HR74 DESIDERIO SENZA FINE

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Desiderio senza fine Nora Roberts

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Nora Roberts

Desiderio senza fine

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Foto di copertina: Shutterstock

Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: O'HURLEY'S RETURN Skin Deep

O'HURLEY'S RETURN Without a Trace Silhouette Books

© 2005 Harlequin Books S.A. © 1988 Nora Roberts © 1990 Nora Roberts

Traduzioni di Paola Picasso

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà

Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 1991 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Special maggio 1994

Prima edizione Romanzi Americani novembre 1991 Questa edizione Harmony Romance agosto 2010

Questo volume è stato stampato nel luglio 2010

presso la Mondadori Printing S.p.A. stabilimento Nuova Stampa Mondadori - Cles (Tn)

HARMONY ROMANCE

ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 74 del 13/8/2010

Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 72 del 6/2/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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I segreti del cuore

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Prologo

«Non so che cosa dobbiamo fare con quella ragazza.» «Andiamo, Molly.» Ritto davanti allo specchio del suo camerino, Frank O'Hurley si passò un velo di fard sul mento affinché il suo viso non luccicasse sotto i riflettori. «Ti pre-occupi troppo.» «Dici?» Affacciata sulla porta del camerino per tenere d'occhio le persone che passavano lungo il corridoio, sua moglie si voltò a guardarlo. «Mio caro, abbiamo quattro fi-gli e io li adoro tutti, ma Chantel non fa che combinare dei guai.» «Sei troppo severa con quella ragazza.» «Devo esserlo perché tu non lo sei affatto.» Ridacchiando, Frank le corse accanto e la sollevò sulle braccia. Dopo vent'anni di matrimonio, l'amava ancora co-me il primo giorno. Benché fosse la madre di un giovanotto di ventiquattro anni e di tre ragazzine adolescenti, lei era sempre la sua Molly, graziosa e intelligente. «Amore mio, Chantel è una bellissima ragazza.» «E lo sa.» Molly sbirciò oltre la spalla di suo marito, sperando che la porta in fondo al corridoio si aprisse. Dov'era quella bene-detta figliola? Mancavano quindici minuti alla loro entrata in scena e Chantel non si vedeva ancora. Quando aveva partorito le sue tre gemelle, non aveva immaginato che la prima nata le avrebbe dato più grattacapi delle altre due messe insieme. «È proprio il suo aspetto che le procura dei guai» borbot-

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tò. «È tanto bella che i ragazzi le girano intorno come una muta di cani da caccia.» «Chantel sa come tenerli a bada.» «È questo che mi preoccupa. Lo sa fare troppo bene.» Molly sospirò. Un uomo semplice come suo marito non po-teva comprendere la complessità delle donne. «Ha solo se-dici anni, Frank.» «E tu quanti anni avevi quando ci siamo conosciuti?» «È diverso» replicò lei, poi, vedendo il sorriso malizioso del marito, non poté fare a meno di ridere. «Non è detto che lei abbia la fortuna d'incontrare un uomo come te» concluse, raddrizzandogli la cravatta e spolverandogli i risvolti della giacca. Frank le afferrò i polsi e li tenne stretti. «Cioè? Che gene-re di uomo?» Molly lo guardò. Il suo viso magro era segnato da alcune rughe, ma i suoi occhi erano ancora quelli del giovanotto che le aveva rubato il cuore. Sebbene il marito non le avesse mai regalato la luna come le aveva promesso, era stato un vero compagno in ogni istante della sua vita. Nel bene e nel male. Nei momenti felici e nelle difficoltà. E di difficoltà ne avevano avute molte. Aveva trascorso metà della sua vita con lui, eppure quell'uomo l'affascinava ancora. «Uno molto caro» rispose, dandogli un bacio sulle labbra. Poi, udendo il rumore della porta che si apriva, si scostò da lui. «Adesso non aggredirla» l'avvertì Frank, afferrandole un braccio. «Reagirebbe peggio e oramai è qui.» Borbottando, Molly si allontanò da lui mentre Chantel percorreva a passo saltellante il corridoio. Indossava un pullover rosso fiamma e un paio di pantalo-ni neri che mettevano in evidenza le sue forme perfette. L'a-ria fresca le aveva arrossato le guance e i suoi occhi di un blu violetto scintillavano di felicità. «Chantel.» Assumendo d'istinto la posa di una diva, la ragazza si fermò sulla porta del camerino che divideva con le sorelle. «Mamma.» Poi sorrise, vedendo il padre che le ammiccava

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da dietro le spalle della moglie. Sapeva di poter sempre con-tare su di lui. «Sono un po' in ritardo, ma sarò pronta in un minuto. Mi sono divertita moltissimo. Michael mi ha fatto guidare la sua automobile.» «Quella fuoriserie rossa...» cominciò Frank, poi, riceven-do uno sguardo ammonitore da parte della moglie, si coprì la bocca con una mano e tossicchiò. «Hai preso la patente solo da poche settimane» le ricordò Molly. Odiava fare delle prediche, ma a volte vi era costret-ta perché si ricordava molto bene quando lei stessa aveva avuto sedici anni. «Tuo padre e io non vogliamo che ti metta al volante di un'automobile senza che uno di noi sia al tuo fianco. E in ogni caso» proseguì, prima che la figlia potesse interromperla. «Non devi assolutamente guidare la macchi-na di un'altra persona.» «Abbiamo percorso una strada secondaria e semideserta.» Chantel le si avvicinò e la baciò su entrambe le guance. «Non devi agitarti tanto. Io ho bisogno di divertirmi un po', altrimenti mi avvilisco.» Molly non si lasciò ricattare. «Sei troppo giovane per an-dare in macchina con un ragazzino.» «Michael non è un ragazzino. Ha ventun anni.» «Questo non fa che confermare ciò che ho detto.» «È un verme» dichiarò Trace che arrivava in quel mo-mento. «E se scopro che ti ha toccata, gli spacco la faccia.» Chantel gli lanciò un'occhiata furibonda. «Non sono affa-ri tuoi» sibilò. Un conto era ricevere una sgridata dalla ma-dre, ben altro da suo fratello. «Ho sedici anni, non sei, e so-no stanca morta d'essere controllata in questo modo.» «Peccato.» Trace le prese il mento con le dita e lo tenne stretto quan-do lei cercò di liberarsi. Sembrava la versione maschile di Chantel ed era bello quanto lei. Guardandoli, Frank si sentì scoppiare d'orgoglio. Erano i due membri più vitali della famiglia e avevano preso più dalla loro madre che da lui. «Adesso basta» s'intromise, facendo da paciere. «Discu-teremo di questo argomento più tardi. Adesso Chantel deve cambiarsi. Hai dieci minuti, principessa» mormorò alla fi-

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glia. «Non perdere tempo. Coraggio, Molly, andiamo a scaldare l'uditorio.» Molly lanciò a Chantel uno sguardo severo, facendole capire che la faccenda non era chiusa, poi si addolcì e le ac-carezzò una guancia. «Abbiamo il diritto di preoccuparci per te, lo sai» mormorò. «Può darsi» convenne la ragazza, sollevando il mento. «Ma non è necessario. So badare a me stessa.» «È questo che mi fa paura.» Sospirando, Molly s'incamminò con il marito verso il piccolo palcoscenico sul quale si sarebbero guadagnati da vivere fino alla fine della settimana. Ben lungi dall'essere pentita, Chantel posò la mano sulla maniglia della porta e si voltò verso il fratello. «Decido io chi può toccarmi, Trace. Ricordalo.» «Assicurati che il tuo amichetto, proprietario di quella bella macchina, si comporti bene, se non vuoi che gli rompa entrambe le braccia.» «Oh, vai al diavolo.» «Probabilmente lo farò» dichiarò lui. Poi le tirò una cioc-ca di capelli. «Ti spianerò la strada, sorellina.» Per non fargli vedere che le veniva da ridere, Chantel uscì e gli sbatté la porta in faccia. Maddy, che stava abbottonando il costume di Abby, la vide entrare e scosse la testa. «Ti sei decisa ad arrivare, fi-nalmente.» «Non cominciare» l'avvertì Chantel, togliendo il suo co-stume da una stampella. «Non me lo sognerei mai. Comunque poco fa ho udito una conversazione interessante.» «Vorrei che la smettessero di starmi addosso.» Chantel si tolse il maglione e lo buttò da un lato. La sua pelle era chia-ra e levigata, le sue forme già molto femminili. «Guardala in questo modo» replicò Maddy, mentre finiva di allacciare il costume di Abby. «Sono così occupati ad agi-tarsi per te che non si accorgono di noi due.» «Quindi siete in debito con me» concluse Chantel, sfilan-dosi i pantaloni e rimanendo in reggiseno e mutandine.

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«La mamma era molto in ansia» intervenne Abby, dispo-nendo sul tavolo i cosmetici che sarebbero serviti alla ritar-dataria per truccarsi. Sentendo un pizzico di rimorso, Chantel si sedette davan-ti allo specchio. «Non avrebbe dovuto» disse. «Stavo benis-simo e mi divertivo.» «Ti ha lasciato davvero guidare la sua macchina?» do-mandò Maddy, spazzolandole i capelli. «Sì. Mi sono sentita... importante.» Chantel lanciò un'oc-chiata all'angusto camerino privo di finestre, con il pavimento di cemento e le pareti scrostate. «Non resterò a lungo in topaie come questa.» «Parli come papà.» Sorridendo, Abby le diede il piumino per la cipria. «Sbagli.» Con mano esperta, Chantel si passò il fard sulle guance. «Un giorno avrò un camerino tre volte più spazioso di questo, tutto bianco e con un tappeto tanto folto da affon-darci fino alle caviglie.» «Io preferirei un tocco di colore» dichiarò Maddy con a-ria sognante. «Anzi, con tanti colori.» «Bianco» ripeté Chantel con fermezza. Poi si alzò e s'in-filò il costume che era stato rammendato decine di volte. «E sulla porta ci sarà una stella. Girerò in limousine e avrò u-n'auto sportiva che farà sembrare un giocattolo quella di Michael. E poi comprerò una casa circondata da un giardino immenso, nel quale metterò una grande piscina.» Dato che sognare era un'abitudine di famiglia, Abby ela-borò quel progetto. «E quando entrerai in un ristorante, il maître ti riconoscerà e ti darà il tavolo migliore e una botti-glia di champagne offerta dalla casa.» «Sarai graziosa con i fotografi» proseguì Maddy, porgen-dole gli orecchini. «E non rifiuterai mai un autografo.» «Naturale.» Chantel si mise gli orecchini di vetro, imma-ginando che fossero di brillanti. «E nella mia casa ci saranno due suite lussuose, una per ciascuna delle mie sorelle. Di notte ci siederemo tutte insieme e mangeremo caviale.» «Meglio una pizza» replicò Maddy. «Pizza e caviale» corresse Abby.

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Ridendo, Chantel mise le braccia intorno alla vita delle sorelle, unita a loro come lo erano state nel grembo materno. «Diventeremo famose.» «Lo siamo già» affermò Abby, sollevando il mento. «Le gemelle O'Hurley.» Chantel osservò la loro immagine nello specchio. «E nes-suno se lo dimenticherà.»

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La villa, circondata da un ampio giardino, sembrava una co-lomba bianca posata sull'erba. Attraverso le alte finestre che davano sulla veranda entrava una brezza profumata. Nascosto alla vista da un filare di alberi c'era un gazebo anch'esso bianco, sui cui tralicci si attorcigliava una pianta di glicine. A volte, quando il vento soffiava dalla parte giu-sta, la camera di Chantel si riempiva del suo profumo. A destra, in mezzo a un prato, zampillava una fontana di marmo e più lontano scintillava una piscina di forma otta-gonale circondata da un ampio patio. Dietro un boschetto c'era anche un campo da tennis ma era da molto tempo che Chantel non prendeva in mano una racchetta. L'alto muro di mattoni che racchiudeva la proprietà le da-va sia un senso di sicurezza che l'impressione d'essere rin-chiusa, ma la recinzione, i cancelli elettrici e il sistema di allarme erano il prezzo da pagare per la notorietà a cui ave-va sempre aspirato. Le stanze della servitù erano nell'ala destra della villa, al primo piano, ma in quel momento in giro per la casa non c'era nessuno. L'alba era spuntata da poco e Chantel era so-la, situazione che talvolta preferiva. Raccogliendo i lunghi capelli biondi, li nascose dentro un berretto senza nemmeno guardarsi nel grande specchio a tre facce del suo spogliatoio. La lunga gonna di lana e le scarpe a tacco basso che si era messa servivano a farla stare como-da, non ad apparire elegante. Il suo viso, che aveva spezzato tanti cuori maschili e de-

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stato l'invidia di tante donne, era totalmente privo di trucco. Mentre inforcava un paio di occhialoni da sole e prende-va la borsetta con tutto quello che supponeva le sarebbe ser-vito durante la giornata, sentì suonare l'interfono. L'orologio segnava le cinque e tre quarti. Chantel control-lò l'ora e premette un bottone. «In perfetto orario.» «Buongiorno, signorina O'Hurley.» «Buongiorno, Robert. Scendo subito.» Chantel prese il telecomando per aprire il cancello e scese l'ampia scalinata che portava al pianterreno. Il corrimano di mogano era liscio come il velluto e il pavimento di marmo, lucido come uno specchio, rifletteva la luce del lampadario appeso al soffitto. Era la dimora adatta alla diva di prima grandezza che era diventata, ma Chantel stentava ancora a crederci. Era un so-gno cullato per molto tempo, tuttavia ci voleva tenacia, fati-ca e abilità per non farlo svanire. Mentre andava alla porta, squillò il telefono. Il regista a-veva cambiato programma? Dato che non c'era nessuno, Chantel corse nella libreria e sollevò il microfono. «Pron-to?» «Vorrei poterti vedere subito.» Il sussurro ormai familiare le fece sudare le mani. «Perché hai cambiato il tuo numero di telefono? Non avrai paura di me, vero? Non devi aver paura di me, Chantel. Non ti farò del male. Voglio solo toc-carti. Sei già vestita? Oppure...» Gemendo di disperazione, Chantel sbatté giù il ricevitore e nel silenzio che avvolgeva la casa si udì il suono del suo respiro ansimante. L'incubo ricominciava. Pochi minuti dopo, il suo autista notò solo che lei non gli rivolgeva il cordiale sorriso con cui lo salutava ogni volta che saliva a bordo della limousine. Appena si fu seduta, Chantel posò la testa contro lo schienale, chiuse gli occhi e s'impose di calmarsi. Nel giro di poche ore sarebbe stata davanti alla macchina da presa e avrebbe dovuto dare il meglio di se stessa. Era il suo lavoro e non poteva permettere che un sussurro al telefono, o una lettera anonima, le impedissero di farlo. Quando la limousine oltrepassò il cancello della casa di

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produzione cinematografica, Chantel si era calmata. Adesso era al sicuro e poteva dedicarsi pienamente all'attività di at-trice, che l'affascinava ancora. Dentro quell'agglomerato di edifici nasceva la magia e lei ne faceva parte. Là, anche la bruttezza era una finzione. Gli omicidi, i rapimenti e la pas-sione potevano essere simulati. Sua sorella Maddy lo chia-mava il Regno della Fantasia ma, pensò Chantel sorridendo, bisognava sudare sette camicie per far sembrare reali quelle fantasie. Alle sei e trenta era già truccata e si apprestava a farsi pettinare. La lavorazione del film era cominciata solo da una settimana e ogni cosa sembrava fresca e nuova. Mentre la parrucchiera le acconciava i capelli biondo platino nella pet-tinatura a boccoli che richiedeva la sua parte, Chantel rilesse le battute che doveva pronunciare. «Che massa incredibile di capelli» commentò la parruc-chiera. «Conosco molte donne che darebbero l'anima per avere una chioma così folta. E che colore!» esclamò, chi-nandosi per guardarla nello specchio. «Riesce difficile an-che a me credere che sia naturale.» «Li aveva così la mia nonna paterna.» Chantel girò la te-sta per guardarsi di profilo. «In questa scena, Margo, devo sembrare una ventenne. Crede che ci riuscirò?» La parrucchiera si raddrizzò, ridendo. «Vuole scherzare? Si guardi! Sembra quasi un'adolescen-te. È un peccato che rovineranno il mio capolavoro facendo-la inzuppare di pioggia.» «Non lo dica a me.» Chantel aspettò che le togliesse la mantellina e si alzò. «Grazie, Margo.» Aveva fatto appena due passi quando il suo assistente le corse incontro. L'aveva assunto perché era giovane, disponibile e non desiderava fa-re l'attore. «Sei pronto a usare la frusta, Larry?» Larry Washington arrossì come succedeva ogni volta che la vedeva. Era basso di statura, robusto e aveva una mente analitica. Uscito da poco dal college, desiderava sopra ogni cosa comprare una Mercedes. «Oh, sa che io non frusto nes-suno, signorina O'Hurley.» Chantel gli diede una lieve pacca sulla spalla, facendogli

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così salire la pressione. «Qualcuno deve farlo, amico mio. Ti sarei grata se avvertissi l'aiuto regista che sono nella mia roulotte e che resterò là finché cominceranno a girare.» Il suo partner nel film apparve in quel momento con una sigaretta tra le dita e quello che lei giudicò un atroce mal di testa. «Signorina O'Hurley, desidera che le porti un caffè?» do-mandò Larry, affrettandosi a cedere il passo all'attore. Chiunque fosse dotato di un briciolo di cervello sapeva di dover evitare Sean Carter quando era reduce da una sbronza. «Sì, grazie.» Chantel rivolse un cenno di saluto ad alcuni operai che stavano finendo di allestire la scena: una stazione ferroviaria con tanto di binari, vagoni passeggeri e deposito. Là avrebbe dovuto dare un addio disperato al suo amante. Sperava che a quel punto il mal di testa gli fosse passato. Mentre attraversava il set, Larry le ricordò che quel gior-no aveva fissato un'intervista. «Il giornalista di Star Gaze dovrebbe arrivare alle dodici e trenta. Dean ha detto che se lei vuole, le starà vicino.» «Non importa, grazie. So cavarmela con i giornalisti. Ve-di se riesci a trovare qualche sandwich, della frutta fresca e del caffè. No, meglio del tè freddo. Farò l'intervista nel mio camerino.» «Va bene, signorina O'Hurley» Larry prese nota di tutto su un taccuino. «Nient'altro?» Chantel si fermò davanti alla sua roulotte. «Da quanto tempo lavori per me, Larry?» «Da poco più di tre mesi, signorina O'Hurley.» «Credo che potresti cominciare a chiamarmi Chantel» di-chiarò lei sorridendo, poi entrò nella roulotte e chiuse la por-ta sull'espressione estatica del ragazzo. Di recente la roulotte era stata rimodernata secondo i suoi gusti. Attraversato il salottino, Chantel entrò nel piccolo spogliatoio e, sapendo d'avere poco tempo a disposizione, si spogliò e si mise i jeans e la maglietta che doveva indossare per la prima scena. Il suo ruolo era quello di un'allieva di una scuola d'arte al suo primo amore. Chantel lesse di nuovo il copione. La sce-

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neggiatura era ottima e le avrebbe permesso di esprimere una complessa gamma di sentimenti. Si trattava di una sfida Non le restava che approfittarne e dimostrare al mondo la sua bravura. Quando aveva letto il copione di Strangers, si era inna-morata del personaggio di Hailey, una giovane attrice tradita da un uomo e minacciata da un altro, che alla fine raggiunge il successo e perde l'amore. E lei sapeva che cosa fosse il tradimento e quale prezzo si dovesse pagare per arrivare al successo. Benché conoscesse ormai a memoria la sua parte, prese con sé il copione e tornò nel salottino. Probabilmente sareb-be riuscita a bere un caffè prima che la chiamassero. Quan-do recitava, mangiava poco e beveva molto caffè. Era la sua parte a nutrirla. Di rado trovava il tempo di fare un bagno nella piscina, o di farsi fare un massaggio al club. Stava per sedersi quando lo sguardo le cadde su un mazzo di rose rosse. Doveva avergliele mandare qualcuno dallo studio, pensò mentre distrattamente staccava il biglietto. Quando lo lesse, il cartoncino le scivolò dalle dita e cadde per terra. Ti tengo sempre d'occhio. Sempre. Un colpo bussato alla porta la fece sobbalzare tanto forte da sbattere contro un mobiletto. Il profumo delle rose era dolce e intenso. Premendosi una mano sulla gola, Chantel fissò la porta e per la prima volta si sentì prendere da una gelida paura. «Signorina O'Hurley... Chantel, sono Larry. Le ho portato il caffè.» Soffocando un singhiozzo, lei corse ad aprire. «Larry...» «È amaro, come lo voleva... Che cos'è successo?» «Ecco, io...» Chantel s'interruppe. Controllati, si disse. Se perdi il controllo, perderai tutto. «Larry, sai niente di quei fiori?» domandò, indicandoli senza guardarli. «Le rose. Oh, una cameriera le ha trovate mentre prepa-rava la colazione e dato che sul biglietto c'era il suo nome, le ho portate qui. So che le rose le piacciono molto.»

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«Buttale via.» «Ma...» «Ti prego.» Chantel uscì dal salotto, impaziente di trovar-si tra altra gente. «Sbarazzati di quei fiori.» «Certo.» Larry la guardò dirigersi verso il set. «Subito.» Quattro aspirine e tre tazze di caffè avevano rimesso al mondo Sean Carter e lei se ne rallegrò. Era ora di lavorare e niente doveva interferire, né il mal di testa di un attore e neppure alcune parole minacciose su un biglietto, si disse mentre si avvicinava a Sean e al regista. Aveva lavorato molto per proiettare di sé un'immagine di stile e di bellezza e per non crearsi la fama di attrice nevrotica. Quando la chiamavano era sempre pronta e conosceva le sue battute. Se una scena richiedeva dieci ore non si lamentava mai. «Come diavolo fai a sembrare sempre appena uscita dalle pagine di una rivista di moda?» brontolò Sean. La truccatri-ce era riuscita a nascondergli le occhiaie e la sua pelle ab-bronzata era liscia e morbida. I folti capelli castani avevano un taglio moderno e alcune ciocche gli ricadevano sulla fronte. Sembrava giovane, bello e pieno di salute: il sogno di qualunque ragazzina americana. Chantel gli posò una mano sulla guancia. «Perché lo so-no, tesoro.» «Che donna!» Sentendosi di nuovo in forma per effetto delle aspirine, Sean le afferrò il polso e l'attirò contro di sé. «Lascia che ti chieda una cosa, Rothschild» disse, rivolto alla regista. «Come può un uomo sano di mente lasciare una donna come questa?» «Che tu o Brad, il personaggio che interpreti, siate sani di mente è ancora da stabilire» replicò Mary Rothschild. «E tu sei una tale canaglia, Sean» commentò Chantel. «Sono almeno cinque anni che non interpreto una ca-naglia. Non mi sembra d'aver ringraziato lo sceneggiatore.» «Potrai farlo più tardi» lo informò la Rothschild. «È lag-giù.» Chantel si voltò a guardare verso un tipo alto e atletico che osservava il set, fumando nervosamente. Lo aveva in-contrato alcune volte durante le riunioni di preparazione del

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film e, se ben ricordava, lui aveva parlato solo della sceneg-giatura. Dopo avergli rivolto un breve sorriso, tornò a vol-tarsi e, mentre la Rothschild descriveva la scena, dimenticò tutto il resto, concentrandosi sulla pena straziante che pro-vava per l'abbandono del suo amante. «Credo che dovrei toccarti il viso in questo modo» mor-morò, posando la mano sulla guancia di Sean e lanciandogli un'occhiata supplichevole. «E a quel punto io ti prenderò il polso.» Sean le ruotò la mano e vi premette sopra le labbra. «Ti aspetterò per sempre.» Un operaio fece cadere una tavola di legno e Chantel saltò una battuta. Sospirando, premette il viso contro il suo petto. «Poi alzerò le braccia per stringerti...» Sean le afferrò le spalle, la fissò un momento, poi le die-de due baci agli angoli della bocca. «Oh, Brad, non andare via, ti prego... Poi ti bacerò con foga disperata.» «Non vedo l'ora» ridacchiò Sean. «Coraggio, giriamo questa scena.» La Rothschild alzò una mano per far capire che era pronta. «Ricordate, dovete mettere tutta la passione possibile nel bacio. E tu, Chantel, non smettere di piangere. Ricorda che dentro il cuore tu sai che lui non tornerà.» «Sono un vero mascalzone» dichiarò Sean, soddisfatto. «Ognuno vada al suo posto!» Le comparse si distribuiro-no qua e là, a seconda delle indicazioni ricevute. «Silenzio sul set!» gridò la Rothschild, mettendosi vicino alla macchi-na da presa. «Azione.» Chantel irruppe sulla pensilina della stazione e si guardò intorno freneticamente. Il suo volto esprimeva disperazione e le ultime vestigia di un sogno che non voleva morire. Al momento opportuno sarebbe scoppiato un violento tempora-le con lampi, tuoni e scrosci di pioggia. Poi vide Sean e, fa-cendosi largo tra la gente, lo raggiunse. Dovettero ripetere la scena tre volte, prima che la Ro-thschild decidesse di girarla. Chantel fu costretta a farsi rin-frescare il trucco e a dire le stesse battute, compiendo gli

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stessi movimenti innumerevoli volte, spesso con la cinepre-sa a pochi centimetri dal suo viso. Infine la regista diede il segnale per la pioggia e numerosi getti d'acqua la inondarono di spruzzi mentre lei stava da-vanti a Sean con gli occhi colmi di lacrime e lo supplicava di non partire. Fradici e gelati, i due protagonisti continuarono a recitare una scena che sullo schermo sarebbe durata cinque minuti, finché non venne l'ora di pranzo. Nella sua roulotte, Chantel si tolse gli abiti di Hailey e li consegnò alla guardarobiera perché li asciugasse. In quanto ai capelli, sapeva che le sarebbero stati pettinati, bagnati e poi acconciati di nuovo chissà quante volte prima che la giornata fosse finita. Le rose erano scomparse, ma il loro profumo aleggiava ancora nell'aria. Quando arrivò il giornalista, Chantel disse a Larry di aspettare cinque minuti e poi di portarlo da lei. Subito dopo sollevò il telefono. Aveva aspettato anche troppo e intuiva che quella perse-cuzione non sarebbe cessata. A quel punto non poteva più ignorare le minacce. «Burns Agency.» «Vorrei parlare con Matt.» «Mi dispiace, il signor Burns è in riunione. Vuole la-sciargli un messaggio?» «Sono Chantel O'Hurley e voglio parlare con lui subito.» «Certo, signorina O'Hurley.» Udendo la rapidità con cui la ragazza aveva cambiato to-no, Chantel non resistette e fece la linguaccia al ricevitore. Poi, frugando in un cassetto alla ricerca delle sigarette che teneva per le emergenze, aspettò che Matt rispondesse. «Che cosa succede, Chantel?» «Devo vederti questa sera, Matt.» «Tesoro, questa sera non posso. Perché non rimandiamo a domani?» «Questa sera» ripeté lei, accendendo la sigaretta e aspi-randone una lunga boccata. «È importante. Io ho bisogno d'aiuto.» Emise il fumo adagio, guardandolo salire verso il

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soffitto. «Ho bisogno davvero di te, Matt» mormorò. Era la prima volta che l'agente sentiva la sua voce trema-re di paura. «D'accordo. Sarò da te... alle otto?» rispose, senza farle alcuna domanda. «Sì, sì, va bene. Te ne sono grata.» «Puoi accennarmi che cosa ti succede?» «No. Non al telefono.» Un po' più calma, adesso che si era rivolta a lui, Chantel spense la sigaretta. «Va bene. Ci vediamo questa sera.» «Grazie.» Mentre riappendeva la cornetta, udì qualcuno bussare alla porta. Ravviandosi con le dita i capelli ancora umidi, Chantel andò ad aprire e accolse il giornalista con un sorriso radioso. «Perché diavolo non mi hai mai detto niente di questa storia?» Matt Burns si mise a camminare nel salotto spazio-so di Chantel, avvertendo uno spiacevole e insolito senso d'impotenza. In dodici anni di lavoro era passato dall'ufficio stampa al posto di assistente fino a capo degli agenti teatrali e c'era arrivato perché sapeva che cosa fare in ogni situazio-ne. Adesso si trovava tra le mani un nido di vespe e non sa-peva come maneggiarlo. «Dannazione, da quanto tempo va avanti questa storia?» «Ho ricevuto la prima telefonata circa sei settimane fa.» Seduta su un divano color perla, Chantel stava bevendo un bicchiere d'acqua minerale. Nemmeno a lei piaceva sentirsi impotente e detestava doversi rivolgere a qualcuno per ri-solvere un problema che la riguardava. «Ascolta, Matt, le prime due lettere e le prime due telefonate sembravano in-nocue. Del resto con la mia faccia su tutti gli schermi e su tante riviste, è facile che attiri l'attenzione. E non sempre è un'attenzione benevola. Comunque ho pensato che se avessi ignorato questa storia, sarebbe finita.» «E invece è andata avanti.» «Sì.» Chantel fissò il bicchiere ripensando alle parole scritte sul biglietto. Ti tengo d'occhio. Sempre. «Ed è andata peggiorando. Mi sono fatta cambiare il numero di telefono e per un po' ha funzionato» concluse, sollevando le spalle.

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«Avresti dovuto dirmelo.» «Tu sei il mio agente, non mia madre.» «Sono tuo amico» le ricordò lui. «Lo so.» Chantel gli tese la mano. Nel suo mondo i veri amici erano rari e preziosi. «È per questo che mi sono rivol-ta a te prima che la situazione precipitasse. Non sono un'i-sterica.» Ridendo, lui le strinse la mano, poi si versò un altro drink. «Tutto salvo che isterica.» «Quando ho visto quelle rose, ho capito di dover fare qualcosa, ma non sapevo bene che cosa.» «Hai pensato di parlare con la polizia?» «Nemmeno per un istante. No, aspetta!» esclamò lei, ve-dendolo sul punto di protestare. «Puoi immaginare come me quello che succederebbe. Se chiamassi la polizia, la stampa divulgherebbe la notizia e sui giornali apparirebbero dei ti-toli in grassetto tipo: Chantel O'Hurley minacciata da un ammiratore squilibrato. Telefonate anonime. Lettere d'amo-re disperate.» Parlando, si ravviò i capelli con le dita. «Noi potremmo riderci sopra, ma dopo poco tempo altri uomini dalla personalità disturbata comincerebbero a scrivermi. O ad accamparsi davanti al mio cancello. Non credo di poterne sopportare più d'uno alla volta.» «E se fosse un tipo violento?» «Credi che non ci abbia pensato?» Chantel prese una delle sigarette francesi di Matt e aspet-tò che lui gliel'accendesse. «Hai bisogno di protezione.» «È possibile.» Lei tirò una rapida boccata. «Sono pronta a riconoscerlo, ma sono nel bel mezzo di un film. Porta dei poliziotti sul set e le chiacchiere si scateneranno.» «Da quando ti preoccupi dei pettegolezzi?» «Solo da quando riguardano un fatto tanto personale. I miei grandi amori e il mio modo di vivere sono una cosa. La mia vita è un'altra. Niente polizia, Matt, almeno per ora. Proponimi un'altra soluzione.» Lui le tolse la sigaretta e si mise a fumare, riflettendo. Era stato lui a preparare il primo contratto di Chantel e ad assi-

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sterla mentre reclamizzava uno shampoo o della biancheria, e non era mai accaduto che lei gli chiedesse aiuto per una faccenda personale. In tutti quegli anni, pur standole vicino, aveva conosciuto solo la donna che lui stesso aveva contri-buito a creare. «Penso di averne una. Ti fidi di me?» «Non l'ho sempre fatto?» «Resta dove sei. Devo fare una telefonata.» Chantel posò la testa contro la spalliera del divano e chiu-se gli occhi. Forse stava esagerando. Forse stava dando troppo peso a un ammiratore più focoso degli altri. Ti tengo d'occhio... ti tengo d'occhio. Incapace di stare seduta, balzò in piedi e si mise a cam-minare per la stanza. Le piaceva essere guardata... sullo schermo. Accettava d'essere fotografata quando entrava o u-sciva da un locale, ma adesso... aveva paura. Come se qual-cuno la stesse osservando da una finestra. In casa sua, con i cancelli elettronici, il sistema di allarme e il muro di cinta era al sicuro, ma non poteva stare rinchiusa ventiquattr'ore al giorno. Arrivata davanti al caminetto di marmo, si fermò per guardarsi nello specchio appeso sopra la mensola. Ecco il viso che conosceva, e che i critici avevano definito incom-parabile, straordinario, bellissimo. Il caso le aveva dato dei tratti particolari: una pelle d'avorio, due occhi di un azzurro trasparente e degli zigomi marcati. Non aveva fatto niente per meritarsi quel viso con il suo ovale perfetto, le labbra piene e la massa di capelli chiarissimi. Era nata così, ma per tutto il resto si era data da fare. E aveva lavorato sodo, co-minciando a recitare prima di reggersi sulle gambe, esiben-dosi nei locali di tutto il paese, insieme ai suoi genitori e ai suoi fratelli. Aveva pagato il dovuto prima di approdare a Hollywood a diciannove anni, non con la testa piena d'illusioni, ma de-terminata a sfondare. Negli anni successivi aveva ottenuto dei ruoli e ne aveva persi degli altri, aveva reclamizzato degli shampoo e vendu-to litri di profumo e infine, quando le si era presentata l'oc-

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casione d'interpretare la parte di una mangiatrice di uomini che appariva sullo schermo per circa venti minuti, l'aveva acchiappata al volo. Aveva rubato quel ruolo a due attrici più note di lei e non si era voltata indietro. Quella prima parte l'aveva proiettata nel regno delle dive e indirettamente le aveva quasi distrutto la vita. Tuttavia era sopravvissuta, si disse, guardandosi nello specchio. Aveva impedito che gli eventi accaduti anni prima le ro-vinassero la vita. Doveva fare in modo che nemmeno quello che le stava succedendo in quel momento gliela rovinasse. «Viene subito.» Chantel si voltò verso Matt che stava entrando. «Che cosa?» «Ho detto che sta per arrivare. Adesso lascia che ti prepa-ri una bibita degna di questo nome.» «No. Devo essere sul set alle sei e mezzo. Chi è che sta venendo qui?» «Quinn Doran. Potrebbe essere lui la soluzione, e dato che ci conosciamo da molti anni sono riuscito a convincerlo a concederci un po' del suo tempo.» Chantel si mise le mani in tasca. «Chi è Quinn Doran?» «Una specie d'investigatore privato.» «Una specie?» «Dirige una piccola agenzia investigativa. Un tempo ha lavorato sotto copertura in numerose azioni. Penso lo faces-se per il governo, ma non potrei giurarlo.» «Sembra affascinante, Matt, ma non voglio una spia. Un peso massimo andrebbe meglio.» «Potresti assumere un paio di picchiatori come guardie del corpo, tesoro, ma qui ci vuole cervello e discrezione. Cioè Quinn.» Matt vuotò il bicchiere e meditò se versarsi qualcos'altro. «Attualmente non fa più pedinamenti. Ha molti collaboratori, o come vuoi chiamarli. Si tiene libero per i casi più gravi, ma io voglio che tu abbia il migliore.» «E il migliore è Quinn» commentò Chantel, guardando il viso di Matt. «E lui che cosa dovrebbe fare?» chiese.

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«Non ne ho idea. È per questo che l'ho chiamato. È un tipo un po' rude ma io gli affiderei la mia vita.» «O, in questo caso, la mia.» L'espressione di Matt cambiò di colpo. «Se sei angosciata fino a questo punto...» «No, no» replicò lei, agitando una mano. «Ho la sensa-zione che questo Quinn Doran ascolterà quello che devo dirgli, ruoterà gli occhi e mi consiglierà il modo migliore di comportarmi davanti a una telefonata oscena. Mi è già anti-patico, lo sento.» «Sei solo nervosa.» Matt le batté una mano su un ginoc-chio e andò verso il bar. «Ma ne hai tutto il diritto.» «No, non sono nervosa» lo contraddisse lei, cercando di sorridere. «La tensione non si addice alla mia immagine. E sei stato tu ad aiutarmi a crearla.» «Non hai avuto bisogno d'aiuto» rispose lui, ammirando l'abito di satin che le donava moltissimo. «Sei nata con un gran talento. Io ti ho solo aiutata a tirarlo fuori.» Chantel rovesciò la testa e gli rivolse un sorriso sensuale. «Come sto?» «Dico solo che chiunque ti vedesse oggi non penserebbe che un tempo ti rammendavi le calze.» Ridendo, lei scivolò sul divano. «Eserciti sempre un effetto positivo su di me.» «Già. Ecco il campanello. Vado ad aprire.» Chantel prese in mano il bicchiere d'acqua minerale or-mai tiepida e lo ruotò tra le dita. Se Matt pensava che la soluzione fosse Quinn, doveva credergli. Ma la irritava terribilmente dover raccontare le sue cose più intime a un estraneo. Poi l'estraneo apparve. Se avesse dovuto scegliere qualcuno per il ruolo di una spia, di un investigatore privato, di un combattente, avrebbe scelto Quinn Doran. Più alto di Matt di una spanna e dotato di due spalle larghe e muscolose, aveva tuttavia l'aria di sa-persi muovere con la rapidità e l'agilità di un felino. Ancora prima di guardarlo in faccia, la parte femminile che era in lei riconobbe subito il maschio dominante.

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Non era il classico bell'uomo, ma la sua espressione dura e indifferente doveva far battere il cuore di molte donne. Una massa di riccioli neri gli scendeva sul colletto della ca-micia di jeans. Sul suo volto abbronzato, gli occhi sembra-vano pallidi e freddi. Le sue ciglia erano troppo lunghe e troppo folte per essere maschili, ma in lui non c'era niente di effeminato. Quando camminava lo faceva a passi morbidi e misurati. Avvicinandosi a lei, abbozzò un sorriso, ma Chantel non lesse alcuna ammirazione nel suo sguardo. Semmai un lam-po di derisione che la fece irrigidire. «Dunque è questo il palazzo di ghiaccio» commentò lui con voce stranamente piacevole. «E la regina.»

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Il colore delle magnoliedi Sherryl Woods

Costretto a un lungo riposo per un infortunio, Tyler Townsend sa di creare trambusto arrivando a Serenity. Qui tutti sono a conoscenza della storia difficile con Annie Sullivan, che combatte una battaglia interiore, perché nel profondo del proprio cuore non è sicura di riu-scire a perdonarlo. L’unico rimedio per un cuore infranto è l’amore.

Desiderio senza finedi Nora Roberts

Chantel O’Hurley, attrice di Hollywood, conosce le regole della celebri-tà. Ma ora che qualcuno sembra perseguitarla, inizia ad avere paura. Assume così l’investigatore Quinn Doran, che appena la incontra de-cide che sarà sua. Trace O’Hurley ha tagliato i ponti con la famiglia e, quando incontra la conturbante Gillian Fitzpatrick, che deve trovare il fratello, non sa che aiutandola cadrà nella rete dell’amore eterno.

I segreti di Saradi Diane Chamberlain

Sara Weston, madre di Keith, scompare nel nulla. Keith si trova abbandonato, senza nient’altro che un forte odio per la sorellastra Maggie. Ma un giorno una ragazza entra nelle loro vite. Prima offre la sua amicizia a Maggie, poi inizia una relazione con Keith. Il confi-ne tra il bene e il male è una linea confusa, come la stessa verità. Ma un diario potrà far luce sul passato per un futuro più sereno.

Passione pericolosadi Diana Palmer

L’agente Kilraven vive seguendo le proprie regole. E una di queste dice di stare alla larga da Winnie Sinclair. Lei, timida e innocente, sente il dolore che tormenta Kilraven. Quando poi lui scopre che la famiglia di Winnie potrebbe essere legata al caso che lo assilla, lei è determina-ta a offrirgli il proprio aiuto e magari anche il proprio cuore.

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