) ( ) ( ) ( )∫ ∑∑ ∫∫ ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛+=

+∞

=

−+∞

=

−ππ

θπ

θθπ

θθπ

θθπ

2

0 10

10

2

0

2

00 2

11121 dzzgzdegdgzF

n

nn

n

nin

( ) ( )∫ ∑ ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −=

+∞

=

−π

θθπ

2

0 000 2

11 dzzgzFn

nn

ma la serie che compare dentro l’integrale è una serie geometrica, che sappiamo convergere se la radice z0/z è minore di 1. Ma questo è sicuramente vero dato che r0 sta dentro il contorno, quindi r è maggiore di r0.

zzz

zzzn

n

n

nn

00

0

00

1

1

−=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛= ∑∑

∞+

=

∞+

=

la funzione F(z) diventa,

( ) ( ) ( ) ( )∫∫ −+

=⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜

−−

=ππ

θθπ

θθπ

2

0 0

02

0 00 2

121

1

11 dzz

zzgd

zzgzF

e ritornando in variabili complesse,

( ) ( ) ( )∫ −+

=izdz

zzzzgzF

0

00 2

1 θπ

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Massimo Bucca matr. 644978

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questa non è altro che la formula di Schwarz,

( ) ( )[ ]∫ −+

=z

dzzzzzzF

izF

0

00 Re

21π

che ci dice che il valore di una funzione analitica soluzione del problema di Laplace è completamente determinato da un integrale di contorno. Possiamo notare la somiglianza con la formula di Green, lì c’era il potenziale ϕ e la sua derivata normale pesato sulla funzione di Green, qui abbiamo la parte reale della funzione F(z) pesata

sul rapporto zzz

zz 1

0

0

−+ .

Tutto questo quando abbiamo un problema interno, ma se siamo al di fuori del mio contorno, allora sappiamo che dobbiamo considerare le potenze negative, e la serie di Taylor della funzione F(z) diventa,

( ) ∑∞+

=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛=

0

1n

n

n zazF

se andiamo a ripercorrere identicamente il percorso di prima ci accorgiamo che otterremo una serie geometrica identica a prima con la differenza che questa volta sarà di radice z/z0, che comunque resta sempre minore di 1, dato che r0 sta fuori del contorno, quindi converge comunque, e la formula di Schwarz sarà

( ) ( )[ ]∫ −+

=z

dzzz

zzzFi

zF0

00 Re

21π

.

Dato che la funzione F(z) è analitica, e le sue parti reale e complessa sono legate dalle relazioni di Cauchy-Riemann, cioè

( ) ( ) ( )⎪⎪⎩

⎪⎪⎨

∂∂

−=∂∂

∂∂

=∂∂

+=

xy

yxzizzF ηξ

ηξ

ηξ

ma ci ricordiamo che

xv

y

yu

x

∂∂

−==∂ϕ∂

∂∂

==∂ϕ∂

ψ

ψ

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Massimo Bucca matr. 644978 58

quindi possiamo definire la funzione F(z) come una funzione complessa, la cui parte reale non è altro che il potenziale ϕ, e la cui parte immaginaria non è altro che la funzione di corrente ψ,

( ) ( ) ( )yxiyxzF ,, ψ+ϕ=

il potenziale complesso è la somma di un potenziale cinetico e di una funzione di corrente. Possiamo ancora dire di più, infatti possiamo costruire la derivata rispetto alla variabile complessa z del potenziale complesso

( )zwdzdF

=

e derivare la velocità complessa, si può dimostrare che la velocità complessa a componenti reali e immaginari, tali che

( ) ( ) ( )yxivyxuzw ,, −= .

Questo si vede chiaramente pensando che, dato che la funzione F(z) è analitica, la sua derivata esiste sempre, quindi noi possiamo farla facendo tendere il ∆z da dove vogliamo. Allora per comodità scegliamo questo percorso sull’asse delle x, ciò significa fare la derivata delle componenti della F(z) rispetto alla variabile reale x, e da qui spuntano banalmente le componenti della velocità complessa. A questo punto si può vedere che tutti i potenziali che abbiamo trovato per campi di moto semplici, si possono esprimere in variabili complesse con un’unica espressione: corrente uniforme;

( ) zAzF = dove A è una costante complessa, sorgente;

( ) zazF log= dove a è una costante reale, vortice puntiforme;

( ) ziazF log= doppietta;

( )zazF =

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Il principio delle immagini si può applicare anche in variabili complesse, e dato che se F(z) è analitica lo sarà anche la sua coniugata,

( ) ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛=

**

1

1z

FzF

θθ ii e

rzrez 11

* ==

( ) ( ) ( ) ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛−⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ϕ=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛+ϕ= θψθψ ,1,11,,

**

ri

rzFyxiyxzF

Andiamo a parlare di trasformazioni conformi. Consideriamo una funzione complessa Z = Z(z), e se z e Z li pensiamo come delle coppie ordinate di valori reali, li possiamo rappresentare su due piani cartesiani y Y x X Quindi la funzione complessa Z = Z(z) non è altro che una trasformazione che mi fa passare da un piano ad un altro, chiaramente esiste anche la trasformazione z = z(Z). Fra tutte le trasformazioni possibili, noi ci occuperemo solo di quelle analitiche. Andiamo a guardare cosa succede a livello locale, y Y dz2 dz Q p dz2 dz x X

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il punto p subisce una spostamento dz, che trasformato tramite la funzione di trasformazione diventa

dZdZdzdz =

ma nei loro rispettivi piani gli spostamenti dz e dZ sono identificati come,

φθ ii edLdZedldz ==

la derivata della variabile z rispetto alla variabile Z è costante, dato che le trasformazioni sono funzioni analitiche, e vale,

ibAedZdz

=

si ha φθ iibi edLeAedl = da cui si ottiene

bdLAdl+=

=φθ

se consideriamo un’altra coppia di spostamenti sempre sul punto p e Q, abbiamo che

bdLAdl+=

=

22

22

φθ

Ci accorgiamo che localmente le lunghezze si modificano dello stesso fattore A, che come abbiamo detto la derivata della variabile z rispetto alla variabile Z non cambia, poiché funzioni analitiche, la loro derivata esiste sempre indipendentemente dal percorso scelto. Quindi l’angolo fra gli spostamenti dz e dz2, si mantiene anche dopo la trasformazione, quindi le forme in “piccolo” non cambiano. Ovviamente sia A che b cambiano se cambiamo il punto p, quindi le forme in “grande” cambieranno. Una funzione può non essere analitica, oppure non esserla in un punto particolare, questi punti dove la funzione smette di essere analitica si dicono singolari. Ma a volte a me interessa proprio che non sia analitica di modo che si abbia una trasformazione non conforme in un determinato punto, pensiamo alla trasformazione di un cerchio in un profilo, e prendiamo in considerazione il punto coincidente con il bordo d’uscita, sicuramente li la mia trasformazione non sarà conforme. La trasformazione conforme non è univoca. I gradi di libertà sono addirittura tre, quindi la mia trasformazione dipende da tre parametri. Dobbiamo cercare di trovare delle condizioni che mi limitano questi gradi di libertà, una cosa che io posso chiedere al mio problema è quella di avere all’infinito la coincidenza tra la variabile z e Z.

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Questa condizione si traduce nel limite

( ) 1lim =∞→ z

zZz

,

tramite questa condizione, che mi vincola una variabile complessa, riusciamo a giocarci due parametri reali. Abbiamo bisogno di un’altra condizione, allora posso pensare di volere che anche le velocità all’infinito nei due piani siano coincidenti, e dato che la velocità all’infinito ha a che fare con le derivate delle variabili complesse, questa condizione si traduce in

1lim =∞→ dz

dZz

.

Con questa condizione sono andati via altri due parametri reali, quindi abbiamo superato il numero di gradi di libertà del nostro problema. Siamo costretti a rinunciare a qualcosa, e rinunciamo alla esattezza della forma del profilo da studiare, cioè riottengo la costante introducendo un fattore di scala sul profilo. Si potrebbe anche recuperare la costante pensando di assumere la velocità all’infinito uguale ad una costante , e non 1. Questo ragionamento prende il nome di teorema di Vibermack. martedì 30 ottobre 2001 È utile dare a questo punto degli ingredienti che ci possono tornare utili per la determinazione di alcune trasformate conformi. Se andiamo a prendere questa funzione biunivoca fra i due piani z e Z,

bZaz += dove a e b sono delle costanti complesse, di cui la prima regola la traslazione, e la seconda regola il fattore di espansione delle lunghezze al passaggio di un piano all’altro. Questa trasformazione non altera le forme. Poi possiamo avere anche l’inversione, cioè

Zz 1=

e possiamo scomporla in modulo e argomento φφ

θ ii

i eReR

re −==11

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come si vede chiaramente, questa trasformazione serve per invertire i punti dall’interno di un cerchio a fuori del cerchio specularmente anche rispetto all’asse delle x. Questa trasformazione permette di modificare le forme, ma mantiene la forma circolare e anche la forma rettilinea, pensata come una circonferenza con centro all’infinito. La più generale combinazione delle trasformazioni appena viste è,

dZcbZaz

++

=

Un’altra interessante trasformazione è rappresentata dall’esponenziale,

zeZ =

⎩⎨⎧

==

⇒== +

argomentomodulo

yeR

eeeeRx

iyxiyxi

φφ

Questa trasformazione ci consente di trasformare delle rette verticali sul piano z, in circonferenze a raggio costante sul piano Z. E rette orizzontali sul piano z, in rette con inclinazione φ sul piano Z. Da notare che la trasformazione non è biunivoca, dato che fa corrispondere l’intero piano Z in una striscia del piano z. Lo stesso capita con la trasformazione inversa dell’esponenziale, cioè quella logaritmica,

Zz log=

⎩⎨⎧

==

⇒+=+==+argomentomodulolog

loglogloglogφ

φφφ

yRx

iReReRiyx ii

Un’altra trasformazione è quella di elevamento a potenza, cioè

zaa ezZ log== se a è intero non ci crea nessun problema, ma se non lo è allora siamo costretti a definire la potenza tramite il logaritmo quindi ricadiamo in problemi di polidromia della soluzione, in modulo e argomento abbiamo

θφ arR a == questa trasformazione è molto utile, perché ci consente di trasformare gli angoli di uno spigolo, ma allora può essere usata per trovare il campo di moto attorno ad uno spigolo, infatti se avessimo il campo di moto attorno ad una parete rettilinea

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Z z V β Sappiamo che il potenziale della corrente uniforme sulla parete piana è ( ) iZZF −= , allora la corrente intorno allo spigolo sarà,

( ) βπ

izzF −= e la velocità complessa è,

( )1−

−= βπ

βπ zizw

si noti come la trasformazione non è conforme sullo spigolo, dato che al variare del segno dell’esponente la velocità complessa sullo spigolo vale infinito o zero. Se avessimo invece una geometria del genere, Z z V β Il potenziale del campo uniforme diretto verso la parete è, ( ) 2ZZF = quindi il nuovo potenziale sul piano trasformato sarà,

( ) ( )βπ

2zzF = .

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martedì 6 novembre 2001 Considerando un contorno S1 infinitamente prossimo al profilo, e prendendo la normale con verso entrante nel contorno, abbiamo che la forza aerodinamica, può essere espressa come,

( )∫ ⋅+=1S

dcnIpvvF ρ

avendo fatto l’ipotesi che il nostro campo di moto non è viscoso, il prodotto scalare della velocità per la normale è nullo, l’integrale diventa,

∫=1S

dcnpF

ed esprimendo la pressione tramite Bernoulli, trascurando i termini costanti, si ha

∫−=1

2

2

S

dcnvF ρ

Per il momento possiamo operare allo stesso modo, avendo

( )∫ ×+⋅×=1S

dcnprnvvrM ρ

trascurando il primo termine perché nullo, si ha

kMdcnvrM zS

=×−= ∫1

2

2

ρ

Occorre adesso trasformare le nostre formule in componenti cartesiane, quindi notando che, ( )dxdydcn ,−= si ha,

( ) ( )⎪⎪⎩

⎪⎪⎨

−=

==−−=

∫∫

1

1

12

22

2

2,2

,

Sy

Sx

Syx

dxvF

dyvFdxdyvFF ρ

ρ

ρ

per il momento possiamo fare la stessa cosa, considerando questa volta che,

( ) ( ) ( )kdyydxxdxdyyxdcnr +=−×=× ,,

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( )∫ +−=1

2

2 Sz dyydxxvM ρ

Si può adesso effettuare il passaggio alle variabili complesse, pensando che

φiVeviuwyixz −=−=+=

y V φ S1 θ x Ma dovendo essere la velocità parallela al contorno abbiamo che θiVew −= , e sapendo che il differenziale dz in variabili complesse si scrive θiedcdz = , si ha

∫∫∫ −− ==111

2222

S

i

S

ii

S

dceVdceeVdzw θθθ

scritto per componenti,

( )∫ −1

2

S

dyidxV

confrontando la relazione trovata con gli integrali delle forze precedentemente trovati si ha,

∫−=+ dzwFiF xy2

e adimensionalizzando il tutto con una velocità di riferimento che è la velocità all’infinito, e con una lunghezza di riferimento, per esempio il raggio della circonferenza unitaria R, sia ha

∫∞−=+ dzwRVFiF xy22

2ρ Formula di Blausius

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a questo punto le quantità all’interno dell’integrale sono prive di dimensioni, al contrario della formula precedente. Ritornando al momento, esso non è altro che la funzione integranda precedente moltiplicata per la distanza z, si ha

( )( )∫∫ −++= dyxdxyidyydxxVdzzw 22

[ ]∫ℜ−= dzzwM z2

2ρ [ ]∫ℜ−= ∞ dzzwRVM z

222

Abbiamo eliminato il contorno dagli integrali perché stiamo sfruttando i vantaggi che ci danno le variabili complesse, infatti esse ci permettono di spostare il contorno dell’integrale dove vogliamo, oltre al fatto di calcolare la soluzione di qualsiasi profilo come se fosse quella intorno ad un cerchio. Quindi possiamo spostare il nostro contorno all’infinito purché stiamo attente a non introdurre delle singolarità. Conviene allora portarci molto lontani dal corpo in modo da poter sfruttare lo sviluppo in serie di Laurent della funzione integranda 1/z. La formula di Blausius ci permette di calcolare la forza aerodinamica per mezzo della velocità complessa, se ora immaginiamo di trasformare il corpo in un cerchio tramite una trasformazione conforme, la forza diventa

∫∫∫ =⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−=−=+ dZ

dZdzWdZ

dZdz

dZdzWdzwFiF xy

22

2

22ρρ

Quest’integrale è calcolabile facilmente se si usa il teorema dei residui, ma prima dobbiamo portare il contorno all’infinito è sostituire alla funzione integranda il suo sviluppo in serie di Laurent. La velocità complessa W, avevamo visto che può essere espressa naturalmente in serie di Laurent, infatti

( )Z

WWZWWzW ∞∞∞

−+−=

*

2.

Per la variabile z prendo lo sviluppo più generale possibile, cioè

( ) ...221

0 ++++==Za

ZaaZZzz

Troviamo adesso lo sviluppo della derivata di z rispetto a Z,

...1 21 +−=

Za

dZdz ⇒ ...1 2

1

1

++=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

Za

dZdz

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ma a noi interessano i termini proporzionali a 1/z perché il suo coefficiente è il residuo che mi da il risultato dell’integrale che sto calcolando, quindi l’ultimo sviluppo lo possiamo pensare uguale a 1. Quindi il nostro integrale diventa,

( )∫ ⎟

⎞⎜⎝

⎛+

−+−=+ ∞∞∞ dZ

ZWWWFiF xy ...2...

2

risolvendo sapendo che il residuo cercato è il coefficiente del termine 1/Z, si ha

( )( )∞∞∞∞ −−=+ WWWiRVFiF xy*2 22

2πρ

osserviamo che le velocità complesse che compaiono sono adimensionali, quindi

ααα sen2* ieeWW ii =−=− −∞∞

la forza diventa,

ααπρ ixy eRVFiF −

∞=+ sen4 2 Da notare che la forza aerodinamica è tutta portanza, infatti essa è proporzionale a W∞, quindi il suo coniugato è proporzionale a W∞

* che è parallelo alla V∞, quindi la forza aerodinamica è perpendicolare a V∞. La componente portante può essere chiamata L, e si ha

απρ sen82

2

RVL ∞=

questa portanza è per unita di apertura. La portanza quindi risulta indipendente dalla forma geometrica del profilo, questo perché non abbiamo più la dipendenza di nessun coefficiente della trasformazione conforme fatta in precedenza. Apparentemente la sensibilità alla geometria del profilo si è persa, ma se noi andiamo a calcolarci il coefficiente di portanza per unità di apertura,

απρ

sen8

21 2 c

R

cV

Lcl ==∞

ci compare la corda del nostro profilo, ma si può fare di più, infatti bisogna ricordare che direttamente dal singolo profilo dipende il modo con cui si misura l’angolo di

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Massimo Bucca matr. 644978 68

incidenza. Tale angolo che è fissato nel piano del cerchio ma non in quello del profilo, ed è fissato rispetto alla corda, di cui la definizione è arbitraria, esiste dunque una direzione di portanza nulla che corrisponde sempre , nel sistema da noi utilizzato ad α = 0. Ritorniamo adesso al momento che tramite la formula di Blausius può essere scritto come,

[ ]∫ℜ−= ∞ dzzwRVM z222

con la trasformazione conforme adottata in precedenza si ha,

( )⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ℜ−= ∫∞ dZ

dZdzZz

dZdzWRVM z

2

22

questa volta dobbiamo considerare più termini di quanto fatto prima, perché la trasformazione conforme di z ha dei termini diversi, cominciamo con il considerare il quadrato della velocità, che può essere scritto

( ) ( ) ( ) ...222

*

2

2**22 +−

−+

−+= ∞∞∞∞∞∞∞

∞ ZWW

ZWW

ZWWWWW

...121

1

++=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

Za

dZdz

...10 +++=

ZaaZz

( ) ( ) ( ) ...22

2

*

2

2*

2

2

1

*2

12 +−

−++

−+=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ ∞∞∞∞∞∞∞∞

ZWW

ZWW

ZWa

ZWWWW

dZdzW

l’integrale diventa,

( ) ( ) ( )⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+

−−++−++ℜ−= ∫ ∞∞∞∞∞∞∞∞∞

∞ dZZ

WWWWWaWWWaWaRVMz ...22...2

*2*21

*0

2122ρ

se stiamo attenti ai termini del residuo, ci accorgiamo che gli ultimi due sono reali, quindi moltiplicati per il coefficiente 2πi, per il calcolo dell’integrale, diventano immaginari e quindi possiamo scartarli, dato che cerchiamo solo la parte reale dell’integrale.

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Si ha

( )( )[ ]∞∞∞∞∞ −+ℜ−= WWWaWaiRVM z*

02

122 222

2πρ

( )[ ]ααααπρ iiii

z eeeaeaRVM −−−∞ −+ℑ= 0

21

222

( )[ ]0012222 aaaeRVM i

z +−ℑ= −∞

απρ

In questa espressione sono presenti i due coefficienti a0 e a1 che dipendono dalla trasformazione, a0 rappresenta semplicemente una traslazione e non è quindi altro che la scelta rispetto a quale polo calcolare la coppia. È possibile fare una traslazione di assi di una quantità z0 = a0 − a1, questo trucco ci permette di eliminare la dipendenza del momento dall’incidenza. Quindi se si opera la traslazione della quantità z0 = a0 − a1, si porta il tutto in un punto, detto centro aerodinamico, dove il momento è costante e non varia con l’incidenza, anche se cambia al variare del profilo.

[ ]0222 aRVM z ℑ= ∞πρ

I profili simmetrici dovendo avere memento nullo per incidenza nulla, devono avere memento nullo rispetto al centro aerodinamico, anche se non lo sarà più se calcolato per un polo diverso. Se andiamo a calcolare il coefficiente di momento per unità di apertura, si ha

[ ]0

2

22.., 4

21

acR

cV

Mc zacM ℑ⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛== π

ρ.

mercoledì 7 novembre 2001 Profili Sottili. Fino a questo punto la nostra analisi ci ha sempre portato dalle equazioni, che sono sempre state lineari quindi soggette al principio di sovrapposizione degli effetti, al nostro profilo geometrico. Adesso noi vogliamo fare il percorso opposto, considerando che i nostri profili si assomigliano un po’ tutti, infatti hanno un bordo d’attacco molto arrotondato, lo spessore piccolo in confronto alla lunghezza e il bordo d’uscita aguzzo. Possiamo linearizzare questa volta il problema geometrico, in modo da considerare il problema intorno al nostro profilo come la somma degli effetti che si hanno intorno ad una lastra piana ad incidenza uguale a quella del nostro profilo, più gli effetti di una linea media simile a quella del nostro profilo, e più ad un

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Massimo Bucca matr. 644978 70

profilo che ha un gradiente di spessore simile a quello del nostro profilo però messo ad incidenza nulla. Il problema matematico sarà sempre quello di risolvere la nostra equazione di Laplace, con le solite condizioni al contorno, che sono quella di non penetrabilità sul profilo, e quella di velocità asintotica costante che per semplicità possiamo fissare unitaria, cioè

( ) 11 =∞ϕ⇒=∞ xV

0=⋅ϕ∇ n

e definendo ( ) dsdxdyn /,−= si ha,

( ) ( ) 0,,1=ϕϕ⋅− yxdxdy

ds ⇒ 0=ϕ−ϕ

dsdx

dsdy

yx

ed esplicitandosi la ϕy, dopo aver definito una funzione y = f(x) che ci descrive il profilo,

( )( ) ( )( )xfxdxdfxfx xy ,, ϕ=ϕ .

La teoria linearizzata si costruisce considerando una famiglia di profili tramite un parametro ε, molto piccolo in modo da non far allontanare la forma da quella di una lastra piana. E considerando anche due funzioni per descrivere il profilo, una per il dorso e una per il ventre,

( )xfy dε= e ( )xfy vε= . Per linearizzare il problema si sviluppa per Taylor il potenziale ϕ,

( ) ( ) ( ) ( ) ...,,,,, 22

10 +ϕ+ϕ+ϕ=ϕ=ϕ yxyxyxyx εεε La condizione all’infinito non contiene il parametro ε, quindi significa che da un contributo solo per la soluzione di ordine zero, mentre per tutti gli altri darà un contributo nullo. Passiamo ora alla condizione al contorno non tanto banale come quella precedente. Sostituiamo alla condizione al contorno precedentemente trovata la funzione del profilo, e per ricorrenza di procedimento facciamo i conti solo con la funzione del dorso,

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Massimo Bucca matr. 644978

71

( )( ) ( )( )xfxdxdfxfx dx

ddy εεε ,, ϕ=ϕ

e sviluppiamola per Taylor rispetto al parametro ε,

( ) ( ) ( ) ...0,...0,0, +ϕ=+ϕ+ϕ xdxdfxfx x

dyydy εε

abbiamo trascurato i termini del parametro ε superiori alla potenza 1. Adesso sostituiamo lo sviluppo del potenziale ϕy, cioè

( ) ( ) ( ) ( ) ...0,...0,0,0, ,0,0,1,0 +ϕ=+ϕ+ϕ+ϕ xdxdfxfxx x

dyydyy εεε

Se ora andiamo a considerare il problema di ordine zero (ε0), cioè la lastra piana, abbiamo che il problema sarà cosi fatto,

( )( )⎪

⎪⎨

=ϕ=∞ϕ=ϕ∇

00,1

0

,0

,0

02

xy

x

che ci da una soluzione

( ) xyx =ϕ ,0 questo ci fa capire che se io avessi una lastra piana investita da una corrente uniforme, la corrente non la vede per niente. Passiamo adesso al problema del primo ordine (ε1), cioè di profilo sottile,

( )( ) ( ) ( )

( ) ( ) ( )⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

ϕ−ϕ=ϕ

ϕ−ϕ=ϕ

=∞ϕ=ϕ∇

−−−

+++

0,0,0,

0,0,0,

00

,0,0,1

,0,0,1

,1

12

xfxdxdfx

xfxdxdfx

yyvxv

y

yydxd

y

x

ma tenendo conto della soluzione del problema di ordine zero, sia ha

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Massimo Bucca matr. 644978 72

( )( )

( )⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

=∞ϕ=ϕ∇

+

dxdfxdxdfx

vy

dy

x

0,

0,

00

,1

,1

,1

12

Ci siamo ricondotti in un problema dove la forma del profilo viene espressa in modo lineare dalle funzioni f quindi possiamo applicare il principio di sovrapposizione degli effetti, in più la condizione omogenea che avevamo prima sul contorno è diventata non omogenea, ma adesso il profilo è certamente più semplice dato che si tratta della retta y = 0. Adesso dobbiamo passare alla risoluzione del problema, per far ciò ci vengono in aiuto le variabili complesse. Possiamo pensare di portare il nostro profilo sottile, che si è ridotto ad un segmento sull’asse x, in un cerchio tramite una trasformazione conforme. E poi conoscendo dalle condizioni al contorno la parte immaginaria della velocità complessa sul cerchio, con la formula di Schwarz possiamo ricavare tutta la velocità complessa. Questo procedimento è stato sviluppato da Glauert. Ma noi non useremo questo procedimento, ma rimarremo sempre nello stesso piano evitando di usare la trasformazione conforme, il nostro problema sta nel fatto che le nostre condizioni al contorno sono solo nel segmento (0;1). Se riusciamo ad estendere le condizioni su tutto l’asse reale, potremmo pensare di applicare l’equivalente alla formula di Schwarz, per ricavare la nostra soluzione nel semipiano. Per estendere le nostre condizioni al contorno sfruttiamo delle proprietà delle simmetrie, dalle condizioni al contorno è nota la componente normale della velocità sia sul dorso che sul ventre. Ma queste li posso sempre pensare come espresse tramite una velocità simmetrica v(s) e una velocità antisimmetrica v(a), cioè

( ) ( )

2,

2vdavds vvvvvv −

=+

=

a questo punto ci troviamo di fronte a due problemi distinti, uno simmetrico e uno antisimmetrico. In quello antisimmetrico, schematizzando avremo

v = 0 v = v(a) v = 0 v = − v(a)

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73

dato che le velocità normali nei due semipiani sono uguali e opposte, sull’asse reale devono necessariamente essere nulle, quindi sono riuscito a estendere le mie condizioni su tutto l’asse reale. Passiamo ora al problema simmetrico, qui non sarà così facile, schematizziamo:

u = 0 v = v(s) u = 0 v = v(s)

qui le due velocità sono uguali, ma usando l’equazione di continuità possiamo dire che,

( ) ( )

0=∂∂

+∂∂

yv

xu ss

ma la derivata di v(s) rispetto ad y, è antisimmetrica dunque nulla sull’asse reale, di conseguenza sarà nulla anche la derivata rispetto ad x di u(s), quindi si manterrà costante su tutto l’asse reale, ma la u(s) è nulla ad infinito per le condizioni al contorno, quindi si manterrà sempre nulla al di fuori del nostro segmento. Siamo riusciti ad estendere anche nel caso del problema simmetrico le nostre condizioni, ma purtroppo esse non sono omogenee, infatti all’interno del segmento conosciamo la v, al di fuori conosciamo la u, questo ci darà qualche problema. La scomposizione del problema in una parte simmetrica e in una parte antisimmetrica si può anche vedere da un punto di vista geometrico, infatti se considero il profilo stesso separato in una parte simmetrica ed una antisimmetrica, ho Si vede che le componenti normali delle velocità sul dorso e sul ventre sullo spessore sono antisimmetriche, invece sulla linea media sono simmetriche. Possiamo pensare che il problema dello spessore sia antisimmetrico e quello della linea media sia simmetrico.

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Introducendo delle funzioni che mi descrivono spessore e linea media, posso poi definire le velocità di spessore e di linea media,

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )( )xfxfxyxfxfxy vdlmvdsp +=−=21

( )asp

sp vdx

dyv ∝=

21 ( )slm

lm vdx

dyv ∝=

Andiamo a calcolarci le forze aerodinamiche agenti sul nostro profilo, sappiamo che

∫= dcnpF ed esprimendo la pressione tramite la relazione di Bernoulli, senza dimenticarci di linearizzarla, abbiamo

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+⋅++++=+ ∞∞ ...

2...

21

10

20

102 VV

VppVp ερερ

e uguagliando i termini del primo ordine si ha,

0101 =⋅+ VVp ρ e definendo u1

* la componente dimensionale di V1, che è anche direzione di V0, e definendo ancora u1 come la componente adimensionale di u1

*/V∞, si ha

1*2**

1 uVp ∞−= ρ e il coefficiente di pressione sarà,

1*2*

*1 2

21 u

V

pcp −==∞ρ

ritornando alla forza si ha,

( ) ∫∫∫ ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛−−=−−== ∞∞ dx

dxdyuVdxdyuVdcnpF 1,, 1

*2*1

*2**1 ρρ

il prodotto u1dy/dx è di ordine ε2, quindi nel nostro caso otteniamo che la resistenza è di ordine superiore ad 1.

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Massimo Bucca matr. 644978

75

( )∫∫∫∫ −=⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ +−=−= ∞∞∞

1

0

*2*1

0

0

1

*2*1

*2* dxuuVdxudxuVdxuVL vdvd ρρρ

ma sfruttando le simmetrie già viste,

lmspvlmspd uuuuuu −=+=

∫∞=1

0

*2* 2 dxuVL lmρ

Pur non avendo ancora determinato la soluzione, possiamo notare che la portanza non dipende dallo spessore del profilo, questo avviane anche in considerazione delle semplificazioni che abbiamo fatto, una su tutte la condizione di non viscosità. In presenza di viscosità la separazione dello strato limite non è affatto trascurabile, e la resistenza diventa anche fondamentale. In modo del tutto analogo si può ricavare il momento,

( ) ∫∫∫ ∞∞∞ =−=−=1

0

*2*1

0

*2*1

*2* 2 dxxuVxdxuuVxdxuVM lmvd ρρρ .

giovedì 8 novembre 2001 Il calcolo della velocità complessa si può affrontare tramite la formula di Cauchy, ma questa si può utilizzare solo se il percorso di integrazione è chiuso. Qui ho solo l’asse reale, ma se penso di poter racchiudere tutto il semipiano superiore con una semicirconferenza di raggio infinito, ottengo un percorso chiuso. Il problema passa a dimostrare che l’integrale calcolato sulla semicirconferenza è nullo, perché se è nullo allora la formula di Cauchy

( ) ( )∫ −

= dzzzzf

izf

00 2

può essere riscritta come,

( ) ( )∫+∞

∞− −= dx

zxxf

izf

00 2

.

Ma ricordandosi che stiamo trattando dei profili sottili, quindi la ϕ1,x(∞) = 0, possiamo trascurare l’integrale sulla semicirconferenza. La velocità complessa sarà,

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Massimo Bucca matr. 644978 76

( ) ( ) ( )∫+∞

∞− −−

= dxzx

xvixui

zw0

0 21π

ma noi non conosciamo contemporaneamente la parte reale e la parte complessa della velocità w, anzi nel problema della linea media abbiamo anche delle condizioni non omogenee, perché conosciamo la u fuori del segmento e la v sul segmento (0,1). Dobbiamo tentare di ricavare delle relazioni che ci permetteranno di trovare una relazione che lega la parte reale alla parte immaginaria della velocità complessa. Cominciamo con il porre la nostra attenzione sul primo addendo dell’integrale,

( ) ( )( )( )∫∫

+∞

∞−

+∞

∞− +−+−

=−

dxyxx

yixxxui

dxzx

xui 2

02

0

00

0 21

21

ππ

si nota come la ℜ[I] è una funzione dispari, mentre la ℑ[I] è una funzione pari rispetto alla y0. Prendendo il secondo addendo si ha,

( ) ( )( )( )∫∫

+∞

∞−

+∞

∞− +−+−−

=−

− dxyxx

yixxxvdxzxxvi

i 20

20

00

0 21

21

ππ

questa volta la ℜ[II] è una funzione pari, mentre sarà dispari la parte ℑ[II]. Dal teorema di Cauchy so che prendendo il punto z0 fuori dal dominio dell’integrale, questo è nullo. Quindi vado a prendere z0 nel semipiano inferiore, ottengo che l’integrale sarà nullo, quindi che la parte reale e immaginaria della funzione integranda devono essere separatamente nulle. Quindi devono essere uguali e opposte le parti reali e immaginarie dei due addendi,

[ ] [ ] [ ] [ ]IIIIII −ℑ=ℑ−ℜ=ℜ ** adesso se porto il punto z0 nel semipiano superiore, mi accorgo che ℜ[I] e ℑ[II] cambiano di segno perché funzioni dispari, mentre ℜ[II] e ℑ[I] non cambiano segno perché funzioni pari,

[ ] [ ] [ ] [ ]IIiIIIiI ℑ−ℜℑ+ℜ− , e utilizzando le ** si vede che il primo addendo è uguale al secondo, e viceversa. Possiamo scrivere le formule di Hilbert che ci danno la soluzione tramite la parte immaginaria o la parte reale separatamente,

( ) ( )∫+∞

∞− −= dx

zxxu

izw

00

e ( ) ( )∫+∞

∞− −−

= dxzxxvi

izw

00

.

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77

Quello che interessa a noi è il calcolo delle azioni aerodinamiche, quindi il calcolo della nostra velocità complessa sul profilo e non tanto in un punto qualunque del campo di moto. Il nostro profilo altro non è che il segmento (0,1). Allora devo fare un passaggio al limite del mio integrale, e farlo tendere sull’asse reale, cioè devo far tendere z0 a x0, per fare questo devo far tendere y0 a zero.

( ) ( )∫+∞

∞−→ −−

= dxyixx

xui

xwy

0000

0

lim1π

( ) ( )∫+∞

∞−→ −−

−= dx

yixxxvxw

y00

000

lim1π

( ) ( )( )( )

( )( )( )∫∫

+∞

∞−→

+∞

∞−→ +−

+−−=

+−+−

= dxyxx

yixxxvdxyxx

yixxxui

xwyy 2

02

0

00

020

20

00

0000

lim1lim1ππ

decomponendo nelle due componenti u e v, si ha

( ) ( )( )( )

( )( )∫∫

+∞

∞−→

+∞

∞−→ +−

=+−−−

= dxyxx

yxudxyxxxxxvxu

yy 20

20

0

020

20

0

0000

limlimπ

( ) ( )( )( )

( )( )∫∫

+∞

∞−→

+∞

∞−→ +−

=+−−

= dxyxx

yxvdxyxx

xxxuxvyy 2

02

0

0

020

20

0

0000

limlimπ

prendendo in esame l’ultimo integrale ci si accorge che esso non è integrabile secondo Riemann, infatti quando x = x0 il denominatore si annulla. Allora cerchiamo di isolare la discontinuità, integrandolo secondo Cauchy. Prendiamo un δ piccolo e costruiamo un intorno simmetrico del punto x0, in modo da poter scrivere,

( )( )( )

( )( )( )

( )( )( ) ⎥

⎤⎢⎣

⎡+−−

++−−

++−−

∫∫∫∞+

+

+

∞−→

δ

δ

δ

δ

0

0

0

0

020

20

020

20

020

20

0

0lim

x

x

x

x

ydx

yxxxxxudx

yxxxxxudx

yxxxxxu

il primo e terzo integrale non creano nessun problema di integrazione, per il secondo pensando che δ sia molto piccolo possiamo supporre che la funzione u(x) sia costante in quest’intervallo e pari a u(x0), si ha

( )( )( )

( ) ( )( )

( ) ( )[ ]⎭⎬⎫

⎩⎨⎧ +−=

+−−

=+−− +

−→

+

−→

+

−→ ∫∫

δ

δ

δ

δ

δ

δ

0

00

0

00

0

00

20

20002

02

0

0

0020

20

00

0log

21limlimlim

x

xy

x

xy

x

xy

yxxxudxyxx

xxxudxyxx

xxxu

( ) ( )[ ] ( )( ) 0logloglog2 0

20

0 0

0=−=−

+

− δδδ

δ xuxxxu x

x

quindi possiamo concludere dicendo che l’integrale contenente la singolarità è nullo.

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Massimo Bucca matr. 644978 78

Le formule di Hilbert riportate sul profilo diventano,

( ) ( )∫+∞

∞− −= dx

xxxuxv

00

e ( ) ( )∫+∞

∞− −−

= dxxxxvxu

00

.

A questo punto è facile risolvere il problema antisimmetrico dello spessore, infatti in questo caso abbiamo le condizioni al contorno omogenee su tutto l’asse reale, in più la condizione ci dice che la velocità normale è nulla al di fuori del profilo, quindi utilizzando la formula di Hilbert opportuna si ha,

( ) ∫∫ −−

=−−

=+∞

∞−

1

0 000

11 dxxx

vdx

xxv

xu spspsp ππ

Il problema della linea media è un po’ più incasinato, in quanto le nostre condizioni non sono omogenee, quindi dobbiamo usare ora una ora l’altra componente. Per fare ciò utilizziamo il metodo di Hilbert, pensiamo di avere la parte reale della w(z), in funzione di altre due funzioni reali g(x) e α(x), tale che

( ) ( )[ ] ( )xgexw xi =ℜ α la condizione al contorno consiste nel conoscere puntualmente la componente di w nella direzione data da α(x). Il metodo di Hilbert introduce un fattore moltiplicativo reale A(x), quindi la formula precedente diventa,

( ) ( ) ( )[ ] ( ) ( )xgxAexwxA xi =ℜ α ponendo F(x) = A(x)eiα(x), la condizione al contorno diventa,

[ ] ( ) ( )xAxgwF =ℜ . Scrivendo la funzione F come,

αiAF += loglog

possiamo notare che essendo la funzione F analitica, è possibile usare su di essa le formule di Hilbert appena trovate, quindi conoscendo la parte immaginaria della F, cioè α(x), si può ritrovare la A(x). A questo punto si conosce la parte reale del prodotto wF, ma applicando di nuovo Hilbert si può conoscere tutta la funzione che poi divisa per F ci da la soluzione cercata.

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Massimo Bucca matr. 644978

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Nel caso della linea media noi conosciamo o la parte reale o la parte immaginaria, quindi α(x) è una funzione a tratti costante, e vale

( )⎪⎩

⎪⎨⎧

<<

><= 10

2

100

x

xxx πα

avendo la parte immaginaria della funzione F, tramite una formula di Hilbert possiamo trovare la A(x), quindi

( ) ( )∫∫∫∫+

−+∞

∞− −+

−=

−=

−=

1

00 0

1

0 000

0

0 1211

211

211log

δ

δππ

απ x

x

dxxx

dxxx

dxxx

dxxxxxA

( ) [ ] [ ] ( ) δδδ

δ log211log

21log

21log

21log

21log

21log 00

1

00000

0 −−+−=−+−=+

− xxxxxxxAx

x

( )0

00

1x

xxA −=

Se il punto sta nel piano complesso non sull’asse allora con un procedimento analogo si ottiene,

( ) ( )0

01

00

1

0 000

1log21log

211

211log

zzzxdx

zxdx

zxxzF

−−

=−=−

=−

= ∫∫∞+

∞−

ππ

απ

( )0

00

1z

zzF −=

quindi la funzione complessa wF sarà,

( ) ( ) ( ) ( ) ∫∫∞+

∞−

∞+

∞− −−−

=−

=00

00

111zxdxv

xx

izxdxxgxA

izFzw lm

ππ

e dividendo per F(z0) si ottiene,

( ) ∫∞+

∞− −−

−−=

00

00

11

1zx

dxvx

xz

zi

zw lm

π

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martedì 13 novembre 2001 La relazione che abbiamo trovato per la velocità complessa, è una delle tante che possiamo trovare, infatti noi abbiamo preso α uguale a π/2 sul nostro profilo, ma si può sempre pensare di prendere come α il valore -π/2, che ci porta alla funzione

( )10

00 −=

zzzF

Scopriamo che le funzioni F sono una famiglia di funzioni così fatte,

( ) ( ) 221nm

zzzF −= Ma dato che all’infinito la velocità non deve essere diversa da 1, anche il limite della F dev’essere unitario, quindi capiamo che m = −n. Un ulteriore vincolo risiede nel fatto di richiedere la funzione con minima singolarità, quindi otteniamo che gli esponenti devono essere ±1. L’ultima condizione viene fuori dalla condizione di Kutta, che ci obbliga ad avere una velocità nel punto z = 1 che sia finita. Quindi la singolarità non è accettabile nel punto (1,0), con queste condizioni la velocità complessa sarà

( ) ∫+∞

∞− −−−

−=00

00 1

11zxdxv

xx

zz

izw lm

π

e sull’asse reale,

( ) ∫ −−−

−=1

0 00

00 1

11xxdxv

xx

xx

xu lm

π.

Problema inverso. Con lo stesso procedimento mentale con cui siamo arrivati alla determinazione della velocità, quindi della distribuzione di un coefficiente di pressione, partendo dalla assegnazione di una linea media e di uno spessore. Possiamo fare esattamente il contrario, e partendo dalla distribuzione del coefficiente di pressione risalire alla funzione della linea media e dello spessore. Con considerazioni analoghe a quelle precedenti possiamo dividere il problema in due distinti problemi, uno simmetrico e uno antisimmetrico. Si vede che il problema della linea media, che era antisimmetrico, fa sì che il suo inverso sia simmetrico.

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Massimo Bucca matr. 644978

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INVERSO LINEA MEDIA u = 0 u = ulm u = 0 u = −ulm e come ricavato in precedenza si ricorda facilmente che,

12ucp −= si ha che la componente v della velocità del problema inverso della linea media diventa,

( ) ( ) ( )∫ −−

=1

0 0

,0

21 dxxxxc

xv lmpilm π

da cui per integrazione si ricava facilmente l’equazione della linea media. Il problema inverso dello spessore al contrario di quello della linea media è un pò più difficile dato che non è simmetrico, ma antisimmetrico, quindi

INVERSO SPESSORE vsp = 0 u = usp vsp = 0 u = usp anche in questo caso per risolvere il problema siamo costretti a usare le formule di Hilbert, che però non ci danno una soluzione unica. Ma mentre prima tramite la condizione di Kutta riuscivamo ad eliminare questo problema, qui non si riesce a fare sempre, cioè non tutte le distribuzioni di pressioni ci danno un profilo chiuso. Infatti a volte si ha un approccio misto, dando una distribuzione di pressione su una parte del profilo e la geometria dall’altra.

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Massimo Bucca matr. 644978 82

Il problema della lastra piana è molto importante, dato che potendo linearizzare la geometria del nostro problema, possiamo pensare di studiare il problema della linea media ad incidenza nulla, per poi studiare una lastra piana posta ad incidenza pari a quella voluta. Adesso andiamo a trovare le forze che entrano in gioco nel nostro problema, per trovarle ho bisogno di trovare la velocità complessa della lastra piana, potrei utilizzare una delle formule di Hilbert, dato che so che all’interno del segmento (0,1) la componente normale della velocità è pari ad -α, mentre fuori del segmento la componente u è pari a zero. Ma possiamo anche raggiungere lo stesso risultato in modo euristico, cioè possiamo pensare che dovendo la componente u essere nulla all’esterno del segmento, significa che w è reale, mentre essendo la componente v = −α all’interno del segmento, la velocità complessa è immaginaria. Se parto da forma ipotizzata della velocità complessa del tipo

0

0 1z

z −

mi accorgo che quando z tende a ±∞ la nostra scelta tende a 1, ma noi vogliamo che tenda a 0, quindi possiamo trasformarla in

11

0

0 −−

zz

ma ancora io voglio che all’interno del segmento (0,1) valga −α la sua componente verticale, cioè la sua parte immaginaria, quindi infine scrivo

( ) ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−

−−= 11

0

0

zzizwlp α

Adesso supponiamo che il profilo sottile possa essere descritto da un’equazione del tipo

( ) ( )xyxfy 00 == ε se è posta ad una certa incidenza α, l’equazione diventa

( ) ( ) xxyxy α−= 0

α−=dxdy

dxdy 0

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Massimo Bucca matr. 644978

83

α−=dx

dyv lmlm

quindi ci accorgiamo che nel problema della linea media adesso compare il contributo dell’incidenza, che noi andiamo a studiare separatamente considerandolo come il contributo di una lastra piana posta ad incidenza α. Prendiamo in considerazione le formule di Blausius per le forze e calcoliamoci la portanza:

∫∞−=+ dzwcViFF xy2

2

la w che compare dentro la formula di Blausius è tutta la velocità complessa, ma noi abbiamo linearizzato la velocità w, quindi al posto della w possiamo sostituire la sua linearizzazione fino al primo grado, cioè

( ) ( )∫∫ ++−=+−=+ ∞∞ dzwwcVdzwcViFF xy 121

22

1

2

212

12

ρρ

ma il termine 1, essendo una costante, ci da un integrale di circuitazione nullo, e il termine w1

2 lo trascuriamo essendo un infinitesimo di ordine superiore. Nel termine della velocità complessa linearizzato ci sono considerati i contributi dello spessore della linea media e della lastra piana. Sapendo che il contributo dello spessore si può trascurare, possiamo considerare i contributi restanti in modo separato. Cominciamo dalla lastra piana,

∫∞−=+ dzwcViFF lpxy 22

2

ρ

risolvendo l’integrale con il metodo dei residui, si ottiene

( ) ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −+−−−=⎟

⎜⎜

⎛−⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ −−=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛−

−−= 1...1

811

21111111

2

21

zzi

zi

zzizwlp ααα

si vede chiaramente che il residuo è 1/2iα dato che è il coefficiente del termine 1/z, perché ci fermiamo al primo grado di linearizzazione.

παραπρρ cViicVdzwcViFF lpxy222

212 ∞∞∞ =⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛−=−=+ ∫

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come si può notare la forza che abbiamo ottenuto è un numero reale, quindi è pura portanza, cioè

παρ cVLlp2∞=

possiamo anche notare che questa relazione è simile a quella già ottenuta per quella della lastra piana di lunghezza 4. Con la sola differenza che qui abbiamo ottenuto direttamente l’incidenza α e non il seno di α. Questo perché l’ipotesi di angoli d’incidenza piccoli è già implicita nel nostro procedimento. Il coefficiente di portanza diventa

παρ

222 ==∞ cVLcl

Adesso passiamo al problema della linea media,

∫∞−=+ dzwcViFF lmxy 22

2

ρ

questa volta la velocità complessa della linea media sarà,

( ) ( )∫ −

−−

−=

1

0 0111 dx

zxxv

xx

zz

izw lm

lm π

sviluppando in serie si ha

( ) ( )∫ ⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ ++

−⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +−−=

1

02 ...1

1...1

811

2111 dx

zx

zxv

xx

zzizw lm

lm π

( ) ( ) ( ) ⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡+⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −

−+⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛−

= ∫∫ ...21

11

111 1

02

1

0

dxxvxx

xz

dxxvx

xzi

zw lmlmlm π

quindi il residuo in questo caso è

( )∫ −

1

0 11 dxxv

xx

i lmπ

la forza aerodinamica diventa,

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Massimo Bucca matr. 644978

85

( ) ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−

−=+ ∫∞

1

0

2

112 dxxv

xx

iicViFF lmxy ππρ

( )( )∫ −−

= ∞

1

0

2

12 dxxv

xxcVL lmlm ρ

anche qui ci accorgiamo che essendo un numero reale è tutta portanza. La portanza totale diventa

( )( )∫ −−

+=+= ∞∞

1

0

22

12 dxxv

xxcVcVLLL lmlmlp ρπαρ

( )( ) ⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡−

−+= ∫∞

1

0

2

12 dxxv

xxcVL lmπ

απρ

e definendo come angolo di portanza nulla la quantità

( )( )∫ −=

1

00 1

2 dxxvx

xlmπ

α

la portanza diventa,

( )02 ααπρ −= ∞ cVL

e il coefficiente di portanza è

( )02 ααπ −=lc

Possiamo notare una cosa interessante se portiamo la nostra attenzione sull’integrale che ci da il contributo di portanza della linea media. Infatti in quest’ultimo compare la radice ( )xx −1 che diventa infinita quando ci spostiamo dal bordo d’attacco al bordo d’uscita. Questo ci fa capire che ogni modifica locale alla linea media è più “pesante” se portata alla fine di essa. Questa è una causa per cui gli alettoni vengono messi in prossimità del bordo d’uscita. Anche per il momento possiamo rifare il nostro procedimento di separazione di due problemi, uno della lastra piana ad incidenza α, e l’altro della linea media. Dalla formula di Blausius si ottiene

[ ] [ ]∫∫ ℜ−=ℜ−= ∞∞ dzzwcVdzzwcVM z

21

22222

2ρρ

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sfruttando gli sviluppi fatti in precedenza, possiamo scrivere per la lastra piana

παραπρ 2222

41

82 cViicVM z ∞∞ =⎥⎦

⎤⎢⎣⎡ℜ−=

e il coefficiente di momento diventa

42l

m

cc == απ

riportando il momento rispetto ad un generico polo x0, si ha

( ) παραπρ cVxcVM x2

022 0

40 ∞∞ −+=

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −= ∞ 0

2

40xccVM x παρ

questa formula ci permette di affermare che se calcoliamo il momento rispetto ¼ della corda di un qualunque profilo sottile, questo risulta indipendente dall’incidenza. Questo punto viene chiamato centro aerodinamico. In più per il caso della lastra piana, questo momento risulta anche essere nullo. Passiamo ora al problema della linea media,

( ) ⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −

−ℜ−= ∫∞

1

0

22

21

112 dxxvx

xx

iicVM lmz ππρ

( )∫ ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −

−−= ∞

1

0

22

21

12 dxxvx

xxcVM lmz ρ

se ci riportiamo nel centro aerodinamico si ha

( )∫ −−⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ −+= ∞

1

0

2.. 1

24

0 dxxvx

xcVcMM lmzac ρ

( )∫ ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −

−−= ∞

1

0

22.. 4

31

2 dxxx

xxvcVM lmac ρ

il momento della linea media non è nullo, ma è indipendente dall’incidenza e calcolabile a partire dalla forma geometrica del profilo.

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87

mercoledì 14 novembre 2001 L’angolo di Theodorsen La velocità della linea media non presenta singolarità sul bordo d’uscita, perché abbiamo applicato la condizione di Kutta e scelto in modo opportuno la funzione F da eliminare la singolarità in z = 1. Esiste invece la singolarità sul bordo d’attacco, cioè in z = 0. Osservando l’equazione della velocità complessa

( ) ( )∫ −

−−

−=

1

0 0111 dx

zxxv

xx

zz

izw lm

lm π

si vede che essa è non singolare al bordo d’attacco, ma questa singolarità scompare se contemporaneamente tendono a zero sia il numeratore che il denominatore. Quindi richiediamo che per z0 = 0 si annulli anche l’integrale

∫ ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +−

1

0

0

1dx

xdxdy

xx α .

Questa condizione si verifica quando l’incidenza assume un particolare valore, che prende il nome di angolo di Theodorsen, detta anche angolo di incidenza ideale o di progetto. In corrispondenza dell’angolo di Theodorsen si ha

( )0

111

0

0 =⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +−

−∫ dxdxdy

xx Thα

adesso passiamo a ricavarci l’angolo di Theodorsen,

( )

( )∫

−= 1

0

1

0

0

1

1

xxdx

dxxx

dxdy

Thα

( )∫ −=

1

0

0

11 dx

xxdxdy

Th πα

L’angolo di Theodorsen rappresenta una media dell’inclinazione della linea media, pesata attraverso un fattore che risulta simmetrico rispetto allo scambio di x e 1−x. Si tratta quindi di una specie di incidenza media del profilo.

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Da un punto di vista fisico la velocità infinita sul bordo d’attacco non è realistica. L’infinito ottenuto dalla teoria linearizzata significa che la velocità sul bordo d’attacco assume delle velocità molto elevate, ma questo comporta problemi di separazione degli strati limite causati dalle forti decelerazioni che ne conseguono. Un buon profilo deve evitare questa situazione per avere una scia sottile e poca resistenza. L’angolo di Theodorsen rappresenta l’angolo di incidenza per il quale si hanno le condizioni più vicine a quelle ideali. Si può anche vedere che l’angolo di Theodorsen da ottimi risultati anche in presenza di viscosità. Mercoledì 21 novembre 2001

Comprimibilità Ci occuperemo d’ora in avanti della capacità di un fluido di cambiare il proprio volume sotto l’effetto di pressioni applicate al suo contorno. Questa capacità del fluido viene chiamata comprimibilità. Quantificandola essa può essere espressa come,

dpdv

v1

−=τ

dove con v si è espresso il volume specifico, infatti da adesso in poi non faremo nessuna distinzione nell’indicare la velocità v e il volume specifico v, chiaramente può benissimo capirsi dal contesto in cui ci troveremo. Gli effetti della comprimibilità su un fluido diventato tanto più evidenti tanto più aumenta il valore adimensionale chiamato numero di Mach. L’equazione del potenziale, al contrario del caso incomprimibile, risulta essere non lineare, e nel caso supersonico l’equazione è di tipo iperbolico non più ellittico. L’espressione della comprimibilità che abbiamo scritto sopra, può essere ancora di più specializzata, nel senso che possiamo ottenerla in maniera isoterma

T

T pv

v ∂∂

−=1τ

oppure in maniera isoentropica, cioè

s

s pv

v ∂∂

−=1τ

e ricordandosi il legame fra densità ρ e volume specifico v si ha

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89

p∂∂

ρτ 1

da questa relazione che quando la pressione aumenta il volume specifico diminuisce, ma aumenta la densità del fluido. Quindi la variazione di densità è legata alla τ, per i liquidi la τ è molto piccola quindi li consideriamo incomprimibili, al contrario i gas hanno una τ grande quindi devono essere considerati comprimibili. Ma ci accorgiamo che la densità può variare anche con un forte gradiente di pressione, noi finora abbiamo sempre considerato costante la densità. Questo assunzione può essere errata? Se il nostro gas ha una velocità modesta, allora malgrado abbia una τ grande il la pressione è molto piccolo, e la variazione di densità risulta irrilevante. Torniamo alle nostre equazioni, quando entra in gioco la comprimibilità, bisogna tenere in conto la natura del gas, dato che abbiamo bisogno di una equazione di stato per risolvere il nostro sistema di equazioni. Lo stato termodinamico del sistema è descritto se introduciamo una equazione che lega due grandezze termodinamiche. Ad esempio ρ = ρ(p,T), ma la densità non è un potenziale termodinamico, mentre lo è l’energia interna che lega densità alla temperatura, cioè

( )Tee ,ρ= differenziando

ρρρ

dpTdspdTdsdvpTdsde 2

1+=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛−=−=

e introducendo l’entropia si ha

( ) pvepsh +=, Noi lavoreremo sempre con gas perfetti, quindi posso scrivere che

RTp ρ= avendo introdotto questa relazione, si può ulteriormente vedere che l’energia interna è funzione della sola temperatura, e l’ulteriore ipotesi di gas caloricamente perfetto conduce ad una relazione lineare fra energia interna e temperatura, cioè

Tce v=

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si può anche vedere che l’entalpia per un gas caloricamente perfetto ha una espressione del tipo

Tch p= Dove cp e cv sono rispettivamente il calore specifico a pressione costante e a volume costante, ma sappiamo anche che per un gas perfetto valgono le seguenti relazioni

v

pvpvp c

cRcRcRcc =−

=−

=+= γγγ

γ11

Noi siamo interessati alle trasformazioni isoentropiche, perché si può vedere che queste ultime sono ad entropia costante. Già sappiamo che se trascuriamo la viscosità e la conducibilità termica per un fluido ideale la trasformazione che otteniamo è isoentropica, vediamo allora come legare p a v,

TcvRcsts v loglog ++=

TcvRk v loglog +=

1kTv vcR =

1kT vcR =−ρ

12

−= γρkT

se vogliamo il legame fra p e ρ, otteniamo

γγ ρρρρ 31 kpRTp =⇒⋅∝= −

e valutando le formule appena scritte fra due punti 1 e 2, si ha

1

1

2

1

2

1

2−

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛ γγ

γ

ρρ

TT

pp

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91

Dopo aver fatto questo ricapitolazione fra le grandezze termodinamiche, andiamo a riprendere il nostro sistema delle formule di Eulero,

( ) 0=⋅∇+∂∂ v

tρρ

( ) 0=+⋅∇+∂∂

IpvvtQ

ρ

022

22

=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+⎟

⎞⎜⎝

⎛ +⋅∇+⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +∂∂ vpvvevet

ρρ

a queste due si aggiungono le due equazioni di stato trovate,

TceRTp v== ρ

Abbiamo già visto che partendo dall’equazione dell’energia e moltiplicando scalarmente per V, ed utilizzando l’equazione di continuità (pag. 13-18-19), si può arrivare alla relazione

0=DtDs

Mi chiedo come si può riscrivere il teorema di Bernoulli per il caso comprimibile? Prendiamo l’equazione dell’energia, e sapendo che

pehpeh +=⇒+= ρρρ

l’equazione dell’energia diventa,

022

22

=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +⋅∇+⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +∂∂ vvhvet

ρρ

( ) 0222

222

=⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +∇⋅+⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +⋅∇+⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +∂∂ vhvvhvvet

ρρρ

e facendo il caso di stato stazionario, otteniamo

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02

2

=⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ +∇⋅vhv

e chiamando thvh =+2

2

entalpia totale, si può notare che questa si mantiene

costante lungo la linea di corrente. Da questa relazione si vede che quando l’entalpia è massima la velocità è nulla e viceversa. Quando l’entalpia è nulla la velocità è massima, questa velocità è chiamata velocità limite, vero limite energetico,

∞= hv2

2lim

specializzando il discorso al gas perfetto, si può introdurre la velocità del suono come

s

paρ∂∂

=2

e ricordando che

( )1

12

2

−=⇒−===⇒=

∂∂

γγγ

ργ

ργ

ρahhRTpapp

2121

2222∞∞ +

−=+

−vava

γγ

Possiamo notare che quando il Ma tende a ∞ la velocità del suono tende a zero, quindi la temperatura la pressione e la densità tendono a zero. Ma c’è l’altro caso limite, cioè quando la velocità tende a zero, l’energia starà tutta nell’entalpia, cioè

2111

2220

2∞∞ +

−=

−=

−=

vaaahγγγ

ma dato che l’entalpia è legata alla temperatura attraverso il coefficiente lineare del calore specifico a pressione costante, significa che nel punto di ristagno la temperatura assume un valore massimo. Esiste anche un punto speciale dove la velocità del suono e la velocità assumono lo stesso valore, ciò significa che ci troviamo a Ma = 1, questo valore unico viene chiamato velocità critica, e indicato con a* o v*, si ha

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93

thvaaa=+

−=+

−∞∞

2121

222*

2*

γγ

il rapporto fra la velocità critica e la velocità limite diventa,

11

lim

*

+−

=γγ

va

Si può anche mostrare che nel caso non stazionario, se esiste un potenziale scalare della velocità, in tutto il dominio si mantiene costante il trinomio

cstt

vh =∂ϕ∂

++2

2

.

giovedì 22 novembre 2001 Andiamo a vedere come diventa l’equazione dell’energia nel caso non isoentropico. Stiamo attenti che dire che la ρ sia costante è molto di più di dire che il fluido è incomprimibile. Infatti la densità può variare anche in presenza di variazioni di temperatura. La formula di Crocco l’abbiamo trovata fissando almeno una delle variabili termodinamiche che entravano in gioco. Adesso invece cerchiamo di trovare una relazione medesima però senza fissare alcuna variabile termodinamica. Dal differenziale dell’energia si ha

dpdhTdsρ1

−=

se passiamo ai gradienti si ha

phsT ∇−∇=∇ρ1

dall’equazione della quantità di moto per il caso non viscoso si ha

pDt

vD∇−=ρ

espandendo la derivata sostanziale,

pvvtv

∇−=∇⋅+∂∂ ρρ

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sostituendo il gradiente di pressione ottenuto dall’equazione di bilancio della quantità di moto nel bilancio energetico, si ottiene

( )vvtvhsT ∇⋅+∂∂

+∇=∇

sappiamo che l’entalpia si mantiene costante lungo una linea di corrente, se il moto è uniforme in tutto il campo questa entalpia la chiamiamo h0. Partiamo da un caso generale, vale a dire consideriamo la nostra entalpia isoentalpica, cioè costante sulla linea di corrente, ma potrebbe anche essere omoentalpica cioè costante in tutto il campo di moto. Allora se il flusso è isoentalpico si ha

2

2

0

vhh ∇−∇=∇

sostituendola nel bilancio energetico si ha

( )vvtvvhsT ∇⋅+∂∂

+∇−∇=∇2

2

0

ma dato che esiste la relazione vettoriale

( ) ( )vvvvv ∇⋅−∇⋅∇=×∇× il bilancio energetico diventa

ω×−∂∂

+∇=∇ vtvhsT 0

a questo punto facciamo un’altra ipotesi, quella di stazionarietà, la facciamo soltanto per semplicità ma non toglie assolutamente nulla alla generalità del ragionamento, così facendo si ottiene il teorema di Crocco

ω×−∇=∇ vhsT 0 Questa relazione ci permette di scoprire che, se abbiamo un campo di moto a monte irrotazionale omoentropico e omoentalpico, sappiamo già che se l’urto che si crea sul corpo è curvo allora l’entalpia del sistema si conserva, allora si crea dell’entropia, quindi il moto a valle dell’urto non sarà più irrotazionale. Ripartiamo dalle equazioni di Eulero scritte nella forma semplificata e facciamo l’ipotesi di irrotazionalità. Questa posizione ci consente di scrivere la velocità tramite

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95

il gradiente di un potenziale scalare, questo ci consente anche di chiudere il problema e di scrivere un’equazione equivalente a quella di Laplace. Il sistema diventa

( )

⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

+=∂ϕ∂

++

==×∇

=⋅∇+∂∂

∞∞

22

0

0

22 vht

vh

ssv

vt

ρρ

ci manca l’equazione di stato che ci consente di recuperare la ρ in funzione di s e h. abbiamo detto che l’ipotesi di irrotazionalità ci permette di esprimere la velocità attraverso il gradiente di un potenziale scalare

v=ϕ∇ questo lo mettiamo dentro l’equazione di continuità

0=⋅∇+∇⋅+∂∂ vv

tρρρ

0=ϕ∇⋅∇+ ρρDtD

02 =ϕ∇+ ρρDtD

dall’equazione di stato ρ = ρ(s,h) posso ricavare

DtDs

sDtDh

hDtD

∂∂

+∂∂

=ρρρ

in caso di flusso omoentropico il secondo termine si annulla, e introducendo la velocità del suono, si ha

ρρρ2

1ah

pph sss

=∂∂

∂∂

=∂∂

DtDh

aDtD ρρ

2

1=

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Massimo Bucca matr. 644978 96

01 22 =ϕ∇+

DtDh

a

il sistema diventa

⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

+=∂ϕ∂

++

==×∇

=ϕ∇+

∞∞

22

0

0

22

22

vht

vh

ssv

aDtDh

con l’aggiunta dell’equazione di stato a2 = a2(h,s). Si noti che il sistema si riduce all’equazione di Laplace discussa nel caso incomprimibile, quando a → ∞, che è un altro modo di introdurre il limite di incomprimibilità. Per comprendere meglio con che rapidità nel limite incomprimibile il sistema completo tenda all’equazione di Laplace, scriviamo la conservazione dell’entalpia in un punto di ristagno, cioè

22

22

00∞

∞∞

∞ +=+==vhvTcTch pp

dividendo tutto per cpT∞ si ha

+=Tc

vTT

p21

20

chiaramente T0 > T∞

∞∞

∞ =∆

=−

Tcv

TT

TTT

p2

20

dato che tra la temperatura e la densità esiste una proporzionalità del tipo

11−

∆∝

∆γρ

ρTT

e sapendo che

1

2

−== ∞

∞∞ γahTcp

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Massimo Bucca matr. 644978

97

22

20

211

2 ∞

∞∞

∞ −=

−=

∆=

− Ma

vT

TT

TT γγ

e la densità 2

2

2

21

2 ∞

∞ ==∆ M

av

ρρ

abbiamo ottenuto che la deviazione dal problema a ρ costante dipende dal quadrato del numero di Mach. Si stima che la il limite di separazione è circa Ma = 0.3, infatti si può trovare che l’errore commesso per Ma = 0.3 è

5% del errore045.009.021

⇒==∆ρρ

Dobbiamo affrontare la parte più complicata, cioè dobbiamo andare a risolvere il nostro sistema di equazioni. Ricordiamo che un problema è ben posto quando le condizioni al contorno sono assegnate ad un contorno chiuso. E anche quando, cambiando di poco le cose cambiano di poco anche i risultati (stabilità). Particolareggiamo il nostro sistema di equazioni nel caso 2D, facendo l’ipotesi di flusso stazionario e chiamando u e v le componenti della velocità V,

001 2222 =ϕ∇+∇⋅ϕ∇⇒=ϕ∇+ ah

DtDh

a

( )2222

21

222ϕ∇∇−=⎟

⎞⎜⎝

⎛∇−=∇⇒+=∂ϕ∂

++ ∞∞

VhVht

Vh

sostituendo si ha

( ) 021 222 =ϕ∇+ϕ∇∇− a

scomponendo tutto per componenti, si ottiene

( ) ( ) ( ) ( ) 0,,21 22222 =ϕ+ϕ+⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛ϕ+ϕ

∂∂

ϕ+ϕ∂∂

⋅ϕϕ− yyxxyxyxyx ayx

( ) ( ) ( )( ) ( ) 022,22,21 2 =ϕ+ϕ+ϕϕ+ϕϕϕϕ+ϕϕ⋅ϕϕ− yyxxyyyxyxxyyxxxyx a

( ) 0222 =ϕ+ϕ+ϕϕ−ϕϕϕ−ϕϕϕ−ϕϕ− yyxxyyyxyyxxyyxxxx a

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chiamando u = ϕx e v = ϕy si ha

( ) 02 222 =ϕ+ϕ+ϕ−ϕ−ϕ− yyxxyyxyxx avuvu

( ) ( ) 02 2222 =ϕ−+ϕ−ϕ− yyxyxx vauvua Come si risolve? Consideriamo una linea aperta di equazione parametrica

( ) ( )syysxx 00 == su cui siano assegnate le due componenti della velocità u e v tramite le due funzioni

( ) ( )sgvsfu yx =ϕ==ϕ=

ci chiediamo sotto quali condizioni sia ben posto il problema di Cauchy su una linea aperta di questo tipo. La velocità in un punto P′ appartenente all’intorno del punto P che sta sulla linea, può essere calcolata espandendo in serie di Taylor le funzioni f(s) e g(s) al primo ordine, in modo da far comparire le tre derivate seconde del potenziale, cioè

( ) ( ) dyyudx

xuPuPu

∂∂

+∂∂

=−′

( ) ( ) dyyvdx

xvPvPv

∂∂

+∂∂

=−′

mettendo a sistema le due appena trovate con l’equazione del nostro potenziale si ha

( ) ( )⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

=ϕ−+ϕ−ϕ−

ϕ+ϕ=

ϕ+ϕ=

02 2222

00

00

yyxyxx

yyxy

xyxx

vauvuadsdy

dsdx

dsdg

dsdy

dsdx

dsdf

dalle prime due equazioni posso calcolare le derivate ϕxx e ϕyy in funzione della terza derivata seconda, e sostituirle nell’ultima equazione,

0

0

0 dxdy

dxdf

xyxx ϕ−=ϕ e 0

0

0 dxdy

dydg

xyyy ϕ−=ϕ

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Massimo Bucca matr. 644978

99

( ) ( ) ( ) ( ) 020

022

0

22

0

022

0

22 =ϕ−−−+ϕ−ϕ−−− xyxyxy dydxva

dydgvauv

dxdyua

dxdfua

( ) ( )

( ) ( )0

022

0

022

0

22

0

22

2dydxvauv

dxdyua

dydgva

dxdfua

xy

−++−

−+−=ϕ

questa equazione però può non avere soluzione e questo accade quando il denominatore si annulla, cioè quando

( ) ( ) 020

022

0

022 =−++−dydxvauv

dxdyua

( ) ( ) 02 22

0

0

2

0

022 =−++⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛− va

dxdyuv

dxdyua

( )( )

22

22

22

222222

0

0

11

auMauv

uavauavuuv

dxdy

−−±−

=−

−−−±−=

questa quantità rappresenta la pendenza dello spostamento che ci ha portato dal punto P al punto P′. martedì 27 novembre 2001 Le radici dell’equazione in dy0/dx0 possono essere reali, reali e coincidenti o complesse, e questa possibilità è regolata dal numero di Mach. Infatti se M > 1 le direzioni saranno reali e dovremo trovare il modo per risolvere il nostro problema lungo queste direzioni. Possiamo fare una distinzione sui tipi di equazioni che possiamo affrontare al variare del numero di Mach: • M > 1 l’equazione è iperbolica, due direzioni caratteristiche. • M = 1 l’equazione è parabolica, una sola direzione caratteristica. • M < 1 l’equazione è ellittica, nessuna direzione caratteristica reale. Quando il numero di Mach è maggiore di uno affinché il sistema sia risolvibile, anche nel caso di condizioni assegnate lungo la linea caratteristica, occorre che sia verificata la condizione di compatibilità, cioè che anche il numeratore sia nullo,

( ) ( ) 00

22

0

22 =−+−dydgva

dxdfua

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Massimo Bucca matr. 644978 100

Per imporre la condizione di compatibilità può risultare più comodo utilizzare un piano di riferimento polare nel piano della velocità,

θθ sencos VvVu ==

con questa trasformazione la linea caratteristica avrà una pendenza del tipo,

( )µθ ±=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛tan

0

0

cdxdy

dove con µ si è indicato l’angolo di Mach, cioè ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛= −

M1sen 1µ .

µ Dentro un campo di moto qualsiasi prendiamo una linea di corrente, C +

dc µ µ θ P dc C −

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Massimo Bucca matr. 644978

101

Le direzioni caratteristiche formano un angolo con la direzione del vettore velocità V, che è pari a µ. Se mi sposto nell’intorno del punto P, e vado a mettermi su un punto che sta lungo una direzione caratteristica, e da questo nuovo punto traccio le sue due direzioni caratteristiche. E itero questo procedimento, posso così costruire due curve di punti che hanno sempre direzione caratteristica. La condizione di compatibilità scritta in precedenza mi da il legame fra le due componenti della velocità, infatti il sistema ha soluzione solo per particolari condizioni iniziali, u e v non possono essere arbitrarie ma devono soddisfare la seguente relazione

( )( )

cdxdy

vaua

dfdg

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−−

−=0

022

22

Quindi assegnate le condizioni iniziali su una qualsiasi linea, in ogni suo punto sono note le pendenze caratteristiche. Si può quindi immaginare di calcolare la soluzione in un generico punto P di coordinate (x,y) mediante la costruzione di un reticolo di caratteristiche, in ogni suo punto valgono le condizioni di compatibilità, che permettono di determinare le due incognite u e v.

Dalle proprietà geometriche del reticolo, si determina facilmente che la soluzione in un punto del campo i moto dipende dai valori iniziali sull’intero segmento individuato dalle intersezioni A e B della linea delle condizioni iniziali con le sue caratteristiche passanti per il punto P considerato. Questo differisce con quello che accadeva nel problema ellittico, dove si è visto che la soluzione dell’equazione di Laplace poteva essere risolta attraverso l’integrazione di un percorso chiuso. Una modifica delle condizioni al contorno implicava una modifica della soluzione. In quel caso il dominio di dipendenza era tutto il campo di moto.

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Qui al contrario il dominio di dipendenza è il dominio racchiuso dalla due caratteristiche e la linea delle condizioni iniziali. Abbiamo detto prima che la condizione di compatibilità poteva essere riscritta in coordinate polari, così da apparire più semplice, infatti

( )( ) θ

θθθθ

22

22

sen11sencos

cossen

MMM

VdVd

−−±

=

si può arrivare d una espressione che non dipende da θ, cioè

VdVMd 12 −±=θ

se trasformiamo la dipendenza della velocità nella dipendenza del numero di Mach, ed integriamo questa equazione differenziale, otteniamo

( )Mcst νθ =+±

la funzione ν(M) è chiamata funzione di Prandtl-Meyer e per un gas perfetto assume una forma del tipo

( ) ( ) 1tan111tan

11 2121 −−−

+−

−+

= −− MMMγγ

γγν

che presenta quando M → ∞ un valore asintotico di circa 130°. Si è ottenuto l’importante risultato che lungo la famiglia di curve caratteristiche C +, la quantità ν(M) − θ rimane costante, e a tale costante si da il nome di invariante di Riemann R+. in modo del tutto analogo alla famiglia di caratteristiche C− è associato il valore costante ν(M) + θ, invariante di Riemann R−. La relazione può essere rappresentata in un diagramma in cui sugli assi cartesiani vengono riportate le componenti della velocità, u e v. Il grafico così ottenuto è detto diagramma del piano dell’odografa. È utile adimensionalizzare le velocità con la velocità critica a*, che in moto isoentropico è univocamente legata al numero di Mach della relazione. In questo caso gli invarianti di Riemann in funzione del numero di Mach M* formato con la velocità critica sono del tipo

( ) θ±=± *MfR

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La rappresentazione grafica nel piano odografico, prende il nome di diagramma di Busemann. Si tratta di due famiglie di curve, una per ogni famiglia di caratteristiche, comprese nella corona circolare delimitata da due cerchi di raggio a* e Vlim, i raggi divengono 1 e M*

lim nel caso adimensionalizzato. Le curve di ciascuna famiglia differiscono l’una dall’altra per una semplice rotazione. Le curve partono perpendicolari al cerchio interno, e risultano tangenti al cerchio esterno. Il diagramma di Busemann ci permette di risolvere un caso particolarmente semplice. Si consideri per esempio un’espansione su parete convessa.

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Una corrente uniforme all’infinito a monte scorre parallela ad una parete dapprima rettilinea, che poi presenta un tratto curvo, per poi ridiventare rettilinea. A sinistra della caratteristica C+ spiccata da A, tutte le caratteristiche sono rettilinee e parallele, lo stesso vale per il campo di moto a destra della caratteristica spiccata da B, con la sola differenza del modulo della velocità.

Detto P un generico punto della parete nel tratta compreso fra A e B, la caratteristica C− che arriva in P non è rettilinea, ma proviene dall’infinito a monte e quindi su di essa è noto il valore ν(V∞) dell’invariante di Riemann

( ) θν −=− VR .

Questa condizione può essere messa a sistema con la condizione al contorno, che si traduce semplicemente nella imposizione che l’inclinazione θ della velocità in P sia uguale a quella della parete. È immediato risalire a ν(M) e quindi al modulo della velocità, che risulta noto in tutti i punti del tratto curvo. Tutto lo stato del fluido è costante lungo le C+, ed in particolare è costante anche l’inclinazione di C+, che dipende solo da a e V. Nella regione compresa dalle caratteristiche spiccate da A e da B, quindi, le caratteristiche C+ sono rettilinee, ma ovviamente non parallele. Questa regione si dice di onde semplici. Il caso limite dell’espansione su parete convessa è rappresentata dallo spigolo. Il valore V1 della velocità dopo lo spigolo dipende solo dalla deflessione della parete dello spigolo, da punto corrispondente allo spigolo si dipartono una serie di caratteristiche che vanno a formare un ventaglio di onde semplici di espansione. Attraverso il ventaglio le linee di corrente vengono deflesse gradualmente fino a diventare parallele alla parete dopo lo spigolo.

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V∞ V1 Le cose appena descritte cambiano notevolmente se andiamo a considerare la compressione e non più l’espansione. Pensando allo spigolo, ci si può aspettare ancora che la velocità sia costante sia prima che dopo lo spigolo, ma non è immediato calcolare il valore della velocità dopo lo spigolo. Infatti esiste una regione, compresa in un triangolo con vertice nello spigolo, in cui le caratteristiche s’incontrano e la soluzione non è definita. V1 V∞ Considerando invece una parete concava, anche qui esisteranno punti in cui le caratteristiche si incontrano. In punti di questo tipo, le condizioni di compatibilità da imporre sono in numero eccessivo, e quindi l’equazione non ammette soluzione continua. Il luogo dei punti di questo tipo costituisce un inviluppo con un cuspide, e la soluzione continua è definita solo al di fuori della cuspide.

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Quando le caratteristiche sono convergenti, occorre permettere alla soluzione di presentare una discontinuità. Se ricordiamo quello che abbiamo fatto con la discontinuità presentata dalla scia, cioè la conservazione delle componenti normali dei flussi attraverso la discontinuità, possiamo fare anche qui la stessa cosa. Poniamo allora in un sistema di riferimento in cui la discontinuità, detta anche onda d’urto, sia rettilinea e parallela all’asse y, cioè y (1) (2) x La conservazione dei flussi normali di massa, quantità di moto e di energia comportano la scrittura del seguente sistema,

⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛+

==

+=+=

22

22

222

21

111

222111

222111

22221

211

2211

Vhu

Vhu

wuwuvuvu

pupuuu

ρρ

ρρρρρρρρ

A secondo che il flusso di massa sia diverso da zero oppure nullo, si hanno due casi diversi. Supponiamo dapprima che il flusso di massa sia nullo, cioè

⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛+≠⎟

⎞⎜⎝

⎛+

≠≠=

==

22

0

22

2

21

1

21

21

21

2211

VhVh

wwvvppuu ρρ

condizioni di questo tipo sono state utilizzate per la discontinuità presentata dalla scia, e valgono in generale per casi detti di discontinuità tangenziale.

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Se invece il flusso di massa è diverso da zero, il sistema diventa

⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛+=⎟

⎞⎜⎝

⎛+

==

+=+=

22

22

2

21

1

21

21

22221

211

2211

VhVh

wwvv

pupuuu

ρρρρ

Condizioni di questo tipo danno luogo ad una discontinuità di onda d’urto normale. Dal sistema si capisce che l’entalpia totale si conserva dopo l’urto, ma l’entropia no. Nel caso di urto normale, abbiamo detto che l’entropia non si conserva, ma il salto di entropia da punto a punto rimane costante, quindi se il moto era omoentropico prima dell’urto lo sarà anche dopo l’urto. Nel caso di urto curvo questo non succede più, e la non isoentropicità del moto dopo l’urto implica tramite il teorema di Crocco la non irrotazionalità. Comunque se l’urto non è troppo intenso il salto di entropia e di vorticità del fluido, costituiscono infinitesimi di ordine superiore all’intensità dell’urto, quindi la teoria basata su un potenziale isoentropico può ancora essere utilizzata. Consideriamo le relazioni di conservazione a cavallo di un urto piano e noto lo stato del fluido dal lato 1 prima dell’urto, permette di calcolare lo stato del fluido nel lato 2, ovvero un sistema nelle tre incognite ρ2, u2 e p2,

⎪⎪⎩

⎪⎪⎨

+=+

+=+=

22

22

2

21

1

22221

211

2211

uhuh

pupuuu

ρρρρ

Questo sistema ha ovviamente la soluzione banale,

21212121 hhppuu ==== ρρ

e si può dimostrare che in regime subsonico ha solo quella. In regime supersonico compare una seconda soluzione non banale, che rappresenta la possibilità di formazione di onda d’urto. Facciamo l’ipotesi di conoscere lo stato del nostro sistema, ma non la sua dinamica, cioè teniamo come parametro la velocità u1 ed esprimiamo tutto il resto in funzione delle variabili pressione p2 e volume specifico υ2. Poniamo il flusso di massa uguale a juu == 2211 ρρ , la seconda equazione del sistema diventa,

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22

212

122

2

11

2

pjvpjvpjpj+=+⇒+=+

ρρ

21

122

vvppj

−−

=

l’entalpia può essere scritta come

( ) pvpvccc

ccpRc

Tchvvp

vppp 1−

=−

===γγ

ρ

quindi la terza equazione del sistema diventa

22

21

11222

12

vvvpvpj

−−

−=γγ

uguagliando le due equazioni ricavate, si ottiene una funzione f(p2,v2) = 0, cioè

( )( ) ( )11222121 12 vpvpppvv −−

=−+γγ

Questa è l’equazione di una iperbole nel piano p2 v2. Tale iperbole passa, come è necessario, per il punto (p1,v1) cioè la soluzione banale. Una curva di questo tipo, che è una iperbole solo per il caso dei gas perfetti, si chiama curva di Rankine-Hugoniot. p2 f(p2,v2) = 0 p1 pvγ = cost v1 v2

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Nonostante non risulti evidente dalla rappresentazione grafica della curva, i due tratti a p2 > p1 e p2 < p1 non sono equivalenti. Infatti, nel tratto in cui la pressione diminuisce e il volume specifico aumenta, si può mostrare che l’entropia diminuisce. Oppure si può alternativamente mostrare che la soluzione discontinua non è stabile nel tempo. Se adimensionalizziamo tutto per a* otteniamo,

2*21 auu =

*2*1

1M

M ∝

da qui si vede che se il moto era supersonico a monte dell’urto, in un urto normale, a valle il moto sarà subsonico. Ancora

( )( ) 2

1

21

2

1

1

2

121

MM

uu

−++

==γ

γρρ

si vede che quando M1 → ∞

( )( )1

1

2

1

1

2

−+

==γγ

ρρ

uu

( )11

21 21

1

2 −−

+= Mpp

γγ

2

1

1

2

1

2

1

2

ρρ

pp

hh

TT

==

Se il numero di Mach della corrente supersonica tende ad infinito, il Mach dopo l’urto sarà minimo di 0.4, questo rappresenta il massimo rallentamento ottenibile da un onda d’urto. A questo punto abbiamo gli strumenti per risolvere il problema della compressione, per il caso dello spigolo. Consideriamo una parete che formi uno spigolo concavo, indicando con δ l’angolo della parete dopo lo spigolo, e scegliendo l’asse x allineato con la parete prima della deviazione. Dallo spigolo si stacca un’onda d’urto piana, inclinata rispetto all’asse x di un angolo incognito, che chiamiamo β e che dovremo determinare. Tutte le condizioni a monte dell’urto sono note, ma siamo in presenza di un urto obliquo, di cui è incognita l’inclinazione.

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Per risolvere il problema, ci si pone in un sistema di riferimento cartesiano in cui gli assi sono uno parallelo e l’altro normale all’onda d’urto.

La velocità asintotica la possiamo scomporre nelle due componenti normale e parallela all’urto, cioè

ββ cossen 11 ∞∞ == VuVu tn attraverso l’urto la componente tangente si conserva, quindi

tt uu 21 =

Per quanto riguarda invece le componenti normali devono soddisfare la relazione fondamentale dell’urto retto 2

*21 auu = , quindi

22*21 1

1 tnn uauu+−

−=γγ

ββ

γγ

β sencos

11

sen

22*

2∞

∞ +−

−=V

Vau n

Riproiettando i risultati nel sistema d’assi iniziali, è possibile ottenere due relazioni del tipo,

( ) ( )βρβρ ,,,, 112112 ugvufu ==

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che esprimono le componenti di velocità dopo l’urto, in funzione dello stato del gas dopo l’urto e dell’angolo β. Quest’ultimo verrà determinato imponendo che la velocità dopo l’urto abbia direzione parallela alla parete solida. Le relazioni precedenti possono essere considerate come equazioni parametriche di una curva sul piano odografico u2, v2.

Questa curva prende il nome di polare dell’urto, e rappresenta il luogo di tutte le possibili velocità a valle di un urto piano, al variare della sua inclinazione β. Al crescere del numero di Mach abbiamo una famiglia di polari, che si riducono al punto u2 = a* quando V∞ = a*, mentre il limite opposto V∞ = Vlim la polare diventa un cerchio. Tornando al nostro spigolo, dato che abbiamo la velocità a monte dell’urto, abbiamo fissato anche la nostra polare.

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Quando δ è nullo esistono due intersezioni fra la polare e la velocità. Tali intersezioni, indicati con i punti A e E, corrispondono alla soluzione continua e a quella di urto retto. Quando il δ non è nullo esistono sempre almeno due intersezioni, per esempio B e D, che prendono il nome rispettivamente di urto debole e urto forte, differenziandosi per la loro intensità. Dopo un urto forte la velocità è sempre subsonica, al contrario dopo un urto debole la velocità resta supersonica, tranne per un ristretto intervallo di angoli di deflessione. Infatti la tangente alla polare dell’urto non coincide con il punto d’intersezione fra la polare ed il cerchio sonico a M* = 1. All’aumentare della deflessione imposta dalla parete, si arriva ad un valore massimo θmax, in cui si ha il punto di tangenza fra la polare e la retta di inclinazione θmax. Quando si supera questa deflessione non ci sono intersezioni con la polare, questo significa che non si può formare un urto che parta dallo spigolo, infatti si forma un urto normale staccato prima di arrivare allo spigolo. Sappiamo che la polare dipende dal numero di Mach, quindi anche la deflessione massima θmax, che uno spigolo può sopportare prima di formare un urto staccato, dipende dal numero di Mach. Ma esiste un limite superiore che vale circa 45°. Questo significa che indipendentemente da numero di Mach, se un profilo ha bordo d’attacco arrotondato presenterà sempre un urto staccato. martedì 4 dicembre 2001 Abbiamo visto la soluzione del problema comprimibile esatto. Ma anche qui è possibile, come abbiamo fatto per i profili sottili, dove abbiamo linearizzato la geometria, andare a linearizzare il potenziale, e trovarci la soluzione del problema linearizzato. Questa applicazione è molto importante proprio sui profili sottili o per quanto riguarda la propagazione di piccole perturbazione instazionarie (onde sonore). Supponiamo che il nostro profilo sia sottile, cioè possiamo scrivere

( ) ( )xfyxfy vd εε == a questo punto il nostro potenziale dipenderà non solo dalle coordinate cartesiane x e y, ma anche dalla ε, cioè

( )ε,, yxϕ=ϕ

e linearizzando sappiamo che otterremo

( ) ( ) ( ) ...,,,, 10 +ϕ+ϕ=ϕ=ϕ yxyxyx εε con le solite condizione al contorno che avevamo per i profili sottili, cioè

( ) ( ) ∞=∞ϕ=ϕ Vxx 00

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Ritorniamo al nostro sistema di equazioni, trovato per il caso comprimibile

⎪⎪⎩

⎪⎪⎨

==

=ϕ∇+

hhss

DtDh

a01 2

2

Passiamo a sviluppare i termini del sistema con la nostra linearizzazione, per l’entropia abbiamo solo il termine di ordine zero, dato che l’entropia è costante, avendo fatto l’ipotesi di omoentropicità. Quindi

∞== sss 0 Adesso passiamo all’entalpia che può essere scritta sotto questa forma, avendo sostituito alla velocità il gradiente di ϕ,

( )∞=

∂ϕ∂

+ϕ∇

+ ht

h2

2

linearizzando si ha

...10 ++= hhh ε

...101

0 +ϕ∇⋅ϕ∇−∂ϕ∂

−= εεt

hh

dove il termine h0 è uguale all’entalpia h∞. Anche per la velocità del suono si può trovare similmente una linearizzazione del tipo,

...10 ++= aaa ε Quindi la linearizzazione del potenziale, fermandoci all’ordine zero diventerà,

01 020

2 =+ϕ∇Dt

Dha

e dato che l’entalpia di ordine zero è costante, ed uguale all’entalpia infinito, si ritorna ad avere l’equazione di Laplace, cioè

( )⎩⎨⎧

=∞ϕ∇=ϕ∇

∞V0

02 0

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con soluzione xV ⋅=ϕ ∞0 . I termini di ordine 1, invece danno, decomponendo la derivata sostanziale,

011

2102

0

=ϕ∇+⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ ∇⋅ϕ∇+∂∂ hta

011

210

102

0

=ϕ∇+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ϕ∇⋅ϕ∇−

∂ϕ∂

−⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ ∇⋅ϕ∇+∂∂

tta

e introducendo il nuovo operatore,

∇⋅+∂∂

= ∞

∞ VttD

D

e riconoscendo che le prime due parentesi hanno lo stesso operatore, appena introdotto a meno del segno, l’equazione del potenziale può essere riscritta come,

011

221

2

2 =ϕ∇+ϕ

−∞

∞ tDD

a

122

21

2

ϕ∇=ϕ

∞ atD

D

Se consideriamo un fluido che all’infinito sta in quiete, allora l’equazione che abbiamo trovato può essere semplificata nel modo seguente,

21

2

122

ta

∂ϕ∂

=ϕ∇

che nel caso monodimensionale diventa semplicemente,

xxtt a ,12

,1 ϕ=ϕ

con soluzione, ( ) ( )atxgatxf ++−=ϕ1

abbiamo ottenuto l’equazione delle onde sonore, e quindi la celerità del suono non è altro che la velocità di propagazione delle piccole perturbazioni di pressione sonora.

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Partendo dall’equazione linearizzata che abbiamo trovato, possiamo specializzarla sui profili sottili. Innanzitutto suppongo che l’asse delle x sia allineato con la velocità V∞, faccio anche l’ipotesi di stazionarietà del problema, e prendo le stesse condizioni al contorno del caso incomprimibile. L’equazione diventa,

( ) 01 2 =ϕ+ϕ− ∞ yyxxM Il coefficiente della ϕxx vale 1, quando il campo di moto è incomprimibile, e si ritorna al caso già studiato. Ma quando siamo nel caso comprimibile può assumere diversi valori, dipendenti dal numero di Mach del sistema. Infatti se il numero di Mach è più piccolo di 1, il coefficiente della ϕxx sarà positivo, quindi l’equazione sarà ellittica, anche se non uguale a quella di Laplace. Ma con una opportuna trasformazione di assi si può riportarla sotto la forma di quella di Laplace. Se al contrario il coefficiente di ϕxx è negativo, che corrisponde ad un numero di Mach supersonico, l’equazione che otteniamo diventerà iperbolica, e non potrà essere riportata all’equazione di Laplace. Ma noi abbiamo già visto come risolvere il caso supersonico esatto, questa sarà soltanto la sua linearizzazione, quello che cambierà sarà dato dalla forma delle curve caratteristiche, che nel caso esatto erano in generale delle curve. Qui saranno sempre delle rette. Partiamo dal caso subsonico, cioè con un numero di Mach inferiore a 1, anche se troveremo conveniente prendere un numero di Mach inferiore a 0.8, perché vicino a Mach 1 si è in uno stato transonico, che vedremo più avanti e in dettaglio. Le condizioni al contorno diventano

( )dxdfVx d

y ⋅=ϕ ∞+0, ( )

dxdfVx v

y ⋅=ϕ ∞−0,

Il nostro compito è quello di riottenere l’equazione di Laplace, che sappiamo risolvere, quindi fattivamente è quello di ottenere dei coefficienti uguali per le due derivate nell’equazione. Abbiamo già detto che opereremo una trasformazione di assi, che sarà

yY β=

questa trasformazione non sposta lo zero del sistema di riferimento, infatti per y = 0 si ha Y = 0. La nuova derivata sarà

YYyY

y ∂∂

=∂∂

∂∂

=∂∂ β

l’equazione del potenziale diventa

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( ) 01 22 =ϕ+ϕ− ∞ YYxxM β

risulta chiaro che prendendo 21 ∞−= Mβ

si riottiene l’equazione di Laplace, e le nuove condizioni al contorno diventano

( )dxdfVx d

Y ⋅=ϕ ∞+

β10, ( )

dxdfVx v

Y ⋅=ϕ ∞−

β10,

I risultati che ho raggiunto mi fanno capire che il profilo sottile che mi ritrovo nel caso comprimibile è ancora più sottile, dato che il fattore β è minore di 1. Ma cambia anche la condizione al contorno, la quale aumenta. Tutti i risultati che avevamo trovato nel caso incomprimibile vengono aggiornati grazie al fattore β, che prende il nome di fattore di correzione di Prandtl-Glauert. Cioè posso riprendere le grandezze già calcolate nel caso incomprimibile e moltiplicarle per 1/β, per trovare le corrispondenti del caso comprimibile. Ma attenzione, infatti per trovare il coefficiente di pressione, nel caso incomprimibile avevamo imposto il teorema di Bernoulli, il quale ci aveva fornito la legge

ucp 2−= qui il teorema di Bernoulli non vale. Ma facendo un bilancio di entalpia si può dimostrare che quella legge vale ancora, quindi si ottiene

incomp,2

incomp,incomp,comp, 1 p

ppp c

Mcc

c >−

==∞

β

guardando la curva cLα si ha cLα M∞ α

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dal grafico si vede che all’aumentare del numero di Mach, ruota la retta, in questo caso linearizzato, del cLα intorno all’incidenza di portanza nulla. Quindi il caso comprimibile per avere la stessa portanza del caso incomprimibile bisogna di un angolo d’incidenza minore. E a pari incidenza il caso comprimibile da più portanza. Scrivendo l’equazione del potenziale linearizzata, sempre nell’ipotesi di stazionarietà ma questa volta nel caso tridimensionale, si ha

( ) 01 2 =ϕ+ϕ+ϕ− ∞ zzyyxxM

Anche in questo caso possiamo applicare la stessa trasformazione di assi effettuata per il caso bidimensionale, cioè

yY β= e zZ β= così facendo si riporta l’equazione sotto forma di Laplace, ponendo

22 1 ∞−= Mβ

Quindi le considerazione fatte per il caso bidimensionale vanno estese, in modo banale, anche al caso tridimensionale, con la correzione tramite il fattore correttivo di Prandtl-Meyer di tutti i coefficienti aerodinamici voluti. Si noti che in 3D l’ala non ha solo una riduzione dello spessore del profilo sottile, ma anche l’allungamento si è ridotto. A causa del cambio di scala per la coordinata z, ora l’ala vede modificato il proprio allungamento e di conseguenza anche la velocità e la resistenza indotta sono in generale diverse dal caso incomprimibile. È interessante notare che la scomposizione del problema tridimensionale nei due bidimensionali sotto l’ipotesi d’ala a forte allungamento, quello del piano di Trefftz è una equazione di Laplace,

0=ϕ+ϕ zzyy

Ciò implica che la polare non viene modificata rispetto al caso incomprimibile, essa infatti è una proprietà della scia, e non cambia a parità di Γ. Diverso è il caso della curva cLα in cui la pendenza della curva diviene

βπ2

=Lc

come nel caso bidimensionale. Occorre fare una distinzione a seconda che si ragioni a cL fissato oppure ad angolo fissato. Nel primo caso, come si è visto, anche il cD e la resistenza sono uguali a

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quelle incomprimibili. Nel secondo, invece, in cui il cL∝1/β, il coefficiente di resistenza aumenta secondo un fattore 1/β2. mercoledì 5 dicembre 2001 Abbiamo visto cosa succede alla nostra equazione del potenziale linearizzata, nel caso subsonico, cioè a numero di Mach minore di 1. Abbiamo anche detto che esiste una regione di numeri di Mach compresi fra 0.8 e 1.2, in cui il campo di moto si dice transonico, che vedremo più avanti. Ci concentriamo adesso sul caso supersonico linearizzato, con numero di Mach maggiore di 1, ma di fatto maggiore di 1.2. L’equazione del potenziale bidimensionale può essere scritto come,

( ) 012 =ϕ−ϕ−∞ yyxxM

Ci accorgiamo che questa equazione è di tipo iperbolico, quindi come già visto nel caso esatto, esisteranno due direzioni particolari dove la nostra soluzione non è banalmente unica. Anche qui supponiamo di avere una linea di soluzioni iniziali, e di trovare la soluzione in un punto P′ vicino al punto P, appartenete alla linea di soluzioni iniziali, tramite una espansione in serie di Taylor. Supponiamo che la linea di soluzioni iniziali abbia equazioni parametriche

( ) ( )syysxx 00 == e che le componenti della velocità u e v, possono essere descritte dalle due funzioni

( ) ( )sgvsfu ==

Espandendo con Taylor si ottiene,

( ) ( )

( ) ( )⎪⎪⎩

⎪⎪⎨

∂∂

+∂∂

=−′

∂∂

+∂∂

=−′

dyyvdx

xvPvPv

dyyudx

xuPuPu

a questo sistema aggiungiamo la nostra equazione del potenziale, così da ottenere un sistema di tre equazioni in tre incognite, le tre derivate seconde del potenziale.

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( )⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

=ϕ−ϕ−

=ϕ+ϕ

=ϕ+ϕ

∞ 012

00

00

yyxx

yyxy

xyxx

Mdsdg

dsdy

dsdx

dsdf

dsdy

dsdx

seguendo quello già fatto per il caso esatto, possiamo ricavarci dalle prime due equazioni le derivate ϕxx e ϕyy e sostituirle nella terza equazione,

( )⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

=ϕ−ϕ−

+ϕ−=ϕ

+ϕ−=ϕ

∞ 01200

0

00

0

yyxx

xyyy

xyxx

Mdydg

dydx

dxdf

dxdy

( )

( )0

0

0

02

00

2

1

1

dydx

dxdyM

dydg

dxdfM

xy

−−

−−=ϕ

Ci si accorge che il sistema può non avere soluzione, quando il denominatore si annulla, cioè

( ) 010

0

0

02 =−−∞ dydx

dxdyM

( ) 0112

0

02 =−⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−∞ dx

dyM

si può notare, mentre nel caso esatto i coefficienti erano dipendenti dalle componenti della velocità quindi non costanti, qui sono costanti.

β1

11

20

0 ±=−

±=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

∞Mdxdy

c

questa rappresenta la pendenza delle curve caratteristiche, che essendo costante, le curve in questo caso sono delle rette.

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A questo punto non ci resta da costruire che la condizione di compatibilità, affinché il sistema ammetta soluzione anche il denominatore deve annullarsi,

( ) 0100

2 =−−∞ dydg

dxdfM

( ) 010

02 =−⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−∞ dg

dxdydfM

c

dfdfMdg β±=−±= ∞ 12

dudv β±=

Quanto osservato costituisce anche la base di un metodo di soluzione, noto come metodo delle caratteristiche. Il calcolo della soluzione può sfruttare il fatto che sulla famiglia di caratteristiche C+ vale la relazione,

cstuv =− β di conseguenza

( )yxFxy ββ −=ϕ−ϕ

e analogamente sulle caratteristiche C− vale,

( )yxGxy ββ +=ϕ+ϕ

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La soluzione del punto (x,y) si può quindi scrivere come la somma di una funzione della quantità x + βy e di una funzione della quantità x − βy, cioè

( ) ( ) ( )yxGyxFyx ββ ++−=ϕ ,

Le funzioni F e G sono completamente determinate dalle condizioni al contorno. Qui al contrario di quello che capitava nel caso esatto, il dominio di dipendenza non dipende da tutti i punti della linea di dati iniziali compresi fra A e B, ma solo da A e B. Stesso discorso per quanto riguarda il dominio di influenza. Consideriamo un profilo sottile e concentriamoci su quanto accade sul dorso del profilo.

A sinistra della caratteristica ascendente spiccata dal bordo d’attacco A la corrente è uniforme e non risente dalla presenza del profilo. Per ogni punto a valle di questa caratteristica, si possono tracciare le due caratteristiche passanti per il punto. Una di esse proviene dall’infinito a monte, mentre l’altra parte dal profilo stesso. Per la conoscenza delle forze aerodinamiche, è sufficiente porci sul profilo, qui la componente normale v è assegnata dalle condizioni al contorno, quindi possiamo dire che

dxdf

Vu d∞=

β1

Questa relazione permette già di notare che la velocità u dipende solo dalla pendenza locale del profilo. Nel caso incomprimibile la u si esprimeva attraverso l’integrale che teneva conto della pendenza di tutto il profilo. Le forze aerodinamiche si calcolano per integrazione degli sforzi normali sul contorno, quindi utilizzando il legame fra il coefficiente di pressione cp e la velocità adimensionale u/V∞, si ha

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dxdfc d

p β2

−=

il coefficiente di portanza diventa

( ) ( ) ( )( )0144 1

0

1

0,, ffdx

dxdfdxccc dpvpl −==−= ∫∫ ββ

se la corda viene definita come il segmento congiungente il bordo d’attacco con il bordo d’uscita, si ha che f(1) − f(0) = α, e quindi

αβ4

=lc

L’angolo di portanza nulla risulta automaticamente nullo. Per il coefficiente di resistenza si ha

∫∫ ⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛+⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ −=

1

0

221

0,,

2 dxdxdf

dxdfdx

dxdfc

dxdfcc vdd

dpv

vpd β

Nella teoria linearizzata non esistono fisicamente le onde d’urto, ma il loro effetto si irraggia verso l’infinito. Questo effetto costa dal punto di vista energetico, e quindi compare il coefficiente di resistenza, cosa che non succedeva prima nel caso incomprimibile. Nel coefficiente di resistenza si possono separare i contributi di linea media, spessore e incidenza. Per il dorso sappiamo

( ) ( ) ( ) xxsxyxf lmd α−+=21

per il ventre

( ) ( ) ( ) xxsxyxf lmv α−−=21

Sostituendo nell’espressione del coefficiente di resistenza e notando che i termini incrociati si elidono, si ottiene

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛+⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛+= ∫ ∫

1

0

1

0

222

214 dx

dxdsdx

dxdyc lm

d αβ

Quindi il coefficiente di resistenza è diverso da zero, la resistenza che mi deriva dal coefficiente prende il nome di resistenza d’onda.

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Ripetendo un discorso analogo per il calcolo del coefficiente di momento, si trova che il centro aerodinamico è posizionato al 50% della corda con un sensibile differenza rispetto al caso subsonico. Lo spostamento del centro aerodinamico dal volo subsonico al volo supersonico rende particolarmente delicato l’equilibrio del velivolo, perché questo passaggio è alquanto brusco. Data la rilevanza delle perdite di energia che la resistenza d’onda può comportare, è particolarmente interessante affrontare il problema della minima resistenza in campo supersonico. La resistenza d’onda contiene un termine proporzionale al quadrato dell’angolo d’incidenza. Per un dato aereo, l’incidenza non può essere variata per ridurre la resistenza, ma il contributo dell’incidenza può essere minimizzato scegliendo una incidenza opportuna in sede di progetto. Il contributo dovuto alla linea media può essere annullato, utilizzando una linea media rettilinea, in modo da avere pendenza localmente nulla. Il contributo dello spessore è nullo solo quando lo spessore è nullo. Tutte queste considerazioni ci portano ad individuare la lastra piana come ottimo circa la resistenza sul volo supersonico. Però lo spessore non può essere nullo, per motivi costruttivi. Ma l’indipendenza dalla geometria del coefficiente di resistenza, fa si che si possa ottenere l’ottimizzazione del profilo indipendentemente dall’incidenza. Ci sono due strade che possono essere seguite: ricercare il minimo per un dato spessore, oppure per una data area. Nel primo caso l’obiettivo è quello di ottenere una distribuzione di spessore che minimizzi la resistenza, con il requisito di uno spessore massimo imposto. Supponiamo di conoscere la posizione x0 del punto di massimo spessore, che determineremo più avanti. Cerchiamo la quantità

∫ ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛0

0

2x

dxdxds

con il vincolo di massimo spessore s0 assegnato, cioè

00

0

sdxdxdsx

=∫ (*)

la funzione ausiliaria di Lagrange da minimizzare è data dalla

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡ −+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛= ∫∫ 0

00

200

sdxdxdsdx

dxdsL

xx

λ

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si consideri un piccolo incremento di spessore δs(x) intorno alla distribuzione di spessore s(x). Occorre imporre che la parte lineare in δs(x) della L sia nulla per una variazione arbitraria di δs(x),

∫∫ ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛++−

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡+⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛=+=

00

00

0

2

0 2xx

dxdx

sddx

sddx

sdsdxdx

sddx

sdLLL δλδλλδ

allora

( )xsdxdx

sddx

sdLx

δδλδ ∀=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+= ∫ 02

0

0

quindi

202 λλ −=⇒=+

dxsd

dxsd

dalla (*) si ha

0

00

00

0

22

00

xssdxsdx

dxsd xx

−=⇒=−⇒= ∫∫ λλ

quindi la distribuzione di spessore diventa,

( ) 00

0 0per xxxxsxs ≤≤=

in maniera del tutto simile, si tratta la seconda parte del profilo, per x0 ≤ x ≤ 1, ottenendo

( ) ( )xx

sxs −−

= 11 0

0

Ora dobbiamo stabilire dove sta lo spessore massimo, cioè determinare x0. Consideriamo la resistenza totale,

( )0

20

0

20

12

0

0

0

2

0

00 11

0

0

xs

xsdx

xsdx

xsxc

x

x

d −+=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛−−

+⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛= ∫∫

imponendo che questa espressione sia minima anche rispetto alla scelta di x0, cioè ponendo a zero la derivata del coefficiente di resistenza rispetto a x0 si ha,

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( ) 210

1 020

20

20

20 =⇒=

−+− x

xs

xs

il profilo ottenuto risulta essere un rombo, anche se nella realtà è leggermente diverso. reale Possiamo incontrare anche profili che hanno una distribuzione dello spessore non lineare, ma bensì parabolica ( ) 2axxs = . Chiaramente con bordo d’attacco e d’uscita aguzzi. Il problema attorno ad un profilo appena trovato, può essere affrontato facendo alcune considerazioni. Innanzitutto la geometria è simmetrica, quindi possiamo prendere la parte superiore del profilo, adesso notiamo che una corrente uniforma che arriva da sinistra, vede una prima compressione quando incontra il profilo. Poi subirà una espansione che può essere studiata con Busemann, e poi ancora un’altra compressione. espansioni compressioni

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giovedì 6 dicembre 2001 in sede di progetto, il contributo dell’incidenza alla resistenza d’onda risulta importante per fissare la superficie alare, una volta stabilito il peso del velivolo e la sua velocità di crociera. Il coefficiente di resistenza può essere scritto,

[ ]0,24

dd cc += αβ

dove il contributo cd,0 contiene i contributi dello spessore e della linea media, che possono essere trattati separatamente dall’incidenza, ricordandoci che il cl in funzione dell’incidenza, può essere espresso come βα4=lc si ha

0,2

2

0,

444

4dl

ldd ccccc

βββ

β+=⎥

⎤⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛+=

si noti come quando il M → 1, cioè β → 0, oppure quando M → ∞ quindi β → ∞, il coefficiente di resistenza diventa infinito. Se andiamo a considerare il rapporto cd/cl, che rappresenta la spinta per il peso del velivolo, si ha

l

dl

l

d

cc

ccc 0,4

4 ββ

+=

Se troviamo il minimo del rapporto cd/cl si nota che questo si raggiunge quando

( ) 0,2 16 dl cc =β ⇒ 0,4 dl cc =β

Dato un problema di progetto, in cui sono fissati il numero di Mach di volo di crociera ed il peso dell’aereo, questa relazione risulta di fondamentale importanza perché permette di determinare il coefficiente di portanza e, di conseguenza, la superficie alare che consente di minimizzare la resistenza d’onda. Il rapporto cd/cl risulta molto più elevato rispetto al regime subsonico. Ma il grosso aumento si ha nel regime transonico, per numeri di Mach elevati l’aumento di resistenza risulterà più limitato ma anche più dolce. Se ci troviamo in una geometria tridimensionale, l’equazione del potenziale linearizzato è simile a quella già vista. Dal punto di vista della resistenza si riottiene il risultato che il punto d’attacco deve essere aguzzo. Si può vedere inoltre che un parametro fondamentale, che agisce sulla resistenza d’onda, è la variazione dell’area in direzione x, della sezione trasversale e dell’apertura dell’ala.

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Infatti la forma d’ala più diffusa è l’ala a delta. Dal punto di vista dell’ottimizzazione si avrebbero risultati migliori con l’ala a rombo, ma questo crea problemi di controllo. Ed è inoltre, importante sagomare per bene la fusoliera, in modo da garantire un buon andamento della sezione dell’ala e della fusoliera lungo lo sviluppo longitudinale dell’aereo. Il regime transonico riveste notevole importanza applicativa, dal momento che gran parte dei velivoli commerciali volano a numero di mach poco inferiore all’unità. Il flusso attorno ad un profilo alare subisce importanti modifiche nel passare dal regime subsonico al regime supersonico, soprattutto un notevole ed improvviso aumento della resistenza. Infatti all’aumentare della velocità di volo, si raggiunge un valore di M∞ ancora minore di 1, ma sul profilo, tipicamente sul dorso, in corrispondenza di un punto il numero di Mach locale diviene unitario. Al crescere ancora della velocità di volo, questo punto diventa una bolla supersonica, delimitata da una linea di M = 1, linea sonica. linea sonica

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Per numeri di Mach superiori ma sempre subsonici, la bolla supersonica si ingrandisce rapidamente, e il rallentamento a valle della bolla crea un’onda d’urto. linea sonica onda d’urto Ma mano che Mach cresce l’onda d’urto cresce di intensità. Quando M∞ = 1 la linea sonica si apre all’infinito, e dopo un ulteriore piccolo incremento del Mach, compare a monte del profilo un urto staccato. M∞ L’urto di avvicina rapidamente al bordo di attacco del profilo con l’aumento del Mach, e si attacca se il bordo è aguzzo e se il Mach è sufficientemente elevato. Solo dopo questa fase il moto si può considerare completamente supersonico.

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Adesso vediamo come trattare analiticamente questo regime di moto. Si può notare subito che quando M → 1, l’equazione del potenziale diventa

0=ϕ yy la cui soluzione afferma che la componente v della velocità è costante con la coordinata y. Questa affermazione significa che le perturbazioni si propagano molto lontano in y, e giustifica il fatto che le soluzioni linearizzate forniscono forze aerodinamiche infinite per M → 1. Ripartiamo dunque dall’equazione del potenziale esatto, nel caso bidimensionale e stazionario,

( ) ( ) 02 2222 =ϕ−+ϕ+ϕ− yyxyxx avuvau

nel regime transonico il numero di Mach è molto vicino all’unità, quindi anche la velocità all’infinito è prossima alla a*. Così è comodo linearizzare rispetto ad a*. Gli sviluppi delle componenti delle velocità diventano,

...... 11* +=++= vvuau

e la consueta condizione al contorno di ϕ1 nullo all’infinito diventa

( ) *,1 aVx −=∞ϕ ∞ L’equazione del potenziale contiene la velocità del suono a, che può essere espressa tramite la conservazione dell’entalpia totale per un gas perfetto,

212121

2*

2*

22222 aavuaVa+

−=

++

−=+

− γγγ

e linearizzando si ha,

2122

12 2

*2*1*

2*1*

2* aauaaaaa

+−

=+

+−

+γγ

11 21ua −

−=γ

adesso passiamo a linearizzare i coefficienti dell’equazione del potenziale, si ha

( ) ( ) ( )1...2...2 1*1*2*1*

2*

22 −=++−++=− γuaaaauaaau

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1*22 vauv =

1*2*

22 2 aaaav −−=−

l’equazione del potenziale diventa

( ) ( ) 0221 ,11*2*,11*,11* =ϕ+−ϕ+ϕ+ yyxyxx aaavauaγ

e ancora, dividendo per a2

* e trascurando i termini di ordine superiore (2a*a1), si ha

021,1,1

*

,1,1,1

*

=ϕ−ϕϕ

+ϕϕ+

yyxyy

xxx aaγ

Il problema transonico dà luogo ad un problema che non è lineare. L’equazione è di natura ellittica o iperbolica a secondo del segno della ϕ1,x. E non è semplice da risolvere, esistono però dei fattori di scala che possono essere sfruttati per semplificare il problema. Il nostro problema è completato dalle condizioni al contorno,

( )( ) *,1

,1 0,

aV

Vdxdfx

x

y

−=∞ϕ

∞ε

la vicinanza di V∞ con a* permette la sostituzione della prima delle condizioni al contorno con

( ) *,1 0, adxdfxy ε=ϕ

A questo punto ci accorgiamo che l’equazione del potenziale presenta due gradi i libertà nella scelta del fattore di scala della y e del potenziale. Questi gradi di libertà li utilizzeremo per trovare un coefficiente di similitudine che mi lega i tre coefficienti da cui dipende l’equazione del potenziale, cioè ε, γ e a*. Che sono relativi alle proprietà geometriche del profilo, alle proprietà del gas e alla velocità. Il fattore di scala per la coordinata y ci dice,

Yy η=

e la condizione al contorno diventa

( )dxdfaxY ηε *,1 0, =ϕ

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e il potenziale può essere riscritto

01121,12,1,12

*,1,1

*

=ϕ−ϕϕ+ϕϕ+

YYxYYxxx aa ηηγ

in maniera indipendente possiamo sfruttare l’altro grado di libertà nella scala del potenziale,

φA=ϕ1

02122

2

*

2

*

=−++

YYxYYxxx

AAa

Aa

φη

φφη

φφγ

e dividendo tutto per A2 si ha

01112122

**

=−++

YYxYYxxx Aaaφ

ηφφ

ηφφγ

le condizioni al contorno diventano

( )

( ) ( )*

*

1

10,

aVA

dxdfa

Ax

x

Y

−=∞

=

∞φ

ηεφ

il parametri ε compare solo nella prima delle condizioni al contorno, quindi possiamo eliminarlo scegliendo in modo opportuno η, se lo scegliamo come

εη

*aA

=

così che la condizione al contorno diventa,

( )dxdfxY =0,φ

inoltre scegliendo

( ) 2*

1ηγ +=

aA

i parametri di scala diventano

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( ) 32

31

* 1 εγ −+= aA e ( )εγη

113

+=

da queste relazioni si vede che quando ε → 0 η → ∞, quindi il secondo termine del potenziale diventa trascurabile. Sostituendo i fattori di scala trovati l’equazione del potenziale si riscrive semplicemente,

0=− YYxxx φφφ

con le condizioni al contorno

( )

( ) ( ) ( ) Ka

aVdxdfx

x

Y

=+−

=∞

=

−∞ 3

132

*

* 1

0,

γεφ

φ

K è il parametro di similitudine transonica, e si può esprimere in modo esplicito in funzione del numero di Mach:

( ) ( )11 231

32

−+= ∞

−−MK γε

Da questa relazione capiamo che il regime transonico non dipende esclusivamente dal numero di Mach, cioè dalla velocità del campo di moto. Ma anche dal profilo, quindi più piccolo è il profilo, più alto sarà il Mach che segna il passaggio allo stato transonico, e viceversa. Il problema resta assai complesso, ma l’aver individuato un parametro di similitudine consente di utilizzare misure sperimentali o soluzioni numeriche, ricavati per una certa combinazione di parametri, per calcolare i risultati in condizioni diverse, rappresentando i risultati d’interesse in funzione dell’unico parametro K. In particolare le forze aerodinamiche sono date da,

∫=c

dxpL0

e ∫=c

dxdxdfpD

0

la pressione è proporzionale alla velocità u1, quindi proporzionale al fattore di scala A, nella resistenza compare anche la dipendenza del profilo, quindi di ε, cioè

( )KAfL = e ( )KAgD ε=

passando ai coefficienti di portanza e di resistenza si ha,

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Massimo Bucca matr. 644978

133

( )KfaAcl 2

*

= e ( )KgaAcd 2*

ε=

e introducendo il fattore di scala A si ottiene,

( ) ( )Kfa

cl*

31

32 1 −+

=γε e ( ) ( )Kg

acd

*

31

35 1 −+

=γε

I coefficienti trovati devono raccordarsi con continuità con quelli trovati nel campo di moto subsonico e supersonico. Nel caso supersonico si è trovato che βε∝lc , e ciò si ritrova se la funzione f(K) assume, per K >> 1, un andamento del tipo

( ) 21

−∝ KKf

e allo stesso modo deve capitare che

( ) 21

−∝ KKg

Nel regime subsonico invece, il coefficiente di resistenza è nullo, e per la portanza si ottiene una dipendenza del tipo

( ) ( ) 21

−−∝ KKf

Se andiamo a disegnare questi andamenti su un piano cartesiano, si ha f(K) f(K) ∝ (−K)−1/2 f(K) ∝ K−1/2 K

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g(K) g(K) ∝ K−1/2 K È interessante notare, come nel grafico della funzione g(K), questa si mantiene quasi nulla per un certo intervallo di numeri di Mach, anche dopo il Mach critico (0.8?). per poi avere un brusco e repentino aumento, per poi raggiungere il valore massimo che si ottiene per K ≅ 0, cioè M ≅ 1. Questo valore di Mach in cui c’è questo incremento massiccio della resistenza viene chiamato Mach drag divergent, ed è relativo al fenomeno della drag rise, perché si ha l’impressione di urtare contro una vera e propria barriera. Superato il muro del suono il coefficiente di resistenza continua a diminuire, anche in maniera piuttosto dolce. La brusca crescita della resistenza d’onda che caratterizza l’inizio del regime transonico costituisce un rilevante problema di progetto per i velivoli civili, che si trovano solitamente ad operare alla massima velocità possibile prima dell’insorgere di eccessiva resistenza. Il metodo classico per evitare l’eccessiva resistenza, è quello di dotarsi di ali a freccia. Infatti, almeno nel limite di semiala infinita, l’ala a freccia può essere studiata separando i due problemi con la componente di V∞ normale e parallela all’ala stessa. Il valore di K va calcolato sul Mach normale all’ala, può quindi essere ottenuto con un M∞ più alto. δ M∞ Mn

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135

Infatti ∞∞ <= MMM n δcos

L’ala a freccia causa però un costo più elevato per quanto riguarda la resistenza indotta. Inoltre gli effetti tridimensionali sono rilevanti, specialmente in prossimità della mezzeria, dove possono verificarsi delle separazioni. Infatti, in questa regione il profilo alare viene progettato appositamente per evitarle. martedì 12 dicembre 2001

Viscosità

Finora abbiamo considerato sempre il fluido non viscoso, in questa parte faremo l’opposto. Infatti, torneremo a considerare il campo di moto incomprimibile, ma prenderemo in considerazione la viscosità. Dall’equazione di Eulero in forma adimensionale, si poteva notare che il termine che conteneva le derivate seconde veniva moltiplicato per l’inverso del numero di Reynolds, questo ci poteva portare a ragionare, che quando il numero di Reynolds tendeva ad infinito, il contributo dei termini viscosi tendesse a zero. In realtà in questo limite l’ordine delle equazioni si abbassa: le condizioni al contorno vengono ad essere in soprannumero, e le condizioni che non possono essere soddisfatte si recuperano in una regione caratterizzata da scale spaziali diverse in direzione parallela e normale alla parete solida. In questa regione i termini che pensavamo di poter scartare, non è più possibile farlo. Infatti, all’interno dello strato limite le derivate seconde danno un contributo molto grande e malgrado moltiplicate per l’inverso del numero di Reynolds e malgrado la viscosità può essere bassa, il contributo viscoso può non essere trascurabile. L’entità degli effetti viscosi può essere quantificata attraverso il numero adimensionale, noto come numero di Reynolds,

νUL

=Re

Nel numero di Reynolds compaiono una velocità e una lunghezza caratteristica del campo di moto. Ma mentre è possibile trovare una velocità caratteristica per tutto il nostro dominio, un po’ più difficile è farlo per la lunghezza. Infatti, mentre il campo di moto può avere una lunghezza caratteristica anche molto estesa, lo strato limite ha una lunghezza caratteristica infinitesima.

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La discontinuità a parete del problema non viscoso, dove la velocità passa da zero sulla parete ad un valore finito in prossimità della parete stessa, in campo viscoso si traduce in una regione di campo di spessore molto piccolo ma non nullo. Lo spessore di questa regione di campo è proporzionale alla lunghezza caratteristica del campo di moto secondo l’inverso del numero di Reynolds,

LRe1

∝δ

Se pensiamo di prendere una lente di ingrandimento e guardare quello che succede dentro lo strato limite, per farlo dal punto di vista matematico, prendiamo una trasformazione di assi che ci permettere di stirare l’asse delle y,

Yy ε=

nell’equazione di Eulero

2

2

Re1...

yu

xuu

∂∂

=+∂∂

scegliendo

Re1

si possono confrontare i termini viscosi con quelli del primo membro. Facendo adesso due sviluppi in serie di Taylor, uno per la parte interna e uno per la parte esterna. Tali sviluppi dovranno poi soddisfare, oltre alle condizioni al contorno del problema completo, opportune condizioni nella regione di interfaccia fra interno ed esterno. Ci poniamo nel caso bidimensionale con variabili cartesiane, prendendo le equazioni di Navier-Stokes per fluidi incomprimibili. La soluzione per la zona esterna si può scrivere come,

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ...,,,,

...,,,,...,,,,

22

10

22

10

22

10

+++=+++=+++=

yxpyxpyxpyxpyxvyxvyxvyxvyxuyxuyxuyxu

eeee

eeee

eeee

εεεεεε

si considerino poi le equazioni di Navier-Stokes, scritte in forma adimensionale ed in componenti cartesiane,

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137

( )

( )⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

+=+++

+=+++

=+

yyxxyyxt

yyxxxyxt

yx

vvpvvuvv

uupvuuuu

vu

Re1

Re1

0

sostituendo lo sviluppo delle soluzioni esterne, e uguagliando i termini di ordine 0 dello sviluppo, si ottiene il seguente sistema,

( ) ( )

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )⎪⎩

⎪⎨

=+++=+++

=+

00

0

,0,00,00,0

,0,00,00,0

,0,0

ey

ey

eex

eet

ex

ey

eex

eet

ey

ex

pvvvuvpuvuuu

vu

queste non sono altro che le equazioni di Eulero. Adesso passiamo a scrivere il sistema ottenuto uguagliando i termini di ordine 1,

( ) ( )

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )⎪⎩

⎪⎨

=+++++=+++++

=+

00

0

,1,01,10,01,10,1

,1,01,10,01,10,1

,1,1

ey

ey

eey

eex

eex

eet

ex

ey

eey

eex

eex

eet

ey

ex

pvvvvvuvuvpuvuvuuuuu

vu

Tutti i sistemi di equazioni trovati, contengono equazioni lineari al contrario delle precedenti. I sistemi di equazioni necessitano delle condizioni al contorno. Mentre la condizione all’infinito è la stessa delle equazioni di Eulero, per poter dare le condizioni a zero, ovvero all’interfaccia fra la zona esterna e quella interna, occorre prime procedere all’altro sviluppo, quello interno. Partiamo dalle N-S facendo la traslazione dell’asse y, il sistema diventa

⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +=+++

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +=+++

=+

YYxxYYxt

YYxxxYxt

Yx

vvpvvuvv

uupvuuuu

vu

22

22

111

11

01

εε

εε

εε

ε

ε

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La soluzione nella zona interna sarà,

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ...,,,,

...,,,,...,,,,

22

10

22

10

22

10

+++=+++=+++=

YxpYxpYxpYxpYxvYxvYxvYxvYxuYxuYxuYxu

iiii

iiii

iiii

εεεεεε

sostituendo tale sviluppo nelle equazioni del moto e uguagliando i termini di ordine −1 si ha,

( )

( ) ( )

( ) ( ) ( )⎪⎩

⎪⎨

=+=

=

00

0

,0,00

,00

,0

iY

iY

i

iY

i

iY

pvvuv

v

dalla prima equazione del sistema appena trovato, si nota che la velocità si mantiene costante lungo la Y, ma dato che per Y = 0 si ha che la v = 0, allora per tutta la zona interna si ha ( ) 00 == cstv i . La seconda equazione non da nessun contributo, dato che diventa una identità, la terza equazione ci dice che ( ) 0,0 =i

Yp , cioè che la pressione si mantiene costante lungo Y. Adesso andiamo a scrivere il sistema che si ottiene dai termini di ordine 0,

( ) ( )

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )⎪⎩

⎪⎨

=++++=++++

=+

iYY

iY

iY

iiY

iix

iit

iYY

ix

iY

iiY

iix

iit

iY

ix

vpvvvvvuvupuvuvuuu

vu

,0,1,01,10,00,0

,0,0,01,10,00,0

,1,0 0

Tenendo conto del risultato precedente, cioè che ( ) ( ) 0,0 =Yxv i , si ha

( ) ( )

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )

( )⎪⎩

⎪⎨

==+++

=+

0

0

,1

,0,0,01,00,0

,1,0

iY

iYY

ix

iY

iix

iit

iY

ix

pupuvuuu

vu

Quindi si può notare che ancora la pressione resta costante lungo la Y.

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Dopo aver ricavato gli sviluppi interno ed esterno, occorre ora imporre che essi si raccordano con continuità l’uno nell’altro. Deve esistere una regione, per valori piccoli di y e valori grandi di Y, in cui gli sviluppi sono entrambi validi e rappresentano la stessa funzione. Occorre quindi considerare il limite dei due sviluppi quando Re → ∞ in modo tale che y → 0 e contemporaneamente Y → ∞. Consideriamo la sola componente longitudinale u della velocità, per velocità di calcolo, nella zona del raccordo deve essere,

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ...,,...,, 1010 ++=++ yxuyxuYxuYxu eeii εε

portando tutto nella stessa variabile Y,

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ...,,...,, 1010 ++=++ YxuYxuYxuYxu eeii εεεε

e sviluppando il secondo membro rispetto al parametro εY, si ha

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ...0,,...0,0,...,, ,12

1,0010 +++++=++ xYuyxuxYuxuYxuYxu ey

eey

eii εεεε uguagliando i termini di ordine 0 e di ordine 1, si hanno le due condizioni di interfaccia, la prima non ci dice altro che il valore a zero della soluzione esterna dev’essere uguale al valore della soluzione interna all’infinito, mentre nella seconda condizione i termini possono anche essere infinito ma la loro somma deve dare zero. Le condizioni di interfaccia sono,

( ) ( ) ( ) ( )[ ]

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )[ ] 00,0,,lim

00,,lim

1,01

00

=−−

=−

∞→

∞→

xuxYuYxu

xuYxu

eey

i

Y

ei

Y

Il problema completo consiste dunque, oltre ai due sviluppi interno ed esterno e alle usuali condizioni a parete (Y = 0) e all’infinito (y→∞), anche delle opportune condizioni all’interfaccia. In linea di principio tutte le equazioni sono accoppiate, e lo sviluppo sarebbe più complicato che la soluzione del sistema di partenza. Fortunatamente però la soluzione delle equazioni può essere impostata in maniera sequenziale. Essa prende le mosse dal termine −1 della soluzione interna, per la condizione dell’interfaccia applicata a v, si possono trovare le soluzioni del problema esterno di ordine 0. Tale soluzione, tramite le condizioni di interfaccia, fornisce due condizioni con le quali si riesce a risolvere il sistema di due equazioni nelle incognite u0 e v1 del

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u problema problema interno p esterno v εn−1 εn problema interno di ordine 0. Tali equazioni si chiamano anche equazioni dello strato limite di ordine, e costituiscono il primo set non banale di equazioni interne. Una volta risolto il sistema, si può tornare alle condizioni di accoppiamento all’ordine successivo. Nella pratica è abbastanza frequente che occorra giungere fino alla soluzione del problema esterno di ordine 1, ovvero modificando la condizione al contorno per v in modo da tener in conto la modifica del flusso esterno indotta dalla presenza dello strato limite. Almeno fino a quest’ordine dello sviluppo, le equazioni sono valide anche in presenza di curvatura non troppo elevata della parete, cioè con raggio di curvatura dell’ordine di L e non di δ. mercoledì 12 dicembre 2001 Portiamo la nostra attenzione sullo strato limite, e considerando il sistema di equazioni di ordine zero si può fare una prima osservazione, sottolineando la mancanza del numero di Reynolds. Questo ci consente di affermare che, una volta che il numero di Reynolds diventa grande il problema diventa indipendente da questo. Per risolvere il sistema dello strato limite abbiamo bisogno delle soluzioni del problema esterno di ordine 0, cioè delle

( ) ( ) ( ) ( )0,,0,, 00 xtpxtu ee

ma queste due condizioni non sono indipendenti fra di loro, infatti, considerando l’equazione di Bernoulli, scritta nel caso non stazionario, si ha

02

2

=⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛ ++∂ϕ∂

∇VP

t

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141

proiettando in direzione x ed indicando esplicitamente che si tratta della soluzione esterna di ordine zero, si ottiene,

( ) ( ) ( ) ( ) 0,0,00,0 =++ ex

ex

eet puuu

Quindi la pressione può essere eliminata dal sistema di equazioni. Per comodità di scrittura non indicheremo più in seguito né il pedice 0, per l’ordine del problema, né l’apice (i), per indicare che si tratta del problema interno, e chiameremo y la coordinata Y della scala interna. Il sistema diventa,

( ) ( ) ( )⎪⎩

⎪⎨

++=++

=+

ex

eetyyyxt

yx

uuuuvuuuu

vu 0

A questo sistema non è lineare, vanno associate un set di condizioni al contorno che sono: le due condizioni di perfetta adesione a parete, e la condizione per y→∞ che la velocità sia uguale a quella del problema esterno. Il sistema scritto, però, può assumere degli aspetti più semplici, se noi andiamo a fissare una delle tre variabili da cui dipendono le nostre incognite. Infatti, sappiamo che la u è funzione della x, y e t, ma se noi fissiamo per esempio la x, cioè consideriamo una legge di moto non stazionaria ma una parete indefinitamente estesa nella direzione x, il sistema diventa

( )⎪⎩

⎪⎨

+=+

=

etyyyt

y

uuvuu

v 0

ma dalla condizione di perfetta adesione, si ritrova che la v è nulla in tutto lo strato limite, quindi il sistema si riduce alla sola equazione,

( )etyyt uuu +=

Questa equazione è diventata lineare, è di tipo parabolico ed è simile a quella che si chiama del calore. Si vedrà che le condizioni al contorno consistono in una condizione iniziale assegnata per tutte le quote y, e in tre condizioni a due quote y fissate per tutti i valori di t. Nel caso specifico si impone,

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )tututvtuyuyu ei =∞=== ,00,00,,0

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Per tentare di trovare la soluzione di questo tipo di equazione, consiste nella separazione di variabili. Supponiamo che esistono soluzioni del tipo,

( ) ( ) ( ) ( ) ( )yGtFtuytu e =−,

sostituendo queste soluzioni tipo dentro l’equazione, si ottiene,

0=′′

−′

GG

FF

perché ciò sia possibile i due addendi devono essere costanti, cioè

aGGa

FF

=′′

=′

Con ragionamenti analoghi a quelli utilizzati in passato, si arriva alla conclusione che una soluzione generale dell’equazione dello strato limite nel caso temporale è esprimibile come,

( ) ( ) ( ) yaate eetuytu ±=−,

La soluzione genarle sarà la sommatoria di singole soluzioni del tipo appena trovate, pesate attraverso opportuni coefficienti C funzioni del parametro a. Occorre però considerare solo quelle particolari soluzioni che non divergono per y→±∞. Ponendo a = ib, ci interesseremo delle sole soluzioni,

( ) ( ) ( ) yibibte eetuytu −=−,

inoltre si occuperemo solo del semipiano positivo delle y, e per t > 0, e prenderemo la velocità a parete in funzione del tempo u[t,0) = u0(t), la soluzione generale sarà

( ) ( ) ( ) ( )∫+∞

∞−

−=− dbeebCtuytu ibtyibe,

ponendoci a parete, cioè a y = 0, si ha

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )∫+∞

∞−

=−=− dbebCtutututu ibtee0)0,[

tale relazione, che è una trasformata di Fourier, può essere facilmente invertita per esprimere i coefficienti in funzione della condizione al contorno,

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( ) ( ) ( ) ( )( )∫+∞

∞−

−−= dtetutubC ibte02

e questi coefficienti, inseriti nell’espressione della soluzione, permettono di valutarla in forma chiusa. Un esempio significativo che ricade all’interno di questa categoria è costituito dallo strato limite che si sviluppa su una parete in movimento con una legge temporale nota. Per esempio il caso, noto anche come secondo problema di Stokes, di una parete che oscilla con legge temporale data da,

( ) ( ) ( ) ( )tAtutu e ωcos0, =−

ha soluzione, ( ) [ ]ibtyib eeAytu −ℜ=,

y Osservando l’esponenziale in y, si può ottenere una stima dell’ordine di grandezza della distanza δ dalla parete a cui il moto del fluido si riduce a zero. Scegliendo per δ quella quota in cui l’esponente diviene −1 e la funzione esponenziale si riduce quindi a circa il 35% del suo valore per y = 0, si ha,

b1

∝δ

ovvero diminuisce all’aumentare della frequenza. Per determinare tale distanza in termini dimensionali, si introducono una lunghezza L(d) ed una velocità V(d) di riferimento, si ha

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( ) ( )

( )

( ) ( ) ( )

( )( )

( )

( )d

dd

d

ddd

d

dd

VL

LyVLy

LVtt ωω

ν===

sostituendo nella soluzione trovata,

( ) ( ) ( )( )( )

( )( ) ( )

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡ℜ=

− ddd

d

tiyiddd eeAytu ωνω

,

lo spessore tipico δ(d) risulta essere dato da,

( )( )d

d

b ωνδδ =⇒∝

1

Dopo aver trattato il caso temporale, nel quale l’equazione del moto poteva essere ricondotta ad una equazione lineare, ci portiamo nel caso stazionario. Cioè andiamo a far dipendere le nostre variabili dalle sole coordinate cartesiane x e y. Le equazioni del moto, in questo caso, si scrivono come,

⎪⎩

⎪⎨

+=+

=+

xeeyyyx

yx

UUuvuuu

vu

,

0

da risolversi con le condizioni al contorno,

( ) ( ) ( ) ( ) ( )xUxuxvxu e=∞== ,00,00,

e con una opportuna condizione iniziale, del tipo

( ) ( )yuyu i=,0

Una prima possibilità di semplificazione dell’equazione, consiste nell’eliminazione di una variabile e dell’equazione di continuità. Introducendo la funzione di corrente ψ, infatti, ricordiamo che per essa valgono le seguenti formule,

vu xy −== ψψ

con queste uguaglianze il sistema dello strato limite stazionario, si riduce alla sola equazione,

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145

xeeyyyyyxxyy UU ,+=− ψψψψψ

le condizioni al contorno diventano,

( ) ( ) ( ) ( ) ( )xUxxx eyyx =∞== ,00,00, ψψψ

Prima di tentare di trovare una soluzione all’equazione dello strato limite scritta in termini di funzione di corrente, possiamo effettuare un cambio di variabili,

( )xhyxX == η

in cui h(x) è una funzione da determinare in modo che esistono soluzioni del tipo,

( ) ( ) ( )ηη GxFxu ′=, **

Tali soluzioni, se esistono, prendono il nome di soluzioni simili, e sono una generalizzazione di quelle ottenibili per separazione di variabili. Con il cambio di variabili scelte, le derivate si trasformano secondo le,

ηηη

∂∂

=∂∂

∂∂′−

∂∂

=∂∂

hyh

hXx1

l’equazione diventa,

XeeXX UUhh

hh

hhhh ,32

1111+=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ ′−−⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ ′−

∂∂

ηηηηηηηη ψψψηψψηψη

ψ

utilizzando nuovamente la lettera x, si ha

xeeXx UUhh

hh

hhh

hh ,322

111+=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ ′−−⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ ′−

′− ηηηηηηηηηηη ψψψηψψηψψψ

xeexx UUhh

hhh

hhh

h ,33232

32

111+=

′+−

′−

′− ηηηηηηηηηηηηηη ψψψηψψψψηψψψ

xeexx UUhhhh ,

32 +=−′− ηηηηηηηη ψψψψψψ

dovendo valere la **, si ha

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Massimo Bucca matr. 644978 146

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )ηηηψ GxhxFdxhGxFdyu =′== ∫∫

e sostituendo nell’equazione

( ) ( ) ( ) ( ) xeeUUhGFhGFhGFhhGFhhGFhGFh ,3222 +′′′=′′′−′′−′′′

per rendere indipendente il fattore di grado massimo dell’equazione da x, divido per Fh,

( ) ( ) xee U

FUhGGGFhhGFhhGFhGh ,

22 +′′′=′′′−′′−′′′

( ) ( ) xee U

FUhGGGFhhGFhhGhFhFGh ,

22 +′′′=′′′−′′−′′+′′

( ) xee U

FUhGGGFhhGhF ,

222 +′′′=′′′−′′

Guardando le condizioni al contorno, ci si accorge che quando η → ∞ F(x)G′(η)=Ue(x), cioò significa che G′(η) deve tendere ad una costante, per esempio unitaria. Quindi la F(x) = Ue(x), tenendo conto di questo vincolo l’equazione diventa

( ) xeexe UhGGGhUhGhU ,222

, +′′′=′′′−′

( ) ( ) GGGhUhGhU exe ′′′=′′′−−′ 122,

se i due raggruppamenti funzioni di x, sono costanti, cioè

( )′== exe hUhkhUk 22

2,1

Affinché possano esistere soluzioni simili, la velocità esterna deve variare secondo una legge del tipo,

( ) me xxU ∝

prendendo la costante k1 pari ad m, l’espressione di h sarà

( ) 21 m

xxh−

=

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Massimo Bucca matr. 644978

147

si ottiene che il valore della costante k2 è 2

1 m+ , si ottiene cosi una equazionea

derivate ordinarie per la funzione incognita G, che prende il nome di equazione di Falkner-Skan,

( ) GGGmGm ′′′=′′+

−−′2

112