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Desidero iniziare la mia collaborazione coll'offrire un omaggio e un rispettoso pensiero a tutti quegli uomini illustri che da prima dell'era cristiana hanno dato un esempio di vita ai posteri ed hanno reso famoso nell'Italia il nome della nostra Bevagna. Ora questi ponaggi ci guardano dall'alto della Sala Consigliare del Comune. I loro ritratti cosi' austeri, sembrano incutere un certo timore reverenziale. Molti di loro, sono ai piu', sconosciuti e quei cinque o sei rinomati e conosciuti dei bevanati,sembrano imporre agli altri la loro indiscussa popolarita'. Mi sono imbattuto a volte a presenziare a delle riunioni della Giunta Comunale e alla fine dei dibattiti interpellando qualche amico presente, mi sentivo rispondere che tolti gli uomini religiosi più venerati nella nostra epoca come il patrono S. Vincenzo e il compatrono Beato Giacomo, e per alcuni contemporanei, per gli altri era il buio piu' assoluto. Mosso quindi da questa volontà, mi sono inoltranto nel campo della ricerca per far piu' luce su questi personaggi e divulgare tutto cio' che ho potuto scoprire sulla loro vita (a volte dal sapore leggendario) e sulle loro gesta eroiche o civili e sociali. (Anch'io, non lo nego, ero all'oscuro su molti di loro ed anzi dalla pagina di blog colgo l'occasione per invitare chiunque sia in possesso di ulteriori notizie, di comunicarle). Scriveva il Prof. Ciro Trabalza in un saggio di biografia locale, che "Bevagna, paese eminentemente agricolo, vanta anche una non ingloriosa tradizione di cultura ed una serie di scrittori, alcuni dei quali, ben meritevoli d'essere bonorevolmente ricordati nella storia generale della nostra letteratura quali il Piergili, il De Angelis, l'Aleandri, l'Alberti e il Torti..." Accanto a costoro, altre glorie degne di essere menzionate e ricordate ai posteri, ha annoverato Bevagna durante la sua millenaria storia. E come meglio di riproporre ed immortalarne i nomi nella Sala del Consiglio Comunale?. Ben fece il dr. Agostino Mattoli, allora in veste di Sindaco, a comandare che i ritratti degli Uomini Illustri Bevanati fossero dipinti secondo l'indicazione lasciate dall'Abate Fabio Alberti.(Solamente 27, dei 47 indicati dall'Alberti, furono "scelti" dagli amministratori del tempo ed in seguito altri 14 si aggiungeranno in altri periodi, ai loro predecessori). Sarebbe stato forse più interessante poter ammirare un numero maggiore di questi personaggi e sentirsi più orgogliosi, come Bevanati, di poter indicare i nostri numerosi Uomini Illustri, che tennero alto il nome della loro Patria. Ma forse con il tempo questo "vuoto" si colmerà en allora anche S. Benigno, i Santi Martiri Dionisio, Severo e Fortunato, il Beato Ugolino, il Beato Niccolò Domenicano, i Vescovi Mariano e Felice Ranaldi, Giovanni Giunta, Bonaventura Camassei, Antonio Beci, Lorenzo Fognoli, Graziano Renzi, Alfonso ed Odoardo Ceccarelli, Sebastiano Mattoli, Giuseppe Bagliotti Boschi, Ugolino di Filippo di Gisberto, Ascensidonio Spacca detto "il Fantino", Teodoro Benedetti, Caio Edusio, Pietro Ranaldi, Pietro Paolo Ciccoli, potranno far da cornice a quelli che attualmente esistono. Fatto curioso che tra i summenzionati personaggi, non esistono donne.

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Desidero iniziare la mia collaborazione coll'offrire un omaggio e un rispettoso pensiero a tutti quegli uomini illustri che da prima dell'era cristiana hanno dato un esempio di vita ai posteri ed hanno reso famoso nell'Italia il nome della nostra Bevagna.

Ora questi ponaggi ci guardano dall'alto della Sala Consigliare del Comune. I loro ritratti cosi' austeri, sembrano incutere un certo timore reverenziale. Molti di loro, sono ai piu', sconosciuti e quei cinque o sei rinomati e conosciuti dei bevanati,sembrano imporre agli altri la loro indiscussa popolarita'.

Mi sono imbattuto a volte a presenziare a delle riunioni della Giunta Comunale e alla fine dei dibattiti interpellando qualche amico presente, mi sentivo rispondere che tolti gli uomini  religiosi più venerati nella nostra epoca come il patrono S. Vincenzo e il compatrono Beato Giacomo, e per alcuni contemporanei, per gli altri era il buio piu' assoluto.

Mosso quindi da questa volontà, mi sono inoltranto nel campo della ricerca per far piu' luce su questi personaggi e divulgare tutto cio' che ho potuto scoprire sulla loro vita (a volte dal sapore leggendario) e sulle loro gesta eroiche o civili e sociali.

(Anch'io, non lo nego, ero all'oscuro su molti di loro ed anzi dalla pagina di blog colgo l'occasione per invitare chiunque sia in possesso di ulteriori notizie, di comunicarle).

Scriveva il Prof. Ciro Trabalza in un saggio di biografia locale, che "Bevagna, paese eminentemente agricolo, vanta anche una non ingloriosa tradizione di cultura ed una serie di scrittori, alcuni dei quali, ben meritevoli d'essere bonorevolmente ricordati nella storia generale della nostra letteratura quali il Piergili, il De Angelis, l'Aleandri, l'Alberti e il Torti..."

Accanto a costoro, altre glorie degne di essere menzionate e ricordate ai posteri, ha annoverato Bevagna durante la sua millenaria storia.

E come meglio di riproporre ed immortalarne i nomi nella Sala del Consiglio Comunale?.

Ben fece il dr. Agostino  Mattoli, allora in veste di Sindaco, a comandare che i ritratti degli Uomini Illustri Bevanati fossero dipinti secondo l'indicazione lasciate dall'Abate Fabio Alberti.(Solamente 27, dei 47 indicati dall'Alberti, furono "scelti" dagli amministratori del tempo ed in seguito altri 14 si aggiungeranno in altri periodi, ai loro predecessori). 

Sarebbe stato forse più interessante poter ammirare un numero maggiore di questi personaggi e sentirsi più orgogliosi, come Bevanati, di poter indicare i nostri numerosi Uomini Illustri, che tennero alto il nome della loro Patria.

Ma forse con il tempo questo "vuoto" si colmerà en allora anche S. Benigno, i Santi Martiri Dionisio, Severo e Fortunato, il Beato Ugolino, il Beato Niccolò Domenicano, i Vescovi Mariano e Felice Ranaldi, Giovanni Giunta, Bonaventura Camassei, Antonio Beci, Lorenzo Fognoli, Graziano Renzi, Alfonso ed Odoardo Ceccarelli, Sebastiano Mattoli, Giuseppe Bagliotti Boschi, Ugolino di Filippo di Gisberto, Ascensidonio Spacca detto "il Fantino", Teodoro Benedetti, Caio Edusio, Pietro Ranaldi, Pietro Paolo Ciccoli, potranno far da cornice a quelli che attualmente esistono.

Fatto curioso che tra i summenzionati personaggi, non esistono donne.

Forse l'Alberti, rigido osservante del mondo religioso, non elencò nessun personaggio illustre femminile per puro principio.

Spulciando tra i documenti senz'altro potrebbe uscirne qualcuno come Margherita di Taddeo e Lucia, fondatrici, alla fine del 1200, dei Monasteri di S. Margherita e di S. Lucia, o di Suor Battista, monaca conversa, o di Maria Torti.

Questo mio piccolo lavoro, come già premesso, vuol significare un riverente un riverente e doveroso omaggio a questi Uomini Illustri che hanno costituto, con le lore gesta, le loro azioni, i loro insegnamenti che allora li caratterizzavano, un ulteriore riconoscimento, più apprezzamento ed immutata devozione.

Mi piace chiudere questa introduzione con quanto auspicato, in tempi remoti e recenti, da tre di questi personaggi:

FABIO ALBERTI : " Potrebb'essere che il desiderio di vedere un giorno la propria immagine tra quelle degli Illustri Maggiori, servisse da sprone a taluni per imitarli e rendersi distinti dalla turba dimenticata di altri infiniti".

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AGOSTINO MATTOLI : (letto al Consiglio Comunale nell'anno 1864 durante il rendiconto della sua triennale Amministrazione) : ".... Il bello innalza l'animo e lo sospinge al buono. Mossi da questa idea, noi proponemmo, e Voi decretaste, che i ritratti degli Uomini Illustri, nostri concittadini, decorassero la sala Comunale a mezzo del Pittore umbro Piervittori, seguendo le tracce lasciateci dal benemerito erudito Alberti, però ne spiace annunciare che la malattia di quel valente artista abbia tenuta in ritardo finora l'opera designata.   (Vedi nota) Possa un giorno l'aspetto di quei ritratti invogliare alla scienza ed alle arti la nostra gioventù, come le splendide ricerche su Bevagna antica invogliarono i Camassei, gli Alberti, i Torti a sollevarsi al di sopra dei loro contemporanei".

CIRO TRABALZA : "Questo progressivo aumentar d'ingegni e di cultura sia augurio di pura gloria alla Patria diletta, e non solo titolo di legittimo orgoglio, ma sprone efficace alla gioventù, perchè le aggiunga splendore di opere virtuose".

(Nota) - Nonostante la malattia, Mariano Piervittori da Tolentino, portò a compimento l'opera commissionatagli ed oltre ai 30 ritratti da lui dipinti (gli altri furono opera del pittore Ugo Scaramucci di Foligno nel 1956 e nel 1967 (i ritratti di Gabriele Pagliochini, Ciro Trabalza, Filippo Silvestri ed Alessio Ascalesi, furono realizzati dallo Scaramucci in questo anno 1956, mentre con Atto N° 79 il Consiglio Comunale di Bevagna deliberò di far riprodurre (sempre dallo Scaramucci), le effigi di Alessandro Aleandri, Agostino Mattoli, Silvio Gasparrini, Aristide Mattoli e Giovanni Capobianco. Aiutante dello Scaramucci fu Bruno Ottaviani il quale collocò, nell'anno successivo, negli appositi medaglioni da lui decorati i ritratti eseguiti su tela), raggruppò ad intere figure gli stessi personaggi in una grande e ben distribuita scena sul soffitto dove si vedono glorificati tra tre Dee che scendono a volo sopra di loro, reggendo corone dìalloro in mano. La parte a destra, essendosi rovinata, fu ridipinta da Matteo Tassi di Perugia.

   

Elenco dei ritratti dei 41 Personaggi Illustri Bevanati raffigurati nella Sala Consiliare

1.       VARENO

2.       LUCIO VARENO

3.       SESTO PROPERZIO

4.       SESTO AURELIO PROPERZIO

5.       LUCIO ATAZIO

6.       PASSIENO PAOLO

7.       SESTO CESIO

8.       SAN VINCENZO

9.       CARD. ANTONIO RANALDI

10.    GIOVANNI BIANCONI

11.    BEATO GIACOMO BIANCONI

12.    TOMMASO RAINALDI

13.    EGIDIO D'ALESSANDRO

14.    CARD. ANGELO CINI

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15.    ANDREA CAMASSEI

16.    FRANCESCO MARIA ALBERTI

17.    SCIPIONE ALBERTI

18.    ANNIBALE RANALDI

19.    PIETRO MARTIRE

20.    CRISPOLTO ANTICI

21.    FULVIO BAGLIOTTI BOSCHI

22.    TOMMASO ANTONIO BOSCHI

23.    BATTISTA PIERGILI

24.    CATARINO ANDREOZZI

25.    FRANCESCO DE ANGELIS

26.    FILIPPO ONOFRI

27.    VEN. FELICE ANGELO TESTA

28.    LIBERATO SABBATI

29.    ABATE FABIO ALBERTI

30.    FRANCESCO TORTI

31.    AGOSTINO MATTOLI

32.    ALEANDRO ALEANDRI

33.    SILVIO GASPARRINI

34.    ARISTIDE MATTOLI

35.    GABRIELE PAGLIOCHINI

36.    CIRO TRABALZA

37.    FILIPPO SILVESTRI

38.    CARD. ALESSIO ASCALESI

39.    VESCOVO GIOVANNI CAPOBIANCO

40.    GIUSEPPE CORRADI

41.    ON. AGOSTINO MATTOLI

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"Elenco de' Ritratti degli Uomini Illustri Bevanati, da dipingersi nella Seconda Camera della nuova Fabbrica del Palazzo Consolare, disteso ed ideato da Monsignor Fabio Alberti".

I Ritratti degli Uomini Illustri Bevanati potranno suddividersi in QUATTRO CLASSI :

La PRIMA sarà di quei fioriti in SANTITA',

La SECONDA di quei adorni di DIGNITA'

La TERZA di quei distinti per LETTERE

la QUARTA di quei spiccati nelle ARMI

Si osservi, e si tenga per regola ad iscanzo di qualunque vergognosa, e ridicola mostruosità, che nella Prima Classe non si trovino annoverati che Santi, Beati, e Venerabili dichiarati, o dal culto immemorabile, o dalla Chiesa; nella Seconda, Cardinali, Vescovi e Cavalieri di Croce; nella Terza, Letterati, i quali hanno lasciate o in stampa, o manoscritte, opere, e non già qualche semplice sonetto, o canzone; nella Quarta infine, i Capitani, ed alti Ufficiali, che hanno con virtù, ed onore servito un Sovrano in Guerra viva.

Si raccomanda di tenere esattamente un tal metodo per i tempi anche avvenire, rapporto a quei cittadini, i quali saranno per illustrare la PATRIA in una delle maniere già espresse.

1° MEDAGLIONE

VARENO

Silio Italico parla di un VARENO che perdè la vita combattendo contro Annibale, ed avendo di questo guerriero parlato il poeta con tanto interesse da rinfacciarne d'ingratitudine gli stessi Dei, ben dà a vedere che egli fosse assai valente nelle armi e Duce forse dell'Umbre Coorti, accorse in aiuto a Roma.

VARENO cadde nella battaglia della Trebbia nel 218 a. C. (dalla bianca armatura) ed apparteneva alla Famiglia VARENA che aveva estese proprietà nella pianura Folignate.

(L'Alberti, che fu il primo ad intuire e propagandare ciò che si doveva fare per immortalare gli uomini Illustri Bevanati, indicava il modo con il quale essi dovevano essere raffigurati, come dovevano essere vestiti ed infine ciò che doveva contenere l'iscrizione sottostante ogni singolo ritratto).

Nel caso di VARENO egli doveva essere rappresentato in questi termini: "vestito da soldato all'antica, con cimiero in testa e bastone da comandante in mano".

La sua iscrizione doveva contenere questa legenda:

MEVANAS  VARENUS UMBRORUM DUX  PRO

ROMANIS ADVESUS ANNIBALEM AD

CANNAS PUGNANS OBIIT ANTE CHRISTUM CCVII

Nei  ritratti non si è tenuto conto, invece, di queste indicazioni ed è stato un errore poichè tutto sarebbe servito a chiarire meglio l'entità del personaggio. Anche le iscrizioni che riassumevano in poco spazio ed esaltavano le imprese o la personalità dello stesso, non sono state realizzate.

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Il nostro primo personaggio è dipinto di profilo, ha una folta barba e si intravede la tipica "lorica" segmentata ed il mantello vermiglio.

Il profilo storico del primo personaggio illustre di Bevagna effigiato nella Sala Consiliare, il condottiero VARENo, si è arricchito di altri particolari.Artefice della nota chiarificatrice è stato il mai dimenticato e mio amico, Mometti Giorgio da Cannara (in seguito scriverò su questo eclettico personaggio artista e ricercatore  instancabile di storia locale, specialmente di quella Etrusca e Baglionesca).

Anche il Prof. Giovanni Bizzozzero parla nel suo volume " Origini e vicende di Cannara e dintorni" (Foligno -1976) di Vareno scrivendo che esiste una "Base onoraria", rinvenuta a Collemancio, recante la scritta:

VARENO P.

P. ITERVM

FELICITER

(Vareno plaudite,plaudite iterum feliciter)

che egli illustra così: " Esaltate Vareno, Urbinati, esaltate il milite dalla bianca armatura, che Silio Italico ha esaltato con i suoi versi, esaltate l'eroe mevanate caduto alla Trebbia per l'onore di Roma".

La "base" in questione, purtroppo,non è stata rintracciata e da ciò si può desumere che il professore ne abbia avuta notizia senza però averla realmente vista.

Quando egli pubblicò, nel 1933, il volumetto " la "Zona Archeologica di Collemancio" - Estratto dal Bollettino della Regia Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, a pag 21/22, scriveva che la "dedica" a Vareno era "una iscrizione" ed era stata ripresa dall'Odeporico dell'Abate Giuseppe Di Costanzo, edito dal Faloci. In realtà, leggendo il sopra menzionato testo, si scopre che l'Iscrizione era impressa su tre righe, in un piccolissimo Cameo in onice con lettere minutissime a rilievo di calcedonio (qualità di quarzo con struttura finemente fibrosa), a fondo di rubino, che fu trovato a Collemancio e che in quel periodo era in possesso di un benestante del vicino paese di Bettona, il quale lo aveva fatto "legare" in un anello.

Il Di Costanzo termina la descrizione dicendo che "di questa gemma assai singolare, se ne ha ragione in un articolo della sua "Deca Archeologica" (tale articolo trovasi nell'Appendice IV).

Purtroppo, nonostante assidue ricerche, non ho potuto rintracciare tale "Deca", nè alla Biblioteca Augusta di Perugia, nè in quella Comunale di Foligno. Sarebbe certamente interessante poter studiare tale articolo e faccio appello a quanti fossero in grado di aiutarmi.

Si apre con questa notizia su Vareno, anche un allettante spiraglio per indagare maggiormente sulla presenza, più volte incontrata, dei Mevanati nella zona collinare di Urbinum Hortense.

Il Mometti che di "intuizioni" era pieno (ne era d'accordo anche l'esimio prof. Ottorino Gurrieri che gli riconosceva anche tanta costanza), "vedeva" nelle vicende storiche, le relazioni con "possibili" avvenimenti e non escludeva una suggestiva spiegazione e cioè che il Tempio esistente a Collemancio, non sia altro che un manufatto eretto dai Mevanati nella Urbinum Hortense pre-romana.

Si scioglierebbe così l'enigma rappresentato da un Tempio Etrusco ben più grande delle possibilità urbane che potevano esprimere gli abitanti dell'agglomerato attestato nel pianoro  de' " La Pieve" .

La nobile etrusca MEFANA poteva però certamente permetterselo!

 

 2° MEDAGLIONE

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   LUCIO   VARENO

 

Il secondo personaggio illustre effigiato nella Sala Consiliare di Bevagna è LUCIO VARENO.

Si trova una memoria speciale della Famiglia Varena in Cicerone, il quale prendendo le difese di Lucio Vareno, recitò una delle sue orazioni di cui altro non rimane che un "frammento" tra quelli lasciati dal Sigonio. Se fosse giunta intera fino ai nostri giorni, potremmo senza dubbio riferire cose più rilevanti e gloriose di questa famiglia e ancor di Bevagna.

Si suppone che egli, portando lo stesso pronome e nome e combinando il tempo in cui visse (50 a. C.), possa credersi quel Lucio Vareno del quale parla Giulio cesare nei "Commentari" del De Bello Gallico - Libr. 5.

Egli ci racconta che combattendo i Romani nelle Gallie contro Ambiorige, Principe degli Eburoni, vi erano due valorosissimi Centurioni per nome uno Lucio Vareno e l'altro Tito Pulfione. Passano tra essi quotidiane contese chi di loro fosse il più valoroso.

Un giorno in cui i nemici tentavano di superare le trincee del campo romano, disse Pulfione: " Di che dubiti Vareno ? Che aspetti a far mostra del tuo valore? Questo e solo questo giorno sarà il vero giudice dei nostri contrasti" .

Ciò detto, salta fuori del campo e si frammischia tra la più folta schiera dei nemici e ne trafigge uno col ferro. Vi accorre ben presto Lucio Vareno, contro cui, lasciato Pulfione, tutta si rivolge la calca dei Galli.

Mentre egli con la spada in mano ferisce ed incalza, spinto dalla moltitudine dei nemici cade in basso, ma subito gli porge aiuto Pulfione e così sani e salvi, dopo l'uccisione di molti nemici, se ne tornarono al campo romano ricolmi di gloria e di lodi.

Lucio Vareno doveva essere raffigurato vestito da soldato all'antica, con cimiero in testa e con una verga di vite in mano.

Il suo ritratto doveva essere accompagnato dalla seguente epigrafe:

L. VARENVS MEVANAS CENTURIO SUB

JULIO CAESARE UNA CUM T. PULFIONE

CONTRA AMBIORIGEM EBVRORVM PRINCIPEM

DIMICANS VIRTVTIS LAVDE AB IMPERATORE

CVMVLATVR AN A.C. DCLXIX

Il nostro personaggio à rappresentato di fronte, a capo scoperto e con na folta barba scura, con mantello e lorica.

Membri della Famiglia Varena esistono anche nelle Iscrizioni di Fulginium (C.I.L. N° 5219 e N° 5220 / a.

 

 

3° MEDAGLIONE

SESTO PROPERZIO

Parleremo molto senteticamente di questo terzo personaggio illustre effigiato nella Sala Consiliare.

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Non abbiamo molte notizie sul suo conto se non quella di essere stato il padre del poeta elegiaco Aurelio Properzio.

Dopo la morte di Giulio Cesare, le lotte civili cominciarono a lacerare Roma e si estesero alle Provincie. I Triumviri Marco Antonio, Ottaviano e Lepido si disputavano quella autorità che il Senato ed il popolo più non avevano.

Ciascuno dei tre, poi, infieriva per proprio conto e secondo i propri interessi, sulle terre della morente Repubblica, come Ottaviano che per ripagare i veterani delle Gloriose Legioni, aveva spogliato dei beni ben venticinque città.

In  Italia sosteneva il partito di Marco Antonio (allora assente, perchè presso Cleopatra), il fratello Lucio Antonio il quale pensò bene di portarsi a Perugia, città assai sicura per le sue mura e per gli scoscendimenti del terreno.

E come fu nella città, ebbe subito l'alleanza dei Perugini che avevano forse temuto di diventare la ventiseesima città da venire spogliata a favore dei veterani e si diede a costruire tutt'attorno fossati, palizzate, torri di vedetta ed attendere con le armi in pugno, l'arrivo di Ottaviano. Altrettanto fece Ottaviano al suo arrivo.

Scavò fossi e fece palizzate ed innalzò torri più alte di quelle di Lucio Antonio. L'assedio durò sette mesi e alla fine diventò inevitabile il soccombere. Le vettovaglie erano esaurite e la gente cominciò a soffrire e a morire di fame. La "Perusina fames" divenne proverbiale.

Lucio Antonio, quando si rese conto che non c'era più scampo, uscì dalla città ed incontrò Ottaviano dicendogli che era stato spinto alla guerra non per odio verso di lui, ma per amore della Repubblica e chiese che soltanto lui fosse giudicato come reo e salvi coloro che l'avevano seguito.

Ottaviano accettò da romano, e da romano volle punire Perugia che aveva rotto l'alleanza schierandosi dalla parte di Lucio Antonio.

Entrò in città coronato di alloro ed offrì sacrifici per rendere grazie agli Dei. I soldati di Lucio vennero disarmati e rimandati alle loro case. Ma il giorno seguente Ottaviano sfogò la sua ira sui Perugini.

Erano le Idi di Marzo, anniversario della morte del suo grande zio Giulio Cesare.

Diede ordine di alzare un'ara in suo onore presso Porta Sole e al suo cospetto volle vedere sfilare i Decurioni ed i Patrizi vinti, inghirlandati ed ordinò di immolarne 300 mediante scannamento.

Era l'anno 40 a.C.

Tra questi cavalieri immolati vi era SESTO PROPERZIO che faceva parte della rappresentanza della Città di Mevania, la sola tra le città umbre che nella guerra fra Antonio ed Ottaviano seguisse le parti del primo.

Per questo fu sottoposta a confisca e riduzione delle sue possessioni, come l'aver perduto il Bagno del Clitunno e l'essere privata di quella parte del territorio che toccava l'Etruria.

Hispellum che parteggiava per Ottaviano, divenne ricca e possente e da allora fu innalzata al grado di Colonia a spese dell'odiato Municipio Mevanate.

Anche la Famiglia Propertia subì la confisca dei beni e la "spoliazione" delle terre ed il giovane Aurelio dovette abbandonare la sua Patria e portarsi a Roma dove si dedicherà interamente alla poesia.

Secondo l'Alberti Sesto Properzio doveva essere rappresentato " Vestito alla militare, con cimiero in testa, con una verga di vite in mano e con un anello d'oro largo ed erto, ma senza pietra".

La sua iscrizione doveva contenere queste parole:

SEX PROPERTIVS pATRICIVS MEVANAS EX ORDINE

EQUESTRI AB OCTAVIO CAESARE UNACUM ALIIS BIS

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CENTVM NONAGINTA NOVEM PATRICIIS PAERVSIAE

ANTE  ARAM C. IVLII CAESARIS INTERIMITVR AN ANTE

CHRISTVM  L

Nel medaglione è invece raffigurato a capo scoperto, quasi di profilo e con addosso la lorica e il mantello vermiglio.

 

 

4° MEDAGLIONE

SESTO AURELIO PROPERZIO

 Ed eccoci così giunti a quel personaggio che tuttora (e chissà per quanto), farà ancora discutere i più eminenti studiosi che asseriscono, con le loro personali tesi di aver "individuato" il luogo esatto della nascita del famoso poeta elegiaco.

Io non sto quì a fare la cronaca di ciò che insigni autori di saggi, codici e studi vari, hanno svolto fin dal XIII secolo ad oggi portando a suffragio reperti archeologici (di cui qualcuno falso) riguardanti la sua famiglia o esplorando nei minimi particolari ogni verso sublime da lui cantato.

Diciamo che la tradizione asserisce di essere Properzio un Mevanate, suffragata anche dallo stesso che nomina l'antica Mevania, allorchè più volte dichiara di proposito i suoi natali.

Visse sui principi dell'Impero di Augusto (circa 47 a. C.) e si rese così celebre per le sue "Elegie" che Mecenate, Cornelio Gallo ed Augusto medesimo, lo tennero assai in pregio e gli prestarono validissimi aiuti.

Da giovinetto perdette il padre Sesto Properzio, che fu sacrificato davanti l'Ara di Giulio Cesare con altri 299 Cavalieri, durante la Guerra di Perugia. Fu spogliato dei suoi beni e delle ricchezze domestiche da Ottaviano e lasciata Mevania, all'età di nove anni, probabilmente nel 36 o 37 a.C., si trasferì a Roma dove ricevette, grazie alla madre, una accurata educazione e dove potè poi dedicarsi interamente alla poesia.

Ancora giovanissimo, pubblicò nel 28 a. C. un libro di Elegie amorose dettategli dalla passione per una donna da lui cantata sotto il nome fittizio di Cinzia, ma che in realtà si chiamava, secondo Apuleio, Hostia.

Properzio la dice "culta et docta puella" ricca di tutte quelle doti care a Febo, Venere e Minerva. 

Di natura impetuosa, malinconica, mobilissima, ombrosa, sofferse molto per l'amore verso Cinzia, che l'amò di un amore esclusivo, anche se fu un amore tempestoso che finì, pare, dopo 5 anni con un litigio.

Mecenate lo prese nel suo Circolo quando conobbe questo primo libro e lo sollecitò a farsi anche lui cantore di Roma e della grandezza di Augusto.

Fu amico quindi dei grandi poeti di allora in special modo di Virgilio alla cui "Eneide" predisse gloria ("Largo, scrittori romani, largo scrittori greci, sta nascendo qualcosa di più grande dell'Iliade"), e ad Ovidio, al quale leggeva i propri versi.

Dal  28 al 14 a. C. (anno probabile della sua morte), scrisse altri tre libri di Elegie.

La sua opera comprende così 4 Libri o 5 secondo altri(il 1° Libro raccolto da lui e gli altri, postumi, dagli amici), per un totale di 100 Elegie.

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Quattordici città umbre se ne contendono la Patria: Bevagna, Spello, Assisi, Bettona, Urbinum Hortense, Spoleto, Perugia, Foligno Trevi, Montefalco, amelia, anna, Passignano.

Probabilmente era un campagnolo, di nessuna di queste città!

Properzio morì, poco più che trentenne, nel 14 a. C.

Riguardo alle lapidi mevanati, riferite alla Famiglia Properzia, non risultano essere le stesse falsificate o contaminate come asserito dal compianto Prof. Giovanni Forni durante il Convegno Properziano del Maggio 1985 (e precisamente il 24 Maggio), nella descrizione di tutti i Membri della "Gens Propertiana", a differenza di alcune esistenti ad Assisi.

Mevania fu molto trascurata nel raccogliere le Lapide che potevano trovarsi nel suo territorio (molte delle quali sono ancora sparse nelle case private) e questo suo "disinteressamento" contribuì, forse ad evitare contaminazioni delle lapidi stesse.

Poco distante dalla attuale Chiesa di S. Francesco, sulla via Flaminia, esiste un Fondo che molti autori ritengono essere stato del poeta e che attualmente, col nome deformato, si chiamo Collopopo, appunto da un frammento di lapide ivi rinvenuto con su la scritta, molto rovinata, in Colle Propertiacum (o Propertianum).

Vi è poi un'altra lapide in cui si presenta proprio un Properzio, entrato, per adozione, nella Gens Cesia e nominato perciò SEX CAESIUS PROPERTIANUS.

Altre testimonianze dell'attaccamento per il loro poeta, i Bevanati lo hanno dimostrato ampiamente dedicandogli prima, verso la metà del '600, una accademia, che per il noto epiteto dato da Properzio a bevagna, si chiamò Caliginosa e più tardi, nel 1792 risorse con maggiore impulso, per opera di Fabio Alberti, e prese il nome di Properziana.

 L'Alberti (pag. 11 della "Dissertazione Epistolare sulla Patria del Poeta Sesto Aurelio Properzio diretta al Reverendissimo Padre Don Giuseppe Di Costanzo", scrive:

 "Dite alla pag. 445, che Bevagna sia fatto priva di Iscrizioni parlanti della Famiglia Properzia, ma siete in errore. Due sono le Iscrizioni, che ancora ci rimangono della stessa Famiglia.

Una si conserva tra le altre nel nostro piccolo Museo Consolare, da Voi pur veduto, ed in essa si ha

SEX CESIO SEX F

PROPERTIANO

FLAMINI CERIALI

......AE  PROC

Con quello, che segue. Quel Propertiano ci addita uno della Famiglia Properzia adottato nella Cesia.

L'altra in oggi perduta, ma ci vien conservata in copia nella Raccolta dell'Iscrizione dell'Umbria del Jacobilli, dice: (In Colle Poppo Agri Mevanatis)

PROPERTIACUM

e viene pure trascritta dall'erudito Abate Gio. Domenico coleti nella Collezione delle Lapidi Bevanate num. 119 con farvi questa nota " Fortassis hoc fragmentum inservisset Cl. Fabii Albertii aureae Dissertationi de Propertii Patria. Videtur hic notari locus, vel fundus aliquis, cui nomen Propertiacum, a Propertia Familia, illius Domina".

Ecco ancora in Bevagna due Iscrizioni della Famiglia Properzia, senza che da Voi se ne dia la privativa al solo Assisi.

Attualmente esiste a suo nome un Parco bellissimo fuori il paese ed il Viale adiacente.

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Nel Teatro Torti, dipinto dal Bruschi nel 1886, vi era raffigurato sul sipario principale lo stesso Properzio nell'atto di indicare a Francesco Torti (altro difensore ed assertore delle radici mevanati del poeta), la sua Patria: l'antica Mevania Romana!

Secondo l'Alberti " I Bevanati illustri per lettere" dovevano essere raffigurati " nella stessa facciata dove erano quelli illustri per dignità e cioè a mano destra della sala Consiliare".

Il primo di questi doveva essere appunto Sesto Aurelio Properzio, rappresentato " In età fresca, di volto, ed ossatura gracile. Coronato di alloro. In mano un libro intitolato nel cartello al di fuori MONOBIBLOS" e la sua iscrizione doveva essere la seguente:

SEX AURELIUS PROPERTIUS PATRICIUS MEVANAS

ELEGIACORUM POETARUM FACILE PRINCEPS OBIIT AN ANTE

CHRISTUM XXV

 

 

 

 5° MEDAGLIONE

LUCIO ATAZIO MEMORE  

E' il quinto personaggio illustre di Bevagna, ascrivibile al II secolo d. C.Da una iscrizione, ripetuta sulle due facciate, e che era certamente inserita nella base onoraria di una statua, possiamo leggervi le elevate cariche civili e militari da lui ricoperte.Tale lapide, ora murata lungo la scalinata del Comune di Bevagna, fu trovata casualmente nel 1721, nei pressi della Fiammenga e ciò fa supporre che il territorio di Mevania Romana giungesse fin là, oppure, dato che nella stessa località, in vocabolo "Li Ciocchi", fu trovato un altro cippo funerario di un "Evocatus" (un veterano richiamato), della Legione XIII appartenente alla Tribù Lemonia, di Hispellum, si può pensare che in quei pressi passasse il confine tra Mevania, Hispellum e Fulginium.Nella sopra menzionata iscrizione, Lucio Atatio Memore era descritto come "Tribuno Militum" (grado militare nell'esercito romano: vi erano 6 Tribuni per ogni Legione, ma comandavano la stessa, formata da 6.000 uomini, più 300 Cavalieri, a turno, uno per volta), "Quattuorviro Quinquiennale" (il Municipio di Mevania era retto da Quattuorviri: in questo caso, essendo stati in carica nell'anno del censimento, erano detti anche Quinquiennali), "Pontefice" , carica importante nella magistratura Religiosa del Municipio che aveva la sorveglianza e il governo del culto religioso) e "Patrono del Municipio" (posizione eminente el Senato Municipale.Apparteneva alla tribù Atatia, di rango equestre e iscritta alla Tribù Aemilia e nota soltanto a Mevania.Fu Tribuno della V Legione Gemina e "Prefetto dei "fabbri" (corporazione di imprenditori e commercianti di legname e ferramenta)Era della Famiglia Aponia, onde di essa ne porta il cognome.Adottato poi nella Famiglia Atazia da Lucio Atazio Memore, lo vediamo chiamato nell'iscrizione Lucio Atazio Memore Aponio.Di questa Famiglia restano alcune iscrizioni: C.I.L. 7936 - 7937 - 5082E' rappresentato nel medaglione della Sala Consiliare, quasi di profilo, con baffi e lunghe basette.La sua iscrizione, dettata dall'Alberti, doveva essere:

L. ATATIVS MEMOR APONIVS PATRICIVSET PATRONVS MUNICIPII MEVANATIVM, nn

TRIBVNVS MILITVM QUAESTOR ET PONTIFEX FLORVIT SVB OTHONE

e doveva " vestire da soldato all'antica, con cimiero in testa e bastone in mano da Comandante e con un anello d'oro in dito". 

 

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6°   MEDAGLIONE  

PASSIENO     PAOLO  

 Circa 100 anni dopo la scomparsa di PROPERZIO che con le sue suggestive ELEGIE aveva lanciato e tracciato echi che poi dovevano assumere motivi e punti fondamentali di riferimento per la Letteratura avvenire, fiorì a Bevagna un altro illustre erudito e poeta PASSIENO PAOLO. E' il sesto personaggio effigiato nella Sala Consiliare del Comune. Visse all'epoca dell'Imperatore TRAIANO, il famoso Padre della Patria, nel 100 d. C.Le notizie riguardanti la sua "attività poetica" le possiamo trarre da PLINIO il GIOVANE, il grande oratore che visse in quell'epoca (62 - 113) e che era suo amico e che affermava essere PASSIENO concittadino e discendente di PROPERZIO. Tale discendenza legale e naturale asserita da Plinio (nipote?), potrebbe ritenersi inesistente poiché tenuto conto della vita e delle dichiarazioni di PROPERZIO, tutto fa ritenere che egli non fu ammogliato e non ebbe figli, anche se l'HERTZBERG suppone che il Poeta si fosse ritirato in Assisi e lì si sia sposato e vi abbia lasciato dei discendenti (tutte cose, queste, che non sono in alcun modo provate). Ci assicura il citato PLINIO nella Lettera 15 - LIBRO 6 - di essere stato PASSIENO "Illustre e dottissimo cavaliere romano" e parlando del medesimo in altra lettera (22 - LIBRO 9), ci dice che dal punto di vista poetico non era meno elegiaco che lirico e che nell'elegia aveva emulato il suo maggiore Properzio e nel lirico Orazio. Qualche critico assegna a PASSIENO la paternità dell'ultimo LIBRO delle Elegie di Properzio. Che la Famiglia PAOLA fosse in Bevagna[1][1] ce ne fa piena prova la Lapide esistente in FIRENZE e riferita dal MURATORI (Tom. 2 - Pag.1095 -N° 2) in cui si legge tra gli altri Soldati ivi nominati :ATTILIUS PAULUS MEVANAS e questa, riferendosi all'anno 194 d. C., viene a cadere sotto l'Impero di Settimio Severo, onde ATTILIO PAOLO sarà stato uno dei discendenti.                      Secondo l'Alberti doveva essere dipinto tra i Bevanati illustri per lettere nella "facciata a mano destra" (Terza Classe) e raffigurato " In età avanzata, coronato di alloro, con anello di oro, largo, ed erto in dito, ma senza pietra. Sul tavolino si pingerà un libro chiuso, ed il cartello al di fuori ELEGIAE ET LIRICA". La sua iscrizione doveva essere questa : 

PASSIENUS PAULUS PATRICIUS MEVANAS ET EQUESROMANUS POETA ELEGIACUS ET LYRICUS FLORUIT

SUB TRAIANO AN C 

 

7°   MEDAGLIONE  

[1][1] Fabio Alberti, nella “Dissertazione Epistolare sulla patria del poeta Sesto Aurelio Properzio diretta al reverendissimo Padre don Giuseppe di Costanzo”, a pag. 12 scrive: “L’altra cosa, che mi rimaneva da dire è, che Voi, pag. 453 e 445 tentate di attribuire ad Assisi PASSIENO PAOLO, discendente a Municipe di Properzio. Nelle due lettere di Plinio il Giovane, in ambedue a tal soggetto si dà il nome di Passieno = Passienus PAULUS = Passieni Pauli =.La vostra iscrizione Assisana dice = C. PASSENNO =Cosa dunque ha che fare la Famiglia PUSSIENA colla PASSENNA: tra l’una e l’altra evvi un gran divario; e questa svista in vostro pari è molto significante, e potevate fare a meno di produrre l’autorità del Volpi, che nulla fa al caso”.

 

 7°   MEDAGLIONE

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 SESTO   CESIO   PROPERZIANO

  Altro intrepido condottiero di Epoca Romana, di cui Mevania vanta i natali è SESTO CESIO PROPERZIANO. E' il settimo personaggio illustre effigiato nella Sala Consiliare del Comune. Apparteneva alla famiglia CAESIA, di rango equestre, che ebbe qualche importanza nel Municipio.Egli, probabilmente era figlio di una PROPERZIA e rivestì numerose cariche sia a Mevania che a Roma. Nella Raccolta Municipale (lungo la scalinata), è murata una ISCRIZIONE di pietra dura che sebbene non sia intera, tuttavia se ne comprende il primitivo significato.Essa fu donata da GIACOMO NIERI, nella cui casa rurale fu scoperta, insieme ad altre due, nell'anno 1778. Su questa Lapide sono elencate le Cariche rivestite in primo luogo che egli era PROCURATORE IMPERIALE (lasciti fatti o per testamento o per Legato, o per donazione o in altra maniera da qualcuno al Sovrano Regnante). Si può dedurre che l'Imperatore di allora, VITELLIO, possedesse pure a Mevania la sua rendita privata, ottenuta, forse, da qualche devoto ed affettuoso suddito.Ciò doveva per lo più accadere nei Municipi o Colonie più illustri e fornite di ricche Famiglie e perciò si dimostra ancora una volta, la grandezza e l'importanza della Mevania di allora. Oltre che Procuratore di questo Patrimonio Imperiale, posseduto a Bevagna, SESTO CESIO era anche Procuratore di tutte le varie eredità dalle quali veniva imposto, fin dall'epoca di Augusto, di trattenere la ventesima parte come contribuzione al sostentamento delle LEGIONI e, in caso di morte del Legionario, serviva come indennizzo agli eredi diretti del defunto. Seguitando ad interpretare la Iscrizione suddetta, apprendiamo che SESTO CESIO fu TRIBUNO militare della LEGIONE 4^ MACEDONICA, PREFETTO della 3^ COORTE degli ISPANI (Compagnia di Fanti) e che durante il servizio militare, fu decorato dell' "ASTA PURA" e della "CORONA MURALE".Tale premio si concedeva a colui che per primo salisse le mura nemiche. Nel Municipio Mevanate ricoprì la carica di Magistrato e Patrono ed insieme ad altri 3 insigni concittadini , presiedeva e governava la Città.La lapide termina con la scritta PATRON MUN a significare che durante quel periodo (I Sec. d. C.), SESTO CESIO amministrava Mevania da due Secoli ormai Municipio, che si reggeva con le proprie Leggi. Secondo l'Alberti doveva essere "vestito da soldato all'antica, con cimiero in testa , con corona militare d'oro in testa, ed un lungo bastone, senza pomo, e ferro e con anello d'oro in dito". La sua Iscrizione doveva essere la seguente :  

SEX CAESIUS PROPERTIANUS PATRICIUS MEVANASFLAMEN TRIBUNUS MILITUM ET QUAESTOR

FLORUIT SUB ANTONINO PIO 

  

8°       MEDAGLIONE  

S. VINCENZO 

 Il personaggio più venerato dai bevanati è senza dubbio S. VINCENZO che è il Patrono della Città.

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Negli autori che scrissero di lui c'è una netta divergenza per quanto riguarda il periodo nel quale egli visse.GIAMBATTISTA PIERGILI (1600 - 1678), che scrisse il racconto della VITA e il MARTIRIO del Santo, riporta la data di tali avvenimenti, compresa nel periodo 56 - 70 d. C., mentre gli altri studiosi, concordano che ciò avvenne nell'anno 300, al tempo dell'Imperatore DIOCLEZIANO. (non poteva essere altrimenti, perché la diffusione del CRISTIANESIMO in UMBRIA, risale al II Secolo d. C.). VINCENZO e BENIGNO erano due fratelli che, provenienti da GERUSALEMME, iniziarono ad evangelizzare l'Umbria sull'entusiasmo tracciato da S. PIETRO e che poi S. BRIZIO (?) consolidò consacrando VINCENZO, Vescovo di MEVANIA.In quel periodo di grande fervore religioso, troviamo anche S. FELICIANO che evangelizzava FULGINIUM e che predicava per la prima volta anche a Mevania e che morì durante la persecuzione di DECIO (249 - 251). Altre numerose persecuzioni dovevano manifestarsi in quei giorni ed appunto durante una di queste, probabilmente quella di Diocleziano e Massimino, che avevano retto in comune per 20 anni le sorti di Roma, VINCENZO e BENIGNO vengono imprigionati e condotti a Perugia. L'allora Pretore della Tuscia ed Umbria era CAPITOLINO che aveva incaricato il "Comes", il compagno di lavoro MAVORZIO, di provvedere con la forza a ricercare tutti i Vescovi Cristiani e di condurli al suo cospetto nell'AUGUSTA PERUSIA.Furono presi prigionieri, insieme ad altri cristiani e BENIGNO subito fu ucciso e il suo corpo, trasportato a Mevania da un tale EUSTASIO, fu seppellito non lontano dal piccolo PORTO sul CLITUNNO. VINCENZO, invece, dopo atroci tormenti, fu gettato nel Lago TRASIMENO con una pietra di macina legata e, sommerso, poco dopo riemerse libero da ogni legame e convertì gli stessi esecutori che lo portarono addirittura sulle loro spalle, fino a Mevania, dove gli furono tributati molti onori. Nel frattempo morì CAPITOLINO e il suo successore nel Proconsolato della Toscana e dell'Umbria, divenne il Senatore PORFIRIO che fece di nuovo catturare VINCENZO.  Dopo averlo rinchiuso per tre giorni insieme alle fiere, affinché vinte dalla fame lo sbranassero, queste bestie non lo toccarono e così PORFIRIO comandò di gettare il Vescovo nel Fiume CLITUNNO.La tradizione o leggenda dice che lo stesso PORFIRIO e 28 suoi uomini venissero inghiottiti dalle acque che improvvisamente comparvero dietro di loro. Dopo vario tempo VINCENZO, la domenica del 6 Giugno 303 "essendo Consoli RUFO e GALLO", mentre stava celebrando la Messa, rese l'anima a Dio. Anche dopo la sua morte i pagani infierirono sul suo corpo che gettarono nel CLITUNNO, ma una nobildonna di nome GLICERIA riscattò, con "Sessanta pesi d'oro", il corpo e lo seppellì presso un campo di sua proprietà chiamato "CAMPO DELLA SALUTE" e situato in un luogo "tra PORTILIONE e Mevania". I corpi dei Santi VINCENZO e BENIGNO ebbero varie vicende. Nel 969 DEODORICO, Vescovo di METZ, cugino di OTTONE II, ottenne dal Papa GIOVANNI XIII di portare a METZ molte reliquie di Santi, tra cui una parte del Corpo di S. VINCENZO che collocò in un Tempio dedicato all'omonimo Martire Spagnolo. Un'altra parte del Corpo di S. VINCENZO e quello di BENIGNO furono trasferiti a LUCCA, donati a quella Città da Papa LUCIO III nel 1184. Alcune reliquie di detti Santi vennero donate da questa Città, nel 1703, alla Comunità di TREVI che fin dal 1617 li aveva dichiarati suoi Compatroni e lo stesso fece BOVARA nel 1700.L'Urna argentea contenente i pochi rimasugli ossei venne donata, intorno al 1968, dall'allora Priore - Parroco di S. EMILIANO di TREVI Don DIAMANTE SANTUCCI, già Priore - Parroco di Bevagna, alla Parrocchia di BOVARA. Una Abbazia dedicata a S. VINCENZO esiste presso il PASSO DEL FURLO, nel territorio di ACQUALAGNA.Essa fu costruita nel VI Secolo, quando gli abitanti di Bevagna cercarono rifugio presso i Bizantini dopo la distruzione della loro Città e portarono in quel luogo munito, quanto di più prezioso possedessero e cioè le Reliquie del loro Vescovo e Martire. 

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Quelle Reliquie vennero poste nella Cripta di una Basilica pre-romana che forma oggi uno dei più importanti complessi monumentali della zona, con il Monastero che i Benedettini costruirono poi accanto alla Basilica che passò più tardi ai CAMALDOLESI. Sappiamo che nell'Abbazia di S. VINCENZO sostò vecchissimo, nel 1011, il Patriarca dell'Ordine SAN ROMUALDO e che vi fu Abate, nel 1040, SAN PIER DAMIANI, il suo maggior discepolo. Il Santo Patrono di Bevagna viene festeggiato il 6 GIUGNO e in quell'occasione viene portata in processione una STATUA in lamine di argento ed oro, opera di PETER RAMOSER  di BOLZANO, fusa nella Zecca di Foligno, al quale venne commissionata nel 1783 e che fu esposta, per la prima volta, il 25 AGOSTO 1785.Si svolsero grandi festeggiamenti e da una cronaca del tempo, risulta che in ogni piazzola del Paese, si costruirono fontane che gettavano vino e che addirittura i Sacerdoti uscissero dalla processione per andarlo a gustare. Altra STATUA (questa però lignea) del 1638, si trova attualmente nella Chiesa di S. Domenico. Riguardo agli affreschi e quadri esistenti a Bevagna, nei quali il santo è rappresentato, ve ne era uno, opera del MESASTRIS, che si trovava nella omonima Chiesa a lui dedicata (che attualmente è sconsacrata, poi adibita a magazzino ed infine, a causa di un incendio doloso, quasi crollata), di cui non si riesce a trovarne traccia.  Ho rinvenuto in un mercatino una incisione firmata da C. Camassei datata 1655, che riproduce la vera immagine della tela che fungeva da Pala d’altare della ex Chiesa di S. Vincenzo. Vi erano raffigurati vari personaggi. S. Vincenzo è posto al centro vestito dei paramenti vescovili e con il pastorale contenente lo stemma di Bevagna. Indica la città cinta da mura con i suoi campanili che viene sorretta da S. Benigno (vestito con la tradizionale dalmatica) e dal Beato Giacomo Bianconi. Alle spalle si individuano gli Evangelisti S. Luca, mentre sta dipingendo l’immagine della Vergine e la Maddalena con il vaso degli unguenti. Nella parte destra S. Marco intento a scrivere il suo Vangelo e Santa Cecilia con uno strumento musicale. In alto la Vergine con in grembo il Bambino benedicente e S. Anna (o S. Elisabetta?). Come pure esiste una sua STATUA (in gesso?) nella ormai abbandonata Chiesa della Madonna della Rosa e che fu realizzata con le "Pie Elemosine"nel 1719.In altri due quadri, uno di Andrea Camassei, l'altro di G. Battista Pacetti e in un affresco presso Porta Foligno, il Santo vi è raffigurato. S. Vincenzo è venerato quale protettore di varie comunità quali Vicenza, Bigarello (MN), Isera (TN), Miggiano (LE), Nolecanavese(TO), Saint Vincent (AO), Ugento (LE), Zenevredo (PV) Secondo l'Alberti S. Vincenzo doveva essere rappresentato nella facciata di mezzo della Sala Consiliare ed indicava: "Dovrà dipingersi in un quadro, o ovato maggiore degli altri, vestito di abiti Pontificali, colla mitra, pastorale, croce in petto, e anello in dito, e in atto di benedire”.  L'iscrizione da porsi sotto la figura sarà: 

S. VINCENTIUS MEVANATIUM EPISCOPUS ET PATRONUSSUB DIOCLETIANO ET MAXIMIANO VITAM DEDIT PRO

CHRISTO AN REP. SAL. CCCIII "  

  

9°   MEDAGLIONE  

CARD.   ANTONIO   ( o   AMBROGIO )   RAINALDI   

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Lasciato il periodo romano, con i suoi Eroi e Condottieri, avvolti da quell'alone di mistero e di ammirazione, ed addentrandoci nel periodo che segna l'inizio della rinascita Sociale e Religiosa, nel quale Bevagna si arricchisce entro le proprie mura delle due magnifiche Chiese di stile romanico, sorte per lo sforzo concorde dei suoi concittadini, troviamo effigiato un personaggio che lascia discutere i critici attuali. Infatti il nono Personaggio Illustre della Sala Consiliare del Comune che fa bella mostra di sé è il Cardinale ANTONIO RANALDI della nobile Famiglia discendente dai Conti di ANTIGNANO, il cui Capostipite MAINARDO, era venuto in Italia al seguito di OTTONE III. Lo JACOBILLI, nel "Preludio alla Vita del Beato Giacomo Bianconi" accenna a questo Cardinale dicendo che fu elevato alla dignità Cardinalizia da Papa MARTINO IV nel 1281, col titolo di S. NICOLA in CARCERE TERTULLIANO.Dà poi un'altra notizia affermando che egli era strettamente imparentato con il grande Cardinale Minorita MATTEO d'ACQUASPARTA.           Fin qui le notizie, anche se un po' scarne, riguardanti il personaggio.  Gli Amministratori bevanati del tempo decisero quindi di "includere" tra gli uomini Illustri anche il titolato RAINALDI che il pittore Piervittori dipinse di profilo e con la rituale mazzetta vermiglia tipica dei Cardinali. Ora invece, stando ad una ricerca del Prof. Carlo Pietrangeli, Direttore Generale dei Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie, emerge che il Cardinale ANTONIO RAINALDI non sarebbe neanche esistito! Tutto questo non sarebbe altro che una delle tante "fantasie" del famoso falsario di Bevagna ALFONSO CECCARELLI ! Infatti tra le "creature" di Papa MARTINO IV elevate alla dignità Cardinalizia il 12 Aprile 1281, non figura alcun RAINALDI, anzi esiste un Cardinale Diacono di S. Nicola in Carcere Tertulliano che è BENEDETTO CAETANI, il futuro BONIFACIO VIII. Come si può constatare anche il celebre Sacerdote - storico Ludovico Jacobilli di Foligno (che nella sua Biblioteca privata ospitava oltre ventimila volumi), cadde nell'infortunio di citare il Cardinale ANTONIO RANALDI, forse tratto da qualche antico autore, frutto appunto della fantasia del CECCARELLI.  Secondo l'Alberti i bevanati della seconda classe distintisi per dignità, dovevano essere raffigurati "nella facciata a mano destra della Sala del Consiglio”. E il Cardinale AMBROGIO RANALDI "doveva essere vestito da Cardinale in età provetta, con berretta in testa, e con barba e la sua iscrizione era la seguente : 

AMBROSIUS DE RANALDIS PATRICIUS MEVANASS. R. E. CARDINALIS CREATUS A MARTINO IV

AN MCCLXXXI  

  

10°   MEDAGLIONE  

GIOVANNI   BIANCONI  

 Il 10° Personaggio Illustre effigiato nella Sala Consiliare di Bevagna è GIOVANNI BIANCONI. Di questo personaggio, purtroppo, nonostante assidue ricerche nell'Archivio della Biblioteca Comunale, non si è riusciti a documentarne le gesta, né la Vita. L'Alberti, che lo aveva elencato nella "Classe Quarta" (cioè in quella a cui appartenevano i Bevanati Illustri nelle Armi), non ne tracciò però il profilo, ma soltanto indicò la scritta che doveva apparire sotto la sua effigie e che doveva essere la seguente : 

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IOANNES DE BLANCONIBUS PATRICIUS MEVANASINTER PRIMOS PROVINCIAE DUCES AC DE PATRIA

ET CIVIBUS OPTIME MERITUS FLORUIT AN. MCCLXXXV Doveva essere "vestito da guerriero con elmo e casacca di ferro". Sappiamo quindi che egli era un COMANDANTE, un esponente importante; uno tra i primi cittadini della Provincia che ben meritò questa PATRIA e che raggiunse il culmine della potenza nel 1285.Poiché altri due personaggi posseggono lo stesso nome e cognome, è nato anche un piccolo equivoco di individuazione, anche perché essi vissero quasi nello stesso periodo.Uno era il GIOVANNI BIANCONI, padre del Beato Giacomo e l'altro il BIANCONI del 1440, circa, Vicario Generale di Spoleto che fu l'ultimo della Famiglia Bianconi, che appunto si estinse con lui (VICARIO era quel Magistrato che nei piccoli Comuni era il Capo effettivo e locale dell'Amministrazione Comunale, anche se c'era il Podestà).  

 11°   MEDAGLIONE

 BEATO   GIACOMO   BIANCONI

  I personaggi illustri finora presentati, possiamo ritenerli circondati da quell'alone di mistero che li contraddistinse in vita e che alimentò l'immaginazione dei primi storici locali che li decantarono quali l'Alberti, il Piergili e lo stesso Alfonso Ceccarelli.  Essi in effetti appartenevano a quel periodo oscuro nel quale testimonianze e fatti reali erano tramandati e forse distorti con il concorso appunto dell'immaginazione e di chi se ne occupò. Ora però questo non avvenne per il personaggio di cui parleremo e di cui Bevagna vanta i natali e al quale dedica la sua costante, duratura venerazione: non c'è bevanate che non rivolga, almeno una volta, un pensiero, una raccomandazione a lui.Nel periodo di Agosto, le celebrazioni in suo onore restano immutate nel tempo ed ogni anno ci si adopera per fare in modo di renderle più efficaci e profonde. Ma chi è questo personaggio che attrae con la sua grande personalità ed esercita un così profondo fascino su ogni cittadino di Bevagna? 

E' il BEATO GIACOMO BIANCONI. 

Egli era nato il 7 Maggio 1220 da Giovanni Bianconi e da Vanna di Celso Alberti. [1][2]Fin dalla nascita si erano manifestati diversi prodigi quali la comparsa di tre Lune e di tre Soli nel cielo, tutti motivi per accostare l'evento ad un fatto straordinario[2][3].[1][2] I Bianconi fecero parte fin dagli inizi del ‘400 delle poche famiglie costituenti il nucleo nobiliare di Bevagna, era ritenuta tra le primarie fin dal secolo XIII. Si estinsero nel ‘400 con un Giovanni, Vicario Generale di Spoleto. Il loro stemma, tratto da un fascicolo di 45 fogli, inserito nel 1702 tra gli atti del Notaio Egidio Sperelli in cui vengono riprodotti gli stemmi e la storia delle famiglie illustri bevanati, è il seguente: “Fascia orizzontale argentea di partizione. Nella parte superiore a fondo verde, ci sono tre gigli posti in fascia, in quella inferiore, a fondo rosso, tre scaglioni d’argento”.[1][3] Il Piergili, nella “Vita del Beato giacomo Bianconi – MDCCXXIX “ – scrive: “ Nato il Bambino con applauso, & allegrezza di tutto il Parentado, e della Patria, fu conforme al costume della Chiesa Cattolica portato alla Chiesa di S. Vincenzo, e quivi nell’onde del Sacro Fonte, fu lavato dalla originaria colpa, e regenerato a Giesù Christo, fù arrolato nel numero di coloro, che ricevono in questo Sacramento l’innocenza Battesimale” GIACOMO, all'età di 16 anni, affascinato dalla parola di due Religiosi dell'Ordine dei Predicatori, venuti a Bevagna per la Quaresima del 1236, volle seguirli, all'insaputa dei genitori, a Spoleto per meglio conoscere la Dottrina di DOMENICO di GUZMAN ed accettarne la Regola.

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 GIOVANNI e VANNA non poterono far altro che constatarne ed approvare la vocazione che si era manifestata così ardente in lui.Quando giunse il momento di passare agli Studi teologici, GIACOMO ebbe la fortuna di essere mandato a COLONIA dove le vie del sapere venivano indicate dal più grande Maestro di quel tempo : ALBERTO MAGNO.Terminati gli studi, l'Ordine nel quale egli militava, lo creò Priore di alcuni conventi; due soli dei quali sono a nostra conoscenza: ORVIETO e PISA.In Orvieto ebbe occasione di coabitare a lungo con il più grande dei suoi compagni: TOMMASO D'AQUINO, mentre a Pisa la sua missione fu assai difficile perché la Città era apertamente ghibellina e quindi ostile al Pontefice e ai suoi rappresentanti.Egli lasciò però perdere la sicura scalata alle più alte cariche e dignità dell'Ordine per accorrere nella sua Bevagna che, reduce dal sacco che ne aveva fatto il Conte d'Aquino, per ordine di FEDERICO II, era ormai una Città desolatamente smarrita e distrutta di energie. Con opera illuminata e saggia egli convinse i conterranei a far si che Bevagna risorgesse dalle rovine materiali e si elevasse nelle virtù morali e nacquero così una serie di edifici pubblici e privati tra cui il Palazzo dei Consoli.Nel 1291 il Beato si fece assegnare dal Comune la Chiesa di S. Giorgio e vi fondò un Convento di domenicani e la Chiesa che poi prese il nome dei SS. Domenico e Giacomo. In questa stessa Chiesa egli fu sepolto nel 1302 in un'arca di marmo ornata, con al centro lo stemma antico di Bevagna (tre vasi di miele). Nel 1629 - 30 fu beatificato da URBANO VIII e per l'occasione fu rifatto il Chiostro del Convento dei Domenicani che più tardi (1640 - 1641) fu decorato da G. B. Pacetti detto lo Sguazzino con 26 lunette (ora malridotte) rappresentanti episodi della vita e miracoli del Beato. Nel 1832 un terribile terremoto devastò le terre delle Marche e dell'Umbria e lasciò quasi incolume Bevagna. Per questo fu decretato per cento anni un votivo contributo di riconoscenza al Beato Giacomo, invocato in quella tragica occasione e che ascoltò le suppliche dei suoi concittadini. Il corpo del Beato riposa ora in un'urna di bronzo dorato dal 1686, mentre una sua Reliquia (parte sinistra del piede), si conserva nella Chiesa di S. Liborio, a COLORNO, in provincia di Parma, donata dal Duca FERDINANDO di BORBONE e dove, il 23 Agosto, come a Bevagna, il Beato veniva ricordato. Secondo l'Alberti il Beato Giacomo era tra i bevanati illustri "fioriti in santità" ed appartenente alla Prima Classe. Doveva per questo essere raffigurato nella facciata di mezzo della Sala Consiliare, vestitoda "Domenicano nell'atto di ricevere l'aspersione del sangue. In tavolino a parte tre caratte , sino al mezzo col vino rosso, ed una croce sopra ciascheduna, e tre libri in foglio chiusi, e nel cartello al di fuori, in uno "SPECULUM HUAMANITATIS CHRISTI. Nel secondo SPECULUM PECCATORUM e nel terzo SERMONES VARII. L'iscrizione corrispondente doveva essere la seguente: 

B. IACOBUS DE BLANCONIBUS PATRICIUS MEVANASVITAE SANCTITATE DOCTRINA ET MIRACULIS SATISCLARUS AC DE PATRIA OPTIME MERITUS IN PACE

QUIEVIT AN MCCCII   

  

12°   MEDAGLIONE  

TOMMASO   RAINALDI   

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Altro personaggio illustre della Bevagna medievale che si distinse fuori della sua Patria per le alte cariche di responsabilità fu TOMMASO RAINALDI della Nobile Famiglia dei Conti di Antignano. Era discendente, insieme con i suoi due fratelli GELLO II e NINO, da RAINALDO che nel 1287 aveva sposato PIACENZA, figlia di TRINCIA TRINCI di Foligno. Le tappe più importanti della sua carriera sono quelle che lo vedono nel 1316 PODESTA' di VOLTERRA e poco dopo, nel 1320, Capitano valoroso dell'antica URBIS VETUS, cioè dell'etrusca ORVIETO.Egli aveva quindi il compito di condurre le milizie in guerra, tenere il Sigillo, avere la responsabilità delle Fortezze e della custodia del Patrimonio Comunale. In questa Città, che fin dal 1199 aveva nominato il suo primo Podestà ( a Bevagna tale elezione era avvenuta con i Consoli 12 anni prima), il RAINALDI dovette certo trovarsi implicato nelle lotte cittadine che divamparono fra le opposte fazioni dei MONALDESCHI (guelfi) e dei FILIPPESCHI (ghibellini). Per sedare il conflitto, nel 1281 - 84, MARTINO IV vi si era stabilito riempiendo la Città di francesi contro i quali il popolo si ribellò. Riaccesisi le lotte, i FILIPPESCHI furono, nell'Agosto del 1313, cacciati; sorsero le Fazioni dei BEFFATI e dei MALCORINI, nelle quali si divisero i MONALDESCHI.Non si sa per quanto tempo TOMMASO RAINALDI fu Capitano di Orvieto, ma certamente fu spettatore diretto di parte della costruzione del famoso DUOMO, che iniziato il 13 Novembre 1290 da Papa NICOLO' IV, fu terminato dopo tre secoli.Egli certamente assistette all'inizio dei lavori per la costruzione della facciata e della copertura del tetto della Chiesa che si realizzava sotto la direzione di LORENZO MAITANI, nominato Capomastro dell'opera e alla decorazione della stessa ad opera di PIETRO di LELLO e VANNOZZO di Mastro PIERINO (1321-1330). Il MANENTE, nella sua "ISTORIA DI ORVIETO - ANNO 1320", riferisce e conferma che TOMMASO RAINALDI era Capitano nello stesso anno. Nel 1329, seguitando una tradizione che voleva la Famiglia RAINALDI presente nel nome di Bevagna nelle Marche, lo troviamo PODESTA' di RECANATI dove pochi anni più tardi, esattamente nel 1344, venne eletto per lo stesso incarico, suo fratello GELLO II ed ancora, nel 1383, vi fu Vescovo un suo nipote. Secondo l'Alberti TOMMASO RAINALDI doveva essere raffigurato vestito da guerriero con elmo, e casacca di ferro e la sua iscrizione doveva racchiudere queste parole: 

THOMAS DE RANALDIS PATRICIUS MEVANASVIR STRENUUS ET DUX URBIS VETERIS

FLORUIT AN MCCCXX  

  

13°   MEDAGLIONE  

EGIDIO   D'ALESSANDRO  

 E' il 13° personaggio effigiato nella Sala Consiliare di Bevagna. La sua era una Famiglia ricca, collaterale dei Conti di Antignano, che possedeva vasti appezzamenti e che annoverava fra le sue proprietà anche i Castelli di GIRONE e di GUALDO CATTANEO, che durante la prima metà del XIII Secolo, vennero venduti, con tutti i diritti, per intromissione di OFFREDUCCIO di GREGORIO, al Pontefice GREGORIO IX. Quale fosse il prezzo della cessione non lo sappiamo, ma l'essersi spogliato dei propri possedimenti, per aderire ad un desiderio del Pontefice, dovette essere una delle ragioni che spinsero EGIDIO, suo nonno, ad

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abbandonare Bevagna e a cercare maggiori fortune in un più vasto ambiente, che trovò presso la Corte Angioina. Qui, con il favore di CARLO I per il Nobile EGIDIO comincia la scalata della sua Famiglia quando il Sovrano affida a FILIPPO, suo figlio, la missione di andare, nel 1281, in Alemagna a prelevare la Principessa CLEMENZIA (figlia di RODOLFO, Re dei Romani), destinata a venire in Italia per sposare CARLO MARTELLO, che poi divenne Re d'UNGHERIA. Dopo 50 anni di silenzio, l'EGIDIO, personaggio illustre di Bevagna, nipote del primo EGIDIO, si sente nuovamente nominare in quella Corte.Siamo nel 1332 e lo troviamo nella nuova Società istituita da ROBERTO d'ANGIO', sotto le vesti di gentiluomo di Corte, nominato e armato CAVALIERE e quattro anni dopo, primo dei 17 PAGGI di quella gran Corte. Nel 1339 è già Consigliere del re di Napoli e da questi viene elevato al grado di CIAMBELLANO (cioè Ufficiale addetto agli appartamenti e al Tesoro del Sovrano).Assieme alle onorificenze , giungono anche le ricchezze, quali le terre di VALLEBUONA e della ROCCA e le case dette dell'ALMIRANTE in BRINDISI. Prima della morte del suo Re, EGIDIO può divenire Signore di MONTEFALCIONE, in provincia di Avellino e MAESTRO RAZIONALE della GRAN CORTE. Il 19 Gennaio 1343 muore ROBERTO e gli succede la turbinosa e malvagia figlia GIOVANNA alla cui investitura, fra i testimoni, è presente lo stesso EGIDIO. Dopo 10 anni e precisamente il 23 Aprile 1353, egli morì e lasciò tre figlie: GIOVANNA, FILIPPA, e LETIZIA che sempre ebbero legami con la Corte Napoletana.Il corpo di EGIDIO fu sistemato nella Chiesa di S. Domenico nella Cappella della Marra, dove una Lapide in marmo indicava che là giaceva il Corpo di EGIDIO da BEVAGNA, Maestro Razionale della Gran Corte, morto nell'anno del Signore 1353. Secondo l'Alberti doveva essere raffigurato tra gli uomini illustri bevanati "chiari nelle armi e nella Classe Quarta", vestito da guerriero con elmo e casacca di ferro e doveva avere questa iscrizione: 

AEGIDIUS ALEXANDRI PATRICIUS MEVANASCASTRI GIRONAE ET ARCIS GUALDI CATTANI

CONDOMINUS MILES MAGNAE REGIAEFAMILIAM BEVAGNA EX PATRIAE NOMINE

NEAPOLI FUNDAT OBIIT AN MCCCLIII  

 14°   MEDAGLIONE

 CARD.   ANGELO   RAINALDI

  Una delle più interessanti figure di bevanati illustri che vissero ed operarono fuori del loro paese, fu certamente quella del Card. ANGELO RAINALDI, figlio di GELLO II discendente da un RAINALDO, del Ramo dei Conti di Antignano. Nella Sala Consiliare, sotto la sua austera figura compare invece la scritta Card. ANGELO CINI[3][4] in quanto, non si sa perché, molti scrittori cominciarono a cambiargli nome, facendone un Cardinale CINI o CINO. Poiché nessuno degli studiosi di Bevagna volle interessarsi della sua persona con "amore di cittadino e con cura di storico" non si preoccuparono neanche che a Bevagna mancasse del tutto una Famiglia di tal nome e si continuò a chiamarlo CINI. 

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Era nato verso il 1340 e all'età di 31 anni, dopo essere stato Priore della Chiesa Collegiata di PREGIO, fu chiamato dal Vescovo della sua Diocesi, prima come Vicario Generale di PERUGIA e poi come Auditore data la sua qualità di Dottore in Legge. Nel Marzo del 1383 fu da URBANO VI nominato Vescovo di MACERATA e RECANATI che resse per 30 anni, dimostrando grandi doti di legislatore nel compilare egli stesso, il testo delle Leggi, nel 1404, della Città di RECANATI, che poi vennero adottate integralmente, qualche anno dopo, anche da CINGOLI e da JESI.A parte il grado di dignità nella Gerarchia Ecclesiastica, il RAINALDI ebbe mansioni assai importanti durante uno degli Scismi più furiosi e intransigenti che la Chiesa Romana abbia annoverato.Sarebbe troppo lungo seguir particolarmente quelle vicende e narrare i contrasti che il Card. RAINALDI ebbe con i fautori dell'Antipapa o con i VARANI, Signori di Camerino.Il suo tenace attaccamento alla Chiesa di Roma e la sua conseguente azione fatta di fermezza e di prudenza, indussero GREGORIO XII a nominarlo, il 18 Settembre 1408, Cardinale con il titolo di SANTO STEFANO in Monte Celio, e il 30 Gennaio 1410, Legato della Marca Anconitana e di Massa Trebaria. Morì nella fedelissima RECANATI il 21 Giugno 1412 e volle essere tumulato nella Cattedrale, dove una iscrizione lo ricorda con questa parole : 

REVER, D. A. CARD. RECANATI OBIITVIGESIMO PRIMO JUNII A. D. MCCCCXII

CUIUS ANIMA SIT IN PACE Secondo l'Alberti doveva essere raffigurato "vestito da cardinale, con volto più tosto (riguardo a quello di Ambrogio Ranaldi), truce e barba canuta, e colla croce vescovile in petto".Questa era l'iscrizione: 

ANGELUS CINUS PATRICIUS MEVANAS S. R. E.CARDINALIS ET EPISCOPUS RECINETI LITTERIS

ET ARMIS CLARUS OBIIT AN MCCCCXIV Nella Cripta della Chiesa di S. Michele a Bevagna, una lapide che riassume su 17 righe il suo elogio funebre, è ancora visibile. Il prof. Pietrangeli in una lettera inviatami in data 25 -10 -85 a riguardo scrive: " Cardinale ANGELO CINI: sono convinto che lo Spetia abbia ragione e che si tratti di un membro della Famiglia RAINALDI. Comunque molte notizie su lui sono consultabili alla relativa voce del Dizionario Biografico degli Italiani curato da MICHELE FRANCESCINI che non sospetta che vi sia una confusione di nomi. Altrettanto dicasi per la HIERARCHIA CATHOLICA MEDII AEVI ove il CINI figura tra le "creature" di GREGORIO XII, il 19 Settembre 1408".  

  

15°   MEDAGLIONE  

ANDREA   CAMASSEI  

 Mancava tra i personaggi illustri di Bevagna passati finora in rassegna, un artista la cui fama avesse fatto conoscere e stimare il nome della sua patria: ebbene questo vuoto si colma con la presentazione del 15° personaggio effigiato nella Sala Consiliare del Comune.Si tratta di ANDREA CAMASSEI, un pittore significativo nella storia di Bevagna e nel suo tempo del quale si conservano tuttora opere in numerose località quali ROMA (n.22), BOLOGNA 1), MACERATA (n.1), FOLIGNO (n.1), SPELLO (n.4), e la natia BEVAGNA (n.13) per citare quelle a noi più vicine e in altre Città Europee come PARIGI (n.8), DUSSELDORF (n.7), MADRID (n.1), al LOUVRE (n.3) e in INGHILTERRA per dare un'idea della sua fiorente attività non ristretta al solo circondario dove egli visse. 

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ANDREA CAMASSEI nacque a Bevagna nel 1602 [4][5]da un conciatore di canapa e commerciante di quelle tele per le quali andava famosa la cittadina umbra e da cui prendevano il nome per distinguerne la qualità "tele Bevagna", che venivano esportate sino in Germania. Poco o nulla sappiamo dei primi anni della sua vita, ma almeno dal lato artistico non ci riesce difficile ricostruirlo. Manifestò infatti grande attitudine per la pittura fin da piccolo per cui il padre lo mandò, per fargli apprendere i rudimenti dell'Arte, presso la Scuola di ASCENSIDONIO SPACCA, detto "Il Fantino", che lo esercitò più sul lato morale ed umano che su quello prettamente artistico dato che in quel tempo la Scuola Umbra aveva esaurito ormai la sua carica vitale. Non pago di questo, il padre, dopo poco, per assecondare il figlio alla sua inclinazione, lo mandò a Roma, dove l'ambiente romano, al contrario, era in fermento, da un lato, per l'apparire improvviso e rivoluzionario di un CARAVAGGIO, dall'altro per la presenza dei CARACCI con il DOMENICHINO, il RENI, il GUERCINO. E proprio con il DOMENICHINO il giovane CAMASSEI ebbe la fortuna di incontrarsi ed iniziare i suoi primi passi ed intraprendere quel periodo di apprendimento che lo inserì poi in quel mondo classico di cui rivisse i grandi ideali alla maniera equilibrata e sobria del maestro bolognese. In quegli anni ANDREA CAMASSEI visse abitualmente a ROMA che proprio in quegli anni, sotto il Pontificato di URBANO VIII e sotto il dominio politico ed economico della Famiglia BARBERINI, andava assumendo, ad opera dei più diversi artisti, il suo inconfondibile carattere di Città barocca.Entrò nelle grazie di un componente la importante Famiglia e precisamente del Principe Don TADDEO BARBERINI ed anche per le sue indubbie qualità, ebbe l'incarico di abbellire il Palazzo che quei Signori avevano comprato dagli SFORZA, vicino alle Quattro Fontane. Da allora cominciò la luminosa carriera del pittore bevanate, che protetto da questa illustre Famiglia, lavorò in molte Chiese romane tra cui il PANTHEON e in molti Palazzi, tra cui PALAZZO DORIA e VILLA CHIGI a CASTEL FUSANO. Nella sua Bevagna, che spesso rimpiangeva, tornò varie volte e durante questi suoi repentini viaggi, ebbe modo di affrescare, in S. Michele, la CAPPELLA del CARMINE, che è l'opera più imponente che resti nella sua Città natale. Altre opere che si possono ammirare, sempre in Bevagna, sono: "Il Martirio di santa Margherita" e le sei scene della VITA di S. FILIPPO NERI. ANDREA CAMASSEI morì a ROMA nell'anno 1649.  

  

16° - 17° - 18° -     MEDAGLIONE  

FRANCESCO   MARIA   ALBERTI ANNIBALE   RAINALDI SCIPIONE   ALBERTI

  Altri tre Personaggi illustri di Bevagna, vissuti nella metà del 1500, hanno tramandato ai posteri i loro nomi e le loro meritorie gesta umane, anche se queste non furono dagli Storici prese molto in considerazione e descritte nei loro particolari. Due di questi personaggi sono accomunati per aver appartenuto entrambi all'ordine Cavalleresco di SAN MAURIZIO e SAN LAZZARO e sono: FRANCESCO MARIA ALBERTI e ANNIBALE RAINALDI. 

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L'altro, che ha qualche attinenza sul piano militare, è SCIPIONE ALBERTI. L'Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro fu istituito nel 1572 ed aveva carattere religioso. Derivava dalla fusione dei due Ordini che erano stati fondati a GERUSALEMME nel 1119 durante la 1^ Crociata e sotto il Regno di BALDOVINO I di BUGLIONE per assistere i lebbrosi. Sorsero più tardi dei complessi ben delimitati e sorvegliati in cui si ricoveravano individui colpiti da peste, colera, febbre gialla o altre malattie contagiose, sbarcati da navi provenienti da paesi in cui infierivano tali malattie e che furono chiamati "LAZZARETTI" dal nome dell'Isola di S. MARIA di NAZARETH (Venezia), detta anticamente NAZARETHUM con l'influenza di "LAZZARO", lebbroso. In Umbria il più celebre "Lazzaretto" ebbe vita in Comune di PRECI, a metà strada con CERRETO, nella Valnerina, e precisamente a VALLONCELLO dove esistevano anche sorgenti solfuree che servivano i bagni di cui restano ancor oggi i ruderi. GREGORIO VIII nominò Gran Maestro dell'Ordine il Duca EMANUELE FILIBERTO di SAVOIA (1553 - 1580) il quale stabilì le norme per l'ammissione e nominò le insegne e dotò l'Ordine di beni. Dopo la costituzione del Regno d'Italia l'Ordine continuò ad essere elargito insieme agli altri tre Ordini Cavallereschi del Regno di Sardegna.Ancora tale facoltà di nominare, ma con evidente diverso scopo, CAVALIERE dell'ORDINE di S. MAURIZIO e S. LAZZARO apparteneva al defunto UMBERTO II di SAVOIA. Appartenere a quest'Ordine ed essere insigniti di questa alta onorificenza, fu per i due bevanati, discendenti da famose ed illustri Famiglie, motivo di grande orgoglio anche perché la loro opera fu messa al servizio dei sofferenti e quindi fu anche una missione. Tale Ordine, all'inizio, aveva lo scopo di combattere i Turchi e i Corsari barbareschi. Di FRANCESCO MARIA ALBERTI sappiamo che durante la famosa "Guerra del sale" fu incaricato dal Comune di Bevagna (nel 1542) di recarsi a Perugia per perorare alcuni interessi della Città presso il Papa PAOLO III.Secondo l'Alberti doveva essere raffigurato "vestito da Cavaliere dell'Ordine de' SS. Maurizio e Lazzaro" e la sua iscrizione doveva contenere queste parole: 

FRANCISCUS MARIA DE ALBERTISPATRICIUS MEVANAS EQUES

SS. MAURITII ET LAZARIAN MDXLVII

 Riguardo a questa iscrizione si legge una notizia dubbia : che FRANCESCO MARIA ALBERTI sia stato insignito dell'Ordine di S. Maurizio e Lazzaro prima che l'Ordine stesso fosse stato istituito, e cioè nel 1547.... Di ANNIBALE RAINALDI sappiamo che fu Podestà di Serra S. Quirico nel 1595 e molto amico del famoso falsario ALFONSO CECCARELLI il quale lo volle ricordare in una lettera scritta prima di essere condannato a morte a Roma. Secondo l'Alberti doveva essere raffigurato “vestito da Cavaliere dell'Ordine de' SS. Maurizio e Lazzaro” con la seguente iscrizione : 

HANNIBAL DE RANALDIS PATRICIUS MEVANASORD. SS. MAURITII ET LAZARI EQUES AN MDLVI

  Dell'altro personaggio SCIPIONE ALBERTI sappiamo che era un Capitano e che si era contraddistinto in combattimento a MONTEMURLO, nella guerra contro i Senesi. 

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Secondo l'Alberti doveva essere raffigurato vestito con elmo in testa, ed armatura di ferro e con una iscrizione contenente le parole: 

SCIPIO DE ALBERTS PATRICIUS MEVANASVIR ARMIGER ET DUX IN BELLO SENENSI

FLORUIT AN MDL  

  

19°   MEDAGLIONE PIETRO   MARTIRE   FROSCIANTE

  Nella rassegna degli uomini illustri raffigurati nella Sala Consiliare di Bevagna, siamo giunti a parlare di coloro che vissero ed operarono nel 1600, secolo ricco di scrittori che si cimentarono e si dilettarono per lo più in studi classici dando alle stampe numerosi scritti ricchi di spunti poetici e di dissertazioni importanti che spaziavano dall'argomento giuridico a quello musicale, dall'argomento medico a quello religioso. Ben 15 scrittori importanti, fioriti in quel tempo, tennero alto il nome di Bevagna, da Venezia a Perugia, da Spoleto a Roma. Tra questi, il primo della serie è Padre Fra PIETRO MARTIRE FROSCIANTE, un Predicatore Generale dell'Ordine dei Domenicani. Sono poche le notizie riguardanti la sua vita. Possiamo intuire che si dedicò con passione e zelo alla sua opera di richiamo alla virtù e alla pietà quale esponente attivo dell'Ordine, non tralasciando quegli studi particolari che lo avevano attratto e cioè lo studio del GLOBO TERRESTRE e lo studio dell'UNIVERSO. I Padri J. QUIETIF ed J. ECHARD nel loro "Scrittori dell'Ordine dei Predicatori" edito a Parigi nel 1719, lasciarono di questo personaggio (nel Tom. 2 - Pag.329), una piccola descrizione sulle opere per le quali Fra PIETRO MARTIRE FROSCIANTE (che assunse questo appellativo dall'omonimo frate DOMENICO di Verona, vissuto nel 1200 ed elevato a santità l'anno successivo alla sua morte avvenuta nel 1252), andò famoso. Essi affermavano che esisteva presso la Biblioteca di S. Marco a Firenze (nell'armadio II - n. 195), una sua opera sulla raffigurazione del GLOBO e sul modo pratico di misurare i terreni. Asseriscono poi che Fra PIETRO aveva scritto e tradotto dal ciriaco brani tratti da LEOVIZIO BOEMO ed altri tratti dalle TAVOLE della "RUTENICIA" (Romania) anch'esse tradotte dall'arabico dal pezzo originale di TOLOMEO nei quali si parla e vi sono rappresentate le altezze relative alle stelle. I due scrittori terminano dicendo che per queste opere così importanti, ammiravano giustamente le riflessioni che l'illustre mevanate aveva inserito. Frà PIETRO scrisse anche alcune lettere riguardanti la vita e le opere del Beato Giacomo. Secondo l'Alberti doveva essere raffigurato vestito da "Domenicano con tre libri: uno intitolato nel cartello al di fuori: STATICA, il secondo EXCERPTA ed il terzo TABULAE ALTITUDINIS STELLARUM".  L'iscrizione doveva essere questa:  

PETRUS MARTIR MEVANAS ORD.PRAEDICATORUM VIVEBAT AN MDCXL

  

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20°   MEDAGLIONE  

CRISPOLTO   ANTICI  

 Altro personaggio illustre di Bevagna che si distinse per le sue qualità di scrittore di Epigrammi e liriche varie in lingua latina, fu CRISPOLTO ANTICI. Apparteneva alla antica Famiglia degli ANTICI, da tempo estinta e che nel 1500 era a Bevagna una della Famiglie più importanti, nota per medici e giureconsulti. Lo attestano un ricco Altare ligneo del 1594 nella Chiesa della Annunziata di Capro, la Cappella gentilizia e le Tombe nella chiesa del Beato Giacomo, la decorosa casa cinquecentesca costruita sul Corso di Bevagna ed un elegante fregio di camino rinascimentale con il loro stemma (Una Rovere sradicata coi rami passati in doppia Croce di S. Andrea), che si conserva attualmente nella raccolta lungo la scalinata del Comune.Tra i membri di questa Famiglia vanno ricordati il giureconsulto VINCENZO ANTICI, che insegnò nella Università di Siena, morto nel 1552, PROPERZIO ANTICI illustre medico, morto nel 1596, BENEDETTO ANTICI che prese con altri l'iniziativa ( nel 1569) di fondare la "Compagnia della Misericordia" e poi ancora il medico BALDO ANTICI del 1590, il Capitano PROPERZIO ANTICI (Junior), figlio di VINCENZO (Junior) che fu Capoconsole a Bevagna nel 1640 ed ancora TULLIA e CELSO che fu Commissario apostolico a Gualdo Tadino ed infine il nostro CRISPOLTO ANTICI, che abbracciò l'Ordine Sacerdotale.Fu infatti precettore del seminario FELICI di SPELLO, istituito da URBANO VIII° nel 1628. Scrisse in latino anche l'ORAZIONE di S. CARLO sulla "VANITA'", che era una esercitazione sulle Virtù di S. Carlo Borromeo, svolta dal convittore del Collegio, GIUSEPPE UGOLINELLI di camerino, che fu tenuta nella Chiesa Collegiale di S. Lorenzo di Spello. L'opera fu stampata nel 1656 da Agostino Altieri di Foligno e avanti al testo dell'Ugolinelli, CRISPOLTO ANTICI, che era suo maestro, scrisse una premessa con dedica al Card. CESARE FACCHINETTI, Vescovo di Spoleto. Questo fascicoletto deve essere rarissimo, un esemplare ne esiste nella Biblioteca Comunale di Foligno (Fondo Faloci - Pulignani) ed è stato rinvenuto grazie alle ricerche effettuate dal Dr. LUIGI SENSI che si ringrazia.La Famiglia ANTICI si estinse nel 1683 con BENEDETTO. Il nome e lo Stemma passarono alla Famiglia ARCANGERELLI ( o ARCANGERILLI), anch'essa nobile di Bevagna.Un PROPERZIO ANTICI (già ARCANGERILLI) lasciò erede delle sue proprietà, ivi compreso il Palazzetto del Corso Matteotti, e dello Stemma, l'Abate FABIO ALBERTI, l'ultimo discendente di una antica ed illustre Famiglia di Bevagna che dette anche i natali alla madre del Beato Giacomo Bianconi, estinta anche questa Famiglia, il nome, il Palazzetto e lo Stemma Antici, passarono ai GIORGI ALBERTI, Casata tuttora fiorente fuori di Bevagna e divisa in vari rami.Secondo l'Alberti CRISPOLTO ANTICI doveva essere rappresentato . "Vestito da prete con abito lungo talare, e sul tavolino due libri, uno intitolato DE VANITATE e l'altro POEMATA VARIA" e la sua iscrizione doveva contenere queste parole : 

CHRISPOLYTUS DE ANTICISMEVANAS

MORTUUS AN MDCLVI  

  

21°   MEDAGLIONE  

FULVIO   BAGLIOTTI   BOSCHI  

 Il 21° personaggio illustre di Bevagna effigiato nella Sala Consiliare è FULVIO BAGLIOTTI BOSCHI che appartenne a quella numerosa schiera di letterati, poeti ed artisti fioriti nel XVII Secolo che formarono un valente e ben assortito gruppo.

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 Discendeva da una di quelle Famiglie che con i RAINALDI, i BIANCONI, i PANTALEONI, gli SPETIA, i CICCOLI ed i PETRUCCI, costituivano, all'inizio del '400, il piccolo nucleo nobiliare di Bevagna che sebbene facilmente abbagliato dallo splendore di Casa TRINCI, emerse ugualmente, poiché da queste (famiglie) uscirono molti personaggi che con le loro gesta e con i loro studi negli svariati campi della cultura e della Scienza, crearono della Bevagna di quei tempi, una ammirata e rispettosa immagine. FULVIO era nato il 18 Maggio 1583 da TOMASO e da ALFENIA BOSCHI, anche lei di nobile Casata.Fu iniziato agli studi classici che coltivò con passione e passò per uno dei buoni poeti del suo secolo e avrebbe forse preso un posto onorifico nella Storia della Letteratura, se avesse pubblicato anche la traduzione della "BATRACOMIMACHIA" di OMERO, come fecero invece, qualche secolo più tardi, GIACOMO LEOPARDI e GIOVANNI PASCOLI. Di tale poemetto epico-burlesco di carattere parodistico, scritto in lingua greca di 294 esametri, e tradotto dal Bagliotti integralmente, non ce ne resta che la prima ottava trascritta dallo Storico di Bevagna, Fabio Alberti. Purtroppo non avendolo egli pubblicato, della rimanente traduzione, non resta traccia alcuna come pure dal suo volume di versi italiani, diviso in quattro parti che comprendeva "LA SAMPOGNA" (poesie pastorali) "LA LIRA (amorose) "IL CALASCIONE" (burlesche) "LA CETRA" (religiose), non ne resta che il solo manoscritto.Per quanto risulta il nostro Fulvio altro non dié alle stampe che un'ODE Epitalamica per le nozze del Sig. GIUSEPPE GENTILI da Trevi e della Sig.na CAMILLA ALBERTI da Bevagna, come pure due Sonetti: uno sul Martirio di San Vincenzo Vescovo di Bevagna e l'altro in lode del Priore GIOVAN BATTISTA PIERGILI. Mortagli la moglie, FULVIO BAGLIOTTI BOSCHI entrò nell'Ordine Ecclesiastico e per la sua dottrina ed onestà di costumi, non gli fu difficile conseguire il Priorato della Chiesa di S. Maria in Laurentia, una delle Chiese Parrocchiali di Bevagna e tutto si diede agli Uffici di pietà e del suo ministero.Nel 1632 il comune di Bevagna lo incluse nella Commissione formata da eminenti cittadini quali il Dr. EUSTACHIO ALBERTI ed i capitani GIANFILIPPO PUCCIATTI, GIROLAMO BRUNORI, PROPERZIO ANTICI e CRSPOLTO CAROLI, affinché seguisse tutte le questioni inerenti alla Beatificazione del Beato Giacomo Bianconi, che portò all'autorizzazione al culto, nel 1672.Pieno di meriti, FULVIO BAGLIOTTI BOSCHI passò all'altra vita il 13 Aprile 1664, all'età di 71 anni.Secondo l'Alberti doveva essere raffigurato "Vestito da prete con due libri, uno intitolato "LA BATROCOMIACHIA" e l'altro "POESIE DIVERSE". La sua iscrizione doveva essere : 

FULVIUS DE BALEOTTIS BUSCHIUS PATRICIUSMEVANAS VIR SACRIS PROFANISQ(UAE)LITTERIS ERUDITUS OBIIT AN MDCLXIV

  

 

  

22° - 23°   MEDAGLIONE  

TOMMASO   ANTONIO   BOSCHI E

GIAMBATTISTA   PIERGILI  

 Raggruppiamo insieme, questa volta, due personaggi illustri della Bevagna seicentesca, che sono effigiati nella Sala Consiliare del Comune.

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Del primo, purtroppo, non vi sono notizie reperibili nelle biblioteche riguardanti la sua vita e le sue gesta, poiché di gesta dovremmo parlare in quanto egli è raffigurato vestito con una divisa color turchino e mostre rosse a simboleggiare l'appartenenza a quel gruppo di bevanati che si distinsero nelle Armi.Il suo nome è TOMASO ANTONIO BOSCHI. L'unica importante notizia che possiamo avere è quella tramandataci dallo storico Fabio Alberti, il quale, nell'elenco che egli stilò degli uomini illustri, suoi concittadini, descrisse così il suddetto personaggio: "TOMASO ANTONIO BOSCHI, Patrizio Mevanate, fu Capitano dei soldati regolari con i quali difese la Città dalle truppe straniere. Morì nell'anno 1670". Doveva essere raffigurato " Vestito con divisa color turchino, e mostre rosse e con bastone col pomo d'oro in mano, uomo di bell'aspetto, statura alta, grossa corporatura faccia di color acceso, e piena, fronte spaziosa, occhi non grandi e castagni, naso giusto, testa grande con perucca da officiale". La sua iscrizione latina doveva contenere queste parole: 

THOMAS ANTONIUS BUSCHIUS PATRICIUSMEVANAS DUX MILITUM DESIGNATORUMAD TUENDAM URBEM A COPIIS EXTERIS

OBIIT AN MDCLXX (?) 

Il Piervittori, che poi eseguì i vari ritratti, lo raffigurò in tutt'altro modo.... Dell'altro personaggio sappiamo invece molte cose in quanto essendo egli uno scrittore, lasciò ai posteri ben 7 composizioni, tutte di carattere religioso, essendo egli stesso un ecclesiastico.  Si tratta di PIERGILI GIAMBATTISTA, nato nel 1600 da onesti genitori e che si addottorò in Lettere e in Teologia all'Università di Perugia e che conseguì la carica di Protonotaio Apostolico, il Priorato della Chiesa Collegiata di S. Michele Arcangelo e fu Vicario Foraneo a Bevagna sotto il Governo del card. CESARE FACCHINETTI.Portò un intenso amore per la Patria e nelle sue opere pensò sempre di citarla e di illustrarne l'antica grandezza.Tra le opere da ricordare, per importanza, vi sono una "VITA DELLA BEATA CHIARA DA MONTEFALCO" con molte notizie della Valle Spoletana,un "RACCONTO DELLA VITA E GLORIOSO MARTIRIO DI S. VINCENZO VESCOVO DI BEVAGNA, E DI S. BENIGNO DIACONO" (Agostino Altieri - Foligno 1646 - pagg. 108), con molte note storiche e una delle Biografie più complete sul Beato Giacomo Bianconi. Morì, pieno di virtù e di meriti l'11 Marzo 1678 ed ordinò che il suo corpo fosse sepolto all'ingresso della chiesa di S. Margherita. Secondo l'Alberti doveva essere raffigurato "Vestito da Protonotario con rocchetto, e mantelletta. Una piccola scanzia con libri, uno nel cartello al di fuori intitolato" VITA DELLA B. CHIARA DI MONTEFALCO. Altro DELLA COMMUNIONE SPIRITUALE. Il terzo VITA DI S. VINCENZO VESC. DI BEVAGNA. Il quarto DE CIVITATE ET DIOECESI SPOLETANA. Il quinto VISITA DEL PRESEPIO. Il sesto PANEGIRICO DI S. VINCENZO. Il settimo IDEA DEL PERFETTO RELIGIOSO".  

 24°   MEDAGLIONE

 CATARINO   ANDREOZZI

  Il 24° personaggio illustre di Bevagna, effigiato nella Sala Consiliare è CATERINO ANDREOZZI, noto ai posteri per essere stato un bravo Medico e Fisico. 

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Nacque nel 1613 ed apparteneva ad una di quelle Famiglie che subentravano, per importanza a quelle che avevano formato per vari secoli, il piccolo nucleo nobiliare di Bevagna e che purtroppo, dall'inizio del '500 si stavano piano piano estinguendo. Gli ANDREOZZI, insieme con i MATTOLI, i BECI, i CECCARELLI, i TORTI, gli ANTICI, gli ONOFRI, i PIERGILI ed altri, potevano godere del titolo di nobiltà che conservava loro alcuni vecchi privilegi dai quali potevano trarre non trascurabili benefici finanziari.Appunto per non tradire la tradizione, anche CATARINO si diede allo studio della Filosofia e della Medicina conseguendo la Laurea nell'Università di Perugia ed esercitando poi la professione brillantemente nelle prime condotte mediche dello Stato Ecclesiastico, fra le quali TERNI. Nella Medicina si distinse anche per un trattato sulla "VIPERA" che fu accolto con molto plauso dagli Scienziati del suo tempo e per un trattato "INTORNO ALLA PERFEZIONE DELLE ACQUE DI CISTERNA SOPRA OGNI ALTRA SCATURIENTE E DE' POZZI", che era un breve discorso apologetico ove si portano ancora alcune prerogative dell'acqua detta "SANTA" di NARNI in uso medico. Tale opera era dedicata alla Città di TERNI e al suo "inclito Senato" e l'autore si definiva nativo di Bevagna "Primo Medico - Fisico della medesima".Fu stampato da Bernardino Armazzini nel 1672. Un esemplare si conserva nella Biblioteca Comunale di TERNI. CATARINO ANDREOZZI morì in patria il 14 Marzo 1688.  Il Palazzo della Famiglia ANDREOZZI, ora MONGALLI, è insieme con quello dei LEPRI (ora Municipio), uno degli esempi più evidenti di costruzioni gentilizie che restano a Bevagna, anche se la stessa famiglia, trasferitasi prima a Foligno e poi a Roma, ha abbandonato del tutto il luogo d'origine che vide e stimò i suoi illustri antenati.Secondo l'Alberti doveva essere rappresentato "Vestito da medico con bragiole. Due piccoli libri, uno intitolato nel cartello " DE VIPERA" e l'altro "INTORNO ALLE ACQUE". L'iscrizione sottostante doveva essere la seguente : 

CATARINUS ANDREOTIUS PATRICIUS MEVANASET MEDICUS INTERAMNAS MORTUUS

AN MDCLXXXVIII.   

  

25°   MEDAGLIONE  

FRANCESCO   DE   ANGELIS  

 Il 25° personaggio illustre effigiato nella Sala Consiliare di Bevagna è FRANCESCO DE ANGELIS. Per la precisione dovrebbe chiamarsi con il cognome ANGELI, poiché così era nominata la sua illustre Famiglia, dalla quale egli discendeva e precisamente da quel MARINO a cui indirizzò una delle sue Elegie il celebre poeta spoletino MARIO FAVONI (o FAVONIO). E' ricordato tra gli uomini illustri perché egli fu un letterato reputatissimo ed un insigne Giureconsulto. Era nato il 5 Febbraio 1633 e si applicò con successo alla poesia latina nonché agli studi giuridici. Si laureò infatti in Legge e per le sue capacità, fu scelto come auditore e poi come Vicario Generale di Spoleto dal Cardinale CESARE FACCHINETTI. Ritornato a Bevagna, tutto si impegnò a mostrarle il suo amore ed ogni maggior premura in difesa dei suoi diritti. Anche riguardo la "Questione PROPERZIANA", intervenne scrivendo una "APOLOGIA GIUDIZIALE, ossia DIFESA PROPERZIANA PER BEVAGNA". 

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Ma la sua opera maggiore è "DE CONFESSIONIBUS", ritenuta per molto tempo un classico da consultare (una copia si conserva nella Biblioteca di Bevagna ed è del 1660.Altro Trattato da lui scritto è quello "SUI DIRITTI DEI FIUMI E SUOI MIGLIORAMENTI E SPESE NEI FONDI DOTATI E BENEFICIALI". Come poeta scrisse vari Carmi e il Poema in tre Canti "VINCENTIADOS" in onore di S. Vincenzo, primo Vescovo e Martire di Bevagna (Copia del 1667 è alla Biblioteca Jacobilli di Foligno), dedicato al Card. Facchinetti).Terminò di vivere nell'ultimo giorno di Settembre del 1701 e fu tumulato nella Chiesa Collegiata di S. Michele Arcangelo, ove nel suo deposito si leggeva incisa la seguente iscrizione:  

QUESTA LAPIDE CONSERVA IL RICORDO E LE OSSADELL'ILLUSTRE CONCITTADINO BEVANATE

FRANCESCO   DE   ANGELISCHE DOPO AVER PUBBLICATO LIBRI ABBASTANZANOTI, A CAUSA DELLA STRAORDINARIA NOBILTA'DI COSTUMI E DI ACUTEZZA DELLA CONOSCENZAGIURIDICA, FU DAL CARD. CESARE FACCHINETTI,

VESCOVO DI SPOLETO, IMPIEGATO IN PARTICOLARISSIMIAFFARI E ASSUNTO ALLA CARICA DI VICARIO GENERALE

E SVOLSE CON STRAORDINARIA CAPACITA' TUTTOQUELLO CHE GLI AFFIDATO ED EBBE GRANDE MERITO

DELLA SUA PATRIA Con la magnanimità d'animo e la profonda coscienza religiosa che lo distinse, volle partecipare nel sostenere le spese per la decorazione del Chiostro di S. Maria degli Angeli, dove il Pittore Francesco Providoni dipinse ( tra il 1665 e il 1672), 41 Lunette con tutta la vita di S. Francesco e con molti dei miracoli operati dal Santo di Assisi. (ben sette illustri Famiglie di Bevagna parteciparono alla spesa della decorazione e quella contenente lo Stemma degli "ANGELI", raffigura S. Francesco che chiede l'Indulgenza a Papa ONORIO III. Intorno allo Stemma si può leggere : 

DOT (TOR) FRAN(CES)CO ANGELI DA BEVAGNAE SIG(NO)R GI(A)N FELICE SUO FRAT(EL)LO

FECERO FARE Secondo l'Alberti doveva essere rappresentato "Vestito di rocchetto, e mantelletta violacea. In una scanzia i seguenti libri, e nel cartello al di fuori, uno VINCENTIADOS. Il secondo CARMINA DIVERSA. Il terzo SANCTORUM FASTUUM POESIS. Il quarto DE CONFESSIONIBUS. Il quinto APOLOGIA. Il sesto ASTREALE. Il settimo DE IMMUNITATE ECCLESIASTICA. L'ottavo DE MELIORAMENTIS. La sua iscrizione doveva contenere queste parole : 

FRANCISCUS DE ANGELIS PATRICIUS MEVANASPROTHONOTARIUS APOSTOLICUS ET SPOLETI

VICARIUS GENERALIS VIR DE PATRIA ET LITTERISOPTIME MERITUS OBIIT AN MDCCI.

  

 

  

26°   MEDAGLIONE  

FILIPPO     ONOFRI

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  Il 26° personaggio illustre effigiato nella Sala Consiliare di Bevagna è FILIPPO ONOFRI che ebbe, durante la sua lunga vita, la soddisfazione e l'onore di essere investito del titolo di CONTE, che poi fu trasferito anche alla sua famiglia. Fu un uomo assai longevo e nella sua esistenza, ebbe modo di non annoiarsi e si sbizzarrì in varie attività e discipline sempre attinenti al suo rango di persona potente e prestigiosa, specie nel campo foraneo ed ecclesiastico.Anche suo padre si era distinto nella professione del giureconsulto, che svolgeva a Roma, dove FILIPPO nacque verso il 1655. Il giovane ONOFRI seguì le orme paterne e si laureò il Legge, mentre nel frattempo il Card. G. BATTISTA DE LUCA lo aveva avviato alle pratiche religiose. Avendo anche conosciuto varie lingue, fra cui il francese, fu prescelto dal Prelato BALDASSARRE CENCI quale suo auditore e quando questi fu nominato Vice-Legato Apostolico di AVIGNONE, volle condurre con sé FILIPPO e fece in maniera che fosse destinato RETTORE della Città e Contea di CARPETRAS (cittadina della Francia sud- orientale, in PROVENZA), dove sostenne tale carica molto lodevolmente e per ben 8 anni.Tornato in Italia, fu Governatore Pontificio di FORLI', poi di IMOLA: in questo caso coll'incarico di dar mano all'armamento seguito in tempo di CLEMENTE XI che era intervenuto quale mediatore nella contesa tra LUIGI XIV di FRANCIA e LEOPOLDO I di ASBURGO per la successione spagnola (in pratica, non ottenne niente ed anzi perse, dello Stato Pontificio, il territorio di COMACCHIO (RA). FILIPPO ONOFRI fu di nuovo nominato Governatore di FORLI e con la sua destrezza e prudenza riuscì anche a liberare dal saccheggio e dall'incendio la Città. Durante questo Governo a Forlì, nel 1702 dette alle stampe un resoconto delle "DECISIONI PRUDENZIALI DI CASI E QUESTIONI DI COSCIENZA", dedicandolo a Mons. BENEDETTI LUPERI, Vescovo di CAGLI, con cui aveva contratto stretta amicizia in Francia, allorché questo Prelato era Vicario Generale del Card. GRIMALDI, Vescovo di ACQUI. Diede alle stampe il nostro FILIPPO, alcune dissertazioni accademiche che lui stesso amava recitare in adunanze letterarie in diverse occasioni. Morto MUZIO DANDINI, Vescovo di Senigallia, fu destinato Vicario Apostolico di quella Chiesa nel 1714. Rinunciò poi a più Vescovadi che gli venivano offerti.Dal Novembre 1698 all'Aprile 1699 fu Podestà della BASTIA (IOSEPHUS de HONOPHRIIS da Bevagna). Fu Protonotaio Apostolico e nell'anno 1699 dall'Imperatore LEOPOLDO I, conseguì Diploma di Nobiltà per sé e per tutta la sua Famiglia col titolo di Conte.Finalmente ritornò a Bevagna e si dedicò con ardore per procurarle onori e vantaggi e benchè avanti con gli anni, impugnò la penna per confutare uno scritto del Sacerdote PIETRO BONAFEDE di Spello che pretendeva togliere a Bevagna il suo concittadino PROPERZIO.Tale dissertazione dovrebbe trovarsi presso gli eredi a Spoleto dove i Conti si trasferirono.FILIPPO ONOFRI morì in patria, già novantenne il 2 Giugno 1745 e fu sepolto nella Chiesa del Seminario. Una Piazzetta ed una Via sono dedicate a questa Famiglia della quale è possibile ammirarne il Palazzo del Secolo XVIII, ancora ivi esistente. Secondo l'Alberti doveva essere raffigurato: "Di faccia, ed ossatura piena, con fronte alta, ed aperta, occhi castagni, naso più tosto grande, e profilato, bocca giusta, aria gioviale, e capelli canuti, ed alquanto ricci. Di corporatura piena. Vestito da Protonotario con rocchetto, mantelletta, e veste violacea. Terrà un libro in mano, e nel tavolino molti quinterni scritti. Nel tassello esteriore del libro si porrà DECISIONES PRUDENTIALES. La sua iscrizione doveva contenere queste parole : 

ABBAS PHILIPPUS EX COMITIBUS DE ONUPHRIISPATRICIUS MEVANAS PROTHONOTARIUS

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SENOGALLIENSIS VICARIUS APOSTOLICUS ETCARPENTORACTI RECTOR VIR PATRIAE AMANTISSIMUS

MIGRAVIT E VITA AN MDCCXLV   

   

27°   MEDAGLIONE  

FELICE   ANGELICO   TESTA  

 Ci inoltriamo, con FELICE ANGELICO TESTA nel XVIII Secolo, anche questo non avaro di rappresentanti eruditi e famosi dei quali va orgogliosa la cittadina umbra. Egli nacque a Bevagna il 31 Gennaio del 1677 da Vincenzo e da Anna Maria, modesti genitori, ma ricchi di singolari virtù che crebbero altri quattro figli tutti formandoli a sani principi cristiani.Il piccolo ANGELO ebbe come maestro, in tutte le discipline, suo zio Padre GIACOMO TESTA, dell'Ordine dei Predicatori, che lo allevò inculcandogli tutti quei precetti che in seguito dovevano risultare tanto necessari per la sua futura vita religiosa. Giunto all'età di 17 anni, ed avendo già dimostrato rare doti di virtù, fu invitato presso la Città di Foligno, quale precettore in casa della Nobile Famiglia di AMEDEO SCAFALI, dove egli fece da maestro ai suoi tre figli GIAMPAOLO, OTTAVIANO e GIAMBATTISTA per ben sette anni.Il 19 Febbraio del 1701, finalmente, con l'aiuto finanziario dello stesso Sig. SCAFALI, FELICE, Angelico, fu in Assisi, ordinato Sacerdote. Si manifestò subito la sua grande pietà nel confessare e nell'esercizio della penitenza.Fu Cappellano della Compagnia della Morte. Si ritirò per quattro anni a vita mistica nella Chiesina romanica di Santa Maria della Neve di Ponte Magno.Il Vescovo gli ordinò di trasferirsi nell'Ospizio per Pellegrini della SS. Trinità (1711). Ma l'opera sua maggiore fu l'ORFANOTROFIO FEMMINILE di PORTA S. FELICIANETTO. Con pochi soldi e con le elemosine comperò le casupole, le demolì con le sue mani e costruì il complesso e poi la Chiesa dedicata all'Immacolata. Le Orfane salirono a 40 e furono affidate a tre Monache Oblate di S. Filippo. La sua missione si allargò ad un oratorio per la dottrina cristiana a PIAZZA SPADA. Fu Predicatore e confessore instancabile; praticò il digiuno, la povertà, l'umiltà, la penitenza e l'assistenza dei malati. Morì il 20 Dicembre 1755, dopo avere chiaramente predetto la data.La sua Tomba fu sconosciuta per due Secoli, nonostante le ricerche. Il 26 Novembre 1962, mentre veniva demolito il vecchio fabbricato, fu trovata la cassa di piombo con i resti del "SERVO DI DIO". Nel 1775 fu introdotta la causa di beatificazione: i lavori andarono spediti fino al 1780, poi si interruppero e, con i fatti che seguirono, restò il silenzio. La vita di FELICE ANGELICO TESTA è stata scritta con minuziosità di particolari, da FULVIO BAGLIOTTI, prete dell'Oratorio di Bevagna e dedicata al Cardinale GIAMBATTISTA REZZONICO e fu stampata da

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LUIGI CHIAPPINI e ANTONIO CORTESI a Macerata nel 1780. In tale stampa vi è l'elenco di ben 18 casi di guarigioni miracolose effettuate dal sacerdote bevanate. Secondo l'Alberti doveva essere rappresentato "vestito da Filippino, come nelle sue immagini stampate, ed in mano un libretto, e nel cartello al di fuori REGOLE PER LE OBLATE". L'iscrizione doveva contenere queste parole: 

VEN. FELIX ANGELICUS TESTA MEVANASFUNDATOR CONSERVATORII OBLATARUM

PHILIPPINARUM ET ORPHANARUM FULGINIISANCTE OBIIT AN MDCCLV

  

  

28°   MEDAGLIONE  

LIBERATO     SABBATI  Il 28° personaggio illustre effigiato nella Sala Consiliare di Bevagna è LIBERATO SABBATI che si distingue dagli altri per la sua singolare attività non certo comune ai personaggi finora descritti che operarono per lo più nel campo militare, religioso e poetico. Si interessò infatti il nostro LIBERATO, di Botanica e specialmente ne studiò nei minimi particolari una vasta branca ottenendone poi, con le sue dissertazioni e per la sua particolare perizia, validi riconoscimenti. Era nato a Bevagna da poveri ma onesti genitori e si recò giovane a Roma dove si diede prima allo studio della Chirurgia e poi alla Botanica, dove maggiormente si applicò e, tanto fu questo suo impegno, che avanzò pian piano nella scala gerarchica, raggiungendo l'ambito riconoscimento di essere nominato Direttore dell'ORTO BOTANICO della Capitale, succedendo al suo maestro, l'abate romano FRANCESCO MAROTTI. E' certo che la gestione di un ORTO BOTANICO non era cosa facile, anche perché le piante ivi coltivate, erano destinate a studi ed indagini nella varie branche della Botanica quali la SISTEMATICA, l'ANATOMIA, la FISIOLOGIA, l'ECOLOGIA, la BOTANICA FARMACEUTICA ecc. LIBERATO SABBATI, nonostante queste difficoltà di carattere sperimentale che iniziavano fin da allora a prendere una ben precisa forma, seppe ben districarsi ed ebbe modo di farsi apprezzare da molti prelati della Curia Romana ed anche da più Cardinali e principalmente dal Card. GAETANO FANTUZZI, il quale si dilettava molto di trattare con il nostro SABBATI. Di opere che trattavano la materia di cui egli era maestro, ne scrisse alcune fra le quali meritano di essere ricordate " SYNOPSIS PLANTARUM QUAE IN SOLO ROMANO LUXURIANTUR" (Flora del Territorio Romano), pubblicata a FERRARA da GIUSEPPE BARBIERI nel 1745 e soprattutto l'opera in collaborazione che è il famoso " HORTUS ROMANUS IUXTA SISTEMA TOURNEFORTIANUM" del 1772. Questa opera è in 8 Volumi illustrati da un gran numero di TAVOLE dipinte a mano, preparata fino al V Volume e poi proseguita dal figlio COSTANTINO. Collaboratore del Sabbati nell'opera suddetta fu NICOLO' MARTELLI anch'egli allievo del MAROTTI e che fu poi suo successore nella Direzione dell'ORTO fino al 1803 e che assunse la Cattedra unificata di BOTANICA con esercitazioni all'Università di Roma. LIBERATO SABBATI morì a Roma, colpito da apoplessia, nel Settembre del 1779. 

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Secondo l'Alberti doveva essere raffigurato "Con volto pieno, e colorito, occhi bianchi, naso giusto, ma alquanto largo nelle narici, e bocca adeguata. Perucca rotonda, e abito nero con corvatta bianca. Sul tavolino due libri, e nel tassello di uno SYNOPSIS PLANTARUM e dell'altro in foglio massimo HORTUS PLANTARUM. La sua iscrizione doveva contenere le parole 

LIBERATUS SABATI MEVANAS HORTI BOTANICIIN URBE CUSTOS OBIIT AN MDCCLXXIX

  

 

  

29°   MEDAGLIONE  

FABIO     ALBERTI  

 Siamo così giunti alle soglie del 1800 con il 29° personaggio illustre che è l'Abate FABIO ALBERTI che possiamo ritenere il più grande storico di Bevagna, o come diceva il Prof. CIRO TRABALZA, "il MURATORI, o meglio, il VERMIGLIOLI" della stessa. Grazie a lui possiamo avere un preziosissimo ragguaglio cronologico relativo alla storia di Mevania dagli albori fino al 1785, anno in cui dette alla stampa le "NOTIZIE ANTICHE E MODERNE" (Venezia 1785) e varie altre produzioni sulle antichità del Municipio Romano che tanto gli furono a cuore e che, a distanza di due e più secoli, sono così preziose da ritenerle fondamentali per chiunque voglia approfondire gli studi sulla MEVANIA ROMANA e Comunale. Purtroppo l'ALBERTI raccolse nei suoi scritti anche leggende e notizie atte a salvare la antica tradizione che voleva essere stata Bevagna a tutti i costi una Città estesissima e mitologica e a volte, per questo suo smisurato desiderio di farla apparire tale, non fu in grado di giustificare negli scritti i motivi di tali affermazioni.  Comunque egli resta un personaggio che i bevanati dovrebbero rivalutare per l'ardore che egli mise nell'illustrare le glorie patrie e se ancor oggi possiamo ammirare con un certo orgoglio quella preziosa ed interessante collezione di Lapidi ed iscrizioni e di reperti dell'età romana, lo dobbiamo all'acutezza di FABIO ALBERTI che volle far murare quelle testimonianze nelle stanze della primitiva Sede del Municipio (che al quel tempo era ubicata nel Palazzo dei Consoli), affinché esse non andassero perdute e che ora, riordinate ed integrate con altri reperti, si conservano nelle pareti della Scalinata dell'attuale Municipio (ex Palazzo Lepri) e sono oggetto di studio da parte di molti studiosi.Era nato l'ALBERTI, nel 1720 da una delle più antiche e più nobili famiglie di Bevagna, documentata fin dal XIII Secolo e che si estinse con lui. Percorsi i primi gradi della carriera ecclesiastica, fu Vicario Generale di FABRIANO dal 1753 al 1758, poi di SENIGALLIA dal 1758 al 1776 ed infine di FOLIGNO dal 1778 al 1784, con un intervallo di un anno o poco più, verso il 1775, che passò a Bevagna.  Nel 1784 ritornò alla Città nativa ove attese ai suoi studi prediletti sulle antichità della Patria. In una lettera del 18 Agosto 1800, diceva al VERMIGLIOLI di " Goder l'ozio d'una vita privata permettendomi solo la decrepita mia età di deliziarmi nello studio delle patrie antichità le quali mi somministrano materia molto ubertosa". Ben 14 pubblicazioni, stampate e manoscritte, sono le sue produzioni, per lo più riguardanti le patrie vicende fra le quali ci piace ricordare :

1)      "Sulla pertinenza antica del fiume Clitunno" (anno 1753)2)      "Sulla Patria di Sesto Aurelio Properzio poeta elegiaco"3)      "Brevi animavversioni per rapporto alla Patria del Poeta Sesto Aurelio Properzio

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      4)   " BEVAGNA" ( Voce per il Dizionario Geog. Busching)      5)   " De sacris utensilibus tractatus" (anno 1783)      6)   "Notizie Antiche e Moderne riguardanti Bevagna"      7)   " Seminario Crispolti di Bevagna" (Trattato del 1784)      8)   "Ragguaglio del Museo aperto nel 1787 nelle nuove stanze della Residenza del Magistrato Consolare di Bevagna antica Città dell'Umbria" (pubblicato 1783)      9)   "Bevagna cristiana"- Seconda parte Notizie -(1778)    10)   "Bevagna moderna"- Terza parte Notizie - (1791)    11)   "Atti o sia racconto del Martirio di S. Vincenzo"(1791)    12)   "Dissertazione epistolare sulla patria di Properzio"    13)   "Elenco delle antiche medaglie trovate in Bevagna e   suo distretto dall'anno MDCCLXXVI           e   MDCCLXXXIV sino all'Agosto MDCCXC"   14)   "Osservazioni sopra il Lago denominato ABISSO, nel territorio di Bevagna"   15)   "Breve ragguaglio della solenne traslazione di San Liberato Martire"   16) "Relazione dell'estrazione di una Reliquia del corpo del Beato Giacomo seguita li 13 giugno 1785" 17) "Iconografia degli uomini illustri sia antichi che moderni bevanati" 18) "Dissertazione istorico - critica della fondazione, antichità e stato di Foligno sino al Secolo XIV" (Nel libro delle Notizie dell'Umbria e sue Città - Pag. 487) Il 12 Novembre del 1803, colpito da apoplessia, morì nella sua Bevagna alla quale tanto amore aveva dedicato, ma che purtroppo la stessa non lo onora con la dovuta attenzione e riconoscenza.    

  

30°   MEDAGLIONE  

FRANCESCO     TORTI  

 Molti prima di noi si occuparono e scrissero più ampiamente di FRANCESCO TORTI, 30° personaggio illustre di Bevagna, del quale con grande rispetto, ma anche con grande orgoglio, ne riproponiamo la vita e le opere.  Egli rappresentò il maggiore ingegno del suo tempo nella nostra Regione ed è tuttora additato quale "GLORIA di BEVAGNA" e portato ad esempio per le sue qualità umane che lo contraddistinsero. Il suo ricordo ancora vive a Bevagna, peccato che solo saltuariamente viene ricordato "ufficialmente", ma il TEATRO, l'ORFANOTROFIO, il Palazzo sul Corso, il suo busto nei Giardini Pubblici, testimoniano la sua presenza ed il suo nome, ogni giorno è presente anche se indirettamente. Era nato a Bevagna il 30 Settembre 1763 da GIACINTO, Giureconsulto di valore e dalla nobile TERESA RUBINI di Camerino.  Ebbe un fratello ed una sorella che morirono giovanissimi e presto perdette anche il padre. Nel 1780, non bastando più le scuole di Bevagna, fu inviato alla Università di Camerino, ove ebbe maestri valenti che gli riconobbero qualità molto spiccate per la Filosofia e la Matematica. Da Camerino, nel Dicembre del 1783, passò a Roma dove intraprese gli studi Legali, ma si sentiva attratto dalle belle lettere: la poesia, le Accademie e i Monumenti occuparono tutta la sua vita. In questo tempo e in questo ambiente, strinse amicizie famose e si incontrò con letterati quali VINCENZO MONTI, NICOLINI, BIAGIOLI, MUZZI, VERMIGLIOLI e molti altri. Specie col MONTI ebbe più stretta amicizia a tal punto che il TORTI ne era divenuto il critico personale : osservava, lodava o giudicava i suoi scritti che il MONTI gli inviava a Bevagna dopo che per la morte del fratello, il TORTI era ritornato. 

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Per lungo tempo continuò questa collaborazione, che fu di grande valore per il MONTI, ma poi la vecchia amicizia, per circostanze dettate da quei tempi burrascosi, nei quali la Rivoluzione Francese e le sue idee stava sovvertendo l'antico ordine con Riforme in ogni campo, finì. (anche perché il MONTI abbracciò una nuova bandiera, scomunicando quanto aveva scritto).Ci fu quindi, in quel tormentato periodo, la produzione più numerosa ed attiva del TORTI, che noncurante degli avvenimenti, sfornava opere letterarie "libere" per contenuto e spesso tutt'altro che consone coi principi dei "puristi" capitanati da Padre CESARI. "Il purismo nemico del gusto" del 1818, "La Risposta ai Puristi" del 1819, "Il Dante rivendicato" del 1825 (che levò rumore in Italia e fuori), "La corrispondenza di MONTEVERDE", "La Filosofia delle Medaglie", non sono altro che qualche titolo di quelle sue opere che furono le più acclamate e discusse.Dedicò la vita agli Studi, all'amore, all'umanità: era un uomo profondamente religioso, amava tanto i bambini (lui che non si era neanche sposato) che lasciò il suo cospicuo Patrimonio al Comune perché erigesse con esso e mantenesse un Orfanotrofio: ciò che fu fatto. Morì il 28 Febbraio 1842 quasi ottuagenario e furono fatti solenni funerali nella Chiesa di S. Francesco, ai quali presero parte il Capitolo e tutti i Magistrati, con molto concorso di forestieri. Foligno mandò i filarmonici. Belle iscrizioni furono appese dentro e fuori la Chiesa, dove dopo il Vangelo, fu letto dal Clavari la orazione funebre.La sua Tomba si trova sul pavimento della Chiesa di S. Francesco.  

  

31°   MEDAGLIONE  

AGOSTINO     MATTOLI  

 Non si può parlare della Famiglia Mattoli a Bevagna se non per la tradizione ormai centenaria, della acquisita fama in campo omeopatico che da quattro generazioni si mantiene inalterata e rigogliosamente ininterrotta. Parliamo dell'iniziatore di questa dottrina: AGOSTINO MATTOLI, un grande cittadino di Bevagna che unì alle qualità di scrupoloso Amministratore, le doti ancor più benemerite del Medico. AGOSTINO MATTOLI nacque a Bevagna nel 1802.Fino a sette anni restò in famiglia, passò poi al Seminario di Assisi da dove uscì dopo poco tempo, per essere invitato, secondo la moda di quei tempi di occupazione francese, in Francia al Collegio Militare della FLECHE.Ritornato dopo l'abdicazione di NAPOLEONE, fece il corso di Studi preliminari in Spello, nel Collegio retto da VITALE ROSI, il benemerito educatore da cui quel Collegio ha poi preso il nome, ottenendo ampi consensi e premi al punto di vedersi offerta in Patria, la Cattedra di Rettorica, e l'aggregazione con tanto di Diploma, tra i soci dell'Accademia di Scienze ed Arti di Viterbo. Agostino rifiutò l'insegnamento e si trasferì a Roma per compiervi gli Studi di Medicina unendo a questa, lezioni di Matematica, Zoologia, Minerologia, Veterinaria ed Ostetricia.Alla fine del Corso, dopo che si era distinto per premi riportati nelle suddette Accademie, conseguì la Laurea "ad honorem". Per concorso ottenne il posto nell'Archiospedale di Santo Spirito, dove restò per cinque anni, al termine dei quali il Collegio Medico-Chirurgico gli conferì (a pieni voti) il nulla osta per il libero esercizio che svolse per 2 anni a Roma e poi in Sabina a Palombara e a Vetralla. Nell'ambiente e nell'atmosfera che i moti insurrezionali stavano creando, Agostino si sente Patriota e segue con cuore ardente gli avvenimenti nella speranza che portino all'INDIPENDENZA d'Italia.E venne scelto Deputato alla Costituente Romana. 

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Caduta la Repubblica seguì la restaurazione ed egli che era nelle Tavole di Prescrizione, si rifugiò a Firenze.Qui, convertito all'omeopatismo, esercitò con molto onore la sua professione e tale valentia dimostrata, concorse a fargli ottenere il permesso del rimpatrio. Ritornò quindi nella sua Bevagna e da quel momento è Bevagna che costituì il teatro delle sua operosità benefica così come medico che come cittadino. Diede dapprima vita a tutte quelle iniziative che potessero incoraggiare l'agricoltura con Mostre e premi.Con cure appropriate salvò la città dal Colera del 1855 e 1867. Viene il 1860 e l'Unità d'Italia. AGOSTINO MATTOLI torna alla attività politica: prende parte della rappresentanza Comunale, siede Consigliere Provinciale. A Perugia accetta, dichiarandosi liberale progressista, nel 1865 la candidatura a Deputato del suo Collegio al Parlamento; è scelto come Sindaco e si dedica al rinnovamento edilizio, agricolo, sociale di Bevagna. Egli volle che fossero effigiati i RITRATTI degli Uomini Illustri nella sala del Consigliare di Bevagna che ora sono accresciuti anche della sua immagine (aggiunta nel 1970) a dimostrazione che sempre vivo è il ricordo di questo benemerito suo figlio. AGOSTINO MATTOLI cessò di vivere il 22 Aprile 1869 fra il compianto dei suoi concittadini, vittima di una lenta malattia glandolare che da qualche tempo lo aveva afflitto. "Dell'universale profondo cordoglio furono scarsa testimonianza le veramente splendide onoranze che gli si resero il 15 giugno successivo. Oggi n'è vivo, come d'altri non fu mai, il ricordo". Fra i moltissimi scritti quelli finora rintracciati, che riguardano la sua professione sono : 

1.      "Un nuovo sistema in Medicina" (dato alle Stampe nella rivista Omiopatica)2.      Sopra due memorie iscritte negli Annali medici chirurgici redatti per cura del Prof. METAXA' - Lettera di Agostino

Dr. Mattoli.3.      "L'OMIOPATIA " Al Congresso di Epidauro; seconda relazione, "un pellegrino Italiano ai suoi connazionali"4.      "Agli Omiopatisti Italiani"5.      "Sopra il CHOLERA MORBUS del 1855"6.      Il Dr. Mattoli al Dr. Travaglia :"Istruzioni per i coloni e fattori di campagna sulla EPIZOZIA contagiosa del

Bestiame vaccino"7.      "Relazione del CHOLERA del 1867 in Bevagna"8.      "Il CHOLERA e la verità ristabilita, agli uomini di buona volontà"9.      "Sopra un caso clinico,Allopatia e Omiopatica"

 Tra gli scritti letterari : 

1.      "Un racconto scozzese"2.      "Necrologia di Francesco Torti morto il 22 Febbraio 1842"

 Tra gli scritti Amministrativo - Politici : 

1.      "Relazione sul prosciugamento del Lago Trasimeno"2.      Molti articoli politici nell' UMBRIA GIORNALE che si stampava in Foligno nell'anno 1865.

 Queste infine le EPIGRAFI dedicate al Dr. AGOSTINO MATTOLI durante la commemorazione del XV Giugno 1869. Sopra la porta del Tempio 

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ADAGOSTINO MATTOLI

CONCITTADINO DI PROPERZIO DI TORTIPRECLARO SEGUACE DI HAHNEMANN

SINDACO SOLERTEDEPUTATO PROVINCIALE SPETTABILISSIMO

ESEMPLARE PER VIRTU CITTADINENATO NEL MDCCCII

MORTO IL XXII APRILE MDCCCLXIXLA PATRIA RICONOSCENTE

 AGOSTINI

     Ai lati del Tumulo 

I. 

ANIMA ELETTADEL DR. AGOSTINO PROF. MATTOLI

FIDO SEGUACE DI HAHNEMANNCRESCIUTO A BENE ORNAMENTO

DIBEVAGNA

CUI DESTI ILLUSTRE ESEMPIOD'ARDORE CITTADINO

COMMISERAZIONE ALLE ALTRUI SCIAGUREBENRFICIENZA A TUTTI

AMORE AI TUOI AGLI AMICI ALLA PATRIACHE INFELICE PER LA TUA PERDITA

INCONSOLABILMENTE TI RIDOMANDA AL CIELORICEVI DALLA SOCIATA' OPERAIA

PREMIO ALLE TUE GENEROSE VIRTUIL SUO DOLORE

 PAGLIOCHINI

 II. 

O VOI CHE PREGATEALLA GRANDE ANIMA RIPOSO

CHIEDETE AL CREATORE CHE DIA A TUTTIQUELLA VIRTU CHE IN LUI ONORIAMO

 E. PAGLIOCHINI

 III. 

QUESTO VASODI RECENTI LAGRIME RIPIENO

A TE OFFRONOI FIGLI CHE MESTISSIMI TI CHIAMANO

GLI AMICI CHE LASCIASTI AFFLITTII CITTADINI CHE TI PIANGONO

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I BUONI CHE TI DESIDERANO 

PAGLIOCHINI 

IV.COME AL CADERE DEL SOLE

VEDOVO PIANGE IL CIELOORBATA INCONSOLABILE

TE INVOCABEVAGNA

 PAGLIOCHINI

 Alle colonne del Tempio 

I. 

ALLA MEMORIADI

AGOSTINO MATTOLI BEVANATEMEDICO - SINDACO - CONSIGLIERE PROVINCIALE

A NIUNO SECONDONELL'AMORE DELLA PATRIA DEL VERO

CHENELL'ARMONIA DEL CREATO

STUDIO'L'ARMONIA DEI SIMILI

PEI RIMEDJ DELL'ARTE SALUTAREIL PATRIO CONCERTO

CONSACRAIL XV GIUGNO MDCCCLXIX

 AGOSTINI

 II. 

QUANDO L'ASILO DEGLI ORFANELLISICURO DI UN MIGLIORE AVVENIRE

DA TE ASPETTAVA LA PROMESSA RIFORMASCRUPOLOSO VOLASTI IN CIELOA INTERPELLARE L'ISTITUTORE

SPIRITO SAPIENTE GENEROSO FILANTROPOI TUOI SUCCESSORI

L'ORFANOTROFIO RICONOSCENTECOME TUTTA LA PATRIA

AVRA' SEMPRE NELLA MENTE NEL CUOREAGOSTINO MATTOLI

 III. 

TECHE VEDEMMO PRESENZIARE MALATO

L'APERTURA DELL'ASILO INFANTILECUI DESTI PRIMO ALITO DI VITA

TECHE PREDILIGESTI LA SCIENZA

UNICO MEZZO

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DI MORALE PROGRESSOTE

CHE AMOROSO CI CONFORTASTINELLE MAL COMPRESE FATICHE

PIANGIAMO INCONSOLABILINOI PUBBLICI INSEGNANTI

DIBEVAGNA

 AGOSTINI

 IV. A

RICORDANZA PERPETUADI AGOSTINO DR. MATTOLI

DI BEVAGNACELEBRE MEDICO OMIOPATICO

PER DISINTERESSE E SOLLECITUDINEA POCHISSIMI COMPARABILEORNATO DI OTTIME LETTERE

DI PROFONDO SAPEREPADRE - FAMIGLIA AMOROSO

MAGISTRATO INTEGERRIMO MERITISSIMORAPITO AL DESIDERIO DEI CITTADINI

ALL'AMORE DEI FIGLIDOLENTISSIMI

IL XXII APRILE MDCCCLXIXDI ANNI LXVIII

---------EMILIO EUPIZI

IN SEGNO DI GRATO ANIMO ARDENTISSIMOPOSE

   

  

32° MEDAGLIONE 

ALESSANDRO   ALEANDRI  Un personaggio importante per l'ingegno potente, la calda eloquenza (era avvocato di grido), le cariche che occupò è ALESSANDRO ALEANDRI, il bevanate del XVIII° secolo effigiato (nel 1970), nella Sala Consiliare del Comune. Alessandro Aleandri era nato a Bevagna,(nella casa ora Palazzo Bartoli – Aleandri, vicino Porta Foligno), il 14 Agosto 1762 da Tommaso Aleandri e da Teresa, figlia del medico pesarese Francesco M. Genga. Nel 1775 a soli 13 anni, rimase orfano di entrambi i genitori e della sua educazione se ne fece carico lo Zio don Giuseppe Aleandri, che era allora Sacerdote dell’Oratorio di Bevagna.Compiuti i suoi studi a Bevagna nel Seminario del Collegio Crispolti, retto dai padri Dottrinari, divenne avvocato nel 1782, laureandosi all’Università Santa Caterina di Macerata.Un anno dopo, nel 1783, inizia la sua carriera di Funzionario dello stato pontificio divenendo Governatore della Città di Fano, dove rimase fino al 1785. 

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In quell’anno sposa la Contessa Colomba Aluffi di Rieti (dalla quale ebbe un’unica figlia Maria Teresa Giovanna che morì a 19 anni e venne sepolta nella Chiesa di S. Filippo).Venne chiamato a ricoprire la Cattedra di Lettore di Leggi civile e canonica presso il Seminario di Rieti. Dal 1786 inizia un vero pellegrinaggio attraverso varie località della sabina e dell’Umbria dove ricopre la carica di governatore (Rocchetta in Sabina, Piediluco, Ischia nel Patrimonio, e poi ancora Cannara, Spello, Caprarola….)  Riguardo alle cariche di cui dicevamo, lo ricordiamo eletto Presidente del Senato della Repubblica Romana ed in tale qualità, nella seduta del 21 Piovoso - Anno 7 (12 Febbraio 1799), per commemorare la liberazione di Roma e celebrare la Vittoria dei Generali Francesi CHAPIONNET e MACDONALD, pronunziò uno smagliante ed altissimo discorso, degno di nota tanto per il rispetto storico, quanto per la forma letteraria. Venne eletto Presidente del Consolato e nel 1801 nominato da Pio VI Ispettore Generale della Reverenda Camera Apostolica sul dazio e sul macinato.Nel 1814 venne nominato Governatore provvisorio di Bevagna e l’anno successivo divenne Governatore di Trevi, e nel 1818 di Jesi. In seguito Governatore provvisorio di Todi, poi Governatore di Foligno e di Perugia.Ambiva ad essere Governatore della sua Patria, ma nonostante le sue continue e reiterate richieste non riuscì ad ottenere questo suo desiderio. Morì a Bevagna nel 1838 all’età di 76 anni.  Ma ALESSANDRO ALEANDRI resta nella memoria per la sua attività di letterato e di scienziato in quanto tra le varie pubblicazioni, dedicò studi e ricerche sulle "MACCHINE VOLANTI", delle quali era innamorato.Erano i tempi dei MONTGOLFIER e del loro primo "aerostato" ad aria calda e delle prime ascensioni pubbliche che tanto interesse stavano creando.Poiché il MONTI aveva allora pubblicato una indovinatissima poesia ai due fratelli Montgolfier, anche l'Aleandri compose sull'argomento, nel 1784, un curioso poema in 800 endecasillabi sciolti il cui titolo era "Delle Macchine Areostatiche”, con una lirica finale che tuttavia non trovò il successo di quella Montiana.L'Aleandri pubblicò varie opere economiche tra le quali "Degli Orfanotrofi e delle pubbliche Case di Lavoro" - 1793 ; "Dell'Annona" - Ricerche 1794 - "Saggio georgico sulla proprietà del Torrente Lattone e commercio delle tele" - 1782; "Dell'ingrandimento dell'Agricoltura e delle Arti nello Stato Pontificio" - 1789; "Una memoria istorica sull'Arco di Augusto esistente nella Città di Fano" Il Prof. Ciro Trabalza scriveva che l'ALEANDRI “merita certamente uno studio critico- biografico” (che era nei suoi piani, ma che lo stesso non realizzò). A distanza di qualche anno, nel Bicentenario della Repubblica Romana 1798 – 1799, venne organizzato un Convegno (Sabato 24 Ottobre 1998) con la pubblicazione di due volumetti, su iniziativa del Comune di Bevagna ed in collaborazione con la Facoltà di Economia dell’Università di Perugia, del Comitato Interparlamentare per lo Sviluppo Sostenibile, dell’Università di Roma Tre e dell’Università di Roma “La Sapienza”.  

  

33°     MEDAGLIONE  

GABRIELE     PAGLIOCHINI  

 L'austera ma bonaria figura di GABRIELE PAGLIOCHINI, raffigurato con un paio di baffi alla "Don Peppone", lo sguardo deciso, ma leale, i capelli bianchi con taglio "all'Umberta", troneggia in mezzo ai suoi illustri concittadini che insieme a lui vollero dare una significativa impronta alla vita, alla cultura, alle situazioni sociali e religiose della Città di Bevagna e che è ricordato come uno dei suoi figli più meritevoli. Era nato a Bevagna nel 1859, il 20 di aprile. 

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Faceva di professione il GEOMETRA e si interessò fin da giovinetto ai problemi urbanistici della sua città: era una specie di "manager" che gestì l'Assessorato all'Urbanistica per svariati anni, con grande acume e lungimiranza."Non si muoveva foglia che il PAGLIOCHINI non ne fosse al corrente". Proveniva da una delle Famiglie più stimate, originaria di PISTOIA, il cui Stemma è a forma di Scudo con banda dorata che racchiude 3 Gigli di tipo fiorentino il cui colore è il celeste. Il padre, LUIGI fu un noto "antipapale" e per questo scomunicato, ma fu anche un valente GARIBALDINO, insignito del grado di sottufficiale al quale era molto affezionato lo stesso GARIBALDI. (A tale proposito ancora esistono, in casa del defunto Generale CRISIPPO PAGLIOCHINI, ben due documenti autografi di Garibaldi indirizzati: uno alla SOCIETA' BEVANATE DELLE PATRIE BATTAGLIE con il quale egli ringrazia gli amici "Per l'onorevole titolo di Vostro Presidente Onorario" e datato CAPRERA 24 Febbraio 1874 e l'altro un ricambio di saluti dal "Vostro GARIBALDI" datato ROMA 26 Gennaio 1875. La Famiglia Pagliochini possedeva terreni anche nella zona di POZZO di GUALDO CATTANEO dove esiste tuttora un luogo che porta il nome di "PAGLIOCHINO". GABRIELE PAGLIOCHINI aveva uno studio nella sua casa e per recarsi nelle Frazioni o nei Castelli del territorio di Bevagna per fare stime o misurazioni o per sviluppare progetti ed opere, utilizzava un calesse con la sua cavalla.Era un uomo proveniente dall'epoca del Risorgimento Mazziniano, di idee "Liberal - Socialiste" che sfruttò per il bene di Bevagna, portando a termine opere fondamentali per una Comunità che veniva da un sistema antiquato come quello Papale che per svariati secoli l'aveva emarginata. Fra le cose che si possono ricordare con maggiore simpatia, per la loro reale utilità vi è quella dell'arrivo dell'acqua potabile nel 1896 che per l'occasione coinvolse in una grande festa l'intera popolazione. Inoltre il PAGLIOCHINI progettò la pavimentazione della Piazza principale e delle Vie e il progetto dell'attuale FONTANA di stile duecentesco, che sostituì il vecchio POZZO MEDIEVALE che la poetessa MARIA BONACCI in BRUNAMONTI (nei suoi "Ricordi di Viaggi" - edito nel 1905), ne ricorda in data 15 Novembre la demolizione con delicati accenti poetici. Una data sulla parte della Fontana prospiciente la Chiesa di S. Silvestro, ne ricorda la data di esecuzione: 1896. GABRIELE PAGLIOCHINI, amante dell'arte romana e greca, volle che i suoi numerosi figli portassero nomi mitologici e li volle tutti istruiti e di sani principi, come lo fu egli durante tutta la sua vita trascorsa nell'onestà del lavoro e al servizio di tutti i cittadini. Ebbe nove figli: 3 maschi: EUCLIDE, Dottore in Legge e Questore, CRISIPPO (1893 - 1969), Generale di Stato Maggiore e Bersagliere che fu il 1° Sindaco di Bevagna dopo la Liberazione e MILZIADE (l'unico senza Diploma), Funzionario dell'amministrazione Filovia di Perugia e 6 femmine : CALLIOPE, maestra, TERSICORE (1889-1910), maestra, che morì giovane, NEMESI, maestra ma non insegnante, NIOBE, maestra nelle frazioni di Bevagna, TEMIDE, insegnante a Perugia alla Scuola Fabbretti, RANUSIA, maestra che insegnò in vari paesi della Provincia. Gabriele Pagliochini morì a Montefalco il 15 Dicembre del 1911, dove possedeva un Palazzo, ma riposa nella natia Bevagna, nella Tomba di Famiglia.  

    

34°     MEDAGLIONE  

SILVIO     GASPARRINI  

 

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Siamo giunti ormai quasi ai nostri giorni nel descrivere la Vita, le gesta, le opere e le qualità umane e religiose dei personaggi illustri di Bevagna effigiati nella Sala Consiliare. Sono personaggi che ancora restano vivi nella memoria di coloro che li videro operare e che ne ricordano le loro azioni con un certo orgoglio ed ammirazione e che ne tramandano ricordi, sensazioni, giudizi, aneddoti a chi come noi, ne chiede devotamente notizie a riguardo. Ed ecco uscire dalle loro menti, particolari delicati e riservati. E prima che si perdano queste testimonianze è bene raccogliere più notizie possibili. Tra questi 6 ultimi personaggi, vi sono ben 3 prelati che raggiunsero il grado di VESCOVO e di CARDINALE e che operarono in importanti Città. SILVIO GASPERINI (nel ritratto l'autore Scaramucci Ugo lo ha chiamato Gasparrini). Ma si può dire che egli non sia vissuto molto tempo a Bevagna, che gli diede i natali il 3 Gennaio 1852. La lasciò all'età di 6 anni e si trasferì con la famiglia a Spoleto, che divenne la sua città di adozione e nella quale visse per ben 54 anni.In questa città fu cresciuto, educato, e formato e tralasciando un periodo in cui intraprese gli studi ecclesiastici a Roma, vi raggiunse la carica più elevata tenendo, con amore e zelo, dapprima le redini del Seminario e poi, con prudenza, l'Archidiocesi essendo Vicario Capitolare.  Nell'Agosto del 1912, il Papa PIO X nominò Arcivescovo di Spoleto Mons. PIETRO PACIFICI ed elesse Vescovo di Anagni SILVIO GASPERINI. Per il suo ingresso solenne, avvenuto nel 1913, gli fu dedicato un Numero - Ricordo di 38 pagine e nel quale, purtroppo, non vi è menzionata né la sua Città natale, Bevagna, né vi è tracciata la sua vita.Nel contempo SILVIO GASPERINI inviò e fece stampare la sua prima "Lettera Pastorale" dedicata al Clero e al Popolo di ANAGNI, dove tracciava la sua futura attività. Restò Vescovo della Città (che dette i natali a ben 4 Papi), per 11 anni, quando purtroppo la morte lo colse all'età di 71 anni, nel 1923, a Spoleto, dove spesso si recava a rivivere i tempi della sua giovinezza. Fu sepolto in quella sua Città che tanto aveva amato e dove contava ancora tanti amici e tante persone care. Una notizia un po' "delicata e riservata da me raccolta dalla viva voce di chi lo aveva conosciuto è questa: faceva delle riserve nei confronti della Santa Sede, non sul piano dottrinale e pastorale, ma sul piano storico in quanto - diceva - il suo papà era stato un perseguitato politico dello Stato Pontificio, ricercato per aver collaborato attivamente al Risorgimento Italiano contro il potere temporale dei Papi.  

  

35°   MEDAGLIONE  

ARISTIDE       MATTOLI   La tradizione medica della Famiglia Mattoli non si ferma al solo campo dell'omeopatia, scienza nella quale rifulse per le sue qualità quell'Agostino che ne fu il più illustre esponente e del quale ci occupammo qualche tempo indietro, ma continua grazie alla figura di ARISTIDE un luminare delle discipline mediche e chirurgiche. Nell'anno 1869, mentre il suo celebre nonno moriva, egli si affaccia alla vita. Il padre EPAMINONDA, latinista di raro valore, partecipò, nella sua brevissima vita (visse 44 anni), alle passioni che animarono allora ed infiammarono i figli oppressi d'Italia, con un' intelletto di misura e di armonia. 

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La madre DEBORA GHIRGA, di famiglia patriota, crebbe con il Risorgimento Italiano ed insegnò lettere e filosofie.Da un ambiente così ricco di intelligenza e patriottismo (il nonno Agostino era stato una delle più belle figure dell'Indipendenza Umbra, cospiratore, carbonaro, esiliato, amico personale di Mazzini, di Armellini, di Saffi), Aristide Mattoli aveva ereditato qualità ataviche di indiscusso valore. A 20 anni, dopo il Liceo frequentato nella natia Bevagna, e sulle soglie dell'Università, si manifesta poeta e scrive una "Ballata" medievale. A 23 anni, a Roma, allievo del Senatore Durante, si laureò in Medicina e Chirurgia. Incomincia l'odissea della sua attività professionale e dopo un breve periodo di assistenza a Perugia, Interino a Città di Castello, poi a Vetralla, eccolo Chirurgo a Talentino. Fu qui che registrò brillantemente la sutura del Cuore; fu qui che scrisse il libro sulla "gastro-enterostemia", accolto con grandissima risonanza anche all'estero, creando il "Metodo Mattoli" nelle operazioni di alta chirurgia addominale.  Dopo 4 anni ad Ascoli, eccolo a Chieti, Direttore Ordinario dell'Ospedale Civile nel Reparto Chirurgico e da quell'anno (1906) fino al giorno della sua morte, svolse la sua attività nella cittadina abruzzese. Quell'ospedale divenne, e suo tempo e la sua fede e vide il dotto maestro per 25 anni, instancabile nelle sale operatorie e nelle camere di medicazione, fra i libri e i registri nosologici che riportavano il suo quotidiano lavoro. Ogni cura egli dedicò all'Ospedale di CHIETI, che presto ebbe il primato in tutta la Regione, divenendo anche un Centro di Cultura con la Fondazione da lui voluta, della fiorente Società Medica - Chirurgica.Degno allievo del Durante, attuò e perfezionò la tecnica chirurgica e, con l'emostasi preventiva sistematicamente e rigorosamente praticato, divenne il "mago dei bisturi". Il Prof. Mattòli, sempre amante del sapere non si "fossilizzò" nella cultura appresa nell'età giovanile, ma seguì con particolare diligenza ed assiduità il progresso della Scienza e partecipò con entusiasmo a Congressi di Chirurgia Nazionale e Internazionali, portando sempre e lavori originali accolti dalla generale estimazione degli Scienziati, come al esempio una dotta relazione sulla "Chirurgia del Colon". Morì a Roma, presso la Clinica "Quisisana" nel 1931 e nel trigesimo della scomparsa Chieti gli tributò una solenne commemorazione a testimonianza che la sua opera in quella che lui amò come una seconda patria, era stata tanto prodigiosa e benefica.  

  

36° MEDAGLIONE 

CIRO     TRABALZA  

          E' ancora viva nella memoria di chi lo conobbe, la personalità di studioso e di umanista di CIRO TRABALZA un illustre letterato e vero maestro di vita. E' un atto doveroso ricordarlo e testimoniarne ancora le sue meritevoli qualità di precettore e le attività di studioso instancabile. Era nato a Bevagna il 17 Agosto 1871 da modesta famiglia e già a 17 anni si guadagnava la vita facendo l'Istitutore nel Convitto Nazionale "Cicognini" di Prato e poi, a 20, in quello di Roma. Nel 1894 si laureò in lettere nella Regia Università di Roma ed entrò giovanissimo nell'insegnamento medio che esercitò nel Ginnasio di Empoli, poi in quello di Modena, quindi nella Scuola Normale di Lacedonia (AV), di Perugia e di Padova.

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 Nel frattempo, nel 1904, fu abilitato alla libera docenza in Letteratura Italiana presso la Regia Università di Roma, dove frequentò anche quattro Corsi Universitari sulla Storia delle Dottrine Grammaticali e sulle Critiche Letterarie del Rinascimento.Durante questi primi anni di insegnamento e di studio, cominciarono ad apparire le sue pubblicazioni tutte di carattere letterario e storico con la presenza costante dell'amore per la Scuola e per la sua terra natale. A queste opere rappresentative del suo pensiero di rinnovamento culturale che caratterizzava i primi anni del Secolo, si accompagnavano anche libri per ragazzi che realizzò anche con l'ausilio di sua moglie MICHELINA. Nel 1912 CIRO TRABALZA fu nominato Ispettore Centrale presso il Ministero della Pubblica Istruzione e nel 1921 gli fu affidata la Direzione Generale delle Scuole Italiane all'Estero, che resse per otto anni. Nel 1928 fu nominato Direttore Generale dell'Istruzione Media e fino al 1931 diresse in questo Ufficio gli "Annali" dell'Istruzione Media- Problemi della Scuola e della Cultura.La sua attività di letterato proseguì ininterrottamente fino a qualche mese prima della morte che avvenne a Roma il 21 aprile 1936 e alla fine si possono contare ben 200 pubblicazioni che hanno arricchito la cultura di quei tempi e che ebbero autorevoli consensi quali quelli di Benedetto Croce del quale il Prof. Trabalza fu uno dei più attivi seguaci. Lasciata da parte la figura nota del linguista e del grammatico, ci soffermiamo su alcuni aspetti più inediti della sua attività giovanile che poi costantemente caratterizzò ed influenzò la sua vita di uomo e di studioso.CIRO TRABALZA pose la sua particolare attenzione ai fatti di costume e delle tradizioni popolari, legate sempre al rapporto lingua - dialetto. Questo aspetto recentemente è stato studiato e pubblicato nel 1982 da MARIA RAFFAELLA TRABALZA nel Volume "REGIONALISMO NELLA CULTURA DEL PRIMO NOVECENTO: STORIA DI UNA RIVISTA UMBRA " AUGUSTA PERUSIA" 1906 -1908 - Editore Le Monnier. Dalle testimonianze della stessa Raffaella Trabalza, anch'essa appassionata e conosciuta studiosa come il suo celebre nonno, possiamo mettere in luce un lato del carattere di CIRO TRABALZA e della sua famiglia che è quello riguardante il mondo della natura animale e vegetale.  Da un "diario" inedito, si ricava questa notizia: il padre di Ciro, Nicola, era solito recarsi tutte le mattine in un suo campicello che aveva lungo il fiume Timia e si sedeva su di un sasso a guardarsi intorno.Un giorno vide sbucare dal terreno una serpe. Rimase ad osservarla e così nei giorni seguenti strinse amicizia con l'animale e tutti i giorni si ritrovavano nel loro "appuntamento".  Ciro Trabalza dal canto suo aveva questo stesso sentimento di rispetto verso la natura ed in famiglia si ricorda come uno dei dolori più forti della sua vita fu la morte di "LOLI'", uno dei cani che era stato il compagno per 14 anni della sua vita Romana. Durante una passeggiata, il cane finì sotto una macchina e di ritorno a casa i famigliari restarono stupiti per l'atteggiamento di CIRO. Ciro Trabalza ebbe quattro figli, di cui uno, FOLCO fu Ambasciatore in CINA.Ciro Trabalza riposa nella sua amata e natia Bevagna che gli ha intitolato la Scuola Media. 

OPERE 

Esordì con uno studio "Della Vita e delle opere di Francesco Torti (Bevagna 1896) a cui seguì tra l'altro un Volume di "STUDI e PROFILI" (Torino 1903) e particolarmente interessanti alcuni "Studi sul Boccaccio" (Città di Castello - 1906). Ma il nome del Trabalza è raccomandato specialmente alla sua "Storia della Grammatica Italiana" (Milano - 1908) concepita idealisticamente; di questi studi sulla Grammatica l'ultimo frutto fu una fortunatissima "Grammatica degli Italiani" ( in collaborazione con E. Allodoli - Firenze 1934). Cfr. inoltre di lui, oltre a vari notevoli scritti su problemi scolastici, traduzioni ecc., "La Critica Letteraria dai primordi dell'Umanesimo all'età nostra (I - Milano 1913) e i profili, saggi e discorsi raccolti in Nazione e Letteratura (Torino 1935).   

 

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 37°   MEDAGLIONE

 FILIPPO     SILVESTRI

  

Durante la 34^ Fiera Internazionale dell'Agricoltura a Foggia, il 5 Maggio 1983, tra le numerose manifestazioni, quella che più ha interessato le Autorità ed i tecnici presenti, è stata la "GIORNATA DELLA TECNICA AGRICOLA" caratterizzata dalla commemorazione di un grande entomologo: il Prof. FILIPPO SILVESTRI, l'illustre scienziato al quale l'agricoltura mondiale deve moltissimo. Si aggiunge così un altro riconoscimento ed omaggio ad un uomo che con la sua personalità e con il suo lavoro di infaticabile ricercatore, ha costituito per l'entomologia agraria una autentica gloria. Tale manifestazione ha voluto sottoliniare che senza il contributo della scienza e dei suoi operatori scientifici che danno un importante ed insostituibile contributo, l'agricoltura Italiana e Mondiale non può progredire, produrre e migliorare.FILIPPO SILVESTRI è stato senza dubbio il più grande degli entomologi contemporanei e fu quello che in questo campo precorse i tempi facendosi strenuo assertore della lotta biologica a difesa della natura e dell'uomo. Era nato a Bevagna il 22 Maggio 1873 e fin da fanciullo mostrò spiccate tendenze per le scienze naturali iniziando nel proprio giardino a raccogliere ed individuare piante ed insetti. In particolare gli artropidi per conoscere la costituzione anatomica e per scrutare i misteri vitali di questi piccolissimi esseri. Liceale a Perugia, vi compose un erbaio e dopo aver superato gli esami di maturità classica, si iscrisse in Medicina nell'Università di Roma, ma l'anno dopo, seguendo la sua innata vocazione, passò alla Facoltà di Scienze Naturali di Genova, dove poté frequentare l'allora fiorente Museo Civico di Storia Naturale, fondato dal Doria. L'indirizzo parassitologico polarizzò la sua passione verso il campo degli Antropodi, Miriapodi, Aracnidi, Insetti. Si orientò sui CHILOPODI e DIPLOPODI, che lì giungevano tramite esploratori da tutto il Mondo. Prese a scrivere su riviste Italiane e straniere.Prima di laurearsi aveva già 22 pubblicazioni di Entomologia, ognuna con ricerca originale. Al 4° anno di studi Universitari, passò a studiare a Palermo, attratto dalla fama del KLEINEMBERG, lo scopritore ed embriologo. Laureato nel 1896, ebbe offerto il posto di assistente, ma non accettò, perché preferì la nomina di Assistente del biologo GIOVAN BATTISTA GRASSI, il famoso studioso italiano della Malaria. La passione per l'oltremare lo spinse però ad abbandonare il posto dell'assistente. All'età di appena 25 anni aveva già trascorso un anno di ricerca nell'America Meridionale e stupito gli zoologi argentini per l'arditezza di una esplorazione della PATAGONIA fin quasi ai confini della TERRA del FUOCO.Nel 1900 tornò a Roma dal Prof. GRASSI e produsse in breve 87 pubblicazioni in tutti i rami della Biologia, Istologia, Embriologia, Anatomia, Morfologia, Sistematica, Entomologia Applicata. Nel 1901 decise di applicarsi all'Entomologia e nel 1903 fu chiamato ad insegnare a Portici, presso l'Istituto Superiore Agrario, in Zoologia Generale ed Entomologia Agraria. Vi restò fino alla morte, immerso nei suoi studi, che gli procurarono così alta fama scientifica. Scoprì due ordini di insetti: i PROTURA (1907), e i ZOROPTERA (1913). Per sé e per incarico di Istituti e Governi, operò ricerche in tutta l'America, dal Canada alla Terra del Fuoco, in Africa, dalla Cirenaica alla Tripolitania, Guinea, Senegal, Congo, Costa d'Oro, Dolomey, Camerun, Angola, Traswall, Eritrea,; a Malta, Capri, Rodi, Calinio, Sacrapanto, Lero, Coo, Nisino, Piscopi, nelle Antille, Canarie, Hawai, Cina, Indocina, Filippine, Formosa,Corea, Giappone, Australia, con lunghi spostamenti a piedi, cercando, raccogliendo, indagando, scoprendo.

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Per trovare la "Mosca dei frutti", fece il giro del Mondo dal Luglio 1912 al 1913.Nelle Haway portò la mosca OPHIUS HUMILIS, cha da allora salva il 90% del caffè. Nel 1924 - 25, in Estremo Oriente, scoprì i parassiti delle cocciniglie degli agrumi, che inviò in Italia e in California: complessivamente una trentina di specie. In particolare la sua guerra si rivolse alla mosca dell'olivo, contro cui oppose Imenotteri da lui portati, ma ancora scarsamente ambientati in Italia. Condensò le sue instancabili ricerche in 470 memorie scritte in varie lingue: Italiano, Francese, Tedesco, Inglese, Latino, Spagnolo. Fece parte di 48 Accademie e Società Scientifiche sparse per tutto il mondo. Purtroppo non riuscì a terminare il proprio capolavoro: COMPENDIO DI ENTOMOLOGIA APPLICATA. La morte lo colse mentre si preparava per un viaggio nell'America Equatoriale. Morì a Bevagna, nella sua casa di campagna, il 1° Giugno 1949 e le sue spoglie riposano nella Tomba di Famiglia. Il suo nome dà gloria all'Italia, ma sorpassa tutte le frontiere in quanto appartiene all'universalità della Scienza. Il Comune di Bevagna volle ricordare, nel 120° anniversario della nascita, il suo illustre figlio organizzando, nell'Aprile del 1993, in collaborazione con la Facoltà di Agraria di Portici, una mostra di cimeli e delle collezioni di Filippo Silvestri. Molto del materiale esposto fu messo a disposizione dal Dipartimento di Entomologia della Facoltà di Agraria di Portici al quale si aggiunse quello già in possesso dell'Amministrazione Comunale, devoluto anni orsono dagli eredi.   

  

38°   MEDAGLIONE  

ALESSIO   ASCALESI  

L'11 Maggio dello scorso 1987, ricorse il 45° anniversario della morte del Cardinale ALESSIO ASCALESI, un illustre personaggio di Bevagna. La sua morte, che avvenne a Napoli, concludeva la sua missione terrena proprio in quella Città che lo aveva visto nascere in circostanze tragiche, il 22 Ottobre del 1872. La madre ERMINIA MOLINI, lo dette alla luce nella stessa ora in cui il padre (carabiniere), moriva. Dopo non molti giorni, la povera madre che si sentiva spaesata nell'ambiente, si decise a ritornare nel suo paese natale, Bevagna, con l'unica ricchezza dei suoi due orfani, ANGELINA, primogenita ed ALESSIO. Dal 1872, fino al 1909, ALESSIO visse in Umbria, prima scolaretto delle elementari e del Ginnasio di Bevagna, quindi seminarista al S. Giuseppe di Spoleto dal quale uscì sacerdote nel 1895. A 23 anni non compiuti, andò a fare il Parroco a Montemartano di Spoleto, dove rimase fino al 1902, un anno dopo la morte della sua cara mamma. Fu trasferito quindi a Montefalco, dove restò fino al 1909. Fu appunto in quell'anno che si chiuse, con un nuovo riconoscimento delle sue doti, la parentesi umbra del sacerdote ALESSIO ASCALESI. Infatti il 29 aprile 1909, a 37 anni di età, il Papa S. PIO X°, lo elevò alla dignità Vescovile, destinandolo alla Sede di MURO LUCANO (PZ), una delle Diocesi più piccole d'Italia, dove si fermerà appena due anni. Venne poi trasferito a S. AGATA dei Goti (BN), dove resterà cinque anni.Nel Concistoro del 4 Dicembre 1916, ebbe la "porpora Cardinalizia" da BENEDETTO XV°. A Benevento, Ascalesi svolse la sua illuminata missione per otto anni durante i quali fondò 60 nuove Parrocchie.Ma il periodo più prolifico, più importante e più lungo lo trascorse nell'immensa metropoli di NAPOLI, svolgendo il suo Episcopato per 28 anni. I napoletani, che per tradizione avevano sempre avuto un Cardinale di "sangue nobile", inizialmente fecero delle rimostranze presso il Papa. Il quale rispose " Vi mando un Principe della Chiesa ! E veramente mai Arcivescovo fu più amato di ASCALESI, che lavorò in ogni campo per il bene spirituale e sociale di tutti, penetrando specialmente tra i poveri, che gli ricordavano la sua miserrima infanzia. Creò grandiose opere ecclesiastiche, quali la cosruzione del NUOVO SEMINARIO MAGGIORE a CAPODIMONTE, fondò 130 "Nuove Parrocchie", talvolta sostenendo annosi giudizi e lotte andando di persona nei più modesti Uffici a Napoli e a Roma. Il Card. ASCALESI restò attaccatissimo all'Umbria e specialmente a MONTEFALCO, dove trascorreva un mese di riposo l'estate, e a Bevagna, felice di sentirsi chiamare e salutare "Don ALESSIO". Nel Conclave, dopo la morte di PIO XI°, nel 1939, molti voti conversero sul suo nome, però,

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forse, fu preferito, dati i tempi, a questo sant'uomo, un Papa anche squisitamente diplomatico (EUGENIO PACELLI).A Bevagna, sulle mura della casa che lo accolse indigente orfanello, insieme con la madre e la sorella, è stata infissa una lapide, le cui parole, dettate dal Vescovo GIOVANNI CAPOBIANCO, sono testimonianza del suo esempio, della sua bontà e della sua intelligenza. Lo STEMMA cardinalizio reca le parole UT AD DEUM ASCENDAM ("Perché mi sia dato finalmente di ascendere a Dio!").Il Cardinal ASCALESI morì la Domenica dell'11 Maggio 1952. Aveva 80 anni non compiuti. Il 17 Marzo 1957 si svolse la commemorazione solenne tenuta al Teatro "F. Torti", tenuta da Mons. GIOVANNI CAPOBIANCO, Vescovo di Urbania e di S. Angelo in Vado ed organizzata dalla associazione Turistica "PRO-MEVANIA". Nell'occasione fu stampato un "numero Unico" di 34 pagine edito dalla Scuola Tipografica "Bramante" di URBANIA. L'inaugurazione della lapide avvenne invece il 23 Agosto del 1957.   

            39°   MEDAGLIONE    

                                GIOVANNI   CAPOBIANCO

  

L'ultimo personaggio illustre che in ordine di tempo il pittore SCARAMUCCI ebbe l'onore di effigiare nella Sala del Consiglio di Bevagna, fu, 28 anni or sono, il Vescovo GIOVANNI CAPOBIANCO, che nacque a Bevagna nel giorno di S. Giovanni, il 24 Giugno del 1879, da Francesco e Maria Damiani. Ebbe una infanzia serena: il babbo, uomo piacevole, capomastro peritissimo, forniva alla famiglia il necessario; la mamma, donna di carattere forte, piissima, infaticabile, educava rigidamente i figlioli inclinandoli ai migliori sentimenti. Frequentò in Bevagna il ginnasio Inferiore e nel Seminario di Spoleto, il Superiore. Nel Novembre 1895 otteneva, per concorso, un posto al Seminario Pio e si trasferiva a Roma dove poi compiva tutto il corso dei suoi studi : tre anni di Filosofia, quattro di Teologia, tre di Diritto. Nel luglio 1898 si laureò in filosofia, nel 1902 in Teologia, riportando pieni voti. Nel 1905 conseguì il Diploma di Lettere Italiane nel Corso di Alta Letteratura; nello stesso anno conseguì la Laurea in Diritto Canonico e Civile.Intanto era già stato ordinato Sacerdote il 13 Dicembre 1902 e il 20 dello stesso mese, celebrava la sua prima messa nella Chiesa di S. Apollinare a Roma. Tornato in Diocesi veniva nominato, in seguito a concorso, Priore della Chiesa di S. Michele in Bevagna e cominciava così ad esercitare il Santo Ministero sotto la direzione del vicino Priore - Parroco di Montefalco che era allora, il futuro Card. ALESSIO ASCALESI. Nel 1910 era Rettore del Seminario di Spoleto, chiamato colà dall'Arcivescovo SERAFINI, quale Insegnante di Filosofia e Teologia Dogmatica. In questi uffici veniva successivamente confermato e dal Vicario Capitolare Mons. GASPERINI e dal nuovo Arcivescovo Mons. PIETRO PACIFICI. Il quale, anzi, da lì a poco, lo nominava suo Delegato Arcivescovile e poi, staccandolo definitivamente dal Priorato di Bevagna, suo Vicario Generale e Canonico della Cattedrale.Era l'anno 1914. Il 2 Luglio 1933 venne eletto Vescovo titolare di EFESTO e Ausiliare dell'Arcivescovo di Spoleto. Fu trasferito alle Sedi Vescovili di URBANIA e di Sant'ANGELO in VADO il 1° Aprile 1935 e nominato Assistente al Soglio Pontificio nel 1952. Il 7 Aprile 1965 moriva in Urbania, dove è sepolto nella Cattedrale. Promosse in Patria gli studi storici quale membro effettivo ed attivo della "PRO - MEVANIA" ed i restauri di quegli insigni monumenti ed ogni attività Pastorale e Sociale nel trentennio dell'Episcopato. 

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(Su di lui Cfr. CORRADO LEONARDI " Giubileo Episcopale di S. E. GIOVANNI CAPOBIANCO" - Urbania - Scuola Tip. Bramante 1959 pp. 5 - 25; CORRADO LEONARDI " Elogia funebre dei Vescovi di Urbania e Sant'Angelo in Vado GuerrAntonio Boscarini Gatti, Giovanni Maria Majoli, Giovanni Capobianco detto nella Cattedrale di Urbania dal primicerio D. Corrado Leonardi il 30 Aprile 1966 in occasione della traslazione delle loro salme " - Scuola Tipografica Bramante 1966 pp. 18 - 24- " Per la solenne consacrazione Episcopale di S. E. Mons. Giovanni Capobianco "- Un. Tip. Nazzarena - Fasano e Neri - Spoleto II Luglio 1933).  

 40°   MEDAGLIONE    

  GIUSEPPE   CORRADI

  Il 6 Maggio 1989 presso la Sala Consiliare del Comune di Bevagna fu scoperta l'effigie del Prof. GIUSEPPE CORRADI, realizzata dal pittore GIGI FRAPPI, per rendere omaggio ad un illustre cittadino che ha così contribuito ad aggiungersi al già nutrito numero degli uomini che hanno dato vanto alla Città. Nell'occasione iniziò quella manifestazione annuale, che prendendo il nome dal celebre chirurgo,vuole premiare quelle personalità che "prestando la loro opera qualificata nel determinante campo della salute dell'uomo, si sono particolarmente distinte per i risultati raggiunti in questo settore". Questo il profilo dell' illustre medico. Del padre INNOCENZO, originario di Trevi, ne troviamo traccia presso gli Archivi dell'allora Ospedale mevanate, attraverso alcune lettere. Così nel 1828 INNOCENZO diviene chirurgo interino e nel 1829 vince la condotta chirurgica di Bevagna, dove si stabilisce con la moglie VINCENZA MORESCHINI (MOSCARDINI), abitando in Palazzo CICCOLI. Qui, il 21 Ottobre 1830, nasce GIUSEPPE CORRADI che venne poi battezzato nella Collegiata di S. Michele, sembra il giorno successivo. Della sua infanzia non sappiamo nulla. Lo ritroviamo a JESI dove nel frattempo si era trasferito con la famiglia, avendo il padre lasciato la condotta di Bevagna, per quella di MATELICA. GIUSEPPE CORRADI compì gli studi di Filosofia a Jesi e frequentò le scuole degli Scolopi a Firenze. Quando si trattò di scegliere una carriera, egli avrebbe preferito quella di architetto, ma il dott. INNOCENZO, suo padre, volle che come primogenito, seguisse le orme già tracciate dagli avi e così andò a studiare Medicina all'Università di Pisa e quindi all'Istituto di Studi Superiori di Firenze, dove ebbe come maestri, fra gli altri, M. BUFALINI, G. REGOLI e A. RANZI. Si laureò nell'Anno Accademico 1852 - 53 e si dedicò precocemente alla Chirurgia. Nel 1854 entrò nella Clinica Chirurgica di Firenze e divenne poi l'allievo prediletto di CARLO BURCI, che lo ebbe Aiuto nelle incombenze della Clinica e dell'insegnamento e al quale successe nel 1872.Accanto al Burci, GIUSEPPE CORRADI percorsi le tappe della carriera chirurgica e perfezionò le proprie capacità operatorie, dedicandosi allo studio dei campi d'indagine prediletti. In quel periodo tenne l'insegnamento della medicina operatoria e della patologia chirurgica, coltivando contemporaneamente gli studi di Anatomia patologica ai quali, seguendo l'indirizzo del maestro,, si dedicò sempre con particolare interesse. Nel 1862 sposò la Contessa EMILIA MERCATI da S. Clemente, donna di grande intelligenza, di vasta cultura, di animo nobile ed elevato; da questa unione nacquero tre figli : INNOCENZO, MARIA e CESARE. Fu nel 1867 che, cadendo, si fratturò le ossa nasali e costretto a rimanere in casa, anche per la forte anemia consecutiva alle emorragie abbondanti e ripetute, si pose al lavoro e scrisse la sua memoria sui restringimenti dell'uretra, che presentò al Concorso MARQUIS D'ARGENTEUIL, indetto dall'Accademia Imperiale di Medicina di Parigi (Commissari tra gli altri, il BROCA e lo CHASSAIGNAC). Base del lavoro era l'anatomia topografica e l'anatomia patologica dalle quali traeva gli argomenti per dettare le regole nella cura dei restringimenti uretrali e in più, presentò vari strumenti chirurgici da lui inventati tra cui i dilatatori ad archetto e a corona. Tale lavoro procurò al CORRADI l'onore di vincere meritatamente il Primo Premio ed un appannaggio di 5.000 franchi (1869). 

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Ma il CORRADI, che aveva una predilezione per gli studi sugli organi urinari, a quel Concorso si presentò anche con una appendice che riguardava un metodo suo speciale di cistotomia perineale, eseguita sempre con strumenti da lui ideati e sulla operazione delle fistole vescico - vaginali, per le quali pure ideava strumenti, fra cui importante ed utilissimo lo "speculum" necessario a dilatare la vagina e rendere più facile l'atto operativo. E fu continuando i suoi studi che poi scrisse un trattato sulle malattie degli organi genito - urinari che presentò al Concorso "Gran Premio Riberi", indetto dalla Regia Accademia di Medicina di Torino, vincendo il Primo Premio (1872). Già comunque la fama del CORRADI si era consolidata e la stima degli scienziati per lui era considerevole; fu questo, appunto, che che gli procurò l'alto onore di essere chiamato, dal Governo del Re, nell'ottobre del 1870, a fondare in ROMA Capitale d'Italia, la PRIMA CLINICA CHIRURGICA. Fu questa nell'Ospedale S. Giacomo. Il primo Clinico Medico in Roma fu GUIDO BACCELLI ed il primo Clinico Chirurgico, GIUSEPPE CORRADI. Il CORRADI però, che era di temperamento eccezionalmente nervoso e che per concorso aveva ottenuto la Clinica di Firenze, accasciato per sventure domestiche, volle tornare là dove era stato studente ed Aiuto e succedere nella Cattedra resa illustre di CARLO BURCI e FERDINANDO ZANNETTI e nella quale erano pur vivi i ricordi del NANNONI, del VACCA - BERLINGHIERI, del NESPOLI, dell'UCCELLI, dove aveva dettato le sue lezioni MAURIZIO BUFALINI. Forse se la morte non avesse stroncato, a soli 9 anni, l'esistenza del suo diletto figlio INNOCENZO ed il padre non fosse stato ucciso (a Jesi) per vendetta professionale, il CORRADI sarebbe rimasto a Roma, ma decise di abbandonare la Capitale, dove tristi ricordi aumentavano le già precarie condizioni del suo sistema nervoso. Il CORRADI comunque, che per principio pensava l'Anatomia Patologica come base di tutti gli studi e che fosse opportuno ed utile vedere, per confrontarsi e perfezionarsi, prima di tornare a Firenze (dicembre 1872), volle visitare le Cliniche di Vienna e di Berlino ove Maestri erano un BILLROTH ed un LANGEMBECK, dove l'anatomia patologica era insegnata dal VIRCHOW e dal ROKITANSKY, continuatori della scuola di MORGAGNI e rinnovatori della Patologia. Compagna nei suoi viaggi ebbe la moglie EMILIA, che fu sempre la coadiutrice nei suoi studi, conoscendo a perfezione varie lingue.Con la morte di lei (1887), il CORRADI perderà non solo la moglie amata, ma una guida ed una collaboratrice inarrivabile. A Firenze, dove nel 1873 arrivò la conferma alla carica di Professore Ordinario, in forza all'Art. 69 della Legge CASATI (... meritata fama ...), applicato per la prima volta in Italia, riorganizzò la Clinica Chirurgica, ottenne nuovi locali e nel 1890, avuto un forte aiuto finanziario dal Comm. EGISTO FABBRI, il quale era affezionato e riconoscente al CORRADI per le cure prestategli, ampliò e costruì l'ANFITEATRO CHIRURGICO ed i Laboratori, che sono quelli appartenenti ancora all'Istituto Chirurgico. Così facendo, il CORRADI accontentava anche le sue tendenze di architetto, perché se non fosse divenuto chirurgo, certamente sarebbe stato abilissimo in quest'altra professione. Tant'è vero che impiegò sempre i suoi denari, guadagnati con la professione, in costruzioni nelle quali era architetto, ingegnere, capomastro e sorvegliante; nelle pubbliche amministrazioni delle quali fece parte, dedicava molto della sua opera e del suo ingegno, a formulare progetti e nell'attendere ai lavori di costruzione.E' così che ideò quale Presidente del Consiglio di Amministrazione dell'Ospedale di S. Maria Nuova, la trasformazione dell'intero Ospedale, iniziandola in parte. Il CORRADI voleva raggiungere l'intento di costruire, senza distruggere il patrimonio GALLI - TASSI, generosamente lasciato da quel filantropo. Abbandonò quella Amministrazione, quando il suo progetto aveva cominciato ad attuarsi. Dedicò la sua opera al Consiglio Sanitario Provinciale del quale per anni fu Presidente ed al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, di cui fu membro eletto dalle Facoltà. Nel 1882, insieme ad altri Chirurghi eminenti, fra cui spiccano i nomi di ENRICO BOTTINI, FERDINANDO PALASCIANO e PIETRO LORETA, fu uno dei 7 Fondatori della Società Italiana di Chirurgia. Ci sembra di non poca importanza sottolineare che i Soci Promotori - Fondatori della Società Italiana di Chirurgia, non furono soltanto come comunemente scritto e detto, i tre citati (Palasciano - Bottini e Loreta), ma anche, insieme al CORRADI, Enrico Albanese, Carlo Gallozzi e Costanzo Mazzoni. 

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L'opera scientifica del CORRADI fu attiva e gloriosa, perché si devono a lui lavori pregevolissimi, di cui base fu sempre, l'Anatomia Patologica, la modifica e la realizzazione di nuovi strumenti, atti a migliorare continuamente la tecnica chirurgica.Ed è appunto su questa base e cioè non di limitata tecnica operatoria, ma di avere nella terapia, come punto di partenza la Patologia e punto d'arrivo la clinica, che scrisse e cominciò a pubblicare il suo "COMPENDIO DI TERAPEUTICA CHIRURGICA", ma data la sua incontentabilità ed il suo perfezionismo, non ne pubblicò che il primo volume. Fin dai primi anni di carriera dedicò particolare attenzione alla Chirurgia delle vie urinarie, seguendo in questo anche gli interessi comuni alla attività del padre; scrisse molto sui restringimenti uretrali e fece costruire un uretrotomo dilatatore con pregi incontrastabili e molteplici che perfezionò anche negli ultimi mesi della sua vita. Dettò le norme per l'uretronixi ed anche per questa operazione fece costruire uno strumento speciale. Al CORRADI si deve un letto operatorio che è ammirevole poiché risultava più ricco di movimenti di quanti non ne avesse il letto di LANGENBECK, che allora era adottato da quasi tutte le Cliniche tedesche. A lui si deve la cura degli angiomi con la compressione e la galvanocaustica; la cura degli aneurismi con l'introduzione nel sacco aneurismatico di filo di ferro cotto messo in comunicazione con una pila in modo da avere così un'azione ossidante elettrolitica. CORRADI fu l'iniziatore dell'asepsi, perché quando il metodo antisettico alla LISTER era in grande onore, egli, pensando che era più giusto porre a contatto delle ferite, materiale asettico, fece costruire delle cassette di rame, dentro cui depositava il necessario per le medicazioni, le quali messe in stufe apposite, le portava ad alta temperatura, e là le lasciava sino al momento di usarle. Tale è il metodo asettico per eccellenza. Il CORRADI propugnò quale metodo di cura dei calcoli, la litrotizia rapida, combattendo così la litolaplassi alla Bigelow, come troppo violenta e la comune litotrizia perch è causa di inconvenienti molteplici. Ed a questo scopo fece costruire apparecchi appositi, fra i quali una comune siringa metallica a becco, che poteva diventare retta quando si ritirava il mandrino, avendo così le prerogative di eseguire il cateterismo curvilineo e lasciando per l'aspirazione una siringa retta, bel fenestrata, da poter permettere il passaggio anche di grossi frammenti di calcoli. Fu inoltre il propugnatore della Galvanocaustica e costruì una pila e degli strumenti. A questo proposito sono note le discussioni avvenute col GOZZINI, quando volevano metodizzare questo mezzo di dieresi e di exeresi. E GIUSEPPE CORRADI continuò a lavorare, a produrre, a creare strumenti per i quali aveva una passione assoluta. Ed è per tale motivo che creò il ricco armamentario della Clinica Chirurgica di Firenze, la quale sino ad allora aveva sempre usufruito di quello dell'Ospedale di S. Maria Nuova. Sotto il suo insegnamento si formarono Chirurghi coma FRANCESCO COLZI ( 1855 - 1903) ("Splenectomia ; operazione dell'ernia crurale) ed ENRICO BURCI, succeduto al COLZI nel 1903, autore di fondamentali ricerche sulla Chirurgia dei vasi sanguigni, sulla patologia delle ossa e sulla tecnica della resezione del fegato. Come già detto, il CORRADI ricevette un colpo tremendo dalla scomparsa della moglie. Abituato ad avere una guida, una compagna nella sua vita, si trovò solo, senza più iniziative né ideali, vivendo giorno per giorno, senza una meta a cui mirare o da raggiungere. Critico sagace, come lo dimostrava dirigendo col PELLIZZARI ed il BURRESI il giornale "LO SPERIMENTALE"; l'operatore forte e geniale; il patologo distinto, che come programma della sua vita, dopo avere scritto tanti pregevolissimi lavori, era il compimento della pubblicazione del suo "Compendio di Terapeutica Chirurgica" in cui vi era come nuovo indirizzo, il connubio tra la Patologia, la Tecnica e la Clinica, non ebbe più stimoli ed a poco a poco si ritirò dalla vita scientifica e dalla scena pubblica, seguendo con occhio vigile ed amoroso il nuovo movimento scientifico e il lavoro degli allievi. Aveva nel frattempo chiamato presso di sé, il suo allievo COLZI, da cui si fece affiancare nelle incombenze della Clinica ed a cui delegò, sin dal 1893, la gestione dell'Istituto, designandolo suo successore, finchè nel 1897 lasciò definitivamente la direzione e divenne professore emerito.Coì in misere condizioni di salute, dopo aver superato una grave polmonite, accasciato dagli anni, ma ancor di più dal non sentirsi più l'uomo di prima, avendo perduto vista ed udito, morì assistito dal figlio CESARE, dalla nuora GIUSEPPINA e dai nipoti (EMILIA, ANNAMARIA e BEPPE), nella sua abitazione in Via S. Egidio 10, non lontano da S. Maria Nuova, il 9 Maggio 1907.

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 Morendo, il CORRADI volle ancora confermare le sue idee liberali e razionalistiche non volendo né onoranze funebri, né sermoni di preti o di più o meno sinceri inneggiatori. La sua tomba si trova presso il Cimitero Evangelico degli Allori di Firenze e reca questa iscrizione: 

QUI RIPOSA GIUSEPPE CORRADIDI NOBILE FAMIGLIA

UMBRO MARCHIGIANACHE SCIENZA E PATRIA

ONORO'CON L'INGEGNO CON L'OPERAFONDANDO IN ROMA ITALIANALA PRIMA CLINICA CHIRURGICA

ONESTO UMILE AFFETTUOSOSTIMATO IN ITALIA  ALL'ESTERO

CONSUMO' LA LUNGA VITASENTENDO

NELLA VERITA' L'AMORENELLA CARITA' IL VERO

 Con GIUSEPPE CORRADI è scomparso l'ultimo Maestro dei Maestri d'oggi: un chirurgo di valore e cultura eccezionali. A lui la Chirurgia deve moltissimo, perché tenne alta la bandiera di questa sia in Italia che all'Estero.  (Il testo è tratto dal volume: "GIUSEPPE CORRADI" I° CLINICO CHIRURGICO DI ROMA - di ANDREA TRENTI e LEONELLO PETASECCA DONATI - 1989).  

  

         41°   MEDAGLIONE     

       ON.   AGOSTINO   MATTOLI  

 Nel Settembre 1997, dopo che l'artista GIGI FRAPPI aveva ultimato il ritratto di questo illustre cittadino, era prevista la cerimonia ufficiale commemorativa da parte dell'Amministrazione Comunale. Poi il triste evento del terremoto del 26, causò l'impraticabilità della stessa Sede Municipale ed anche il progetto originario è stato rimandato a data da destinarsi.Era stato edito, per l'occasione, anche un volumetto di 38 pagine a cura di RICCARDO MATTOLI e con il finanziamento di AGOSTINO MATTOLI IV (nipote che risiede in Sud America) che riepilogava la vita operativa e politica di questo esponente della tradizionale famiglia bevanate.(Le notizie sono tratte da questo volumetto, stampato nel febbraio 1997 a Roma). Quindici minuti dopo la mezzanotte del 16 maggio 1873, il Direttore del Ginnasio di Bevagna, Prof. EPAMINONDA MATTOLI, festeggiava con la famiglia la nascita del suo terzogenito, imponendogli il nome che fu di suo padre : AGOSTINO.  I genitori del giovane AGOSTINO erano molto conosciuti a Bevagna : la mamma DEBORA GHIRGA (1840 - 1924), vi si trasferì dalla natia Pieve Petròia (Perugia) per occupare un posto rimasto vacante di maestra elementare; suo padre EPAMINONDA (1842 - 1886) si laureò in lettere presso l'Università di Bologna (pubblicò in giornali ed opuscoli varie poesie, bozzetti drammatici ed articoli letterari. Tra le sue opere, la più importante è sicuramente "La Patria di Properzio ed il Torti rivendicato" del 1882).AGOSTINO trascorse l'infanzia e la fanciullezza nella casa paterna, circondato dall'affetto della famiglia, composta, oltre che dai genitori, dalla sorella AEDE (1867 - 1908), dal fratello ARISTIDE (1869 - 1931) e dallo

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zio TEMISTOCLE (1839 - 1912) che fu, come AGOSTINO I°, Sindaco di Bevagna. Il 18 Agosto 1888 sua sorella AEDE sposò un importante medico omeopatico, anch'egli di Bevagna: GIUSEPPE SECONDARI. Terminati gli studi scolastici nella sua Bevagna, e proseguendo una lunga tradizione familiare, AGOSTINO si iscrisse alla Facoltà di Medicina all'Università di PERUGIA ove compì i primi tre anni; si trasferì quindi a Roma, completando il corso di studi presso l'Università La Sapienza. Si interessò, in particolare, di malattie mentali, che furono argomento della sua tesi di Laurea, intitolata "Sui deliri e gli altri disturbi psichici nei malati inguaribili", che discusse nel 1898.Conseguita la Laurea, frequentò a Firenze la Scuola di Sanità Militare, congedandosi con il grado di Sottotenente Medico. Durante la permanenza nel capoluogo toscano, decise, terminato il servizio militare, di emigrare negli Stati Uniti d'America per approfondire lo studio dell'omeopatia, che, in quel lontano paese, era all'avanguardia. Sabato 29 e domenica 30 Settembre del 1900, furono le ultime due giornate che AGOSTINO trascorse a Bevagna, prima di accingersi al lungo viaggio. Il mattino del 4 Ottobre, si imbarcò da Genova sul piroscafo Werra, sotto un cielo coperto ed una fitta pioggia, con destinazione New York. La nave approdò il 20 Ottobre, dopo sedici giorni che provarono alquanto il giovane medico, che perse tre chili di peso! Il primo anno di permanenza in America fu particolarmente sofferto : solo, in terra straniera, senza conoscere la lingua, con pochi denari in tasca e mille pensieri in tasca e mille pensieri in testa. Malgrado le inevitabili difficoltà di ambientamento - nei primi mesi cambiò spesso dimora - affrontò ogni situazione con coraggio e senza perdersi d'animo. In quel momento, il suo scopo principale era quello di imparare bene l'inglese, per poi poter sostenere l'esame di abilitazione, equivalente ad una seconda Laurea in Medicina e chirurgia, che gli avrebbe consentito di esercitare la professione ed approfondire la ricerca omeopatica. Iniziò così a frequentare una scuola serale, le cui lezioni, della durata di un'ora e trenta minuti ciascuna, gli venivano impartite da un maestro, che, invece di insegnargli la lingua, lo rimproverava per l'inclinazione della sua scrittura, giudicandola non americana e pretendendo di correggerne la calligrafia. Nel frattempo conobbe la signorina JANE STRONG, la quale divenne la sua migliore amica. Ben presto si rese conto che, nonostante gli sforzi e la buona volontà, in quella scuola non avrebbe mai migliorato il suo inglese; decise così di ritirarsi e di prendere lezioni direttamente dalla signorina STRONG.La nuova maestra, lo introdusse, in qualità di insegnante di italiano e di scherma, in un esclusivo Collegio - Università - ove mise a frutto le sue doti di ottimo spadaccino. Ciò gli consentì di pagarsi le spese di sostentamento. Il 22 settembre 1902 conseguì a NEW YORK la sua seconda laurea in Medicina, che gli consentì di esercitare la professione anche in America.Aprì un primo Studio nella zona ovest della Città e, successivamente, un altro nel settore est. Con una lettera di presentazione di suo zio EPITTETO alias ATTILIO (1847 - 1932) - anch'egli fu Sindaco di Bevagna - ebbe l'opportunità di conoscere colui che, in America, era considerato il più grande medico omeopatico del mondo: il dottor JAMES TYLER KENT. Il Professore americano lo accolse fra i suoi discepoli, rendendolo partecipe dei suoi studi sulla pazzia, curata con l'omeopatia, ed i brillanti risultati ottenuti sui pazienti sottoposti alle sue terapie. Acquisiti i metodi del dottor KENT, Agostino li perfezionò con successo, guarendo molti malati di nevrastenia. AGOSTINO si mantenne sempre in contatto con l'Italia, tramite la corrispondenza e la lettura dei giornali. Con il ritorno al Governo di GIOLITTI (il 15 Febbraio 1901 in qualità di Ministro dell'Interno nel Gabinetto ZANARDELLI e dal Novembre 1903 a capo del suo secondo Esecutivo) il Paese riprese quel benefico cammino democratico che ne agevolò lo sviluppo civile.Rincuorato da ciò, si decise di anticipare il ritorno in Patria, intenzionato a mettervi in pratica la scienza che aveva acquisito ed esercitato negli anni trascorsi in America. Dopo aver raggiunto la somma necessaria per pagarsi il biglietto di ritorno ed il necessario per avviare la propria professione in Italia, intraprese il viaggio. 

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AGOSTINO rimpatriò nell'autunno del 1905, stabilendosi a Roma in Via Cavour, 278. Anche nella Capitale divenne molto conosciuto ed apprezzato. La sua fama si diffuse in particolare nella numerosa comunità angloamericana di Roma. In qualità di medico, il 18 marzo 1906, conobbe colei che, nel giro di sei mesi, divenne sua moglie : KATE (CATERINA) BALCH. Ella soggiornava a Roma in compagnia della madre MARY CRANGE, quando quest'ultima si trovò nella necessità di ricorrere alle cure di un medico. La signora si rivolse all'Ambasciata Americana, che le indicò il nome del dottor AGOSTINO MATTOLI. KATE BALCH era figlia del notissimo GEORGE WASHINGTON BALCH che, fra le sue numerose attività, fu tra i fondatori della Western Union (Società di Telegrafi) ed avviò, insieme al suo amico GRAHM BELL, il primo servizio telefonico in America, nello stato del Michigan. Dopo il matrimonio si trasferì in via Sistina 60, ove nacquero i figli GIORGIO (il 17 Novembre 1907) ed AGOSTINO III (il 6 Gennaio 1910). Proseguì anche in Italia i suoi studi e l'attività di ricerca, mantenendo stretti contatti con l'America. Partecipò a numerosi congressi mondiali di omeopatia e le sue opere scientifiche vennero pubblicate dalle più importanti riviste mediche americane. Fu, tra l'altro, uno dei primi estimatori di SIGMUND FREUD (1856 - 1939), padre della psicanalisi, che conobbe personalmente in occasione di un viaggio in Austria. Nel gennaio del 1908 il Presidente del Consiglio dei Ministri Onorevole GIOVANNI GIOLITTI (1842 - 1928), venuto a conoscenza dei successi conseguiti dal dottor AGOSTINO MATTOLI, lo chiamò a visitare una persona della sua famiglia che, pur essendo stata sottoposta ad ogni tipo di cure - da alcuni anni e da più medici -, si trovava in uno stato di salute assai compromesso e andava progressivamente peggiorando, al punto che si stava perdendo qualsiasi speranza di guarigione. Dopo lunghe e quotidiane terapie, la persona recuperò completamente la sua salute.  Quindici anni dopo, il quotidiano fiorentino "La Nazione" pubblicò un articolo che annunci settembre ava il programma del Consiglio Internazionale Omeopatico (tenutosi a Firenze dal 5 all'8 settembre 1923) ed in calce la seguente lettera dell'Onorevole Giovanni Giolitti: 

Bordonecchia, 30 agosto 1923  Preg. mo SignoreLe sono grato della sua gentile lettera e sono molto lieto che la scienza omiopatica si affermi e diffonda anche in Italia. Quando contribuii a farla riconoscere ufficialmente, ciò feci perché ebbi la prova della sua serietà in casa mia, per cure fatte a persona di mia famiglia dal dott. AGOSTINO MATTOLI, con risultati che non esitai a definire meravigliosi. Non mi è ora possibile intervenire personalmente al Consiglio Internazionale Omiopatico, ma sarei veramente lieto se l'amico dottor AGOSTINO MATTOLI accettasse di rappresentarmi. Non conosco ove in questo momento egli si trovi, e quindi La prego, se Ella lo crede opportuno, di pregarlo, a mio nome di volermi rappresentare.

Con distinta stima.                                    Dev.mo : GIOVANNI GIOLITTI  

La lettera non ha bisogno di commenti e conferma l'immutata gratitudine dello statista piemontese nei confronti del sua caro amico medico.Durante le premurose cure, si instaurò da subito un rapporto di amicizia che si accrebbe sempre più. GIOLITTI volle il Mattòli al suo fianco non solo per l'assistenza, ma anche, e soprattutto, in qualità di suo confidente e consigliere: infatti, da subito egli ebbe modo di apprezzarne, oltre alla scienza medica, la sua vasta preparazione culturale laica, approfondita dalla minuziosa conoscenza dei fatti storici relativi al periodo risorgimentale e contemporaneo. L'11 Giugno 1909 venne nominato, con Regio Decreto, Cavaliere della Corona d'Italia. L'onorificenza gli venne concessa quale riconoscimento per l'opera benemerita nei confronti dell'umanità, e per i risultati scientifici che era riuscito ad ottenere con le sue ricerche.Giolitti fu sempre particolarmente interessato anche alle testimonianze che il Mattòli acquisì durante la sua permanenza in America e, specificatamente, agli ordinamenti ed al sistema politico di quella Nazione. 

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Famose erano le passeggiate che l'uomo di stato faceva quotidianamente, al mattino ed alla sera, durante le quali voleva al suo fianco Mattòli, per consigliarsi e scambiare opinioni generali, in primo luogo, sul Governo e la politica interna ed estera. Il Re VITTORIO EMANUELE III, nell'udienza del 3 settembre 1911, si compiacque di promuovere il Mattòli ad Ufficiale della Corona d'Italia. Un mese dopo, la sera del 7 ottobre 1911, si tenne al Teatro Regio di Torino un grande banchetto politico in onore di Giolitti. Lo statista di Dronero volle festeggiare in quell'occasione l'onorificenza del suo amico invitandolo al ricevimento. Un ulteriore riconoscimento per le sue brillanti affermazioni nella medicina, gli venne tributato il 25 Ottobre 1913, quando S. M. il Re gli conferì la Commenda dell'Ordine della Corona d'Italia.Il 13 gennaio 1915 un violento terremoto distrusse la città di AVEZZANO (AQ), mietendo oltre trentamila vittime. In prima linea, nelle operazioni di soccorso, si distinse il Corpo Militare della Croce Rossa Italiana che, forte dell'esperienza del terremoto di MESSINA e REGGIO CALABRIA (1908), fece subito scattare il dispositivo di sicurezza, inviando ambulanze di montagna con materiale sanitario, trasportando numerosi feriti in vari nosocomi e a Roma dove furono impiantati due Ospedali attendati della Croce Rossa Italiana. Mattòli si prodigò anche in quella circostanza, mettendo a disposizione la sua vasta esperienza, accorrendo sul luogo del disastro, ove fornì, con indefessa abnegazione, aiuto e sussidi economici personali alla popolazione colpita, salvando, con le sue cure, la vita di moltissimi feriti. Il Ministero dell'Interno, in segno di riconoscenza per la sua elevata opera umanitaria prestata in occasione del cataclisma, gli conferì, il 30 luglio 1919, una medaglia di bronzo. Nel maggio 1915, con l'entrata in guerra dell'Italia, venne richiamato alle armi col grado di Maggiore Medico e destinato a Ciampino, presso l'attuale Aereoporto militare, ove vi era un appostamento di dirigibili. Durante il conflitto si mantenne in contatto epistolare con Giolitti, che, rimasto lontano da Roma, per gran parte del periodo bellico, soggiornò quasi sempre in Piemonte.Il 1 Agosto 1920 Vittorio Emanuele III° lo nominò Grande Ufficiale della Corona d'Italia per il servizio reso alla Patria. Ancor prima di essere eletto deputato, ricoprì, in forma ufficiale e non, vari incarichi di Governo, certamente superiori a quelli di un Sottosegretario di Stato e quasi paragonabili a quelli di un Ministro del Regno. Ebbe, infatti, un proprio Ufficio al Viminale, presso il Ministero dell'Interno.Con Giolitti fece parte della Delegazione Italiana che partecipò ai due Convegni Internazionali, che ebbero luogo nell'estate del 1920 per risolvere il problema di FIUME, dell'ISTRIA e dei Confini Italo- Jugoslavi. Il primo si svolse dal 21 al 24 Agosto a LUCERNA (Svizzera), presso la Villa Halishorn, di proprietà del Re ALBERTO del Belgio, con il Primo Ministro inglese David Lloyd George, assistito dal suo Segretario di Gabinetto Maurice Hankey. Il secondo Convegno si tenne nei giorni 11, 12 e 13 Settembre ad AIX - LE - BAINS, rinomata località termale della Savoia. Giolitti e Mattòli si incontrarono con il Presidente della Repubblica Francese MILLERAND ed il suo Ambasciatore a Roma, BARRERE. I colloqui con Lloyd George e Millerand furono il preludio della Conferenza di Pace, che si svolse a Santa Margherita Ligure e a cui, dal 10 al 12 Novembre 1920 si aggiunsero alla Delegazione Italiana, già ivi pressente ai lavori, il Presidente del Consiglio Giolitti e il dottor Mattòli. Giolitti firmò il 12 Novembre a Rapallo, unitamente al Ministro degli esteri SFORZA e a quello della Guerra BONIMI, l'omonimo Trattato in cui vennero rivisti favorevolmente all'Italia, i propri confini orientali. Tra gli intervenuti vi fu anche il Generale PIETRO BADOGLIO - amico di Mattòli - per la sua esperienza militare e per la minuziosa conoscenza delle zone in questione. Le amicizie di Mattòli si fecero sempre più numerose, non solo all'interno dello schieramento più vicino a Giolitti, tra cui, per fare solo alcuni nomi, AMENDOLA, AMICI, BENEDUCE, FACTA, NETTI, PORZIO, ROLANDI, RICCI, ROSSANO, SOLERI e, tra i socialisti, BISSOLATI, BONOMI, GRAZIADEI (che fu prima paziente suo, quindi, molti anni dopo, del figlio dottor GIORGIO, cardiologo), LABRIOLA, MATTEOTTI, MORGARI e TURATI. 

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Ebbe inoltre amicizie con alcuni fra i maggiori esponenti dell'Industria. Per conto di Giolitti, Mattòli intrattenne relazioni ufficiali e segrete con il Senatore Avv. VITTORIO ROLANDI RICCI, quando questi, agli inizi del 1921, venne nominato ambasciatore a Washington. Mattòli venne spesso sollecitato dagli amici a presentare la sua candidatura a deputato; accolse tale invito soltanto quando fu Giolitti in persona, durante una delle solite passeggiate, a dirgli che era giunto il momento che si candidasse alla Camera. Da quel momento sospese gradualmente la sua attività di medico, che già negli ultimi anni aveva ridotto, a causa del suo sempre maggior coinvolgimento nella vita politica.  Si presentò alle elezioni politiche generali nel Collegio di Perugia, unitamente all'onorevole Amici (sottosegretario alle Poste e Telegrafi negli ultimi due Governi guidati da Francesco Saverio Nitti e da Giolitti). Si votò il 15 Maggio 1921 e venne eletto Deputato della XXVI Legistratura con un elevato numero di suffragi. Subito dopo le elezioni, Mattòli venne a sapere, da varie fonti, che i fascisti avevano sequestrato in molti seggi elettorali le schede con il voto preferenziale per il suo nominativo. Di ciò ne ebbe conferma, tra gli altri, dal Conte Spetia di Bevagna - amico di famiglia-, il quale gli riferì che a Foligno si presentarono militanti fascisti che, sotto la minaccia delle armi, prelevarono le schede col suo nome sostituendole con altre recanti i nominativi di Misuri e Pighetti; lo informò inoltre, che i suoi elettori non lo avrebbero potuto votare in tale seggio se, alla vigilia del voto, Pirro non fosse giunto da Roma, alle ore 14, con altre schede con il nome di Mattòli. Tentativi di alterare il regolare andamento del voto popolare, si verificarono anche in altri comuni, tra i quali Piediluco. Nel corso del suo mandato parlamentare si attivò in molte iniziative. Fu autore della proposta di legge presentata alla Camera unitamente al suo buon amico onorevole Aldo Netti, umbro anch'egli (nativo di Narni), di costituire in Comune autonomo la Frazione di COLLI di LABRO (Perugia). Fece parte della Commissione permanente Esercito e Marina per l'Esercizio 1922 -23 e si adoperò, con interpellanze ed interrogazioni, affinchè si sviluppasse la rete telefonica in Umbria. Partecipò alla Conferenza Economica di Genova, che si tenne dal 10 Aprile al 19 Maggio 1922, ai cui lavori furono presenti una trentina di Paesi. L'evento ebbe un carattere di importanza straordinaria : per la prima volta si riunivano intorno ad un tavolo, ed in condizioni di parità, i rappresentanti delle Nazioni vincitrici e vinte della Grande Guerra. L'Italia venne rappresentata dal Presidente del Consiglio FACTA, il quale pregò l'On. Mattòli di raggiungerlo urgentemente per essergli a fianco - conoscendo la lunga esperienza Internazionale che questi aveva acquisito all'epoca del quinto Governo del loro amico Giolitti - durante la Conferenza. Allo stesso tempo Mattòli era il rappresentante ed il portavoce di Giolitti - spesso assente da Roma -, in particolare con gli esponenti ed i parlamentari dei Governi BONOMI e FACTA. Il 28 Ottobre 1922 il Re, rifiutando di firmare lo stato d'assedio, diede il suo assenso affichè si compisse la Marcia su Roma e, l'indomani, invitò MUSSOLINI a Roma per affidargli l'incarico di formare il nuovo Governo, che entrò in carica il 31 Ottobre. Ebbe così inizio il regime che poi portò il Paese alla dittatura fascista.           Il 25 Gennaio 1924 venne sciolta la XXVI^ Legislatura e contestualmente indette le Elezioni che ebbero luogo il 6 Aprile. La campagna elettorale si svolse in un clima di grande tensione : molteplici furono le minacce e le violenze operate dagli squadristi. Un malore del figlio GIORGIO, costrinse l'On. Agostino Mattòli ad annullare alcuni appuntamenti elettorali. Quella fortuita circostanza, gli consentì di sfuggire ad un agguato mortale tesogli a TODI dal più efferato degli squadristi : quell'AMERIGO DUMINI, che con i suoi carnefici, riuscì - pochi mesi più tardi - ad assassinare l'onorevole GIACOMO MATTEOTTI. Come gli venne poi confermato da fidi amici ed elettori, le operazioni di voto ebbero luogo nell'assoluta illegalità. I brogli elettorali permisero alla Lista Fascista di ottenere la maggioranza in quasi tutti i Collegi e, con la nuova Legge Elettorale, di aggiudicarsi oltre i 2/3 del Seggi. Molto deluso ed amareggiato per l'esito del voto, e per aver constatato che non vi era più alcuno spazio per poter esercitare una civile, democratica ed incruenta opposizione al regime totalitaristico instauratosi nel Paese, prese la decisione di allontanarsi dalla vita politica.

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 Tornò ad occuparsi esclusivamente della professione medica curando i suoi pazienti. Perfezionò ulteriormente la ricerca e l'applicazione dell'omeopatia, consultandosi soventemente con il cugino dottor DANDOLO MATTOLI, che era intanto assurto all'apice in quel ramo della medicina. Rimase il fedele amico di sempre dell'Onorevole Giolitti : continuò, infatti, ad essergli accanto durante le sue vacanze ed in particolare a VICHY (Francia), come ricorda Ansaldo, citando quelle che erano state fra le ultime spese dell'anziano statista. Mattòli gli fu vicino fino alla morte, avvenuta a Cavour il 17 Luglio 1928. Nemmeno nove mesi trascorsero, che, il 13 Aprile 1929, AGOSTINO MATTOLI spirò, colpito da una crisi cardiaca, nella sua villa di ANZIO circondato dall'affetto dei figli GIORGIO e AGOSTINO III.A nulla valsero le cure del cugino dottor DANDOLO MATTOLI che accorse da Firenze al suo capezzale. La notizia della prematura scomparsa ebbe larga eco, non solo in Italia, ma, in larga parte del mondo ed in particolare negli Stati Uniti d'America, provocando dolore e commozione tra parenti, amici e semplici cittadini.Al termine di una commovente cerimonia funebre, la salma venne tumulata nella sua Bevagna accanto alla compianta moglie CATERINA.  

Note

[5][1] Fabio Alberti, nella “Dissertazione Epistolare sulla patria del poeta Sesto Aurelio Properzio diretta al reverendissimo Padre don Giuseppe di Costanzo”, a pag. 12 scrive: “L’altra cosa, che mi rimaneva da dire è, che Voi, pag. 453 e 445 tentate di attribuire ad Assisi PASSIENO PAOLO, discendente a Municipe di Properzio. Nelle due lettere di Plinio il Giovane, in ambedue a tal soggetto si dà il nome di Passieno = Passienus PAULUS = Passieni Pauli =.La vostra iscrizione Assisana dice = C. PASSENNO =Cosa dunque ha che fare la Famiglia PUSSIENA colla PASSENNA: tra l’una e l’altra evvi un gran divario; e questa svista in vostro pari è molto significante, e potevate fare a meno di produrre l’autorità del Volpi, che nulla fa al caso”. [6][2] I Bianconi fecero parte fin dagli inizi del ‘400 delle poche famiglie costituenti il nucleo nobiliare di Bevagna, era ritenuta tra le primarie fin dal secolo XIII. Si estinsero nel ‘400 con un Giovanni, Vicario Generale di Spoleto. Il loro stemma, tratto da un fascicolo di 45 fogli, inserito nel 1702 tra gli atti del Notaio Egidio Sperelli in cui vengono riprodotti gli stemmi e la storia delle famiglie illustri bevanati, è il seguente: “Fascia orizzontale argentea di partizione. Nella parte superiore a fondo verde, ci sono tre gigli posti in fascia, in quella inferiore, a fondo rosso, tre scaglioni d’argento”. [7][3] Il Piergili, nella “Vita del Beato giacomo Bianconi – MDCCXXIX “ – scrive: “ Nato il Bambino con applauso, & allegrezza di tutto il Parentado, e della Patria, fu conforme al costume della Chiesa Cattolica portato alla Chiesa di S. Vincenzo, e quivi nell’onde del Sacro Fonte, fu lavato dalla originaria colpa, e regenerato a Giesù Christo, fù arrolato nel numero di coloro, che ricevono in questo Sacramento l’innocenza Battesimale”. [8][4] Il Priore Battista Piergili a pag. 4 della “Vita del b. Giacomo Bianconi da Bevagna – MDCCXXIX – Roma – Scrive: “Ha ogni tempo Bevagna prodotto huomini non meno chiari per dottrina, che famosi nelle armi, uno de’ quali fu ANGELO CINO Vescovo di Macerata, e Recanati, Cardinale della Santa Romana Chiesa, creato da papa Gregorio XII del quale tratta diffusamente Pompeo Compagnoni nella sua Regia Picena, e con tutte le scosse, che ha ricevute dall’armi barbare, ha conservato la generosità del cuore, desiderosa di ritornare a qualche parte della perduta gloria”. [9][5] Fu battezzato il 1 Dicembre 1602. Aveva altri fratelli e sorelle: Antonio (1605), Ursola (1607), Maria (1609), Carlo (1612), Marta (1613), Bastiano(1616-1619), Adriano (1618), ed ancora Bastiano (1622).

  

 

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ARCHEOLOGIA INCOMPRESA      

PREMESSA 

*** 

Queste brevi «memorie» hanno lo scopo di testimoniare, anche attraverso foto dell’epoca, avvenimenti e fatti ai quali ho assistito, in cui il «vandalismo archeologico» ha avuto spesso il sopravvento su una evidente realtà che doveva essere gestita con maggiore accortezza per valorizzarne i significati ed i conseguenti preziosi insegnamenti. Ho preso in esame gli ultimi 20 anni descrivendo, in ordine cronologico, quello che ho creduto opportuno ricordare e che è avvenuto sotto i nostri occhi impotenti.Spero rappresenti un piccolo contributo che potrà integrare questa realtà storico - culturale della nostra antica MEVANIA che dovrebbe essere maggiormente salvaguardata sia dai vandali veri e propri che difesa dall’indifferenza delle Istituzioni preposte anche a questo scopo.                                                                                                                                                                                               L'autore 

 ***                                                       

INIZIO LA MIA TESTIMONIANZA DALL’ANNO 1963 

LA NECROPOLI DELL’ARQUATA Era quel periodo in cui la Ditta Briziarelli aveva iniziato i lavori di sbancamento per la costruzione della nuova Fornace di laterizi in Loc. ARQUATA. Un anno e mezzo dopo, da un articolo pubblicato dal «Messaggero» si traggono queste notizie: 

Titolo: AD ARQUATA DI BEVAGNA - ALCUNE TOMBE ROMANE SACCHEGGIATE DAI LADRI - LA PICCOLA NECROPOLI ERA STATA SCOPERTA CIRCA UN ANNO FA DURANTE ALCUNI LAVORI DI

SCAVO.  «Alcune Tombe Romane sono state saccheggiate oggi (14 Novembre 1962) da ignoti ladri in località ARQUATA di Bevagna.Circa un anno fa la Ditta BRIZIARELLI di Foligno sospendeva un proprio lavoro di sbancamento di terreno argilloso, per la costruzione di materiale edile e denunciava alla Soprintendenza ai Monumenti di Perugia di aver trovato resti di Tombe di epoca molto antica.Poi, alcuni esperti di Bevagna, stabilivano trattarsi di Tombe Romane risalenti all’epoca di poco anteriore a quella Imperiale, essendo stata in quel tempo e in quel luogo combattuta una violenta battaglia fra Legionari Romani ed Umbri, ribelli all’autorità di Roma.Oggi è stato scoperto che alcuni ignoti hanno vuotato le Tombe di tutti i tesori archeologici che contenevano. La Soprintendenza ai Monumenti ha fatto trascorrere troppo tempo prima di intervenire ed il trafugamento ne è stata la conseguenza. Si sono iniziate le indagini da parte delle autorità per vedere di far luce sul grave fatto.» Dei materiali rinvenuti non esiste un elenco: ci si basa soltanto su voci popolari che raccontano di pezzi di spade ed elmi.

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 In un altro articolo del quotidiano «La Nazione» del 17 - 11 - 1962 compare una foto seguita dalla seguente didascalia : «Questa è una delle Tombe Romane che furono scoperte lo scorso anno ad Arquata di Bevagna.In questi giorni si è parlato di nuovo di queste tombe perché ignoti ladri di antichità avrebbero proseguito gli scavi e si sarebbero impadroniti degli oggetti scoperti nei sepolcri. Le autorità stanno compiendo un’inchiesta». Dopo alcuni mesi, parlando di queste Tombe, preso dalla curiosità, feci un sopralluogo assieme con il pittore GIGI FRAPPI e all’amico (fu) GIACOMO CRISANTI.Ricordo che vi erano numerosi cumuli di terra di riporto provenienti dallo sbancamento limitrofo.Era un pomeriggio del 1963 e camminando lentamente e con occhio attento, cominciammo a scrutare su questi cumuli con la speranza di poter individuare qualche reperto.E alla fine fummo davvero fortunati in questa nostra ricerca poiché riuscimmo ad individuare piccoli residui di frammenti d’osso lavorati che senz’altro erano pertinenti alle suppellettili di alcune Tombe.Purtroppo erano solamente piccoli frammenti di oggetti particolarmente interessanti ed anche di ottima fattura.Furono a me consegnati ed io li conservai gelosamente per qualche anno in una vetrinetta appositamente allestita, andando sempre fiero di questa mia scoperta. Dopo qualche tempo, durante la I^ Campagna di Scavi in località «PILONE» (S. Agostino e se ben ricordo era l’anno 1977 - 1979), ebbi l’occasione di parlare con la dott.ssa DORICA MANCONI, direttrice dei lavori della Soprintendenza Archeologica per l’Umbria, a proposito di quei reperti rinvenuti presso l’Arquata e da me detenuti.La Dott.ssa mi chiese di poterli visionare e di portarli a Perugia per classificarli e fotografarli. Io li consegnai ben volentieri.Dopo alcuni giorni me li rese venendo essa stessa, con il treno, a BASTIA UMBRA e consegnandomeli mi disse che «erano stati catalogati, annotati con il nome dell’attuale possessore e che - secondo il suo parere - essi erano di epoca «Pre- Romana». Nell’elenco dei Ritrovamenti nel Territorio Bevanate, tratto da «Studi su Bevagna Romana» di MARGHERITA BERGAMINI e DORICA MANCONI - 1983 - 84, al punto 19 si legge:

LOC. ARQUATA 

«Due busti, uno di marmo greco, l’altro in pietra, un simulacro di travertino rappresentante un toro, un’iscrizione funeraria, Tombe Romane, resto di un letto funebre.«Il resto di un letto funebre» di cui fa menzione la dott.ssa MANCONI a pag. 122, potrebbe avere avuto quel tipo di decorazioni di cui abbiamo raccolto i frammenti in osso lavorato.(Sarebbe interessante capire come era questo letto e se apparteneva o a un guerriero o ad una persona comune).Se le Tombe rinvenute erano in numero cospicuo, significava che poteva esserci veramente una piccola NECROPOLI posta su una altura ( 236 – 242 mt.), più alta della stessa Bevagna.La Bonomi scrive: “probabile Necropoli”, ma se l’estensione dell’antica Mevania era più del doppio di quella attuale, probabilmente non è da escludere una Necropoli appena fuori delle città e al di là del fiume. Ritornai spesso a visionare quei luoghi, ma l’andamento dei lavori attinenti la fornace aveva fatto in modo che il terreno era stato più volte manomesso, stravolto e la terra rimescolata e trasferita in vari punti per cui nulla è stato possibile rinvenire se non vicino alla casa del custode, dove in epoca posteriore, trovai, in superficie, alcuni frammenti di cui parlerò a tempo debito. Come parlerò di questi reperti ossei dell’Arquata consegnati alla Soprintendente dott.ssa Anna Eugenia Feruglio qualche anno or sono. 

*** 

              LA   NECROPOLI   DEL   “PILONE”     -   (S. AGOSTINO)   

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Nelcorso degli anni 1977 – 79 e 1981 – 84 in località «Pilone» la Soprintendenza Archeologica per l’Umbria procedette allo scavo di una necropoli romanadi cui vi erano notizie certe e una numerosa letteratura a riguardo.Il prof. Pietrangeli in «Mevania», p.100, scrive che il nome “Pilone” è ricordato da documenti e toponomi antichi, così come il «Torrione».Essi dovevano essere nuclei di tombe «a torre» sul percorso della antica Via Flaminia.

Questo «Pilone» evidentemente prendeva il nome da una antica tomba. Fin da epoca antica la località è stata oggetto di numerose varietà di colture. Da cartoline antiche si nota essere stata trasformata in vigneto, in altre esistevano grandi alberi e quindi tutto il terreno è stato più volte manomesso e lavorato in profondità e molti reperti sono “rotolati ” verso il basso, data la pendenza del terreno stesso.

Un tempo, in questo luogo vi si svolgeva la fiera del bestiame.Sin dall’inizio, quando tutta l’area era un podere di proprietà della famiglia Spetia, le testimonianze più cospicue che affioravano durante i lavori agricoli, furono salvate alla meno peggio e il Pietrangeli ricorda che queste suppellettile, (alcuni balsamari di vetro, grani di collana, frammenti di fibule, lucerne ecc.), erano custodite presso la casa delle “Signorine Spetia”. Nel giardino d’ingresso alla “Villa Spetia” vi sono conservate alcune iscrizioni anche di un certo valore storico - epigrafico.Erano sistemate tra loro vicine ed erano state inventariate anche nel C.I.L. ai nn. 5053 e 5047. La prima è descritta nel suddetto Corpus nella Regio VI a pagina 737: “ Cippus ornatus latus m. 0,79. Eodem anno (1635 post. N° 5047) rep. Servatur apud eosdem heredes Michaelis Angeli (G.U.D.), similiter Iac. Col., cf. n. 5044. In eodem fundo adhuc”.  

Due colombeD. M.

CN SERI PHILETIMAG(ISTRI) VAL(ETUDINIS) VI. VIR(I) S(ACRIS) F(ACIUNDIS)

PENASIA. PALLASCONIUGI

BENE MERENTIET SIBI

“Descipsimus Giorgi et ego. Gudius ms. 286, 1, ed 258, 8; Iacobilli I f. 343 n.16, II f. 422 n.18 et deletam in rec. I f. 344 post n.34; Coleti n. XXXVIII”.La Penasia era una famiglia tipica di Bevagna che è anche ricordata in altre due iscrizioni ( CIL 5053 – CIL 5115). L’altra iscrizione fa riferimento alla Famiglia ATTIA, una Gens fra le più ragguardevoli del Municipio Mevanate.(Un ATTIUS L. F. fu quattorviro in periodo repubblicano. (C.I.L. XI – 5045: incisa su urna del I° sec. A. C.).Liberti della Famiglia rivestirono varie cariche pubbliche. L’iscrizione di “Villa Spetia” fa riferimento invece ad un certo C. ATTIUS IANUARIUS che fu Servir Sacris faciundus e novemvir Valetudinis; fu anche membro del Collegio dei Centonarii che gli dedicarono una statua per aver legato ad esso la somma di mille sesterzi perché con la sua rendita nel giorno dei Parentalia dodici uomini banchettassero presso il luogo del suo rogo. Il Borman così descrive questa iscrizione al N° 5047 del C.I.L. “Cippus supra rotundus ex tiburtino latus m. 0,72, crass. Fere 0,18. Mevaniae in agro D. Michaelis Angeli extra portam S. Salvatoris anno 1635, qui adhuc integer extat apud heredes eius G.U.D., similiter Iac. Col. Alb., cf. n. 5044. In eodem fundo adhuc extat”.  

Delphinus   Vas   DelphinusC. ATTIUS L.IANUARIUS

VI VIR S F VIIII VIR VAL

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HIC COLLEGIO SUO CENTONARIORUM LEGAVIT If s 00 EXCUIUS REDITU QUOD ANNIS

DIE PARENTALIORUM NE MINUSHOMINES XII AD ROGUM SUUM

VESCERENTURCURA COLL. CENT.

 Le due lapidi, di cui abbiamo parlato e descritto il contenuto, che qualche anno prima erano in una stato precario di staticità, con l’avvento del nuovo proprietario della “Villa Spetia”, Silvestri dr. Filippo. Furono fortunatamente rimesse in posizione diritta l’una accanto all’altra, ma pur sempre esposte alle intemperie. Era auspicabile collocarle magari all’interno della Villa o nel suo ingresso (1988).  Sui saggi di scavo effettuati in località «Pilone» è stato edito un volumetto a cura di Margherita Bergamini e collaboratori, tratto dal Volume XXI degli «Annali della facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli Studi di Perugia” – Anno 1983/84 – di pp. 123, con 30 tavole riproducenti le varie tipologie di reperti rinvenuti.Contemporaneamente ai lavori stagionali agricoli, ho fatto vari sopralluoghi sul terreno e non sono mai stato deluso da quanto ho potuto rinvenire.Ne traccerò specificatamente un elenco.Al termine del primo saggio di scavo del ‘79, dopo che la Soprintendenza aveva ricoperto il tutto e risistemato il terreno, rinvenni: 

1.       N. 1 balsamario integro misurante 7,9 cm. di altezza, diametro di apertura 1,9 cm. e lunghezza del collo 2,5 cm., di tipo «ising

2.       N. 1 piccolo oggetto in pasta vitrea di color verde con due fori passanti e di forma quasi ovale con decorazione superficiale a globetti (in totale n. 22/23 su 5 file in ordine decrescente. Potrebbe trattarsi di un piccolo pendaglio o di un ornamento per anello che veniva bloccato tramite i due fori passanti. Mettendo l’oggetto in una certa posizione esso rammenta il muso di un coccodrillo, dove i due fori rappresenterebbero gli occhi.

  

                                                              *** 

LA   FERUGLIO   SI   APPROPRIA   DI   ALCUNI   REPERTI   DA   ME   RINVENUTI   NEL 1963   IN   LOCALITA’   ARQUATA

 In occasione della settimana per i beni culturali per iniziativa della Soprintendenza Archeologica per l’Umbria ed il Comune di Bevagna, venne organizzata una Conferenza su: “ Recenti scoperte archeologiche nel territorio di Bevagna ”, relatore la dott.ssa Laura Bonomi Ponzi, (responsabile della Soprintendenza Archeologica per il territorio di Bevagna).L’incontro si svolse nella Sala della Giunta presso il Palazzo Comunale il giorno 13 dicembre 1986 alle ore 17. 

Ripropongo la relazione della dott.ssa Bonomi tratta dalla registrazione  

"Bevagna sorge ai margini della vasta pianura della Valle Umbra, alle estreme propaggini dei Monti Martani su un leggero declivio verso i corsi d’acqua che la circondano e quindi ha una posizione abbastanza centrale rispetto a tutta la pianura che va praticamente da Assisi e poi si insinua anche nella Valle Spoletina. La sua posizione, al termine dell’importante itinerario che correva sul versante occidentale dei Monti Martani, che poi sarà in età romana, la Via Flaminia, ha favorito il suo sviluppo come centro abitato fin dall’età del ferro, attestata dalle tombe di tale periodo rinvenute presso la Villa Boccolini e dei cui corredi abbiamo dei dischi di bronzo e della ceramica d’impasto, dei vasi d’impasto databili nel VII secolo a. C., simili per esempio, a quelli rinvenuti nella necropoli dell’età del ferro di Campello. 

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Tracce di strutture insediative di tipo pre - urbano sono venute alla luce nel corso di scavi recenti condotti dalla Soprintendenza in Via I Maggio, dove nei livelli più bassi dello scavo, a contatto con il terreno vergine, sono stati trovati resti di una fornace e forse di abitazioni. Le prime notizie storiche risalgono all’epoca della II^ Guerra Sannitica e sappiamo che nei pressi di Bevagna avvenne una battaglia tra romani ed umbri alla fine del IV secolo.Nella II^ Guerra Punica è ricordato un personaggio, un ricco mevanate, VARENO, che aveva possedimenti anche a Foligno.L’apertura della Via Flaminia, nel 220 a. C., dovette favorire lo sviluppo del Centro posto alla confluenza di vari percorsi sia stradali che fluviali : dalle fonti storiche sappiamo che i corsi d’acqua che correvano presso Bevagna all’epoca, erano navigabili.La documentazione per l’età medio – repubblicana non manca: sono stati scoperti sepolcri lungo il tracciato della Via Flaminia con urnette di pietra calcarea di tipo “mevanate” e forse a tale periodo possono risalire le mura in mattoni crudi ricordate da PLINIO.Recentemente anche nello scavo di Via I Maggio sono stati trovati materiali ascrivibili a tale periodo.Dopo la Guerra Sociale, cioè agli inizi del I secolo a. C., divenne Municipio ascritto alla Tribù AEMILIA. Solo in quest’epoca l’urbanizzazione viene completata e il territorio circostante viene sistemato secondo il modello di organizzazione territoriale romana.Nella pianura tra Bevagna, Spello e Foligno, sono attestate tracce di centuriazione, cioè di una sistemazione dei terreni agricoli secondo regole ben precise e stabilite dai testi agricoli romani.E’ attestato anche un artigianato locale appunto nella produzione di urnette, queste urnette che sono presenti anche qui tra il materiale conservato in Comune e ritrovato a Bevagna e che dovevano avere un commercio anche nella zona di Foligno, dove ne sono stati trovati alcuni esemplari. Altro artigianato molto importante era quello della produzione di ceramiche a vernice nera e sappiamo che CAIUS POPILIUS aveva una fabbrica di ceramica a vernice nera appunto qui a Bevagna.E non mi prolungo sui resti che rimangono nella città attuale che conserva molto bene l’impianto urbanistico con i suoi tracciati stradali principali e sono ancora visibili importanti resti di edifici pubblici e privati per esempio il Teatro, il Tempio, le Terme ed altri edifici, altri resti che rimangono spesso nelle cantine di case private ma che però sono ben visibili e ben conservati. Le ricerche svolte negli ultimi anni dalla Soprintendenza hanno interessato un’area di Necropoli in Vocabolo PILONE lungo un tracciato stradale probabilmente quello della Via Flaminia, ed un’area urbana, quella di Via I° Maggio, nonché l’intervento nell’ambiente del Mosaico Romano. La necropoli in località Pilone era già nota per rinvenimenti fortuiti avvenuti in passato, tra cui alcune iscrizioni funerarie di cui qui ho portato due testimonianze, conservate nel giardino di Villa Spetia.La necropoli è stata esplorata parzialmente tra il 1977 e il 1984 e hanno diretto lo scavo la dott.ssa MANCONI e poi ultimamente da me e da altri giovani archeologi: la dott.ssa COLETTI, il dr. EGIDI, la dott.ssa CAPPELLETTI e la dott.ssa SCARPIGNATO, che oggi non sono presenti, ma che hanno dato un grosso contributo per la realizzazione degli scavi, con l’assistenza del sig. GERMINI, assistente della Soprintendenza. La necropoli si estendeva ai lati di una strada di cui si sono rimessi in luce ampi tratti di lastricato. Il lastricato era fatto di piccoli ciottoli cementati e le tombe si estendevano ai lati della strada.A fianco della strada vi era anche un impianto di canalizzazione in cotto che serviva per il deflusso delle acque.La tipologia delle tombe è assai differenziata: abbiamo tombe a inumazione e a incinerazione, tombe ad anfora e tombe in olla. Come rito prevale l’incinerazione con appunto le ceneri disposte in olla o in anfora. In alcuni casi sulla sommità della tomba è posto uno sfiatatoio costituito da due coppi affiancati. Le tombe alla cappuccina erano costituite da una fossa coperta da tegole poste tipo tetto, con al di sopra una fila di coppi.I corredi sono in genere piuttosto poveri, costituiti da vasetti a pareti sottili, balsamari vitrei; vi sono alcuni spilloni di osso e alcuni strumenti chirurgici in bronzo.La cronologia delle tombe va dal I secolo al II secolo d. C. Il tipo di olla cineraria più comune nella Necropoli del Pilone è quella formata da un impasto di terracotta assai rozza, di colore bruno rossiccio. In genere queste olle hanno un coperchio di forma troncoconica con bordo indistinto e arrotondato, parete svasata e largo pomolo superiormente appiattito. Sono in terracotta di colore arancio friabile.

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I balsamari servivano per contenere degli unguenti o dei profumi e spesso venivano bruciati insieme al defunto e molto frequentemente il balsamario viene ritrovato contorto perché ha subito l’azione del fuoco del rogo. In una tomba sono anche state trovate delle pedine di pasta vitrea che servivano per un gioco (tipo dama).L’unica moneta rinvenuta nello scavo del 1977 è stata una moneta di ANTONINO PIO.La seconda area di scavo è situata in un’area attualmente fuori del centro storico, ma che con ogni probabilità, in età romana, era ancora compresa nell’area urbana.Quest’area è situata tra Via I Maggio e Viale Properzio.L’intervento della Soprintendenza è stato causato dal rinvenimento di alcune strutture murarie durante i lavori di sbancamento per le fondazioni di una abitazione privata.Le ricerche si sono svolte tra il 1980 e il 1982 ed hanno permesso di riportare alla luce un complesso di edifici costituito da due grandi vasche, collegate tra loro da un corridoio e all’esterno da una rampa basolata. Le due vasche sono poste a livelli differenti, c’è un dislivello di circa 1 metro e mezzo tra l’una e l’altra e tale dislivello è rispettato anche dalla rampa, che è in pendenza.E probabilmente si è rispettato una tendenza naturale del terreno…Il complesso ha un orientamento, grosso modo, Est - Ovest e la vasca, che misura 10 metri e mezzo per 7 e trenta circa, ha una parete con abside rinforzata da un pilastro alle spalle mentre sulle pareti nord e sud, vi sono delle nicchie rettangolari.Qui la struttura muraria è conservata soltanto a livello di fondazione, mentre sul lato ovest e sul lato sud, raggiunge un’altezza di circa 3 metri.La struttura del riempimento è un’opera cementizia con una malta chiara con scatoli di calcare e il piano di spicato è conservato solo su questi due lati ed è in opera mista di blocchetti parallelepipedi di calcare e di fasce in laterizio . è una tecnica edilizia che si data in età adrianea.Nella prima nicchia del lato sud, è conservata una tubazione costituita da due coppi allineati allettati nella muratura, una specie di canaletta che permetteva lo svuotamento della vasca, cioè una pendenza all’esterno.La vasca apparrebbe aver avuto due fasi: la più recente è appunto rappresentata dalle strutture in opera mista, che come ho detto, è databile all’incirca in età adrianea che appare a pochi centimetri dal piano di campagna e raggiunge una profondità di circa 60 cm. dove vi sono tracce dell’attacco di una pavimentazione di lastre in terracotta.Sotto, tra i resti di tale pavimentazione, la struttura contiene un’opera incerta e conserva tracce di intonaco.Il riempimento di tale strato, cioè sotto i resti della pavimentazione, è ricco di ceramica a vernice nera, cioè ceramica databile in età repubblicana. Inoltre, nel margine meridionale del lato sud, nell’ultima nicchia, alla profondità di circa 80 cm., è stato rinvenuto un TESORETTO di monete d’argento di età repubblicana che erano contenute probabilmente in un vasetto di terracotta.All’interno del vasetto abbiamo trovato ancora due monete, quindi probabilmente il tesoretto era contenuto in questo vasetto, a sua volta forse contenuto in una cassettina di legno di cui sono rimaste tracce di frammenti di legno bruciato e dei chiodini molto piccoli. Le monete sono databili tra la fine del III secolo e l’inizio del I secolo a. C. e sembrano dello stesso tipo dell’altro tesoretto rinvenuto, sempre a Bevagna, a poca distanza dalla località in cui sono stati condotti questi scavi. Quindi è un rinvenimento importante perché evidentemente illustra un momento di instabilità politica e sociale.Le due vasche sono distanti tra loro 16 metri, con un dislivello di 1 metro e mezzo e sono collegate da lunghi muri, di cui rimane solo la fondazione, paralleli tra loro che formano una specie di corridoio largo 5 metri. I materiali rinvenuti nello strato, oltre al tesoretto, sono stati frammenti di ceramica a vernice nera, fra cui anche una lucerna sempre a vernice nera ed anche un peso da telaio. La vasca “B” ha pianta rettangolare con la parete di fondo absidiata. A metà dell’abside vi erano due pilastri di rinforzo. Anche questa vasca è in opera mista.Nell’abside si ritrova un foro di emissione costituito da due coppi messi uno sopra all’altro. C’era, nella parte sud, anche un tubo di uscita. Generalmente queste tubazioni servivano per lo scarico della vasca… per vuotare la vasca. Il materiale ceramico rinvenuto negli strati superiori alla rampa e presso la vasca ad abside, è abbastanza vario e permette una datazione, per questi strati riconducibile all’età imperiale. Sono predominanti frammenti di recipienti legati all’uso dell’acqua: frammenti di anfore, di brocche, di olle; comunque non mancano frammenti di marmo frammenti di intonaco .e di ceramica sigillata, frammenti di vetro e anche di lastre di vetro appartenenti probabilmente a vetri di finestre. Vi erano frammenti di tegola mammata che erano tegole che

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servivano da rivestimento per le pareti e che permettevano una certa intercapedine sia per togliere l’umidità ed in certi casi per il riscaldamento dell’ambiente.Tra il materiale proveniente dallo scavo all’altezza della rampa intorno all’abside della vasca “A” erano presenti anche qualche frammento di ceramica a vernice nera.Bisogna tenere presente che soprattutto nel caso della vasca “A” il riempimento si presenta anche con materiale abbastanza rimescolato e probabilmente proveniente dall’area circostante. Questo è un frammento di pisside di argilla chiarissima, quasi bianca, con una decorazione dipinta a face brune e segmentini bruni, che è un tipo di ceramica databile probabilmente nel IV° secolo e forse appartenente ad una produzione etrusca. Questo strato è chiaramente databile tra la fine del IV secolo e il II secolo a. C. Comunque al di sotto di questi strati, quasi a contatto del terreno vergine alla profondità di circa 2,50 e 3 metri, sono stati trovati i resti di un insediamento dell’età del ferro consistente in una fornace e dei resti che probabilmente appartenevano ad un fondo di capanna databile tra la fine del VII e VI secolo a. C.La fornace ha una pianta pressoche circolare, con un corridoio d’accesso. Era ricoperta da un crollo di tegole di tipo arcaico, sotto le quali sono stati trovati abbondantissimi frammenti di concotto, cioè dell’intonaco della fornace, cotti dal calore del fuoco.Sotto questi frammenti di concotto sono stati trovati frammenti di ceramica di impasto.Questi sono i resti presumibili di un fondo di capanna che probabilmente aveva un muretto di pietra di cui rimangono alcune tracce, uno strato di tegole e pietre e sotto c’è terra nera ricca di frammenti di ceramica ed anche ossa di animali, probabilmente resti di un pasto. Gli animali dovrebbero essere stati o suini o ovini.Tra il materiale rinvenuto all’interno della fornace c’era un’ansa di un vaso d’impasto rossiccio con due appendici all’esterno : è un tipo di ansa che si può datare nel VII - VI secolo a.C. Immediatamente, a contatto con il crollo di tegole che copriva la fornace, è stato rinvenuto un frammento di gocciolatoio, cioè un elemento di decorazione architettonica di un edificio, come una testa di gronda, rappresentante un felino, probabilmente, con le orecchie appuntite, gli occhi sporgenti, di tipo arcaico e abbastanza simile allo stesso tipo di oggetto che si rinviene per esempio in edifici pubblici, sia privati, di Acquarossa e Poggio Civitate di Murlo, in Etruria. Comunque è molto interessante sia per la sua datazione che come tipo di oggetto.Nell’area compresa tra la fornace e il presumibile fondo di capanna, è stato rinvenuto un frammetto di calice d’impasto buccheroide, databile tra la fine VII, inizio VI secolo a.C. che presenta una interessante decorazione graffita e motivi geometrici. E’ particolarmente interessante perché le linee graffite erano riempite probabilmente di colore rosso. In una delle fosse di scarico è stato trovato un peso da telaio e un frammento di fibula con nodulo fermapieghe e l’ago ferma fibula. Anche questo è un tipo di fibula che si può datare fine VII - inizi VI secolo a. C.Quindi la sequenza cronologica si può così riassumere:un primo insediamento, sicuramente abitato, come si deduce dalla presenza della piccola struttura produttiva rappresentata dalla fornace, risale alla fine del VII e VI secolo a. C. Una seconda fase, dato il tipo di materiale rinvenuto (coppe, vasi a vernice nera e anche la basetta), potrebbe essere stato un luogo di culto e rappresentato dallo strato sottostante la canaletta e databile tra la fine del IV° e inizi II secolo a. C. La terza fase è quella con cui con ogni probabilità, viene costruita la Vasca “A” in età repubblicana che doveva esistere già al momento in cui viene deposto il tesoretto monetale. L’ultima fase è infine quella di età imperiale in cui tutto il complesso viene ampliato e riceve il suo carattere definitivo.Tale complesso doveva essere sicuramente di un rilevante carattere pubblico.Come ho detto, la natura del materiale, la monumentalità degli edifici, il rinvenimento a poca distanza da questa area della mensa dei “NOVEMVIRI VALETUDINIS”, mi inducono ad avanzare l’ipotesi che questa area fosse legata ad un culto e potrebbe essere appunto il culto della VALETUDE, cioè la dea della salute. L’ampliamento in età imperiale è, con ogni probabilità, legato ad una fase di ripresa edilizia e di abbellimento della città testimoniata, oltre che appunto da questo complesso, anche da altre costruzioni, dal Tempio alle

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Terme che sono costruiti con la stessa tecnica edilizia,(databile in età adrianea), la stessa opera mista, presenti nelle due vasche.Ecco, questi sono i risultati delle ricerche che abbiamo condotto in questi ultimi anni a Bevagna, con la speranza di poterli ampliare e ricavare nuovi dati sia per la storia più antica, diciamo per la protostoria di Bevagna di cui questi elementi, a mio giudizio, sono molto importanti perché accanto alle tombe rinvenute più o meno non vicinissimo alla Villa Boccolini, che sta in questa direzione, danno uno spiraglio di luce su quelle che sono le fasi più antiche dell’insediamento, sia per la parte romana, di cui abbiamo, come ho detto, sia importanti testimonianze all’interno della città, sia all’esterno con le necropoli e con questi ultimi rinvenimenti. In questa occasione intervenni con una piccola relazione e parlando dei reperti rinvenuti nel ’63 in località Arquata, ne tracciai la storia del ritrovamento e avendoli appresso li mostrai ai presenti e ai rappresentanti della Soprintendenza nella persona della dott.ssa Feruglio. Poiché i suddetti reperti erano stati a suo tempo a disposizione della dott.ssa Manconi, come già descritto precedentemente, credevo che tutto era regolare dal punto di vista del possesso. Invece, terminata la conferenza, venni convocato dalla dott.ssa stessa la quale, presente il maresciallo Canzonetta, mi impose di consegnarle i reperti poiché a suo dire non potevo tenerli perché di proprietà dello Stato, cosa che feci con la promessa che almeno, all’atto della istituzione del Museo di Bevagna, essi fossero stati restituiti alla Comunità contrassegnati da una indicazione e cioè quella di essere stati donati da Proietti Franco. (Cfr. le foto in mio possesso  dei reperti consegnati che diventano una prova tangibile della loro esistenza). Il Museo, come si ricorderà, fu inaugurato il 30 marzo 1996 con la sua bella Sezione di materiali dell’epoca romana, ma a distanza già di 10 anni, dei reperti consegnati nessuna traccia!  

      UN ’ALTRA   CAMPAGNA   DI   SCAVI   SEMPRE   PRESSO IL   PILONE

 Una ulteriore ripresa degli scavi in Località “PILONE” fu condotta, dalla fine di Maggio ai primi di Luglio 1988, dalla Soprintendenza Archeologica di Perugia con lo scopo di esplorare (dopo i tre interventi effettuati negli anni 1977-79; 1981-84; e 1985) l’area della Necropoli romana nella sua parte nord (ai confini della Villa Spetia), di circa 7/800 mq.Come ho ricordato, durante i precedenti scavi fu rimessa in luce una vasta Necropoli con tombe ad inumazione e ad incinerazione di epoca assai differenziata. La tipologia funeraria fu assegnata in un arco di tempo che va dall’età Giulio Claudia (fine I° secolo d.C.) fino all’epoca di Antonino Pio (inizi II secolo d.C.). Precedentemente furono effettuati vari sondaggi con appositi strumenti che rilevarono una alta intensità di materiale ceramico e laterizio, la presenza insomma di tegole e di vasi funebri.Da vari anni il terreno in oggetto è stato esentato da lavorazioni agricole ( con lo scopo di salvaguardare le sepolture che purtroppo nei secoli passati hanno procurato le frantumazioni dei corredi). In queste campagne di scavo passate, furono riportate alla luce una ottantina di Tombe che giacevano ad una profondità variante da 0,70 mt. a 1,20 – 1,60 mt. ed erano quasi tutte ad incinerazione in olla o ad anfora, con la presenza di balsamari vitrei, coppe ed altri tipi di vasi a pareti sottili e specchi in bronzo. Con questa ulteriore esplorazione lo studio di questa Necropoli è stato integrato, consentendo una conoscenza più specifica della Mevania Romana di quel periodo. Il periodo dello sterro fu caratterizzato da cattivo tempo, con piogge continue che costrinsero la Soprintendenza a costruire una impalcatura con teloni di naylon a salvaguardia delle tombe che man mano emergevano dal sottosuolo ed anche, ad un certo punto la sospensione dei lavori.Furono riportate alla luce, sotto la direzione della dott.ssa AISA MARIA GRAZIA, di un assistente e di 5 operai, un tratto di una canalizzazione in cotto che permetteva di far defluire le acque superflue ed una quindicina di tombe. I risultati furono davvero scarsi e da allora (18 Giugno 1988) il silenzio è calato su questo luogo che tanto interesse aveva creato tra i cultori della storia arcaica bevanate.

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Tutte le tombe riportate alla luce risultarono in cattivo stato di conservazione e di conseguenza anche i corredi delle stesse erano oltre che scarsi anche di poco pregio artistico ed in parte frantumati.Le tombe sono risultate tutte ad incinerazione in olla e alla cappuccina con tegoloni accoppiati. Abbondanti i frammenti ceramici e vari residui di balsamari vitrei di color verde chiaro. Anche materiale in osso (rappresentante forse aghi e spilloni), sempre frammentario, venne rinvenuto accanto alle anfore. Tutto questo materiale fu trasferito presso la sede della Soprintendenza Archeologica di Perugia che speriamo possa un giorno non lontano far mostra di sé nel costruendo Palazzo della Cultura (ex Municipio).  Feci un sopralluogo dopo qualche giorno dalla ricopertura degli scavi e lo smobilitazione della Soprintendenza con l’amico Ottavi Andrea. Perlustrammo la parte più a sud dove erano avvenuti gli interventi.In quest’area rinvenimmo molti chiodi ed altri residui di materiale subito identificato per pezzi di piombo.Scavando intorno ad essi constatammo che si trattava di un recipiente (o un coperchio?) in lega di piombo(?) o di altro materiale (bronzo o rame?) ormai purtroppo ridotto in vari frammenti difficilmente ricostruibile nella sua forma originale.In uno di questi era visibile un foro, forse adibito per il suo sollevamento. Altri chiodi e pezzetti di osso bianco e nero affioravano in quel punto che dimostrava essere senz’altro l’ubicazione di una sepoltura. E pensare che essa si trovava proprio nelle vicinanze del rettangolo di terreno opera dello scavo e che era “sfuggito” alla vista dei tecnici archeologi della Soprintendenza! Il colore del reperto metallico rinvenuto, esternamente, tende al rossiccio , è assai malleabile (come appunto il piombo) ed è assai friabile e debole. Ha delle forme curve in alcuni punti a dimostrazione che questi rappresentavano la bordatura del recipiente o di un piatto(?).Leggendo il rendiconto dei materiali rinvenuti nelle tombe durante gli ultimi scavi, non compare alcun pezzo con queste caratteristiche se non piccoli strumentini bronzei per uso cosmetico. Inoltre fu rinvenuto un fondo di balsamario di forma piatta (di cm. 3,8 di circonferenza) che sembra inedito rispetto a quelli più numerosi rinvenuti. E’ inedito perché contiene sul fondo (stampato esternamente) una specie di marchio di fabbrica le cui lettere sembrerebbero essere PATR(I), con al centro un simbolo che non ho identificato.Questo infine l’elenco completo dei materiali rinvenuti durante il sopralluogo:

 Il prof. Carlo Pietrangeli, nella parte Terza relativa al “Territorio di Bevagna”, nel Volume MEVANIA, dopo aver passato in rassegna sia la geografia, la geologia, i fiumi ed i laghi, l’estensione del territorio municipale, parla anche delle strade e degli abitati.La più importante Via era la FLAMINIA che toccando il Santuario della Madonna delle Grazie, giungeva in vista di Bevagna. Riguardo ai ruderi che non erano altro che costruzioni di VILLE poste nella prossimità della Via, già l’Alberti ne stilò un elenco come si può vedere alle pp. 34 e 35 delle sue “Notizie”. Se si potranno, in seguito, individuare tali siti con l’ausilio delle indicazioni scritte allora dal prof. Pietrangeli, faremo delle descrizioni più appropriate e una documentazione fotografica confrontando i dati descritti a quel tempo con quelli attuali in nostro possesso. Seguendo queste indicazioni, siamo giunti ad individuare una ex Villa che Fabio Alberti vedeva e conosceva al suo tempo e che descrisse a pag. 52 – 53, (nel 1786) e che poi il Pietrangeli riportò nel suo volume “Mevania” (nel 1953), a pag. 134.L’Alberti scriveva a proposito delle Ville:“Molte fuori d’ogni dubbio esser doveano le Ville, situate nella campagna di una Città ragguardevole, quale fu Bevagna, e così ampia, fertile ed amena. Ce ne fa sicura testimonianza PLINIO il Giovane nella Epistola 8 , Libro 8, in cui descrivendo il famoso Clitunno narra fra le altre cose, che lungh’esso, e di qua e di là delle sue ripe, v’erano non poche Ville : “ Nec desunt villae quae fecuntae fluminis amaenitatem, margini insistuntur”. Oltre queste però io credo di poter congetturare, che la gran fabbrica, le di cui ruine si rimirano ancora sull’antica Flaminia, dirimpetto al casino in oggi di Filippo Maria Angeli, ed ove, come già riferii, fu scoperta anni or sono una statua, fosse una Villa, innalzata in quel luogo, ch’è deliziosissimo e pel sito, e pel comodo della vicina città. 

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Lo stesso io giudico dell’altra fabbrica, che gettata al suolo, occupa grand’estensione di terreno.Si vedono tali ruine nella possessione della Compagnia del Gonfalone, non molta discosta dalla strada detta di Sant’Antonio a mano destra.Rimane in oggi soltanto in piedi un residuo di muro in mattoni, che sembra di un gran portone, che forse serviva d’ingresso alla medesima Villa”. Anche il prof. Pietrangeli riporta questa notizia: “Altri ruderi, probabilmente appartenenti ad una Villa, si vedevano al tempo dell’Alberti in una proprietà della Confraternita del Gonfalone…” (riporta poi le parole dell’Alberti, già descritte). Sopra una piccola porta, in posizione centrale, è murato un mattone, messo verticalmente, sul quale a rilievo vi è l’emblema (Croce di Malta), della Compagnia del Gonfalone, proprietaria allora di quei terreni. Restano dell’antico edificio solamente tronconi di muri in calcestruzzo bel solido e tratti di laterizio in mattoni, come in mattoni sono alcuni archi. Il tutto è aggredito da rovi e da erbacce, con i solai completamente crollati e di cui restano in alcuni casi la travatura di sostegno degli stessi.  

  

MURI   MEDIEVALI   

Nell’Agosto del 1984, presso il «Campo dei Frati», nella parte bassa, vicino alla sede stradale, venne alla luce, durante dei lavori, un tratto di muro di epoca medievale.  Dopo un sopralluogo della Soprintendenza, i lavori di urbanizzazione continuarono e poi venne tutto ricoperto.  

*** Le mura “castellane” che fanno da confine con il Parco Silvestri contengono un residuo di mensole in travertino polilobate, e archetti in cotto. Questo resto che sporge in direzione normale alla cinta farebbe supporre che vi si ergesse una “torre”, oggi non più esistente, che per altro è stata sostituita da un’altra ricostruita a breve distanza; questa “torre” a pianta rettangolare è la meglio conservata di tutta la cinta e presenta finestrelle strombate e un coronamento a beccatelli con caditoie. 

***Nel Maggio del 1984 in Località S. Agostino, appena fuori la Porta, durante lo scavo per dei lavori dell’ENEL, è apparso un muro considerato di epoca medievale costituito a filari di pietra ben squadrati.Le misure della parte emergente erano le seguenti: Lunghezza mt. 3,40, altezza mt.1.Fu avvertita la Soprintendenza di Perugia che dopo il sopralluogo diede ordine di ricoprire il tutto. 

*** In Via della Rocchetta, presso l’abitazione di …….. al centro di una finestra è stato murato un mattone con a rilievo la raffigurazione di un paio di forbici semiaperte, simbolo dei sarti. Vi abitava il sarto Ulderico Maramigi, che forse avrà lui messo questo emblema della sua categoria artigianale, molto in voga a Bevagna qualche decina di anni or sono. 

***

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Finalmente alla fine di maggio 1988, dopo una attesa protrattasi per vari mesi furono ultimati i lavori relativi alle condutture fognarie e con essi le numerose sconnessioni e le larghe crepe che affioravano sulla sede stradale sono state rimosse ed uno spesso strato di catrame ha cancellato una precaria e fastidiosa situazione viaria aggravata anche dalla mancanza di illuminazione nelle ore notturne. Il tratto della cinta muraria che parte da S. Agostino e che si snoda per varie centinaia di metri fino a raggiungere Porta Molini, ha assunto un aspetto veramente decoroso che si adatta con le esigenze di sviluppo sociale e qualitativo di Bevagna. Ora a quanto pare, è nei propositi dell’attuale Amministrazione (Cfr. il Notiziario Bimestrale – Anno IV – N°2 – Dicembre 1990 L’Informa Cittadino) “realizzare il progetto dell’impianto di illuminazione delle strade esterne, prospicienti la cinta muraria del centro storico di Bevagna. Le vie in questione, luogo di ritrovo nel periodo estivo di numerose persone per brevi passeggiate serali, saranno dotate ben presto di lampioni in grado di illuminare l’intera carreggiata e mettere in risalto i resti delle mura medievali nelle ore notturne. Il progetto, per una spesa complessiva di 152 milioni, è stato finalizzato con 72 milioni dal G.A.L. (Gruppo di Azione Locale) della Valle Umbra Sud, il resto con apposito capitolo del bilancio comunale”. 

*** Nell’Agosto del 1990 furono ultimati i lavori di ripristino e ristrutturazione della porta antica, costituita da un arco ribassato di mattoni, terminante in alto con mensole in travertino polilobate, archetti in cotto e sopra un fregio a dentelli pure in cotto. (casa di Proietti Attadio).Il primo archetto sulla destra, fu completamente rifatto, perché era del tutto mancante. Una struttura che sembrerebbe (Pietrangeli) del sec. XV.  

 In una foto, databile tra il 1886 (anno dell’inaugurazione del Teatro Francesco Torti) e il 1894, (anno di stampa del fascicolo de’ “L’Umbria descritta ed Illustrata”, da cui la foto di Renzo Floriani è tratta), si può ammirare il vecchio POZZO medievale che era ubicato dove ora è la Fontana monumentale. Forse questa è l’unica immagine di come era fatto il vecchio pozzo formato da otto lastroni (quindi ottogonale) poggianti su un basamento forse di pietra di travertino abbastanza spessa. Sempre dalla foto si nota che non vi era alcuna protezione, né copertura, ma forse un parapetto di mattoni. Si attingeva l’acqua col metodo antico e cioè immergendo forse le anfore nel periodo romano, una secchia o una brocca di rame nel periodo medievale, agganciate ad una corda che veniva poi trainata a contatto dei lastroni che nel corso dei secoli hanno consentito il lento formarsi dei solchi e dei segni delle corde. Quel pozzo medievale fu demolito il 15 Novembre del 1895 per lasciare il posto alla nuova Fontana (inaugurata nel 1896), dalla quale poi sgorgherà l’acqua proveniente dall’acquedotto di Foligno. (Di questa inaugurazione esiste una foto edita dal fotografo Tacito Giovannetti). Degli otto lastroni che formavano l’antico Pozzo ne sono rimasti solamente quattro, che dopo aver vagato per vari magazzini comunali, sono stati ricomposti con aggiunte non dell’epoca e senza nessuna annotazione informativa, presso un locale dell’ex “Fabbrica delle Gassose”, mentre sarebbe stato forse più opportuno sistemarle magari dentro il Mercato Coperto in prossimità della Fontana per avere una comparazione visiva ed immediata della diversa realtà. 

 Nell’Aprile del 1984, ebbi l’occasione di visitare l’interno della chiesa della Madonna della Rosa, ormai inofficiata da vari anni. Rimasi colpito per lo stato deplorevole in cui versavano gli altari e l’interno della navata. Un grande disordine e segni di vandalismo affioravano ovunque. 

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La navata era divenuta magazzino per legname di vario tipo: portoni più o meno grandi, infissi, finestroni occupavano il pavimento e le pareti.  Con la collaborazione del Comune, che mise a disposizione un camion “tigrotto” e con l’ausilio della manodopera di alcuni volontari dell’allora “Archeoclub Mevania ”, tutto il legname fu caricato e trasferito presso il locale adiacente la , concesso dal Priore don Giovanni Marchetti. Dei tre altari solamente quello centrale o Altare Maggiore, conservava un aspetto quasi dignitoso. Gli altri, purtroppo, avevano subìto un vera e propria demolizione della struttura muraria originale. L'altare di sinistra era completamente demolito fino al pavimento ed oltre, con i mattoni sparsi ovunque. Mancava del paliotto in scagliola, forse spezzato e rubato. L’altare di destra si presentava ancora in piedi, con qualche tentativo di scardinamento della mensa. Il paliotto mancava di un pezzo ornamentale nella sua parte sinistra, mentre il rimanente era stato spezzato in due tronconi. In uno di questi era raffigurato in un ovale un angelo (forse l’angelo custode) che tende la sua mano destra verso un fanciullo. Nella parte più estesa compariva una elegante e ricca decorazione floreale. L’Altare Maggiore era quello meglio conservato con il paliotto quasi integro, ricco allo stesso modo e stile di decorazione floreale. Al centro un cerchio racchiudente un mazzo formato da tre rose sbocciate legate da un nastro o un cartiglio. Questo Altare eretto all’epoca della costruzione della Chiesa (1691), conserva la sua decorazione in stucco, le due colonne con capitelli dorici e il sopra dell’Altare contenente un piccolo ciborio con sportelletto rettangolare, è assai pertinente, con decorazioni color oro ed intagli lignei. Ai lati di questo altare si conservano due statue rappresentanti l’una il beato Giacomo Bianconi e l’altra S. Vincenzo (del 1719), in atto benedicente.Ai lati dell’ingresso ci sono due affreschi, assai malridotti, raffiguranti S. Antonio di Padova (a destra), mentre a sinistra forse è rappresentato S. Domenico (?).  A distanza di qualche anno i Paliotti in scagliola   sono spariti e la navata stessa è stata ulteriormente deturpata ad opera di incoscienti razziatori e di vandali.     

 Nella notte tra il 24 e il 25 gennaio del 1986 un incendio (forse doloso) distruggeva completamente l’ex cinema Properzio che in passato era alloggiato nell’ex chiesa di S. Vincenzo. Vi erano custoditi i mobili della ditta “ANNA”, moglie di Vincenzo Spinola, barista noto di Bevagna.L’ex chiesa a seguito di questo incendio ha visto crollare totalmente il tetto e da allora, sono trascorsi 21 anni, tutto è restato come in quel giorno funesto.  

 CHIESA DI S. FRANCESCO

Nella chiesa di S. Francesco i lavori di ripristino, effettuati nel 1746, come recita la lapide apposta nel lato sinistro dell’ingresso, apportarono una mutazione architettonica che gli stessi frati giudicarono assai pertinente:

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“ Questo tempio, costruito nell’anno del Signore 1275, e dedicato a San Giovanni Battista, rovinato dalla vecchiaia, i frati minori di questo convento cominciarono a restaurarlo nel 1746 e finalmente a maggior gloria lo riportarono al primitivo splendore con assiduo lavoro, nell’anno del Giubileo 1750 ”. A che cosa si ricondusse questa mutazione frutto della tendenza di quei tempi? A modificare una struttura con altari spostati in avanti richiudendo quanto di decorativo possedevano. E numerosi dovevano essere stati gli affreschi che abbellivano la navata! Anche l’Alberti si vantò a suo tempo di questa trasformazione, non criticando questa iniziativa ed anzi scrivendo che: “ Il vaso adunque della stessa chiesa era vasto, e capace, ma antico, e disordinato. Nel 1756, però fu ridotta allo stato nobile, e decente, che si vede al presente, essendo e per la vastità, e per la sua vaghezza una delle belle Chiese di Bevagna.”  Cosa resta di importante ed artistico di allora?Solamente due Cappelle fortunatamente salvatesi da una trasformazione che definirei sciagurata. La Cappella interna che, conserva vari affreschi in stato d’abbandono anche se di non comune valenza artistica, sta a dimostrare quanto potevano essere interessanti gli altari, poi richiusi e spostati in avanti di qualche metro. (Recentemente sono stati oggetto di un restauro conservativo assai positivo). Questa Cappella che si vuole essere stata quella contenente la pala di Dono Doni, e quindi di pertinenza della famiglia Ciccoli, giace da decenni in uno stato di abbandono, dove a complicare le già accentuate carenze, sono intervenute iniziative come quella di usarla quale locale per fare il presepe, con tanto di decorazione muraria a stelle celesti e dorate...Lo stato d’abbandono è totale con larghe chiazze di umidità che stanno giornalmente aggredendo la pellicola pittorica cinquecentesca.Si notano numerose crepe che dovrebbero almeno essere tamponate per opporre un freno all’allargamento delle stesse.Il prof. Giulio Urbini a p. 31 del suo “Le opere d’arte a Bevagna”, riguardo a questa Cappella scrive: “ … da questa si passa in un’altra Cappella, ora abbandonata (era il 1900),dove può vedersi un grande affresco…. Non senza pregi, sebbene molto deteriorato : non però del secolo XIV°, come, forse per disavvertenza, giudicò il Guardabassi, ma, almeno almeno, della fine del cinquecento”. A suo tempo anche l’esimio prof. Carlo Pietrangeli aveva auspicato una rapida sistemazione e il recupero almeno degli affreschi. Era l’anno 1983, ben ricordo, ma poi il terremoto del 1984 non ha fatto altro che incrementare i disagi ed accentuare sia la dimensione delle crepe che hanno interessato anche i sottarchi che portano al Coro, dietro l’Altar Maggiore. Per non parlare degli ultimi eventi sismici del settembre 1997…Ritornando alla Cappella interna, l’affresco, che ricopre tutta la parete sinistra, rappresenta in alto un Giudizio Universale, mentre più in basso una Flagellazione di Cristo alla colonna tra il Battista e il Beato Giacomo Bianconi di Bevagna. Vi sono numerosi quadretti contenenti fatti religiosi con varie iscrizioni latine inneggianti la Vergine ed anche due affreschi raffiguranti S. Agostino (?) e S. Bonaventura (?) con frasi sempre inneggianti la Vergine alla quale la cappella senz’altro era dedicata, stando alla scritta sull’architrave: IANUA COELI.Ho portato questo esempio per dimostrare che in un secolo nulla si è fatto per arrestare il degrado di questa importante testimonianza artistica, che forse fu eseguita proprio all’epoca di maggior attività del Fantino e della sua bottega. 

 

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EX   EREMO   DI   S.   GIOVANNI   “DE   SINTERIO” Uscendo da Torre del Colle e prendendo la strada che costeggia il torrente “Attone”, a circa 2 Km. Si giunge all’ex eremo di S. Giovanni “de Sinterio”, o “Unterio, detto anche “de silva Uncterio” o “de silva Matutina”.Questo Eremo è famoso perché fu edificato dal Beato UGOLINO nel 1320 con licenza del Vescovo di Spoleto Bartolomeo Bardi.Bevagna contese a lungo i natali di questo monaco agostiniano a Gualdo Cattaneo, primo perché la sua famiglia, i PELOSI, era originaria di Bevagna, secondo perché egli visse vari anni nel Convento di S. Nicolò di Torre del Colle.Fondato l’eremo, intitolato a San Giovanni Battista, UGOLINO vi si ritirò con alcuni laici dello stesso spirito, vivendo vita eremitica, tra grandi privazioni e penitenze. Più tardi l’eremo fu unito all’Abbazia di S. Benedetto di Subiaco e il Beato Ugolino coi suoi, presero l’abito benedettino. Venne poi ampliato e divenne romitorio dei monaci Sublacensi e priorato dello stesso Ordine.(Nell’elenco delle chiese, monasteri, pievi, case di religiosi ecc. stilato nel 1393 e detto “CODICE PELOSIO” si nomina l’ “Heremus S. Ioannis de Sinterio - che aveva come rendita - libr. 25 est censuarius d. Epi. In libra cere. Est unitos eccl. S. Nicolai de Fulgineo in quo sunt Fratres O. Herem. S. August. de observantia”). Molti monaci vi entrarono: il Beato Ugolino fu il loro priore e maestro, il quale, dopo aver tormentato il suo corpo con inaudite penitenze, morì nel 1350, non ancora sessantenne.Più tardi l’eremo fu unito al monastero benedettino di S. Nicolò di Foligno della Congregazione di Monte Oliveto.Il Monastero, senza più una guida spirituale, si ridusse a pochissimi monaci e fu allora soppresso.I Gualdesi si affrettarono a trafugare il corpo del beato portandolo nel monastero dei Sublacensi di Gualdo Cattaneo da dove poi venne trasferito nella chiesa dei SS. Martiri Antonio e Antonino (La Pieve), dove, ottimamente conservato (solo mancante del piede destro e del naso, asportati da un pio monaco agostiniano che ne fece dono a due monasteri), riposa in un’urna di metallo bianco su di un piedistallo di travertino. Tornando al monastero, ricchissimo un tempo per i lasciti della vedova di Orsello dei Conti di Antignano, ebbe monaci dissipatori e si ridusse in estrema povertà e senza monaci, per cui fu soppresso nel 1435, passando agli agostiniani. (Cfr. Spetia in “Studio su Bevagna ”).Non vi sono altre notizie a riguardo se non quella che esso venne trasformato in casa colonica nel XV secolo, tuttora esistente. Vi ci abitò per più di 40 anni la famiglia Perni Valentino, mentre i proprietari erano stati Silvestri Elda di Bevagna e Filippucci Siro di Spello.Nell’ottobre del 1995 forse per una questione di carattere finanziario non onorato, il Tribunale di Perugia emise un bando di vendita di alcuni beni del Filippucci Siro e di Picchio Maria Rita. Si trattava di due lotti comprendenti terreni e case coloniche fra cui la “casa rurale ex canonica, annessi ed ex chiesa semi-diruta”. Di questa Chiesa trecentesca non rimaneva che l’abside che è costruita con 17 strati di blocchetti rettangolari in arenaria assai consunta da cui si diparte la costruzione colonica che immette nell’ex monastero e nel chiostro. Alla sommità, sotto il tetto si possono notare alcune decorazioni in laterizio.La volta della spaziosa chiesa è crollata, rimane in piedi solo il campanile che è addossato alla parete di fondo. Si notano residui di intonaco sui quali affiorano sbiaditi colori. Gli affreschi sono completamente scialbati e irrecuperabili dal punto di vista artistico. Dovevano essere di una certa valenza, com’era uso nei monasteri benedettini.Tutto era nel più completo abbandono.All’interno si erge il chiostro assai suggestivo e di buona fattura. E’ a due ordini e le volte sono in mattoni. Questo chiostro è simile a quello esistente a Bevagna presso la chiesa del Beato Giacomo, ma con diversa disposizione delle aperture superiori che in questo caso sono a duplice ordine di arcate. Sarebbe auspicabile un intervento per salvaguardare questa importante struttura ormai adibita a pollaio e rimessa di arnesi agricoli.   

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        REPERTI   ROMANI   IN   ABBANDONO                         ALL’INTERNO   DELLA   CINTA   MURARIA  Nell’aprile del 1990, durante i lavori di costruzione del nuovo Ufficio Postale (Impresa I.C.S. srl – Roma), proprio nel centralissimo Corso Giacomo Matteotti, furono rinvenuti, a poca distanza fra loro, due considerevoli fusti di colonne scanalate e di rilevante diametro, assai ben rifinite, che facevano forse parte di qualche edificio pubblico o privato ubicato nelle vicinanze. E proprio nelle immediate vicinanze transitava l’antica Via FLAMINIA, vi era il Tempio di Marte, l’Anfiteatro e la Domus, (di cui parleremo), ed una serie di edifici in prossimità della Porta S. Vincenzo.Le due Colonne erano tra loro quasi simili nelle misure, simili sia come tipologia di materiale che nella scanalatura, anche se in una di esse la decorazione è più ricca e curata. I tronconi fanno pensare allo stile ionico o corinzio, anche se manca il capitello che forse era di stie ionicoFurono alloggiate per qualche tempo nel locale attiguo all’Ufficio Postale posto in Via Crescimbeni (Porta Cannara), poi trasferite definitivamente, dopo il restauro, presso il nuovo Ufficio Postale, dove fanno bella mostra di sé a dimostrazione dell’antica grandezza di Mevania antica.                                                                        *** In Via S. Francesco, al numero civico 4, nel muro dell’atrio interno dell’ex palazzo Mongalli, parecchi anni or sono, il prof. Carlo Pietrangeli fece murare tre residui di iscrizioni romane al fine che esse non andassero disperse.Sono due lapidi funerarie centinate in travertino e una in calcare rosa del Subasio.Questa la loro descrizione che non è riportata nel C. I. L. dato il posteriore rinvenimento: La scritta, che è conservata su di una unica riga, si sviluppa mediante lettere a sezione triangolare, di circa 5,5 cm di altezza, incise con molta cura e con un tratto ben approfondito e sottile. Si legge il nome del gentilizio che è un personaggio noto e documentato nel territorio mevanate e di Montefalco (chiesa di S. Fortunato – C.I.L. XI – 5135) 

LUCIUS)    TITELLIUS 

Questa stele presenta molte scalfiture in superficie (dovute forse ai lavori di aratura), scheggiature ai margini e la perdita della parte inferiore che poteva contenere forse lo “status” sociale del titolare, probabilmente un liberto.L’altezza visibile è pari a circa cm. 23, la lunghezza cm. 28, mentre la profondità non è misurabile. L’iscrizione è ascrivibile alla prima età imperiale. 2 – Questa stele è quella in calcare rosa del Subasio. È di forma rettangolare di circa cm. 32 di altezza, di cm. 27 di lunghezza, e di profondità non misurabile.Anche qui è andata persa la parte inferiore, e le scheggiature lungo i margini e sulla fronte sono molte. La scritta, a differenza dell’iscrizione precedente, non è ben rifinita. Essa ricorda forse una Liberta:  

           SERIA FAUSTA 

Si tratta di una esponente della Gens SERIA che è documentata a Bevagna in altre due iscrizioni. L’altezza delle lettere sono da 4,5 a 5 cm. Per quanto riguarda la dicitura SERIA, mentre per il nome FAUSTA esse sono più piccole e precisamente da 3,5 a 2,5 cm. Questa iscrizione può essere datata non oltre la metà o gli ultimi decenni del I Secolo a. C.3.      – L’ultima stele è in travertino con una altezza di cm.19 ed una lunghezza di cm. 29. Vi si legge la scritta (assai rovinata): 

FAUSTIO   RIMM(I)USLe lettere hanno una altezza media di cm. 4,5.

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Presso la Porta di S. Agostino sulla parete di casa Ottavi Stanislao., nella parte bassa, quasi vicino alla sede stradale, è stata murata una iscrizione con le lettere

PAL  N . SIC

Una pietra di calcare bianco, alta cm. 24, lunga cm. 22, profondità cm. 10,   con iscrizione fu rinvenuta durante lavori di restauro nei primi del 1980 nella chiesa di S. Agostino. Faceva parte dei materiali di riempimento di una nicchia. Il testo appare largamente mutilo ed è difficile la sua integrazione e quindi anche l’inquadramento cronologico della stessa.Rimangono le lettere ( di altezza 3,5 – 4 cm.): 

R S (E) R A Q V     Sopra la porta d’ingresso, alla sommità delle scale esterne in Via del Cirone N° 2, è infissa una lapide che è catalogata a pag. 745 del C.I.L. al N° 5134 della voce Mevania. Eccone le caratteristiche : “Altezza piedi romani 2,7, larghezza piedi romani 1,3.COL. In pariete Lacae Minuzzae IAC., murata sopra le scale della casa di Luca Minuzzi: in aedibus Hieronimi Nierii COL.”Vi è impressa la scritta :                                     T. TITIUS                                     FILADELI                                          USAlcuni leggono invece PIDADELEUS, altri FILADELFUS.                                              ***Nel marzo del 1946 fu rinvenuta in via S. Maria presso l’abitazione di Arcangeli, un’urna cineraria in travertino, di proporzioni non comuni, databile al I Secolo a.C. Le misure sono le seguenti: Altezza 0,94 – Larghezza 0,99 – (in alto), 1,08 (in basso): profondità 0,32 – 0,35; vano per le ceneri : 0,65 x 0,20. Profondità 0,15. – Altezza lettere 0,06.Dopo essere stata per circa 45 anni presso la casa , la signora Arcangeli, con gesto veramente lodevole, l’ha donata all Comune di Bevagna.L’Urna fu sistemata presso il “Mercato Coperto nei primoi giorni dell’aprile 1991.Il Prof. Carlo Pietrangeli nella rivista “Epigraphica” – Anno VII – Fasc. 1 – 4 a pag. 65 così la descriveva :“Urna cineraria di travertino, alta mt. 0,94, larga mt. 0,33, spessa mt. 0,11. Fu trovata nel marzo del 1946 in un fondo di casa Arcangeli, in Via S. Maria. Si tratta di una delle urne cinerarie di forma rettangolare caratteristiche del territorio umbro prossimo a Perugia. La fronte è riquadrata da una scorniciatura che accenna in basso le sagome di due piedi. Nel listello superiore si legge l’iscrizione:                                               III VIR Evidentemente il nome del defunto si trovava nel listello inferiore del caratteristico coperchio triangolare che sormonta le urne di questo tipo e che nel nostro caso è mancante. L’urna, databile nel I° sec. a. C., si distingue per le sue non comuni proporzioni evidentemente in rapporto con la carica rivestita dal defunto nel Municipio”.                                                   *** 

 Nell’aprile del 1985 in località Via A. De Gasperi (a circa 400 – 500 mt. dalla Porta Cannara), a seguito di alcuni lavori di sbancamento per realizzare una urbanizzazione, fu eseguito uno scavo di circa 80 cm. di larghezza e 90 cm. di altezza per l’inserimento di alcuni cavi. In mezzo alla terra di riporto emersero pezzi di tegole (a risvolto e di circa due dita di spessore) ed altri frammenti di vasellame (anfore) ridotti in frantumi dall’escavatore.  Continuando ad inoltrarsi nel terreno scavato, tra gli strati del fosso scavato, si individuavano numerosi cocci di vasi di vario tipo e grandezza, segni di bruciature, manici e colli di anfore. Fu inviata una segnalazione alla Soprintendenza Archeologica che inviò la dott.ssa LAURA BONOMI, responsabile per il territorio di Bevagna.

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Venne eseguito il sopralluogo e fui presente a questa ricognizione durante la quale furono rilevati i dati più importanti ed eseguite delle documentazioni fotografiche. Era l’11 aprile 1985. Al termine del sopralluogo, la Bonomi ritenne poco importanti quei reperti, sostenendo che poteva trattarsi di materiali di recupero o di uno scarico (di una fornace?).Nel frattempo i lavori proseguirono e a detta del proprietario della costruenda abitazione “ non si è trovato nulla durante lo scavo delle fondazioni (cioè le più profonde), mentre nella parte più in alto, alcune tegole spezzate di poca importanza…”                                                              ***

 LA VISITA DELLA BONOMI IN LOCALITA’ “FONTE CAIME”

 Nello stesso giorno (11 Aprile 1985) la dott.ssa Bonomi fece un sopralluogo, su mia indicazione, anche il località “FONTE CAIME”. A confine di questa antica fonte c’è un piccolo appezzamento di terreno dove avendovi fatto un sopralluogo (in data 10 novembre 1984), avevo rinvenuto, proprio nel mezzo del terreno lavorato, alcuni pezzi di tegole con risvolto, manici di vasi e tessere di mosaico di color bianco.  La Bonomi raccolse, ricordo, alcune tessere ed altri frammenti ceramici, commentando che poteva esserci stata in quel luogo una villa rustica. Dette mandato al funzionario della Soprintendenza, Cerquiglini Emilio (di Bevagna) di rintracciare il proprietario del terreno. Dopo alcuni giorni ritornai sul posto ed insieme al sig. Cerquiglini, che abita in prossimità della suddetta Fonte Caimme, feci un ulteriore sopralluogo, rinvenendo, questa volta, anche alcune tessere di mosaico di color rosa e solamente una di color nero. Vi erano anche residui di chiodi di cui uno di grande dimensione. Dove maggiori erano i reperti di tegoloni, ho notato anche uno spicchio di terracotta che faceva parte di quel tipo di colonne che formavano i peristili. Tutto fa supporre che trattasi di una villa rustica o di un tempietto vicino ad una fonte votiva.  Dove ora si trova la fonte, a detta del Cerquiglini, si raccontava che non vi era periodo che non vi venissero numerose persone ed anzi i vecchi raccontavano che una giovane si recava da lontano a visitare la fonte perché in quel luogo sosteneva che aveva visto la Madonna.Il luogo esatto dove l’acqua sgorgava era più in alto , quasi al centro dell’attuale curva, internamente al vigneto del Cerquiglini.Anche l’edificio, di cui parlerò appresso, venne scoperto nel terreno sovrastante la fonte. Fu riportato alla luce, infatti, negli anni 1926/27 un edificio rettangolare di metri 7,35 x 2,40 e tre metri di altezza con pavimentazione a mattoni disposti a spina di pesce e le pareti intonacate il cui utilizzo non fu mai capito. L’ipotesi che questa villa rustica appartenesse a un qualche membro della Gens COMINIA potrebbe trovare conferma dal fatto che anni or sono, in questi pressi furono scoperte un gran numero di tombe, alcune delle quali appartenenti a questa Famiglia. Oltrepassato il suddetto terreno e scendendo verso il basso, in altro appezzamento rinvenni altre tessere di mosaico e pezzetti di vasi, forse trasportati o attraverso il fosso che delimita il costone, o durante la lavorazione agricola del sovrastante terreno.                                                       *** 

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Dopo il sopralluogo da parte della dott.ssa Bonomi della Soprintendenza Archeologica di Perugia,(la quale ritenne poco importanti quei reperti affiorati in Via De Gasperi, a seguito dello sbancamento eseguito per urbanizzare quel tratto di zona), e autorizzati i detti lavori, che sono proseguiti e che hanno portato all’erezione di due abitazioni, distanti dal luogo dello sbancamento circa 30/40 metri, a detta del proprietario della prima abitazione non si rinvenne alcunché di importante durante lo scavo di fondazione, mentre nella abitazione più a valle vennero alla luce molte tegole di vario spessore e di varia misura. Sarebbe stato interessante aver potuto stabilire a cosa servivano quei tegoloni. Con l’ausilio di altri reperti raccolti, il Prof. Carlo Pietrangeli (in data 10 maggio 1987), vedendoli attraverso le foto scattate nell’aprile ‘85, affermò che si trattava di materiali facenti parte del corredo e di tombe dette “alla cappuccina”. Dal tipo di cocci di vasi, il professore espresse, senza esitazione alcuna, che essi dovevano essere vasi collocabili nell’età Adrianea e cioè del II secolo d. C. Lo stesso Pietrangeli espresse amaramente il suo giudizio negativo su quanto avvenuto e la sorpresa con la quale la Soprintendente non aveva curato nel modo dovuto una ricerca su quanto era affiorato dal sottosuolo.I frammenti di vasi che raccolsi, (nel ’85),   ricordo, erano di vario tipo e ne traccio un elenco:

1.   Vasetto o piccolo contenitore con basamento rialzato ed esteriormente colorato marrone/rossiccio. Anche nei bordi sembravano esserci delle righe di color marrone.

2.   Residuo di piccola ciotola di colore rossiccio tendente al marrone di circa 1 cm. di spessore.

3.  Fondo di vaso di un materiale molto interessante che non ho identificato. E’ friabile di color grigio acceso specie all’interno, mentre all’esterno è assai compatto e duro.

4.  In mezzo a questi reperti trovai anche un residuo di piccola lucernetta di terracotta color grigio, assai fina internamente e su cui erano impressi dei disegni simili a piccoli ramoscelli di ulivo e con un foro centrale.

5.  Mattone di forma triangolare (30,5 x 21 x 21 – Spessore di 4 – 4,5 cm.)6.   Tegole di varie misure di larghezza e spessore. 

Alcuni frammenti raccolti, portati in visione durante un incontro in Comune per l’organizzazione della Mostra Archeologica che doveva organizzarsi poi alla Rocca Paolina di Perugia, furono requisiti dalla dott.ssa Bonomi che li portò con sé non so se a Perugia o dove. In quell’occasione feci le mie rimostranze su ciò che era avvenuto e la stessa dott.ssa Bonomi a scusante disse che non vi era nulla di importante per intraprendere delle iniziative di scavo vero e proprio, non sapendo dare però una risposta esauriente sulla presenza di quei vasi di buona fattura e dei tegoloni. I tegoloni avevano uno spessore del bordo che variava dai 3 cm. ai 6,50 cm. con il bordo di cm. 3 di altezza. Alcuni avevano misure superiori di cm. 38,5 per terminare con 42 cm.; altri con misure superiori di cm. 22 e inferiori di cm. 32. Il mattone triangolare aveva uno spessore di 4 – 4,5 cm. e il lato maggiore (o base) era di cm. 30,5, mentre i due lati misuravano cm. 21.Quel materiale (almeno quello rinvenuto) doveva essere studiato e poi alla costituzione del Museo, doveva essere riportato a Bevagna con la relativa classificazione.Questa, ricordo, fu la mia richiesta, ma per tutta risposta fui diffidato a prendere questo tipo di iniziative e di non prelevare più reperti dagli scavi…                                                                                               ***

 

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Il giorno 29 Febbraio 1992 (su indicazione di Giacomo Rosa, barbiere), mi portai sul luogo dove era stato rinvenuto un cippo funerario in travertino durante i lavori presso un uliveto di proprietà dell’Avv. ANTONELLI.Per giungere sul luogo percorsi la strada SS 316, la strada che conduce a S. Marco di Montefalco. Dopo la Fonte Caimme, a circa 2 km. (dopo una curva), vi erano due querce ai lati dell’ingresso di una strada sulla destra con indicato su una di queste CASALE NEL BOSCO.Percorso un piccolo tratto di strada (asfaltata) per circa 1 km., mi imbattei in una casa di fronte. Girai sulla sinistra (la strada era bianca) e giunsi sul luogo del rinvenimento.Ci si poteva arrivare anche dal basso e cioè dopo aver raggiunto la casa di tal BAIOCCO ENNIO (operaio dell’avv. Antonelli) e risalendo dopo una curva per una stradetta di terra in mezzo all’uliveto. Il cippo recava una iscrizione perfettamente leggibile, disposta su una sola riga:

IN FR P XII 

La superficie si presentava abrasa in varie parti ma era in buono stato di conservazione e la comprensione del testo non ne risultava compromessa.Il cippo misurava 6 palmi di lunghezza (circa 120 cm.), 3 palmi di larghezza (circa 60 cm.) e 1 palmo di spessore (circa 20 cm.).Questo cippo terminale (come in altre situazioni), doveva essere infisso ad uno degli angoli dell’area sepolcrale e la scritta stava ad indicare che la larghezza della fronte dell’area (sepolcrale) era di XII (12) piedi.Poiché il piede romano equivaleva a 29,6 cm., tale area sepolcrale era di circa 3,55 mq. Il luogo circostante il terreno del ritrovamento viene chiamato CABELLETTA o GABELLETTA di S. Marco e si trova quindi nel territorio del comune di Montefalco. Chiesi alla moglie di Baiocco se mi indicava esattamente il punto del ritrovamento, ma la stessa non seppe rispondere poiché il cippo era stato spostato dagli operai dell’Antonelli e messo sul ciglio della strada per comodità di caricamento. (Cfr. l’articolo del 5 – 3 - 1992 sul “Corriere dell’Umbria” dal titolo “Interessante scoperta archeologica al confine tra Bevagna e Montefalco” a firma del sottoscritto). In epoca romana quel territorio apparteneva senz’altro al Municipio di Mevania. Passa vicino il confine tra i due comuni (nelle vicinanze di casa Gori) e i numeri civici sono contrassegnati dalla dicitura Gaglioli.Qualche anno fa, come ho già descritto, voglio ricordare il rinvenimento di un altro cippo simile a questo e ritrovato nei pressi della strada che dalla Madonna delle 4 Chiavi porta verso il Santuario della Madonna delle Grazie. Le lettere incise sembrerebbero di una sola mano e dello stesso stile. La scritta in quel caso era

 IN FR P XV                                                                 ***

Un rocchio di colonna in travertino di notevole diametro fa’ da paracarro presso l’ingresso di Porta Guelfa, lato esterno delle mura medievali. 

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In Via Camassei, presso la casa di proprietà di Mattoli Palma esiste un pozzo non utilizzato da tempo costituito in parte, da durissimo calcestruzzo dell’epoca romana alternato (sempre internamente) da pietre rettangolari di varia colorazione, poste a filari. All’interno di questo pozzo (o cisterna) che è di notevole profondità furono rinvenuti anche pezzi di intonaci con la superficie di color rosso pompeiano , tratti di verde vivo e di color scuro tendente al nero.  

Quando il 6 Agosto del 1988 il Comune di Bevagna e la Soprintendenza Archeologica per l’Umbria presentarono in pompa magna “UN ITINERARIO ARCHEOLOGICO” che comprendeva la visione di “EDIFICI PUBBLICI E PRIVATI DELL’ ETA’ ROMANA” compresi nel periodo I° - II° Secolo d. C., fu considerato un avvenimento molto importante perché atteso da molti e molti anni.

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Numerose erano state le sollecitazioni da parte di Associazioni e da parte di privati cittadini e studiosi affinché oltre al noto Mosaico Romano (aperto anch’esso dopo svariati anni di lavori intrapresi e sospesi), la MEVANIA ROMANA avesse aperto quei considerevoli ambienti in cui erano custoditi manufatti ed opere artistiche ed architettoniche di epoca antica. L’Itinerario fu presentato con legittima soddisfazione dal sindaco di allora PALINI FRANCO che illustrò l’iter burocratico, (anche sofferto) che aveva portato alternanti momenti sia di sconforto che di soddisfazione, alla riapertura dell’ambiente del Mosaico di Porta Guelfa, sia a queste ulteriori possibilità per la riscoperta della Mevania romana. Non mi soffermo sull’ambiente del Mosaico che ha avuto da allora e fino ad oggi quella attenzione da parte dei turisti e che è stato un punto di riferimento molto apprezzato e qualificato.

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                   LA   (EX)…. “DOMUS   ROMANA”  Il mio rammarico va invece a quell’edificio privato ubicato presso la cosidetta “Domus”di casa di proprietà Marinucci Silvestri Trabalza, di fronte alle attuali Poste (in Corso Matteotti), di cui la dott.ssa LETIZIA BRUNETTI ne descrisse in una scheda le caratteristiche e una presentazione in tre pagine.Si leggeva in quella piccola relazione che questa “domus” era  "L’unico complesso di una certa entità … e che la prima segnalazione a noi nota risale al XVII secolo (attraverso il Ciampini in Vetera Monimenta I, Roma 1690 pp. 83/84),…. Tuttavia l’attenzione è sempre stata indirizzata al bel mosaico pavimentale… (Il Boccolini in Mevania – Cagli 1909 a p.53 - diceva che "Il pavimento con meandri ed onde si estendeva per tutto l’ambiente"). La Brunetti continua nella sua scheda che: “ l’elemento di maggior spicco dell’ambiente è un tratto di pavimento a mosaico decorato con un motivo centrale a meandro ed una bordatura ad onde incorniciata da linee nere. Purtroppo, rispetto all’ampiezza della stanza antica, il tratto conservato è minimo, sufficiente comunque a dare un’idea di quella che doveva essere la ricchezza e la raffinatezza dell’ambiente… Dai motivi decorativi del mosaico e dalle tecniche costruttive si potrebbe far risalire l’edificio al I secolo d.C.” (Nel corso del I sec. d. C. infatti i motivi andarono via via complicandosi ; esagoni circondati da quadrati e raccordati da triangoli, reti di ottagoni con quadrati impostati su ciascun lato, intrecci a canestro, rettangoli posti a zig – zag).Era a quel tempo una vista affascinante e suggestiva, con quei resti tirati a lucido per l’occasione e con le murature in opera reticolata, semicolonne in laterizio originariamente ricoperte da stucco riportate all’antico splendore. Poi il tempo è trascorso e l’itinerario pur continuando, anche se stancamente, non ha avuto una integrazione migliorativa, anzi…Questo pavimento musivo che tanta meraviglia aveva procurato all’esordio mano a mano è ritornato nell’oblio dal quale era stato quasi forzatamente rispolverato.  Poiché il vano di forma rettangolare che lo ospita (misurante 12 x 8 mt.) si trova 3 – 4 metri più basso del piano attuale della Via Flaminia, e per dare aria allo stesso vi sono delle piccole inferriate che danno sull’orto, tutta l’acqua piovana (che è stata tanta durante questo inverno), è confluita spesso e volentieri in questo ambiente trascinando terra ed erbacce. Il mosaico, che ho visitato recentemente, appare ricoperto da una spessa coltre di fanghiglia grigia e traspare una immagine di abbandono e di desolazione a cominciare dall’ingresso che immette al giardino e ai locali. (Non me ne voglia il proprietario). 

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Anche i locali che erano inclusi nell’ITINERARIO ARCHEOLOGICO del 1988, e cioè quelli che si trovano sotto l’ex Convento di S. Domenico e che sembravano dovessero essere maggiormente studiati ed esplorati, sono restati in balia di se stessi, utilizzati solamente al tempo delle Gaite per riproporre il mestiere della fonderia e coniazione delle monete. In un locale interno sono stati riposti numerosi reperti di varia epoca da quelli romani (epigrafi, capitelli, urne cinerarie, lapidi in travertino, festoni, tronchi più o meno grandi di colonne anche scanalate) a pezzi medievali e settecenteschi ed ottocenteschi accatastati alla meno peggio. 

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 Durante i lavori di sistemazione di un locale in Via Vicolo Onofri 3, attualmente di proprietà di ORTOLANI FRANCO, ed un tempo adibito a falegnameria di proprietà GASPARRINI UMBERTO, si rinvenne, nel giugno del 1992, alla profondità di circa 50/60 cm. dalla pavimentazione esistente, un tratto di mosaico.A proposito di questo mosaico a pag. 29 delle “Notizie Antiche e Moderne” dell’anno 1786 scritte dall’Alberti, si possono leggere queste parole :“ Oltre i già detti (mosaici) ve n’è un bel pezzo, composto di marmo nero, nella casa dei Conti ONOFRI e resta avanti la porta della sala di essa.”Poiché il Palazzo Onofri è del Sec. XVIII° e realizzato appositamente (nella Piazzetta omonima), si potrebbe pensare che l’attuale casa del Vicolo Onofri, dove si rinvenne questo mosaico, fosse di proprietà della Famiglia in quel periodo anche perché essa è senz’altro di più antica costruzione notando gli archi a sesto acuto in arenaria, tuttora conservati sulla facciata in prossimità dei portoni d’ingresso. E poi l’Alberti parla di casa e non di Palazzo Onofri.Anche per quanto riguarda l’ubicazione del mosaico, essa corrisponderebbe allo stato attuale e cioè quel “ resta avanti la porta della sala di essa (casa)”.Di questa scoperta fu informata la Soprintendenza Archeologica e fu effettuato un sopralluogo da parte della dott.ssa LAURA BONOMI nel giugno stesso.La Soprintendente, responsabile per il territorio mevanate, espresse la sua ammirazione per la tipologia del mosaico, giudicato molto raffinato e diverso da quelli finora conosciuti a Bevagna, quali quello delle Terme di Via Porta Guelfa e l’altro presso la “domus” di Corso Matteotti nella casa di Trabalza Marinucci.La decorazione centrale del mosaico non era più visibile. Di esso si vedeva solamente un tratto di bordatura o di cornice composta a treccia (ad S incrociate).Poiché nel passato fu realizzato un muro non si potè giudicare l’estensione del mosaico, che a prima vista non doveva essere molto grande. (Il proprietario asserisce invece il contrario avendo eseguito dei sondaggi che hanno dimostrato l'ampiezza maggiore del mosaico e che forse si estende nella parte est del locale)(Cfr. l’articolo sul Corriere del 2 – 7 – 1992 : “Bevagna, scoperto mosaico in un vecchio stabile”).A distanza di circa 15 anni si è sistemata la parte emergente del mosaico e attraverso uno spesso vetro collocato su quella parte del pavimeno è possibele scorgerne le forme.                                                                

   ***

                  FUORI DELLA CINTA MURARIA

 Si può dire che a Bevagna, in questi ultimi anni ovunque il piccone o le ruspe per l’insediamento di nuove costruzioni o urbanizzazioni, hanno aperto il terreno, sono venuti alla luce sempre importanti reperti sia dell’epoca romana che medievale.Nel territorio comunale, guardando le cronache antiche, in ben 50 luoghi diversi sono stati trovati resti di una certa importanza senza tralasciare il Centro Storico vero e proprio contenitore dove in altri 30 punti sono affiorati muri, lapidi, sepolcreti, edifici termali con mosaici e resti di colonne e di statue di ogni grandezza.

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Nel dicembre del 1988 durante la sistemazione del Parco F. Silvestri (Ditta C.E.I. Costruzioni Srl di Foligno), della recinzione e della realizzazione dei marciapiedi di Porta Foligno, sono affiorati alcuni tratti murari.Proprio in questa zona sono documentati, fin dal 1700, alcuni rinvenimenti molto importanti quali un “Torso” di statua (individuata come DIONISIO), ora collocato tra la raccolta museale Municipale, lastre di terracotta con ornamenti, frammenti di pietre scritte e il famoso “Tesoretto” di 911 denari d’argento di epoca repubblicana. Anche l’attuale Porta Foligno, antecedentemente era denominata “PORTA FLAMINIA”, una Via importante che attraversava la Città e che raggiungeva appunto Fulginium.La cinta muraria che ora ammiriamo e che è di epoca medievale, era invece, in epoca romana più estesa e quindi, in questa zona dovevano esserci abitazioni ed edifici pubblici anche di una certa importanza.L’abitazione nell’angolo, ora adibita a pizzeria, era un tempo una ex Chiesa “fondata su muri diroccati di una grossa fabbrica”, che secondo il Piergili (1600 – 1678), corrispondeva al CAMPIDOGLIO, uno spazio sacro dedicato alle tre divinità : Giove, Minerva e Giunone. Stando agli storici antichi, essi ricordano che tutto intorno, per un largo raggio si trovarono resti di antiche costruzioni nei terreni circostanti, resti di mosaici a tessere bianche e nere ed una lastra marmorea che era stata identificata, dall’iscrizione, per la “Mensa dei Magistri Valetudinis”. Durante questo intervento del dicembre ’88 – gennaio ’89, a confine della strada e in vicinanza del Parco della Rimembranza o Monumento ai Caduti, affiorò un tratto di muro in duro calcestruzzo, pietre e mattoni di non ben definita dimensione, epoca ed importanza storica. La Soprintendenza fece sospendere i lavori in quel tratto e deliberò urgentemente l’esplorazione approfondita di quanto stava emergendo stanziando la modica somma di circa 5 milioni. Il sondaggio non si limitò solamente nel tratto in cui erano emersi i reperti murari, ma  interessò anche la zona che conduce nelle vicinanze di Porta Foligno.Emersero, dopo qualche giorno di scavo, altre strutture murarie molto interessanti. La prima di queste fu quella di un muro composto a filari di pietra ben squadrati contenenti, ad una distanza di circa 2,50 metri, due “colonne” di forma rettangolare, (sempre a blocchetti), misuranti 60 x 35 cm., sporgenti cm.35 dalla linea (retta) muraria, ma sempre attinenti e facenti parte della stessa struttura.L’accuratezza della muratura (visibile tuttora), fa pensare senz’altro a qualche edificio di una certa importanza (un Tempio ?), anche perché il muro continua, dopo circa 3 metri di interruzione provvisoria, per altri 3,20 metri e ricompare la solita “colonna” rettangolare simile alle altre due.Frammisto ai filari in pietra squadrata vi era anche un “opus reticolutum”, ma di poca consistenza.  Un altro tratto di muro, disposto in direzione normale (quasi a 90°) rispetto a quello descritto, fu riportato inoltre alla luce. Misurava 1,25 metri di larghezza, 8 metri di lunghezza e doveva essere ancora più profondo dello sterro di circa 75 cm. che venne eseguito.Ancora, parallelo al primo tratto, si rinvenne un agglomerato cementizio di fondazione di un altro muro, ma classificato di diversa epoca. Queste strutture fanno senz’altro parte di quel vasto complesso già esplorato in casa Bartoli, dove emerse un edificio con pavimenti di fine mosaico ottimamente conservato e ad “opus spicatum”. Era un bel “rebus” per la Soprintendenza che per mancanza di fondi cessò di completare l’esplorazione (20 Gennaio ’89) nonostante l’aiuto dell’Amministrazione comunale che aveva messo a disposizione il personale (2 persone) ed i mezzi meccanici ed aveva collaborato fattivamente con la Soprintendente Laura Bonomi.Una richiesta per riottenere ulteriori finanziamenti, fu inoltrata dall’allora sindaco Palini al Ministero e nei primi giorni del Marzo 1989 ripresero gli scavi con la scoperta di una ulteriore porzione di muratura. A riguardo di queste vestigia dall’Estratto “Raccolta di Opuscoli Scientifici e Filologici” - Venezia 1760 – tratto dal volumetto “ Della Patria di Sesto Aurelio Properzio, poeta” – pag. 86, leggiamo :“ Siccome allor quando fu riedificata Bevagna dopo i replicati gravissimi eccidi sofferti, non si potè ristabilire nella grandezza primiera, i di lei Restauratori furono costretti a servirsi di una parte delle muraglie antiche già rovinate, e lasciar fuori la maggior parte delle medesime.

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In due luoghi si rimirano i vestigi di queste. Alcuni sono alla porta orientale poco lungi dalla Porta detta di San Vincenzo, ove si vede un buon pezzo di muro di pietra ancor intatto e largo non meno di sei palmi romani. Pochi passi lontano da questo se ne mira altro pezzo, che restando contiguo, e venendo a corrispondere per retta linea con il già detto, mostra d’esser stato un muro medesimo.E con tutto che, dopo di essersi quello disteso per qualche tratto veda mancarsi, attesto che il sito, in cui si dovrebbe inoltrare, oggi resta coltivato, che il mede(si)mo però proseguisse più oltre lo da a vedere la faccia istessa del luogo…”. 

*** Nel Febbraio del 1991 fu realizzata e messa in opera la recinzione attuale, consistente in verghe verticali lisce non certamente opera artistica, in contrasto con la valenza del luogo e la sua rappresentatività. Il vecchio cancello d’accesso al Monumento ai Caduti fu demolito.  

*** Nel Giugno del 1991 venne costruita la palizzata “decorativa” in legno (con disegno ad X) all’interno dei Giardinetti del Monumento ai Caduti.            

***

 

                  L’INSEDIAMENTO NELL’AREA URBANA TRA VIALE PROPERZIO E VIA I° MAGGIO

 Una ulteriore prova che un insediamento poteva trovarsi ed essere compreso fino a dopo l’età romana, nell’area urbana sita tra il Viale Properzio e Via I Maggio (come afferma anche il Pietrangeli a pag. 65 e segg. del Volume “Mevania”), venne alla luce durante i lavori di scavo per le fondazioni di una abitazione di proprietà Matrini. Come si sa, in prossimità di via I Maggio, negli anni 19080 – 1982 furono riportate alla luce varie strutture di edifici costituiti anche da due grandi vasche collegate tra loro da un ambiente, forse un corridoio, e da una rampa basolata.Dalla tecnica edilizia e per i materiali rinvenuti, il complesso fu collocato dalla Soprintendenza, in età Adrianea e cioè nel II sec. d.C.Vi fu rinvenuto anche un tesoretto di N° 180 denari d’argento databili tra la fine del III° sec. e l’inizio del I° sec. a.C. Ora, a distanza di poche decine di metri da questo primo rinvenimento (e precisamente dietro casa Matrini, numero civico 12), riapparvero vari frammenti ceramici e pezzi di vasellame, anfore, brocche, olle, balsamari ecc.Purtroppo lo scavo per eseguire le fondazioni dell’abitazione, procurò un grande danno. Infatti l’area interessata, ha sùbito la frantumazione “sistematica” di tutti gli oggetti ivi sepolti. 

La Soprintendenza, informata del fatto, fece sospendere temporaneamente i lavori edili, ma il danno era già stato perpetrato. Ancora una volta, le testimonianze della Mevania Romana erano state cancellate a colpi di escavatore… Sui mucchi di terra di riporto si potevano osservare i residui ceramici frantumati. Erano residui di molteplici oggetti di buona fattura e qualità, forse di produzione locale, ipotesi tanto più plausibile se si pensa che nel i° secolo a. C. fioriva proprio a Mevania l’industria del figulo C. POPILIUS.

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Tra questi reperti notai anche chiodi e residui di “bruciature”, ossa umane ed animali (?), vari tipologie di ceramica d’impasto a vernice nera (di cui una con un marchio assai interessante di cui resta la fotografia, ma non il reperto), e terrecotte a vernice rossa con varie decorazioni lineari.In data 1 giugno 1991 mi recai sul posto e fatta una breve perlustrazione, non potei che prendere atto che era stato fatto un vero e proprio barbaro danno di quanti vedevano nello studio delle testimonianze storiche, la riscoperta della loro identità e che nel caso di Bevagna essi non sono pochi, ma che non riuscendo ad organizzarsi non hanno neanche una voce in merito… Essi restano impotenti davanti ad ogni scempio che giornalmente si consuma e sono incapaci di prendere posizioni almeno accettabili.E questo era un ennesimo caso che si aggiunge agli altri ai quali siamo stati testimoni in questi ultimi anni. Fatta la ricognizione, ricordo, raccolsi vari frammenti, con foto sul posto, e mai come in quella occasione constatai la variegata tipologia dei frammenti, della loro colorazione e consistenza artistica.Intonaci di vari colori: dal rosso pompeiano al verde sbiadito, tessere di mosaico di color bianco, grigio scuro e nero, pezzi di vasi di vetro colorati, chiodi di varia lunghezza ed un anello (?) di piccola dimensione. In data 15 giugno 1991 ritornai sul luogo e nel frattempo la soprintendenza aveva riportato alla luce un piccolo tratto di muro costituito, nel tratto emergente, da 5 filari in pietra ben squadrati.L’accuratezza del manufatto fece pensare ad un’opera del periodo Adrianeo (II Sec. d. C.). Questo muro proseguiva verso occidente e cioè verso la vigna esistente a quel tempo, e dai reperti rinvenuti si poteva supporre che delimitava un ambiente pavimentato formato da piccoli mattoncini rettangolari in laterizio, simili a quelli rinvenuti in prossimità dell’Imbersato. Oltre a questi, si rinvennero numerosissimi frammenti ceramici in terracotta per lo più di colore rosso.L’area interessata allo scavo non si limitava solamente a quel punto, (in cui si notava la presenza del muro, ma ad una vasta zona a monte dello stesso.Dato il dislivello del terreno (che andava in pendio), a pochi centimetri dal terreno fu riportato alla luce un ulteriore tratto di muro sempre con le stesse caratteristiche del precedente, (pietra a blocchetti, larghezza, e squadratura) che si suppose facesse parte di un complesso a se stante e che occupava tutto quel versante. 

La Soprintendenza, sotto l’attenta sorveglianza del suo funzionario Dr. Ferruccio Schippa, effettuò un sondaggio operando in modo rettangolare ed ottenne la scoperta di piccoli tratti di muri. La sola differenza emersa fu che affiorarono numerosi frammenti di tegoloni che non erano stati invece rinvenuti nella zona più bassa.Il tratto più a valle fu ulteriormente esplorato e si rinvenne un altro tratto di muro in direzione occidentale, cioè verso Via I Maggio, mentre ancora più in basso emerse una “fogna” (?) che era coperta da lastre di pietra di forma irregolare. Il Dr. Schippa ritenne che tutto quel materiale faceva parte di uno “scarico” nel quale erano confluiti questi innumerevoli frammenti, ma non condivisi la sua ipotesi.Parte dei frammenti rinvenuti furono riposti in cassette di plastica e dopo vari giorni questi contenitori erano già parecchi (circa 35/40). Notai in essi frammenti ceramici di varia tipologia, colli di anfore di varia grandezza, bordi di vasi e becchi.   Inoltre vari pezzi di intonaco di color bruno e laterizi costituenti i pavimenti. Ricordo che nella cassetta in cima alla fila , oltre ai frammenti ceramici, in un apposito contenitore erano stati sistemati anche alcuni pezzi bronzei (?) come spilli di vario spessore, una piccola pietra da anello (?), una moneta molto piccola ed una colomba con le ali aperte (o uccello similare) in bronzo fuso assai integra ed anche molto interessante. Nella parte a monte lo scavo proseguì alacremente con la collaborazione di 4 operai e l’assistente dr. Schippa. Il muro riportato alla luce era costituito anche da tratti alternati di mattoni in laterizio e si presupponeva anche una

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scala costituita da larghi lastroni in pietra che in seguito venne riportata alla luce e che era formata solamente da tre scalini. Il pavimento non venne rinvenuto, solamente del terriccio color bruno e nero con bruciature.Le strutture sembravano a prima vista svilupparsi tutte a monte, ma dal sondaggio affioravano anche tratti di muratura nella parte opposta. Si poteva quindi desumere che l’edificio, o gli edifici avevano una estensione vasta e che occupavano una zona molto ampia ed articolata, con vari ambienti che secondo la mia impressione facevano parte sempre di quel NINFEO scoperto negli anni ’80 presso l’abitazione di Conti Salvatore. ( A tal riguardo la tecnica muraria è simile nei due casi). Era auspicabile aver scavato tutta la zona circostante e aver potuto comparare le scoperte degli anni ’80 con quelli del ’91. Gli scavi del 1980 furono poi definitivamente ricoperti e di essi non rimase che una pianta eseguita dai tecnici della Soprintendenza ( Dott.ssa Laura Bonomi), riportata nel “Bollettino Storico della Città di Foligno” – Vol. X° - Anno 1986 – pag. 489). La stessa dott.ssa Bonomi ipotizzò, a suo tempo, che il luogo del Ninfeo riscoperto e le sue vicinanze, rappresentava un “ Luogo di culto” e che tale complesso (allora parzialmente individuato), era un complesso monumentale di “rilevante carattere pubblico2 e che aveva anche al suo interno una struttura produttiva individuata con una fornace di epoca antecedente (VII – VI Sec.) alle strutture murarie emerse dallo scavo.Vi era pertanto un centro abitato che aveva anche un sepolcreto nelle sue vicinanze e cioè presso la Villa Boccolini dove furono rinvenute numerose tombe della stessa epoca.Anche i numerosi frammenti di ceramica a vernice nera potevano far pensare ai resti di una “stipe votiva”.In età repubblicana esisteva quindi un complesso ben definito ed importante in questa zona della Mevania antica. Durante un sopralluogo che feci in data 21 Giugno 1991, parlando con l’assistente Dr. Schippa, sulla tipologia dei reperti ceramici rinvenuti, mi disse che non era stato ritrovato alcun segno o timbro sugli stessi. Io invece avevo rinvenuto precedentemente un piccolo frammento con impresso un marchio o timbro di fabbrica assai strano. Il giorno 3 luglio 1991, con grande stupore, ed anche rammarico, constatai che il lavoro che doveva almeno portare a delle conclusioni riguardanti il tipo delle strutture, la loro collocazione ed individuazione nel complesso storico era stata cancellata da una ruspa.Tutto era stato di nuovo ricoperto, tutto di nuovo sepolto come l’oblio del tempo che per secoli aveva nascosto queste vestigia.Nessuna conferenza fu organizzata dalla Soprintendenza su quanto rinvenuto, nessun bilancio sui risultati conseguiti durante un mese di scavo, nessuna consegna, finora, al Museo Comunale dei reperti (almeno quelli bronzei) che si rinvennero e chissà se ancora esistono nei magazzini…..                                                           *

Nei pressi di quest’area e precisamente in Viale Risorgimento (ex terreno Morlupi rag. Giuseppe, alias Peppe di Lillina), nell’ottobre del 1991 la Soprintendenza archeologica portò avanti uno scavo che in seguito fu ricoperto.Mi recai sul posto in data 25 ottobre 1991 dove nel frattempo erano stati effettuati dei sondaggi su un’area di circa 4.000 mq. Era stato sempre risaputo che questa era una zona archeologica molto importante. Erano stati eseguiti una decina di sondaggi in altrettanti punti del terreno e a varie profondità.Le strutture più significative che emersero in quella occasione furono le seguenti:

       Sulla parte sinistra, quasi a metà del terreno preso in esame ed in prossimità della rete di recinzione, affiorò dapprima un pezzo di mosaico, a non grande profondità, a tessere bianco scuro di piccolissime dimensioni (0,8 x 1 cm. le più grandi), e poi, più in basso un “battutino” ed alcune pietre non uniformi. La superficie “mosaicata” era di modesta estensione e non rappresentava grande interesse dal lato artistico. Questa parte sembrava essere stata inserita in un locale delimitate da muri e che quindi era ipotizzabile pensare ad un ambiente adibito a vasca per l’acqua della casa.

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       Dopo questo modesto tratto dove affiorava il mosaico, vi era un pezzo di terreno in cui esso era totalmente mancante per poi ricomparire, ma in forma non lineare, più a nord ed in modo assai precario.

   (Forse questo residuo di mosaico era lo stesso che si rinvenne, a detta del prof. Pietrangeli (cfr. pag. 94 del volume “Mevania”), insieme con muri ed antiche costruzioni nei terreni circostanti la Porta Foligno:

    “Altri resti di antiche costruzioni si trovarono oltre che nel gruppo di case di fronte a Porta Foligno, nei terreni

circostanti, ove è venuta in luce una fitta rete di muri che potrebbero essere di abitazioni anziché di edifizi isolati fuori le mura. Negli stessi terreni si rinvennero interi pavimenti di mosaico bianco e nero a disegno regolarissimo (qualcuno ancora sul posto, ma interrato), frammenti di vasi aretini ed etrusco – campani e moltissimi marmi. Proseguendo verso Nord – est a 100 metri dalla cinta si scorgono resti di fondazioni, frammenti di intonaco e di marmo. Fuori Porta Foligno, a circa 200 mt. dalle mura si trovò una Mensa marmorea che recava sull’orlo una iscrizione dei MAGISTRI VALETUDINIS (C.I.L. XI – 7926)”.

 Parte del mosaico era stato divelto anche a causa di interventi per la realizzazione di una fogna che passava proprio a confine con la recinzione. Comunque da quello che appariva, la superficie occupata dal mosaico non doveva essere molto estesa, semmai forse proseguiva verso il lato ovest, cioè dalla parte della recinzione. Nella zona destra (in fondo) emerse un tratto di muro posto in modo trasversale. Un ulteriore sondaggio a sinistra e a poca distanza, non ha messo però in evidenza alcuna prosecuzione di questo muro, che invece forse proseguirà verso la direzione del palazzo Mobili Adanti. Questo muro rinvenuto è costituito da strati di forte calcestruzzo.Sulla terra di riporto notai alcuni chiodi e molti frammenti di manici e di vasetti di ottima fattura, sia a vernice nera che rossa di spessore vario, qualche tessera di mosaico (ma di grandezza maggiore di quelle del mosaico riportato alla luce) e piccoli pezzi di intonaco di colore rosso e bianco. Nella parte di fronte al tratto di muro trasversale scoperto, vi erano tre tipi di manufatti: A nord pezzi di pietre squadrate e di vario spessore con tratto di muro cementizio e con una canala (?) interrata. La canala era certamente coperta da tegoloni che in grande quantità erano stati dissotterati.Affiorarono anche varie tipologie di manufatti laterizi con forme rettangolari e triangolari che erano del tutto simili a quelli rinvenuti nello scavo limitrofo di casa Matrini.(A riguardo Cfr. l’articolo sul Corriere dell’Umbria del 3 – 11 – 1991 “ Scoperto contenitore di strutture archeologiche”). Anche il Boccolini (Mevania – Notizie Storiche ed archeologiche – Cagli 1909), a pag. 42 scrive: “ … E ritorniamo alla trattazione del circuito delle mura di Mevania. Al principio di questo capitolo si sono esposte le ragioni per le quali possiamo affermare che il circuito antico dovette essere maggiore del presente. Veniamo ora ad altre osservazioni che avvalorano la nostra affermazione e che servono come criterio per fissare, in modo approssimativo, i confini dell’antica cerchia. Alla destra della Porta Flaminia si eleva un bel tratto di muro reticolato, lungo circa 15 metri. Taluno ha creduto che tale muro potesse essere la continuazione della cerchia antica: ma dato il suo spessore (cm. 60) esso dovette appartenere a qualche edificio.Fondamenti di un grande edificio (molto probabilmente un TEMPIO), si osservano a pochi metri dal muro a reticolo ricordato.Altri fondamenti esistono nel gruppo di case di fronte alla Porta Flaminia:; e in alcuni terreni circostanti recentemente è venuta alla luce una fitta rete di muri, tale da far pensare ad un vero centro di abitazione, piuttosto che a edifici isolati fuori delle mura.Negli stessi terreni si rinvennero interi pavimenti di mosaico bianco e nero con disegni regolarissimi; frammenti di vasi rossi (aretina vasa) e neri (cinerini) e moltissime varietà di marmi (tutto ciò, naturalmente è andato perduto. Rimane solo qualche tratto di pavimento di mosaico, rovinato nello scavo e ricoperto dalla terra).Proseguendo verso nord – ovest, a distanza di 100 metri dalla cinta medievale, seguitan sempre, più o meno interrotti, residui di fondamenti, e si scorgono frammenti d’intonaco di vari colori, copioso materiale di pietre, che han servito ai pavimenti di mosaico, e grande quantità di marmo; finché giungendo al terreno che sovrasta la minuscola Chiesa della Madonna del Core, possono osservarsi pareti di muri, che conservano gli intonaci di colori finissimi, lastroni di marmo adoperati per il rivestimento delle pareti; tratti abbastanza considerevoli di mosaico, moltissimi frammenti di marmi e vari mattoni adoperati nella costruzione delle colonne.

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Oltre a questo materiale di maggiore importanza, innumerevoli in detto luogo sono le tegole di varie dimensioni e di grande spessore e i frammenti di cocci finissimi e di anfore. Su questi terreni dunque dovette sorgere una parte della Città antica, non potendosi ammettere che i residui di materiale di costruzione e gli altri frammenti si riferiscano a edifici fuori delle mura, e in tal modo Mevania avrebbe avuto una superficie maggiore di un terzo       della moderna      Bevagna.

***

UN FUSTO DI COLONNA IN TRAVERTINO, ORA SCOMPARSO Presso l’abitazione di Benincasa (fu) Domenico, che trovasi sulla destra, proprio in prossimità della curva che immette a Capro, (venendo da Cantalupo), era conservato fin dal 1984,un consistente rocchio di colonna scanalata, rinvenuta, stando alle testimonianze, proprio in località Arquata. A distanza di qualche anno e precisamente dal 1990, tale colonna non è più visibile. Forse sarà stata trasferita in altro luogo.Non si comprenderebbe, però, la datazione dei reperti «pre- romani» che furono da me rinvenuti, con l’epoca (più tarda sicuramente), di questo tipo di colonna, appartenente, all’epoca imperiale.Non credo perciò alla versione che tale ritrovamento possa essere stato contemporaneo allo sbancamento dei lavori per la costruzione della fornace Briziarelli.Ma su questo argomento ritorneremo. 

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 Presso la casa patronale che si trova sul lato destro andando verso la stradina del Cimitero, si può notare una grande pietra di forma rettangolare in travertino divisa da una fascia centrale con due incavi di forma quadrata, di piccola profondità, che apparteneva forse a qualche piano di una fonte antica (vedi a riguardo i due incavi per la fuoriuscita dell’acqua) per il lavaggio dei panni. Ma potrebbe aver avuto altro uso. Nei pressi di Capro, nella zona dei Lavatoi Pubblici, antichi pezzi di travertino ben squadrati sono stati reimpiegati per costruire i gradini iniziali della scala che conduce all’ingresso dell’abitazione di Donati Pasquale, al n° civico 96. Nella facciata della casa ex Nardi, ora disabitata (N° civico 189), vicino alla chiesa della Madonna della Rosa, è murato un piccolo reperto in travertino sul quale si possono leggere queste lettere assai consunte di altezza cm. 7 circa: 

C. F V I O. T. F. 

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 Un bel pilastro ben squadrato in travertino rude con incasso di presa (di cm. 22) si conserva a Limigiano, proprio all’ingresso del borgo, presso la casa di………… A detta del proprietario questa colonna squadrata proviene da un ex mulino e che quindi la congettura (di Mometti Giorgio) che trattasi di elemento di epoca romana cadrebbe… 

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 Nella chiesa di S. Angelo di Limigiano, appena la porta d’ingresso, un interessante e ben lavorato capitello romano funge da sostegno all’acquasantiera, mentre la pietra della mensa dell’Altare Maggiore è sorretta da un rocchio scanalato di colonna romana. 

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 Un piccolo simbolo fallico in bronzo, con occhiello che funge da sostegno, misurante cm. 33 di lunghezza e cm. 11 di larghezza, fu rinvenuto in località S. Antonio, durante uno scavo effettuato presso la zona tra Cocciarelli e Torti ad una profondità di mt. 0,90. Attualmente è in possesso di Barattini Guglielmo, ingegnere edile, abitante in Via Risorgimento a Bevagna. 

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 Un altro reperto in bronzo, misurante circa 10 cm. di lunghezza, fu da me visto e fotografato in data 11 luglio 1985. Rappresenta un avambraccio destro (teso), reggente una patera. E’ senz’altro una parte che poteva essere incastrata, dato il punzone emergente di forma cuneiforme.E’ un reperto assai ben conservato con la giusta patina naturale ed è di dubbia epoca di appartenenza. Fu rinvenuto, stando alle informazioni dirette, da Ottavi Andrea presso l’Imbersato ed apparteneva senz’altro a qualche oggetto raffigurante un offerente con patera in mano. 

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 Prima del Ponte delle Tavole, sul lato destro della parete di casa Sensidoni sono murati alcuni reperti di non facile individuazione.Uno è racchiuso in un ovale e sembrerebbe trattarsi di una sfinge o di un leone alato visto di profilo. Dovrebbe essere in ceramica o terracotta tendente al rossiccio chiaro.L’altro reperto, racchiuso in una cornicetta quadrata di marmo, sembra racchiudere un’urna cineraria con in rilievo una figura eretta. In questi ultimi tempi, in seguito alla ristrutturazione dell'immobile, i due reperti sono stati rimossi. 

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 Ricordo che era il giorno 15 di Ottobre del 1988 e mi recai sul posto, un terreno che era stato oggetto di un profondo scasso eseguito con un enorme aratro trainato da un trattore cingolato Fiat, per effettuare la piantagione di alberi di ulivo, con gli amici Ottavi Andrea e Crisanti Giacomo. (Vedi a riguardo un mio articolo sul “Corriere dell’Umbria” del 20 Ottobre 1988 dal titolo : “ Importante rinvenimento archeologico – Bevagna: ritrovato un cippo funerario”). Già da qualche giorno antecedente ero stato informato che da quel terreno era affiorata , in prossimità del ripale (lato strada asfaltata), una “pietra in calcare (?) bianco, o travertino su cui si potevano leggere alcune lettere. Giunti sul posto abbiamo subito notato questo “cippo” che era assai consistente sia come spessore che come altezza. (Le misure es atte, purtroppo non furono prese per la mancanza di un metro). Questo tipo di iscrizioni non sono rare. Sfogliando il C.I.L. e l’”Epigraphica” di Carlo Pietrangeli, compaiono infatti iscrizioni simili al N° 5019 della voce su Trevi : IN FR P XIII ; al N° 5159della voce Mevania : IN FRO P XII, che si trova sulla facciata della Chiesa di S. Francesco, al N° 5204 della voce Vettona : …IN FRO… ED, ai Nri. 5360 di Hispellum : IN FRON P XII IN AGR. P XII ; 5361 : IN FR P XII IN AGR P XIIII ; 5362 : IN FRON P X e ai Nri : 5585 : IN FRONTE   P X IN AGR P X ; 5586 : IN FRONT PED XII IN AGR PED XII, 5587 : IN P XII I P XII ; 5588 : IN FRONTE PED XII IN AGR. PED XIIII ; 5590 : IN FRONTE P X (X) ; 5591 – 5589 – 5592 –5593 – 5594 di Asisium. A pag. 53 dell’ ”Epigraphica” è riportato un ulteriore frammento di lapide contenente questo tipo di scritta e che fu rinvenuto nel 1790 lungo la Via che porta dal Convento dell’Annunziata presso il muro “exteriori domus MARCI CIANCALEONIS”.

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Recava queste parole : I FR P IIX

(IN A) G P VI Ritornando alla stele rinvenuta, poiché essa non reca altra iscrizione, ma solamente IN FR P XV , si presume che senz’altro esistano altre stele sottoterra in quel l’appezzamento di terreno o nelle immediate vicinanze.Infatti non comparendo la scritta IN AGR, si presuppone che quella con la scritta contenente la “misura” dell’area funeraria si trovi in altro punto.Non si esclude che la strada a cui fa riferimento la stele sia l’antica Via Flaminia che transitava, secondo gli storici in quel punto, ma che non fu mai individuata con esattezza.Certo è che l’area funeraria doveva essere abbastanza estesa e a questo proposito , perlustrando intorno al luogo si rinvennero frammenti in ceramica rossa, pezzi di tegoloni e forse un residuo di coperchio di anfora con il pomo centrale. Oltre a questo anche un chiodo di piccole dimensioni.  La zona in oggetto doveva essere stata perlustrata con maggiore attenzione alla ricerca di altri eventuali reperti, ma ciò non fu fatto, anche se nella stessa giornata di sabato 15 Ottobre, della cosa fu informato il sindaco di allora Franco Palini (cognato di Ottavi Andrea), che assicurò il suo interessamento ed il recupero del reperto, che venne prelevato e posto nel locale del Mosaico di Porta Guelfa.   A poca distanza dalla stele funeraria, riaffiorò una pietra ben squadrata, ma priva di qualsiasi iscrizione. Forse si trattava di un pezzo del complesso che delimitava la sepoltura.Poiché l’area interessata ai lavori agricoli era assai vasta a detta di Ottavi Andrea che aveva perlustrato accuratamente la zona, vari erano i frammenti ceramici affiorati che si potevano individuare in varie zone fino in fondo al terreno ed anche dalla parte opposta.In data 17 ottobre fu avvertita anche la dott.ssa LAURA BONOMI della Soprintendenza Archeologica e responsabile per il territorio di Bevagna, la quale ringraziò per la segnalazione. 

***

Nel maggio – giugno del 1990, a cura dell’Ufficio Tecnico del Comune di Bevagna, fu effettuato un “sondaggio” nei terreni adiacenti (immediatamente dietro) la Villa Bartolini posta lungo la strada che conduce a Foligno ed in prossimità della chiesa della Madonna della Rosa. Nelle vicinanze di questa zona, si ricorda, doveva estendersi una Necropoli preistorica ( VII - VI Sec. a. C.) e molte tombe furono rinvenute: “Da tutto ciò consegue che l’origine di Mevania può ben riportarsi indietro di qualche secolo a. C., cosa del resto ora attestata dal recente rinvenimento d’una copiosa suppellettile di fibulae, collane di ambra, lance di ferro,grandi vasi d’impasto rossastro con ingubbiatura nero lucida di forma globulare e biconica, su piede campaniforme, con costolature verticali, a cerchi concentrici profondamente rilevati, a dischi fortemente impressi ecc… Tale suppellettile fu rinvenuta insieme con ossa umane in parecchie tombe a fossa, a profondità di 1 mtro circa, scassando la vigna di proprietà Boccolini, lungo la Flaminia Bevagna – Foligno, a 500 metri dalla Porta Flaminia” (da “Mevania” – Notizie Storiche e Archeologiche di GUIDO BOCCOLINI (Tesi di Laurea) – 1909 Cagli – Casa Editrice A. Balloni pag. 8).Anche nel 1691, durante lo scavo di fondazione della chiesa della Madonna della Rosa, si rinvennero numerose tombe laterizie, mentre iscrizioni funerarie nei pressi dell’IMBERSATO. Tutto questo dimostra che la zona diventerebbe assai interessante se sottoposta ad una accurata “ispezione”.Non si capì, allora, lo scopo di quel “sondaggio” che fu effettuato anche fuori stagione e precisamente durante la quale il grano stava crescendo, arrecando anche un grande danno economico. Il modo di esecuzione fu certamente errato, dal momento che fu utilizzato un escavatore con una grossa benna che ad ogni azione procurò danni ai manufatti interrati.Vari erano i frammenti di tegole (regolarmente frantumate) sparsi nei paraggi.Cosa rappresentassero non si sa bene.O erano tegole formanti un cunicolo di scolo per le acque condotte, oppure una serie di tombe alla cappuccina. A suffragio di questa ultima ipotesi, affiorarono anche frammenti di vasi e manici di olle o anfore di media grandezza.

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 Il sondaggio più prossimo alla “Villa” mise in luce (ad una profondità di circa 1 metro) un pavimento “battuto” e tegole negli strati più alti.Accanto all’ex stalletto giace una grossa lastra quasi rettangolare di travertino poroso che fu rinvenuta certamente anni indietro ed ivi posta dal contadino.Presso il terreno della Chiesa della Madonna della Rosa, al di là della strada bianca, rinvenni anche tre tessere di mosaico di color bianco, due residui di ceramica a vernice rossa ed un pezzo di marmo quasi circolare con colori dal grigio al verde pallido, oltre a manici di varia grandezza di brocche. In data 1 luglio 1990 ritornai sul posto, ma non trovai differenze rispetto alle prime visite dell’aprile se non che il grano che era in fase di maturazione. Ritornai dopo una settimana, il 7 luglio 1990 e perlustrai nuovamente la terra di riporto che le pareti dello scavo.Nello scavo individuato del “pavimento battuto” si poteva ammirare il più grande numero di tegoloni e parti in laterizio a forma di spicchi, quasi componenti di basi o pilastrini che servivano a sostenere il doppio pavimento che crollò.  La misura di questi spicchi triangolari erano: i due lati minori di cm. 19,5, mentre quello maggiore di cm. 28.Altre misure di spicchi rotondi erano di cm. 12 – 12,5 terminanti con un piccolo incasso nel vertice di cm.1,2 – 1,3. Individuai anche tracce di elementi di “opus spicatum”, sempre in frantumi e mattoncini di varia dimensione che costituivano i pavimenti. Erano in argilla di color crema chiaro o rosato di forma rettangolare di cm. 10 x 5,5 e di spessore da 2 a 2,3 cm. Alcuni erano di cm. 7,3 x 5,5/5,2 e di spessore da cm.2,1 a cm. 2,3.Inoltre frammenti di vasi di buona fattura, a vernice nera (senz’altro di Epoca Imperiale) e residui di ossa sia umane che di animali.Nello scavo più vicino all’area dell’Imbersato, rinvenni alcune tessere (di varie dimensioni) di mosaico, tutte di color bianco e alcuni residui di intonaco di color rosso “pompeiano”. Ciò dimostrerebbe che qualche ambiente era pavimentato o decorato con mosaici e quale se non meglio di un locale adibito a Bagno o a Sala di “Tepidarium”?.Oltre a ciò trovai:residui di bordi di piccoli vasetti e di varia costituzione, ma tutti di buona rifinitura ed esecuzione (con serie interne di righe o di ceramica dipinta che però a contatto dell’acqua, durante la ripulitura, si dissolvevano. Un chiodo di mezza grandezza Un ulteriore pezzo di vaso con decorazione sporgente più grande, con parallele altra serie di”globetti" più piccoli, ma dello stesso disegno. Un pezzetto, in ceramica, con strano ”luccichio” all’interno e con numerosi globetti molto piccoli sulla superficie esterna. Piccoli pezzi di materiale fuso e di marmo Ancora il giorno 8 Settembre 1990, questa volta in compagnia dell’amico UBALDI CLAUDIO mi recai sul posto. Perlustrammo attentamente i mucchi di terra di riporto da dove affioravano svariati tipi di laterizi formanti i pavimenti degli ambienti esistenti nella zona, in prossimità del Bagno Sacro.Ed oltre ai soliti frammenti di vasallame di tutte le dimensioni, rinvenimmo: 

1.   Altre tessere di mosaico di cui una (dimensioni 3 x 1,7) aveva una colorazione tendente al rosa. Le dimensioni delle altre erano variabili : da 1 x 0,7 , da 1,2 x 1,4, da 2 x 1,4 tutte erano di color bianco sporco.

2.    Un chiodo in ferro (senza punta) di lunghezza comprensiva della capocchia, pari a cm. 9,5.

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3.     Un residuo di chiodo (?) ben squadrato nella parte terminale, di cm. 3,5 e che forse è di bronzo.

4.     Una piccola piastrina circolare di 0,7 di spessore di non identificato uso, anche perché non si decifra nulla sulle sue superfici, coperte da una patina verdastra. (Guardando attentamente “potrebbe” identificarsi una lettera I e quindi potrebbe essere un “denario” romano).

5.     Un residuo di intonaco di color rosso “pompeiano” a dimostrazione che l’ambiente, o gli ambienti erano certamente dipinti.

6.     Frammenti di ceramica di color rossa (con striature sul fondo di un vasetto molto piccolo) e di ceramica nera che guardandola emana dei riflessi (sabbia?). Questi ultimi sembrerebbero di epoca più arcaica.

7.     Residui di fusione sia in ferro che piombo (?) di peso variabile : 90 gr., 20 gr., 10 gr.8.    Una moneta identificata subito per un sesterzio dell’Imperatore ANTONINO PIO (nato nel

86 – morto nel 161 d.C.). Il ritrovamento di questa moneta l’abbiamo considerato assai importante. Oltre a questa si rinvenne una ulteriore mezza moneta (?) di dimensioni più piccole sia come spessore che circonferenza del sesterzio e forse era un “dupondio”, che però non recava alcuna effigie essendo completamente liscia. Di tale reperto non ho la foto poiché andò persa dopo il suo ritrovamento.

9.    Un piccolo peso in piombo di forma circolare misurante cm. 11-12 e di cm. 6/8 di spessore.10. Residui di ossa umane e terra bruciata.

IPOTESIQuesto luogo, in prossimità dell’IMBERSATO può far pensare ad una “prosecuzione” di una edificio facente parte delle TERME o di una FONTE Pubblica, forse adibita a cure “idropiniche”.Non si spiegherebbero i residui di vasi di buona fattura in ceramica (sia rossa che a vernice nera) e i manici di brocche più grandi.E poi il nome stesso: BAGNO SACRO (Imber Sacer) fa supporre che il nome derivava per le virtù delle sue acque.Anche l’esistenza di una abbondante e rigogliosa vegetazione testimonia l’umidità naturale della zona, ricca forse di “vene” non a grande profondità e che forse un tempo rappresentavano un nucleo importante e punto di ritrovo per i Mevanati.L’ipotesi di una Necropoli nei pressi non è però da scartare, anche perché quella “preistorica”, identificata era più a nord, verso Foligno, era stata ormai da molto tempo, dimenticata ed abbandonata. Se doveva esserci un TEMPIO dedicato alla dea VALETUDO, esso dove era ubicato? In linea d’area, tra il NINFEO di Via I Maggio ed il ritrovamento del “I TESORETTO”, ci sono poche centinaia di metri ed io sono dell’avviso che quei “denari argentei” rinvenuti non erano altro che quelli della cassa del Tempio. (Cfr. la “Mensa dei Magistri Valetudinis” rinvenuta e le colonne che per tradizione furono usate nella costruzione della Chiesa di S. Michele).

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Il terreno denominato dell’ex Campo della Fiera del bestiame, ora non più coltivato a vigneto come un tempo non lontano, era senz’altro compreso in epoca antica nella cerchia cittadina. (Cfr. Pietrangeli in “Mevania” – pag. 57).Fuori Porta Cannara, a detta di Fabio Alberti (Notizie pag.29), a proposito di mosaici così scriveva : “ Verso il 1779 … altro se ne scoprì a’ giorni nostri in un podere de’ Piergili, posto discosto dalla strada , una volta Flaminia, ora detta della Madonna delle Grazie e non più di sei anni sono, se ne scoprì altro pezzo di piccole pietre di marmo bianco, da me osservato sotto la Porta di S. Giovanni nel terreno spettante alla chiesa Parrocchiale di S. Silvestro, e precisamente nel primo angolo della piccola strada, che lo circonda…”Anche il Pietrangeli afferma (pag. 95 “Mevania”):“ Tutte queste scoperte sono in rapporto con i resti da me osservati fuori della stessa porta nel Campo della Fiera. Ivi infatti affiorano murature laterizie, resti di pavimenti a mosaico e di OPUS SPICATUM posti a livelli diversi”.Residui di una statua colossale rinvenuta presso l’edificio nel vecchio Campo della Fiera (scavato nel 1884), sono ora presso il Municipio. (Ma questi frammenti facevano parte di una statua maschile probabilmente simulacro di culto di un Tempio ubicato fuori Porta Foligno).Ancor oggi perlustrando il terreno in superficie si possono rinvenire senza difficoltà:

1.     Tessere di mosaico bianco e rosa2.     Frammenti ceramici o marmorei rifiniti.3.     Frammenti di vasetti a vernice nera

E’ quanto accaduto durante i miei sopralluoghi del 22 settembre del 1990 e del 8 ottobre 1994.Oltre a tessere di mosaico di varia grandezza, trovai residui di vasetti a ceramica rossa, a vernice nera, (che erano più numerosi), e a vernice marrone con piccole incisioni superficiali.Rinvenni una piccola pedina di pasta vitrea color miele con faccia superiore convessa ed inferiore piatta, di forma circolare, ma irregolare che si può far risalire al I secolo d.C. (poiché queste erano assai frequenti soprattutto in quel periodo – cfr. Necropoli del Pilone Tav. 72/73). Potrebbe anche trattarsi di un piccolo castone (?) di un anello assai piccolo. 

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Lungo la strada asfaltata che conduce alla Madonna delle Grazie (dopo il fiume Timia si prende a destra salendo verso la collina), dopo un breve pianoro, sulla parte destra a qualche metro dalla stessa, durante l’aratura (anno 1991), emerse una pietra in travertino ben squadrata, di buono spessore, rotta in parte e di cui non ne compresi l’uso e come mai poteva trovarsi in quel luogo. Feci una ricognizione nei dintorni con la speranza di rinvenire qualche elemento in più che avesse fatto più luce sul sito.I frammenti laterizi e ceramici erano rarissimi a trovarsi e qualcuno di essi era di piccolissime dimensioni e non riconducibile ad epoche o periodi storici definiti.

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PRESSO LA CASA DEL NOTAIO GIACOMO MARINUCCI TRABALZAFissati lungo la pareti dell’ingresso interno, che è allo scoperto e quindi soggetti alle intemperie, si trovano vari reperti di epoca romana, collocati, non si sa bene perché in questo luogo invece che al riparo in un museo per dare la possibilità della loro fruizione da parte di turisti o studiosi. Non credo che i reperti provengano tutti dalle località di proprietà del Notaio Marinucci. Senz’altro egli li acquisì da privati cittadini, riuscendo, in questo caso, a formare un piccolo museo privato di una certa valenza.Questi reperti sono di vario genere. Cercherò di stilarne l’elenco di ciò che ricordo e vidi molti anni orsono (1983).Pezzo di lastra mosaicata da pavimento, in cui si notano due figure geometriche : a sinistra un rombo e a destra un piccolo quadrato al cui interno è rappresentata un fiore a sei petali. Nella parte inferiore compaiono le atre due corrispondenti decorazioni di diverso disegno geometrico.Al di sotto di questa lastra vi sono due residui di decorazioni a girali a semicerchio a rilievo, con un fiore a sei petali e altri fiori di diverso disegno. Tra questi due rilievi in marmo. Si notano tre residui di grappe che reggevano un altro pezzo archeologico, ora staccato.

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Più in basso è collocato un elemento scultoreo in marmo rappresentante una mano destra.Sulla sinistra è murata una base di colonna attica in marmo.Seguitando, tra una finestra e un tetto, sono murati tre reperti: uno è forse un coperchio di urna in travertino con sulla fronte due pelte disposte orizzontalmente accostate, separate (e unite) da una sorta di pilastrino scanalato verticale.L’altro reperto è sempre un coperchio di urna in travertino di cm. 35 di altezza con la fronte decorata da due girali costituiti da due cordoni rilevati crestati, terminanti in alto e in basso con due volute. Le due volute racchiudono un campo ribassato, al centro del quale è un listello verticale a rilievo che spartisce in due zone la fronte.Sul listello di base vi è incisa una iscrizione con ductus assai curato:

P(UBLIUS) C(A)TRENUS L(UCI) SEX(TI) L(IBERUS)(Il prof. Pietrangeli in “Mevania” p. 102 nota 36 legge l’iscrizione L. OTRENIUS SEX. F.). Accanto a questi due coperchi vi è un rilievo figurato in marmo bianco.Altra stele funeraria in travertino, di forma rettangolare alta cm. 52, larga cm. 21 e profonda cm. 13, si può osservare infissa nell’atrio. Le lettere dell’iscrizione sono assai malandate. Forse erano disposte su 5 righe. Si può comunque leggere

TERTULL(IUS)Vi sono poi altri piccoli frammenti scultorei a rilievo con figure:Una figura togata (in marmo)3 rilievi fitomorfi in marmouna base di piccola statua(restano soltanto i piedi)una piccola testa muliebre con i capelli acconciati alla moda grecauna porzione di gamba in marmo2 antefisse in terracotta

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 Presso l’ex Orfanotrofio Bartolini, in Piazza del Cirone, prima della ristrutturazione, erano infisse, nei pressi della scala esterna che conduceva alla cappellina, tre lapidi . Due di queste erano state tolte e sistemate nel muro del Chiostro della chiesa del Beato Giacomo, mentre la terza era ancora murata nella parte bassa , alla sinistra della porta d’ingresso della piccola cappellina.Si trattava di una iscrizione nota al Bormann e censita nel C.I.L. al N. 5104 (pag. 742 R VI) : “ Cippus ex lapide calcario infra rudis, supra rotundus, latus m.0,49, altus totus 0,84 (pars levigata m. 0,50). Repertus ut mihi dicebatur cum tribus fere similibus (N. 5116 – 5128 – 5140) a. fere 1864”.Nella Piazza del Cirone in occasione che si faceva un sottomuro alla abitazione del prevosto Serafini ora Bartolini (strada del Cirone) sotto la facciata della casa . “ Nunc cum iisdem in iisdem aedibus in aula iuxta scalas”.Questa iscrizione recava la scritta :

C. HERENNIUSC. F. RUFUS

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Tra le opere d’arte che durante la dominazione francese furono trasferite in varie località ed anche all’estero, fanno spicco 4 sculture marmoree provenienti dagli scavi di Bevagna. Sono ora conservate a Roma presso il Museo Capitolino (Sale delle Colombe) e nel cortile del Palazzo dei Conservatori.Le importanti opere furono portate via dal luogo di origine, nel 1812 – 1813, durante quel processo di “spoliazione” che l’Italia intera doveva subire da parte dei “cugini” francesi. (Si racconta che anche la famosa e preziosa statua in lamine di argento ed oro raffigurante S. Vincenzo, stava per subire la stessa sorte e che fu salvata dalla bramosia con uno scambio di denaro contante ed oggetti d’oro raccolti da un esponente della famiglia Torti di Cantalupo).Ritornando alle quattro sculture, senza dubbio 3 di esse dovevano appartenere alla decorazione di qualche casa gentilizia privata, mentre l’altra poteva essere stata una statua di culto.Le quattro statue sono le seguenti:ERCOLE fanciulloTorso di DIONISO

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ESCULAPIOEROS

ERCOLE FanciulloLa piccola statua è in marmo lunense. È alta cm.40 ed è di restauro posteriore l’avambraccio sinistro con la clava, le gambe con tutto il plinto e il sostegno. La testa è staccata ma pertinente.ERCOLE è rappresentato con sulle spalle e sul capo la pelle leonina che è avvolta con un nodo sotto il collo formato dalle zampe del leone. Il braccio destro è portato dietro il fianco e sorregge un pomo, mentre il sinistro si appoggia alla clava, che appuntata sotto l’ascella, serve da sostegno al corpo. Sul piedistallo è scolpita una testa di bue(?).L’eroe è completamente nudo ed ha l’aspetto di giovanetto.

TORSO di DIONISOQuesto torso, forse rappresentante il dio DIONISO, (come attestano le due tenie della corona ricadenti sulle spalle), fu rinvenuto nel 1725 durante i lavori della fondazione della Chiesa di S. Filippo. E’ detto perciò anche Torso dei PP. Filippini. Questo troncone di statua è alto mt. 1,16 ed è di marmo finissimo. E’ mutilo delle braccia e delle gambe; la testa era senz’altro volta a sinistra, mentre tutta la figura gravitava sulla gamba destra.E’ considerata un’opera alquanto superficiale, ma non priva di grandiosità; forse si tratta di una statua di culto.Nell’Archivio del Museo Vaticano (V – 1815/18 p.6 (1817), n.2), si conserva una lettera di ALESSANDRO SPETIA, Procuratore della Congregazione di S. Filippo Neri di Bevagna che si rivolge al D’ESTE, Direttore dei Musei Vaticani per sollecitare presso la Segreteria di Stato un compenso per “un Monumento rispettabile” (cioè il Torso) trasferito dai Francesi nel Museo Capitolino.Attualmente quest’opera si conserva nel Palazzo dei Conservatori, nel secondo portico.

ESCULAPIOQuesta statua è la più interessante. E’ in marmo lunense, è alta mt. 0,41, di restauro il petto, il braccio destro e la parte inferiore del corpo. La testa è staccata ma pertinente. Il viso è adorno da folta e curata barba.Per quanto manchino gli attributi identificativi, è assai probabile che questa figura rappresenti ASCLEPIO (ESCULAPIO) il dio della medicina e della salute.Il dio è avvolto nell’himation, (sopravveste greca ) che lascia scoperti il petto e il braccio destro. Il corpo poggia sulla gamba sinistra, mentre la destra, scaricata dal peso, è portata indietro. La testa si volge lievemente a sinistra.Forse il braccio destro, ora di restauro, si appoggiava al bastone intorno a cui era avvolto il serpente simbolo della divinità salutare.

EROSQuesta piccola statua in marmo lunense, alta mt. 0,48 rappresenta EROS, dio dell’amore ed è, secondo Esiodo, uno dei più antichi dèi. Essendo secondo altri scrittori antichi il più giovane degli dèi, fu rappresentato spesso come in questo nostro caso, come un fanciullo alato, crudele, tormentatore degli uomini e degli stessi dèi. La statua è di restauro nel braccio sinistro con la spalla e l’attributo, le gambe e il relativo sostegno; le ali, mentre il braccio destro è mancante. Testa mancante, ma pertinente.EROS è appoggiato con la destra alla faretra ed in atto di reggere l’arco con la sinistra.La testa è volta a sinistra ed è incorniciata da boccoli ed il volto ha tratti realistici (Stuart Jones).SAREBBE AUSPICABILE CHE QUANDO SARA’ REALIZZATO IL PALAZZO DELLA   CULTURA (PRESSO L’EX   SEDE COMUNALE) QUESTI REPERTI POSSANO DI NUOVO RITORNARE SUL LUOGO D’ORIGINE CHE OLTRE A RAPPRESENTARE UN SIGNIFICATIVO SIMBOLISMO RELIGIOSO DELL’EPOCA ROMANA, SAREBBERO UNA ULTERIORE DIMOSTRAZIONE E SEGNO DELLA GRANDEZZA DELLA BEVAGNA ANTICA.

***In prossimità della strada che conduce a Foligno e precisamente dietro la chiesa della Madonna della Rosa, esiste una cavità imbutiforme che misura nell’asse maggiore 80 metri, nell’asse minore 53, nell’”arena” 44 per 24 metri con una profondità di 5 metri. Molti autori hanno parlato in tempi andati e recentemente di questo luogo fantasticando sul significato del suo nome e a quale uso era adibito.Tra i più convinti assertore che esso fosse l’ANFITEATRO di MEVANIA , vi era il prof. Carlo Pietrangeli, esimio storico e studioso di cose romane.In precedenza, a partire dal 1500, altri storici e studiosi locali ipotizzavano invece che il luogo fosse adibito all’uso di un grande bagno pubblico.

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Tra questi ANTONIO BECI, dottore “in utroque” che fu notaio a Bevagna dal 1552 al 1588, e che fu testimone degli scavi intrapresi nel 1550 per far, fin da allora, un’opera di pulizia e di spurgo alle acque che stagnavano e che procuravano cattivi odori.Nella sua testimonianza scrisse che si individuò “un BAGNO di forma ovale, recintato con pietre di travertino e lo strano era che l’acqua che scaturiva in vari punti della vasca non era fredda e che bevuta stimolava copiosamente il sudore e le orine e che vi erano diverse colorazioni della terra : gialliccia con granellini color oro, verde scuro e cenerognolo con punticelle color dell’argento e color del ferro.La disposizione del BAGNO sembra dovesse essere in questo modo : blocchi di travertino simmetricamente squadrati, sostenevano i lastroni superiori connessi tra loro mediante grappe di ferro incastrate con piombo colato. Questi lastroni erano di un palmo di spessore, diciotto palmi di larghezza ed altrettanti di altezza. L’ingresso del BAGNO doveva essere verso occidente: In alcuni lastroni si potevano leggere lettere latine più grandi di un palmo romano ( 7,5 cm.).In definitiva, a detta del BECI, vi era un acquedotto che girava intorno alla cavità e che era formato, come diceva anche l’Alberti, che lo vide nel 1751, “a volta di pietre unite da fortissimo calcestruzzo ed il piano era lastricato in pietra”.L’altezza era pari ad un uomo eretto che poteva camminare nei cunicoli. Vi erano sfiatatoi attorno ai quali fu eretto un muro.L’Alberti ipotizzava che l’acqua che usciva dal Bagno ed andava nel basso della città, verso Petrillo, servisse ad altri usi che restavano a lui ignoti.Il Prof. Pietrangeli parte dal principio che Mevania doveva avere per forza un Anfiteatro poiché alcune iscrizioni fanno riferimento a questo monumento e lo identifica in quel luogo poiché il nome IMBERSATO lo riconnette con la voce “bersae”, “ bersare”, cioè luogo dove avvenivano combattimenti con le fiere che avevano luogo appunto nell’anfiteatro.Dell’antico monumento, con l’andar del tempo non rimasero che i ruderi ma è antica tradizione che le antiche colonne romane riadoperate nella costruzione della chiesa romanica di S. Michele provengano dall’IMBERSATO. Si tratta di due colonne scanalate di marmo bianco di cui una nella chiesa e l’altra nella cripta.Attualmente delle opere murarie e del cunicolo di scolo delle acque nulla rimane in vista.Il Boccolini, in un saggio di scavo, vi rinvenne due grandi lastre di travertino (metri 2 x 1 x 0,20), di cui una “riposava sopra una specie di nicchia”, mentre la seconda “trovavasi più bassa dell’altra e addossata alla terra”.Il saggio “fu fatto alla distanza di metri 10 dall’ampia vasca a notevole profondità, in continuazione di un muro che girava intorno alla cavità e che venne distrutto”.Altre ricerche furono fatte nel 1932 con scarsi risultati.Il compianto sig. ANGELO CRESCIMBENI, dell’Ufficio Tecnico Municipale trovò in alcuni scavi fatti verso il 1932 intorno all’Imbersato, alcune pietre non murate. Alcune furono utilizzate per i lavatoi pubblici dell’Accolta e lungo le rive del fiume Timia a salvaguardia delle inondazioni.Fu trovata anche una “chiavica” che andava verso Bevagna. Attualmente affiora in quel punto una lastra di pietra con un foro.

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Nel Febbraio del 1897 vide la luce un giornalino, che usciva ogni decade, (5 – 15 e 25 di ogni mese), intitolato “L’IMBERSATO” – Gazzetta di Bevagna – che costava 5 centesimi la copia (Abbonamento annuo Lire due). Vi erano interventi tutti firmati con pseudonimi quali Pamphilus, Lampo, Clitunnus, Grecofilo, Esse Pi.Si stampava presso la Tipografia Properziana ubicata nel Corso ai nn. 19,20,21 ed il gerente responsabile inizialmente era Sideri Amedeo, al quale subentrò quale Direttore responsabile CIRO TRABALZA.Presso la Biblioteca di Foligno si conservano i numeri fino al 15 Maggio 1897.Nel 1° Numero del 1 Febbraio 1897 si parla naturalmente in “Bricciche di Archeologia nostra”, nella pagina di apertura, di questo luogo caratteristico di Bevagna antica:“ Lettori e lettrici gentili, non fate le meraviglie e non arricciate il naso, se questo nuovo giornale s’è battezzato col nome che nei bassi tempi assunse un grandioso monumento, eretto dalla civiltà bevanate per la salute pubblica, sotto il patrocinio della Dea IGEA e dall’Umbro Callimaco, con sospiri e lacrime additato all’amico come luogo della sua patria.Qua nebulosa cavo rorat Mevania campoEt SACER aestivis intepet IMBER aquis(Son nato ) là dove la nebbiosa Mevania s’irrugiadisce nella concavità del piano e il BAGNO SACRO s’intiepidisce per l’acque estive.Codesto Bagno era un’ampia fossa ovale, riempita di copiose sorgenti di acque termali salutifere, e situata dentro le mura dell’antica Bevagna.

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Sull’argine della vasca correva maestosamente in giro un magnifico intercolunnio a galleria, adorna di statue, d’iscrizioni marmoree e d’altri ornamenti propri dell’imponente edificio, nella quale si ritiravano i bagnanti, ristorati dall’OVARIUS, per sottrarsi ai cocenti raggi del sole.Dell’imponente architettura oggi non resta che la vasca, fuori delle mura della Bevagna medievale, alla distanza di cento metri dalla Porta Flaminia, nella direzione di sud – est.L’opera vandalica non ci volle risparmiare questo BAGNO grandioso; e come tutti i monumenti sacrati a qualche Deità, venne messo a ferro e fuoco dai nuovi convertiti alla fede cristiana.E noi abbiamo voluto render giustizia all’opera civile de’ nostri antenati, coll’intitolare dal nome dell’antico IMBER SACER il nostro giornale, perché i posteri ne custodiscano vivo il ricordo, e come dice l’arguto e dotto amico LAMPO, il popolo ne tragga ammaestramento per non trascurar le leggi della Dea IGEA.

Pamphilus***

Con una lettera datata 24 Febbraio 1970 il Ministero della Pubblica Istruzione – Soprintendenza ai Monumenti ed alle Gallerie dell’Umbria – Protocollo N° 1029 del 23/2/70 – in seguito ad una domanda per eseguire degli scavi presso l’Imbersato inoltrata dal Rag. MORLUPI GIUSEPPE, rispondeva:“ In riferimento alla nota sopracitata si rende noto che la lettera di V.S. datata 15/12/1969 non risulta essere qui pervenuta.Tuttavia poiché V.S. stessa accenna a scavi da farsi nella località Imber – Sacer di Bevagna, sembra che la competenza in tale materia appartenga alla Soprintendenza Archeologica per l’Umbria”.Con ossequio                                                       IL SOPRINTENDENTE                                                                                         (Dr. Arch. Renzo Pardi)

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 Il 22 Luglio 1990, per iniziativa della Sezione Pietro Santi di Bevagna ed in concomitanza della Festa dell’AVANTI!, si svolse la I^ Giornata Ecologica che contemplava la ripulitura dalle erbacce, rovi e scarichi di ogni genere, dell’Imbersato. Furono ripuliti i pendii della grande vasca e rimessa in luce la famosa pietra in travertino con il foro di forma quadrata posto verso l’alto della stessa. Fu rinvenuta, a poca distanza, anche una piccola pietra con rilievi. Nella Festa successiva che era quella dell’UNITA’ (28 Luglio – 5 Agosto 1990) il programma politico prevedeva proprio il giorno dell’apertura della manifestazione, l’inizio raccolta firme di protesta contro la Soprintendenza alle belle Arti per il suo colpevole disinteresse nei confronti di Bevagna.Altra protesta era contenuta nel manifesto affisso:“ Raccolta di firme di protesta e di proposta contro la politica governativa di abbandono dei beni culturali e per incalzare la Soprintendenza di Perugia affinchè si risolva la questione degli scavi archeologici di Porta Foligno, sia tenuto aperto il Mosaico Romano e si operi per valorizzare il complesso dei Beni Archeologici di Bevagna”. Le firme suddette vennero inviate al Ministro dei Beni Culturali di allora che era l’On. F. Facchiano e per conoscenza al Soprintendente di Perugia e al Presidente della Giunta Regionale.Il 29 Luglio 1990 si svolse la II^ Giornata Ecologica con un ulteriore momento operativo e cioè la conclusione della ripulitura dell’Imbersato, che almeno in quei giorni riassunse un aspetto più dignitoso.

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Nel giardino di casa Bartolini si possono vedere:1.     Un basamento di colonna con un troncone di colonna staccata (con bordo ed incavi ad arco) e forse pertinente

alla stessa.2.     Un lastrone di pietra assai grande di forma rettangolare e di notevole spessore in travertino di color scuro e di

costituzione porosa. Poggia su due colonne dia mattoni moderni che si innalzano su sei strati.***

Nel luglio 1985 un gruppo di volontari della Sezione dell’Archeoclub d’Italia, in accordo con la Soprintendenza Archeologica di Perugia iniziò una operazione di ripulitura dell’Imbersato, invaso da metri di rifiuti accumulatosi nel corso degli anni facendolo trasformare in una vera e propria pattumiera a cielo aperto. Furono tolte le erbacce ed i rovi e tutti i rifiuti.

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Fu riportato alla luce un tratto di muro a pietra disposta in filari e alla cui sommità fu ritrovata una pietra di mt. 1 di altezza, 60 cm. di larghezza e di 28 cm. di spessore, con due fori di diametro quasi uguale (cm. 14 e 13). In seguito la Soprintendenza bloccò i lavori di ripulitura adducendo la motivazione che si trattava invece di lavori di scavo veri e propri.

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Sulla parete dell’ex Orfanotrofio Bartolini, in Via del Cirone, proprio di fronte alla Società Operaia, era murata, fino all’inizio della ristrutturazione dell’immobile stesso, una pietra bianca in travertino di forma quasi quadrata, contenente una scritta su due righe (?) in cui si leggono in alto le parole :

SEX FLa pietra fu murata con le lettere a rovescio. Questa iscrizione non è riportata nel C.I.L.Attualmente, dopo il ripristino dell’edificio, la pietra non sta più al suo posto.

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In Via De Gasperi, al n° civico 27, nel muretto di cinta formato da una disparità di materiali ( mattoni, pietre in arenaria e in travertino) è stata murato anche un residuo di stele funeraria che contiene alcune lettere.E’ senz’altro di provenienza locale anche se vi è una menzione della comunità di Spello territorio allora confinante con il Municipio Mevanate.Le lettere visibili sono in numero di 11. Sono a sezione triangolare ed incise con un tratto largo e profondo, molto curato, anche se non molto regolari.Rappresentano forse le ultime due righe di questa iscrizione, alte rispettivamente cm. 6 e cm. 5. L’altezza visibile è di 28 cm., la lunghezza di 28.6 cm. mentre la profondità non è misurabile. Fu rilavorata lungo il margine sinistro rendendola curva.Le lettere ricordano lo stato servile di un personaggio di Spello (?):

(H)ISPELL(ATIUM)SERVO

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                    COLONNE IN ARENARIA ALL’INTERNO DELLE MURA CITTADINE

In via del Telefono presso l’abitazione di Trabalza Raniero si possono ammirare tre residui di tronconi di colonne lisce in pietra arenaria. Il proprietario non sa dire la loro provenienza.Nei pressi del negozio o fabbrica di…. a Cannara fino a qualche tempo fa vi erano dei tronconi di colonne dello stesso tipo forse provenienti da Collemancio – Urbinum Hortense.

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    Un residuo di colonna liscia in arenaria, di notevole circonferenza, si conserva all’interno del cortile della casa di riposo di S. Agostino.

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         COLONNE IN ARENARIA ALL’ESTERNO DELLE MURA CITTADINE

Presso la casa colonica di proprietà di Elda Silvestri, (loc. Spinacciolo, sotto la Circonvallazione), in prossimità della rimessa degli attrezzi agricoli, si conserva un tronco di colonna che per dimensioni i tipologia ricorda quella ubicata presso la Porta Guelfa.

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Altro elemento di colonna liscia si trovava presso l’abitazione di Natalini alla fine della Via I° Maggio, sotto il Parco Properzio.

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Presso il vecchio Mulino in prossimità del Torrente Attone, nel 1988 fu eretto un nuovo ponte in cemento armato.

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Nelle immediate vicinanze, perlustrando gli argini vi era anche una pietra di significative dimensioni in arenaria con base e terminante a cuneo che non ho saputo collegare con alcun manufatto presente nei paraggi.Il vecchio Mulino dell’Attone è una interessante costruzione abbandonata a se stessa e di vasta superficie che poteva essere senz’altro risistemata ed utilizzata, ma la somma da impiegare per il suo recupero non è certamente indifferente…

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 COLONNE   IN   TRAVERTINO ALL’INTERNO DELLA CINTA MURARIA

Un rocchio di grandi dimensioni di travertino pregiato, intero, ben conservato e con scanalature, alto cm. 82, largo 62 cm. di diametro e con un bellissimo incasso di presa rettangolare, giace abbandonato nel cortile sottostante l’ingresso agli uffici e alla abitazione del Priore Don Giovanni Marchetti.

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COLONNE IN TRAVERTINO ALL’ESTERNO DELLA CINTA MURARIANel cortile della casa colonica in località “Montarone”, proprio di fronte al Palazzo degli eredi Mattoli – Palma, si conserva, lasciata alle intemperie, un bel rocchio di colonna con un foro quadrato d’incasso, nel mezzo.Inoltre, proprio nelle vicinanze dell’ingresso principale del palazzo eredi Mattoli Palma, si conserva una inedita urna cineraria con doppia patera incassata, appartenente alla famiglia SCETANA.E’ esposta alle intemperie e non è raro che venga usata dai contadini per togliersi il fango dalle calzature. All’interno essa è scavata per circa 10 cm.. E’ lunga 57 cm., larga circa cm.22 ed alta, per la parte emergente, cm.25. Le patere sono rappresentate in una cornice di 36 cm.  Vi si può leggere la seguente iscrizione :C(AIUS). SCETANUS. T(ITI). F(ILIUS).CENT(ONUM). MERC(ATOR).(Di questa Famiglia esiste anche un’altra iscrizione in cui compare il liberto T. SCETANUS DILIGE(N)S, che fu un Magister Valetudinis (C.I.L. – 7926).Questo gentilizio non compare altrove in Umbria.

***

Nella Cappelletta di ruta della chiesa di S. BIAGIO a Cantalupo, vi era una iscrizione funeraria di un Seviro, ora scomparsa, (C.I.L. – XI – 7930 ), dove l’iscrizione diceva: 

CN TREBATIUS CN LSEVIR***

Nello stesso abitato di Cantalupo era murata un’urna funeraria – ora scomparsa – del solito tipo mevanate con una rosa fiancheggiata da due pelte.

***

 Sempre in località Montarone si legge nel f. 91 – LXXXIII che nel 1786 fu rinvenuta una iscrizione:“Ibidem (in Villa Montaroni retro domum P.P. Minorum Conventualium) : detecta anno 1786 in gradibus domus:

T. F.EX CCIII AN

Ed ancora un capitello corinzio in marmo ed una palla probabilmente di catapulta (ora all’interno del palazzo Mattoli Palma).

***

Una pietra (o marmo), tendente al rossiccio, assai interessante è conservata presso la casa di TRABALZA EUGENIO in Via S. Margherita assieme ad uno stemma di cui parleremo nel capitolo dei reperti medievali.Si tratta di un frammento di transenna col motivo del cancellum, usato sia nell’antichità classica, sia nel periodo paleocristiano.

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Questa sembra però essere di epoca classica.(La transenna era una recinzione o chiusura di particolari zone riservate della chiesa: presbiterio, schola cantorum o altro, poi estesa fino a comprendere i graticci delle finestre. Era costituita in genere da una lastra di marmo, pietra o legno, traforata, scolpita o intagliata.In uso fin dall’epoca romana è stata in seguito adottata come barriera nelle basiliche paleocristiane, analogamente al plueo, che però si presenta pieno e compatto. (Da: Il Dizionario EIKON – Laterza 1999).Nel nostro caso il frammento presenta una scultura centrale a 8 diramazioni a mò di raggi solari con al centro una specie di tondo (o borchia), che si ripropone verticalmente sulla base. 

***

   

VOCABOLARIO BEVANATE – ITALIANO 

 A  

(‘n) moccone = un pò (‘n) se la finja più = (non) smetteva (‘n)surdà = insultare

(‘na) puzza tamanta de’ fume = una grande puzza di fumo (a non) venije ‘gnente = a non accadergli nulla

(ce la) semo portata a casa = l’abbiamo portata a casa(ce) stìo anch’io = ci stavo anch’io

(che) te pìa / che te pìasse = che ti prenda(cià la) ridarèlla = risolino inarrestabile(dà ) retta dall’addri = dare retta agli altri (da) vù = a voi

(de) sistemallo = (di) sistemarlo(de) trovatte = (di) trovarti

(è ) scappato = (è) uscito di casa(è) ‘na fia = è una fiflia (di tenera età)(è) mejo non pensacce = (è) meglio non pensarci

(er) mobilio = i mobili(er) piantòne = (l’)olivo

(er) roccio) = tipo di dolce(er) saccòne = tipo di materasso

(er) tetène = il tetano(er) troò tutto arpulito =lo trovò tutto ripulito

(ghij a) vellegnà = andare a vendemmiare(je) sirvia = (gli) serviva

(l)’uncichi = unghie molto lunghe/ artigli(l’)ommini = gli uomini

(la) machinetta = macchina fotografica(la) pàcca der pòrco = (la) metà del maiale

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(la) pajia = (la) paglia(la) parnocchia = il naso

(la) proenna = tipo di misura antica(la) purge = (la) pulce

(la) quajia = (la) quaglia(la) riliquia = reliquia

(la) rippia = (la) greppia(la) saccoccia = tasca della giacca /dei pantaloni

(la) sbrama = (la sbrana)(la) scerta = (la) scelta (la) schìna = (la) schiena(la) scòla = (la) scuola

(la) scucchia = mento(le) mane = (le) mani

(le) moniche = (le) monache(le) porbètte = le polpette(le) puije = (le) galline

(le) recchie = (le) orecchie(le) recchine = gli orecchini(li) persichi = (le) pesche

(li) pòli ghì a fa = li puoi andare a fare(li) ricci = trucioli

(lo) sterpatoio = attrezzo agricolo(lu) sciacquatoio = lavandino

(lu) spitone = spiedo per arrosto(me l’)onno fatte suspirà = me le hanno fatte sospirare

(me si) piaciuto = mi sei piaciuto(me) stracco = (mi) stanco

(n’er) putia vedè più = non lo poteva più vedere(nò) strignete = non stringete

(non ce ) vuljono fa entrà = non ci volevano fare entrare(non) sapìo = (non) sapevo(non) se pole parlà = non si può parlare

(se mette a) piagne = (si mette a) piangere(si fatto cor) male e pegghjio = avere un carattere ribelle(te) monta succima = sale in alto (su una scala)

(un) parmo de’ naso = (un) palmo di naso‘a ‘mbè… = esclamazione positiva

‘ccìono = avevano‘ccorti = accorti

‘gnotte = ingoiare‘gnutti = ingoia

‘llargà = allargare‘llargàlla = allargarla

‘llegà li dènti = fare impressione‘mmellettàa = mettersi il rossetto

‘mmriaca = ubriaca‘mpiccia e ‘mbroja = darsi da fare

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‘mzuppamolo = inzuppiamolo (pane nel latte)‘n po’ = un po’

‘n se la pole arponne = non si può rassegnare‘na faccia che ce pòti batte er lardo = faccia tosta, indisponente

‘na sfumata = mezza paralisi‘nandra vorda = un’altra volta‘ncartiristi = incarteresti‘ndò = negli

‘ndo = nel‘ner vidi che stà a ghj’ su = non vedi che sta andando verso

‘nsacco = tanto/tanta‘ntar = nel

‘ntigni = intingi‘nun cer vòle la moje = non ce lo vuole la moglie

‘rcapà = scegliere‘rcapezzato = racimolato, capito

‘rcoje = raccogliere‘rconzolalla = consolarla‘rcujìa = raccoglieva‘rcunusci = riconosci

‘rcunusciutu = riconosciuto‘regghje = reggere

‘rghjoca = giocare di nuovo‘rghjràono = rigiravano

‘rleccàono = ripulivano, truccavano‘rmane = rimane‘rmani = rimani

‘rmanìa = rimaneva‘rmette = rimettere qualcosa

‘rmezzati = dimezzati‘rpiegà = ripiegare‘rpresi = ripresi

‘rrià = arrivare‘rrìo = arrivo

‘rsumijatu = rassomigliato‘rtenella = tenerla

‘rtenete = tieniti stretto‘rtroà = ritrovare‘rzà = alzarsi

‘spettate = aspettateabbìse = matita, lapis

abbituccio = abitoabbonòra = molto presto

abbricòcolo = albicoccaaccarezzaje = accarezzargli / accarezzarle

accattànno = chiedere l’elemosinaaccàttuni = chi chiede l’elemosina

acciuffi = spiegazzare i panni

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Accorda = Accolta (acque del Clitunno)accòsto = vicino, nelle vicinanze

accunnita = conditaacitillo = acetello

acquarella = acquolina in boccaacquaruja = brodaglia

acquetta = vinello di pochi gradiagghià = di già, aggià

agghjà = giàallamata(s’è) = è franata

allampanatu = aspetto di chi soffre la fameallappa = allegare i denti

ammiti = ambitiammò = adesso

ammomenti je pia ‘n corbo = per poco non gli prende un accidentiampunita (faccia da) = faccia tosta

ancò = ancora / ancheandra vorda (un’) = un’altra volta, ancora una volta

aniso = aniceannàje bene (a) = se gli (le) va bene

annànno = andandoansalata = insalata

appaligghjnasse = appisolarsiappiccià = accendere

appò doppo = dopo di cheappogghjà = appoggiareappogghjài = appoggiavi

appogghjapiedi = pedanaappogghjete ghjù = appoggiati giù, sdraiati

appogghjo = appoggioappommessa = pomessa, dove sta il sole

appuschjo (ciò ‘na sete ch’) = assetato fortementear và ghijù = ritorna giù

arbanaccio (bocca d’) = espressione antipaticaarbergà = albergare,ospitarearcapezzà = raccogliere, selezionare

arcole = alcoolardà su = riprendersi

ardètece = ridateciardìa = ardeva - ridava

ardo = altoardunati (se so ) = (si sono) radunati

arfònno (se ‘n’) = si gongolanoarfònno = (si) rifanno

arghiemo = ritorniamo ancora una voltaarghjri la frittata = cercare di camuffare la verità

arlàono = rilavanoarlascià = lasciare libero

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arleccato = vestito benearmanèe pe’ Sant’Antonio = rimanere zitella/non sposarsi

armeno emo magnato = almeno abbiamo mangiatoarmeno = almeno

armesso a sedè (s’è) = si è rimesso sedutoarmetto(m’) = (mi) rimetto di nuovo quel vestito

armittiono = rimettevanoarparasse = ripararsi dalla pioggia o dal sole

arpenzà = ripensarearpètono = ripetono sempre la stessa cosa

arportato = riportatoarrabbielo che voce rincalata = accidenti che voce rauca

arria (t’) = arriva/ sopraggiunge(lu) arria sempre a st’ora = lui arriva sempre a questo orario

arriempe(s’) = (si) riempiearrìzzono = alzano

arsentilli = risentirliarsona = risuonaarsumìja = rassomigliaarsumiu = assomiglio

artorna/ artornaono = ritorna / ritornavanoartrilla (s’) = si distrae, gira a vuoto

arvà = va di nuovoarvonno = ritornano

arvurdigà = capovolgerearzà = alzare

assagghjào = assaggiavoassagghjare = assaggiare

assea = adesso / oraattastàa = tastava

attente(stà) = stai attentoattraversaa la strae = attraversava la strada

attùra = otturaavrìa = avrei, avrebbe, dovrei, dovrebbe

avronno = dovranno, avrannoavvèzzato = abituato

avvezzi bene(l’) ! = non dare una buona educazioneazzècco = entro, ci prendo

azzìco = fare da specchietto, uccello da richiamo

 

 B 

bàbbìse = a casacciobaca(le) = baccelli dei fagioli o dei piselli

baccajone = becerobacile (er) = bacinella

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bàco = chicco d’uva o di olivabadaija =bava

badalòcco = stupido, mammaluccobammace = bambagia, ovatta, cotone

bammoccio = burattinobarbacacane = barbagianni

barbacane = uomo malensobardascio = ragazzo giovane

barre = barbàrzo = tipo di pesce (barbio) / legatura dei covoni

battìce (le) = specie di suoneria che sostituivano battuto(er) = tipo di condimento con lardo

Beagne = Bevagnabeanati evanati

beccafico = tipo di uccello beccamòrto = becchino, disgraziato, delinquente

bèe ..no = bevi!bèe come un corbo = beve moltissimo

beerone = impasto liquido per i maialibicchieretta (la) = un bicchiere di vino

biciancola =altalenabiciòccolo = pizza piccola con formaggio

biforco = contadinobijardo = biliardobìllico = villano

billo = tacchinobionzo = bigoncia per il mosto

biscìca = bolla sulla pelle per scottaturabiselli = piselli

bistimmie = bestemmiebòcchi (li) = soldi

boccione (er) = bottiglioneboe - er (li bòi) = i bovi - il buebojio = uovo rovinato

bòno/bona/bòne = buono/buona/buonebottatojio = attrezzo per procurare l’uscita dei pesci

bòtto = rospobracci = le bracciabregno = broncio

brìscole = botte, prendere pugni broa = brodaglia

brocca = orciobrùcchitti (li) = piccoli contenitori per l’acqua

bruciòlo = foruncolobrugià ‘ngnicòsa(fa) = fai bruciare l’arrosto, da mangiare

brùgnoli (li) = le prugnabuffettaro = non affidabile nei pagamenti

bullìa = bolliva

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c’ja = avevacacàssela = far la spia - riferire un segreto

cacatojo = caccaelle (le) = tipo di bacche

càcchio = trancio dell’uvacaccià = cavare

caciara = confusionecacio = formaggio

caicchi (li) = i dolori cajinelle = carrubecalàne = calarecàlla = calda

callàja = caldaia di rame di grandi dimensionicalli = duronicàllo = caldo

càmmia = cambiacammiamenti = cambiamenticammiànno = cambiando

cammìno(er) = camino, focolarecanestra = cesta

canestra = cesta grandecannélla = candela

cantafaole = favole / fandoniecapà = scegliere o sgusciare

capace = può darsi, probabilmente, può esserecapistio = specie di piccola tavola su cui si

capo (er) = la testacapofòco = alare del camino

cappéllo(ha piàto un ) = impermalirsi, arrabbiarsicarco = carico (nella briscola)

cargagno = tallonecarginacci = intonaco frantumato

carigghiare = trasportarecarigghjià = trasportare

càrpe = carpirecarzitti = calzini

(argira li) carzitti = rigira o piega i calzinicarzuni a cacarella = pantaloni a bracaloni

carzuni = pantalonicasa dècco (sta per) = vicina di casa

casomàe = nel caso checassecchio = tipo di rete a forma di cuneo per la

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catana = carniere del cacciatorecataverna = grande freddo invernale

cattijo / cattija = cattivocazzimperio = pinzimonio

ce doeamo = ci dovevamoce fò colà = ci faccio colarece ne scampi e libberi = modo di dire

cecàa = guardare assiduamentececanno = guardando

cechi = ciechicèllo = uccello

cemo = ci abbiamoceriamo stufati = ci eravamo stancati

cerqua = querciache cii paura de’nchiappamme? = avevi paura di non prendermi?

chiamasse = chiamarsichiesa de’ sammicchele (la) = (la) chiesa di S. Michelechissà do’ ghjronno? = chissà dove andranno?

chjàppa = prendechjàppelo = prendilo

chjàppelu = prendilochjàpperemo = prenderemo

cìa (se) = se avevacià riso tutta Beagne = ha riso tutto il paese

cìa = avevacià = ha

ciaffoga da tutti = inonda tutticiài = hai

ciampelle = ciabattecianche = gambe

ciarmàne quèlle (‘n) = non rimane nullaciarmàne = ci rimane

ciarmettòno (me) = mi ci rimettonociarriasse = ci arrivasseciarvanzeria = avanzerebbe

cicca = mozzicone di sigarettaciciu (jirìa a) = andrebbe a meraviglia

cignà (‘n) = mettere per la prima volta, rinnovarecìi = avevi

ciòcchi = zoccoliciòla/ cicètta = moscacieca

ciònno = hanno ciòppo = zoppo

(vò) ciòppicanno = vado zoppicandocituruni = cetrioliciucca = zucca

ciucetta = capolinociùco = di piccole dimensioni

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ciuetta = civettaciurli (li) = capelli

ciurvello(je s’è innacquarito er) = si è rimbicillitocò = concòa = coda

coaccia = cova, nidocoionà = portare in giro

coje = coglierecojoni (me) = esclamazione di meraviglia

colle mane = con le manicomincia a cacchì lungo le strae = inizia a germogliare lungo le strade

commidino = comodino della camera da lettocòmmido = stare a proprio agio

concrusione = conclusioneconocchja = con le ossa rotte

coppia de’ cargi (‘na) = una coppia di calcicorba mia (non è ) = non è colpa mia

corba = colpacorbe (la) = (la) volpe

còrbo (che te pia un) = colpo (imprecazione) “ti prendesse cordu = raccoltocore = cuore

coroia = panno avvolto che si mette sulla testacorrese dietro = rincorrersi

corza = corsacostruìa = costruiva

cottoije = si cuociono facilmente (fave o creo (non ce) = non ci credo

crescia = pizzacrisciùta (è) = (è) cresciuta di altezza

crocchja = scricchiolacrocchjàa = menava

cuccàtte = prenderti, procurarticuminciato (ha ‘n) = (ha) iniziato

cunillo = conigliocunnire = condirecurrete = correte

curtella der pane (la) = coltello apposito per taglio del panecuscì = così

cutura = rotolacuturuni (li) = (le) capriole, rotolarsi

  

Dd’en = di un

daje = sbrigatidapertutto = dappertutto

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de fora = di fuoride lù = di lui

de = didebbìti = debitidècco = quì

deono venì = debbono veniredìa = dava

diaolo = diavolodicìa = diceva

discurso / discursi = discorso / discorsidoentàono = diventavano

doesse = dovessedole (me ce dole la trippa) = mi ci duole la pancia (dal ridere)

dòle (me) = mi fa maledomane = domani

domatina prèsto = domani mattina a buon oradoppodomàne = dopo domani

dor lètto = nel lettodorge (la robba) = i dolci

doventi = diventidrento = dentro

du’mesi = due mesiduelle = da nessuna parte

dulùri = doloriduvìano = dovevano

duvìono (ce duvìono) = ci dovevano mettereduvrio chiude = dovrei chiudere

 

e che te credii = che ti credevièllòla = eccola lì

emo piato su un po’ de’ robba = abbiamo preso un po’ di robaemo = abbiamo

encanti (‘n mencanti) = non mi trai in ingannoenformo (‘m) = (mi) informo

entigni = intingientrirìo = entrerei

er = ilerono ghjte = erano andateerpeca (se n’) = si inerpica

esse = essere, dovesseete da sapè = avete da sapere

ete letto? = avete letto?   

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faccenne (le) = le faccende domestichefaccia (cià ‘na faccia che

facèmuli = facciamolifacèmuli = facciamoli

facete (ve facete mette) = (vi) fate metterefaceteme = fatemifacìa = facevafaciòli = fagioli

facjono = facevanofadìga..(non) è ‘nzioso = non lavora, è un ozioso

fae = favefagijulitti = fagioletti

fagottaono (’n) = si coprivano per il freddofaije = fare/fargli/farle

falla = farlafàmme (senza fàmme dì quèlle) = (senza) farmi parlare

fane = farefantiòle = poliomelitefarge fenaija = falcia fieno

fasse mannà quarchiccosa = farsi mandare qualcosafaticàa = lavorava

fatto (sij fatto co’rroncio) = di rozze manierefèrma (se ferma lammezzo) = si ferma in mezzo alla strada

fermatte = fermartifèrmete dècco ! = fermati qui !fetà = fare l’uovo

fiasca (la) = erniafiascone = portatore d’erniafiato (te puzza er) = hai l’alito cattivo

ficcata = messafice = fece

figurete = figuratifijastra = nuorafinarmènte = fino alle ore...

finìa = finivafio / fia = figlio, figlia

fiocca = chiocciafiuri (li) = i fiorifòco = fuoco

fojo (er) = (il) fogliofonno = fannofòra = fuori

fracio / fraciume = fradicio, sapere di fracidofrascarèlli (li) = tipo di pasta formata da farina

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freca = fregafregaa gnente (‘ngne ) = non gli interessava nulla

fregnacce ( cià le) = è di malumorefrigghje = friggere

froce (le froce der naso) = naricifugghi (li) = allontanarsi velocemente

Fuligno = Folignofurminanti = fiammiferi

furro = furonofusse = fosse

  

gàmmero = gamberoganasse (le) = guance

gargàmèllo = trachea, golagasse (sur) = sulla cucina a gas

(tu cià li giri pe’ la capoccia) = tu hai i grilli per la testagiricocoli = giri a vuoto, inconcludenze

ghiallo = gialloghiè fece = gli disse

ghièri = ierighiettero a durmì = andarono a letto

ghijemo ghijù per dèllo = andiamo in quel postoghiornata = giornataghitu = andatoghiù ppè = giù per

ghj = andareghja = andava

(prima) ghjo (dappertutto) = prima andavo in tutti i luoghighjèmo = andiamo

ghjiorno dòppo = giorno dopoghjirà = andràghjìto = andato

(è ghita dar ragazzo) = è andata a trovare il suo fidanzatoghjtu = andato

gingilli = piccoli oggetti gnente = niente / nulla

gnisciuno = nessunogorfe = maglione

graspo = grappolo d’uvagregne = fascine di grano, covoni

guercio = cieco da un occhio  

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hìa = avevahìi = avevi

hìono = avevanohonno = hanno

Jjé fa (che) = non fa nulla (modo di scusarsi)

je pare d’avello chiappato = gli sembra di averlo presojè piono le mancanze = malori improvvisi

je sa = gli saje se manna a casa = gli si manda a casa

jèmo = andiamojente (la) = (la) gente

jersera = ieri serajètte = andò

jì a riscote = andare a riscuoterejì = andare

jiaccia = gelata, marmitajirà = girare

jirìa = andrebbejìti = andati

jngignà =rinnovarejngignere = ingegnere

jntrujio = jo chiappato (no l’jo chiappato) = (non lo) avevo preso

jo = andavojocà (stà a) = sta a giocare (a carte)

jochina = fognajono fatto = avevano fatto

jstate = estatejummella = giumella

junta (facce la) =aggiungere altro denaro                                                                                  = dare altre percosse

junta = (la) Giunta Comunalejusto = giusto

l’addra vòrda = l’altra voltal’iono saputo = l’avevano saputo

la scarza) = materiale vegetale per rivestire lasagnòlo = mattarello

lassala stane = lasciala starelaurà = lavorare

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leà = levare, toglierelena (le) = la legnalengua = lingua

lèvito = lievitoli = i

ligà = legarelinzola = le lenzuolallia (er sa) = lei (lo sa)

lòto = fangolù = lui

luffo = osso dell’ancalujia = pula della paglia

 

m’aricordo (non m’aricordo) = non ricordo l’avvenimento mae = mai

maèse = maggesemagnà = mangiare

(ho magnato la pizza cor cacio = ho mangiato la pizza con il formaggioe ner sapio) che non mi piace, e non lo sapevo

magnàlle = mangiarlemàgnulu = mangialo

malanòtto = gufo biancomanciàtella = piccola dose

manco la puzza = neanche per ideamanco = non mi ricordo nemmeno

mandritta (a) = a destramanga = manca

manigghià = maneggiare,impastaremanname = mandamimarcaduto = epilessia

marmittuccia = piccola pentolamassera = questa sera

mastasse = bastassematìna (la) = la mattina

matre = madrematregna = suoceramattèra = madia

mattùni = mattonimatuffo = batùffolo

me ce vinia da piagne = mi ci veniva da piangereme morìo = mi morivo, mi sentivo molto male

mèle (er) = il mielemenza pe’zzorta = metà diversa dall’altra

menziorno = mezzogiornomenzo mònno = mezzo mondo

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merancòle (le) = le arancemeriggjia = stare all’ombrameritallo = meritarlo

miaccio = sangue cotto del maialemitti (mette) = metti, mettere

mittià = mettevamoccòne = un po’

mòete ! = sbrigati!moije = moglie

montefarghesi = abitanti di Montefalcomorsica = morde

morto de ’ n corbo = morto per una paralisimuscurillo = moscerinomutanne = mutande

 

naspo = ciò che rimane del grappolonée / nengue = neve / nevica

nemo trovati tanti = ne abbiamo trovati tantiniciuno = nessuno

niscunnià = nascondevanoiaddri /nuantre = noi

non fa a tèmpo = non fa a temponon jè = non gli

non ne putia più = al limite della sopportazionenon s’arza = non si alza (dal letto)non te pòli figurà = non ti puoi figurare

nòttole = pipistrelli  

O  

ògghi / ogghi ghiorno = oggi / oggi giornoogna = unghie

ònno = hannoopre = apri

ormae te l’onno visto = oramai te lo hanno visto 

pàccòla = secrezione degli occhipajericcio = pagliericcio

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pajiaio = pagliaiopalommaccio = palombo

pancòtto = pasto povero per bambinopanicocoli = cialde

panni = (gli) abiti) , i vestitipapagnone = scappellotto, cazzotto

pargo = palcoparìa = sembravaparja = sembravaparlono = parlano

passorno = passaronopatregno = suocero

pe’ fatte vedè = per farti vederepe’ portamme = per portarmi

pe’ ste faccenne = per queste faccendepeacchia = orma

pecciòla = sopraccigliopedalini = calzini

pegghijo = peggiopellèncica = pelle superficiale

pensèce bene = pensaci bene prima di farepenzà/penzacce//penzalla = pensarepenzacce = pensarci

pèrde tempo = perdere tempoperdèro = per davvero, davvero

pescòlla = pozzangherapettèroscio = pettirossopìame = prendimi

piangito = pavimento, mattonatopiare = prenderepiàsse = prendersi

pìato = presopiàva = prendeva

picca = brucia (ferita)pija = prendi

pijaccene = buscarne piocchi = i pidocchi

piòe = piovepiolàva = parlava piano

piòzzo = cavicchio per bucare il terrenopipiruni stònno do’ la marmetta = i peperoni stanno nella pentola

piroetta = capriolapiròlo = birillo (del biliardo)

pjià/ piàto = prendere / presopòccia = prendere il latte

polacca = giubbetto, camicettapole = può

pòlla d’acqua = vena d’acqua

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pòrco = maialepori barbacani = poveri bersagliati dalle avversità

pòro me caro = povero meporo me caro! = povero me!portacennere = portacenere

possibbile = possibilepotriono = potrebbero

pòtto/potta/pottàrello = bambino/a piccolo/aprescìa/presciolosa = aver fretta/frettolosa

puiritti = poverettipirito = perito tecnico

pulenta = polentapummidore = pomodori

purgini = pulcinipurmonite = polmonitepuschia = arrabbiatura

putìa = potevaputìo parlà de curtura = potevo parlare di cultura

 

quadrini = (i ) quattriniquarchiduno / quarcuno = qualcuno

quèlle = fare nullaquill’ome grosso = quell’uomo di grossa corporatura

quìllo / quìlli = quello / quelliquist’addro = quell’altro

 

raccoije = raccogliereraciona = ragiona

rajcone = ramarroramaccia = gramignaramajolo = mestolorampazzo = raspo

rancicare = graffiarerancichitto = mal di gola

rastèllo = rastrellorècchia = orecchio

recchiùni = (gli) orecchioniregazza = fidanzata

responzabbile = responsabile

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riculizia = riquiliziarie = ridere

rifàcce = bere o mangiare di nuovorimmamulire = rimbambirsi

ringalato = avere la raucedineringarzare le cuperte = rafforzare le coperte

rispirà = respirarerisvasciucchiasse = baciarsi di nuovo

rivorgennese = rivolgendosirognecà = brontolareroppe = rompere

roscio = rossorucaje = rimproverarerugà = rimproverare

ruzzà = giocareruzzà = giocare

 

s’arcontaono = si raccontavanos’entenne = si intendesammarruchi = stelo del granturco

sapè = saperesardà = saltare

sardelle = alici salatesarìa quella che ha piàto =sarebbe quella che ha preso (come

marito) sarìa= sarebbe

sarieno = sarebberosbatte = sbattere

sbatto (me) = mi imbattosbeculo = strabicosbrigasse = sbrigarsi

scajà = ottenere modesto guadagnoscallalètto = scaldalettoscallàlla = scaldarlascancellatu = cancellato

scappo = esco scàrza = scalza

scasà = liberarsi del mucoscassòcchi = errori verbalischìna (la) = (la) schiena

scì = sì, affermativoscimunito = che agisce da cretino, stupido

scioje = scioglieresciòrda = diarrea

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scolà = bere fino al fondoscolla = correre rovinosamentescòrza = guscio

scoto = scuotoscrivia = scriveva

sdigghiunasse = fare colazionese spanne = si spandesellero = sedano

semo = siamosèntème = sentimisentetela = sentitela

sentèteme = sentitemisentìo de’ parlà = sentivo parlare

sèpe = siepeserviono da magnà = servivano da mangiare

sgancià = sganciaresinnico =sindaco

sinnò = se nosinnò = se no

sinsibbile = sensibilesintì = sentiresirvìa = sevivasliquidito = sciolto

slogghia = andare via, allontanarsi smammatu = cacciato via

smiccia = guardasonaa = suonavasopportà = sopportare

sora maestra = signora maestrasordato = soldatosòrdi = soldisòrfo = zolfo

spannìa = spandevaspassàa = divertiva

spettamo = aspettiamospilluccà = prendere piccole porzioni

st’addranno = l’anno prossimostaffà (che) = che stai facendo

steà = sgranare, togliere i baccellistemo = stiamostemo = stiamo

stènne = stendere i pannistete zitto = state zitto

stìa = stavastiàmo = stavamostìo desto = stavo qui

stio pe’ sapello = stavo per saperlostirannose = stirandosi

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stivaluni = stivalonistònno = stanno

stràcciuni = straccionistregne = stringistrùppio = storpio

stù / ste = questo / questestupito fracio = molto stupidostuzzica = sensibilizza

sucijo = sudicio suga = succhiasupper dello = in quel luogo/lassù

sur = sul 

t’intontjono = ti intontivanotajare = tagliaretajerino = taieur

taola = tavolatarrja/tarrjasse = arriva/ ti prendesse

teni le fascine = non mantieni i segretiter troo io = te lo trovo io

tìsto = questoto -là = là

tò lagghiù = laggiùtòcca = bisognatocca = occorre

toccherà = bisogneràtòletta = sopramobile del comò

torcibudello = appendicitetrattoio = imbuto

tresemarino = rosmarinotrivello = attrezzo per fare piccoli fori

tròcco = mangiatoia per il maialetròni = i tuoni

troscia = pozza d’acquatutto er ghjòrno fòra = tutto il giorno in campagna

 

ugni = ungiurdimo = ultimo

uscetto della bòtte (o usciòlo) = apertura della botte 

V

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 và a comannà er forno = avvertire il fornaio

và a finì sur fòco = va a finire bruciato va’n po’ = guarda un pò

vacce = vaivanigghij = dire cose insensate

vàsella = contenitore per il vinovedè = vedere

vedennola = vedendolavenacci = i vinacci ,dopo la spremitura

vene (ce) = ci vienevene su = viene suvenerdine = venerdì

ventrecchio = ombelicoversatojo = lavandino della cucina

vesta = vestevinì = venire

vinjia verso Beagne = andava n direzione di Bevagnavinuto ghjù = venuto giùvisavì = credenzone

vònno = vannovordabandiera = banderuola

vordarecchie = attrezzo agricolo vorze = volle

vulìa = volevavummità = vomitare

vurdicare = rovesciare 

Z  

zampatone = dare un calcionezicchià = quando cantano i richiami

zinalone = grembiulezingheri = zingari

zittatève = state zittizòmpà = saltarezòzzo = sudicio

zuppiera = scodella per il brodo   

ALCUNE FRASI DEL PARLAR COMUNE 

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M’ha fatto ghjì su da Driano pe’ sapè quanno se spennjia 

Me cridjio che ce vinjia  Sò du’ postali pieni, non ce se cape  Sé paca 55 milalire al ghjiorno

  Me fò tajià l’ugna dà Mara…. Prima de ghji via…mica me vojo fa cojonane da la ghjente…

  E’ ghjita via da per ljia  Tutte sté spese che cjionno, do vonno a rubbà li quatrini?  Ho magnato er melone e du’ fette de’salame… la sera non tocca magnà tanta robba..  Enò’… è ‘na femmina tanto perbene Ooh…. antignà che njia rubbato la medajia Toccaa pià l’acqua da la fonte… dicjono ch’era bòna Dicjia che ghjiono rubbato un gorfe che stjia sur visavì Jièso’ arriati li foji per viagghjià Cia da pià certi sòrdi Ma che ce metto bocca per litigà? Io che jià da fà? Vojiono fa quillo che jiè pare… assea… Jia piàto fòco Sur postale dormo, me svejio quanno so arriata La mojie cjià da fà da magnà per fjio Ho piato certe cartine, co’ ‘na pomata pe’ le zampe Ver farjio vedè io.. Lu arrjia sempre a st’ora

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 Er fò aspettà fòra Jiè dà racjone…

 Tù mesà che cjià li giri pe’ la capoccja.. La nee jia còmposto Non ce vojio niciuno Se cià sete, lassala stà, lascjala bee… Non ce sojiti, vonno a faticà Ciò la carnacione tanta deligata Se io ciò sonno pare che me tremono le zampe.. se vò a durmì me fà come’na medicina Me pare che se magna alle sette e menza Me leo le scarpe perché me stroncicono dietro li cargagni..so’ tennere tennere… me ce tocca metteme li carzitti Non te fa male er sole senza gnente sur capo?  ‘Na puzza… un collero…

 Vuljia 15 milalire..me vuljia dà ‘na collana co’ certe palle grosse cucì… me pesaa… Da Arbina jé pjiacia… non è de bocca dura, lja magna come li purchitti nani.. Le gran persone che ce stjiono Jié preme la salute… da tutti quanti… Da me sulla faccia li brucioli me li leaa Ristea de Bionzo… pjia un po’ de arcole cor bammace e poi lo struffa sulla schina Vulantina sulla schina è piena de porri  Pjia ‘n moccone de sole, senti è ghjialata marmita Me li fò rade vorde li baffi… me toccheria pià quelle machinette.. Mirico’na vorda m’ha dato un cazzotto dietro la schina, ma io l’ho fatto stà ‘na settimana dentro casa.. l’jio sgraffiato tutto… s’era briacato…me so arzata sune e l’ho sgraffiato … se vulii vedè un moccone de’ pelle sur muso..non la vidji…

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 Jia detto che se murjio piava la cassa da morto e me la facjia volà pe’ la finestra dor vicolo…invece l’ho fatto volà io… ‘Na vorda Mirico me scocciò ‘na televisione delle sette bellezze… era briaco..jia detto da uno se l’aiutava…quillo cià piato, quill’addro era briaco, non cià chiappato… ‘Na vorda er poro fratello mio Liviero ghjeciàrriato sotto l’arco…  Me ne facja de tutti li culuri… ‘na sera vò a dormì… non m’apre la porta e me fa scappà le galline e er porco… So dovuta ghj’ sun piazza a mannà ghjù er porco … era mezzanotte passata…

 Quanno venia a casa ‘mbrjaco parlaa francese…non se capiva quèlle… Non ne putjo più… ‘Na vorda… ciamo ‘n’orticèllo da Filite me dette dù cazzotti senza che gjo fatto gnente… Venja a casa ‘mbriaco e me disse che vulja er pesce…. L’jo cotto … e sa che fece? Arvurticò tutto er callajio con l’acqua bullita che jo messo su per scallamme… Storzao dalla gran febbre che cjio… Io so sicura d’arriacce… Mica fonno li borattini… E’ per gnjiente carma.. C’è ‘na fonte…che vene l’acqua bona Jie leono la scorza dalle lenticchie..le passòno… A casa capace ciò li duluri.. decco no, sto bene… Chicchino co’ Orlando so amichi pe’ la pelle .. Se stò a casa non me fermo mae… Doppodomane arvene Nubbilia.. Non c’è facio più ‘narcapezzo… La logghia mia dà sulla Spiazza Tésta campa cent’anni…, sta attente a magnà…

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 Vòli esse come lù? Allora tésta te fugghjia Ha troato S. Pietro a méte e Ghiesù Cristo a ardunà… St’anni che cià non li dimostra, non li comparisce… Per adesso non ghjiemo via… avoia… So ghjita dar gabinetto dell’ommini…jia bussato uno …jiò detto “ adesso ce stò io..” L’ogna delle mane non me le fò tajià Scì.. vò a spenne quattro o cinque miliuni per metteme li denti e doppo se non li posso portà? E nooo… co’ stà zampa vò ghjranno… Compro du’ scatole de furminanti che non posso accenne er gasse..  Le zampe me pesono come er piommo Và in galera te e da magnà… E pjia un piatto… Stu cocommero non sa de quélle.. è come l’acqua Doppo che ha tajiato li capilli, le furginelle non jiè cascono più ..io li capilli me li lao dappermene cia un sacco de’ riccitilli…dar gran sucio che portaa.. Ammò ghjiemo ar mare..jiò dato l’indirizzo… da coso… Er patre jiàppiccica ‘npagone… Metocca stà a pagane quella che me tajia l’ugna dalle mane e dalli piedi.. Lucia de’ Bionzo… cò le tronchese Ghjiemo a.. coso..do jiemo?.. manco me ricordo… ce donno ‘na cammmeretta ..senza arrancà le scale… Ho fatto fa un bagnetto su la cammera sopre…è caruccio So ghjta a durmì co’ ljia… me so scarmiata tutta…

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 Per famme li capilli m’ha fatto spenne trentottomilalire… mjia messo l’asciuttamane de’ carta dietro la schina… Io me lao dappermene… L’istati me metto la camicia da notte… Ciavessero l’addri un’ogna cme le mia…. Cjò una venticinquina o anche trenta pajia de’ mutanne… me s’era allentato l’astico… io li stracci non me li porto dietro… ciò tutta robba noa… li reggipetti non li metto… ce njio 4 o 5 … l’ho dati via… Er vidi cò che camino io?.. cor bastone… non inciampico… me tene compagnia… me ce so avvezzata…mer porto sempre dietro… Vedi che eleganza… anche supperBeagne … non c’è niciuno che me canzona… Io cor bastone non ce vò!… Vò facenno la stupita cor bastone … io non ce vò!.. Quattordici ghjorni ghjiemo ar mare.. a Ceseneatico… Li cappelletti in broto… sò pesanti… Sti panni arpiegati pargono stirati…Vojio ghj a casa perché sennò me se fa più scuro… Andovina che ho fatto ogghj a magnane… ho fatto la pastascjutta cò l’alice… Io me pjio sempre un cappuccino con un cornetto Che è la meopausa? A carte quarche vorda ghjioco a rubbamazzo… Ghjocassero a carte… che m’emporta dammé… Do lij messo che non l’artroao… E che cià..li duluri? Zi’ Chicchino portaa er cappello cor fazzoletto… parjia un lecionario… Jié tocca ji a Penne… perché la matre della mojie de’ Filippo mio cja certe zampe cucì grosse… camina pòco… er patre l’honno operato da tutte e due le ginocchia.. e cucì deve ghji ghjù.. Mamma vostra sta da per lia?… perché … non ce vede? So ghjita ar matrimonio… Nubbilia s’era vestita tanto bene… portaa un vestito delle sette bellezze…

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un sopra… co’ ‘na polacca ma bella… jie mancono li panni… Ho magnato l’ansalata e ho cotto le fittine.. ce njio mezzo chilo… cjò le pummitore… Pioe?… Ciò li panni spasi .. quilli der mare… Se pioe.. s’enculono… Ma non te risponne niciuno? Stiì telefuni… non so commiti? C’orè?… Tanto tardi non vojio ghj ghjù… allo scuro non ce so ji… Allora io che avrio dà di?… Se me pjia ‘n corbo dappercasa me troono bella e morta… me ne honno invidia le persone…der coraggio che ciò… Dà Diamante de’ Bianchi ghjiè scappato er sangue pel naso.. l’honno portata a Fuligno cò l’antompulanza… Stè recchine, quando so morta me le leeronno… A magnà ciò li martajiati cò li biselli… me tocca scallalla…

 Che vò via coll’acqua? M’ammòllo tutta…Me sa fatiga dè ghji via…doppo me ce vurria ‘nascittamane…pè sciuttamme…  Pole stà che io m’ammalo…Madòno portà sune.. E.. miracolo che non me guardono… La matre dè Paola sé trucca pòco… er belletto che sé mette…. Anche la fja dè Richetto de’ Ile s’è sposata … ha piato er nipote de’ Setteposte… M’ha segnato lia… te pia ‘na paralise secca… io ghjiò detto che ce vulio ghji? Ha fatto ‘na credenza mabella… Anduina che m’ha detto dà me… ce saria stu poretto… So 35 miliuni per uni se se la vennono… stà casa… mica è ‘nu scarcaticcio… è tutta accomitata… Er fjio mio Filippo iersera er vedessivo… S’è messo la parnanza davanti e ha cucinato le fittine cò l’ansalata e li pummitori… Pulito come lù non c’è nisciuno…Stamatina ha acceso l’abaciù per non accenne la luce.. per non svejiamme.. e m’ha salutato e doppo è ghjito via cor treno… Piera è ghjita a fatigà … arvene domatina… la fjia non ha voluto magnà gnente Dar ricovero non ce vojo ghji… chi sputa d’a ‘na parte, chi sputa dall’addra, manco a magnà ce ghjrio..se moro, moro sur letto mjo armeno…Er ricovero no m’è mai pjaciuto dammene.. 

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Li sòrdi li metto lane ammane.. ammane…ora cento, ora dugento.. e po’ ogghi manco te li cambiono su le botteche…quanno mè serve un piatto de minestra la paco…da chi me la fà.. Li conosco stì sòrdi..porco monno assassinato.. come fò a contalli..Se spènno 10 milalire e m’ardonno 5 euri che cazzo ne so .. non ce capisco gnente assea…addre che tu te ne pòli intenne…Allora dalla fja mia ghjò dato 100 e che sarjono 200… L’addra vorda su la banca ciò messo 200.. euri.. che sarjuno 500.. tocca vordasse de’ ciurvello… Ce stà Ristea de’ Bionzo che tène lì sordi cuscì… sapissi quanti jène frecono… Quanno stà male.. avoja a chiamà l’anfermiere… Finarmente che stà bene, va bene… doppo che t’ammali te portòno a Fuligno e n’arveni ghjù.. me ne freco de loro e chi so… Vulantina litica sempre cò Chicchino…jè dice che cià ‘na faccia d’embrjacone e mardicente… lù jè risponne .. magnacélli.. Penza che ‘nà strigati quattro de’ mariti… n’à scortigati quattro de’ mariti…lo farja anche desso che cjà ottantacinquanni…

 Da Picculino.. quante corna jà messo? Er marito stia a Spoleto e lja se la facja cò Galileo… ‘nà vorda l’ha vista anche er maestro Preta…. Diciono ha piato la vacca cor vitèllo… E’ ‘na sboccacciona.. se vène a casa tua manco un’ora la tiristi.. pe l’improperi che dice… ‘Na sera lja insurdato… tutta ‘na botta senza racione… Io me so messa a sedè sull’ottomana…e non me so arzata… da ‘na mane tenia ‘na sicheretta, dall’addra er giornale Siccome io ciò la diabete…ho magnato dù pummitore e un pèzzo de pizza cò le patate.. Io nò invito la ghjente dell’addri…nò me metto a commatte a preparane dà magnane… Dioceneguardi… Vojo ghì ghiù che è ‘nu scuro tamanto… Ciò ‘na casa che azzecca per conto suo dentro casa… Cià ‘na fia che cià ghjudizzio… Ghja guardato lja.. se pjo un milione ar mese che deo fa? Marzao la matina e ghjé facjo le cammere… dammè le faccenne chi me le fa? 

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Ghio a faticane cò li ontadini… se la penzione non la piai… tocca ghì a fadicane… Du’ vorde ar ghjorno ghio alla macchia… Me dicia mamma mia.. “ghiemo a fa un fascetto de lena pe’ scallasse che alle sette arvenemo a casa… me ricordo che me ce mittio a piagne perché quarche vorda cio sonno e non vuljo arzamme… Io ghjo a faticane cò Ferranti a Butine…a piedi.. ghjo a caccià la barbatietola… Poi so ghjta a fadicà su da l’ Currati… vicinoa Fuligno…Ghjo su a piedi… Doppo so’ ghjta su da Stocchi… stia decco…sur Pontenoo… tricao a vellegnà finamente li Santi…cojamo l’ua…. Se stjo cò Ile…me dja sei milalire ar mese…  Su da Pucciatti ce so stata la bellezza de undicjanni, non monno attaccato niciuna marchetta… Facjo da magnane da Giampaolo e da ghjoanne der Sor Pordo… ce so stata tre anni… aduina quanno ce magnao… solo la domenica…me dicia se vuljo magnà co’ loro  Ho piato ‘na stagnarola ignossidabbile… mettemela vicino dèllo…vicino la stagnaròla… Quando so morta ghjedò in culo a chi aresta Ma che tes’arvurdicà cò! Quanno è piena testa, so cinque litri! Mònno chiamato lappercasa che c’era uno che bummitaa sur teatro, ce so jta su, era Merico che s’era ‘mbriacato… Magnamo ‘un boccone… che doppo me fa male… non dicirisco.. Er minestrone non er putjo ignottillo ch’era bollente… cjò messo l’acqua minerale pe’ ghjacciallo… Li compiti no li fa mae.. Bella mossa de’ chiude la porta a chiae… io n’ho chiuso mae… Sta male… cià la tossa.. Li curbi ..dar dottore che ghjà mannato… Non onno durmito tutta la notte…stiono tutti do ‘na cammeretta… Dovà a stora? E’ pieno de barbacani supperbeagne… 

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..guardja che ciò.. un minestrone ma bòno.. l’invordini co’ li scarciofini dentro..la fame de’ ‘na vorda… Non l’hassagghiato pe’ gnjiente…jel’jo messo ‘un pèzzo do la bocca e me l’ha risputato… Beatrice do è ghjta?… sta dar gabinetto… (all’uscita)… me se trinciono li duluri… decco.. ho fatto poca robba.. me so piati tamanti duluri dalla trippa… ciò la sciorda… so ghjta a fa le lastre… mjono messo la scialappa do la minestra.. quella per cacà come l’oche… me vuliono ammazzà…   

  

ASSOCIAZIONE SPORTIVA BEVAGNAPartecipazioni e classifiche finali dei

Campionati RegionaliFin dal 1953 attraverso il settimanale Indipendente “Centro Italia” di

cui era corrispondente il prof. CANDIDO PIATTI, si auspicava la realizzazione di un campo sportivo a Bevagna:

 1 – 13 Luglio 1953 : “ Necessita a Bevagna un campo

sportivo” 

  17 – Settembre 1961 : “ Cantiere di lavoro a Bevagna per il Campo Sportivo per l’importo di L. 2.830.940

(35 operai per 75 giornate”Articolo tratto da “Il Messaggero”.

  1960 – 1961 Una squadra giovanile di Bevagna, sotto il

nome di A. S. GABETTO, si iscrive al Campionato “Juniores” F.I.G.C. ( con giocatori

nati dal 1° gennaio 1942 al 31 dicembre 1943 - 2 tempi di 30’ ciascuno con intervallo di 10’), organizzato dal Commissariato Locale Settore

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Giov.le di Foligno 1[1], che inizia il 13 Novembre 1960.

 Il Campionato è formato da due Gironi : “A” e

“B”.La “A. S. GABETTO”, dopo sorteggio, è inserita nel

Girone “A” di cui fanno parte le seguenti formazioni :

S. S. TIGROTTI di S. TerenzianoA. S. JULIA di Spello

A.S.FOLIGNO di Foligno

U. S. ENZO BETTI di S. G.nni Profiamma 

Del Girone “B” fanno parte : 

S. S. GAUALDO TADINO di Gualdo TadinoU.S. SGARIGLIA di Foligno

G.S. CASA DEL RAGAZZO di FolignoA. S. AUDAX di S. EraclioA. S. SASSONIA di Foligno

A.   S. I VAMPIRI di Borroni Corvia 

Questi alcuni risultati tratti dai comunicati dell’epoca del Settore Giovanile Locale della F.I.G.C. :

 A. S. FOLIGNO – A.S. GABETTO 1 – 0 (Nel 1° tempo marcatore AISA)

2[2] 

1[1] L’indirizzo del Commissariato è in Via Giovanni Pascoli N° 9 – Foligno ed il Commissario in carica è Antonio Galvani. La tassa di “associazione” costa L. 500 , i cartellini per il tesseramento dei giocatori costano L. 20 ciascuno e le spese arbitrali (poi rimborsate alla fine del girone di andata e di ritorno), L. 750, quale quota fissa

?[2] Fulvio Bagliotti Boschi Senior (1593-1664) era figlio di Tommaso Bagliotti e di Alfenia Boschi, ultima della

famiglia. Fu poeta e, alla morte della moglie, si fece prete e fu parroco di S.Maria in Laurentia.

 

 

 

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A. S. JULIA SPELLO -A.S. GABETTO 5 – 0 (Parroni – Aristei (2) – Cesaretti - Cerchece )

(La gara – si legge nel referto – è stata sospesa al 23° della ripresa perché la GABETTO era rimasta con 6 giocatori a causa degli infortuni di Crescimbeni, di Polzoni e di altri due elementi . Si era presentata in 10 ! )

3[3] 

Con comunicato del 18 Gennaio 1961 la F.I.G.C. informa del “Ritiro dal Campionato dell’A.S. GABETTO” :

 Si prende atto del ritiro dal Campionato “Juniores” dell’A.S. Gabetto, motivato da cause di forza maggiore. In applicazione dell’art. 24 R.D comma D, tutte le gare

precedentemente disputate dall’A. S. Gabetto, non hanno valore per la classifica. Le Società che, secondo il calendario, avrebbero dovuto incontrarsi con la

Gabetto, osserveranno un turno di riposo. All’A.S. Gabetto viene inflitta una ammenda di L. 2.000.

La finale del Campionato “Juniores” che si giocò sul campo neutro di

Bastia Umbra il giorno 9/4/1961 vide la vittoria per 1-0 della Julia Spello sulla Sassonia Foligno. La A.S. JULIA SPELLO pertanto acquistò il diritto di partecipare alle finali Regionali “Juniores” che iniziarono domenica

16/04/1961.In seguito a sorteggio effettuato presso il Comitato Regionale Umbro, il

primo incontro aveva luogo a Spello alle ore 15,30 contro la Società SPUMA SOLE, vincitrice del Campionato locale “Juniores” di Spoleto. Domenica 23 Aprile si doveva invece svolgere a Spoleto l’incontro di

ritorno.La A.S. JULIA SPELLO vinse anche la Coppa Disciplina con soli 2 punti di

penalizzazione. All’ultimo posto l’A.S. I VAMPIRI penalizzata con 20 punti.  

 

 

?[3] Questa Chiesa fu iniziata il 04/06/1673 ed il giorno 7 maggio 1728 fu nominato il primo parroco nella

persona di Don Carlo Antonio Rosa. Il giorno primo settembre 1848 fu costruito il Fonte Battesimale.

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In un incontro amichevole a S. Terenziano, tra squadre “Juniores”, la S. S. TIGROTTI aveva battuto la GABETTO per ben 11 – 3 ! 4[4]

 

 9 – 12 – 1961 da un articolo del “Il           Messaggero” :

“ Contributo Statale al Comune di Bevagna per l’installazione di impianti elettrici e per la

sistemazione del Campo Sportivo”1965 - 1966 ?1966 - 1967 ?1967 - 1968 ?

  

Settembre 1968: In un articolo diffuso attraverso il mensile locale ciclostilato dal titolo “Il Ciripicchiolo” si

parlava di “Finalmente è prossima la riapertura del campo sportivo… “ Era intenzione di iscriversi alla 3^ o alla 2^ Categoria con l’allenatore designato

MATRINI. 

 Ottobre 1968 Dal mensile locale “Il Ciripicchiolo”

“ I giovani di Cantalupo hanno ricostituito la S. S. LUPETTO dotando l’antico campo sportivo

parrocchiale S. BIAGIO di quasi tutti gli elementi strutturali…”

   

Le squadre che prendevano parte al Torneo erano le seguenti :

BORGO TREVICANTALUPO

?[4] Don Salvatore Flamini arrivò a Cantalupo quale parroco nel 1949.

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S. GIACOMOBAZZANO

1969 – 1970 Partecipa al campionato di 2^ Cat. – Girone “C” sotto il nome di

“MEVANIA” – Si classifica al 5° posto totalizzando

…………………………………..Punti……..32

 1969 – 1970 Partecipa al campionato di 2^ Cat.

– Girone “D” sotto il nome di “MEVANIA” – Si classifica al 4° posto

totalizzando……………………………………Punti…….22 

1970 – 1971 Partecipa al campionato di 2^ Cat. – Girone “B” – sotto il nome di

“MEVANIA” – Si classifica all’ultimo posto (14°) (e retrocede in 3^ Cat.)

totalizzando………..Punti………8

1971 – 1972 Partecipa al campionato di 3^ Cat. – Girone “D” – sotto il nome di

“MEVANIA” – Si classifica al 1° posto (e viene promossa in 2^ Cat.)

totalizzando…………..Punti……..37 

Tra i giocatori della rosa vi è PIERO MORICO, centrocampista.

  

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1972 – 1973 Partecipa al campionato di 2^ Cat. – Girone “B” sotto il nome di

“BEVAGNA” . Si classifica al 1° posto (e viene promossa in 1^ Cat.)

totalizzando………….Punti……..42 1973 – 1974 Partecipa al campionato di 1^ Cat.

– Girone unico di 16 squadre – Si classifica all’ 8° posto realizzando

Punti…30 

Questi i nomi dei componenti la squadra allenata da PILONE :

OTTAVI – MARINUCCI – LUNA – LUNGHI – BILLAI – ANGELI – LUCHINI – SAMMACICCIA – MASSINI – MARIANI – MARTINI – TEMPESTA – BARATTINI – GIAMPAOLI – RAGGI - PISELLI –

PENULTIMA – BARONI – TRABALZA – BRESCIA –  

Questi alcuni risultati tratti dalle cronache della “Nazione” 

BEVAGNA- TIBERIS 3 – 1 (a Foligno)ANGELANA - BEVAGNA 1 – 1BEVAGNA - GUALDO 1 – 1ORTE - BEVAGNA 3 – 0BEVAGNA - NARNESE 2 – 2BEVAGNA - PONTEFELCINO 4 – 0

 1974 – 1975 Partecipa al campionato di 1^ Cat.

– Girone unico a 16 squadre – Si classifica al 14° posto (e retrocede in

2^ Cat.), realizzando………………………………

Punti…….26 

Il Presidente è MARRONI PASQUALE . L’Allenatore è BIASON (che verrà esonerato nei primi giorni di Dicembre

1974)., poi subentra DAVANZATI quale Allenatore – giocatore.

 Questa la rosa dei giocatori schierati :

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 OTTAVI – ANGELI – PAGLIARI – BILLAI – RIDOLFI – PICCIONI – LUNGHI – LUCHINI – GIAMPAOLI – MARIANI – MARTINI –

TRABALZA – TEMPESTA – LUNA - ELEUTERI – BARATTINI – ANGELONI – FALVO – FERRETTI - VILLAI – DAVANZATI –

MARINUCCI – STRAPPINI - 

Questi alcuni risultati tratti dalle cronache della “Nazione” :

 BEVAGNA DERUTA 1 - 0

PONTEPATTOLI BEVAGNA 1 - 1 (a Rivotorto) BEVAGNA TIBERIS 0 - 0

PONTEVECCHIO BEVAGNA ? ( Vittoria del Pontevecchio)

BEVAGNA PIEVESE 2 - 2BEVAGNA C.D.A. NARNI 1 - 0BEVAGNA NARNESE 2 - 3BEVAGNA LAMA 1 - 1BEVAGNA CORTONA C. 1 - 2BEVAGNA NESTOR 2 - 0BEVAGNA PONTEPATTOLI 3 - 1BEVAGNA PONTEVECCHIO 2 - 1BEVAGNA ASSISI 1 - 1BEVAGNA ORTANA 2 - 2BEVAGNA TODI 1 - 2BEVAGNA ANGELANA 4 - 2

 Al termine della Stagione coincisa con la retrocessione in 2^

categoria l’Assemblea dei Soci nella riunione dei primi di giugno 1975, dava mandato di contattare l’allenatore VINCENZO

PILONE per la guida tecnica della stagione 1975/1976

 Durante l’Assemblea ordinaria precampionato dei primi di

Ottobre 1975, sono stati eletti consiglieri dell’A.S. Bevagna : 

MORLUPO VITTORIOMARRONI PASQUALE (Eletto PRESIDENTE)

ADANTI PIETROADANTI DOMENICO (Eletto VICE –

PRESIDENTE)MARIANI M. SILVANO

MENGANA ALESSANDROPICUTI ARIODANTEOTTAVI GESUALDO

GALARDINI ENRICOSTRAPPINI GIUSEPPE

ROSI RINOPETASECCA ANGELOALIMENTI CLAUDIO

FORTUNATI FELICIANOPACI GIUSEPPE

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BASTIOLI VINCENZODI GIOVANNI ANTONIO

BARATTINI DOMENICOCONTI SALVATORE

CESARO ANTONIO   

1975 – 1976 Partecipa al campionato di 2^ Cat. –Girone “C” . – Si classifica al 2° posto (dietro l’Amerina e viene promossa in

1^ Cat.) totalizzando. ……………………..Punti…… .45

L’Allenatore è VINCENZO PILONE. Che darà le dimissioni alla fine di Marzo 1976.

Subentra PIERO MORICO 

Questi i giocatori della rosa impiegati : 

OTTAVI – ADRIANI – LUNA – BILLAI – BARATTINI – PICCIONI – SENSINI – POLITI – MARTINI – LUCHINI – GIOVANNINI –

MARIANI – TRABALZA – STRAPPINI – SAMMACICCIA –GIAMPAOLI – FUSI – FERRETTI – TAMBURO - MARINUCCI –

NICOLINI – DELLA SPINA -  

Questi alcuni risultati tratti dalle cronache della “Nazione” :

 BEVAGNA U.D.A. NARNI 2 - 0MARCOL BEVAGNA 1 – 1

BEVAGNA MONTEFALCOPareggioVIS FOLIGNO BEVAGNA 0 – 1BEVAGNA LUGNANO 3 – 0TRE MONTI BEVAGNA 1 – 2BEVAGNA ARRONE 1 – 1

      SANGEMINI BEVAGNA Pareggio   BEVAGNA GIOVE 7 - 0S. TERENZIANO BEVAGNA 1 – 1BEVAGNA A. PICCHI 2 – 0NORCIA BEVAGNA 3 – 1AMERINA BEVAGNA 1 – 0

       BEVAGNA OLIMPIA ? ( campo neutro di Marsciano)

BEVAGNA BOSICO 3 – 0BEVAGNA MARCOL 0 – 0

BEVAGNA MONTEFALCO4 – 4BEVAGNA VIS FOLIGNO 2 - 1ARRONE BEVAGNA 1 – 1

BEVAGNA S. TERENZIANO

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 (Il campo del Bevagna viene squalificato dal 26 aprile 1976 fino a tutto il 31 Dicembre 1976. a causa dell’aggressione all’arbitro

BASILI di Perugia, che viene anche malmenato dai tifosi.Vengono altresì squalificati per due giornate i giocatori

GIAMPAOLI, MARIANI, SENSINI, SAMMACICCIA e MARINUCCI.La squalifica a tre dirigenti, dei quali uno a vita ed una

ammenda di L. 150.000). 

A. PICCHI BEVAGNA 0 – 2BEVAGNA NORCIA 4 – 0 (A Campello )BEVAGNA AMERINA 3 – 0 (A Spoleto)

 La squadra del Bevagna in questa stagione ha realizzato 72 gol,

subendone 24.Goleador è stato POLITI con 21 reti. Ha vinto 17 partite,

pareggiandone 11 e perdendone 2.

   

1976 – 1977 Partecipa al campionato di 1^ Cat. – Girone “B” a 16 squadre – Si

classifica al 2° posto (dopo il Nocera di Mister Possanzini e viene promossa in

PROMOZIONErealizzando…………………………… …

Punti…………. 49 

Presidente viene eletto MARIO SIENA e viene riconfermato il vecchio Consiglio con la sola variante di N° 3 nuovi

membri. Anche l’allenatore è confermato nella persona di PIERO MORICO. Al quale subentrerà, alla 13^ giornata, (Marzo 1977) , GRAZIANO ZAMPETTI.

 Questi i giocatori impiegati :

OTTAVI – LOCCHI - LUNA – BARATTINI – BUSCIANTELLA – ANGELI – FUSI – GIAMPAOLI – POLITI – LOMBARDI – ( 34

reti) - ZUCCA – TRABALZA -PICCIONI – MAZZONI – PROPERZI - MARINUCCI – FERRETTI – LUCHINI –DELLA

SPINA -  

Questi alcuni risultati tratti dalle cronache della “NAZIONE”

 

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BEVAGNA CLITUNNO 0 –0 (A Foligno)BEVAGNA ANGELANA 1 – 0A. PICCHI BEVAGNA 1 – 4

BEVAGNA FOSSATO VittoriaSUBASIO BEVAGNA 1 – 4

MONTEFALCOBEVAGNA 1 – 1BEVAGNA SUBASIO 1 – 0BEVAGNA NOCERA 2 – 1BEVAGNA SIGILLO 3 – 0

 1977 – 1978 Partecipa al campionato di

Promozione a Girone unico composto da 16 squadre Gubbio – Orte Filesi – Assisi – Foligno – Elettrocarbonium –

Gualdo Tadino – Grifo Bonaca – Narnese – Nocera Umbra – Cangi

Arredi – Todi – Tiberis – Lama Tavernelle e Julia Spello (che si

classificheranno in questo ordine). La A.S. Bevagna si classifica ottimamente,

da matricola, al 4° posto assoluto realizzando…………………………… …

Punti…………. 35 

Presidente è rieletto MARIO SIENA, mentre alla guida tecnica è riconfermato GRAZIANO ZAMPETTI.

L’A.S. Bevagna si assicura la comproprietà nei confronti del Perugia, di Pierluigi Lombardi.

In seguito alla ristrutturazione del Campionato di Promozione Regionale, l’A.S. Bevagna è ammessa a

questo prestigioso torneo, dopo due secondi posti ottenuti precedentemente dietro all’Amerina e al Nocera e ad un

solo punto di distacco. 

Questi i giocatori impiegati durante il Campionato di Promozione .

OTTAVI – BARATTINI – PAGGI – PICCIONI – BUSCIANTELLA – ERCOLANI – SARNARI – FUSI – LOMBARDI – BEDDINI –

LUCHINI (13 reti) – TRABALZA – TROMBETTONI – GIAMPAOLI – POLITI (13 reti) – ANGELI – RENZI

(dall’Imperia) – CUCCO – STAGGI (?) -

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 Questi alcuni risultati tratti dalle cronache della

“NAZIONE” : 

BEVAGNA TODI 1 – 1NOCERA BEVAGNA Vittoria del Bevagna

BEVAGNA LAMA 1 – 1ELETTROC: BEVAGNA 5 - 0

C.T.A. BEVAGNA Sconfitta del BevagnaBEVAGNA TIBERIS 2 – 1

GRIFO BONACA BEVAGNA 0 - 3BEVAGNA GUALDO 1 - 0

JULIA SPELLO BEVAGNA Vittoria del BevagnaBEVAGNA NUOVA TIFERNO 0 - 0BEVAGNA NARNESE 0 – 0BEVAGNA FOLIGNO 0 –1

TODI BEVAGNA Vittoria del BevagnaBEVAGNA GUBBIO 1 – 1BEVAGNA NOCERA 3 – 0LAMA BEVAGNA 2 – 2BEVAGNA ELETTROCARB. 3 – 1

TIBERIS BEVAGNA 1 – 0 (?) BEVAGNA GRIFO BONACA 2 – 1BEVAGNA JULIA SPELLO 3 – 1BEVAGNA ASSISI 1 – 1BEVAGNA ORTE FILESI 1 - 1FOLIGNO BEVAGNA 1 - 0

1978 - 1979Partecipa al Campionato di Promozione a Girone unico composto da 16

squadre ( Angelana – Gualdo T. – Assisi – Eletrocarbonium – Tiberis –

Nuova Tiferno – Grifo Bonaca – Narnese – Todi – Orvietana –

Montefalco – Foligno – Nocera U. – Deruta – Orte Filesi - (che si

classificheranno in questo ordine). La A.S. Bevagna si classifica al 9° a pari

merito con il Todi – l’Orvietana e il Montefalco, realizzando…………………

Punti………….35 

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Presidente della Società è eletto PIETRO ADANTI.

I soci ammontano a ben N° 139.

Allenatore viene confermato GRAZIANO ZAMPETTI.

Questi i giocatori impiegati durante il Campionato di Promozione :

TRMBETTONI – DELLA SPINA – LUNA – RENZI – GIAMPAOLI – MOLINO – CUCCO – POLITI – LOMBARDI – RICCIARDI –

BEDDINI – TRABALZA –BUSCIANTELLA – ANGELI - OTTAVI – PAGGI – FERRETTI – PICCARDI - MATTIOLI – BERRETTI (?) -

SAVINI - PIANURA - 

Questi alcuni risultati tratti dalle cronache della “NAZIONE” :

 TIBERIS U. BEVAGNA Pareggio

BEVAGNA ASSISI\ 0 – 2NOCERA BEVAGNA PareggioBEVAGNA ANGELANA 1 - 1BEVAGNA GRIFO CANNARA 0 – 0

TODI BEVAGNA PareggioBEVAGNA FOLIGNO 2 – 0

ORVIETANA BEVAGNA PareggioBEVAGNA MONTEFALCO2 – 1

BEVAGNA NUOVA TIFERNO 0 – 0DERUTA BEVAGNA Pareggio

BEVAGNA ORTANA 1 - 1 ELETTROC. BEVAGNA 3 – 0 (?)BEVAGNA NARNESE 3 - 0BEVAGNA ASSISI 1 – 0BEVAGNA TIBERIS 1 – 1ANGELANA BEVAGNA 4 – 1BEVAGNA NOCERA U. 0 – 0

BEVAGNA TODI 1 - 1FOLIGNO BEVAGNA 1 – 1BEVAGNA GUALDO 0 - 1

(persa l’imbattibilità interna dopo 25 gare)BEVAGNA ORVIETANA 2 - 0

NUOVA TIFERNO BEVAGNA PareggioBEVAGNA DERUTA 1 – 1BEVAGNA ELETTROC. 0 – 1

  

1979 – 1980 Partecipa al Campionato di Promozione a Girone unico composto

da 16 squadre (Foligno –

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Elettrocarbonium- Assisi – Gubbio – Todi – Nocera Umbra – Narnese –

Tavernelle – Tiberis – Grifo Bonaca – Gualdo T.- Clitunno – Nuova Tiferno – Orvietana – Bevagna – Montefalco -

che si classificheranno in questo ordine). La A.S. Bevagna si classifica al 15° posto e viene retrocessa assieme

all’Orvietana e al Montefalco in 1^ Categoria realizzando…………

solamente Punti……………………16 

Presidente dell’Associazione Sportiva Bevagna è riconfermato PIETRO ADANTI.

L’Allenatore è VINCENZO PILONE, che ritorna ad allenare il Bevagna dopo tre anni.

 Vengono ceduti : LOMBARDI all’Elettrocarbonium –

BUSCIANTELLA al Nocera – BETTINI al S. Eraclio. Oltre a BEDDINI, GIAMPAOLI e POLITI e si predispone una squadra

assai giovane per affrontare il terzo Campionato di Promozione.

Questa la rosa ed i giocatori impiegati durante il Campionato :

 TROMBETTONI – PICCIONI – DELLA SPINA – MACELLARI – ANGELI – PELLICCIONI – SARNARI – MOLINO – CUCCO –

SAVINI – ANASTASI – PICCARDI – PAGGI – DONATI – MATTIOLI – PIZZONI (Acquistato ad Ottobre dalla Trevana)

– BARATTINI - MENGANA – LUNA – POLITI -  

Questi alcuni risultati tratti dalle cronache della “Nazione”: 

BEVAGNA NARNESE 1 - 0BEVAGNA TODI 1 – 1

GUALDO BEVAGNA (?) Sconfitta per il Bevagna

ORVIETANA BEVAGNA 1 – 0 (?) Sconfitta per il Bevagna

BEVAGNA MONTEFALCO2 – 1

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CAMPELLO BEVAGNA (?)ASSISI BEVAGNA 1 - 0

NUOVA TIFERNO BEVAGNA pareggioBEVAGNA ELETTROC. 1 – 1

NOCERA BEVAGNA 1 – 0 (Sul neutro di Spello)BEVAGNA GUBBIO Sconfitta del Bevagna (?)

 (Il presidente Adanti invia un esposto alla Lega indirizzata ad Alfio Branda (presidente del Comitato Regionale) per protestare per “ i soprusi subiti“ da parte del direttore

della gara BEVAGNA - GUBBIO , sig. POTTINI)

BEVAGNA GRIFO CANNARA 2 – 0BEVAGNA TIBERIS 2 – 2

NARNESE BEVAGNA Sconfitta per il BevagnaTODI BEVAGNA (Sconfitta “Sonante” per il

Bevagna)BEVAGNA GUALDO 2 - 0

BEVAGNA ORVIETANA 2 – 1MONTEFALCO BEVAGNA (Sconfitta per il Bevagna)

BEVAGNA CLITUNNO 1 – 1ASSISI BEVAGNA (?)

BEVAGNA NUOVA TIFERNO 0 – 1

(L’arbitro della gara, sig. TACCINI di Pisa e i suoi collaboratori è stato assediato negli spogliatoi dai tifosi bevanati ed ha potuto lasciare lo stadio dopo un’ora e

mezza e grazie all’intervento dei carabinieri).

BEVAGNA FOLIGNO 1 – 3GRIFO CANNARA BEVAGNA (Sconfitta per il Bevagna)

  

1980 – 1981 Partecipa al Campionato di 1^ Categoria – Girone “ B” composto da 16 squadre (Pontevecchio – U.D.A. Narni – Bevagna – Orte G. Filesi –

Pianello – Montefalco – Vis Foligno – Norcia – Fossato – S. Eraclio – Subasio

– Casciana – Maroso – Sigillo – Pontevalleceppi – Scheggia, che si

classificheranno in questo ordine). La A.S. Bevagna si classifica al 3° posto a

pari merito con l’Orte G. Filesi

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realizzando……………………..Punti……………………36

Nei primi giorni di giugno 1980 si tiene l’Assemblea ordinaria dei Soci e simpatizzanti dell’Associazione

Sportiva Bevagna che elegge il Consiglio Direttivo formato da 20 membri, il quale riconferma per la terza stagione

consecutiva PIETRO ADANTI alla presidenza dell’Associazione.

 Allenatore della squadra è CARLANTONIO BUZZI che fu giocatore per molte stagioni dell’Assisi. Con l’Angelana

partecipò al Torneo delle Regioni di serie “D” e al Campionato di Promozione conquistando il titolo di

Campione Umbro. Ritornò in Serie “D” con il Gubbio, quindi una stagione a Cannara e poi definitivamente

approdò ancora ad Assisi ma questa volta con le mansioni di preparatore atletico e allenatore in seconda, militando all’ombra di nomi illustri quali Roscini, Perli e Flaborea.

 Questi gli atleti impiegati durante il Campionato :

 MACELLARI – TRABALZA – MOLINO – FERRETTI – SALEMMI –

POLITI - 

Questi alcuni risultati degli incontri tratti dalla cronaca della “Nazione” :

 U.D.A. SPORT BEVAGNA 1 – 2 (Trabalza –

Molino)FOSSATO BEVAGNA 2 – 0

SIGILLO BEVAGNA Vittoria del BevagnaBEVAGNA VIS FOLIGNO 0 – 0

BEVAGNA S. ERACLIO 3 - 0 (Ferretti – Molino 2)BEVAGNA ORTE 1 – 0 (Trabalza)

PIANELLO BEVAGNA 1 – 1SCHEGGIA BEVAGNA 0 – 7 (?)

BEVAGNA MONTEFALCO0 – 0BEVAGNA SIGILLO 6 – 0 (?)

1981 – 1982 Partecipa al Campionato di 1^ Categoria – Girone “ B” composto da 17 squadre (BEVAGNA – Subasio –

Ponte Felcino – Valfabbrica – Pontevalleceppi – Pianello – Fossato –

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Amerina – Virtus C. Ritaldi – S. Eraclio – Sigillo – Maroso – Vis Foligno Arioni – Montefalco – Orte G. Filesi – Norcia – Casciana, che si classificheranno in questo ordine). La A.S. Bevagna si

classifica al 1° posto e viene promossa in Promozione,

realizzando……………………..Punti……………………45 

PIETRO ADANTI per la 4^ volta consecutiva viene riconfermato Presidente.

 VELIO DE SANTIS è l’allenatore dell’A.S. Bevagna. Da

giocatore militò nell’Arrone, nella Marcol e nel Norcia Con la Marcol vinse il Campionato, portando la formazione del

Presidente Luchetti in Promozione.

Prima della fine dell’anno 1981, al termine della gara casalinga Bevagna – Subasio l’allenatore , cogliendo tutti di sorpresa, dato che la squadra andava bene essendo

seconda (a soli due punti dalla capolista), rassegnava le proprie dimissioni.

 Il Consiglio Direttivo e il Presidente Pietro Adanti lo sostituiscono con GRAZIANO ZAMPETTI che aveva

allenato il Bevagna nelle stagioni calcistiche 1977 – 78 e 1978 – 1979, lasciando un ottimo ricordo.

 Questi gli atleti impiegati durante il Campionato :

 BALDASSARRI – ARCANGELI – VALERIANI – BORDONI –

FAUSTI – ROTINI – VERZINI 

Questi alcuni risultati delle gare tratti dalla cronaca della “Nazione” :

 PONTEVALLECEPPI BEVAGNA (?)

  

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1982 – 1983 Partecipa al Campionato di PROMOZIONE a Girone unico di 16

squadre ( Città di Castello – Tiberis – Grifo Bonaca – Spoleto – Tavernelle – U.D.A. Sport – Julia Spello – Mar. Col. –

Magione – Narnese – Orvietana – Bevagna – Deruta – Gualdo – Nestor – Nuova Tiferno, che si classificheranno in questo ordine). La A.S. Bevagna si classifica al 12° posto insieme alla

Narnese e all’Orvietana realizzando……...Punti………...………28 sul campo, ma avendo avuto un punto di penalizzazione dalla Commissione Disciplinare, conclude a Punti…….27

 Il Presidente è PIETRO ADANTI.

L’allenatore è FAUSTO BRANDA

Questi gli atleti utilizzati durante il Campionato : 

MENGANA – PALINI – PELLICCIONI – SIENA – BENINCASA – PETRONI – BIAGETTI – ARCANGELI – SAVINI – VINTI –

TRABALZA – MAGGI –SALEMMI – BORDONI – PIZZONI – BATTISTELLI – SBARRA (?)

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1983 – 1984 Partecipa al Campionato di PROMOZIONE a Girone unico di 16

squadre (Tiberis – Julia Spello – Spoleto – Mar.Col – Deruta – Narnese – Gualdo

– Todi – Grifo Bonaca – Pianello – Valfabbrica – PonteFelcino – Magione – Orvietana – Tavernelle - Bevagna, che si classificheranno in questo ordine).

La A.S. Bevagna si classifica all’ultimo posto e viene retrocessa in 1^ Categoria assieme a Magione,

Orvietana e Tavernelle realizzando……………………..Punti……

……………….11  

Il Presidente è ANTONIO BOLDRINI. PIETRO ADANTI è il Direttore Sportivo.

L’Allenatore è il riconfermato FAUSTO BRANDA coadiuvato dal preparatore tecnico OTTAVI MAURO.

Alla 13^ Giornata, con il Bevagna in ultima posizione con soli 6 punti, l’allenatore Fausto Branda il giorno 13

dicembre 1983, rassegna le proprie dimissioni che vengono accettate. Al suo posta subentra LUCIANO

SINATRA che darà anch’egli le dimissioni dopo la gara persa in casa contro la Mar. Col.

Questi i giocatori utilizzati durante il Campionato :

MENGANA – INSERTI – PALINI – PIZZONI – BENINCASA - CACCIAMANI – SALEMMI – FONGO – BIAGETTI –

BUSCIANTELLA – ARCANGELI – POSSANZINI – SAVINI – TAMBURINI – BOCCOLINI – BINI – COSTANTINI - PROIETTI –

RIOMMI – PAGLIACCI - FARNELLI – BOCCI – BLASONI - BOLDRINI – MASSIMI (?) -

 Questi i risultati tratti dalle cronache della “Nazione” e

Corriere dell’ Umbria

BEVAGNA ORVIETANA 0 – 0

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TIBERIS BEVAGNA 1 - 1(Trefoloni su rigore al 28° - Autogol di Tinaglia al 75°)

BEVAGNA MAGIONE 2 – 1( Sorci al 13° - Maggi al 40° e al 65°)

 MAR. COL. BEVAGNA 2 – 0

(Musci al 18° - Poddi al 54°) BEVAGNA GRIFO B. 0 – 1

( Lentini al 15°) 

DERUTA BEVAGNA 3 – 2( Dominici al 10° - al 50° Belli – al 52° Maggi – al 54° Belli –

all’86° Maggi) BEVAGNA PONTEFELC. 0 – 4

( Al 1° Zeppetti – al 55° Angeli – Al 65 e al 90° Zeppetti)

GUALDO BEVAGNA 1 – 0( al 70° Saltutti su rigore)

 BEVAGNA NARNESE 1 – 1

(Riommi al 15° - Mercuri al 65°) 

VALFABBRICABEVAGNA 3 – 1( Bevanati al 24° - Sciacquabuti al 36° - Busciantella al 75° -

Bevanati al 76°) BEVAGNA JULIA 0 – 1

(Tacconi Piero al 40°) 

TODI BEVAGNA 3 – 1( Di Martino al 5° - Busciantella al 59° - Di Martino al 71° e 81°)

 BEVAGNA PIANELLO 1 – 1

( Pizzoni al 38° - Cozzali al 72° - Espulso l’allenatore Branda che verrà squalificato fino al 14/1/1984)

 BEVAGNA TAVERNELLE 1 – 0

(Salemmi al 6°)  SPOLETO BEVAGNA 3 – 0

(Comandini al 36° - Abrizi al 66° e al 79° su rigore)Nel tabellino compare quale allenatore Sinatra

 ORVIETANA BEVAGNA 1 - 0

( Peresso al 71°)Allenatore Sinatra

BEVAGNA TIBERIS 0 – 0(Allenatore Sinatra)

 MAGIONE BEVAGNA 1 – 0

( Renga al 34° su punizione)Espulso al 79° Arcangeli

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  BEVAGNA MAR.COL. 0 – 1

(Della Spoletina al 90°)Dopo questa sconfitta, Sinatra rassegna le proprie

dimissioni. La squadra, come si legge dal giornale , “è affidata in gestione ai giocatori”.

In settimana il Giudice Sportivo squalificherà per tre giornate ciascuno i giocatori del Bevagna Berretti –

Busciantella e Pizzoni  GRIFO CANNARA BEVAGNA 1 – 0

(Lentini al 21° su calcio di rigore, prima ribattuto da Mengana)  BEVAGNA DERUTA 0 – 0

(La gara è iniziata con quasi mezz’ora di ritardo a causa del fatto che il Bevagna ha atteso l’arrivo di Maggi, il quale non ha potuto presentarsi in tempo utile. Scenderà in campo al 25° e a pochi minuti

dal termine lo stesso giocatore sbagliava un calcio di rigore)  

PONTEFELCINO BEVAGNA 2 – 0( Gori al 18° - Bianchi al 69°)

Nei tabellini, compare quale allenatore BERRETTI. BEVAGNA GUALDO 0 – 1

(Sabatini al 75°) NARNESE BEVAGNA 2 – 0

(Mercuri 16° - Petroni al 24°) 

BEVAGNA VALFABB. 0 - 1(Fatabbi al 30°)

 JULIA SPELLO BEVAGNA 3 – 1

( Del Buono al 58° - Peppoloni al 72° - Tacconi all’84° - Tamburini all’87°)

Espulso al 49° Busciantella per proteste. BEVAGNA TODI 0 – 1

( Baldacchini al 63°) PIANELLO BEVAGNA 0 – 0 TAVERNELLE BEVAGNA 3 – 1

(Pieravanti al 28° - Cerbini F. al 47° - Tamburini al 48° - Pieravanti all’87° - Al 26° Mengana deviava un rigore di Pieravanti - Tamburini

falliva un calcio di rigore sul 2 –1 

BEVAGNA SPOLETO 1 – 4( Boccolini – autorete – al 10° - Taddei al 30° - Salemmi al 35° - Albrizi

al 65° - Lupi all’85°) 

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1984 – 1985 Partecipa al Campionato di 1^ Categoria – Girone “B” a 16 squadre ( Nuova Virtus Spoleto – Bastardo –

Bastia – Petrignano Binova – Bevagna – Orvietana – Costano – Norcia – Orte G. Filesi – Casciana – Fossato – Clitunno – Subasio – Amerina – Pontevalleceppi – San Gemini, che si classificheranno in

questo ordine). La A.S. Bevagna si classifica al 5° posto a pari merito con

Petrignano e Orvietanarealizzando

………………..Punti……………………….33  

Il Presidente è PIETRO ADANTI 

L’allenatore è ANGELO BERRETTI 

Questi i giocatori impiegati durante il Campionato : 

MENGANA – PALINI – PIZZONI – CACCIAMANI - BORDONI – MASSINI – BIAGETTI - BOCCOLINI – BENINCASA – TACCUCCI – ARCANGELI – FAUSTI – PAZZAGLIA – TAMBURINI – FORNETTI – TILI – ANTINORI -

LEMMI – PROIETTI – BERRETTI II – PANTALLA I – PANTALLA II - 

Questi i risultati tratti dalle cronache del “Corriere dell’Umbria” :

 SANGEMINI BEVAGNA 0 – 1

(Rete ?) 

BEVAGNA FOSSATO 1 – 1(Arcangeli al 20° - Giovagnoli su rigore al 30°)

 BEVAGNA CLITUNNO 2 – 0( Donati – autorete – al 40° - Pazzaglia all’85°)

 PONTEVALLECEPPI BEVAGNA 0 – 1

(Tamburini al 22° - Espulsi Pelliccia – Pizzoni e Pazzaglia)Bevagna, dopo 4 gare è in testa alla classifica, seguita dallo Spoleto

 BASTIA BEVAGNA 1 – 0

(Ferroni al 47°) 

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BEVAGNA BASTARDO 0 – 2(Penzi al 46° - Sbarra al 70°)

 AMERINA BEVAGNA 0 – 2

( Tamburini – Tili) 

BEVAGNA ORTE 2 – 2( Bellicelli al 20° - Mori al 58° - Tili al 65° - Pizzoni all’85°)

 ORVIETANA BEVAGNA 0 – 1BEVAGNA SUBASIO 0 – 0

 PETRIGNANO BEVAGNA 0 – 0

(Espulso Palini) 

BEVAGNA COSTANO 2 – 0( Antinori al 3° - Tili all’85°)

 NORCIA BEVAGNA 3 – 0

(Boccolini Matteo al 18° - De Ciantis al 44° - Taraddei al 65°)Le squadre hanno giocato con il lutto al braccio ed hanno osservato un minuto di raccoglimento per la prematura scomparsa del figlio del

presidente Adanti 

BEVAGNA CASCIANA 0 - 0(Rinviata – il 6 gennaio 1985 – per neve, si è recuperata il 20

gennaio) 

N.V. SPOLETO BEVAGNA 1 – 1( Tili - Isidori all’89°)

 BEVAGNA SANGEMINI 2 – 0

( 18° Palini – Allegretti ad inizio ripresa) 

FOSSATO BEVAGNA 1 – 0( Vinti al 65°)

 CLITUNNO BEVAGNA 0 – 1

( Pizzoni su rigore al 52°)Espulsi Tili al 42 à Allegretti al 58°

 BEVAGNA PONTEVALLECEPPI 2 – 2

(Tamburini al 10° - Tamburini al 30° - Roscini al 44° - Arcelli al 55°)  

BEVAGNA BASTIA 0 – 0 

BASTARDO BEVAGNA 1 – 1(Tili al 37° - Federici al 70° 

BEVAGNA AMERINA 2 – 1( Tamburini al 60° - Magni al 70° - Cacciamani all’80°)

 ORTANA BEVAGNA 2 – 1

( Pellicelli al 10° - Ciani al 54° - Tamburini al 90°) 

BEVAGNA ORVIETANA 1 – 0( Tamburini al 70°)

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Espulso Tili al 35° 

SUBASIO BEVAGNA 0 – 0 

BEVAGNA PETRIGNANO 0 – 1( Bolletta al 30°9

 COSTANO BEVAGNA

 BEVAGNA NORCIA 1 – 1

(Boccolini al 20° - Tamburini al 30°)Espulso Arcangeli nel primo tempo

 CASCIANA BEVAGNA 2 – 2

 BEVAGNA N.V. SPOLETO 0 – 1

(Petrini al 25°) 

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1985 – 1986 Partecipa al Campionato di 1^ Categoria – Girone “B” a 16 squadre (Todi – Petrignano Binova – Bastia –

Casciana – Fossato di Vico – Torgiano – Dinamo Borgo Bovio – Clitunno –

Costano – Orte G. Filesi – Subasio – Bettona – Norcia – Pontenuovo – S.

Terenziano A.Z., che si classificheranno in questo ordine).La A.S. Bevagna si classifica all’8°

posto a pari merito con il Clitunno ed il Costano.

realizzando….………..Punti……………………….. 29

con 7 vittorie – 15 pareggi – 8 sconfitte . Le reti fatte sono 23, mentre quelle

subite sono 24.Todi e Bastia (ripescata) sono

promosse in Promozione.Norcia, Pontenuovo e S. Terenziano

retrocedono in 2^ categoria. La Casciana 1 punto di penalizzazione.

Il Presidente è  

L’allenatore è ANGELO BERRETTI 

Questi i giocatori impiegati durante il Campionato : 

VERGINI – PALINI – MATTIOLI – BORDONI – PANTALLA SANDRO – PANTALLA MORENO - BOCCOLINI – CASTELLANI – TILI – ANTONINI – FINZINI – SERENI SENSINI – BARBINI - ALLEGRETTI – TAMBURINI –

ASSUNTI – ALEANDRI - ANDREOLI - 

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La squadra “GIOVANISSIMI” vince il campionato autunnale e poi nello spareggio contro la VIS FOLIGNO , vincente del Girone “B” , con un rigore trasformato nel primo tempo supplementare da Palmioli, si

aggiudica il titolo di Campione regionale. L’allenatore è GRAZIANO ZAMPETTI e la rosa è composta da :

Ciancaleoni – Pericoli – Drauli – Morlupo – Mariani – Buccioli – Ricci – Palmioli – Ramazzotti – Mesca - Ottavi

 Questi alcuni risultati tratti dalle cronache del “Corriere dell’Umbria” :

 BETTONA BEVAGNA 0 – 0

 BEVAGNA BASTIA 2 – 2

(Ferroni - su rigore - al 5° - Tamburini al 10° - Sensini al 60° - Falcinelli al 75° )

 ORTE BEVAGNA 1 – 1

(Buzzigotti al 15° - Tili al 30°) 

SUBASIO BEVAGNA 0 – 0 

BEVAGNA FOSSATO 2 – 1(Cioli al 18° - Tili al 55° - Tili al 70°)

 NORCIA BEVAGNA 0 – 0

 BEVAGNA TORGIANO 3 – 0

(Tamburini al 15° - Aleandri al 50° - Tamburini all’80°) 

PETRIGNANO B. BEVAGNA 0 – 0(Al 47° Castellani si fa parare un rigore da Raspa)

 BEVAGNA COSTANO 0 – 0

(Contestato l’arbitro Ventanni di Perugia) 

TODI BEVAGNA 2 – 1(Rete del Todi – Tamburini – Rete del Todi all’85°)

 BEVAGNA S. TERENZIANO 1 - 0

 CLITUNNO BEVAGNA 2 – 0

 BEVAGNA DINAMO B. B. 2 - 0

 CASCIANA BEVAGNA 1 - 1

 BEVAGNA PONTENUOVO 0 – 1

(Sabatini al 68°) 

BEVAGNA BETTONA 0 – 0 

BASTIA BEVAGNA 2 – 0(Rigore negato dall’arbitro Fagiolino di Orvieto – Tamburini

si lussa una clavicola)

BEVAGNA ORTE 1 – 0

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(L’incontro si è disputato sul campo neutro di Cannara –Burzigotti non trasforma un rigore – Segna il gol della

vittoria al 60° Boccolini) 

BEVAGNA SUBASIO 1 – 1(Sensini al 15° - Espulso Pantalla – Venarucci al 65°)

 FOSSATO BEVAGNA 2 – 0

BEVAGNA NORCIA 2 – 2(Rete nella ripresa per il Norcia – Tili – Tili – Taddei)

 TORGIANO BEVAGNA 1 - 0

BEVAGNA PETRIGNANO 0 – 0 

COSTANO BEVAGNA 1 - 0 

BEVAGNA TODI 1 – 1(L’arbitro Gaetano Fernandez di Terni, di anni 23,viene aggredito al termine della gara.I facinorosi danneggiano gravemente anche la sua auto.L’arbitro aveva concesso un calcio di rigore al Todi a5 minuti dalla fine quando il punteggio era di 1 – 0per il Bevagna. Per difendere l’arbitro sono intervenutii carabinieri).

 S. TERENZIANO A.Z. BEVAGNA 2 – 2

 BEVAGNA CLITUNNO 1 – 0

 DINAMO B.B. BEVAGNA 1 – 0

 BEVAGNA CASCIANA 0 – 0

 PONTENUOVO BEVAGNA 1 - 2

 

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1986 – 1987 Partecipa al Campionato di 1^ Categoria – Girone “B” a 16 squadre Cannara – Bettona – Clitunno – Massa Martana – Costano – Subasio – Dinamo Borgo Bovio – Orte G. Flilesi – Fossato –

Casciana – Passaggio – Palazzo – Petrignano – Binava – Bevagna –

Torgiano – Amerina.La A.S. Bevagna si classifica al…. posto

realizzando …………..Punti……………………….

ma retrocede in 2^ Categoria insieme con il Clitunno. 

Il Presidente è ADANTI PIETRO 

L’allenatore è ZAMPETTI GRAZIANO che rassegnerà le dimissioni nei primi giorni di Gennaio 1987, dopo la gara interna contro il Clitunno. Il Bevagna sotto la sua guida su 15 gare aveva totalizzato solamente 12 punti frutto di 3 vittorie 6 pareggi e 6 sconfitte, 19 gol realizzati e 18

subiti e con una media inglese di –11.Al suo posto subentra Fabio Castellani, giocatore della rosa di prima

squadra. Dalla gara interna contro il Torgiano siede in panchina Migliorelli.

 Questa la rosa della prima squadra :

ALEANDRI ERALDO – ALEANDRI FABIO – ANDREOLI INNOCENZO – ANTONINI STEFANO – ASSUNTI ALFREDO – CAPUANI NOBILE –

CAPOBUIANCO DANIELE – CASTELLANI FABIO – DELLA SPINA MASSIMO – MAITINI MAURIZIO – MATTIOLI CLAUDIO – MONDI ROBERTO – NARDI

MASSIMO – PANTALLA MORENO – PELLICCIONI MARCO – SERENI LUCIANO – STELLA SANTE – VERGINI PAOLO – TILI – TRABALZA –

PELLERITO - A novembre due acquisti : Cipriani e Rosati, ambedue provenienti

dalla Virtus Spoleto 

Questi i risultati tratti dalle cronache del “Corriere dell’Umbria” : 

PETRIGNANO B: BEVAGNA 1 - 1(Rete del Petrignano su rigore – Pareggio con Mattioli)

 BEVAGNA CANNARA 1 - 2

 TORGIANO BEVAGNA 1 - 0

 

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BEVAGNA COSTANO 2 – 3(La sconfitta per un’autorete di Della Spina)

 BETTONA BEVAGNA 1 – 1

BEVAGNA DINAMO B.B. 4 – 1(Al 10° De Angelis – Al 20° Rosati – poi altra rete di Rosati

e doppietta di Cipriani) 

BEVAGNA SUBASIO 4 – 0(Stella – Pantalla – Capuani – e Mattioli)

 AMERINA BEVAGNA 1 – 0

(Mazzoni allo scadere del I tempo)BEVAGNA MASSA M 1 – 1

(Stella al 65° - Bellini). 

CASCIANA BEVAGNA 1 – 1(Capuani - ?)

 BEVAGNA PALAZZO

 ORTE G. FILESI BEVAGNA

 BEVAGNA PASSAGGIO

 FOSSATO BEVAGNA

 BEVAGNA CLITUNNO 0 – 0

(Un magico Vergini salva il Bevagna) 

BEVAGNA PETRIGNANO .0 - 0 

CANNARA BEVAGNA 1 – 1(Al 16° Torti – Al 75° Stella)

 BEVAGNA TORGIANO 1 – 1

(Al 15° Maitini – Al 60° Renga) 

COSTANO BEVAGNA 2 – 1(Al 3° Fioriti – Al 26° Tili – al 68° Dionigi)

 BEVAGNA BETTONA 1 – 2

(Castelli - su rigore – Ciammarughi allo scadere del 1° tempo –Massetti )

 DINAMO B:B. BEVAGNA 1 – 0

(al 79° Di Martino che era anche l’allenatore della Dinamo B.B.) 

SUBASIO BEVAGNA 1 – 2(Al 12° Carpirassi R. – Al 32° Maitini – Al 35° Mattioli)

Allenatore della Subasio è Paffarini. 

BEVAGNA AMERINA 2 - 1(Clamorosa vittoria del Bevagna sulla capolista –

Al 15° Pietrini – al 60° Stella – Al 78° Maitini)

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 MASSA MARTANA BEVAGNA 1 – 1

(Al 2° Cipriani – Al 63° Mottini) 

BEVAGNA CASCIANA 

PALAZZO BEVAGNA 3 – 0(Al 35° Sepe – Al 65° Marini Roberto – Al 85° Pazzaglia)

  

BEVAGNA ORTE G F. 1 – 1(Al 10° Balestrucci – Al 30° Maitini)

 PASSAGGIO BEVAGNA 1 – 1

(? – Ferramonti al 44°) 

BEVAGNA FOSSATO 0 – 0

CLITUNNO BEVAGNA

ICONOGRAFIA RELIGIOSA A BEVAGNA E NEL SUO TERRITORIO 

PREMESSA

 

Questo modesto lavoro di ricerca sull’ICONOGRAFIA RELIGIOSA A BEVAGNA E NEL SUO TERRITORIO

vuol apportare un contributo alla conoscenza di quel passato in cui si sviluppò e prese forma artistica la

VENERAZIONE verso quelle figure di SANTI che hanno accompagnato costantemente la vita della nostra

Comunità.

Una Comunità storicamente tesa a proporre e consolidare la propria coscienza religiosa fin dai tempi più antichi

e che seppe svolgere un ruolo importante anche con delle iniziative indelebili che hanno costituito fermi punti di

riferimento di fede autentica. Agli albori del secondo millennio, come per incanto, Bevagna si dotò infatti, al suo

interno, di molte chiese che, pur nella loro semplicità, conservarono e conservano tuttora, una grande valenza

artistica. S.MARIA DEI FIGLI DEL CONTE, S.SILVESTRO, S.MICHELE ARCANGELO, S.PIETRO,

S.GIOVANNI, S.MARIA IN LAURENTIA, S.VINCENZO, S.NICOLO’, S.LEONARDO, rappresentavano i

fulcri ed i luoghi di raccoglimento delle famiglie delle GAITE medievali.

 

Una ricerca, questa, che ha dimostrato tanti punti di riferimento per una fede religiosa che, anche se varia nei

suoi personaggi, ha condotto ad un unico obiettivo: testimoniare, attraverso le immagini dipinte, la volontà di

essere una Comunità fedele e rispettosa.

Più di 130 Santi e Beati, raffigurati in quadri ed affreschi, hanno saputo trasmettere, nei secoli, quel modo

autentico di intendere la FEDE. Ed è stato bello, per me, ritrovare, attraverso le serenità di quei visi, di quei

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movimenti, di quegli accostamenti iconografici, quelle doti di umiltà, quel fervore religioso che ha

contraddistinto i vari personaggi rappresentati così realisticamente.

 

Si è inteso “rinnovare” quell’antico legame della nostra Comunità verso questi simboli di cristianità. Personaggi,

per se stessi quasi ignoti, di altre Nazioni, che certamente avevano colpito le menti e le coscienze d’allora in un

connubio di ideale vicinanza e di egoistico possesso.

 

Quando, nella penombra della sera, alla luce di tremule torce, le Chiese, con i loro Altari, con le loro colonne di

travertino antico, accoglievano umili popolani con le loro donne ed i loro figli, dietro l’acre fumo della cera, quei

volti di Santi prendevano forma ed erano lì a proteggere, con la loro presenza, quel popolo di credenti.

Mani protese, in segno di venerazione, si stendevano verso quelle immagini suggestive, chiedendo una grazia

per allontanare i mali terreni. Sono trascorsi i secoli, molti da allora, ma quelle immagini sono restate immutate a

testimoniare che la fede, che divise a volte e fece discutere per i suoi dogmi e per le sue inquisizioni, seppe far

unire e riflettere attraverso queste opere d’arte, quel popolo sul significato vero della devozione che è l’unica e

vera condizione per elevare lo spirito e le coscienze.

L’Autore

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ICONOGRAFIA RELIGIOSA A BEVAGNA E NEL SUO TERRITORIO 

INDICE DEI SANTI RAPPRESENTATI

 

AGATA

AGNESE

AGOSTINO (DA IPPONA)

ALBERTO MAGNO

ANDREA APOSTOLO

ANDREA AVELLINO

ANGELICO

ANGELO DA LICATA

ANGELO MARTIRE A CEUTA

ANNA

ANNUNCIAZIONE

ANSANO

ANTONIO ABATE

ANTONIO DI PADOVA

APOLLONIA

APOSTOLI

AUREA

AUSTREBERTA

BATILDA

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BEATRICE D’ESTE

BENEDETTO DA NORCIA

BENIGNO

BERNARDINO DA SIENA

BERNARDO

BIAGIO

BONAVENTURA

CARLO BORROMEO

CATERINA D’ALESSANDRIA

CATERINA DA SIENA

CECILIA

CESARE DE BUS

CHIARA DI ASSISI

CHIARA DA MONTEFALCO

CLEMENTE

CRISTO RISORTO

CRISTOFORO

CROCEFISSO

CUNEGONDA

DANIELE MARTIRE A CEUTA

DAPSA SOFITEA

DIEGO

DIONISIO

DOMENICO

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EDVIGE

EGIDIO DI ASSISI

ELENA

ELIA PROFETA

ELISABETTA

ELISEO PROFETA

EUFRASIA o EUFROSINA DELLA TEBAIDE

EUGENIA

EVA

FAUSTINO

FELICIANO

FILIPPO NERI

FRANCESCA ROMANA

FRANCESCO D’ASSISI

FRANCESCO DI PAOLA

FRANCESCO SAVERIO

FUGA IN EGITTO

GELTRUDE

GIACINTO DI POLONIA

GIACOMO BIANCONI

GIACOMO DELLA MARCA

GIOACCHINO

GIORGIO

GIOVANNI APOSTOLO

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GIOVANNI BATTISTA

GIOVANNI DA CAPESTRANO

GIROLAMO

GIULIA DELLA CORSICA

GIULIANA

GIUSEPPE

GREGORIO MAGNO

IDIA

IGNAZIO DI LOYOLA

ILDEGARDA

IMMACOLATA CONCEZIONE

ISTITUZIONE DELL’EUCARESTIA

LEONARDO DI AQUITANIA

LIBERATO

LORENZO

LUCA EVANGELISTA

LUCIA

LUDOVICO RE

LUDOVICO VESCOVO

LUIGI GONZAGA

LUTGARDA

MADONNA

MADONNA CON BAMBINO

MADONNA DELLA MISERICORDIA

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MADONNA DEL ROSARIO

MADONNA DI LORETO

MAGI

MARCO

MARIA CONTESSA

MARIA EGIZIACA

MARIA MADDALENA

MARIA MADDALENA DÈ PAZZI

MARGHERITA DI ANTIOCHIA

MARGHERITA DA CORTONA

MARTA

MARTINO DE PORRES

MATTEO EVANGELISTA

MATILDE

MICHELE ARCANGELO

MONICA

MOSE’

NATIVITÀ

NICOLA DI BARI

NICOLA DA TOLENTINO

ONOFRIO EREMITA

ORSOLA

PAOLO APOSTOLO

PASQUALE BAYLON

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PIETÀ

PIETRO APOSTOLO

PIETRO D’ALCANTARA

PIETRO MARTIRE

PIETRO MARTIRE A CEUTA

PIO V

REDEGONDA

RITA DA CASCIA

ROCCO

ROSA DA LIMA

SACRA FAMIGLIA

SACRO CUORE DI GESU’

SALVATORE DA HORTA

SAMUELE MARTIRE A CEUTA

SCALA SANTA E SUOR BATTISTA

SCOLASTICA

SEBASTIANO

STEFANO

STRAGE DEGLI INNOCENTI

STRATONICO

TARCISIO

TERESA D’AVILA

TOBIOLO

TOMMASO APOSTOLO

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TOMMASO D’AQUINO

TRINITÀ

UBALDO

VIA CRUCIS

VINCENZO FERRERI

VINCENZO VESCOVO

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SANT'AGATA

 

1) Nella Chiesa di Sant'Agostino, nell'affresco detto della Madonna della Rondinella, vi è

una bella raffigurazione di Sant'Agata5[1] che fa corona con Sant'Apollonia, San Francesco

d'Assisi e San Giovanni Battista alla Madonna in Trono con Bambino. La Santa siciliana

(era nata secondo la tradizione a Catania nel III sec. e subì il martirio sotto l'imperatore

Decio), è in piedi, alla destra della Madonna (che ha il volto simile alle due Sante) mentre

regge nella mano destra, il piatto contenente le mammelle che le furono estirpate durante la

tortura. Ha capelli biondi terminanti con una spessa treccia sovrastante la testa. Nella mano

sinistra (che non è visibile), si scorge la parte finale della palma, simbolo del martirio.

Indossa ricche vesti che simboleggiano le sue origini reputate nobili. È invocata contro i

terremoti e le eruzioni vulcaniche e, per estensione, contro gli incendi (per questo a volte

regge un edificio in fiamme).

 

2) Nella Sacrestia di Sant'Agostino vi è un bel quadro di Don Giuseppe Aleandri del

XVIII sec. (La data è in parte visibile sul lato sinistro. A circa metà altezza, infatti, c'è la

scritta G M A AD 17...). Vi sono raffigurati, in alto su di una nuvola, S.Antonio Abate ed

in basso, Sant'Agata e Santa Apollonia. Sant'Agata è rappresentata in piedi in un

abbigliamento tipicamente campagnolo ma sontuoso e variamente colorato, mentre regge

con la mano destra il piatto contenente le mammelle.

Chissà quali bellezze di Bevagna accesero la fantasia del pittore!

Questo quadro venne esposto, nel 1903 (insieme ad altri 19), in occasione del III

Anniversario della nascita di A.Camassei.

 

3) Nella Chiesa di Santa Maria Assunta (del sec. XVI) a Castelbuono, nella parte destra

della parete verso l'Altare Maggiore, vi è una Edicola molto affrescata e ricca di

personaggi. Tale edicola è dedicata alla Madonna del Rosario. Nella parte centrale è

rappresentata una dolce Madonna che stende, in atto di protezione, il suo manto azzurro

5[1] Vergine e Martire alla quale era dedicato un antico culto cristiano: protettrice degli studenti e patrona

della cultura in genere. La sua festa si commemora il 25 novembre ed in special modo a Venezia, Mantova,

Sabbioneta, Guastalla, Scala di cui protettrice. S.Caterina è invocata dalle donne lattanti, dai naufraghi e

contro l’emicrania.

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sopra uno stuolo di devoti inginocchiati tra i quali si scorgono un San Domenico (forse

aggiunto un secondo momento da Ascensidonio Spacca) e Sant'Agata.

Nella volta dell'affresco vi sono raffigurati tredici episodi della vita di Gesù.

L'attribuzione dell'opera è ignota, ma collegata alla Istituzione della Confraternita del SS.

Rosario, autorizzata nel 1585.

In quest'affresco la Santa reca l'aureola sul capo i cui capelli biondi raccolti dietro e il viso

da leggiadra e innocente fanciulla, la fanno apparire quasi distaccata ed indipendente dal

resto del gruppo dei devoti. Infatti il suo sguardo è rivolto verso chi guarda il dipinto e

mostra, su un piatto, le mammelle estirpate durante il martirio. (Essendo all'estremità

destra dell'affresco, sembra che volutamente l'autore l'abbia inserita o che sia stata, come il

San Domenico, aggiunto in un secondo tempo).

 

4) Altra immagine raffigurante Sant'Agata, ma in questo caso opera in gesso che è

collocata in una decorata nicchia di stucchi con cornice a borchie dorate, si trova nella

Cappella della Madonna del Carmine o Cappella Spetia nella Collegiata di S.Michele.

È una statua molto grande, un pò deteriorata dal tempo. Regge nella mano sinistra le

tenaglie che vennero usate per estirparle le mammelle che sono rappresentate in basso su

un vassoio, a forma di calice.

 

5) Sul Campanile di S. Maria Assunta a CASTELBUONO, che sovrasta il paese, sono

alloggiate tre campane. Due sono state fuse in epoca recente (1924), mentre l’altra è assai

importante perché reca impresso lo stemma dell’antico Castello costituito da Tre Torri

merlate con incise le iniziali C. S. B. che dovrebbero corrispondere a CASTELBUONO.

Sul bordo superiore di questa Campana, vi è una scritta gotica dove si può leggere il solito

motto taumaturgo del Sepolcro di Sant’Agata, protettrice dei fonditori : ANCANEAM.

HONOREM. DEO. ET. PATRI. FILII. SPIRIT. SANCTU. DEI. E poi l’anno

MICCCCCXIII (1513). Le due campane sono, come detto, di epoca recente. Quella di

sinistra del 1924.

C’è la data impressa MCMXXIV e la Ditta: PREMIATA FONDERIA COMM.

PONTIFICIO CAV. GIUSEPPE PASQUALINI E FIGLI - FERMO Quella posta al centro

reca la scritta : SBICCA PAOLO E BIANCHI FRANCESCO CON QUESTUA DEL

POPOLO F. F. ANNO MCMXXIV. ( la Ditta è la stessa).

 

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6) Anche a Limigiano sul bordo di una campana, fusa nel 1638, si ricorda S.Agata.

Questa è la scritta che si conserva: XPVS VINCIT XPVS REGNAT XPVS IMPERAT

XPVS ABO MNIMALO NOS DEFENDI AD MDLXXXVIII SS D N D VRBANI VIII

NEP ABBAS + ANT BARBERINUS S.S. R E CARD. TIT S. AGATHA

COMMENDATARIUS ECCLE S MICHEL ARCANG LIMIGEANI PERPETUUS. C’è

anche il nome della fonderia: PETRUS DOIPSMONT GALLUS UN AC UM SUIS FILIIS

IOANNES ET BAPTISTA PERUSINI FUDERUNT

  

  SANTA AGNESE

 

1) S. AGNESE, Vergine e Martire, fu una delle prime Sante Cristiane. Visse a Roma al

tempo delle persecuzioni di Diocleziano, nel 3036[1]. Suo immancabile attributo è

l’AGNELLO, rannicchiato ai suoi piedi o da lei retto. Essa è raffigurata in uno dei 5

pannelli dipinti che si trovano presso la Chiesa della Madonna del Monte. Regge nella

mano destra la palma ed amorevolmente anche un piccolo agnello. Il culto di AGNESE è

molto antico e già COSTANTINA, figlia di COSTANTINO il GRANDE, le fece erigere

una Chiesa sulla Via Nomentana. Di lei scrive anche il poeta latino cristiano PRUDENZIO

(348 - dopo il 405) e la esalta Papa DAMASO (1-X-366 - 2-XII-384). La festa si celebra il

21 Gennaio. S. AGNESE è protettrice dei giardinieri. (L’Archiatro Pontificio Lapponi, nel

1903, eseguì la ricognizione delle reliquie di S.Agnese confermando che l’età della Santa,

quando subì il martirio, doveva essere tra gli 11 ed i 13 anni).

 

2) A LIMIGIANO, all’interno della stanza adibita a magazzino (dove trovasi la pietra

tombale altomedievale, murata nella finestra), c’è un quadro rappresentante S. AGNESE.

Non è quadro ad olio, ma è una immagine su carta. S. AGNESE, con lunghi capelli neri, ha

in testa una corona con diademi, l’aureola e veste un ricco abito gentilizio abbellito da

6[1] Caterina Benincasa, mistica cristiana appartenente all’Ordine Domenicano, nacque a Siena nel 1347.

Penultima dei venticinque figli di un artigiano, fu assai precocemente, ispirata a farsi monaca fin dall’età di

sette anni entrando nel 1362 tra le Mantellate domenicane. Convinse il Papa Gregorio XI a tornare a Roma da

Avignone, svolse propaganda a favore di una nuova crociata e tentò di comporre lo Scisma d’Occidente.

Venne in fama di Santità ed ebbe le stimmate a Pisa (1375) nella Cappella di S.Cristina. Fu anche grande

scrittrice. Morì a Roma nel 1380. Nel 1939 Pio XII la proclamò compatrona d’Italia (con S.Francesco

d’Assisi) e Paolo VI nel 1970 la inserì nella ristretta cerchia dei Dottori della Chiesa.

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pietre preziose. Ha l’Agnello a fianco e regge con la mano sinistra la palma del Martirio.

Sotto la scritta: S. AGNES. V. M. In questa stanza vi sono anche due coppie di artistici

lumi da processione.

 

 

 

SANT’ANGELO DA LICATA

 

1) Nella parete destra della Cappella della Madonna del Carmine (lato sinistro) è

raffigurato questo Santo Carmelitano nato a Gerusalemme nel 1185 e morto a Licata nel

1220.

Si era convertito dal Giudaismo. Martire della fede, fu mandato a morte da un eretico,

Berengario, durante la sua predicazione in Sicilia. La festa si celebra il 5 maggio (Alcuni

testi lo identificano con il nome di Angelo da Licata e l’anno della morte con il 1225).

Veste l’abito tradizionale dei Carmelitani Scalzi con palma e libro retto con la mano

sinistra.

 

 

 

SANT’ANGELO MARTIRE A CEUTA

 

1) Nell’Annalecta Franciscana si narra di questo Martire ucciso con altri suoi compagni a

Ceuta, in Marocco. Presso il Chiostro del Convento dell’Annunziata, è raffigurato, in un

ovale, adorno dell’aureola dei Santi e con il simbolo del Martirio subìto nel nome di Cristo

:una mannaia che offende la testa. S. ANGELO veste il saio dell’Ordine Francescano.

 

SANT'ANNA

 

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1) È rappresentata in una tela (di ignoto del sec. XVI - secondo il Prof. Pietrangeli - e di

Ascensidonio Spacca secondo "Ricerche in Umbria nr. 2" pag. 422) che si trova nella

seconda Cappella a sinistra della Chiesa di San Francesco. In questo quadro vi è

rappresentata la SS. Trinità, al centro l'Immacolata poggiante i piedi sul mondo e a destra,

in atto di adorazione, Sant'Anna, in ginocchio e dall'aspetto maturo. A sinistra è raffigurato

San Gioacchino7[1].

7[1] Si tratta di Paolo Andreozzi, nobile di Bevagna.

 

 

 

 

SANTA CHIARA DA MONTEFALCO

 

1) Centosedici anni fa Papa Leone III, già Vescovo di Spoleto e grande devoto, canonizzò

Chiara da Montefalco dopo che nel 1742 era stata beatificata.

La Santa era figlia di un piccolo possidente di campagna di nome Damiano che aveva le

terre forse nella frazione di Casale ed anche una casetta fuori le mura di Montefalco.

La sorella maggiore di Santa Chiara, Giovanna, chiese al padre di potersi ritirare lì con

alcune compagne (1275). L’esempio di Chiara d’Assisi , morta pochi anni prima (1253) e

canonizzata solo due anni dopo, era invitante. E poi Chiara, nata nel 1268, ne aveva avuto

il nome. E volle, a soli sei anni, seguire la sorella e altre amiche. Dicevano di essere state

rapite da quel fuoco mistico che ardeva verso Assisi. Crebbe senza cultura, senza

esperienza del mondo turbolento di allora. Eppure fu subito nota la sua sapienza ad uomini

eminenti che le fecero visita: medici, maestri, predicatori, confessori, giuristi. Ebbe il dono

della chiaroveggenza: a qualcuno che tentò spiritualmente di imbrogliarla, svelava

l’inganno. Parlava latino e, una volta, ebbe un colloquio in francese con Margherita da

Carcassona, venuta in Italia per il Giubileo del 1300.

Chiara meditò e visse continuamente i dolori di Cristo Crocefisso. Alla sua morte furono

trovati nel suo cuore una Croce, tre chiodi, la lancia, la spugna, la canna, il flagello con

cinque funicelle, la corona e nel fegato, tre sassolini, che collocati comunque sulla bilancia,

separati o assieme danno lo stesso peso: la Trinità.

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Chiara fu Superiora del suo Monastero appena ventitreenne, alla morte della sorella Beata

Giovanna (1291). Morì il 17 agosto 1308 a quarant’anni.

Chiara fu prima Terziaria Francescana, poi Agostiniana per questo nell’iconografia è

ritratta negli abiti dei due Ordini. Nell’andito a sinistra della Cappella della Madonna del

Carmine in S.Michele è raffigurata in un affresco Santa Chiara da Montefalco in atto di

adorare il Crocefisso posto sopra di lei, riproponendo l’episodio miracoloso descritto nella

sua biografia tra cui la visione di Cristo Crocefisso. Indossa l’abito Agostiniano. Reca nella

mano destra il giglio, ha un cuore sul petto e nel palmo aperto della mano sinistra forse

qualche strumento della passione di Cristo.

2) Una significativa immagine di Santa Chiara da Montefalco è quella che si ammira nella

tela presso l’altare di sinistra della Chiesa della Madonna del Monte. La Santa è

raffigurata in atto di devozione verso la Vergine con Bambino. E’ vestita dell’abito

dell’Ordine mentre regge nella mano sinistra un giglio fiorito e nella destra un cuore che

poggia sul petto.

 

3) Un quadro conservato nella Pinacoteca Comunale ha per titolo S.Chiara della Croce .

Raffigura una monaca vestita con l’abito dell’Ordine Domenicano (?) mentre in ginocchio

davanti ad un altare aiuta il Crocefisso a scendere dalla Croce sorreggendolo con le sue

mani. A destra, in alto, due piccoli Angeli assistono alla scena. Si tratta dell’episodio

miracoloso in cui S.Chiara da Montefalco ebbe in visione il Cristo Crocefisso che scendeva

dalla Croce. La tela misura 98 x 75 ed è ascrivibile al XVII° secolo.

 

4) Nel locale adibito a “Parlatorio” della Chiesa Monastero di Santa Margherita è

conservato un bel quadro raffigurante S.Chiara da Montefalco in atto di mostrare il cuore

su cui si nota la croce ed i simboli della Passione. La Santa è adorna di aureola, veste

l’abito dell’Ordine Agostiniano. A lato, su di un tavolo con tovaglia rossa, si scorgono: un

giglio ed un libro aperto. Una luce dall’alto squarcia le nubi ed investe la Santa di

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8[5] Si leggono alcune lettere .... LITUS che potrebbero essere IPPOLITO o CRISPOLITUS e poi

del cognome che dovrebbe essere assai breve (4 - 5 lettere) e trattasi di un BECI o un CINZI, forse

più probabilmente un BECI.

 

APOSTOLI

 

Montefalco.

 

 

 

S. CLEMENTE MARTIRE

 

1) Di questo Martire che fu il terzo Papa dopo S.Pietro (S.Lino - S.Anacleto e quindi

S.Clemente) non esistono effigi nel territorio bevanate. In una piccola teca cinquecentesca

(che un tempo si conservava nella Cappella Spetia in S.Michele e che attualmente è

sistemata nel locale dove è collocata la statua argentea di S.Vincenzo) intarsiata e con fregi

in oro, si legge al centro, entro uno stemma,

S.CLEMENTIS M

CORPUS

Vi saranno certamente conservate alcune reliquie di questo Santo Martire il primo dei

cosiddetti Padri Apostolici, coloro cioè che si riteneva fossero stati discepoli diretti degli

Apostoli. La leggenda narra che avendo rifiutato di rinnegare la propria fede fu mandato in

Crimea a lavorare nelle cave di marmo; qui capitò che un giorno dissetasse i suoi

compagni come aveva fatto Mosè nel deserto. In un’altra occasione i suoi persecutori gli

legarono al collo un’ancora e lo gettarono in mare: le acque si ritirarono e sul fondo del

mare comparve un Tempio all’interno del quale si rinvenne il corpo di Clemente. Si diceva

che il fenomeno dell’aprirsi delle acque si ripetesse annualmente ed il luogo divenne meta

di pellegrinaggi. Come figura devozionale Clemente indossa gli abiti pontificali e la Tiara.

Il suo più consueto attributo è l’ancora, simbolo cristiano di fermezza e di speranza.

S.Clemente rimise in uso il Sacramento della Cresima secondo il rito di S.Pietro.

La festa si commemora il 23 novembre. Papa Clemente si ricorda anche per la famosa

“lettera ai Corinti” (che è il primo documento papale) scritta tra gli anni 93 e 97, mentre

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1) Nella Chiesa Santuario della Madonna delle Grazie, in un’olio su tela ( 201 X 115)

attribuito ad Ascensidonio Spacca, compaiono i 10 Apostoli che circondano la Tomba

vuota della Vergine assunta in cielo9[1], dopo tre giorni dalla sua morte.

Gli Apostoli alzano gli occhi sgomenti verso l’alto. Il Sepolcro vuoto, contiene gigli e rose.

In basso una iscrizione su tavola: “VIRGINIS UT CORPUS VIDEANT MONUMENTA

RECLUDUNT // CORPUS ABEST SUPERIS INDE REFLECTIS ODOR//”. La Pala è

inserita in una cornice riccamente decorata da stucchi bianchi e dorati; ai lati sono due

era ancora in vita l’Apostolo Giovanni.

 

 

 

CRISTO RISORTO

 

1) La più importante Statua raffigurante il CRISTO RISORTO, attribuita alla Scuola

Michelangiolesca (o anche del Cellini), è quella che si conserva nella Chiesa della

Misericordia o del Seminario. È del XVI° secolo e la mattina del giorno di Pasqua (una

volta la cerimonia si svolgeva a mezzanotte del Sabato santo), con una suggestiva

cerimonia popolare, detta della “CORSA DEL CRISTO RISORTO“, viene esposta

all’adorazione dei fedeli nella Collegiata e portata in processione per le vie della Città.

 

2) Nella Sala del Monastero di Santa Margherita che contiene la cosiddetta “Scala

Santa” nella volta soprastante è raffigurato un Cristo Risorto con vessillo crocisignato che

si eleva su nubi al di sopra di due soldati in atto di stupore. Il Cristo seminudo ha un

mantello rosso e panno bianco arrotolato sul bacino. Ai lati due cherubini. L’affresco (di

forma ovale) è opera di Francesco Providoni (anno di esecuzione 1655 circa).

 

 

 

S. CRISTOFORO

 

1) Questo Santo non è molto noto a Bevagna, almeno ufficialmente in affreschi o dipinti.

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colonne tortili adorni di tralci di vite, con capitelli corinzi che sostengono il timpano.

Nell’architrave è la scritta ASSUMPTA EST.

 

2) Alcuni Apostoli (7) sono raffigurati nella Pala dell’Altare dedicato a S.Tommaso presso

la Chiesa dell’Annunziata. La tela commissionata dalla famiglia Antici ed attribuita al

Fantino, misura 3,60 X 1,75 ed è attualmente assai allentata e deformata nelle sue tre parti

che la compongono.

Si presume che in residuo di affresco nella parete sinistra della Chiesa di S.Agostino esso

sia presente. Del suddetto affresco rimane solamente la parte in alto in cui compare vicino

al viso di un Santo con aureola il Bambino Gesù che forse poggia sulla sua spalla sinistra.

S.Cristoforo, nato a Samo nella Licia fu martirizzato nel 250 sotto l’Imperatore Decio. Di

lui una tarda leggenda del XI secolo narra che era di statura gigantesca e si offriva di

traghettare gratuitamente i passeggeri al di là di un fiume pericoloso. Un giorno gli capitò

di portare all’altra riva un bambino il cui peso cresceva a mano a mano che attraversava il

fiume. Solo giuinto all’altra sponda, Cristoforo avrebbe conosciuto nel Bambino, Gesù

Cristo.

Il Santo è ritenuto protettore dei viandanti e ora degli automobilisti.

La festa ricorre il 25 luglio ma dal 1969 non è più annoverato dal calendario cattolico a

causa della sua dubbia storicità. Nel sec. XVI il Concilio di Trento aveva tentato (ma senza

successo) di abolirne il culto.

 

 

 

CROCEFISSO

 

1) Nella Chiesa - Santuario della Madonna delle Grazie, presso l’Altare della Crociera

vi è un Crocefisso ligneo del Sec.XV, intagliato e policromato che era usato, durante la

Settimana Santa, anche per rappresentazioni sacre. Infatti le braccia potevano essere

abbassate per mezzo di uno snodo nella clavicola, retto tramite un chiodo estraibile. Ai lati

due statue in gesso rappresentanti LA GIUSTIZIA, con spada e bilancia, e la LA PACE,

con ramoscello d’ulivo, sull’architrave sopra le colonne è un cartiglio retto da due putti con

la scritta: CUIUS LIVORE SANATI SUMUS.

 

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SAN CARLO BORROMEO

 

2) In una nicchia rettangolare, adorna all’esterno di stucchi e residuo di colonna in alto, era

accolto, una volta, senz’altro un Crocefisso. La nicchia, come si può leggere dalla scritta,

fu chiusa nel 1793 e vi era, un piccolo Altare prebarocco. Si trova nella parete destra della

Chiesa di S. Agostino.

 

3) Nella Chiesa di S. Francesco, presso la Cappella Ciccoli, il CROCEFISSO adorato da

S.Francesco, appare in un quadro (2,15x1,34) opera attribuita sia a DONO DONI che al

FANTINO?[1].

 

4) In un dipinto ad olio su tela del sec. XVIII inserito in una cornice lignea dorata?[2],

decorata da colonne rudentate e con la sovrastante scritta: “PROVIDE IN AETERNVM

HIC UT PROVID A VIRGO FUISTI” è rappresentato un Cristo Crocifisso con ai piedi

della croce la Maddalena. Quest’opera è attribuita a Don Giuseppe Aleandri. Da qualche

anno questa tela si conserva presso il Chiostro della Chiesa del Beato Giacomo e

proveniva da S.Filippo (ora è stata riportata di nuovo presso la Chiesa di S.Filippo).

 

5) Sopra l’Altare della Chiesa di S.Maria Addolorata di Cantalupo?[3] in un dipinto su

tavola a forma di Croce (opera di Pietro Vitali pittore di Foligno) è rappresentato il Cristo

in Croce allo stesso modo delle pitture medievali.

Nella parte bassa il pittore Vitali che lo dipinse nel 1963 volle raffigurare il parroco di

Cantalupo Don Salvatore Flamini che proprio in quell’anno festeggiava la ricorrenza del

suo 25° di sacerdozio?[4].

 

6) La più importante scultura lignea raffigurante il Crocefisso è senz’altro quella che si

conserva nella Cappella alla destra dell’Altare della Chiesa di S.Domenico. Si tratta di

un’opera della fine del ’200?[5] e secondo la tradizione è il medesimo che avrebbe irrorato

di sangue il Beato Giacomo. Un tempo era contenuto in una teca lignea dorata finemente

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1) Nella Chiesa-Santuario della Madonna delle Grazie, nella navata sinistra c'è un

quadro di Ascensidonio Spacca detto il Fantino (223 x 138) in cui è raffigurato San Carlo

Borromeo in orazione10[1].

È raffigurato in ginocchio con le braccia allargate che ammira l'effige di una Madonna di

Loreto con Bambino posta su di un altare. Veste i paramenti cardinalizi con scarpe di raso

rosso. L’Altare è in legno naturale scolpito e in parte dorato. Nel timpano lo stesso Fantino

ha rappresentato Cristo che accoglie nella sua gloria S.Carlo Borromeo.

lavorata, teca che si conserva attualmente nella Pinacoteca.

“Una processione penitenziale memorabile (tratta dal “Libro Maestrale” pag. 19 appendice

II) fu quella in occasione del terremoto del Luglio 1799: la sera del dì 18 alle ore 1 e 1/2 di

notte scoppiò un grandissimo terremoto che ha sobbissato, stronato una buona parte di

case, chiese sì dentro che fuori di Bevagna ... per riparare il flagello d’Iddio la Comune di

Bevagna il giorno 25, 28 dell’anno e mese suddetto stabilì cavare e portare

processionalmente il SS.mo Crocefisso che parlò e versò sangue al Beato Giacomo

Bianconi e venne eretto alla pubblica venerazione nella strada chiamata “Il Giunco” un

altare per celebrare e confessionale per ascoltare le Confessioni. La prima Messa fu

celebrata dal P.Giuseppe Maria Neri attuale Superiore”.

 

7) In una tela, che è una copia eseguita nel 1844 da un tal LORENTINI CRISPOLTO di

Foligno, dell’originale di Andrea Camassei (di cui rimane che la memoria e che era stata

dipinta nel 1632, anno della causa di beatificazione del Beato Giacomo), è rappresentato il

CROCEFISSO, quasi a misura naturale, attorniato da 8 cherubini ed adorato dal Beato

Giacomo che ne riceve il Sangue. Questo quadro, che si conserva nella Sacrestia della

Chiesa di S.Domenico, viene portato in processione sul cassone di un automezzo, durante

la benedizione delle macchine che si effettua a Bevagna la sera del giorno 22 Agosto di

ogni anno.

 

8) Nella Sala Capitolare dell’ex Convento dei Domenicani prospiciente il Chiostro, nella

parete di fronte si sviluppa un grande affresco che se restaurato, potrebbe rappresentare

quello più importante e prezioso di tutto il territorio bevanate. Conserva ancora i tratti ed i

colori trecenteschi di un importante artista umbro che il Pietrangeli definisce “maestro”,

influenzato dai Senesi che ricorda il pittore delle Volte di S.Chiara in Assisi”. (L’affresco

essendo stato al riparo, non ha subito quel deterioramento che lo avrebbe scialbato in modo

irreparabile). L’affresco si sviluppa e presenta una crocifissione con la presenza di quattro

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2) Nella Sacrestia della Chiesa di San Filippo, interessata da gravi infiltrazioni di acqua

piovana che rende tutto il complesso fatiscente ed attualmente chiuso al culto (1985), vi era

questo quadro che ora descriverò e che fortunatamente è stato salvato da sicura distruzione

dal parroco Don Giovanni Marchetti raffigurante San Carlo Borromeo. Le scaglie

pittoriche si sono sollevate gravemente dalla tela, vi sono ossidazioni della vernice ed

appunto alterazioni prodotte dall'acqua che è scivolata sulla superficie. Il quadro risulta

personaggi: S.Domenico, la Vergine, S.Giovanni e S.Tommaso d’Aquino.

 

9) La figura del Cristo coronato di spine?[6] (ECCE HOMO) con alle spalle la croce

poteva essere osservata (fino a qualche tempo fa) su una delle lesene ai lati della scalinata

della Cripta di S.Michele. (Nell’altra lesena è affrescata una Madonna). Sotto ad ognuna

di questi affreschi è murata un’acquasantiera di marmo di piccole dimensioni. L’affresco

del Cristo ora non esiste più.

 

10) All’interno del borgo medievale di Castelbuono nella piazzetta, una edicola di

piccole dimensioni raccoglie la raffigurazione di Cristo in croce con ai lati, nei sott’archi,

la Madonna (alla sua destra) e S.Giovanni Apostolo (alla sua sinistra). Dell’immagine del

Crocefisso in Croce rimane ben poco. Sono individuabili solamente i tratti esterni del

corpo. Nel mezzo dell’arco il monogramma di Cristo IHS.

Quest’opera di autore ignoto è collocata nel XV secolo.

 

11) Una deposizione nel sepolcro, di A.Spacca è visibile presso la Chiesa di S.Margherita

sopra l’affresco della Madonna con Bambino e le Sante Caterina ed Apollonia nella

nicchia dietro l’Altare Maggiore.

 

12) Nell’affresco di fondo nella parete della Sacrestia della Chiesa di S.Agostino nella

parte centrale, è raffigurata una grande Crocifissione datata 1623. Il Cristo in Croce con il

viso estatico è assistito dalla Madre, dall’apostolo Giovanni e dalla Maddalena. Due Angeli

in atto di preghiera sono librati in aria ed in alto si affacciano due cherubini. La scena è

racchiusa da una cornice disegnata di color bianco dove al centro di ogni lato maggiore è

dipinto un cerchio. In quello di destra è raffigurata la deposizione con cinque persone che

seguono e trasportano Gesù, mentre in quello di sinistra è dipinta la Via Crucis.

 

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quindi in pessime condizioni. Si nota tuttavia il Santo in abito religioso "misto", cioè con

tonaca lunga poi sopra una stola bianca ricamata all'estremità e sopra una mantellina scura

sulla quale possono scorgersi i rituali bottoni rossi cardinalizi.

 

3) Un quadro che un tempo i Padri dell’Oratorio tenevano in Sacrestia (Presenzini pag.

154) è ora conservato nella Pinacoteca. Raffigura S.Filippo Neri intento a recitare

l’Officio insieme con S.Carlo Borromeo. E’ una bella tela (misure 78 X 106) attribuita al

13) Altra opera del Fantino (misure del quadro 2,30 x 1,32) raffigurante una Crocifissione

con Madonna e S.Francesco, si conserva nella Pinacoteca Comunale. Il Crocefisso si

eleva al di sopra degli astanti mentre la Madonna contempla con tenerezza materna il

figlio. (Potrebbe essere stata collocata originariamente nella Chiesa di S.Francesco. In

basso, presso il piede della Vergine si legge ... XVI / ... ATIS OPUS da integrare in: 1616

FANTINI MEVANATIS OPUS.

 

14) Un Cristo in atto di essere flagellato è raffigurato in una tela (misure 1,00 x 1,40) che si

conserva nel Museo. Quest’opera è considerata una copia dell’originale eseguita da

Sebastiano del Piombo (pittore veneziano nato nel 1485 e morto a Roma nel 1547).

 

15) Presso la Sacrestia della Chiesa di S.Domenico si conserva un quadro di discreta

qualità artistica inquadrabile nel 1700 in cui è rappresentata una Crocifissione dal tema

usuale e cioè il Cristo in Croce con ai suoi piedi inginocchiata la Maddalena e ai suoi lati la

Madonna e S.Giovanni Apostolo in preghiera.

 

16) In una Cappella interna del lato destro della Chiesa di S.Francesco (che è assai

malandata nonostante contenga vari affreschi del XVII secolo degni di essere recuperati)

nella parete vi sono, partendo dall’alto, un Giudizio Universale ed in basso la flagellazione

di Cristo fra S.Giovanni Battista ed il Beato Giacomo. Del Giudizio Universale resta

attualmente visibile la parte destra mentre la scena della flagellazione con Gesù legato ad

una colonna si ammira una parte più cospicua.

 

17) L’altare dove si conserva il Crocefisso ligneo del sec. XV presso il Santuario della

Madonna delle Grazie è abbellito da un Paliotto in Scagliola del 1730?[7] con al centro

un Crocefisso in cui compaiono ai lati dell’ovale centrale che racchiude il Cristo in Croce,

anche i simboli della Crocifissione: vaso, scala, dadi, martello, peso, chiodi, colonna,

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Camassei. Lo stesso Presenzini scrive “che di questa tela si hanno qui a Bevagna tre

copie”. Una, più piccola, eseguita dal pittore Antonio Berti di Montefalco, di proprietà del

Sig. Sebastiano Antonini; la seconda realizzata dal pittore Vincenzo Angeli, di proprietà

degli eredi; la terza, di autore ignoto, in casa del Sig. Vincenzo Zampetti. Secondo la Di

Domenico Cortese (1968) quest’opera deriva da una tela di identico soggetto attribuita a

Guido Reni, conservata nella Cattedrale di Toledo.

 

flagelli, tenaglie, corona di spine, veste, lancia, canna, guanto, lucerna.

 

18) La figura di un Cristo in Croce di cui è visibile solamente il viso con aureola e corona

di spine e un tratto orizzontale della croce si conserva nella Chiesa di S.Michele di

Limigiano. Il viso presenta un buon tratto artistico.

 

19) Nella stessa Chiesa di S.Michele di Limigiano nella parete sinistra al di sopra

dell’affresco del Martirio di S.Sebastiano (recentemente restaurato a cura del Comitato

Festeggiamenti) si nota un’affresco di epoca più antica in cui era raffigurata una

Crocifissione. Il Cristo in Croce è a capo chino: due Angeli ai lati raccolgono in vasi il

sangue che esce dalla ferita del costato. La parete doveva essere tutta affrescata almeno in

quel tratto ed immaginarla viva nei colori e completa nelle varie scene doveva

rappresentare una visione bellissima che donava una sensazione di pace e serenità interiore

molto intensa. Anche la volta della navata sinistra decorata da Santi e forse dai quattro

Evangelisti (di cui uno solo rimane attualmente visibile: S.Marco) dava ai monaci ed ai

devoti cittadini del Castello un motivo di orgoglio e di richiamo. Purtroppo poi la

noncuranza degli uomini e la stessa naturale decadenza dell’Abbazia ha fatto sì che un

piccolo gioiello con testimonianze così importanti, si sia ridotto a dover supplicare un

intervento conservativo che tarda costantemente ad arrivare.

 

20) Presso il Coro del Monastero di Santa Margherita si conserva un Crocefisso ligneo

che un tempo si trovava nella parete affrescata della “Scala Santa” dove era rappresentato

il Calvario (accanto vi è un piccolo tabernacolo appeso alla parete) Sulla destra attraverso

una porta si accede in un locale dove si conservano 13 reliquiari in cassettine di pregevole

fattura ed altri due con reliquie di Suor Battista. Questa statua del Cristo Crocefisso è

attribuita al sec. XV ed è avvolta da una leggenda secondo la quale l’artista non riusciva a

fare il viso nonostante vari tentativi. Una mattina, recatosi al lavoro trovò il viso del Cristo

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4) Nella Sacrestia della Chiesa di S.Michele sopra un armadio (ai lati) si conservano due

piccole sculture marmoree (forse provenienti dalla Chiesa di S.Filippo) eseguite nella

stessa epoca raffiguranti S.Carlo Borromeo e S.Filippo Neri. Sono in effetti due busti posti

su un piccolo piedistallo decorato uno con un cuore simbolo dei Filippini e l’altro con la

parte finale di un giglio (?). S.Carlo Borromeo indossa una specie di mantellina con

colletto e chiusa da 11 bottoni.

già eseguito! Si nota al lato del piede destro scolpita anche una mano che apparteneva a

qualche altra statua attinente alla scultura (forse la Maddalena). Questo Cristo e la Croce

sono molto pesanti e diceva una suora che per il trasloco occorsero ben 15 persone. (Ora -

nel 1992 - al posto di questo Crocefisso è stato collocata un’altra opera di un artigiano di

Bolzano che è quasi identico a quello traslocato).

 

21) Un piccolo affresco assai malridotto riproducente il Crocefisso si può ammirare

nell’angusto locale ricavato presso la Sala del Calvario nella Chiesa di S. Margherita.

Rappresenta, forse, il Crocefisso ligneo del XV secolo che si trovava alla sommità della

Scalinata della “Scala Santa”. Il piccolo locale era adibito a luogo di penitenza per le

monache. Compare una iscrizione di forma rettangolare (con lettere di color rosso) scritta

in tre versioni: ebraico, greco e latino (IESUS NAZARENUS REX IUDEORUM) che

sono le stesse che compaiono sull’affresco (lato sinistro) della scalinata della Scala Santa.

?[1] Il pessimo stato di conservazione impedisce un giudizio definitivo, ma si puo’ osservare che

nell’indubbia componente arcaizzante della maniera di Ascensidonio Spacca non è da escludere una

suggestione “locale” riconducibile al DONI.

?[5] Il Prof.Pietrangeli la considera “di forma nordica, motivi tratti dall’arte tedesca”.

9[1] Enrico II° (973 - 13 luglio 1024) che succedette ad Ottone nel 1002, fu riformatore religioso e fondò

diverse Chiese, tra cui il Duomo di Bamberga dov’è sepolto insieme a Cunegonda. Il B.Eugenio III° lo

incluse nell’elenco dei Santi nel 1146. La festa si celebra il 13 luglio giorno della sua morte.

 

 

 

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11[1] Carlo Borromeo (1538-1584), di nobile famiglia lombarda di origini toscane, divenne cardinale all’età

di ventidue anni, quindi Arcivescovo di Milano. Applicò con fermezza le riforme auspicate dal Concilio di

Trento suscitando qualche opposizione, tanto che subì anche un attentato. Visse frugalmente distribuendo le

sue ricchezze ai poveri e assistendo i malati, soprattutto durante l’epidemia di peste che colpì Milano nel

1576. Fu canonizzato nel 1610.

S. DANIELE MARTIRE A CEUTA

 

1) San Daniele, sacerdote, è il capogruppo dei Sette Martiri che sacrificarono la loro vita a

Ceuta nel Marocco nel 1227. L’entusiasmo destato nell’Ordine Francescano della notizia

del martirio dei cinque gloriosi missionari, morti nel Marocco nel 1219, spinse un altro

gruppo di Sette Frati a domandare a Frate Elia, allora Ministro Generale dell’Ordine dei

Francescani Minori, l’obbedienza di recarsi in Marocco, per annunziare la fede cristiana ai

maomettani. Sei erano sacerdoti tra cui Daniele, di cui facciamo memoria. Il Santo è

raffigurato in atto di contemplazione verso il Crocefisso che regge nella mano destra.

Indossa il saio francescano ed in testa ha il simbolo del martirio, una specie di piccola

scimitarra. E’ adorno di un’aureola. Il Santo è rappresentato in un ovale che trovasi nel

Chiostro del Convento dell’Annunziata.

 

 

 

DAPSA SOFITEA

 

1) Sull’altare di destra della Chiesa della Madonna del Monte si conservano, in una teca

argentea, le spoglie della martire greca S.Dapsa Sofitea. La teca è racchiusa da un Paliotto

di bronzo fuso e scolpito con rara maestria e attribuito, da alcuni, allo stesso Gian Lorenzo

Bernini?[1]. Le ossa furono ivi trasportate nel 1728 dal “cemeterio romano di Pretestato”.

Teca e paliotto furono entrambi donati alla Chiesa da Pietro Andreozzi. L’Alberti riferisce

che il corpo di Dapsa Sofitea si esponeva il giorno 20 maggio e si celebrava la festa.

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SANTA CATERINA D'ALESSANDRIA

 

?[1] Ottorino Gurrieri nel fascicolo n° 166 a pag. 8 del 1927 “Le cento città d’Italia Illustrate” scrive che

questo è il più bel paliotto settecentesco che si conservi in Umbria.

 

 

 

                                                              SAN DIEGO

 

1) Nel Chiostro del Convento dell'Annunziata nella seconda serie di affreschi datati 1638

come da una iscrizione che compare nelle vicinanze (HOC OPUS COPLET FUIT A.D.

MDCXXXVIII DIE XXIII AUGUSTI) vi è raffigurato San Diego (Sanctus Didacus)

vestito del saio francescano che regge tra le sue mani una croce di legno semplice ed un

teschio. San Diego è uno dei Santi più popolari in Spagna e nell'America Latina.

Fra Diego di Alcalà era nato da umili genitori verso il 1400 a San Nicolas del Puerto in

Andalusia, dove trascorse gli anni giovanili in solitudine e penitenza.

Nel 1441 venne inviato missionario nelle isole Canarie. In quelle felici isole sommerse dal

sole vegetava l'idolatria. Fra Diego vi lavorò alacremente e cinque anni dopo l'Obbedienza

gli impose di accettare la carica di guardiano, cioè di superiore, nonostante fosse un

semplice fratello laico. Il suo zelo doveva apparire scomodo ai colonizzatori che tenevano

gli indigeni nella condizione di schiavi e gli resero la vita tanto difficile da indurlo a

rientrare in Spagna nel 1449.

L'anno dopo compì un pellegrinaggio a Roma per assistere alla canonizzazione di San

Bernardino da Siena. Ospite del convento dell'Aracoeli, fu trattenuto a Roma da una grave

epidemia che lo vide in prima fila nell'opera di assistenza ai malati, unendo all'esercizio

pratico della carità i doni carismatici di cui era dotato, per la guarigione dei colpiti

dall'epidemia.

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1) Nella Chiesa di Sant'Agostino nella parete destra è raffigurato, in un affresco

contenuto in un'absidiola con data 1555, lo sposalizio mistico di Santa Caterina

d'Alessandria12[1].

Esso consiste in una leggenda assai antica (diffusasi agli inizi del 1300) che raccontava di

Santa Caterina che con le sue preghiere indusse dapprima il Bambin Gesù (raffigurato in

un quadro insieme con la Madonna) a volgere il volto verso di lei ed in seguito, quando la

sua fede fu cresciuta, a metterle un anello al dito. Il tema fu introdotto nella pittura italiana

Tornato in Spagna, continuò a svolgere i consueti incarichi di portinaio e di cuoco in vari

conventi, l'ultimo dei quali fu quello di Alcalà de Henares, presso Madrid, dove concluse

santamente la sua vita terrena il 12 novembre 1463. Fu canonizzato nel 1588 dal Papa Sisto

V per interessamento di Filippo II.

Nella parte destra della lunetta dove è rappresentato l'umile converso francescano, si può

leggere che il committente fu un certo Petrus Buschius, Capitano che fu l’ultimo della sua

famiglia.

2) Nella Chiesa dell'Annunziata nell'Altare dedicato all'Apostolo San Tommaso, (altare

in legno del sec. XVI di bella architettura, di juspatronato della famiglia Antici), nel lato

interno, sotto l'architrave, vi sono due tavole dipinte in acquerello raffiguranti: a sinistra

San Francesco (alquanto sbiadito) e a destra, come può leggersi dalla iscrizione sottostante,

San Diego che è raffigurato in una veste alquanto tozza e sgraziata (vedi sproporzione dei

piedi nudi rispetto all'intera figura) che regge con la mano destra una semplice croce lignea

e nella mano sinistra un rosario terminante con una croce. Veste il saio francescano ed è

adornato di un’aureola. Sotto la scritta: SANCTUS DIDACUS.

 

 

 

SAN DIONISIO

 

1) Di questo Santo trovo memoria nelle notizie antiche e moderne dell’Alberti a pag. 187

quando parla della Chiesa e Monastero di S.Margherita: “La Chiesa è bella, e capace. Vi

si conserva il corpo di S.Angelico, martirizzato nel fior degli anni, e se ne celebra la festa

ai 29 di Gennaro; come pur quello di S.Dionisio Martire battezzato, di cui si celebra

solenne memoria li 9 di Ottobre”.

 

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nel XIV secolo e dopo di allora venne frequentemente trattato. Il concetto della nozze

mistiche traduce in termini visivi la semplice metafora della promessa spirituale di sè a

Dio. La Santa è rappresentata in ginocchio con un abito di color vermiglio, capelli con

lunga treccia bionda, corona dorata in testa mentre porge la mano sinistra in atto di ricevere

l'anello dal bambino che è seduto sul grembo materno. Ai piedi di Santa Caterina il

simbolo del suo martirio e cioè la ruota provvista di punte alla quale fu legata.

Dietro alla Santa in piedi è raffigurato San Ansano, mentre sulla destra S.Leonardo. Nella

parte superiore il martirio di un Santo. L'opera, a detta degli esperti, è di un “maestro

umbro toscaneggiante”.

 

2) Sempre nella Chiesa di Sant'Agostino, ma nella parte opposta e cioè nel lato sinistro di

epoca antecedente di circa trenta anni, è di nuovo raffigurata Santa Caterina d'Alessandria

insieme ad altri tre Santi che facevano da corona ad un'immagine centrale ora scomparsa.

Questa absidiola è assai malridotta e la Santa è stata identificata dalla ruota che giace ai

suoi piedi. La figura non è visibile dal busto in poi: non sono più visibili neanche le

braccia.

 

 

SAN DOMENICO

 

1) Nella Chiesa-Santuario della Madonna delle Grazie San Domenico è raffigurato in

un affresco nel lato destro dell'Altare detto della Madonna di Costantinopoli.

Il Santo è rappresentato in piedi con le mani giunte mentre rivolge lo sguardo verso una

piccolissima Madonna con Bambino dalla quale esce una luce che va a raggiungere San

Domenico?[1] (secondo una fonte contemporanea era la sua fronte che irradiava questa

luce soprannaturale). Questo affresco, di forma rettangolare, forse è opera del Fantino.

 

2) Nella Chiesa del Beato Giacomo?[2] nel secondo altare vi è un quadro (1 x 1,90)

attribuito inizialmente ad un allievo del Lotto e cioè a Camillo Bagazzotti e che poi in

"Ricerche in Umbria 2°" viene attribuito ad Ascensidonio Spacca, che raffigura la

101112

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Sotto l'affresco una data MDXXIII con altri rimasugli di lettere...(...LLI.....ET

POSTERITATIS SUE DEVOTIO MDXXIII FS)

 

3) Nella Chiesa di San Silvestro, nell'affresco che si trova nella parete absidiale di

sinistra, raffigurante la Madonna con il Bambino in trono (sormontato da una cupola-

baldacchino con 4 (o più) colonne sorrette da Angeli) e Santi, è raffigurata anche Santa

Caterina d'Alessandria che come si può vedere, ha una buona popolarità e devozione tra gli

abitanti di Bevagna.

La Santa è alla sinistra della Madonna: è raffigurata in piedi e regge nella mano destra

quasi ad appoggiarla sul petto, una piccola ruota simbolo del suo martirio13[2].

Gli altri Santi raffigurati nel suddetto affresco sono San Nicola da Tolentino, Sant'Agostino

e San Nicola da Bari (ora non visibile perché distaccatosi).

 

4) Nella Chiesa di S.Michele e precisamente nella Cappella detta della Madonna del

Carmine (o Cappella Spetia) costruita dopo il 1463 per volontà di un lascito di Binassola

dè Cranteri, moglie di Giovanni Paolo Spetia, vi sono gli affreschi che la tradizione vuole

che fossero opera del Camassei durante la sua prima giovinezza.

Tale lavoro fu eseguito fra il 1624 ed il 1628.

Tra i ventiquattro Santi raffigurati vi è pure Santa Caterina d'Alessandria che il pittore

bevanate immagina e dipinge in modo esemplare. La Santa è rappresentata con vesti

preziose e ricercate curate sin nei minimi particolari come l'arricciatura dei polsini o il velo

vaporoso che incornicia i riccioli bruni.

L'atteggiamento è grazioso e Santa Caterina ha il capo cinto da una corona d'oro e regge

nella mano sinistra la palma del martirio mentre sulla sua destra si scorge una grande ruota

provvista di arpioni simboleggiante lo strumento del suo martirio.

 

5) Nella Chiesa di San Domenico (o del Beato Giacomo) nella parete destra, vi è

raffigurato in stile barocco, un altare con al centro un grande quadro che contiene al suo

interno, indipendente al soggetto e di diverso autore, un altro quadro di dimensioni più

piccole (1 X 1,62) dove è raffigurato in piedi San Domenico a Soriano (per maggior

chiarimento vedi alla voce S.Domenico nr. 3). Nella tela principale, che i critici

attribuiscono ad Andrea Camassei, per le affinità di stile di queste figure agli affreschi che

13 

?[2] Sotto questo quadro è sistemata una credenza decorata da Cariatidi, assai danneggiata per sconnessioni e

tarlature.

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stanno nella Cappella del Carmine a San Michele e databile intorno al 1625, sono

raffigurate Santa Caterina, la Maddalena e al centro la Madonna attorniata da putti. Sotto di

loro un paesaggio di basse colline. Santa Caterina è raffigurata sulla parte sinistra, di

aspetto giovanile con indosso una veste chiara e rossa nella parte inferiore. È sollevata dal

terreno e sembra poggiarsi su una nube a forma di ruota. Poggia il suo gomito sinistro

quasi a contatto della Madonna in atto di reggere il quadro raffigurante San Domenico.

 

6) Sempre nella Chiesa di San Domenico (o del Beato Giacomo) esiste nella parete destra

quasi in fondo, sopra il busto di Vincenzo Antici (morto nel 1552) un grande quadro,

purtroppo non in buone condizioni, ove sono raffigurati diversi Santi e precisamente la

Trinità, Santo Stefano (che regge nella mano sinistra una pietra), Santa Caterina

d'Alessandria, San Domenico, San Francesco, Santa Chiara d'Assisi e San Lorenzo il quale

regge nella mano sinistra la palma ed una graticola.

Tale tela è opera di Ascensidonio Spacca e misura 1 X 1,75 e termina a forma di ovale. La

Santa è raffigurata in ginocchio, vestita nobilmente (con un mantello rosso) mentre tiene la

mano sinistra protesa in direzione di Santa Chiara e alla sua sinistra si può scorgere la

ruota, simbolo del suo martirio. Tale ruota è diversa dalle altre raffigurate negli affreschi

incontrati poiché si scorgono i giranti invece del rituale cerchio dove invece questi sono

sempre racchiusi.

 

7) Sempre nella Chiesa del Beato Giacomo, nella parete sinistra (vicino l'altare e sopra la

porta della sacrestia) vi è un quadro ad olio della fine del sec. XVI di autore ignoto

raffigurante in alto la Madonna con il Bambino su nubi con ai lati due piccoli Angeli e

sotto di lei, mentre si nota un bel paesaggio collinare, compaiono a sinistra Santa Caterina

da Siena (mistica cristiana appartenente all'ordine 1347-1380) San Domenico ed appunto

Santa Caterina d'Alessandria.

Le due Sante impersonano rispettivamente la Santità e la Sapienza.

La Santa è rappresentata in abito nero con intrecciato una specie di mezzo mantello chiaro.

Ha sul capo la corona che allude al suo sangue regale (infatti era divenuta regina e si

convertì al Cristianesimo ricevendo il battesimo da un eremita che all'epoca si trovava ad

Alessandria).

Nella mano destra regge la palma e nella mano sinistra una grande ruota con aculei

simbolo del martirio.

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La tela è in buono stato complessivamente ma in basso tende già a distaccarsi dalla

cornice.

La Santa ha un portamento quasi maestoso ma le mani ed i piedi sembrano alquanto

sproporzionati rispetto al fine viso di giovane fanciulla.

 

8) Nel Monastero Agostiniano di Santa Margherita, dietro l’Altare Maggiore, esiste un

affresco di Ascensidonio Spacca detto il Fantino (a forma di arco) ove sono raffigurate la

Madonna con Bambino (in piedi su di un piedistallo mentre due Angeli la stanno

incoronando), Santa Caterina d'Alessandria sulla sinistra e Santa Apollonia. Sopra tale

affresco vi è una Deposizione nel Sepolcro.

La Santa veste abiti regali con leggiadre vesti variopinte e ricche di gioielli. Sta in

ginocchio, a piedi scalzi in atto di ammirazione mentre regge nella mano destra la palma e

con la sinistra una piccola ruota priva in questo caso di aculei, che poggia sul ginocchio

sinistro. Ha capelli ben curati adorni da diademi e da una corona. Tale affresco è datato

1592 e riprodotto su di una cartolina delle suore del Monastero.

 

9) Dietro l’Altare Maggiore (nella parte destra) della Chiesa di S. Agostino, appare,

largamente incompleta, una immagine che può certamente essere attribuita a S.

CATERINA D’ALESSANDRIA, poiché si nota distintamente una RUOTA, simbolo

comune di questa Santa, che giace ai suoi piedi alla sua destra. La mano destra si posa su

un libro chiuso, mentre con la sinistra regge una SPADA. (questo affresco è stato

realizzato sopra uno già esistente).

 

10) Nel corridoio della Sacrestia della Chiesa di S.Michele c’è un quadro staccato ed

appoggiato nella nicchia della parete. E’ in ottimo stato di conservazione e ben eseguito

dall’anonimo artista. Tra i sei personaggi che compaiono è senz’altro raffigurata S.Caterina

d’Alessandria. Infatti ai piedi della Santa inginocchiata vi sono gli attributi atti alla sua

identificazione: la spada, la corona, la palma del martirio e la parte superiore di una ruota

con due arpioni. Caterina è raffigurata con capelli biondi e treccia annodata in atto di

adorazione verso l’Assunta. Accanto a lei S.Antonio da Padova.

 

11) Nella Chiesa di S.Francesco, in una nicchia, una statua in gesso bianco raffigura

S.Caterina d’Alessandria che abbraccia la ruota con arpioni simbolo del suo martirio. Ha la

testa coronata e la palma.

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12) In uno dei cinque pannelli dipinti che ornano le due cantorie della Chiesa di S.Maria

del Monte è rappresentata (forse) S.Caterina d’Alessandria che può riconoscersi dalla

palma del martirio che regge con la mano sinistra e con la raffigurazione, alle sue spalle, di

un oggetto circolare somigliante ad una grande ruota.

14[2] Secondo la leggenda subì il martirio all’inizio del IV secolo sotto l’Imperatore romano Massenzio. La

sua festa si celebra il 25 Novembre. E’ patrona degli studenti e delle ragazze da marito (Caterinette).

 

 

 

SANTA CATERINA DA SIENA

 

1) Questa terziaria domenicana potrebbe essere la monaca rappresentata nella tela del

secondo Altare destro della Chiesa di San Domenico “La Madonna del Rosario”. Infatti

spesso questa riproposizione comprende sia S.Domenico che Santa Caterina da Siena15[1]

che ricevono la corona del Rosario dalla Vergine e dal Bambino.

 

2) Nel Chiostro del Convento dell’Annunziata tra gli affreschi dipinti vi è raffigurata

anche S.Caterina da Siena. La Santa è in atto di contemplazione e reca tra le mani un

Crocefisso assieme ad un giglio. Veste l’abito dell’Ordine Domenicano ed in capo è cinta

da una corona di spine. Sopra l’affresco compare il nome e lo stemma di Cassiodora Lepri

(Cassiodora Lepori).

 

3) Nella Sacrestia della Chiesa del Beato Giacomo c’è un quadro di autore ignoto in cui è

rappresentata la scena di una monaca che riceve le stimmate. Poiché Santa Caterina ebbe le

Sacre Impronte sul suo corpo come è storicamente raccontato, l’opera pittorica raffigura

questo fatto miracoloso. La Santa si accascia sorretta da alcuni Angeli mentre viene

investita dai raggi che vengono irradiati dal Crocefisso. In basso, sulla destra, su un libro

1415

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aperto e con un giglio compare la scritta: “P (?) LUCIA DE NARNI” e non so a cosa si

riferisca.

 

4) Nella piccola Chiesa rurale della Madonna dell’Ulivo a Montarone, di proprietà della

famiglia Mattoli16[2], nella parete di fondo, è raffigurata la scena della Madonna che

consegna il Rosario a S.Domenico ed a Santa Caterina da Siena. E’ una copia del famoso

quadro della Madonna del Rosario o di Pompei (l’autore è Crescimbeni Giuseppe fu

Angelo - anno di esecuzione 1954. Angelo era dipendente dell’Ufficio Tecnico del

Comune di Bevagna)

 

5) Presso la Sacrestia della Chiesa di S.Agostino (non si comprende come mai possa

essere lì terminato) c’è un quadro raffigurante una Santa Caterina da Siena di ottima

fattura. La Santa veste l’abito dell’Ordine Domenicano e regge la Croce con il Crocefisso

assieme ad un giglio e nella mano sinistra un cuore. Sono visibili sul dorso delle mani le

stimmate che ella ricevette nel 1375 mentre era intenta a pregare nella Cappella Pisana di

Santa Cristina. Senz’altro la tela proviene dalla Chiesa di S.Domenico.

 

6) In un quadro di fine sec. XVI e di buona fattura, che si conserva nella Chiesa del Beato

Giacomo, Santa Caterina da Siena è raffigurata assieme a San Domenico e a Santa

Caterina d’Alessandria. La Santa domenicana è rappresentata dall’anonimo artista con

indosso l’abito ed il velo bianco. Sul dorso delle mani, che reggono un giglio ed una croce,

compaiono i simboli delle stimmate.

 

7) Santa Caterina da Siena è raffigurata a lato del Redentore e con S.Francesco nella

Cappella privata di casa Bartoli-Aleandri. Veste l’abito dell’Ordine Domenicano. E’

cinta da un’aureola e mostra le stimmate.

 

8) Una bella immagine (forse) di S.Caterina da Siena è quella che si può ammirare su di

uno dei cinque pannelli dipinti che ornano le Cantorie della Chiesa della Madonna del

Monte. La Santa veste l’abito dell’Ordine mentre è intenta alle letture Sacre. Accanto una

esile e nuda croce.

 

16

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9) Nella Sacrestia della Chiesa di S.Domenico che attualmente si è arricchita di numerosi

quadri dopo l’evento del terremoto (vi si conserva anche l’urna contenente il corpo del

Beato Giacomo e la statua di S.Giuseppe) compare anche una tela raffigurante Santa

Caterina da Siena in atto contemplativo ed in orazione davanti ad un crocefisso sulle cui

estremità è dipinto un cuore rosso ed un giglio. S.Caterina veste l’abito domenicano.

(Questo quadro ha le stesse misure di un altro raffigurante un altro Santo Domenicano e

sembra opera della stessa mano).

 

[2] Si legge, in una piccola lapide sulla destra all’interno della chiesina:

 

LUIGI MATTOLI PALMA

RIATTO’ AL CULTO

NELL’ANNO MARIANO

VIII - XII - MCMLIV

 

 

 

SANTA CECILIA

 

1) Nella Cappella del Carmine in S.Michele è raffigurata Santa Cecilia, la Vergine

martire cristiana vissuta, secondo la tradizione, nel II o III secolo. La Basilica di Santa

Cecilia in Trastevere a Roma è certamente molto antica e conserva reliquie che si

ritengono autentiche. La Santa è raffigurata in ginocchio, quasi estasiata mentre guarda

verso il cielo con intorno al capo una corona di rose. Regge nella mano sinistra la palma

del martirio a simbolo di quanto ella subì. Si vede anche l'organo portativo con le canne

degradanti verso sinistra.

 

 

 

SAN CESARE DE BUS

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1) Nell'abitazione dell'attuale parroco Don Giovanni Marchetti, in un ambiente adibito

anche a magazzino, vi sono alle pareti alcuni quadri tra cui San Cesare De Bus identificato

dalla scritta racchiusa nella parte sinistra della tela ove compaiono le seguenti parole:

V P CESARE DE BUS FONDATORE DELLA CONG(REGAZIO)NE DELLA

DOTTRINA C(RISTIA)NA MORÌ AVIGNONE 1607.

Il Santo mostra un cartiglio su cui c’è la scritta: IN DOCTRINIS GLORIFICATE

DOMINUM Is. c. 24. Intorno tre cherubini fanno da corona. La festa si commemora il 15

aprile.

 

 

 

SANTA CHIARA D'ASSISI

 

1) Nella parete destra, quasi in fondo, della Chiesa di San Domenico o del Beato

Giacomo, vi è un quadro di Ascensidonio Spacca terminante con la parte superiore rotonda

e di mt. 1 X 1,75, nel quale vi è raffigurata tra gli altri cinque Santi che fanno da corona

alla Trinità, anche Santa Chira d'Assisi.

Nella parete alta del quadro al centro è raffigurato l'Eterno che tra le braccia aperte

racchiude il Cristo in croce sul capo del quale vi è la colomba simbolo dello Spirito Santo.

Due Angeli uno per parte in ginocchio ed in atto di preghiera fanno da corona, su nuvole, a

questa rappresentazione.

Più in basso si scorgono i Santi Stefano, Domenico e Caterina d'Alessandria a sinistra,

mentre sulla destra San Lorenzo, San Francesco d'Assisi e Santa Chiara.

La Santa d'Assisi, fondatrice dell'ordine delle Clarisse indossa, come sempre nelle

raffigurazioni, l'abito grigio del suo ordine, con il cordone annodato dei frati ed una cuffia

sempre di color grigio.

La tela non si presenta in buone condizioni specie nella parte bassa ed ha bisogno di essere

restaurata.

Attualmente si trova sopra la tomba del giureconsulto Vincenzo Antici morto nel 1552 che

insegnò nell'Università di Siena.

 

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2) Nella Chiesa di Santa Maria Assunta a Castelbuono, frazione o borgo di Bevagna

oltre ad altri interessanti opere ivi custodite, si trova una tela di buona fattura, anche se

bisognevole di restauro in cui sono rappresentati l'Assunta, Sant'Antonio da Padova e Santa

Chiara d'Assisi.

Il quadro è attribuito alla scuola di Girolamo Martelli e misura 2,16 X 1,46. Le figure dei

Santi sono al naturale e la Santa è raffigurata a sinistra, vestita dell'abito dell'ordine ma di

colore tendente allo scuro, regge nella mano destra, che appoggia sul petto, l'ostensorio che

ricorda il suo intervento per allontanare i Saraceni che avevano preso Assisi e nella mano

sinistra il giglio ed un libro con foderina rossa.

La Santa visse dal 1194 al 1253.

 

3) Tra gli affreschi nelle lunette nel Chiostro dell'Annunziata, vi è rappresentata Santa

Chiara d'Assisi che indossa l'abito grigio dell'Ordine con cuffia più scura, cordone

annodato e mantello sempre dello stesso colore dell'abito. Regge l'ostensorio con le ostie

consacrate nella mano destra mentre con la sinistra il rituale giglio fiorito. Ha un viso

assorto e pieno di mestizia. L'affresco, racchiuso in un ovale, come d'altronde tutti gli altri,

reca nella parte superiore il nome dell'offerente un certo Paulus17[1] e sopra un piccolo

stemma: un drago alato sopra un monte di tre cime d’oro.

Questo affresco è quello della serie del 1638.

 

4) Nella Chiesa di San Francesco una statua in gesso bianco rappresenta S.Chiara di

Assisi mentre stringe tra le sue mani l’ostensorio. Si conserva in una nicchia della

Cappella.

 

[6] A.Bartoli data l’epoca di questi due affreschi del XIV secolo, mentre il Pietrangeli del XVI° sec.18[7] Sul fondo c’è questa scritta: GIOVANNI BARZACCHI PRIORE / DOMENICO PERICOLI

CAMORLENGO 1730.

 

 

1718

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SANTA CUNEGONDA

 

1) Santa Cunegonda è una Santa Cristiana (forse morta nel 1033 - 1040) che andò sposa a

Enrico II°19[1] Re di Germania ed Imperatore del Sacro Romano Impero. Si dice che

accusata di infedeltà dal marito, venisse sottoposta al Giudizio di Dio e rimanesse indenne

dopo aver camminato su vomeri roventi.

E’ rappresentata in contemplazione mentre tiene tra le mani la corona e lo scettro. Sotto, su

quattro righe: S(ANTA) CUNEGONDA IMPERATRICE SPOSATA A S(AN) ENRICO

IMPERATORE AMBEDUI SI MANTENNERO VERGINI OVE LA S(ANTA) DOPO

LA MORTE DEL SUO S(ANTO) SPOSO SI FECE MONACA DI S.BENEDETTO E

VISE E MORI’ SANTA. Più in basso vi è una lunetta con una scena della Passione di

Cristo e la scritta: DORMITE IAM ET REQUISCITE.

[1] Enrico II° (973 - 13 luglio 1024) che succedette ad Ottone nel 1002, fu riformatore religioso e fondò diverse Chiese, tra cui il Duomo di Bamberga dov’è sepolto insieme a Cunegonda. Il B.Eugenio III° lo incluse nell’elenco dei Santi nel 1146. La festa si celebra il 13 luglio giorno della sua morte.

S. DANIELE MARTIRE A CEUTA1) San Daniele, sacerdote, è il capogruppo dei Sette Martiri che sacrificarono la loro vita a Ceuta

nel Marocco nel 1227. L’entusiasmo destato nell’Ordine Francescano della notizia del martirio dei cinque gloriosi missionari, morti nel Marocco nel 1219, spinse un altro gruppo di Sette Frati a

domandare a Frate Elia, allora Ministro Generale dell’Ordine dei Francescani Minori, l’obbedienza di recarsi in Marocco, per annunziare la fede cristiana ai maomettani. Sei erano sacerdoti tra cui

Daniele, di cui facciamo memoria. Il Santo è raffigurato in atto di contemplazione verso il Crocefisso che regge nella mano destra. Indossa il saio francescano ed in testa ha il simbolo del martirio, una specie di piccola scimitarra. E’ adorno di un’aureola. Il Santo è rappresentato in un

ovale che trovasi nel Chiostro del Convento dell’Annunziata.DAPSA SOFITEA

1) Sull’altare di destra della Chiesa della Madonna del Monte si conservano, in una teca argentea, le spoglie della martire greca S.Dapsa Sofitea. La teca è racchiusa da un Paliotto di bronzo fuso e

scolpito con rara maestria e attribuito, da alcuni, allo stesso Gian Lorenzo Bernini[1]. Le ossa furono ivi trasportate nel 1728 dal “cemeterio romano di Pretestato”. Teca e paliotto furono

entrambi donati alla Chiesa da Pietro Andreozzi. L’Alberti riferisce che il corpo di Dapsa Sofitea si esponeva il giorno 20 maggio e si celebrava la festa.

[1] Ottorino Gurrieri nel fascicolo n° 166 a pag. 8 del 1927 “Le cento città d’Italia Illustrate” scrive che questo è il più bel paliotto settecentesco che si conservi in Umbria.

SAN DIEGO

19

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1) Nel Chiostro del Convento dell'Annunziata nella seconda serie di affreschi datati 1638 come da una iscrizione che compare nelle vicinanze (HOC OPUS COPLET FUIT A.D. MDCXXXVIII DIE

XXIII AUGUSTI) vi è raffigurato San Diego (Sanctus Didacus) vestito del saio francescano che regge tra le sue mani una croce di legno semplice ed un teschio. San Diego è uno dei Santi più

popolari in Spagna e nell'America Latina.Fra Diego di Alcalà era nato da umili genitori verso il 1400 a San Nicolas del Puerto in Andalusia, dove trascorse gli anni giovanili in solitudine e penitenza.Nel 1441 venne inviato missionario nelle isole Canarie. In quelle felici isole sommerse dal sole vegetava l'idolatria. Fra Diego vi lavorò alacremente e cinque anni dopo l'Obbedienza gli impose di accettare la carica di guardiano, cioè di superiore, nonostante fosse un semplice fratello laico. Il suo zelo doveva apparire scomodo ai colonizzatori che tenevano gli indigeni nella condizione di schiavi e gli resero la vita tanto difficile da indurlo a rientrare in Spagna nel 1449.L'anno dopo compì un pellegrinaggio a Roma per assistere alla canonizzazione di San Bernardino da Siena. Ospite del convento dell'Aracoeli, fu trattenuto a Roma da una grave epidemia che lo vide in prima fila nell'opera di assistenza ai malati, unendo all'esercizio pratico della carità i doni carismatici di cui era dotato, per la guarigione dei colpiti dall'epidemia.Tornato in Spagna, continuò a svolgere i consueti incarichi di portinaio e di cuoco in vari conventi, l'ultimo dei quali fu quello di Alcalà de Henares, presso Madrid, dove concluse santamente la sua vita terrena il 12 novembre 1463. Fu canonizzato nel 1588 dal Papa Sisto V per interessamento di Filippo II.Nella parte destra della lunetta dove è rappresentato l'umile converso francescano, si può leggere che il committente fu un certo Petrus Buschius, Capitano che fu l’ultimo della sua famiglia.2) Nella Chiesa dell'Annunziata nell'Altare dedicato all'Apostolo San Tommaso, (altare in legno del sec. XVI di bella architettura, di juspatronato della famiglia Antici), nel lato interno, sotto l'architrave, vi sono due tavole dipinte in acquerello raffiguranti: a sinistra San Francesco (alquanto sbiadito) e a destra, come può leggersi dalla iscrizione sottostante, San Diego che è raffigurato in una veste alquanto tozza e sgraziata (vedi sproporzione dei piedi nudi rispetto all'intera figura) che regge con la mano destra una semplice croce lignea e nella mano sinistra un rosario terminante con una croce. Veste il saio francescano ed è adornato di un’aureola. Sotto la scritta: SANCTUS DIDACUS.

SAN DIONISIO1) Di questo Santo trovo memoria nelle notizie antiche e moderne dell’Alberti a pag. 187 quando parla della Chiesa e Monastero di S.Margherita: “La Chiesa è bella, e capace. Vi si conserva il

corpo di S.Angelico, martirizzato nel fior degli anni, e se ne celebra la festa ai 29 di Gennaro; come pur quello di S.Dionisio Martire battezzato, di cui si celebra solenne memoria li 9 di Ottobre”.

SAN DOMENICO1) Nella Chiesa-Santuario della Madonna delle Grazie San Domenico è raffigurato in un affresco nel lato destro dell'Altare detto della Madonna di Costantinopoli.Il Santo è rappresentato in piedi con le mani giunte mentre rivolge lo sguardo verso una piccolissima Madonna con Bambino dalla quale esce una luce che va a raggiungere San Domenico[1] (secondo una fonte contemporanea era la sua fronte che irradiava questa luce soprannaturale). Questo affresco, di forma rettangolare, forse è opera del Fantino.2) Nella Chiesa del Beato Giacomo[2] nel secondo altare vi è un quadro (1 x 1,90) attribuito inizialmente ad un allievo del Lotto e cioè a Camillo Bagazzotti e che poi in "Ricerche in Umbria 2°" viene attribuito ad Ascensidonio Spacca, che raffigura la Madonna del Rosario e un cospicuo numero di devoti ai suoi lati e sotto di lei. Appunto in alto alla sua destra, si notano tre domenicani inginocchiati di cui il primo che tende le mani in atto di ricevere il Rosario dalla Madonna è senz'altro San Domenico che secondo la tradizione istituì lui stesso l'uso del Rosario (e perciò nell'iconografia il Santo può reggere la corona o riceverla). In basso, sullo stesso suo piano si nota una basilica (?) che forse si può riferire a quel fatto in cui San Domenico trovandosi a Roma, in attesa della conferma della sua Regola, fu visto in sogno da Papa Innocenzo III mentre sorreggeva

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la Basilica Lateranense che vacillava. Alla sua sinistra è forse Pietro (?) Martire e alla destra S. Caterina da Siena. In basso vari personaggi fra cui un vescovo (San Vincenzo ?) ed il Beato Giacomo con in mano il vaso del vino.3) Nella parete destra di detta Chiesa del Beato Giacomo c'è un bel quadro (1 x 1,62) di Andrea Camassei raffigurante la Madonna, Santa Caterina e la Maddalena sotto le quali in un altro distinto ed incorniciato quadro di dimensioni minori, (ma facente parte del quadro in oggetto) appare in piedi San Domenico detto il Ritratto di Soriano[3].(Secondo una leggenda, nel 1530 un frate domenicano di Soriano, nel sud dell'Italia, vide in sogno la Vergine che veniva a lui con la Maddalena e Santa Caterina da Siena e gli portava in dono un ritratto di San Domenico. Destatosi, il frate trovò effettivamente il quadro, che si rivelò dotato di proprietà miracolose). In questo secondo quadro il Santo appare in piedi che regge nella mano destra un libro rosso (I Vangeli) e nella sinistra un giglio (simbolo di castità). Ha la tonaca bianca e cappa nera che sono i colori della divisa del suo ordine.Sopra l’Altare si legge un’iscrizione sormontata da uno stemma dei Domenicani che è la ripetizione di un originale quattrocentesco su pietra conservato nella stessa chiesa: NOBILIS ET EGREGIUS I(URE) CONSULTUS SALVATOR DE SOFIIS / EXTRUENDUM LEGAVIT EX FACULTA(TE) DECE / DENS XVIII CALEN(DAS) QUINT(ILIES) MCCCCLXXXXII.4) Nella parete destra della Chiesa del Beato Giacomo opera di Ascensidonio Spacca (sopra la tomba del Giureconsulto Vincenzo Antici) c'è un quadro (1 x 1,75) raffigurante la Trinità, S.Stefano, Santa Caterina, San Domenico, San Francesco, Santa Chiara e San Lorenzo. Il Santo è in basso sulla sinistra, vicino a Santa Caterina ed è inginocchiato con le mani incrociate sul petto e con ai suoi piedi il libro rosso dei Vangeli.5) Nel Refettorio dell'ex Convento dei Domenicani vi è un grande affresco nella parete della metà del '300 (di un maestro umbro influenzato dai Senesi che ricorda il pittore della volta di Santa Chiara di Assisi) raffigurante Cristo in Croce con la Vergine e San Giovanni Apostolo ai lati e San Domenico e San Tommaso d'Aquino[4]. San Domenico è il primo sulla sinistra che regge con la mano destra il giglio e con la sinistra un libro aperto con scritta.6) Nella Sacrestia della Chiesa del Beato Giacomo vi è un quadro (ad olio su tela) rappresentante certamente San Domenico poiché appaiono chiari gli attributi principali della iconografia e cioè il giglio, i Vangeli ed il cane con la torcia accesa nella bocca.Infatti il Santo è rappresentato con la divisa del suo Ordine: tonaca e scapolare di colore bianco, cappa e cappuccio neri. Regge nella mano destra un giglio (simbolo di[B1] castità) e nella sinistra un libro aperto (I Vangeli). Sulla sua destra un cane bianco e nero con una torcia accesa in bocca.7) Ancora nella stessa Sacrestia altro grande quadro raffigura San Domenico in atto di adorazione del Crocefisso, mentre dietro la sua testa compare l'aureola che sprigiona una luce. Regge il Crocefisso con la mano destra mentre tiene appoggiata sul petto la sinistra. Veste i paramenti dell'ordine con il cappuccio nero sul capo. (Non sono sicuro che si tratti di detto Santo)

8) Nel coro della Chiesa del Beato Giacomo ci sono avanzi di un importante ciclo di affreschi[5] (forse di scuola fabrianese). Nella parte sinistra, in alto, viene riproposta la scena di S.Domenico a

cena con i suoi frati. Ricorda il fatto riportato nella Legenda Aurea di quando una sera Domenico si fermò a cena presso i frati di S.Sisto, ma all’ultimo momento si scoprì che non vi era più pane. Il Santo invitò i frati a sedersi ugualmente al loro desco, ed ecco che due uomini, raffigurati a volte come Angeli, comparvero dal nulla portando il pane che consegnarono a Domenico. Nell’affresco

di Bevagna è rappresentata molto bene questa scena: due Angeli inginocchiati porgono piccoli pani al Santo che distribuisce ai suoi frati.

9) Altra scena tratta sempre dalla Legenda Aurea è quella del rogo dei Libri eretici che ricorda che durante l’apostolato del Santo tra gli Albigesi (Provenza) fu fatto un rogo di libri eretici; ma il libro di Domenico, gettato nel fuoco, ne sortì fuori intatto. S.Domenico sulla parte sinistra sta in atto di gettare il libro sul fuoco attorniato da vari personaggi. (Quest’opera, assieme a tutto il ciclo pittorico

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e all’Annunciazione è attribuita al “Maestro della Maestà delle Volte” di Perugia ed è collocata ai primi del ‘300).10) Nella Sacrestia della Chiesa del Beato Giacomo è raffigurato un Santo Domenicano di dubbia individuazione. Regge nella mano destra un giglio fiorito, mentre nella sinistra un libro aperto ed

una lunga asta con croce latina finale. Potrebbe essere S.Domenico ma non ne sono certo.11) Presso la chiesina rurale della Madonna dell’Ulivo in località Montarone è rappresentata la

Madonna del Rosario in atto di consegnare la corona a S.Domenico. (La pittura fu eseguita 44 anni or sono da Crescimbeni Giuseppe che attualmente risiede a Roma ed esercita l’attività pittorica e di

restauro. La moglie è di Costacciaro).12) Il fondatore dei Frati Predicatori (detti anche Domenicani) è raffigurato in una tela che si

conserva nella Chiesa del Beato Giacomo. S.Domenico indossa la divisa del suo Ordine tonaca e scapolare di colore bianco e cappa nera. Regge un giglio (castità) ed un libro (I Vangeli). Ha sul

petto la tipica stella a raggi dorati.13) Una tela, in ottimo stato di conservazione raffigurante S.Domenico con libro e giglio fiorito, vestito dell’abito dell’Ordine, con aureola e stella in fronte, si conserva in casa Bartoli-Aleandri

(sopra la porta dopo il primo pianerottolo di scale).

[1] Domenico (1170-1221) fondatore dell’Ordine dei Frati Predicatori, detti anche Domenicani. Nacque in Spagna a Care Luega il 24/06/1170 da famiglia nobile ed ancora giovane divenne canonico nel 1196 e si dedicò a pregare contro le Eresie. Nel 1203 operò tra gli Albigesi della Francia meridionale (Linguadoca) ove si era recato con il suo vescovo, cercando di convertirli con la persuasione mentre le forze papali comandate da Simone di Montfort andavano sterminandoli. Percorse tutta l’Europa predicando. Morì a Bologna il 06/08/1221. Fu canonizzato da Gregorio IX il 03/07/1234. La festa si commemora il 7 di agosto.http://www.splinder.com/editor/fck/editor/fckeditor.html?InstanceName=body&Toolbar=Post - _ftnref2[2] La manutenzione del tetto di questa Chiesa è stata effettuata nel giugno 1987 dalla ditta Zaroli Osvaldo di Bevagna.[3] L’autore di questo quadro va riferita a G.B. Pacetti per affinità con altre sue opere in questa stessa Chiesa e nel Chiostro.http://www.splinder.com/editor/fck/editor/fckeditor.html?InstanceName=body&Toolbar=Post - _ftnref4[4] Tale affresco fu fotografato nel 1927 dagli Alinari e reca il n° 38446 del loro Archivio.[5] Gli affreschi - dice il Pietrangeli - sono di un raro maestro di cultura assisiate che risente l’influenza dei primi giotteschi. Queste pitture sono state riscoperte nel 1920.

S. EDVIGE1) S.Edvige[1] è effigiata in un ovale presso la Sala detta della Scala Santa nel Monastero di Santa

Margherita. E’ rappresentata con saio nero e cappuccio bianco mentre è in atto di preghiera davanti ad un Crocefisso che si stacca dalla Croce e la sta benedicendo con la mano destra. Dietro di lei si intravede una corona rovesciata avendola ripudiata ed un tratto di scettro. Davanti a lei un

libro liturgico. Sotto l’ovale su quattro righe c’è questa scritta: S(ANTA) EDVIGE DUCHESSA DI POLONIA MONACA CNVERSA DEVOTISSIMA DEL MONTE CALVARIO. METRE ORA

AVANTI AL SUO GIESU’ CROCIFISSO L’IMAGINE STACGATO IL BRACCIO LA BENEDISE DICENDO E EXAUDITA EST ORATIO TUA. Sotto altra scena della passione di

Gesù

[1] Sant’Edvige si sposò molto giovane (ad appena 13 anni, nel 1187) ed ebbe sette figli. La sua vita però non fu molto facile, benché fosse figlia del Conte Bavarese Bertoldo IV° e suo marito fosse il Duca Enrico I° della Slesia. Il momento più drammatico della sua vita fu quando dovette andare a cercare sul campo di battaglia il figlio primogenito ucciso nello sforzo di contrapporsi all’invasione dei Tartari. Sant’Edvige trascorse la sua vedovanza come “OBLATA”

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delle Cistercensi di Trebnitz e morì nel 1243. Proclamata Santa nel 1267 è considerata particolare patrona della Slesia ed insieme della Polonia.

BEATO EGIDIO D'ASSISI1) Negli affreschi esistenti presso il Convento dell'Annunziata a Capro, ve ne sono alcuni i cui personaggi non sono stati identificati e non li riconosce neanche padre Starnini, attuale rettore della Chiesa.Padre Luciano Canonici (O.F.M.)che di queste cose se ne intende, pensa che il personaggio raffigurato nell'ovale sia il Beato Egidio d'Assisi[1] poiché a suo dire "l'aureola lo dice Beato e non Santo; ha in mano il bastone di pellegrino. Infatti peregrinò in tutta l'Umbria e Toscana e arrivò a San Giacomo di Compostella (Spagna). Morì a Perugia (Monteripido) nel 1262".Non esclude però che potrebbe trattarsi anche del Beato Paoluccio Trinci iniziatore dell'Osservanza.Alla famiglia francescana il nome di Egidio è molto caro, per essere stato onorato da vari Beati, il più noto dei quali, celebrato il 23 Aprile, è appunto il III compagno di San Francesco, quel candido frate Egidio che della sua origine contadinesca aveva serbato l'operosità e la saggezza, costantemente pervaso da "perfetta letizia" e dal dono dell'arguzia.Nell'affresco suddetto il Beato Egidio è rappresentato vestito del saio francescano (a mezzo busto) con il bastone non lungo, che termina sopra la mano sinistra che lo impugna mentre guarda in alto verso una specie di nube (dipinta sulla destra) dalla quale si sprigiona una luce.È raffigurato alquanto smagrito con capelli corti e corta barba color grigio cenere, nella mano destra sorreggere non si sa bene cosa se un rosario con "palline" tutte eguali o un cilicio.Ha il capo circondato da un'aureola a piccoli raggi gialli.

Sopra l'ovale l'offerente che corrisponde al nome di GIOV.FRANCESCO TORTI F.F.

[1] Chierico, ofm (+ 1262) compagno di San Francesco, culto approvato da Pio VI - il 4/7/1777. Fu ricevuto alla Porziuncola dallo stesso San Francesco; fu missionario a Tunisi nel 1214, primo fra i francescani; fu estatico a Cetona, alla Poziuncola, a Monteripido di Perugia. Di lui conserviamo "I Detti" sintesi di sapienza cristiana popolare. Morì a Perugia, visitato da papi e prelati. È sepolto nella cappella "San Bernardino", presso la Chiesa di San Francesco.

S. ELENA1) S.Elena (255 ca. - 330), madre dell’Imperatore Costantino, dedicò gli ultimi anni della sua vita

alle buone opere, dopo che il Cristianesimo divenne ufficialmente una religione tollerata nell’Impero Romano, grazie all’Editto (313) del figlio . Fondò diverse Chiese in Terrasanta e secondo la leggenda, vi rinvenne la Croce sulla quale morì Gesù. Nella Cappella detta della

Madonna di Loreto nella Chiesa di San Francesco, nella lunetta sopra l’affresco rappresentante la Strage degli Innocenti, la scena proposta dovrebbe essere quella di S.Elena con indosso abiti

regali ed in capo la corona mentre onora la vera Croce sorretta da due uomini. L’affresco è opera di Francesco Providoni e ricorda appunto la leggenda della vera Croce. Un certo Giuda, che conosceva il luogo dove essa era seppellita si rifiutava di confessarlo. Allora l’Imperatrice Elena lo fece gettare in un pozzo secco, finchè la fame non lo costrinse a cambiare idea. Furono così dissotterrate le tre

Croci del Golgota, indistinguibili l’una dall’altra. Un cadavere (nell’affresco sta seduto sulla portantina) messo a contatto con ciascuna di esse, resuscitò quando toccò la vera Croce.

2) Tra le due scalinate della Scala Santa nel Monastero di Santa Margherita c’è un portone nei cui sott’archi vi sono due affreschi di forma ovale. In uno di questi è raffigurata S.Elena madre di Costantino che ha attinenza con la stessa Scala Santa (vedi). E’ rappresentata mentre sorregge con la mano destra una Croce. Veste abiti regali con diadema e gioielli in testa. Con la mano sinistra regge lo scettro terminante con un piccolo globo e croce.

S. ELIA PROFETA1) Il profeta ebraico è raffigurato in un affresco che si conserva nella Cappella Spetia in S.Michele vestito dell’abito Carmelitano (cappa bianca sopra una tunica bruna). Secondo la leggenda visse infatti da eremita sul monte Carmelo in Palestina dove affrontò i profeti del Culto di BAAL.I primi Carmelitani lo consideravano tradizionalmente il fondatore del loro Ordine. Si dice nato a TISHBE nel IX secolo a.C. Le sue gesta sono narrate nella Bibbia nei Libri 1 e 2 dei Re. Secondo la

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tradizione, venne assunto in cielo sopra un carro infuocato. Nell’affresco, S. Elia regge una spada con la punta di fuoco.

SANTA ELISABETTA1) Questa Santa è raffigurata in un ovale presso il Monastero di S.Margherita (Sala della Scala

Santa). Poiché dalla scritta sottostante non si comprende quale essa[1] sia, ne trascrivo il contenuto: S(ANTA) ELISABETTA FAVORITA DAL SUO SPOSO CROCIFISSO DELLE SAGRE

STIMMATE DALLE QUALI OGNI VENERDI USSIVA SAGUE FU UN MERAVIGLIOSO ESEPIO DELLA SAGRA PASIONE. Veste saio nero e cappuccio grigio. S.Elisabetta regge a sé un Crocefisso con le mani stimmatizzate. A lato una pianta. Sotto l’ovale scena della Passione di Gesù

(cattura nell’Orto degli Ulivi).

[1] Di Elisabette Sante ce ne furono almeno due: Elisabetta (o Isabella d’Aragona), regina del Portogallo che fondò un Convento di Clarisse a Coimbra, ed Elisabetta d’Ungheria (1207-1231) che si fece monaca dopo la morte del marito Luigi IV nel 1227 e donò i suoi beni alla Chiesa.

SANT’ELISEO PROFETA1) Altro personaggio affrescato nella Cappella del Carmine è il Profeta Eliseo seguace e discepolo di Elia. Lasciò l’aratro per seguire il maestro. Si ricordano molti suoi miracoli. E’ raffigurato con l’abito carmelitano ed è generalmente come in questo caso, calvo. (Alcuni fanciulli che deridevano per la sua calvizie venivano attaccati da due orsi. Così nella Bibbia libro II dei Re 2. 23-24).

SANTA EUFRASIA o EUFROSINA DELLA TEBAIDE1) Anche il Prof. Pietrangeli mette un punto interrogativo a proposito dell’individuazione di questa Santa nella sua “Guida su Bevagna”. L’iscrizione che si legge ai piedi sembra infatti essere composta da 10 lettere mentre il nome Eufrosina è di 9 lettere. Comunque dato il periodo in cui visse la Santa di Alessandria (413-470) e il periodo in cui è

rappresentata nella veste di Carmelitana nella Cappella Spetia è pertinente. Infatti l’ordine religioso delle Carmelitane sorse verso il 1254 circa.

Per dovere diciamo che secondo la tradizione S. Eufrosina vestì abiti maschili assumendo il nome di uomo (Smaragdo) e si rincluse in convento di monaci per non essere costretta a sposarsi. La festa si celebra il 1° gennaio. Un’omonima Santa, detta Eufrosina la Giovane, secondo una leggenda modellata su quella della precedente, visse sotto vesti e nome maschili in un convento di Costantinopoli, divenendovi Abate.La festa si commemora l’8 novembre. Nell’affresco, la Santa veste l’abito dei Carmelitani. Regge nella mano destra un giglio e nella sinistra un libro aperto che sta leggendo.

SANTA EUGENIA1) Nella Cappella del Carmine affrescata dal Camassei in epoca giovanile (1625) e comprendente 12 figure dei profeti (andate completamente distrutte in seguito ai disastrosi terremoti del 1832), due affreschi laterali e 24 figure di Santi e

Sante compare anche Santa Eugenia (Romana). Non si comprende come mai il Camassei abbia raffigurato questa Santa con abiti dell’Ordine delle Carmelitane (?) dal momento (se essa è la stessa) che Eugenia era una martire cristiana del

tempo dell’Imperatore Valeriano (257 d.C.). Convertitasi al Cristianesimo, radunava nella sua casa in Roma, altre giovani cristiane per condurre con esse vita devota. Sarebbe sepolta sulla via Latina. La festa ricorre il 25 dicembre. La

Santa è rappresentata in ginocchio con le braccia incrociate in atto di preghiera. Sullo sfondo una colonna romana.BEATA EVA

1) La Beata Eva (1262 ?), monaca benedettina è raffigurata assieme alla beata Giuliana, anch’esse benedettina, in un ovale dipinto nella Volta della Sala detta della Scala Santa nel Monastero di Santa Margherita. Le due Beate, l’una di fronte all’altra hanno in mezzo il simbolo dell’Eucarestia con impresso il nome di Cristo, la colomba dello Spirito Santo

sopra di loro ed in basso il viso di Cristo tra due cherubini. Nella didascalia si leggono queste parole: LE BB EVA E GIULIANA ARRICCHITE DI CELESTI RIVELATIONI FURONO LE PRIME CHE PROCURASERRO NELLA

CITTÀ’ DI LIEGI ISTITUIRRE LA FESTA DEL S(MO) SACRA(TO) CO LA PROCESIONE RITO OSSERVATO DA TUTTA LA CH(SA) CAT(CA) E DECRETO DE SOMI PONTEFICI HNORIO IIII E URBANO IIII. La festa si

celebra il 5 aprile.SAN FAUSTINO

Nella Chiesa di San Silvestro nell'affresco della parete absidiale sinistra del 1462 appare la scritta FAUSTINUS ma forse non è che AUGUSTINUS. Vedi quindi la voce S.Agostino.

SAN FELICIANO1) Nel Chiostro del Convento dell'Annunziata a Capro è raffigurato San Feliciano in un ovale dipinto nel 1638[1].Sotto vi era la scritta che lo contraddistingueva e cioè FELICIANUS M, come si può vedere in un'edizione dove è riportato il disegno dell'affresco. Tale iscrizione ora non è più visibile perché coperta dall'intonaco aggiunto qualche tempo fa. San Feliciano veste i paramenti vescovili con la mano destra in atto benedicente e con la sinistra mentre regge il pastorale. Ha la mitria dorata sul capo, adorna di due pietre preziose ed un piviale con fregi dorati su veste bianca.

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[1] S.Feliciano nacque a Foro Flaminio nel 159 da nobile e ricca famiglia. Fu educato cristianamente, studiò prima in patria e poi a Roma. Qui conobbe molti cristiani e vide le catacombe ed il martirio di alcuni. Eleuterio, tredicesimo Papa dal 182 al 193, lo chiamò a sé, lo ammise alla sua mensa, lo affidò al suo vicario Vittore, perché lo dirigesse nel bene. Fu consacrato sacerdote e rinviato in Patria. Qui c’era una chiesa e altri presbiteri che nel 193 lo elessero vescovo e lo fu per ben 43 anni. Morì il 24 gennaio del 253 all’età di 93 anni. Il culto di S.Feliciano è uno dei più estesi nel mondo.

SAN FILIPPO NERI1) Molte sono le raffigurazioni di questo Santo[1] specie nella chiesa a lui stesso dedicata, prima come Congregazione dell'Oratorio che cominciò ad operare fuori Porta Foligno nella ex chiesa di Santa Maria Maddalena (ora ristorante) e che fu eretta nel 1720. Poi, nella piazza detta del Fanfano (dove esisteva una chiesa detta della Madonna della Provvidenza), fu costruita nel 1725 la nuova Chiesa dedicata a San Filippo con annessa casa dei Filippini dove per molto tempo fu tenuta da cinque sacerdoti[2].La Chiesa della Madonna della Provvidenza fu conservata e divenne l'Oratorio dei Filippini, in essa si venera una statua della Madonna Addolorata.Nella volta di questa Chiesa si ammirano affreschi attribuiti a Giambattista Michelini di Foligno e che rappresentano fatti della vita del Santo. Tale attribuzione però è decisamente smentita in "Ricerche in Umbria 2" per ragioni stilistiche e cronologiche: gli affreschi sono datati 1757, il Michelini muore nel 1670 perciò questi affreschi vanno ascritti al pittore Domenico Valeri.Tra questi si nota l'estasi di San Filippo che con la pianeta indosso è sorretto da vari angeli.2) Nel corridoio della sacrestia della Chiesa di San Michele vi sono due quadri (con la parte superiore rotonda) appoggiati al muro in due nicchie. Uno di questi raffigura San Filippo Neri che riceve una visione durante la celebrazione della messa e si accascia sorretto da alcuni angeli.Poiché detto quadro proviene dalla chiesa di San Filippo non c'è dubbio che si tratta di detto Santo e non di Sant'Andrea Avellino che è rappresentato anche lui in atto di accasciarsi durante l'ufficio della messa ma che è sorretto da un chierichetto e non dagli angeli. (Vedi S.Andrea Avellino)Di detto quadro non se ne conosce l'autore.3) Sopra un altare della Chiesa di San Filippo e che ne costituisce la pala, si può notare un quadro nel quale è raffigurato San Filippo in piedi mentre con le mani giunte sta in atto di contemplazione.Sulla sua destra, in basso, vi sono due giovani angioletti: uno sta seduto e regge in grembo un libro aperto, mentre l'altro, diritto, regge con la mano sinistra un lungo giglio e sta osservando il libro con un certo interesse.Sulla sinistra del Santo si può scorgere, sopra una specie di altare, un teschio ed un crocefisso.La tela è assai scura nel complesso e non ha alcunchè di particolare. Essa risale al secolo XVIII.4) Nell'abitazione dell'attuale Parroco, Don Giovanni Marchetti, in un vasto locale adibito a magazzino, sono custoditi alcuni quadri. Alcuni di essi sono stati qui trasferiti in epoca recente dalla chiesa di San Filippo, altri anteriormente al 1980. Uno di questi è un bel quadro in tela e ad olio ove San Filippo Neri è raffigurato con folta ma ben curata barba bianca: ha lo sguardo rivolto nel vuoto ed indossa un copricapo nero.La tela è racchiusa in una spessa cornice dorata abbellita da 16 borchie.5) Nella Sacrestia della Chiesa di San Filippo (fino alla fine 1983) era conservato un quadro ad olio su tela databile XVIII sec., che appeso alla parete sinistra entrando, subiva quotidianamente un processo di deterioramento a causa dell'infiltrazione di acqua proveniente dal tetto che interessava tutta la sua superficie.Fatto presente il danno che stava subendo la pittura, il parroco priore Don Giovanni Marchetti lo ha fatto trasferire presso un locale dell'abitazione in San Michele dove almeno è al riparo dall'acqua piovana e dall'umidità.Il quadro è interessato da gravi sollevamenti di scaglie di colore, da ossidazioni della vernice, alterazioni queste prodotte dall'acqua che è scivolata per molto tempo sulla sua superficie.San Filippo è circondato da angeli e cherubini. Un angioletto sorregge il pastorale, un altro la mitra ed un terzo indica un libro dove vi è una scritta. Il Santo è in piedi mentre con le mani aperte sta in segno di devozione. È raffigurato stempiato, quasi calvo e con una folta barba tendente al rosso bruno. Indossa la pianeta ed ha sul petto una grossa croce nuda.6) Nell'altare a destra (altare dedicato a San Filippo Neri) della Chiesa di Santa Margherita[3] vi è una pala che rappresenta "La Vergine che appare a San Filippo Neri". Tale tela è una copia dell'originale di Guido Reni che si conserva a Roma nella Chiesa Nuova.In questa iconografia è raffigurato a braccia aperte mentre inginocchiato prega dinanzi ad una raffigurazione della Vergine con Bambino ed alcuni cherubini che fanno da corona. Questo tema è quello fedele allo spirito della Controriforma.Spesso si assiste a questa tipologia di iconografia per la particolare devozione che San Filippo Neri ebbe per la Vergine. Indossa la pianeta ed ai suoi piedi compare un giglio. Questa tela è attribuita dal Sutherland Harris al Camassei.7) Sempre nella stessa Chiesa di Santa Margherita ed ai lati dello stesso Altare a lui dedicato, vi sono sei piccole tele (interamente ridipinte e quindi ingiudicabili ma che vengono attribuite al Camassei) in cui si possono ammirare sei scene della vita di San Filippo Neri e precisamente:a) si incontra con San Carlo Borromeo (del quale fu amico e consigliere);b) viene salvato da un angelo mentre sta per cadere in una fossa;c) assiste Pio IV morente;

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d) salva un devoto in procinto di annegare;e) fa l'elemosina ad un povero che si tramuta in Angelo;f) il Santo in estasi sente le melodie celesti.Queste piccole tele, attribuite al Camassei, vengono datate al 1627, anno in cui le monache di Santa Margherita ottennero importanti reliquie del Santo. Nel 1640, la Chiesa rinnovata completamente, fu dedicata a Santa Margherita Vergine e Martire e allo stesso San Filippo Neri.8) Altro quadro dove è raffigurato San Filippo Neri trovasi nella Sacrestia della Chiesa di Sant'Agostino. È classificato della prima metà del sec. XVIII e proviene senz'altro dalla Chiesa di San Filippo.Rappresenta la Madonna con Bambino ed Angeli e i Santi Orsola e Apollonia che reggono la palma simbolo del martirio. San Filippo Neri, rappresentato di aspetto anziano con capelli e barba bianchi, è prostrato ai piedi della Vergine in atto di devozione con le braccia allargate. Indossa la pianeta di color violaceo chiaro mentre ai suoi piedi compare un giglio. È un quadro stilisticamente buono sia per le forme aggraziate dei protagonisti sia per la disposizione dei personaggi. Si trova in buone condizioni di stato anche se necessiterebbe di un intervento di pulizia.9) Nella Pinacoteca comunale, purtroppo malridotto, su tela scrostata, compare San Filippo Neri a mezzo busto, con un viso impenetrabile ed uno sguardo imperturbabile. Peccato che la condizione precaria del dipinto non faccia risaltare la mano dell'artista non certamente di scarso valore. San Filippo ha dietro il capo l'aureola simbolo di santità ed indossa una camicia bianca visibile dai pizzi che fuoriescono su una maglia nera. Le misure della tela sono 64 X 74 e l'opera può essere attribuita al XVII secolo.10) Ancora nella Pinacoteca si può ammirare una bella tela, questa volta in buono stato di conservazione, in cui compare San Filippo Neri insieme a San Carlo Borromeo intenti a celebrare l'Ufficio Sacro. Il quadro (78 X 106) si trovava nella sacrestia di San Filippo e la Di Domenico Cortese ne rileva la derivazione dal dipinto reniano della Cattedrale di Toledo con il medesimo soggetto. L'opera è attribuita ad Andrea Camassei sia dall'Alberti che dal Bragazzi, ma a nostro giudizio questa attribuzione non è molto accettata! (Se è del Camassei può datarsi dal 1636 al 1645). Le due figure compaiono a mezzo busto con lo sguardo proteso verso la lettura del Vangelo che tengono ognuno sulle mani. San Filippo Neri ha uno sguardo ed un atteggiamento dolce quasi meditativo.11) Una interessante tela (158 X 110) che si conserva in Pinacoteca, molto ricca di personaggi legati a Bevagna (S.Vincenzo ed il Beato Giacomo) raffigura la SS.Trinità che dall'alto osserva la devozione di San Filippo Neri, di San Giuseppe e dei due compatroni. L'attribuzione del quadro tende alla "tradizione" che afferma essere opera del Camassei o di sua bottega, mentre altri critici propendono per G.B.Pacetti. Il quadro commissionato molto probabilmente dal Comune per la presenza anche di una parziale vista della città di Bevagna (in questo caso si nota Porta Molini), è da ritenersi posteriore al 1632, anno della beatificazione del Beato Giacomo che vi è raffigurato. San Filippo Neri è sempre raffigurato con pianeta, capelli e barba bianchi mentre a braccia aperte tende lo sguardo verso l'alto, collocato alla sinistra, dietro San Giuseppe.

12) Una piccola scultura marmorea di color bianco a mezzo busto rappresentante S.Filippo Neri si conserva nella Sacrestia della Chiesa di S.Michele. E’ posato sopra un armadio nella parte sinistra (a destra c’è una scultura della

stessa grandezza di S.Carlo Borromeo). S.Filippo ha la barba ed indossa la pianeta (Da una riga sul collo sembrerebbe che la statua sia stata riattaccata a seguito di rottura).

13) Il 26 settembre del 1627, alcune reliquie di S.Filippo Neri furono donate alla Chiesa di Santa Margherita dai Padri dell’Oratorio di Roma (non era infatti aperta la Congregazione dell’Oratorio di S.Filippo, avvenuta nel 1720). Nell’occasione fu organizzata una solenne processione. Le reliquie del Santo consistevano nelle sue interiora e nel suo sangue, racchiuse in una scatola sigillata. Esse furono poste sull’Altare Maggiore dedicato a Maria Vergine.

[1] S.Filippo era nato a Firenze nel 1515, figlio di un giurista. In gioventù si stabilì a Roma dove studiò teologia. Prese i voti e fondò una Confraternita laica dedita alle opere di carità: gli Oratoriani (nome derivato dall’Oratorio dove si incontravano). Morì il 26 maggio 1595. Fu canonizzato da Gregorio XV nel 1624.http://www.splinder.com/editor/fck/editor/fckeditor.html?InstanceName=body&Toolbar=Post - _ftnref2[2] La Chiesa di S.Filippo dopo il risanamento del tetto, finanziato dalla Regione dell’Umbria, è stata oggetto di ulteriore intervento di risanamento dei locali sottostanti e del restauro dei portoni (contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno). Nel successivo intervento di restauro della calotta absidale, curato dalla ditta Guerri Giuliano di Città di Castello e condotto sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza ai Beni Ambientali Architettonici Artistici e Storici dell’Umbria, si è provveduto al consolidamento e fissaggio della pellicola pittorica, alla successiva pulitura della superficie e alla sua integrazione. La riapertura definitiva al culto è avvenuta il 24 settembre 1994 ore 18.[3] Il 26 settembre del 1627 furono donate al Monastero di Santa Margherita alcune reliquie del Santo e nell’occasione fu organizzata una solenne Processione descritta da Giovan Battista Piergili che ne fu anche l’animatore. Il manoscritto, rimasto inedito nel Monastero di santa Margherita fu dato alle stampe nel 1895 da Giuseppe Maria Bartolini prete dell’Oratorio con il titolo “Relazione della solenne processione fatta in Bevagna nella traslazione delle Sante Reliquie di S.Filippo Neri l’anno 1627 a dì 26 settembre”.

SANTA FRANCESCA ROMANA1) Nella Cappella della Madonna del Carmine (o Cappella Spetia) è raffigurata, come si può dedurre dalla scritta sotto l'affresco, SANTA FRANCESCA ROMANA[1], la nobildonna romana, sposa e madre che si dedicò alle opere di

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carità e soprattutto ad alleviare le sofferenze degli appestati. Fondò nel 1425 una comunità di donne presso Tor degli Specchi: LE OBLATE BENEDETTINE DI MONTE OLIVETO.Venne raffigurata, dopo questa data, nelle opere d'arte ed il Camassei, autore dell'affresco, la raffigurò con indosso l'abito nero ed un manto bianco della Congregazione. Davanti a lei un angelo regge un libro aperto sul quale vi è la rituale frase (in questo caso sembra essere incompleta nel testo) "TENUISTI MANUM DEXTRAM MEAM ET IN VOLUNTATE TUA DEDUXISTI ME, ET CUM GLORIA SUSCEPISTI ME" tratta dai Salmi 73-23-24 (Tu mi hai preso per la mano destra. Mi hai guidato con il tuo consiglio e poi mi hai accolto nella tua gloria).Sul piedistallo la scritta: S.FRANCISCA. Santa Francesca Romana nacque nel 1384 a Roma dove morì il 9 marzo 1440. Fu canonizzata il 29 maggio del 1608.2) Nella Sacrestia della Chiesa di S.Agostino si conserva, racchiuso in una cornice argentata, un quadro raffigurante Santa Francesca Romana riconoscibile per la frase impressa sul libro che tiene aperto in bella evidenza. Accanto a lei un piccolo Angelo reggente anch’egli un libro tra le braccia incrociate.

[1] Franceschella di Paolo de Buxis, moglie di Lorenzo de’ Ponziani.

SAN FRANCESCO D’ASSISIE’ raffigurato:1) nella tela che si trova nella Cappella che era juspatronato della famiglia Ciccoli nella Chiesa di San Francesco. Il quadro è attribuito sia a Dono Doni[1] che ad Ascensidonio Spacca. (Il bozzetto di questo quadro si conserva nella stanza di rappresentanza della APT di Assisi). È in pessimo stato di conservazione.San Francesco in ginocchio (sulla sinistra) con le braccia aperte, adora il Crocefisso.(L’Altare è adorno di marmi colorati di buona fattura).2) In un affresco presso la edicola di Pian d'Arca[2] nell'anniversario del VII° Centenario della morte del Santo. San Francesco è raffigurato in piedi mentre con le braccia basse, ma aperte, predica agli uccelli che volano intorno a lui, mentre una rondine sta posata sulla sua spalla sinistra.3) In un affresco facente parte di quel ciclo scoperto nel febbraio del 1982 nella Chiesa di S. Agostino.San Francesco è rappresentato nell'Absidiola dedicata alla Madonna del Soccorso (eretta per la devozione di un certo Messer Geronimo nel 1555), sulla parte sinistra, con lo sguardo rivolto verso sinistra e che regge con la mano destra una croce e con la sinistra un libro. Sono visibili le stimmate.Nel lato opposto è raffigurato S.Antonio Abate.4) In un affresco (di epoca antecedente a quello descritto) (?) che si trova dietro l'altare Maggiore di detta Chiesa di S.Agostino, dove appunto è rappresentato San Francesco sulla destra, con la mano destra sul petto e con il libro nella sinistra. Accanto vi è raffigurata S.Maria Egiziaca e più in là San Rocco. L’affresco è deturpato e non è più visibile il volto. Il Santo è individuabile dalle stimmate che si notano sul dorso della mano destra.5) È rappresentato in un piccolo affresco che adorna l'Altare della Madonna di Costantinopoli presso il Santuario della Madonna delle Grazie.San Francesco è raffigurato nella parte sinistra di detto Altare, con indosso i sandali, con il cordone ed il rosario ai fianchi, con la mano destra sta in atto di invito e con la sinistra regge un Crocefisso. Si notano le stimmate e lo sguardo rivolto verso chi lo guarda.È senz'altro opera di Ascensidonio Spacca. Nel lato sinistro dell'altare vi è raffigurato San Domenico.6) È raffigurato in una tela (1 x 1,69) che è la Pala dell'Altare Maggiore della Chiesa di S.Francesco. È un quadro senz'altro della metà del sec. XVIII.San Francesco è rappresentato inginocchiato, scalzo, mentre guarda, a braccia larghe, verso l’alto dove sta seduto S.Giovanni Battista che indica con la mano sinistra l'Agnello Salvatore.7) Nella Chiesa-Convento dell'Annunziata a Capro, San Francesco è rappresentato in un affresco opera del Fantino (ritoccato dal Camassei?) insieme alla Madonna e a S.Giovanni Apostolo.Si trova nel primo altare a sinistra (in pietra caciolfa) ed il Santo è raffigurato alla sinistra mentre, in ginocchio, sta osservando, estasiato, il Crocefisso. (Il Crocefisso suddetto è in legno del sec. XV opera di Eusebio Bastoni (1502) ed è antecedente all'affresco che è della fine del 500).8) In una tela dello stesso Fantino e quindi della fine del ‘500, San Francesco è raffigurato insieme con i Santi Pietro e Paolo e la Madonna in Gloria (misure del quadro 221 x 165).Questa tela si trova nella parte sinistra della Chiesa di San Lorenzo a Torre del Colle e secondo il Bartoli (1904 - pag. 11) era la Pala d'Altare Maggiore dell'ex Chiesa dei Cappuccini. San Francesco è raffigurato in piedi, in mezzo agli altri due Santi menzionati, che guarda sopra di lui la Madonna seduta su una nuvola con il Bambino ed angeli. Regge nella mano sinistra una croce lignea.9) Altro affresco dedicato a San Francesco ed opera del pittore Ugo Scaramucci di Foligno, si trova dipinto nella parte destra dell'abside della Chiesa della Madonna della Valle. San Francesco è rappresentato mentre predica agli uccelli a Pian d’Arca, con i sandali e attorniato da cinque rondini che gli volano intorno, mentre su un ramo spoglio sta un pettirosso. Attorno è rappresentato il paesaggio umbro con laghetti, case coloniche, mèssi al sole, campi coltivati e poi un paese e sullo sfondo il Monte Subasio.

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10) Nella Chiesa di San Domenico, nella parete destra, San Francesco è rappresentato insieme con altri Santi (5). Tale quadro è attribuito ad Ascensidonio Spacca e misura 1 x 1,75. San Francesco sta sulla destra tra S.Lorenzo e Santa Chiara, in ginocchio in atto di adorazione della SS.Trinità.11) Nella Sacrestia della Chiesa del Beato Giacomo vi è un quadro di medie dimensioni rappresentante San Francesco stimmatizzato.È raffigurato a mezzo busto di profilo rivolto verso destra con le braccia incrociate sul petto e con barba bruna a pizzo.12) Nella Chiesa-Convento dell'Annunziata a Capro (lato interno sotto l'architrave dell'Altare dedicato all'Apostolo S.Tommaso) vi è raffigurato San Francesco, acquarello su tavola, alquanto sbiadito.Il santo è in piedi. Con la mano sinistra regge il Crocefisso.Nel pannello sottostante doveva esserci la scritta Sanctus Franciscus (ora non più visibile).13) Nella Pinacoteca Comunale in una tela (ad olio) è raffigurato San Francesco insieme con San Bernardino che osservano in estasi la Madonna di Costantinopoli. L'opera è attribuita ad Ascensidonio Spacca e misura 240 x 143.Il Santo sulla destra regge un libro nella mano sinistra ed osserva in alto la Madonna ed il Bambino. Il quadro è assai malridotto.14) Altro quadro (230 X 132) attribuito ad Ascensidonio Spacca e raffigurante San Francesco si trova nella Pinacoteca Comunale. È anche questo assai malridotto.Raffigura San Francesco sulla destra che insieme alla Madonna osservano il Crocefisso.La figura del Santo è quella maggiormente danneggiata nonostante il restauro conservativo del 1981.15) Nella Chiesa di Santa Maria a Gaglioli nel lato sinistro della Cappella affrescata vi sono cinque affreschi di medie dimensioni fra cui un San Francesco con il saio chiaro e sandali ed il Crocefisso che impugna con la mano sinistra.Sotto vi è una la scritta che attesta che la cappella era dedicata a San Nicola e che fu fatta per volontà degli abitanti del castello[3]. È opera della fine del '500 (?).16) Nella Chiesa della Madonna del Monte c'è un quadro (ad olio su tela) raffigurante San Francesco, in piedi, alla sinistra che osserva a mani incrociate sul petto la Madonna con Bambino mentre è incoronata da due Angeli.In mezzo al quadro vi sono le anime del Purgatorio e sulla destra Santa Chiara da Montefalco con il cuore retto nella mano destra posata sul petto mentre nella sinistra tiene un giglio.Il quadro misura 215 x 143 ed è attribuito al pittore della Pala Spetia in S.Michele.17) Uno dei più interessanti quadri raffigurante San Francesco si trova nella Chiesa di Santa Maria Assunta a Castelbuono. Non è stato individuato l'artefice ma la figura del Santo si staglia austera e possente come non avviene in altre rappresentazioni.San Francesco è in atto benedicente, a piedi nudi vestito del saio e con nella mano sinistra un libro con la scritta “VERA S.FRANCISCI EFFIGIES ET STATURA” e il TAU. Sul petto è stampigliata una croce di Lorena di color rosso.Il quadro che è abbastanza ben conservato, necessiterebbe però di qualche restauro sul volto del Santo.18) Nel Chiostro del Convento dell'Annunziata a Capro, vi sono una serie di medaglioni rappresentanti vari Santi e Martiri fra cui un affresco rappresentante San Francesco in atto benedicente con la mano destra mentre con la sinistra regge un libro.Sotto vi è la scritta “Sanctus Franciscus” e lo stemma della famiglia che fece fare a proprie spese il dipinto nell'anno 1622: la famiglia Alberti[4].19) Presso l’Edicola della Madonna del Core accanto alla Madonna con Bambino, nel lato sinistro, ognuno all’interno di un arco decorato, retto da una colonna centrale, sono rappresentati due Santi. Quello all’estremità sinistra è senz’altro

S.Francesco d’Assisi che si individua dalla stimmata nel costato, dal saio grigio e cordone e dal capo tonsurato. La piaga del costato è visibile attraverso un’apertura a losanga nel suo abito.

20) All’interno della Chiesa dell’Annunziata di lato all’Altare Maggiore si aprono due porte (chiuse con tende) che conducono al coro (opera ad intarsio del sec. XV° con al centro il nome di Cristo scritto in greco). Sopra i due architravi vi sono due statue di normale altezza raffiguranti alla sinistra S.Francesco e a destra S.Bonaventura. S.Francesco indossa il saio con cordone e tiene con la mano sinistra una croce. Sotto il piedistallo la scritta S.FRANCESCO e ALTARE PRIVILEGIATO.21) Nella Chiesa di S.Francesco c’è una pietra murata accanto all’altare della Cappella Ciccoli (che misura 21 X 19 cm.) che la tradizione dice sarebbe quella su cui S.Francesco avrebbe predicato agli uccelli a Pian d’Arca. E’ protetta da una grata di ferro. Vi è appesa una scritta:

PRAEDICAT HIC AVIBUS SIPLEXFRANCISCUS ET ISTU

IN PEDE SERAPHICO SACTIFICATLAPIDEM

cioè: Predicò il semplice S.Francesco da questa Pietra agli uccelli ed il piede suo serafico santificò la Pietra.La predica agli uccelli, secondo i biografi del Santo, avvenne tra il 1212 ed il 1213.22) All’interno della piccola Edicola che trovasi nei pressi dell’ingresso (sulla sx) di Torre del Colle (eretta nell’anno 1924 da Pierino Stortini) ai lati della Madonna in trono con bambino (affresco a tempera) si trova raffigurato un S.Francesco assai sbiadito e con numerose crepe in superficie. Nella parte opposta un S.Michele Arcangelo.23) All’interno di Casa Bartoli-Aleandri (dopo la Porta Foligno, sulla sinistra) si conserva, in una cappellina appositamente allestita, il corpo di S.Stratonico. Varie decorazioni abbelliscono le pareti. Esse raffigurano i quattro

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Evangelisti ed in un arco sulla destra dell’ingresso (sopra l’epigrafe in greco), vi è un affresco di buona fattura raffigurante il Redentore tra S.Francesco e S.Caterina da Siena. Il Santo è in ginocchio vestito del saio francescano da cui si scorge la ferita del costato e le stimmate.24) Nel sottarco della Cappella del Carmine in S.Michele sono rappresentati, in altrettanti quadretti rettangolari, opera giovanile del Camassei, (circa 1625), S.Francesco, S.Paolo, S.Pietro e S.Domenico. S.Francesco è quello dipinto nella parte bassa. Veste il saio dell’Ordine ed impugna un Crocefisso nella mano sinistra. La porta inferiore dell’affresco è ormai perduta.25) Nella volta del coro dietro l’Altare Maggiore della Chiesa di S.Francesco è raffigurata la scena delle stimmate ricevute da S.Francesco durante un periodo di ritiro sul Monte della Verna. Secondo il racconto di Tommaso da Celano un giovane, simile ad un serafino, con sei ali e con le braccia aperte e piedi uniti, e cioè a forma di croce, apparve al Santo e gli impresse le stimmate attraverso raggi luminosi. Nei racconti posteriori, la descrizione della visione è stata modificata. Per S.Bonaventura, ad esempio gli apparve Gesù Cristo.In questo affresco nella volta è rappresentata l’ultima versione. S.Francesco è inginocchiato tra le impervie rocce del Monte mentre nella vallata si scorge un bel paesaggio. Da una nuvola scendono i cinque raggi luminosi che partono da un crocefisso attorniato da nove cherubini.26) In occasione della 26a Mostra Mercato Nazionale d’Antiquariato di Assisi (Umbria Fiere - Bastia Umbra dal 18/04 al 03/05/98) sono stati esposti 46 disegni originali di Alessandro Tiarini (Bologna 1577-1668) che illustrano la vita di miracoli di S.Francesco di Assisi (l’Organizzazione è della Galleria KEKKO e C.I.M.A. s.r.l.). Fra questi non poteva mancare il miracolo della “Predica agli uccelli” avvenuta a Pian d’Arca presso Cantalupo. Il disegno è su carta, realizzato a penna ad inchiostro bruno, acquerello bruno su matita nera. La sua dimensione è di cm. 28 X 41 ed ha una cornice decorata con Cariatidi. Il disegno è databile intorno al 1610/20 e come gli altri sono studi preparatori per illustrazioni o per una serie di acqueforti. Sullo sfondo si scorge un panorama di Bevagna.

[1] Adone Doni detto Dono Doni. Nato verso il 1500 ad Assisi dove morì nel 1575.http://www.splinder.com/editor/fck/editor/fckeditor.html?InstanceName=body&Toolbar=Post - _ftnref2[2] L’edicola fu inaugurata nell’autunno del 1926 per iniziativa dei coniugi Cannaresi Angelo Preziotti e Maria Cavalieri. Il progetto fu affidato allo scultore cannarese Bruno Bini il quale con perizia e alacrità vi lavorò insieme al pittore perugino Gastone Vignaroli.Sulla lapide centrale c’è questa scritta: “In questo luogo Santo Francesco insegnò le Laudi di Dio Creatore alle sue sirocchie uccelli sì dicendo loro: Voi non seminate e non mietete e Iddio vi pasce e davvi i fiumi e le fonti per vostro bere, davvi i monti e le valli per vostro rifugio e gli alberi alti per fare il vostro nido ed essi con meravigliosi canti da lui sì partirono per annunziare al mondo il verbo della vita rinnovellata nella fede della Divina provvidenza.”La scritta sulle lapidi laterali: “Nell’ottavo centenario della nascita di S.Francesco la popolazione di Cantalupo offre 02/09/82”.[3] “QUESTA CAPPELLA DE SANCTO NICOLA (DA TOLENTINO) SIE FACTTA P VOTO DEL CASTELLO”[4] Si legge l’iscrizione: EUSTACHIUS ALBERTIUS I.V.D.F.F.

FRANCESCO DI PAOLA1) Di S.Francesco di Paola si conserva un bel quadro presso la Sacrestia della Chiesa della Madonna delle Grazie. Era nato a Paola in Calabria nel 1416 da una famiglia poverissima. Fu uno dei più giovani fondatori di Ordini religiosi: fondò infatti l’Ordine dei Minori, la cui Regola ricalcava quella dei Francescani. (L’abito di quest’Ordine è bruno ed è caratterizzato da un corto scapolare arrotondato agli angoli).All’età di 13 anni il padre lo portò nel Convento dei Frati Francescani di S.Marco, dove imparò a vivere in austerità. A 15 anni però, si ritirò a vivere tra le aspre montagne nei pressi di Cosenza. In quel luogo, grazie alla sua fama di santità e grazie ai miracoli compiuti, fu raggiunto da molti giovani desiderosi di seguirne l’esempio. Con loro fondò appunto l’Ordine dei Minimi, detto anche Eremiti di S.Francesco d’Assisi che praticavano la penitenza, riducendo la loro alimentazione a pane, pesce, acqua e verdure. Morì il 2 aprile 1507 durante il suo soggiorno in Francia, a Plessis Les Tours. Fu canonizzato nel 1519 a soli 12 anni dalla morte. La festa ricorre in questo giorno. E’ raffigurato particolarmente nella pittura spagnola, come un anziano frate con la barba bianca. Anche nella tela della Madonna delle Grazie[1] S.Francesco di Paola conferma questa raffigurazione. Sta in preghiera a mani giunte, ha il bastone da eremita e sulla destra entro un piccolo cerchio chiaro e lucente a caratteri rossi, il motto CHARITAS (su tre righe).

[1] Questa tela è stata di recente trasferita presso la Sacrestia della Chiesa di S.Agostino (gennaio 1998).S. FRANCESCO SAVERIO

1) Questo Santo missionario gesuita spagnolo (che morì a quarantasei anni il 3 dicembre 1552 su un’isoletta deserta a sud-ovest di Macao sul Mar Cinese Meridionale) è rappresentato in un piccolo quadro (50 x 64) che si conserva nella Pinacoteca di Bevagna.Francesco Saverio[1] patrono di varie nazioni (Giappone - India - Pakistan - Portogallo) e di alcune città quali Bologna, Piacenza, Cremona, Bastia, è raffigurato vestito di una cotta bianca in atto benedicente e con sul capo una fiammella.

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[1] Nato da famiglia nobile nel Castello di XAVIER nella Navarra nel 1506, studiò a Parigi, alla Sorbona, dove conobbe l’ex-ufficiale, anche lui spagnolo, Ignazio di Loyola. Con lui e con pochi altri fonda la Compagnia di Gesù (Gesuiti). Su invito del Re di Portogallo viene nominato Ispettore delle Missioni nelle Indie. A Goa inizia la sua attività di predicatore. Numerosissime le conversioni per suo merito. Pio X lo nominò patrono della Congregazione per la Propaganda della Fede.

FUGA IN EGITTO1) Una bella rappresentazione di questo episodio della vita di Gesù e della sua famiglia ricordata da Matteo nel suo Vangelo (2, 13-15), si può ammirare in una tela di buona fattura che trovasi presso un locale dell’abitazione del Priore Don Giovanni Marchetti. Ricorda l’Evangelista che avvertito in sogno che Erode cercava Gesù per ucciderlo, (vedi Strage degli Innocenti), Giuseppe portò in salvo il Bambino e sua madre in Egitto, dove rimasero fino alla morte di Erode. La Vergine monta un asinello e reca tra le braccia il Bambino. Giuseppe a piedi nudi (come gli altri personaggi) conduce l’animale per una corda legata al collo. Si distinguono anche altri animali domestici come un cane e due agnelli ed un bue (che allude alla natività) retto per un corno da un personaggio con berretto sul capo. Sullo sfondo un paesaggio alberato con alcuni personaggi. (Nei dipinti del primo Rinascimento possono essere raffigurati anche i tre figli di Giuseppe e la levatrice Salomè (in questo quadro forse i tre giovani potrebbero rappresentare questi tre figli).

S.GELTRUDE1) S.Geltrude[1] è rappresentata nel ciclo di 14 ovali di Sante Benedettine effigiate nella Sala detta della Scala Santa

presso il Monastero di Santa Margherita. Veste l’abito dell’Ordine, con aureola e cuore retto con la mano destra.Sotto l’immagine su 4 righe compare la scritta: SANTA GELTRUDE MONACA HEBBE IL DONO DI ALTISSIMA CÕTEMPLATIONE · FU LA DELITIA · DEL SUO SPOSO CHRISTO · IL QUALE · DISSE · CHE NON VIVEVA ALCUNO CHE · LI’ · FUSSE · PIU’ · UNITO CHE GELTRUDE · IL · DI CUI · CUORE · FU · STANZA · DEL · SUO · GIESU’.

[1] Santa Geltrude, detta “La Grande”, nacque nel 1256. I suoi genitori l’affidarono all’età di 5 anni al Monastero Cistercense di Helfta, nella Turingia, dove Geltrude ebbe una solida formazione umanistica e teologica. Più tardi - a 25 anni - quando dopo la recita di “COMPIETA” ebbe la prima visione che trasformò la sua vita, Gesù le rimproverò la sua eccessiva applicazione allo studio. Da quel momento Geltrude divenne un’anima essenzialmente contemplativa, accentuando la sua devozione al Cuore di Gesù e all’Eucarestia. Morì il 17 novembre 1301. Santa Geltrude è patrona delle Indie Occidentali. Dal 1738 la sua festa viene celebrata il 16 novembre.

S.GIACINTO DI POLONIA1) San Giacinto[1] è raffigurato in una tela (1 x 200) attribuita al Fantino che si conserva sul primo Altare di sinistra nella Chiesa di S.Domenico. Il Santo è in ginocchio con lo sguardo rivolto verso l’alto dove una Madonna con Bambino in braccio, che promette di intercedere per lui presso il Redentore, ed uno stuolo di Angeli (n.11) le fanno da corona offrendo corone e fiori di giacinto di color azzurrino. La Vergine è avvolta da un nastro su cui si possono leggere le parole: GAUDE FILI IACINCTE... QUIA ORATIONES TUAE GRATE SUNT FILIO MEO ET QUINCQUID AB EO... PER ME PETIERIS IMPETRABIS.2) Un’altra immagine assai rappresentativa di S.Giacinto mentre rivolge lo sguardo verso la Madonna con Bambino è quella che si conserva presso la Sacrestia della Chiesa di S.Domenico.Il Santo vestito dell’Ordine Domenicano sembra ascoltare quello che la Madonna dice attraverso un cartiglio con le parole: “GAUDE FILI IACINTE QUIA ORATIONES TUAE GRATE SUNT FILIO MEO”.

[1] S.Giacinto (1185-1257) di Polonia era originario della Slesia. Entrò nell’Ordine Domenicano a Roma e si recò come missionario in Polonia e nelle terre limitrofe. La leggenda gli attribuisce molti miracoli. Si racconta ad esempio che durante un attacco dei Tartari afferrò l’Ostensorio ed una pesante statua della Vergine che si trovavano in Chiesa e li portò in salvo camminando sull’acqua e giungendo sano e salvo al di là del fiume Dnieper. Fu canonizzato da Clemente VIII nel 1594. La sua festa si commemora il 17 agosto.

BEATO GIACOMO BIANCONI1) Il compatrono di Bevagna Beato Giacomo Bianconi (l’altro è S.Vincenzo Vescovo) è doverosamente rappresentato e venerato. Il suo corpo si conserva in un’urna di bronzo dorato posta sull’Altare Maggiore, del sec. XVII, e rifatta nel 1930[1]. Questo è motivo di attaccamento in più per i bevanati che possono nei mesi di maggio ed agosto, essere vicini e venerare questo Beato quale Padre della loro Patria. Nell’urna bronzea il corpo incorrotto del Beato veste l’abito del suo Ordine.2) Presso l’altare nella parete di sinistra sono murate due lapidi commemorative a ricordo del 50° e del 100° Anniversario del terremoto del 1832 che per la protezione del Beato Giacomo lasciò quasi incolume il Comune di Bevagna.La prima così recita:

BEVAGNAQUASI INCOLUME DAL TERREMOTO

DEL XIII GENNAIO MDCCCXXXIIDECRETO’ PER UN SECOLO

AL CONCITTADINO

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BEATO GIACOMO BIANCONIVOTIVO TRIBUTO DI RICONOSCENZA

NEL CINQUANTESIMO ANNIVERSARIORINNOVANDO GRATITUDINE

AL CELESTE PATRONOPOSE

La seconda così recita:L’ANNO MDCCCXXXII IL COMUNE DI BEVAGNA IN GRAN PARTE INCOLUME DAL TERRIBILE

TERREMOTO DEVASTATOREDELLE TERRE VICINE MERCE’ LA PROTEZIONE CELESTEDEL BEATO GIACOMO BIANCONI FIN DAL XIII SECOLO

INVOCATO PADRE DELLA PATRIA PROMISE AZIONI DI GRA -ZIE PER CENTO ANNI E COMPIUTO IL SECOLO RINNOVO’ IL

VOTO AFFERMANDO INTREPIDA FEDE IN CRISTO ARBI -TRO DELLE UMANE VICENDE RE DEI RE E SIGNORE DEI DOMINANTI.

XXVIII AGOSTO MCMXXXII X.E.F.IL PATRIO MUNICIPIO P.

3) Nella tela (1 x 1,90) denominata “La Madonna del Rosario e Devoti” è inconfondibile la presenza del Beato Giacomo che vestito con la divisa del suo Ordine (questa volta completamente bianco), regge in mano il simbolo di uno dei suoi miracoli, cioè l’ampolla contenente il vino benedetto[2].4) All’inizio della parete destra della Chiesa di S.Domenico si può ammirare una tela (1 x 1,80) datata e firmata 1642 opera del pittore tifernate G.B.Pacetti[3] in cui compare il miracolo del Beato Giacomo irrorato dal sangue del crocefisso. Il pittore tifernate che eseguì nello stesso periodo anche le ventisei lunette del Chiostro della Chiesa, ripropone questo fatto miracoloso e indelebile nella memoria dei cittadini bevanati, mostra un forte accostamento ai modi stilistici del Camassei.Il Beato in ginocchio davanti all’Altare riceve il sangue del Crocefisso (da quella statua lignea che acquistò per abbellire la sua Chiesa) e da cui da un cartiglio escono le parole SANGUIS ISTE SIT IN SIGNUM TUAE SALUTIS (Questo sangue siati per segno della tua salvezza).5) A ricordo del miracolo del Crocefisso sono stati nel corso degli anni stampati dei ricordini con la riproduzione del quadro ed impressa sul retro la preghiera che così recita:O glorioso Beato Giacomo, splendore della nostra città, guarda i figli tuoi che si stringono imploranti attorno alla tua Urna.Tu che giovane entrasti nell’Ordine dei Predicatori per farti banditore della parola di Dio, fa che il mondo abbia ancora sete di verità.Tu che tornato nella tua Bevagna, offristi la tua opera perché il popolo si ricomponesse nella unità, ottienici da Dio che cessino anche oggi tanti odi, tanti egoismi e gli uomini si riconoscano fratelli.Un mondo nuovo sorga in mezzo a noi per la tua intercessione: tutti gli uomini di buona volontà abbiano la sicurezza di una vita serena, preludio della gioia dei Cieli.Il Sangue prezioso di Cristo che ti avvolse di porpureo manto scenda anche su di noi affinchè, ritrovata la via della fede, splenda a noi, come meta sicura e gioiosa , la gloria del Paradiso.Amen.(Alcuni ricordini furono stampati dalla Tipografia del Risorgimento che era ubicata presso l’ex Caserma di Bevagna).6) Una statua raffigurante il Beato Giacomo in atto di predicazione con un libro sostenuto nella mano sinistra e con indosso la divisa dell’Ordine è stata sistemata al centro della Chiesa vicino la parete sinistra. Sul piedistallo (lato sinistro) compare il nome dell’autore Silvestri A.[4] e la data.

7) Il Beato GIACOMO, irrorato dal Sangue del Crocefisso, è raffigurato in una tela rettangolare che fu eseguita, nel 1844 da Crispolto Lorentini di Foligno e che è una copia dell’originale dipinto opera del Camassei del 1632,anno della

causa di beatificazione del Beato[5]. Si conserva nella Sacrestia della Chiesa.8) La più antica raffigurazione del Beato Giacomo, individuabile dalla scritta sotto la sua figura (...COBS DE

MEVANA ) è quella che si conserva presso il locale dell’ex Sala Capitolare nel Chiostro di S.Domenico. Il Beato Giacomo è insieme a S.Pietro Martire, del suo stesso Ordine. Se l’affresco è databile alla metà del’300,allora il ricordo

del Beato, morto nel 1301,era ancora vivo e le sembianze trasmesse dovevano essere quelle più vicine alla realtà. Il Beato è raffigurato di aspetto giovanile, forse nell’atto di bruciare dei libri eretici.

9) Nel Chiostro della Chiesa di S.Domenico[6] erano state affrescate N. 27 Lunette con le “STORIE DELLA VITA DEL BEATO GIACOMO“. Autore fu il pittore tifernate G.B.PACETTI che impiegò quasi due anni per ultimarle (dal

1640 al 1641). Una iscrizione, ora scomparsa, che si trovava sotto la Lunetta posta sopra la porta d’ingresso del Chiostro, conteneva queste parole: ”AD MAIOREM DEI GLORIAM ET AD ACQUIRENDAM FIDELIUM

DEVOTIONEM FR.MICHAEL RAJNATIUS TIPHERNAS ORD. PRED. CLAUSTRUM HOC VITA MIRACULISQUE BEATI JACOBI DE BLANCONIBUS MEVANATIS EJUSDEM ORDINIS EXORNANDUM CURAVIT AN.D.NI 1641 SEDENTE URBANO VIII PONT. MAX. AD MOD. R. P. MAGISTRO FR.MICHAEL

MAZZARINO PROVINCIALI ROMANO“. Da questo si rileva che il Priore, a cura del quale fu dipinto questo

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Chiostro, dodici anni dopo che era stato eretto, era tifernate ed il Bragazzi afferma che invece del PACETTI potrebbe essere BERNARDINO GAGLIARDI il pittore, anch’egli di Città di Castello (che aveva affrescato il Chiostro di

S.Francesco di Trevi nel 1614) ad eseguire le lunette bevanati. In “Ricerche in Umbria 2” non si hanno invece dubbi sul PACETTI. Questo l’elenco delle lunette che sono attualmente visibili ed il loro contenuto iconografico:

1 a LUNETTA (sopra l’ingresso del Chiostro) Il Beato Giacomo riporta in vita un fanciullo di tre anni di nome VALERIO che, caduto nel fiume, era stato trasportato dalla corrente tra le ruote del mulino.2 a LUNETTA (a sinistra). Il Beato Giacomo riporta in vita un giovane che a causa di una zuffa avvenuta nel Castello di GUALDO CATTANEO, era stato colpito da una freccia che gli aveva trapassato la gola.3 a LUNETTA (è tutta ricoperta di intonaco): forse vi era dipinto il sogno che fece P.BONAVENTURA CAMASSEI, dell’Ordine Domenicano, durante il quale fu convinto dal Beato Giacomo a ritornare a Bevagna per ripristinare l’antico Convento ed assistere i suoi concittadini.4 a LUNETTA .Questa la scritta:LATO SINISTRO: ... AL B.CRISTO S.N.A. ... GIORGIO, E LI RIVELA IL GIO... RARSI, E PROM... ...LMENTELATO DESTRO:...MA IL BEATO RICEVUTI TUTTI I SACRAMENTI DELLA...ATORE CON L’ISTESSA COMPAGNIA TORNA A VI...IARLO...LORIA IL SUO SPIRITO. MUORE IL B. A DI XXII D’AGOSTO...DI NOSTRA SALUTE MCCCI SENDO D’ETA’ D’ANNI XXXXXXX...Vi è rappresentata l’esposizione del Corpo del Beato Giacomo nella Chiesa di S.Domenico, disseppellito dopo otto mesi dalla morte per la pressante richiesta dei suoi concittadini.(ora dell’affresco non è visibile che una piccola porzione della zona superiore).5 a LUNETTA : Era rappresentata l’apparizione del Beato Giacomo alla Beata VANNA di ORVIETO (visibile una piccola porzione della zona superiore)6 a LUNETTA 7 a LUNETTA 8 a LUNETTA 9 a LUNETTA :Questa la scritta:LATO SINISTRO:FACENDO IL B. ORATIONE AVANTI... IMAGINE DEL SANTISSIMOCROCEFISSO CHE SI CONSERVA NELLA CHIESA DIQUESTO CONVENTO DEI DOMENICANI UMILMENTE S. D... A DEGNARSI CERTI... DEL NUMERO...LATO DESTRO:PREDE INCONTINENTE DAL LATO DESTRO DEL CROCEFISSO...SANGUE IN MOLTA COPIA CHE BAGNO’LA FA... NI, E LE VESTI DICENDOLI QUESTO......IN SEGNO DELLA TUA SA...Il Beato Giacomo in ginocchio viene irrorato dal Sangue del Crocefisso posto sull’Altare. (Nel mezzo della iscrizione compare lo stemma della famiglia Antici: tre mezze lune).10 a LUNETTA :Questa la scritta:LATO SINISTRO:MARGARITA DI PAOLO DA SPELLO, HAVENDO POSTO IL PIEDE SOPRA UNA SPINOSA, ET ESSENDOSIGLI PERCIO’ OLTREMODO GONFIATO CON ECCESSIVI DOL...POTUTA SANARE CON QUALSIVOGLIA RIMEDIO APPLICATOVI, CONDOTTAALLA FAM... MIRACOLI DEL BEATO E MOSTRATA A LUILATO DESTRO:CON L’OLIO DELLA LAMPADA DELLA CHIESA UNTOLI CON LE PRO...MANI DI ESSO BEATO E CON IL SEGNO DELLA CROCE FATTO S......ORNA SPEDITAMENTE ALLA SUA CASAIl Beato Giacomo risana una certa Margherita di Spello alla quale si era conficcata una spina nella pianta del piede destro. (Al centro in basso lo stemma della famiglia Liberati).11 a LUNETTA :Questa la scritta:LATO SINISTRO:VIAGGIANDO UN GIORNO IL B. VEDE UN GIOVANE CHE CADUTO DA UNALBERO E TUTTO INFRANTO DELLA PERSONA STAVA QUASI PER...LATO DESTRO:...ACCORR... E DI PIETA’, P........LO RISANA

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E’ rappresentato il primo miracolo operato dal Beato Giacomo: la restituzione alla vita di un uomo quasi estinto caduto da un albero nella zona tra Spoleto e Perugia.12a LUNETTA13a LUNETTA14a LUNETTA15a LUNETTA:Questa la scritta:LATO SINISTRO:UNA DONNA DA MONTEFALCO CHIAMATA BILLA SENTIVA INTENSISSIMI DOLORI PER UN CANCHERO NATOGLI NELLA MAMMELLA SINISTRA ETHAVENDO PER CURARLO SPESO DI MEDICI E MEDICAMENTI TUTTOIL SUO HAVERE SENZA PROFITTO ALCUNO RACCOMANDATOSI AL BLATO DESTRO:...A QUESTO EFFETTO ERA ANDATA A TROVARE...T EGLI DANDOGLI DELL’OGLIO DELLA LAMPADA...DA SE’ BENEDETTO, LA DETTA DONNA TRE VOLTE...LLO UNGUENDOSI, RESTA AFFATTO SANAIl Beato Giacomo risana da un terribile cancro una certa Billia di Montefalco ungendola con l’olio della lampada della Chiesa.16 a LUNETTA 17 a LUNETTA 18 a LUNETTA (Stemma famiglia Antici)19 a LUNETTA 20 a LUNETTA 21 a LUNETTA (Stemma famiglia Palma)22 a LUNETTA 23 a LUNETTA 24 a LUNETTA 25 a LUNETTA 26 a LUNETTA Questa la scritta che si può leggere:LATO SINISTRO:GIACOMO NASCE IN BEVAGNA DAGIOVANNI DE BIANCONI E VANNA DE ALBERTI DI VIIMARZO DEL 1220, ED AL SUO NASCIMENTO...PRODIGIOSO COL FAR VEDERE, TRE LUNE CON...LATO DESTRO:UNA DI ESSE VESTITO DELL’ABITO DOMENICANO, LE QUA...POI ALLO SPUNTAR DEL GIORNO SI TRASFORMANO IN ALTRETTANTISOLI: ET IN TERRA ANCORA SI VEDONO VARY SEGNI, E PRODIGY SIGNIFICANTI LA FUTURA SANTITA’ E DOTTRINA DEL ME...In questo affresco vi è rappresentata la nascita del Beato Giacomo con il racconto del prodigio che avvenne durante la sua nascita (al centro dell’iscrizione lo stemma di Bevagna).10) Presso la Chiesa di Corte di S.LIBORIO[7], in quel di COLORNO (Parma), si conserva una importante reliquia del Beato Giacomo. Si tratta della metà del piede sinistro, estratta per volontà dell’allora Duca FERDINANDO IV, Infante di Spagna che “aveva un grande sentimento religioso e che si procurava, in varie parti d’Italia, le più preziose reliquie di vari Santi Domenicani”. Questo avvenne il 13 Giugno 1795.In una pubblicazione riguardante la Vita del Beato Giacomo, edita nel 1785, a cura del P.FILIPPO ANGELICO BECCHETTI e stampato a Bevagna, presso il Canonico ALEANDRI nel 1865 (3a Edizione ), si legge di questo fatto alla pag.65.Inoltre, in altra pubblicazione del 1797, edita dalla Stamperia Reale di Parma al tempo dello stesso Duca FERDINANDO, vi sono due pagine (da 584 a 585)dedicate al Beato Giacomo di Bevagna in cui si legge che si celebrava la sua festa il 23Agosto e che durante la quale si esponeva la Sacra Reliquia e si faceva” pure la memoria del Giorno Ottavo di S.Giacinto”.11) Nella Sala Consiliare, tra i Medaglioni che ricordano gli Uomini Illustri Bevanati, non poteva certamente mancare l’effigie del Beato Giacomo. E’ l’11a della serie: veste l’abito dell’Ordine Domenicano ed è rappresentato in età matura.

Sotto, secondo l’Alberti, doveva esserci la seguente iscrizione: B. IACOBUS. DE. BLANCONIBUS. PATRICIUS. MEVANAS. VITAE. SANCTITATE. DOCTRINA. ET. MIRACULIS. SATIS. CLARUS. AC. DE. PATRIA.

OPTIME. MERITUS. IN. PACE. QUIVIT. AN. MCCCI.12) Il Priore BATTISTA PIERGILI compilò una “VITA DEL BEATO GIACOMO BIANCONI DA BEVAGNA DELL’ORDINE DEI PREDICATORI” e dedicata alla Santità di N.Signore BENEDETTO PAPA XIII e stampato a

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Roma nel MDCCXXIX, in cui , nel frontespizio, viene proposta l’immagine del Beato Giacomo mentre viene irrorato dal Sangue del Crocifisso posto sull’Altare. Un Angelo regge un “cartiglio “ su cui compare la scritta “SANGUIS ISTE SIT IN SIGNUM TUAE SALUTIS“. Il Beato è in ginocchio, con le mani incrociate sul petto. In basso la scritta: B. IACOBUS. BLANCHONUS. DE. MEVANIA. ORD. PRAED. Nel mezzo lo Stemma del Papa BENEDETTO XIII.13) Nell’Aprile 1983, in occasione della 11a MOSTRA NAZIONALE DELL’ANTIQUARIATO DI ASSISI (dal 23 Aprile al 15 Maggio), nel Catalogo, compariva (a pag.131), una foto raffigurante, come diceva la didascalia, “CROCIFISSIONE AD ALTORILIEVO IN MARMO CON STEMMA DELLA ROVERE-SEC.XVI “. Lo Stand proprietario era l’ANTICHITA’ ”LA BALZANA” di ADELIO SANTARELLI - Via Sapienza 26/28 - SIENA.Per pura coincidenza, visitò la Mostra il Prof. CARLO PIETRANGELI e grazie alla sua accortezza e conoscenza dei monumenti e reperti bevanati, intravide all’istante la correlazione tra il Beato Giacomo e la nobile Famiglia degli ANTICI. Poi, per l’interessamento del Parroco Don GIOVANNI MARCHETTI e dell’antiquario Antonio Carloni, il bassorilievo venne acquistato (per 1 milione), e riportato fortunatamente a Bevagna e collocato presso la Cappella della Famiglia Antici, vicino al monumento di VINCENZO ANTICI, nella Chiesa di S.Domenico[8]. Fu per vari giorni esposto alla venerazione dei fedeli che così hanno riacquistato una preziosa testimonianza di fede verso il loro Beato. Attualmente il bassorilievo è stato sistemato nella parete destra della Cappella. Raffigura il Beato Giacomo inginocchiato di fronte al Crocefisso. Sotto la scritta: PROPER. ANTIC. PONEN. CUR. (Propertius Antici Ponendum Curavit). Alla destra, lo Stemma della Famiglia.14) Presso il Museo Comunale si conserva una CASSA in noce che aveva contenuto il Corpo del Beato Giacomo dal 1589 al 27/4/1686. Il FANTINO la decorò proponendo tre miracoli operati dal Beato: da sinistra: un certo MAURIZIO, durante il lavoro di muratura, caduto da un Campanile, viene risanato per intercessione del Beato. Al centro: il Beato viene irrorato dal Sangue del Crocefisso. A destra: Il Beato, sul punto di morire, compie il Miracolo della TRASFORMAZIONE DELL’ACQUA IN VINO. L’opera è del 1589 ed i pannelli misurano 41x66 ed in origine la Cassa si trovava nella Sacrestia della Chiesa di S. Domenico.15) Nella Pinacoteca Comunale, il Beato Giacomo è raffigurato in una tela attribuita al Pacetti in cui è insieme ad altri Santi (S. Filippo Neri, S. Giuseppe, S. Vincenzo). Il Beato veste l’abito dell’Ordine e sorregge, con la sua mano sinistra, un vaso in cui compare il vino che egli tramutò dall’acqua prelevata dal Pozzo del Convento, prima di morire. Dietro il capo si scorge un piccolo fascio di raggi simbolo della beatificazione. 16) Nel Museo, in una bacheca in vetro, si conserva una copia della “VITA DEL BEATO GIACOMO DA BEVAGNA DELL’ORDINE DEI PREDICATORI”, scritta da GIO.BATTISTA PIERGILI e stampato a Roma nel 1729.17) Altro libro stampato, reca sul frontespizio: 1671 13 MARZO LIBRO “DI DIVERSE SCRITTURE CONCERNENTI LA BEATIFICAZIONE, E MESSA ET OFFICIO DEL NOSTRO B. GIACOMO” (Sotto è disegnata l’ampolla del vino benedetto e 3 Croci). Questa pubblicazione contiene una incisione con il Beato Giacomo irrorato dal Sangue del Crocefisso, mentre viene sorretto da due Angeli.18) Nella stessa bacheca si conservano due CALICI, uno in oro, l’altro in ARGENTO, donati rispettivamente nel Settembre 1898 da ANNA BIANCONI e nel 1907 da CORTESE BARTOLI.19) Presso la Chiesa della MADONNA DELLA ROSA, ai lati dell’Altare Maggiore, sono poste due statue di notevoli dimensioni. Nel lato sinistro S. VINCENZO, mentre in quello destro, il Beato GIACOMO BIANCONI. La Statua è collocata sopra un piccolo basamento a forma di scudo araldico. Vi è infatti lo Stemma della Famiglia committente o della Corporazione, non identificata. Si nota la scritta. IACOBUS MEVANIA. Il Beato è in atto di adorazione e tiene la mano sul petto.20) Accanto alla CAPPELLA CICCOLI, in S. Francesco, si accede, attraverso una piccola porta, ad una Cappella interna affrescata e decorata con stucchi, la cui volta è dipinta con 8 Angeli posti in rispettivi spazi e con al centro 4 visi di cherubini. Ebbene, sul lato sinistro del sott’arco, a far da corona ad una FLAGELLAZIONE del CRISTO, è raffigurato il Beato Giacomo, vestito dell’Abito dell’Ordine, mentre regge, con la mano destra, l’ampolla a ricordo della tramutazione dell’acqua in vino. Questo affresco dovrebbe essere stato realizzato appena dopo la beatificazione e quindi nel periodo che va dal 1630 in poi.21) L’immagine del Beato Giacomo è dipinta nella Chiesa di S. MARIA a GAGLIOLI assieme ad altri 4 personaggi (GIUSEPPE, NICOLA DA TOLENTINO, S. ANTONIO DI PADOVA e S. FRANCESCO). Veste l’abito domenicano. Regge il vaso con il vino benedetto e un libro con copertina rossa sulla quale è stampigliato lo Stemma di Bevagna (2 Chiavi incrociate).22) Una Statua in cera del Beato Giacomo a grandezza naturale, con indosso l’abito dell’Ordine, mentre contempla un Crocefisso dal quale escono due cordoncini rossi raffiguranti il miracolo dell’irrorazione del suo sangue sul Beato, viene posta alla pubblica venerazione nel mese di maggio nella Chiesa di S.Domenico, in occasione della commemorazione della sua NASCITA avvenuta infatti il 7 MAGGIO del 1220.23) Le Campane poste sul Campanile della Chiesa di S. Domenico ripropongono la venerazione verso la Beata Vergine e verso il Beato Giacomo. Il suddetto Campanile è coperto da un tetto a quattro spioventi, quasi in piano. Vi si può accedere passando per la Sacrestia, attraverso una serie di scalini e scale in legno a pioli. Dalla sommità si ammirano i tetti di Bevagna, tutti o quasi, coperti dai caratteristici coppi ormai quasi introvabili. Si può altresì ammirare il Chiostro (a duplice ordine di arcate), costruito secondo le date scritte e murate sulle colonne, nel 1612, 1614, 1629, 1630, 1631, e restaurato nel 1902 ed anche recentemente. Le Campane esistenti ripropongono il periodo della costruzione del Chiostro. La più antica reca la data di fusione che è il 30 LUGLIO 1676. Vi si può leggere questa

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scritta: CONSTRUCTA. SONAT. IN. ONOREM. DEI. BEATAE. VIRGINIS. BEATI JACOBI. DE. MEVANIA. ORDINI. PREDICATORUM. DIE. XXX. MENSIS. JULIUS. A. D. MDCLXXVI. Vi è anche la tradizionale immagine del Beato irrorato dal Sangue del Crocefisso.. L’altra Campana reca la data 1932 e reca impresse queste parole. (in alto) SANCTUS. OLEUS. SANCTUS. FORTIS. SANCTUS. IMMORTALIS. MISERERE. NOBIS. AVE. MARIA.GRATIA. PLENA. DOMINUS. TECUM. (in basso) : IN. HONOREM. BEATI. JACOBI. MEVANATIS. PATRONI. CELESTIS. AES. CONFLATUM. ANNO. MDCLVI. INIURIA. TEMPORIS. (Per giungere alle tre Campane bisogna salire una serie di scalini intervallati da pianerottoli : 13-9-12-3-3-7-21-3- )24) Nel SAGRO DIARIO DOMENICANO TOMO QUARTO nel quale si contengono le VITE DE’SANTI, BEATI, E VENERABILI DELL’ORDINE DE’PREDICATORI MORTI NELLI DUE MESI LUGLIO, ET AGOSTO, Composto dal M. R. P. Maestro F. DOMENICO MARIA MARCHESE dell’istesso Ordine, dedicato alle due Serafine Domenicane CATARINA DA SIENA E ROSA DI SANTA MARIA (stampato in Napoli nella Stamparia di GIACINTO PASSARO nel MDCLXXVI, al 22 AGOSTO (Fol. 417-425 ), viene proposta la “VITA DI SAN GIACOMO DA BEVAGNA” cavata da LEANDRO ALBERTI, PIO’, RAZZI, CASTIGLIO, MALVENDA, dalla sua Vita, scritta da LUDOVICO IACOBELLI, e da altri Autori “.25) In altro libretto dal titolo “OFFICIA AD USUM SANCTAE SPOLETANAE ECCLESIAE, ET DIOCESIS A SACRA RITUUM CONGREGATIONE BENIGNA INDULTA ET ITERUM IMPRESSA JUSSU ILLUSTRISS. ET REVERENDISS. D. D. PAULI BONAVISA EJUSDEM ECCLESIAE EPISCOPI” - SPOLETI, TYPIS JO. TORDELLI. (senza data), da pag. 58 a pag. 61, al giorno XXIII AGOSTO ci sono le Orazioni da dedicare al B. JACOBI DE MEVANIA CONFESSORIS, Duplex Minus e il Decreto della Sacra Congregazione dei Riti, con firma del Card. A. CYBO, datato GIUGNO 1693.26) Il 21 Agosto 1997 si è svolto un incontro di studio dal titolo “ IL BEATO GIACOMO BIANCONI: DALLA STORIA ALL’AGIOGRAFIA“. Sono intervenuti: Monsignor Don AGOSTINO ROSSI (Vicario Generale della Diocesi di Spoleto- Norcia), CARLO LONGO dell’Istituto Storico dei Domenicani - Roma, che ha illustrato “Il Beato Giacomo nelle Fonti del XIII Secolo“, EMORE PAOLI, della Università di Roma - Tor Vergata, che ha illustrato “LA VITA DEL BEATO GIACOMO SCRITTA DA VENTURA DA BEVAGNA“, LETIZIA PELLEGRINI dell’Università de’L’AQUILA, che ha illustrato “LA VICENDA SPIRITUALE DEL BEATO GIACOMO NEL CONTESTO DELLA STORIA E DELL’AGIOGRAFIA DOMENICANA DEI SECOLI XIII- XIV“ Moderatore: ENRICO MENESTO’ dell’ Universita’ di Perugia, Presidente del Centro Italiano Studi dell’Alto Medioevo di Spoleto.27) La Festa del Beato Giacomo cominciò a celebrarsi, in forma solenne, nel 1745.28) Vi era un CIRCOLO dedicato dalla GIOVENTU’ CATTOLICA ITALIANA al Beato Giacomo Bianconi che svolgeva una intensa attività di cultura Religiosa come Conferenze (alle quali partecipava il Prof. ALESSANDRO BELLUCCI che era il Presidente Onorario), di pratica Religiosa con in testa lo stesso Presidente di allora (anni 1916- 1918), ULISSE ZAMPETTI, di Azione Religiosa- Sociale quale il supporto alle giovani reclute delle classi 97 - 99.29) Negli anni ’30 il Comitato, per le Feste del Beato Giacomo bandiva un CONCORSO delle FINESTRE FIORITE tra i quattro Rioni (TERME - FORNI - PROPERZIANO - ROCCA), che segnava l’inizio dei Festeggiamenti civili con vari Premi in denaro. Il 1° Premio era di L. 400 nel 1939 ed altri Premi per un totale di L.2.000. Si leggeva nel Manifesto che il Comitato, “che si era proposto di intensificare questa costumanza gentile del nostro paese, fa affidamento sulla comprensione e sul gusto dei concittadini perché Bevagna sia nei giorni di festa, tutta leggiadramente fiorita“ (Una bella dimostrazione di affetto che dovrà riprendere a testimonianza che, come i fiori danno un senso di serenità, rappresentano anche la rifioritura di quella Bevagna in cui il Beato Giacomo compì la sua lodevole opera di rinnovamento e di speranza).30) In occasione della solenne apertura del Teatro “ Francesco Torti “, avvenuta il 28 Agosto del 1886, si festeggiò anche la ricorrenza del Beato Giacomo nella giornata di Domenica 29 alla presenza dell’ Arcivescovo di Spoleto Mons. PAGLIARI e con l’innalzamento di GLOBI AREOSTATICI.

[1] Questo Altare è opera del bolognese G.M.Rossi. Sulla decorazione dell’urna si legge: B IACOBO MEVANATI PATRITIO EX NOBILI FAMILIA BIANCONIORUM ORD PRAEDIC.[2] Questa l’iscrizione che si legge sulla parete del Chiostro di S.Domenico collocata sopra il pozzo miracoloso la cui acqua sarebbe stata mutata in vino dal Beato Giacomo: EX HOC TER PUTEO PHIALA EST IMPLETA IACOBUS TER CRUCE SIGNAVIT FACTA TER UNDA MERUM POZZO DAL QUALE IL BEATO GIACOMO AVANTI DI MORIRE FECE CAVARE TRE VOLTE DELL’ACQUA, E BENEDICENDOLA SI CONVERTI’ IN PREZIOSO VINO, QUALE ALLORA, E DOPPO GUSTATO, OPERO’ DIVERSI MIRACOLI.http://www.splinder.com/editor/fck/editor/fckeditor.html?InstanceName=body&Toolbar=Post - _ftnref3[3] In basso, sul pilastro a destra, la firma del pittore G.B.Pacetti detto “lo sguazzino” (nato a Città di Castello nel 1593 e morto dopo il 1667): IO BAPT PACETTUS TIFERNAS PINGEBAT 1642.[4] Si tratta di Silvestri Archimede detto Memmo, padre di Alarico e fratello di Filippo l’entomologo. Questa statua in gesso fu eseguita nel 1914 nella bottega del padre di Gasparrini Umberto.http://www.splinder.com/editor/fck/editor/fckeditor.html?InstanceName=body&Toolbar=Post - _ftnref5

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[5] Sul retro della tela è scritto: CRISPOLTO LORENTINI DI FOLIGNO DIPINZE A.D. 1844.[6] Il Chiostro è a duplice ordine di arcate e rispecchia il disegno dei Conventi domenicani in cui ad ogni arco inferiore dovevano corrispondere 2 archi superiori. Fu realizzato tra il 1629 ed il 1632.[7] La Chiesa fu edificata per i Domenicani nel 1777 e modificata nella sua forma attuale nel 1793, per volere del religiosissimo Ferdinando di Borbone. E’ una della maggiori opere di E.PETITOT. La Chiesa, non avendo subito alterazioni né nella struttura, né nell’arredo, rappresenta un’interessante testimonianza del suo tempo con i quadri e gli affreschi dei maggiori pittori dell’Accademia di Parma e della Corte Ducale, con l’elegante coro, il monumentale Organo Serassi, la raccolta di musica manoscritta, e le numerosissime reliquie raccolte dal Duca.[8] La scultura era stata acquistata da un certo Donnola di Spoleto che raccoglieva cose vecchie proprio presso un’abitazione di Bevagna (Pascoli?) e poi rinvenuta all’antiquario Santarelli per un milione. Il Santarelli voleva in un primo momento due milioni e poi si convinse di fronte alla possibilità di denuncia, del milione speso.

SAN GIACOMO DELLA MARCA1) Anche questa attribuzione è dubbia in quanto l'affresco che trovasi nel chiostro della Chiesa-Convento dell'Annunziata è assai malridotto e una cortina di intonaco cementizio ne esclude la completa visione se si esclude una specie di calice di vetro a forma di clessidra nel quale si può intravedere del liquido rossiccio e che può rappresentare a detta dello storico padre Luciano Canonici, il vino avvelenato che gli avevano dato per ucciderlo ma che invece, per un prodigio divino, si spezzò il calice che lo conteneva ed il Santo fu salvato.Anche in questo caso però l'aureola lo dice Beato mentre il suddetto è venerato come Santo. Però poiché è un personaggio legato a San Bernardino da Siena e a San Giovanni da Capestrano ambedue raffigurati tra i Santi e Beati nel chiostro, si potrebbe pensare che veramente tale affresco appartenga alla figura di San Giacomo della Marca[1].

[1] S.Giacomo della Marca nacque nel 1391 a Monteprandone Piceno e vestì molto giovane l’abito dei Frati Minori nell’Eremo francescano delle Carceri presso Assisi. Ordinato sacerdote e dotato di grandi doti oratorie, percorse l’Italia e l’Europa intera. Rifiutò l’offerta di essere Arcivescovo di Milano e fu consigliere di Papi e di Imperatori. La Santa Sede se ne servì per numerose missioni e fu lui a succedere a S.Giovanni da Capestrano nella guida spirituale della Crociata contro i Turchi. S.Giacomo della Marca ideò i Monti di Pietà per combattere l’usura.Morì a 85 anni a Napoli il 28 novembre 1476 dove si conservano le sue spoglie nella Chiesa di S.Maria Nuova. Il 10 dicembre 1726 fu canonizzato da Benedetto XIII.