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Presentazione

Antonia Pozzi nacque a Milano il 13 febbraio 1912. La sua vita fu moltobreve: si arrese a soli ventisei anni suicidandosi a Chiaravalle, il 3 dicembre1938. Nel tempo tumultuoso della sua esperienza umana convisserol’immenso amore per la natura e la montagna, per l’anima delle cose, ildifficile e contrastato rapporto col mondo maschile e intellettuale dellapropria epoca, l’attenzione dolente per gli ultimi, i bambini, e per le nascentiperiferie milanesi. Alla base di tutta la sua attività (e probabilmente della suacosciente rinuncia alla vita) sono una ricchezza umana e una passionalitàprorompente mescolate a una timidezza estrema. Colta, viaggiatrice, sportiva,la sua poesia ‘vissuta tutta dal di dentro’ è testimonianza di una identitàfemminile straordinariamente attuale.Elisabetta Vergani, attrice e drammaturga, ha fondato e dirige l’associazioneteatrale Farneto Teatro dal 1992. Ha dedicato ad Antonia Pozzi gli spettacoliRadici profonde nel grembo di un monte e L’infinita speranza di un ritorno,da lei scritto e interpretato.Eugenio Borgna, uno dei più grandi psichiatri italiani, è autore di moltissimisaggi. Tra gli ultimi ricordiamo: Le passioni fragili, L’ascolto gentile, Leparole che ci salvano, La nostalgia ferita.

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ANTONIA POZZI E LA POESIA FERITA

La malinconia, una malinconia leopardiana che si alternava a una malinconiadolorosa e profonda, si è accompagnata alla breve vita di Antonia Pozzi, e neha ispirato le poesie arcane e sommesse, luminose e fosforescenti, immersenella grazia e nel mistero di un fragile desiderio di morire che le sue relazionid’amore ogni volta franate e incomprese nei loro brucianti fulgori hannoconcorso nel farle scegliere la morte a ventisei anni. Di lei, delle sue poesie,che da questa antologia rinascono luminose e temerarie, ha scritto cose moltobelle Eugenio Montale (le si legge in Il secondo mestiere. Prose 1920-1979,vol. I, a cura di Giorgio Zampa, Mondadori, Milano 1996, pp. 635-637):‘Anima di eccezionale purezza e sensibilità, che non poté reggere al pesodella vita, Antonia Pozzi richiede una lettura che faccia vivere in noi glisviluppi ch’essa conteneva e non espresse che in parte’; e ancora: ‘voceleggera, pochissimo bisognosa di appoggi, essa tende a bruciare le sillabenello spazio bianco della pagina’.

La fragilità e la smarrita stanchezza di vivere, la solitudine e la nostalgiadella morte, che si sono accompagnate alla malinconia, sono state lepremesse emozionali alla genesi delle poesie di Antonia Pozzi. Sono poesieche ci consentono di cogliere i diversi modi di rivivere e di esprimere gliindicibili turbamenti dell’anima che hanno contrassegnato la sua vita, la suaadolescenza e la sua giovinezza, e che nella grazia straziata e nella tenerezzaferita delle sue poesie si sono rispecchiati con crudele evidenza. Sono poesieche ci immergono negli abissi di laceranti conflitti interiori, e ci avvicinanoagli enigmi di un dolore dell’anima che ha tematizzato la sua breve vita. Sonopoesie che ci dicono, o almeno ci fanno intravedere, qualcosa del male divivere che ne ha accompagnato la vita. Sono poesie bruciate dal fuoco deldesiderio di un amore e di un ascolto ininterrotto che Antonia Pozzi è andatainvano cercando. Sono poesie che si leggono, e si rileggono, scoprendoneogni volta orizzonti di senso diversi, ma sempre sfiorati, e anzi lacerati, dauna malinconia che anche in Leopardi si è accompagnata, come egli ci dicenello Zibaldone, a una febbrile nostalgia di una morte volontaria alla quale è

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nondimeno riuscito a sfuggire. Sono poesie che, sulla scia di questa indocilemalinconia, non si ripetono mai nei loro contenuti, e si rinnovano nei loromodi espressivi a mano a mano che l’adolescenza sconfinava nellagiovinezza. Nelle sue poesie la stremata nostalgia della morte si è taloraaccompagnata nelle sue dolorose lacerazioni emozionali a una angosciafebbrile nella quale moriva ogni traccia di quella speranza, che Goethe nelleAffinità elettive riconduceva alla splendida metafora di una stella cadente, eche Antonia Pozzi non ha ritrovato nelle persone amate: incapaci di cogliere,o almeno di intuire, la vertiginosa profondità dei suoi affetti. Le alte mareedella malinconia e della stanchezza di vivere sono testimoniate dai suoi diarie dalle sue lettere, ma esse riemergono con icastica dolorosa bellezza nellesue poesie, che leggiamo ogni volta stregati dalla loro innocenza e dalla lorogentilezza, dalla loro magica fascinazione e dalla loro grazia, e nelle qualiintravediamo la corsa disperata di Antonia Pozzi alla ricerca di un amoreassoluto che si inaridiva nella indifferenza, o almeno nella inconsapevolezza,delle persone amate.

Le sue poesie, trasfigurate da una alta e luminosa climax lirica, sono infondo il diario di un’anima, e in esse mirabilmente si snodano le diversefigure tematiche della malinconia: quella di una sognante malinconia,intessuta di stupore del cuore e di tenerezza, quella di una malinconiadolcemente leopardiana, suscitatrice di immagini struggenti di indicibilebellezza, quella di una malinconia bruciante e dolorosa, immersanell’angoscia e nella stanchezza di vivere, che non sono state estranee alladecisione di scegliere di morire. La malinconia non è in ogni caso la solafigura tematica delle sue poesie che sono contrassegnate in altri momenti dauna struggente dolcezza, e da una sconsolata tenerezza, e anche da unastruggente nostalgia, sorella gemella della malinconia leopardiana, e di quellaschubertiana, immersa in un linguaggio morbido e acquatico che si sfalda inimmagini liquide e assorte.

Sono poesie che testimoniano di un destino di dolore e di solitudine,rivissuto da Antonia Pozzi con grande coraggio e con disperatadeterminazione, che la creazione lirica fa riemergere con una leggerezza euna profondità espressive sconvolgenti. Sono poesie che si rileggono nelcorso di una vita senza che nulla perdano della loro fragranza e della loromisteriosa fascinazione. Almeno per quanto mi riguarda, è dal tempolontanissimo del liceo che continuo a leggere e a meditare queste poesie:nelle ore liete e nelle ore dolorose della mia vita.

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Eugenio Borgna

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1929

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Mascherata di peschi

Stanotte i peschisi son passati la parolaper mascherarsi capricciosamentee stamattina son sbucati da ogni muro,pavoneggiandosi,come bimbette che in un giorno di festasi fossero annodate le treccioline striminzitecon dei bei nastri rosa, sfarfallanti.

Sorrento, 2 aprile 1929

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Cencio

C’era uno straccetto celestinosopra il murotutto sgualcito di ditate rosatenuto su da due borchie di stelleed io lì sottocome un cencio cinerinoin cui la gente incespicama che non val la pena di raccogliere– lo si stiracchia un po’ di qua e di là coi piedie poia calcilo si butta via –

Milano, 8 aprile 1929

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Ripresa

Un cespuglietto di fiammelambisce a linguate scottantila bruna mucosa molliccia delle mie visceree sfrigge,solcando la bava viscida che le ricopre;sferza, rovente,la putrida vigliaccheria brulicante nel nero;avvince, con fili tenacissimi di spasimo,la volontà rannicchiatae la trascina,a stratte turbinose di purezza,verso l’alto.

Milano, 10 aprile 1929

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Soste

a L.B.1

Così,con la mia testa sul tuo gremboe le tue mani sopra i miei capelli.Sotto le palpebre, un fervore chiaro– tutta la rena di una spiaggia, al sole – dentro,il silenzio che dondola a ondatecome acqua un po’ scura, senza schiuma,e l’anima che vibra allo sciacquiocome un mollusco gelatinosoche abbia dischiuso la conchigliaalla carezza del mare.

Milano, 11 aprile 1929

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Cadenza esasperata

Rabbiosa e scema esasperazionedelle mie unghie rosicchiatee queste parole dannateche graffiano la carta con furiosa ostinazione invece del compito che lunedì dovrei portarerimaner qui a farneticarea dondolarmi sull’altalena del passatoidiotamente con torpore assonnato stimolati certi sobbalzi di inquietudine stizzosada ogni ora che scoccaed una voglia scioccadi affrettarmi in melensaggine lacrimosa l’incubo della lezione che avrò fra un quarto d’oral’oppressione di questo giorno snocciolato ansiosamentela visione di me stessa che mi percuote desolatamente –una bambina che bamboleggerà sempre – come ha fatto finora –

Milano, 13 aprile 1929

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Presentimenti di azzurro

Stamattinasono rimasta tanto alla finestraa riguardare il cielo:non c’era nessun velodi nebbia, ma una decisa tela grigiolina.Le nuvole parevan ritagliateed ingommatel’une sull’altre, strette;carnose, a sfumature nette.E mi sembravache a saettar là dentro a capofittocon un bel volo drittonon mi sarei dovuta sperdereper strade sinuosein nebulosità fumose,ma che sarei dovuta riusciredall’altra parte, immediatamente,in un azzurro fresco, veemente.E poi me ne sarei tornatacon calma strascicatapalpeggiandomi guardinga e gelosal’anima rugiadosa.

Milano, 13 aprile 1929

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Tramonto corrucciato

Il sole chino sul grembo della montagnacon tensionegrifagnasembrava un occhio stupefatto d’arancionecigliatodi raggi a lame vividesotto un sopracciglio corrucciatodi nubi livide.

Milano, 14 aprile 1929

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Meriggio

a L.B.

In questa doratura di soleio sonouna gemma pelosalegata crudelmente con un filo di refeperché non possa sbocciarea bagnarsi di luce.Accanto a me tu seiuna freschezza riposante d’erbain cui vorrei affondareperdutamenteper sfrangiarmi anch’ioin un ebbro ciuffo di verde –per gettare in radici sottiliil mio più acuto spasimoed immedesimarmi con la terra.

Milano, 19 aprile 1929

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Un’altra sosta

a L.B.

Appoggiami la testa sulla spalla:ch’io ti carezzi con un gesto lento,come se la mia mano accompagnasseuna lunga, invisibile gugliata.Non sul tuo capo solo: su ogni fronteche dolga di tormento e di stanchezzascendono queste mie carezze cieche,come foglie ingiallite d’autunnoin una pozza che riflette il cielo.

Milano, 23 aprile 1929

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Amore di lontananza

Ricordo che, quand’ero nella casadella mia mamma, in mezzo alla pianura,avevo una finestra che guardavasui prati; in fondo, l’argine boscosonascondeva il Ticino e, ancor più in fondo,c’era una striscia scura di colline.Io allora non avevo visto il mareche una sol volta, ma ne conservavoun’aspra nostalgia da innamorata.Verso sera fissavo l’orizzonte;socchiudevo un po’ gli occhi; accarezzavoi contorni e i colori tra le ciglia:e la striscia dei colli si spianava,tremula, azzurra: a me pareva il maree mi piaceva più del mare vero.

Milano, 24 aprile 1929

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Distacco

a T.F.2

Tu, partita.Senza desiderare la parolache avevo in cuore e che non seppi dire.Nel vano della porta, il nostro bacio(lieve, ché ti eri appena incipriata)quasi spaccato in due da un gran barbagliodi luce, che veniva dalle scale.Io rimastalungamente al mio tavolo, dinnanzia un vecchio ritrattino della mamma,specchiando fissamente dentro il vetroi miei occhi febbrili, inariditi.

Milano, 9 maggio 1929

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Sventatezza

Ricordo un pomeriggio di settembre,sul Montello. Io, ancora una bambina,col trecciolino smilzo ed un pruritodi pazze corse su per le ginocchia.Mio padre, rannicchiato dentro un anditoscavato in un rialzo del terreno,mi additava attraverso una fessurail Piave e le colline; mi parlavadella guerra, di sé, dei suoi soldati.Nell’ombra, l’erba gelida e affilatami sfiorava i polpacci: sotto terra,le radici succhiavan forse ancoraqualche goccia di sangue. Ma io ardevodal desiderio di scattare fuori,nell’invadente sole, per raccogliereun pugnetto di more da una siepe.

Milano, 22 maggio 1929

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Vento

ad A.M.C.3

Il vento s’accanisce a sgomberareuna via azzurra e madida pel sole:le nubi fanno ala, riluttanti,con occhiatacce livide. Qui in basso,l’erba folta si torce e si rovesciain brividi d’argento; io sono immersanell’erba sino alle ginocchia: vedoi brividi lanciarsi verso me; li sentofluire nel mio sangue, pazzi, insani;assottigliarsi tutti ansiosamentein un fremito solo che ha il tuo nome.

Milano, 28 maggio 1929

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Vuoto

ad A.M.C.

Ieri sera le stelleerano fitte come i battiti del mio orologio.Questa sera sono cadute tutte nella strada:ingigantite dalla vicinanza, noi le chiamiamo lumi.Su non rimaneche qualche briciola rada,qualche minuzzolo smarritonella vastità immota:il cielo è cieco e stupitocome una tazza vuota.Ed io guardo all’azzurro irraggiungibile,per non guardare a quello che ho compiuto,e mi allontano da tecome un pezzo di carne insensibile,senza piangere, senza gridare:io che non so neppur pregarepel tuo fratello caduto.

Milano, 30 maggio 1929

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Solitudine

ad A.M.C.

Ho le braccia dolenti e illanguiditeper un’insulsa brama di avvinghiarequalchecosa4 di vivo, che io sentapiù piccolo di me. Vorrei rapired’un balzo e portarmi via, correndo,un mio fardello, quando si fa sera;avventarmi nel buio, per difenderlo,come si lancia il mare sugli scogli;lottar per lui, finché mi rimanesseun brivido di vita; poi, caderenella più fonda notte, sulla strada,sotto un tumido cielo inargentatodi luna e di betulle; ripiegarmisu quella vita che mi stringo al petto –e addormentarla – e anch’io dormire, infine...No: sono sola. Sola mi rannicchiosopra il mio magro corpo. Non m’accorgoche, invece di una fronte indolenzita,io sto baciando come una dementela pelle tesa delle mie ginocchia.

Milano, 4 giugno 1929

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Giacere

Ora l’annientamento blandodi nuotare riversa,col sole in viso– il cervello penetrato di rossotraverso le palpebre chiuse –.Stasera, sopra il letto, nella stessa postura,il candore trasognatodi bere,con le pupille larghe,l’anima bianca della notte.

S. Margherita, 19 giugno 1929

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Io, bambina sola

Quei duedavanti agli scoglia sbaciucchiarsie la barca a lasciarli farecoi remi abbandonati lungo i fianchicome braccia penzoloni. Io a fissarenel mio secchio arrugginitoi granchiolini e le stelle di mare. Ma non lontanoi rintocchi decisi delle campanea ripercuotersi sull’azzurroin triangoli bianchi di veleche m’accennanol’alto.

S. Margherita, 21 giugno 1929

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Lampi

Stanotte un sussultante cielomalato di nuvole nereacuisce a sprazzi vividiil mio desiderio insonnee lo fa duro e lucentecome una lama d’acciaio.

S. Margherita, 23 giugno 1929

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Pace

ad A.M.C.

Ascolta:come sono vicine le campane!Vedi: i pioppi, nel viale, si protendonoper abbracciarne il suono. Ogni rintoccoè una carezza fonda, un vellutatomanto di pace, sceso dalla nottead avvolger la casa e la mia vita.Ogni cosa, d’intorno, è grande e ombrosacome tutti i ricordi dell’infanzia.Dammi la mano: so quanto ha doluto,sotto i miei baci, la tua mano. Dammela.Questa sera non m’ardono le labbra.Camminiamo così: la strada è lunga.Leggo per un gran tratto nel futurocome sul foglio che mi sta dinnanzi:poi, la visione cade bruscamentenel buio dell’ignoto, come questapagina bianca, che si rompe, netta,sul panno scuro della scrivania.Ma vieni: camminiamo: anche l’ignotonon mi spaventa, se ti son vicina.Tu mi fai buona e bianca come un bimboche dice le preghiere e s’addormenta.

Carnisio, 3 luglio 1929

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Visione

Ancora, per un anno, la scuolaa preservare la mia fanciullaggine cocciuta.Poi, la mia vita solain mare aperto – come una vela sperduta.

Carnisio, 9 luglio 1929

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Lagrime

Bambina, ho visto che stasera hai pianto,mentre la mamma tua sonava: pochi,per questo pianto, i tuoi quindici anni.So che forse noi siamo creaturenate tutte da un’ansia eterna: il mare;e che la vita, quando fruga e strazial’essere nostro, spreme dal profondoun po’ del sale da cui fummo tratte.Ma non sono per te le salse lagrime.Lascia ch’io sola pianga, se qualcunosuona, in un canto, qualche nenia triste.La musica: una cosa fonda e trepidacome una notte rorida di stelle,come l’anima sua. Lascia ch’io pianga.Perch’io non potrò mai avere – intendi? –né le stelle,né lui.

Varese-Milano, 11 luglio 1929

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Canto selvaggio

Ho gridato di gioia, nel tramonto.Cercavo i ciclamini fra i rovai:ero salita ai piedi di una rocciagonfia e rugosa, rotta di cespugli.Sul prato crivellato di macigni,sul capo biondo delle margherite,sui miei capelli, sul mio collo nudo,dal cielo alto si sfaldava il vento.Ho gridato di gioia, nel discendere.Ho adorato la forza irta e selvaggiache fa le mie ginocchia avide al balzo;la forza ignota e vergine, che tendeme come un arco nella corsa certa.Tutta la via sapeva di ciclami;i prati illanguidivano nell’ombra,frementi ancora di carezze d’oro.Lontano, in un triangolo di verde,il sole s’attardava. Avrei volutoscattare, in uno slancio, a quella luce;e sdraiarmi nel sole, e denudarmi,perché il morente dio s’abbeverassedel mio sangue. Poi restare, a notte,stesa nel prato, con le vene vuote:le stelle – a lapidare imbestialitela mia carne disseccata, morta.

Pasturo, 17 luglio 1929

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Canto rassegnato

ad A.M.C.

Vieni, mio dolce amico: sulla biancae soda strada noi seguiteremofinché tutta la valle s’inazzurri.Vieni: è tanto soave camminarea te d’accanto, anche se tu non m’ami.C’è tanto verde, intorno, tanto odoredi timo c’è, e sono così ariose,nell’indorato cielo, le montagne:è quasi come se anche tu mi amassi.Arriveremo giù, fino a quel pontesorretto dallo scroscio del torrente:là tu continuerai pel tuo cammino.Io resterò sul greto, fra i cespugli,dove l’acqua non giunge, fra le pietrechiare, rotonde, immote, come dorsidi una gregge accosciata. Col mio piantovitreo, pari a lente che non pecca,io specchierò e raddoppierò le stelle.

Pasturo, 18 luglio 1929

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Canto della mia nudità

Guardami: sono nuda. Dall’inquietolanguore della mia capigliaturaalla tensione snella del mio piede,io sono tutta una magrezza acerbainguainata in un color d’avorio.Guarda: pallida è la carne mia.Si direbbe che il sangue non vi scorra.Rosso non ne traspare. Solo un languidopalpito azzurro sfuma in mezzo al petto.Vedi come incavato ho il ventre. Incertaè la curva dei fianchi, ma i ginocchie le caviglie e tutte le giunture,ho scarne e salde come un puro sangue.Oggi, m’inarco nuda, nel nitoredel bagno bianco e m’inarcherò nudadomani sopra un letto, se qualcunomi prenderà. E un giorno nuda, sola,stesa supina sotto troppa terra,starò, quando la morte avrà chiamato.

Palermo, 20 luglio 1929

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Fuga

ad A.M.C.

Anima, andiamo. Non ti sgomentaredi tanto freddo, e non guardare il lago,s’esso ti fa pensare ad una piagalivida e brulicante. Sì, le nubigravano sopra i pini ad incupirli.Ma noi ci porteremo ove l’intricodei rami è tanto folto, che la pioggianon giunge a inumidire il suolo: lieve,tamburellando sulla volta scura,essa accompagnerà il nostro cammino.E noi calpesteremo il molle stratod’aghi caduti e le ricciute macchiedi licheni e mirtilli; inciamperemonelle radici, disperate membrabrancicanti la terra; strettamenteci addosseremo ai tronchi, per sostegno;e fuggiremo. Con la piena forzadella carne e del cuore, fuggiremo:lungi da questo velenoso mondoche mi attira e respinge. E tu sarai,nella pineta, a sera, l’ombra chinache custodisce: ed io per te soltanto,sopra la dolce strada senza meta,un’anima aggrappata al proprio amore.

Madonna di Campiglio, 11 agosto 1929

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Dolomiti

Non monti, anime di monti sonoqueste pallide guglie, irrigiditein volontà d’ascesa. E noi strisciamosull’ignota fermezza: a palmo a palmo,con l’arcuata tensione delle dita,con la piatta aderenza delle membra,guadagnamo la roccia; con la famedei predatori, issiamo sulla pietrail nostro corpo molle; ebbri d’immenso,inalberiamo sopra l’irta vettala nostra fragilezza ardente. In basso,la roccia dura piange. Dalle nere,profonde crepe, cola un freddo piantodi gocce chiare: e subito spariscesotto i massi franati. Ma, lì intorno,un azzurro fiorire di miosotiditradisce l’umidore ed un remotolamento s’ode, ch’è come il singhiozzorattenuto, incessante, della terra.

Madonna di Campiglio, 13 agosto 1929

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La discesa

ad A.M.C.

Già, sulle crode, sono rifioritii perenni rosai crepuscolari.Lontana, ormai, la malga abbandonatafra i rododendri. Il vento delle golenon geme più, mordendoci la nuca.Sale l’umida calma del pineto.I larici e gli abeti, con la vetta,ruban la prima oscurità, su in cielo;con le ricurve frangie, l’accompagnanofin presso a terra: lì, piano, la versanoa fare viola il muschio ed i mirtilli,a fare azzurri i sassi del sentiero. Nel mio ricordo stanco, disperato,tu ti frantumi d’ombra e di silenzio.

Madonna di Campiglio, 14 agosto 1929

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Vertigine

Afferrami alla vita,uomo. La cengia è stretta.E l’abisso è un risucchio spaventosoche ci vuole assorbire.Vedi: la falda erbosa, da cui balzaquesto zampillo estatico di rupi,somiglia a un camposanto sconfinato,con le sue pietre bianche.Io mi vorrei tuffare a capofittonella fluidità vertiginosa;vorrei piombare sopra un duro massoe sradicarlo e stritolarlo, io,con le mie mani scarne;strappare gli vorrei, siccome a crocedi cimitero, una parola solache mi desse la luce. E poi berreia golate gioiose il sangue mio. Afferrami alla vita,uomo. Passa la nebbiae lambe e sperde l’incubo mio folle.Fra poco la vedremo dipanarsisopra le valli: e noi saremo in vetta. Afferrami alla vita. Oh, come dolcii tuoi occhi esitanti,i tuoi occhi di puro vetro azzurro!

Pasturo, 22 agosto 1929

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Benedizione

a L.B.

Tempia contro tempiasi trasfondonole nostre febbri.Fuori, tremoli lunghi di stellee l’edera, con le sue palme protese,a trattenere un luccicore mite.Nella mia casa che riscalda,tu mi parli delle grandi coseche nessun altro sa.Lontano,una gran voce d’acquascroscia a parole incompresee forse a te benedice,dolce sorella,nel nome del mio amore e della tua tristezza,a te,ala biancadella mia esistenza.

Pasturo, 7 settembre 1929

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Rigurgito di giovinezza

a L.B.

Umida stradacielo d’ametistalacrime e lacrimesulle tue lunghe cigliasulle mie lunghe ditama la mia animacanora contro il ventocome un drappo di setaa sbandierarefrenetica di strappiper versare in uno squarciola sua giovinezzaed inondarne tenuvola biondaimpolverata dalla vita.

Pasturo, 15 settembre 1929

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Le mani sulle piaghe

ad A.M.C.

E quando tu te ne sarai andato,fratello, io seguirò la bianca stradaovattata di nebbia.L’acqua andrà remigando come un’alalanguida e nera: giù dai vecchi muri,qualche grido di verde e di scarlatto,vite, edera, veccia.Tanto silenzio ci sarà, lì presso:un silenzio d’attesa.Allora farò lieve la mia voce,farò lievi i miei passi:m’inoltrerò nel luogo dei malaticome il bimbo che entra in un suo sognodi paradiso, dove tutto è bianco.Non ci saran più volti, né capelli,né età, né nomi: ci sarà un candoreinfinito, vorace.Ma, dal candore, mille urli rossastrisi leveranno: oh, manilivide, abbandonate sulle coltri;mani che vi portate come artiglisopra le piaghe aperteper difenderle a unghiate o per squarciarle;mani che avete in voi tutto il doloree il mistero dell’essere;io farò lievi, un giorno, le mie manisopra di voi. E là dove il silenzioè un’attesa di morte o di salvezza,

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il silenzio e la fede vestirannola mia esistenza nuda.Fratello, io farò lieve il mio respiro,l’anima mia farò lieve e sicurasopra il gran male umano:dentro i labbri di tutte le feriteio stagnerò il tuo sangue,fra le ciglia di ognuno che si straziaasciugherò il tuo pianto.

Milano, 2 novembre 1929

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Vicenda d’acque

La mia vita era come una cascatainarcata nel vuoto;la mia vita era tutta incoronatadi schiumate e di spruzzi.Gridava la follia d’inabissarsiin profondità cieca;rombava la tortura di donarsi,in veemente canto,in offerta ruggente,al vorace mistero del silenzio. Ed ora la mia vita è come un lagoscavato nella roccia;l’urlo della caduta è solo un vagomormorio, dal profondo.Oh, lascia ch’io m’allarghi in blandi cerchidi glauca dolcezza;lascia ch’io mi riposi dei soverchibalzi e ch’io taccia, infine:poi che una culla e un’ecoho trovate nel vuoto e nel silenzio.

Milano, 28 novembre 1929

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1930

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Preghiera

Accettami così, ti prego. Prendimicosì come ora sono. Non mi chiederedi più. Sei forte: sii pietoso. Tendimila tua mano tenace; fammi credere alla vita, Antonello. Così ardentefu già la vita mia: un fascio d’erbache s’incendia nel folto, di repente,e brucia il monte; una gran forza acerba, gonfia e ignara di sé, folle, sicura,che un alito di sogno respiravasopra le cose ed ogni loro oscuraombra con quel suo alito indorava. Ora non più: ora il gran fuoco è spento.L’anima mia somiglia un lago piano,un lago senza cielo, senza vento,senza vita. Somiglia essa uno strano monte, che mai non cangi il bianco voltoper passare di nubi; un molle fiorescialbo, incoloro, senza stelo, coltoin un altro paese. Odimi, amore: siimi tu il vento, siimi tu il cieloed io sarò una viva acqua frementeche cullerà il tuo male. Sii lo steloche regga il fiore morto e con possenteslancio esso rivivrà; siimi il sole.

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Sii la nube che gioca a mezzo il fiancodella montagna, ed io ti darò viole,timo, genziane e un molle fascio bianco di stelle alpine: siimi tu il sole,la fonte della vita, anima buona;da’ tu un nome al destino che mi vuole;anima buona, accettami: perdona.

Pasturo, 23 luglio 1930

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Largo

O lasciate lasciate che io siauna cosa di nessunoper queste vecchie stradein cui la sera affonda – O lasciate lasciate ch’io mi perdaombra nell’ombra –gli occhidue coppe alzateverso l’ultima luce – E non chiedetemi – non chiedetemiquello che voglioe quello che sonose per me nella folla è il vuotoe nel vuoto l’arcana folladei miei fantasmi –e non cercate – non cercatequello ch’io cercose l’estremo pallore del cielom’illumina la porta di una chiesae mi sospinge a entrare – Non domandatemi se pregoe chi pregoe perché prego – Io entro soltantoper avere un po’ di treguae una panca e il silenzio

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in cui parlino le cose sorelle – Poi ch’io sono una cosa –una cosa di nessunoche va per le vecchie vie del suo mondo –gli occhidue coppe alzateverso l’ultima luce –

Milano, 18 ottobre 1930

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Novembre

E poi – se accadrà ch’io me ne vada –resterà qualchecosadi menel mio mondo –resterà un’esile scia di silenzioin mezzo alle voci –un tenue fiato di biancoin cuore all’azzurro – Ed una sera di novembreuna bambina gracileall’angolo d’una stradavenderà tanti crisantemie ci saranno le stellegelide verdi remote –Qualcuno piangeràchissà dove – chissà dove –Qualcuno cercherà i crisantemiper menel mondoquando accadrà che senza ritornoio me ne debba andare.

Milano, 29 ottobre 1930

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Sorelle, a voi non dispiace...5

Sorelle, a voi non dispiacech’io segua anche staserala vostra via?Così dolce è passaresenza paroleper le buie strade del mondo –per le bianche strade dei vostri pensieri –così dolce è sentirsiuna piccola ombrain riva alla luce –così dolce serrarsicontro il cuore il silenziocome la vita più fondasolo ascoltando le vostre anime andare –solo rubandocon gli occhi fissil’anima delle cose –Sorelle, se a voi non dispiace –io seguirò ogni serala vostra viapensando ad un cielo notturnoper cui due bianche stelle conducanouna stellina ciecaverso il grembo del mare.

Milano, 6 dicembre 1930

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1931

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In riva alla vita

Ritorno per la strada consueta,alla solita ora,sotto un cielo invernale senza rondini,un cielo d’oro ancora senza stelle.Grava sopra le palpebre l’ombracome una lunga mano velatae i passi in lento abbandono s’attardano,tanto nota è la viae desertae silente.Scattano due bambinida un buio anditoagitando le braccia:l’ombra sobbalzastriata da un tremulo volodi chiare stelle filanti.Gridano le campane,gridano tutteper improvviso risveglio,gridano per arcana meraviglia,come a un annuncio divino:l’anima si spalancacon le pupillein un balzo di vita.Sostano i bimbicon le mani uniteed io sostoper non calpestarele pallide stelle filantiabbandonate in mezzo alla via.

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Sostano i bimbi cantandocon la gracile voceil canto alto delle campane: ed io sostopensandomi ferma staserain riva alla vitacome un cespo di giunchiche tremipresso un’acqua in cammino.

Milano, 12 febbraio 1931

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Sera d’aprile

Batte la luna soavementedi là dai vetrisul mio vaso di primule:senza vederla la pensocome una grande primula anch’essa,stupita,sola,nel prato azzurro del cielo.

Milano, 1º aprile 1931

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Rossori

È l’ora di tornare. La seradiscende quieta in grembo alla valle.Passa sotto le nude volte dei castaniuna muta brezza e ne tremanoil morto fogliame dell’inverno,il verde gracile che si rinnovasulle prode scoperte. Le cose,fatte più grigie, sembrano raccogliersiin un silenzio assorto.Attutisce il suo cantopersino la bianca acqua, che scendeda lontano, dall’alto e che stamanecon tanta furia gridavala sua gioia d’esser sfuggitaagli artigli del ghiaccio.È l’ora di tornare. Compongoin una mano, strettamente, i miei fiorie nella penombra incupitaripercorro il sentiero.Oggi è il giorno dell’Angelo.Nessuna donna, a ginocchi, risciacqualungo il fossato i suoi panni:gli sgabelli spostati, capovoltiimpediscono il passo.C’è un’aria d’abbandono, oggi, pei campi,un’aria di solitudine festivache fa più triste la tristezza dell’ora.Ma davanti al cancellodel mio giardinoun grappolo di bimbi

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attende il mio ritorno.Per guardarmi,per guardarmi bene da vicino,per vedere com’è fattaquesta cosa curiosa che son io.Me li trovo davanti all’improvviso,che mi fissano, dritti,senza scomporsi:e di colpo sentoche ho io di loro assai più vergognache non essi di me.Vergogna del mio mazzodi bucaneve troppo sempliciche a loro paiono brutti,vergogna del mio passo,del mio corpo, troppo pesanti,che a me sembrano goffi...Ed ecco, vorrei essere come loro,piccina, povera, oscura,più vicina alla loro piccolezza,e non aver da direla paroletta benevolache suona male,non aver da sorriderecon le labbra dureche si aprono male...Mi rifugio dietro il cancellocome dietro una porta impenetrabile.Ma quando devo infilarela chiave nella toppae chiuderecon armeggìo sgarbato,mi sento morire, mi sento morire di vergognadavanti ai loro occhi tondi di passeriche mi guardano di là dalle sbarre;davanti alle loro animettedi passeri liberi, avvezzi

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ad entrare, ad usciredagli uscioni sgangheratidelle vecchie cascine,senza smuovere mail’enorme catenaccio arrugginito...

Pasturo, 6 aprile 1931

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Esempi

Anima, sii come il pino:che tutto l’inverno distendenella bianca aria vuotale sue braccia fiorentie non cede, non cede,nemmeno se il vento,recandogli da tutti i boschiil suono di tutte le foglie cadute,gli sussurra parole d’abbandono;nemmeno se la neve,gravandolo con tutto il pesodel suo freddo candore,immolla le fronde e le traeviolentementeverso il nero suolo.Anima, sii come il pino:e poi arriverà la primaverae tu la sentirai venire da lontano,col gemito di tutti i rami nudiche soffriranno, per rinverdire.Ma nei tuoi rami vivila divina primavera avrà la vocedi tutti i più canori uccellied ai tuoi piedi fiorirà di primulee di giacinti azzurrila zolla a cui t’aggrappinei giorni della pacecome nei giorni del pianto. Anima, sii come la montagna:

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che quando tutta la valleè un grande lago di violae i tocchi delle campane vi affioranocome bianche ninfee di suono,lei sola, in alto, si tendead un muto colloquio col sole.La fascia l’ombrasempre più da pressoe pare, intorno alla nivea fronte,una capigliatura greveche la rovesci,che la trattengadal balzare aereaverso il suo amore.Ma l’amore del soleappassionatamente la cinged’uno splendore supremo,appassionatamente baciacon i suoi raggi le nubiche salgono da lei.Salgono libere, lentesvincolate dall’ombra,sovraneal di là d’ogni tenebra,come pensieri dell’anima eternaverso l’eterna luce.

Pasturo, 10 aprile 1931

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Rivelazione

C’erano tutte le luci accese,tutte le porte aperte,nella mia casa ricca, freddae noi due c’eravamoa toccarci per la prima voltacon mani ciechee nel vuoto le nostre labbraignare, inerti,congiunte.

Milano, 15 novembre 1931

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Prati

Forse non è nemmeno veroquel che a volte ti senti urlare in cuore:che questa vita è,dentro il tuo essere,un nullae che ciò che chiamavi la luceè un abbaglio,l’abbaglio estremodei tuoi occhi malati –e che ciò che fingevi la metaè un sogno,il sogno infamedella tua debolezza. Forse la vita è davveroquale la scopri nei giorni giovani:un soffio eterno che cercadi cielo in cielochissà che altezza. Ma noi siamo come l’erba dei pratiche sente sopra sé passare il ventoe tutta canta nel ventoe sempre vive nel vento,eppure non sa così crescereda fermare quel volo supremoné balzare su dalla terraper annegarsi in lui.

Milano, 31 dicembre 1931

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1932

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Grido

Non avere un Dionon avere una tombanon avere nulla di fermoma solo cose vive che sfuggono –essere senza ieriessere senza domanied acciecarsi nel nulla –– aiuto –per la miseriache non ha fine –

10 febbraio 1932

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Gioia

Lo splendore del soleti abbacinava ieridolendocome la piaganelle pupille del cieco.Ma oggilo splendore del solenon è abbastanza lucenteper la lucentezza tua:nell’infinito mondo non c’èche questo tuo splendorevero.

6 marzo 1932

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Limiti

Tante volte ripensoalla mia cinghia di scuolagrigia, imbrattata,che tutta me coi miei libri serravain un unico nodosicuro –Né c’era alloraquesto trascendere ansantequesto sconfinamento senza tracciaquesto perdersiche non è ancora morire –Tante volte piango, pensandoalla mia cinghia di scuola –

Milano, 16 aprile 1932

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1933

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Tramonto

Fili neri di pioppi –fili neri di nubisul cielo rosso –e questa prima erbalibera dalla nevechiarache fa pensare alla primaverae guardarese ad una svoltanascano le primule –Ma il ghiaccio inazzurra i sentieri –la nebbia addormenta i fossati –un lento pallore devastai colori del cielo –Scende la notte –nessun fiore è nato –è inverno – anima –è inverno.

S. Martino-Milano, 10 gennaio 1933

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Sogno nel bosco

Sotto un abeteper tutto un giornodormiree l’ultimo cielo vedutosia in fondo all’intrico dei ramilontano. A seraun capriolosbucando dal foltodisegnidi piccole ormela nevee all’albagli uccelliimpazzitiinfiorino di canti il vento. Iosotto l’abetein pacecome una cosa della terra,come un ciuffo di erichearso dal gelo.

16 gennaio 1933

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Pudore

Se qualcuna delle mie povere paroleti piacee tu me lo dicisia pur solo con gli occhiio mi spalancoin un riso beatoma tremocome una mamma piccola giovaneche perfino arrossiscese un passante le diceche il suo bambino è bello.

1º febbraio 1933

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Il porto

Io vengo da mari lontani –io sono una nave sferzatadai fluttidai venti –corrosa dal sole –maceratadagli uragani – io vengo da mari lontanie carica d’innumeri cosedisfattedi frutti stranicorrottidi sete vermigliespaccate –strematele braccia lucenti dei mozzie sradicate le antennespente le veleammollite le cordefracidigli assi dei ponti – io sono una naveuna nave che portain sé l’orma di tutti i tramontisolcati sofferti –io sono una nave che cercaper tutte le riveun approdo –

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Risogna la nave feritail primissimo porto –che valese sopra la sciadel suo viaggioricadel’ondata sfinita? Oh, il cuore ben sala sua sciaritrovaredentro tutte le onde!Oh, il cuore ben saritornareal suo lido! O tu, lido eterno –tu, nidoultimo della mia anima migrante –o tu, terra –tu, patria –tu, radice profondadel mio cammino sulle acque –o tu, quietedella mia errabondapena –oh, accoglimi tufra i tuoi moli –tu, porto –e in te sia il cadered’ogni carico morto –nel tuo grembo il calarelento dell’àncora –nel tuo cuore il sognaredi una sera velata –quando per troppa vecchiezza

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per troppa stanchezzanaufragherànelle tue muteacquela greve navesfasciata –

20 febbraio 1933

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Stelle sul mare

Piccole buone stelle –tutte mie –tutte mie –che passatecon il moto del maresul mio guanciale bianco – piccole buone stelleche impigliatei vostri chiari ragginella mia manos’io – ecco – la tendaverso di voicome un arbusto spoglio – piccole buone stelleche cadetegiù dalla manos’io – ecco – la scuotacome fa il vento di un ramo fiorito –stelle –grandine d’oro –che piovetea scrosci lunghisopra il nudo cuore...

Napoli-Palermo, 9-10 aprile 1933

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Solitudine

Benché l’odore delle foglie nuove ti destiad una voglia di umano sole ed il tramonto non trascolorato ancora in serati spingaper vie di terra– remotele soglie spente del cielo – tu cerchi invano chi possain quest’ora per un tuo voto giungerepresso il tuo cuore – vero è che nessunopiù giunge presso il tuo cuoreinaccessibile – ch’esso è fatto solo –dannato ai grididelle suerondini –

4 maggio 1933

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Acqua alpina

Gioia di cantare come te, torrente;gioia di rideresentendo nella bocca i dentibianchi come il tuo greto;gioia d’essere natasoltanto in un mattino di soletra le violedi un pascolo;d’aver scordato la notteed il morso dei ghiacci.

(Breil)-Pasturo, 12 agosto 1933

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Il volto nuovo

Che un giorno io avessiun risodi primavera – è certo;e non soltanto lo vedevi tu, lo specchiavinella tua gioia:anch’io, senza vederlo, sentivoquel riso miocome un lume caldosul volto. Poi fu la nottee mi toccò esser fuorinella bufera:il lume del mio risomorì. Mi trovò l’albacome una lampada spenta:stupirono le cosescoprendoin mezzo a loroil mio volto freddato. Mi vollero donareun volto nuovo. Come davanti a un quadro di chiesache è stato mutatonessuna vecchia più vuoleinginocchiarsi a pregare

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perché non ravvisa le caresembianze della Madonnae questa le parequasi una donnaperduta – così oggi il mio cuoredavanti alla mia mascherasconosciuta.

20 agosto 1933

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Notturno

Curva tu suonied il tuo canto è un albero d’argentonel silenzio oscuro – Limpido nascedal tuo labbro – il profilodelle vette – nel buio – Muoiono le tue notecome gocce assorbite dalla terra – Le nebbie sopra gli abissipercorse dal ventosollevano il suono spentonel cielo –

(Breil, luglio 1933)-Pasturo, 22 agosto 1933

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L’allodola

Dopo il bacio – dall’ombra degli olmisulla strada uscivamoper ritornare:sorridevamo al domanicome bimbi tranquilli.Le nostre manicongiuntecomponevano una tenaceconchigliache custodivala pace.Ed io ero pianaquasi tu fossi un santoche placa la vanatempestae cammina sul lago.Io ero un immensocielo d’estateall’albasu sconfinatedistese di grano.Ed il mio cuoreuna trillante allodolache misuravala serenità.

25 agosto 1933

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Settembre

Boschi mieiche le nuvole del settembrelente percorronomentre le prime fogliecrollano giù dai ramie adunano umidore per i sentieriintanto che nel cielogli alberi si denudano –così come di seraquando cadono le ombregiù dalle cimes’incupisce la terrae in alto si rivelanoi disegni dei montie delle stelle –miei boschivi è tanta pacein questa vostra mutarovinache in pace ora alla miarovina pensoe sono come chistia sulla riva di un lagoe guardi miti le coserispecchiate dall’acqua –

8 settembre 1933

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Per un cane

Sei stato con noi per undici anni.Una sera siamo tornati:eri disteso davanti al cancello,il muso nella polvere della strada,le zampe già fredde, il dorsotepido ancora.Ora sei tuttonella buca che ti abbiamo scavata.Ma gli undici annidella tua umile vita,il gemereper ognuno che partiva,il soffrire di gioiaper ognuno che ritornava– e verso serase qualcunoper una sua tristezzapiangevatu gli leccavi le mani:lo guardavie gli leccavi le mani –oh, gli undici annidel tuo muto amoretutti quisotto questa terrasotto questa pioggiacrudele?Esitavisulla ghiaia umida:sollevavi

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una zampa – tremando.Ora nessuno ti difendedal freddo.Non ti si può più chiamare.Non ti si può più dareniente.Solo le foglie fradice mortecadono su questo pezzodi prato.E pensare che altro rimangadi teè vietato:di questo il nostro assurdopianto si accresce.

14 settembre 1933

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Ricongiungimento

Se io capissiquel che vuole dire– non vederti più –credo che la mia vitaqui – finirebbe. Ma per me la terraè soltanto la zolla che calpestoe l’altrache calpesti tu:il restoè ariain cui – zattere sciolte – navighiamoa incontrarci. Nel cielo limpido infattisorgono a volte piccole nubifili di lanao piume – distanti –e chi guarda di lì a pochi istantivede una nuvola solache si allontana.

17 settembre 1933

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Attacco

Comechi avanti l’albada un rifugio montano escanell’ombra fredda – e si metta per l’ertacullando col passo il penososonno – fin che in cima alle ghiaiela guida sciolgadalla spalla la corda ed additisulla roccia – l’attacco – gioia e sgomentoallora – ed il sole che sorgelo colgono insieme – cosìquando sul tuocammino s’aprauna siepe – ed al cuore s’affaccila strada nuova.

26 settembre 1933

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La gioia

Domandavo a occhi chiusi– che cosasarà domani la Pupa? – Così ti facevo ridirein un sorriso le dolci parole– la sposa,la mamma – Fiabadel tempo d’amore –profondo sorso – vitacompiuta –gioia ferma nel cuorecome un coltello nel pane.

26 settembre 1933

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In sogno

Silenzio – grottedi bianco cristalloscavoalle fiabe – sul pianto il cuore trascorre –sul lago celestecon occhi grandi – cigliatidi glicine –

28 settembre 1933

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Bontà inesausta

Chi ti dicebontàdella mia montagna? –così biancasui boschi già biondid’autunno – e qui nebbie leggere alitanoin cui sospesaè la luce dei ragnateli –della rugiadasulle foglie morte – mentre il terriccio accogliepetali stanchi di ciclaminie crochi, velatidi uno stesso palloreroseo – tu sana, venata di sole,porti sul gremboil cielo tutto azzurro –chiami voli d’uccellialle tue manicolme di vento – Bontàa cui beve il suo cantoil cuoree di cantare non può più finire –

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perché sei la sorgente che rifàil sorso bevutoed il suo fondonon si tocca mai.

Pasturo, 1º ottobre 1933

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Non so

Io penso che il tuo modo di sorridereè più dolce del solesu questo vaso di fiorigià un pocoappassiti – penso che forse è buonoche cadano da metutti gli alberi – ch’io sia un piazzale bianco desertoalla tua voce – che forsedisegna i vialiper il nuovogiardino.

4 ottobre 1933

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Sfiducia

Tristezza di queste mie manitroppo pesantiper non aprire piaghe,troppo leggèreper lasciare un’impronta – tristezza di questa mia boccache dice le stesseparole tue– altre cose intendendo –e questo è il mododella più disperatalontananza.

16 ottobre 1933

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Ritorno serale

Giungere qui – tu lo vedi –dopo un qualunque doloreè veramentetornare al nido, trovarele ginocchia materne,appoggiarvi la fronte – mentre le rocce, in alto,sui grandi libri rosei del tramontoleggono ai boschi e alle casele parole della pace – mentre le stanche campane discordiinterrogano il silenzio – sui misteridella sera, dei cimiteridischiusi, dell’invernoche si avvicina – ed il silenzio allarga,impallidendo, le braccia –trae nel suo manto le cosee persuadela quiete –

18 ottobre 1933

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Sole d’ottobre

Felci grandie garofani selvaggisotto i castani – mentre il vento sciogliel’un dopo l’altroi nodi rossi e biondialla veste di fogliedel sole – e il sole in quellabruciadella sua biancabellezzacome un fragile corponudo –

20 ottobre 1933

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Ammonimento

Dunque, io non vedrò mai più i tuoi occhipuri come li vidila prima sera, biondicome capelli – e chiaricome lampade lievi.Io so quale sabbia li intorbidiora – quale tristezzache fu già mia.Sgomenta guardonascere in te la vitach’io già vissi e scontai e spogliaid’ogni velo. Vorreiaver ora la voce di tua madreper poterti parlaresenza parlarti di me.Vorrei dirti: – oh, non fermiamoci qui, dove il ventosvelse un albero sulla nostra stradache stramazzòin forma di croce.Oh, non pensiamo che basti il piantoad accender la lampada dei morti.Olio vuole la lampadae legno il fuoco:fiamma non nasce dal nostro alito solo.Ma immensa foresta è la vitacon alberi e sentieriinfiniti. Bisognaguardare a fondo, troncare

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i rami morti con la nostra scure:alto sarànella radura ultima – il fuoco,più alto se più grandesarà stata la pena. Dolce saràal boscaiolo stancostendersi allora – presso la catastada lui accesae con quel lume caldoaffondare nel sonno.

28 ottobre 1933

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Riconciliazione

La luna è vitrea e lieveancora, nel vasto tramonto.Perché non usciredi qui? Perché non portarelaggiù, nelle strade, la mianostalgia dei monti perduti,tradurla in amorepel mondoche amai? Già troppo sofferserodel mio rancorele cose: e vivere non si puòa lungose silenziosamente piangonole cose, su noi. Stasera, stasera,quando i volti degli uominisaran macchie d’ombra e non più –quando le caseal sommosole vivranno di luce –io troverò me stessanel vecchio mondoe profondosarà l’abbracciodelle cose con me. Riconteremo i fili

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che legano i miei occhiagli occhi illuminati delle vie,riconteremo i passiper cui l’anima versala sua sete di stradesopra la buia terra – Forse le coseperdoneranno ancora –forse, facendodelle gran braccia arcosu me,pergolati di sogni stenderannodomani sovra il miosolitario meriggio.

3 novembre 1933

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All’amato

Tu sei tornato in mecome la voced’uno che giunge,ch’empie a un tratto la stanza,quando è già sera. Qui c’erasoltanto il pesodelle ore irrigiditein grigiore di pietra,il passo lentodei fossati in pianurasotto nudi archi di pioppi. C’eranoal termine delle casele povere stradedi novembre, straziate di solchi... E c’era questo mio vivereche ripete ogni giornoil gesto di una mano di carnecalata giù nel profondoa chiudere la bocca di Dio.C’era la sabbiache giù si rovesciasull’incendio di Dio.C’era la falceche mordele erbe di Dio. La pietra

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che cade sui cani,sugli uccelli di Dio. Allora sei tornatotu – in me –come la voced’uno che giunge,che nessuno più attendeperché è già sera. Sei ritornato in mecome un fedelestormo di rondiniche riappendon nidial tetto oscuro del cuore.Sei ritornato come uno sciamed’api che cercanoi loro fiori – e indoranol’orto nativo. Ora nell’orto io sentocrescere i nuovimiei fiori per te. Sento spuntaresui pascoli, dovela neve si è sciolta,gli anemoni gialli e dal suolo del cielole stelle – che a quelli somigliano –le stelle – dopo che il gelodel vespro è scomparso e la notte è la terra feconda –il monteprimaveriledi Dio.

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6 novembre 1933

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Il cielo in me

Io non devo scordareche il cielofu in me. Tueri il cielo in me,che non parlavimai del mio volto, ma soloquand’io parlavo di Diomi toccavi la frontecon lievi dita e dicevi:– Sei più bella così, quando pensile cose buone – Tueri il cielo in me,che non mi amavi per la mia personama per quel semedi beneche dormiva in me. E se l’angoscia delle cose a un lungopianto mi costringeva,tu con forti ditami asciugavi le lacrime e dicevi:– Come potrai domani esser la mammadel nostro bimbo, se ora piangi così? – Tueri il cielo in me,

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che non mi amaviper la mia vitama per l’altra vitache poteva destarsiin me. Tueri il cielo in meil gran sole che mutain foglie trasparenti le zolle e chi volle colpirtivide uscirsi di manouccellianzi che pietre– uccelli –e le lor piume scrivevano nel cielovivo il tuo nomecome nei miracoliantichi. Io non devo scordareche il cielofu in me. E quando per le strade – avantiche sia sera – m’aggiroancora voglioessere una finestra che cammina,aperta, col suo lembodi azzurro che la colma. Ancora voglioche s’oda a stormo battere il mio cuorein altocome un nido di campane.E che le cose oscure della terra

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non abbiano poterealtro – su me,che quello di martelli lievia scanderesulla nudità cerula dell’animasoloil tuo nome.

11 novembre 1933

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La voce

Aveva voce in tel’universodelle cose mute,la speranzache sta senz’ali nei nidi,che sta sotterranon fiorita. Aveva voce in teil misterodi tutto che presso una mortevuol diventare vita,il filo d’erbasotto le putride foglie,il primo riso del bimbo salvatoa fianco di un’agoniain una corsiad’ospedale. Or quando cade dagli altirami notturnidei campanili – un rintocco –e in cuore affonda comeil frutto dentro il campo arato – allora hai vocetu in me –con quella notaampia e solache dice i sogni sepolti

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del mondo, l’oppressanostalgia della luce.

10 dicembre 1933

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Cose

Questo pugno di terrache raccolseper me – sul Palatinola tua mano pura io verserò nell’urnadi smorta argillache sul rosso lido di Selinunteun pescatore mi donò, sporgendoil braccio fra i cespugli di lentischio. E tu non direch’io perdo il senso e il tempodella mia vita –se cerco nella sabbiail sole e il piantodei mondi –se getto nelle cose la mia animapiù grande – e credoad immense magie...

10 dicembre 1933

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1934

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Desiderio di cose leggere

Giuncheto lieve biondocome un campo di spighepresso il lago celeste e le case di un’isola lontanacolor di velapronte a salpare – Desiderio di cose leggerenel cuore che pesacome pietradentro una barca – Ma giungerà una seraa queste rivel’anima liberata:senza piegare i giunchisenza muovere l’acqua o l’ariasalperà – con le casedell’isola lontana,per un’alta scoglieradi stelle –

1º febbraio 1934

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Nevai

Io fui nel giorno alto che viveoltre gli abeti,io camminai su campi e montidi luce –Traversai laghi morti – ed un segretocanto mi sussurravano le ondeprigioniere –passai su bianche rive, chiamandoa nome le genzianesopite –Io sognai nella neve di un’immensacittà di fiorisepolta – io fui sui monticome un irto fiore –e guardavo le rocce,gli alti scogliper i mari del vento –e cantavo fra me di una remotaestate, che coi suoi amarirododendrim’avvampava nel sangue –

1º febbraio 1934

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Pensiero

Avere due lunghe alid’ombrae piegarle su questo tuo male;essere ombra, paceseraleintorno al tuo spentosorriso.

maggio 1934

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Sentiero

È bello camminare lungo il torrente:non si sentono i passi, non sembradi andare via.Dall’alto del sentiero si vede la vallee cime lontane ai marginidella pianura, come pallidi scogliin riva a una rada – Si pensacom’è bella, com’è dolce la terraquando s’attarda a sognareil suo tramontocon lunghe ombre azzurre di montia lato – Si cammina lungo il torrente:c’è un gran canto che assordala malinconia –

Breil, 9 agosto 1934

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Rifugio

Nebbie. E il tonfo dei sassidentro i canali. Voci d’acquagiù dai nevai nella notte. Tu stendi una coperta per mesul pagliericcio:con le tue mani dureme l’avvolgi alle spalle, lievemente,che non mi prendail freddo. Io pensoal grande mistero che vivein te, oltre il tuo pianogesto; al sensodi questa nostra fratellanza umanasenza parole, tra le immense roccedei monti.E forse ci sono più stellee segreti e insondabili vietra noi, nel silenzio,che in tutto il cielo distesoal di là della nebbia.

Breil, 9 agosto 1934

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Preghiera alla poesia

Oh, tu bene mi pesil’anima, poesia:tu sai se io manco e mi perdo,tu che allora ti neghie taci. Poesia, mi confesso con teche sei la mia voce profonda:tu lo sai,tu lo sai che ho tradito,ho camminato sul prato d’oroche fu mio cuore,ho rotto l’erba,rovinata la terra –poesia – quella terradove tu mi dicesti il più dolcedi tutti i tuoi canti,dove un mattino per la prima voltavidi volar nel sereno l’allodolae con gli occhi cercai di salire –Poesia, poesia che rimaniil mio profondo rimorso,oh aiutami tu a ritrovareil mio alto paese abbandonato –Poesia che ti doni soltantoa chi con occhi di piantosi cerca –oh rifammi tu degna di te,poesia che mi guardi.

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Pasturo, 23 agosto 1934

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Odor di verde

Odor di verde –mia infanzia perduta –quando m’inorgoglivodei miei ginocchi segnati –strappavo inutilmentei fiori, l’erba in riva ai sentieri,poi li buttavo –m’ingombran le mani – odor di boschi d’agosto – al meriggio –quando si rompono col viso accesole ragnatele –guadando i ruscelli il sasso schizzail piede affondapenetra il gelo fin dentro i polsi –il sole, il solesul collo nudo –la luce che imbiondisce i capelli – odor di terra,mia infanzia perduta.

Pasturo, agosto 1934

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Tre sere

La prima sera ci fu la pioggia,nera assordante –ed io al crocicchio,a decifrare nomidi strade sconosciute –sola alle sogliedi una città nuova,sola con la mia predadi felicità – con l’ecodella tua voce. Poi, sopra i monti, fu la limpidezzabruciante della notte –e sulla neve riflessele innumeri stelleed adagiate nell’argenteo sonnol’esili ombredei rami –Io sola, io limpida tutta,nel vento lieve di settentrione,io in pacecon la chiarezza del cielo,con il diffuso ricordodel tuo sguardo. Stasera la nebbia, candore sordo,intorno al tremito della miaattesa – velosulla parola non detta,difesa – per la paura del tempo,

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per la frettadi vivere. Pausa – Di nebbia s’avvolgeil cuorecolmo e sospeso,per non udirei suoi battiti.

1º dicembre 1934

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Funerale senza tristezza

Questo non è esser morti,questo è tornareal paese, alla culla:chiaro è il giornocome il sorriso di una madreche aspettava.Campi brinati, alberi d’argento, crisantemibiondi: le bimbevestite di bianco,col velo color della brina,la voce colore dell’acquaancora vivafra terrose prode.Le fiammelle dei ceri, naufragatenello splendore del mattino,dicono quel che siaquesto vaniredelle terrene cose– dolce –,questo tornare degli umani,per aerei pontidi cielo,per candide creste di montisognati,all’altra riva, ai pratidel sole.

3 dicembre 1934

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Secondo amore

Piansi bambina, per un mondopiù grande del mio cuore,dentro il mio cuorerinchiuso – morto;piansi con occhi giovani,penosamente arsi arrossati –e sola vicina alla terradomandavo agli oggetti muti,alle radici dei fiori divelti,alle ali degli insetti caduti,il perchédel morire. Mi rispondeva la terra, fedele,prima ancora che fosseprimavera colma,da anni e secoli – sotto un arbustocon una pallida primularifiorita.E in essa era la linfa,era il respiro – di tuttele primavere perdute,in ogni fiore vivo la bellezzadegli innumeri fiorispenti. Oh grazia – ora dico –del secondo amore,giovinezza profonda intessutadi vinte vecchiezze, di esistenze percorse –

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– ed ogni esistenza, una ricchezzaconquisa, ogni pianto detersoun sorriso più lungo imparato,ogni percossa, una carezza più lieveche si vorrebbe donare –oh benedetto il mio pianto– ora dico –benedetti i miei occhidi bimba, arrossati riarsi –benedetto il soffrire, il moriredi tutti i mondi che portai nel cuore –se dalla morte si rinasceun giorno,se dalla morte io rinascooggi – per te,me stessa offrendoalle tue mani – comeuna corolladi dissepolte vite.

4 dicembre 1934

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Bellezza

Ti do me stessa,le mie notti insonni,i lunghi sorsidi cielo e stelle – bevutisulle montagne,la brezza dei mari percorsiverso albe remote. Ti do me stessa,il sole vergine dei miei mattinisu favolose rivetra superstiti colonnee ulivi e spighe. Ti do me stessa,i meriggisul ciglio delle cascate,i tramontiai piedi delle statue, sulle colline,fra tronchi di cipressi animatidi nidi – E tu accogli la mia meravigliadi creatura,il mio tremito di stelovivo nel cerchiodegli orizzonti,piegato al ventolimpido – della bellezza:e tu lascia ch’io guardi questi occhi

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che Dio ti ha dati,così densi di cielo –profondi come secoli di luceinabissati al di làdelle vette –

4 dicembre 1934

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Lieve offerta

Vorrei che la mia anima ti fosseleggeracome le estreme fogliedei pioppi, che s’accendono di solein cima ai tronchi fasciatidi nebbia – Vorrei condurti con le mie paroleper un deserto viale, segnatod’esili ombre –fino a una valle d’erboso silenzio,al lago –ove tinnisce per un fiato d’ariail cannetoe le libellule si trastullanocon l’acqua non profonda – Vorrei che la mia anima ti fosseleggera,che la mia poesia ti fosse un ponte,sottile e saldo,bianco –sulle oscure voraginidella terra.

5 dicembre 1934

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Le mani

Quando ti ho preso le maniho capitocome sei giovane. Le mie dita sono sottili:si plasmano alle cosee a lungo ne conservanol’impronta –per uno spino sanguinano,per una piuma tremanodi dolcezza.Le mie mani son così pallide:attraversate dalla vitain ogni senso – comeda lunghe veneazzurre.Forse la loro paceè fra i tenui ricciolidi un bimbo. Le tue dita sono rudi:afferrano le coseper esserne padrone,non si scalfiscono a nessunapietra.Mani di colore vivo,che hanno toccato soloquel che hanno scelto –mani che sanno scavarenella ghiaia dei fiumi,

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nel fango delle grotte,per estrarne tesori. Non tu,ma le tue mani giovanidicono alle mie mani,a me: Come sietevecchie.

6 dicembre 1934

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Pausa

Mi pareva che questa giornatasenza tedovesse essere inquieta,oscura. Invece è colmadi una strana dolcezza, che s’allargaattraverso le ore –forse com’è la terradopo uno scroscio,che resta sola nel silenzio a bersil’acqua cadutae a poco a poconelle più fonde vene se ne sentepenetrata. La gioia che ieri fu angoscia,tempesta –ora ritorna a brevitonfi sul cuore,come un mare placato:al mite sole riapparso brillano,candidi doni,le conchiglie che l’ondalasciò sul lido.

7 dicembre 1934

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Confidare

Ho tanta fede in te. Mi sembrache saprei aspettare la tua vocein silenzio, per secolidi oscurità. Tu sai tutti i segreti,come il sole:potresti far fiorirei gerani e la zàgara selvaggiasul fondo delle cavedi pietra, delle prigionileggendarie. Ho tanta fede in te. Son quietacome l’arabo avvoltonel barracano bianco,che ascolta Dio maturarglil’orzo intorno alla casa.

8 dicembre 1934

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1935

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Evasione

La strada porta tra case oscure –ma in altosalpo dal braccio candidodel valico, come da un molo –lascio nella terrena ombrai faticosi lumi degli uomini,il loro fioco alonesulla neve. Via – negli occhi raccoltala gioia dura d’esserecreatura in sé conchiusa,unica nel freddo cieloinvernale –diritta ai piedid’invisibili antenne,sulla nave che ha vele di nubie fari di stelle,a prora un voltod’attesa.

11 gennaio 1935

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Sgorgo

Per troppa vita che ho nel sanguetremonel vasto inverno. E all’improvviso,come per una fonte che si scioglienella steppa,una ferita che nel sonnosi riapre, perdutamente nascono pensierinel deserto castello della notte. Creatura di fiaba, per le mutestanze, dove si struggono le lampadedimenticate,lieve trascorre una parola bianca:si levano colombe sull’altanacome alla vista del mare. Bontà, tu mi ritorni:si stempera l’inverno nello sgorgodel mio più puro sangue,ancora il pianto ha dolcemente nomeperdono.

12 gennaio 1935

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Il sentiero

Sperarementre il domani intatto sconfinae tostodimenticare il voltodelle speranze, nel tempo vero. Viali sognavi per la vitae un esilesentiero ti rimane. Una serala tua montagna si ricorderàdi averti avutabambinasul suo grembo d’erba;e lontana vedendotia cercaresu perse rive le ombredelle tue cose sepolte,ti chiamerà coi cenniantichi – delle campane. Il tuo sentiero ti ricondurràlungo la valle,per la conca prativa – al muro candido,al cancello socchiuso. Lassù, nel breve orto distesoai ritorni delle stagioni, ai cielidella neve e dei venti

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primaverili,verranno bocchedi bambini sconosciutia cantaresulla tua solitudine.

30 gennaio 1935

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Un destino

Lumi e capanneai bivichiamarono i compagni. A te restaquesta che il vento ti disvelapallida strada nella notte:alla tua setela precipite acqua dei torrenti,alla persona stancal’erba dei pascoli che si rinnovanello spazio di un sonno. In un suo fuoco assortociascuno degli umaniad un’unica vita si abbandona. Ma sul lentotuo andar di fiume che non trova foce,l’argenteo lume di infinitevite – delle libere stelleora trema: e se nessuna portas’apre alla tua fatica,se ridatot’è ad ogni passo il peso del tuo volto,se è tuaquesta che è più di un doloregioia di continuare sola

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nel limpido deserto dei tuoi monti ora accettid’esser poeta.

13 febbraio 1935

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Smarrimento

Novembrenon è tornato:ma i passeria mezzo giorno gridanosugli alberi bagnaticome fosse per venir sera. Qualcuno si è scordatodi rialzare i pesidell’orologio:l’uccellino dice cucùdue volte soltanto,poi resta sulla porticinaa guardareil pendolo che a piccole scossesi ferma. Adessonon so piùle ore.

21 febbraio 1935

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Tempo

I Mentre tu dormile stagioni passanosulla montagna. La neve in altostruggendosi dà vitaal vento:dietro la casa il prato parla,la lucebeve orme di pioggia sui sentieri. Mentre tu dormianni di sole passanofra le cime dei làricie le nubi.

28 maggio 1935 II Io posso cogliere i mughettimentre tu dormiperché so dove crescono.E la mia vera casacon le sue porte e le sue pietresia lontana,

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né io più la ritrovi,ma vada errandopei boschieternamente –mentre tu dormied i mughetti cresconosenza tregua.

28 maggio 1935

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Convegno

Nell’aria della stanzanon teguardoma già il ricordo del tuo visocome mi nascerànel vuotoed i tuoi occhicome si fermaronoora – in lontani istanti –sul mio volto.

29 maggio 1935

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Brezza

Mi ritrovonell’aria che si levapuntuale al meriggioe volge foglie e ramialla montagna. Potessero cosìsollevarsii miei pensieri un poco ogni giorno:non credessi maispenti gli anelitinel mio cuore.

8 giugno 1935

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La vita

Alle soglie d’autunnoin un tramontomuto scopri l’onda del tempoe la tua resasegreta come di ramo in ramoleggeroun cadere d’uccellicui le ali non reggono più.

18 agosto 1935

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1936

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A Emilio Comici

Mille metridi vuoto:ed un pollice di pietraper una delle tuesuole di corda. Ti ha inchiodato il tramonto allo strapiombo. A quest’ora la tua cittàcoi vetri in fiamme abbacina le barche.Dove hai lasciato le tue vesti,i voltidelle ragazze, i remi? Questa notte al bivacconubi bianchesi frangeranno sulla pietramute:così lontano il tonfo dei marosisul molo di Trieste. Né la lunadisvelerà giardini, chiaro risodi donne intorno ad un fanale,o tepidosciogliersi di capelli, ma te solovedràalla tua fune

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gelida avvolto –ed il tuo duro cuoretra le pallide guglie.

16 gennaio 1936

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Rifugio

I Mentre di fuori il sole sgelapelli di focaai cardini dell’uscio scostate queste tazze di vin caldoe il pane sbriciolato,fate posto:ora voglio dormire. Se ridie scuoti il ciuffo del mio berretto rossocome a un bambino insonnolito,io cadoin golfi oscuri e caldidi sogno. Ma perchéuna canzone marinarescafra strapiombi neri? II Dimmi che non possiamoandare oltre:questa pista finisce alla forcella,alta e intatta è la nevesul versante

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dell’ombra.Qui crediamoeterna luce sovra campi splendenti:potrà maivenir sera ai nostri vetrid’argento? III Noi,quando grigie fascie di tormentastrapperanno da terrail nostro rossonido di pietra,guarderemo nudi –come da un celesteWalhalla –i laghi spenti in fondo ai pini,le fiochelampade erranti dei pastori.

19 gennaio 1936

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In campagne di ventourlano i canisul sonno delle mandrie all’addiaccio.Or sulle manimi respiri tusolitudinelenta fatica d’amore.

8 ottobre 1936

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1937

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Periferia in aprile

Intorno aioledove ragazzo t’affannavi al calcio:ed or fra coccis’apron fiori terrosi al secco fiatodei muri a primavera.Ma nella voce e nello sguardohai acqua,tu profonda frescura, radicataoltre le zolle e le stagioni, in quellache ancor resta alle cimeumida neve:così correndo in ogni venae diciancora quella strada remotissimaed il ventoleggero sopra enormibaratri azzurri.

24 aprile 1937

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L’ava6

T’abbraccio per sentire la tua carnepregna di pace e vicina a morire –fresca e tetra cosìpresso il mio fiato.Di là dalle parole: ed ascoltiamoal polso uguali battiti – ed un soloultimo abbeverarsi della vita.A riva di neri laghitorna a prender lucequest’occhio da te sola fatto azzurro;così premendomi al tuo gremboe chiusa nel tuo alvoprofondo, una divengoal tuo peso mortale che vanisce:tanto che non ci stacchi più la terra –ma ad entrambe si faccia buia e lieve.

1º maggio 1937

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Fine di una domenica

Rotta da un fischioall’ultimo tumultos’è scomposta la mischia: sulle laceremaglie e sui volti in furia – vedoil cielo dello stadio bianco, quasisoffice lana. Calmi greggi dormonoa fronte d’alte case,in rozze stradedilaganti per l’erba: e non ha un sensoquest’avviarsi di treni verso incertepianure... Ormai il fiumeè un lago fermo tra muraglie, in fondoad un bosco serale: lenti vialiin cerchio ci trascinano – ove imbarcacoppie d’amanti la corrente... E a noiforse sovviene di un istante, quandoqualchecosa si persead un crocicchio:che non sappiamo.Sì che vuoteora – e disgiuntesenza amore ci pendono le mani.

Torino, 2 maggio 1937

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Le montagne

Occupano come immense donnela sera:sul petto raccolte le mani di pietrafissan sbocchi di strade, tacendol’infinita speranza di un ritorno. Mute in grembo maturano figliall’assente. (Lo chiamaron velelaggiù – o battaglie. Indi azzurra e rossaparve loro la terra). Ora a un franaredi passi sulle ghiaiegrandi trasalgon nelle spalle. Il cielobatte in sussulto le sue ciglia bianche. Madri. E s’erigon nella fronte, scostanodai vasti occhi i rami delle stelle:se all’orlo estremo dell’attesanasca un’aurora e al brullo ventre fiorisca rosai.

Pasturo, 9 settembre 1937

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Voce di donna

Io nacqui sposa di te soldato.So che a marce e a guerrelunghe stagioni ti divelgon da me. Curva sul focolare aduno bragi,sopra il tuo letto ho disteso un vessillo –ma se ti penso all’addiacciopiove sul mio corpo autunnalecome su un bosco tagliato. Quando balena il cielo di settembree pare un’arma gigantesca sui monti,salvie rosse mi sbocciano sul cuore:che tu mi chiami,che tu mi usicon la fiducia che dai alle cose,come acqua che versi sulle manio lana che ti avvolgi intorno al petto. Sono la scarna siepe del tuo ortoche sta muta a fioriresotto convogli di zingare stelle.

18 settembre 1937

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Nebbia

Se c’incontrassimo questa serapel viale oppresso di nebbiasi asciugherebbero le pozzanghereintorno al nostro scoglio caldo di terra:e la mia guancia sopra le tue vestisarebbe dolce salvezza della vita.Ma fronti lisce di fanciullea me rimproverano gli anni: un alberosolo ho compagno nella tenebra piovosae lumi lenti di carri mi fanno temere,temere e chiamare la morte.

27 novembre 1937

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1938

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Capodanno

Se le parole sapessero di nevestasera, che canti –e le stelleche non potrò mai dire... Volti immoti s’intrecciano fra i raminel mio turchino nero:osano ancora,morti ai lumi di case lontane,l’indistrutto sorriso dei miei anni.

Madonna di Campiglio, 31 dicembre 1937; 1º gennaio 1938

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Certezza

Tu sei l’erba e la terra, il sensoquando uno cammina a piedi scalziper un campo arato.Per te annodavo il mio grembiule rossoe ora piego a questa fontanamuta immersa in un grembo di monti:so che a un tratto– il mezzogiorno sciamerà coi grididei suoi fringuelli –sgorgherà il tuo voltonello specchio sereno, accanto al mio.

9 gennaio 1938

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Periferia

Sento l’antico spasimo– è la terrache sotto coperte di gelosolleva le sue braccia nere –e ho pauradei tuoi passi fangosi, cara vita,che mi cammini a fianco, mi conducivicino a vecchi dai lunghi mantelli,a ragazziveloci in groppa a opache biciclette,a donne,che nello scialle si premono i seni – E già sentiamoa bordo di betulle spaesateil fumo dei comignoli morireroseo sui pantani. Nel tramonto le fabbriche incendiateululano per il cupo avvio dei treni... Ma pezzo muto di carne io ti seguoe ho paura –pezzo di carne che la primaverapercorre con ridenti dolori.

21 gennaio 1938

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Luci libere

È un sole bianco che inteneriscesui monumenti le donne di bronzo. Vorresti sparire alle case, destartiove trascinano lenti carrisbarre di ferro verso la campagna – ché là pei fossi infuriano bambininell’acqua, all’aurorae vi crollano immagini di pioppi. Noi, per seguir la danzadi un vecchio organocorreremmo nel vento gli stradali... A cuore scalzoe con laceri pesidi gioia.

27 gennaio 1938

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Via dei Cinquecento7

Pesano fra noi duetroppe parole non dette e la fame non appagata,gli urli dei bimbi non placati,il petto delle mamme tisichee l’odore –odor di cenci, d’escrementi, di morti –serpeggiante per tetri corridoi sono una siepe che geme nel ventofra me e te. Ma fuori,due grandi lumi fermi sotto stelle nebbiosedicono larghi sbocchied acquache va alla campagna; e ogni lama di luce, ogni chiesanera sul cielo, ogni passodi povere scarpe sfasciate porta per strade d’ariareligiosamenteme a te.

27 febbraio 1938

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Mattino

In riva al lago azzurro della vitason corpi le nuvole bianchedei figli carnosi del sole: già l’ombra è alle spalle, catenadi monti sommersi. E a noi petali freschi di rosainfioran la mensa e son boschiinteri e verdi di castani smossinel vento delle chiome: odi giunger gli uccelli? Essi non hanno pauradei nostri volti e delle nostre vestiperché come polpa di fruttosiamo nati dall’umida terra.

Pasturo, 10 luglio 1938

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Per Emilio Comici

Si spalancano laghi di stuporea sera nei tuoi occhifra lumi e suoni: s’aprono lenti fiori di folliasull’acqua dell’anima, a specchiodella gran cima coronata di nuvole... Il tuo sangue che sogna le pietreè nella stanzaun favoloso silenzio.

Misurina, sera d’agosto 1938

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ANTONIA POZZI POETESSA MILANESE

Quello di Antonia Pozzi è uno dei casi letterari più rilevanti degli ultimidecenni. La giovane poetessa milanese, nata a Milano il 13 febbraio 1912 emorta suicida a 26 anni, il 3 dicembre del 1938, senza aver mai pubblicatouna sola poesia, è oggi ormai unanimemente riconosciuta come una dellevoci più alte della poesia italiana del Novecento. Ma la sua opera è solorecentemente uscita da un cono d’ombra grazie all’attenzione nel dopoguerradi Montale, Barile, Parronchi, poi con la progressiva pubblicazione degliinediti.

Di Antonia Pozzi, nonostante la brevissima vita, si conoscono più ditrecento composizioni e circa tremila immagini fotografiche, ormai oggetto diinteresse nella loro autonomia.

Figlia unica di una famiglia dell’alta borghesia milanese discendente daTommaso Grossi, era colta, sportiva, viaggiatrice, ma il suo breve tragittoesistenziale muoveva oltre l’emancipazione e l’agio, verso l’accettazionedell’esser poeta. Per lei significava la ricerca di una vera libertà, che leconsentisse di esprimere il suo autentico sentire di donna e il grande amoreper il mondo, che la portarono ad approdare alla scoperta di un’attenzionesolidale verso le nascenti periferie milanesi. Nella sua esperienza umanaconvissero l’immenso amore per la natura e la montagna e il difficile rapportocol mondo maschile e intellettuale della propria epoca.

Venne profondamente segnata dalle tormentate vicende affettive conAntonio Maria Cervi, il suo professore di greco al Liceo Manzoni di Milano,con Remo Cantoni e Dino Formaggio e dalle profonde amicizie con VittorioSereni e la famiglia Treves.

Nell’ambito della vita culturale milanese degli anni Trenta, era inseritanell’ambiente dell’Università Statale che faceva riferimento al professorAntonio Banfi, uno dei più innovatori filosofi dell’epoca; e in quel contestoespresse, purtroppo non capita né valorizzata, un proprio originale pensiero.

La sua poesia ‘vissuta tutta dal di dentro’ è testimonianza di una identitàfemminile straordinariamente attuale. La sua vita ‘irrimediabile’ per la

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tragedia esistenziale e ‘imperdonabile’ in quanto eccentrica rispetto al propriotempo, senza legami con saperi costituiti o ideologie, ha fatto sì che ilNovecento a lungo l’abbia destinata al catalogo delle rimozioni.

Negli ultimi anni la sua alta, vibrante e appassionata voce poetica è stataconosciuta e riconosciuta anche grazie ai numerosi studi a lei dedicati, alletraduzioni in inglese, tedesco, francese, portoghese e russo della sua opera, aifilm, alle mostre fotografiche e agli spettacoli teatrali ispirati alla sua figura,tra cui L’infinita speranza di un ritorno – vita e poesia di Antonia Pozzi,prodotto da Farneto Teatro nel 2012 e da allora in tournée, scritto einterpretato da Elisabetta Vergani con la regia di Maurizio Schmidt. In scenadi nuovo a Milano, tra novembre e dicembre 2018, per gli ottant’anni dallamorte di Antonia.

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BIBLIOGRAFIA

Antonia Pozzi, Mi sento in un destino. Diari e altri scritti, a cura di G.Bernabò e O. Dino, Àncora Editrice, Milano, 2018

Dino Formaggio, Amo la tua anima. Lettere ad Antonia Pozzi, a cura di G.

Sandrini, Alba Pratalia, Verona, 2016 Antonia Pozzi, Parole. Tutte le poesie, a cura di G. Bernabò e O. Dino,

Àncora Editrice, Milano, 2015 Antonia Pozzi, Ti scrivo dal mio vecchio tavolo. Lettere 1919-1938, a cura di

G. Bernabò e O. Dino, Àncora Editrice, Milano, 2014 Antonia Pozzi, Guardami, sono nuda, a cura di E. Pellegrini, Edizioni Clichy,

Firenze, 2014 Antonia Pozzi, Flaubert negli anni della sua formazione letteraria (1830-

1856), premessa di A. Banfi, a cura di M.M. Vecchio, Ananke, Torino,2013

Antonia Pozzi, “Nove cartolettere di Antonia Pozzi per Alba Binda”, in Nel

sorriso banfiano. Scritti, cartolettere e foto inedite per Alba Binda, a curadi F. Minazzi, Mimesis, Milano, 2013

Antonia Pozzi, Lieve offerta. Poesie e prose, a cura di A. Cenni e S. Raffo,

Bietti, Milano, 2012 Antonia Pozzi, Soltanto in sogno. Lettere e fotografie per Dino Formaggio, a

cura di G. Sandrini, Alba Pratalia, Verona, 2011

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Per tutte le edizioni non più in commercio, i testi, le traduzioni, gli articoli ele biografie si rimanda al sito: www.antoniapozzi.it

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Note

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1.

Soste

La sigla L.B., presente anche in altre dediche, indica l’amica Lucia Bozzi.

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2.

Distacco

A Teresita Foschi, compagna di scuola.

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3.

Vento

Grafia conforme a quella del quaderno autografo.

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4.

Solitudine

Antonia Pozzi si rivolge alle amiche Lucia Bozzi ed Elvira Gandini.

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5.

Sorelle, a voi non dispiace...

Antonia Pozzi si rivolge alle amiche Lucia Bozzi ed Elvira Gandini.

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6.

L’ava

‘L’ava’ è la nonna materna, l’amatissima ‘Nena’.

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7.

Via dei Cinquecento

Una strada del quartiere operaio di piazza Corvetto, dove si trovava la ‘casadegli sfrattati’.

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Indice

Presentazione

Frontespizio

Pagina di copyright

Al lettore

Antonia Pozzi e la poesia ferita

1929

Mascherata di peschi

Cencio

Ripresa

Soste

Cadenza esasperata

Presentimenti di azzurro

Tramonto corrucciato

Meriggio

Un’altra sosta

Amore di lontananza

Distacco

Sventatezza

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Vento

Vuoto

Solitudine

Giacere

Io, bambina sola

Lampi

Pace

Visione

Lagrime

Canto selvaggio

Canto rassegnato

Canto della mia nudità

Fuga

Dolomiti

La discesa

Vertigine

Benedizione

Rigurgito di giovinezza

Le mani sulle piaghe

Vicenda d’acque

1930

Preghiera

Largo

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Novembre

Sorelle, a voi non dispiace...

1931

In riva alla vita

Sera d’aprile

Rossori

Esempi

Rivelazione

Prati

1932

Grido

Gioia

Limiti

1933

Tramonto

Sogno nel bosco

Pudore

Il porto

Stelle sul mare

Solitudine

Acqua alpina

Il volto nuovo

Notturno

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L’allodola

Settembre

Per un cane

Ricongiungimento

Attacco

La gioia

In sogno

Bontà inesausta

Non so

Sfiducia

Ritorno serale

Sole d’ottobre

Ammonimento

Riconciliazione

All’amato

Il cielo in me

La voce

Cose

1934

Desiderio di cose leggere

Nevai

Pensiero

Sentiero

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Rifugio

Preghiera alla poesia

Odor di verde

Tre sere

Funerale senza tristezza

Secondo amore

Bellezza

Lieve offerta

Le mani

Pausa

Confidare

1935

Evasione

Sgorgo

Il sentiero

Un destino

Smarrimento

Tempo

Convegno

Brezza

La vita

1936

A Emilio Comici

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Rifugio

In campagne di vento

1937

Periferia in aprile

L’ava

Fine di una domenica

Le montagne

Voce di donna

Nebbia

1938

Capodanno

Certezza

Periferia

Luci libere

Via dei Cinquecento

Mattino

Per Emilio Comici

Antonia Pozzi poetessa milanese

Bibliografia

Note

Soste

Distacco

Vento

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Solitudine

Sorelle, a voi non dispiace...

L’ava

Via dei Cinquecento

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Cara lettrice, caro lettore,

questo libro ti è offerto dalle biblioteche del Comune di Milano nell’ambitodi Milano da Leggere, l’iniziativa di promozione della lettura realizzata incollaborazione con ATM – Azienda Trasporti Milanesi S.p.A.

Ogni anno un tema, un genere o una prospettiva diventano la lente con cui"leggere Milano". E ogni anno si rinnova la generosa partecipazione di chidetiene i diritti nel mettere gratuitamente a disposizione i libri dello scaffaledigitale.

Questa edizione 2020 è dedicata ai talenti delle donne e assume lo sguardofemminile sulla realtà, che sia intima o sociale, storica o attuale, concreta ofantastica.

Si ringrazia l’editore per la gentile concessione dell’opera. Il suo utilizzo èstrettamente personale e non è consentita la riproduzione o la diffusione adaltri sotto nessuna forma.

Buona lettura