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COSE DAL MONDO Esposizione di oggetti provenienti dai Paesi dove operano i Missionari Trentini COSE DAL MONDO Centro Missionario Diocesano - Trento

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COSE DAL MONDOEsposizione di oggetti provenienti dai Paesi dove operano

i Missionari Trentini

COSE DAL MONDO

Centro Missionario Diocesano - Trento

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COSE DAL MONDOIn mostra i “doni” dei missionari al Trentino

Questa mostra è nata dal desiderio del Centro Missionario Diocesano direndere partecipe la comunità trentina di almeno una parte dei “doni” che ilCentro stesso ha ricevuto dai missionari trentini nei suoi ottant’anni di vita.

Oltre ai doni più importanti - quelli spirituali, che non possono essere“mostrati”- il Centro Missionario ha ricevuto in questi anni moltissimi oggettiprovenienti dai più diversi Paesi del mondo, portati o inviati a Trento dai missionaritrentini: oggetti d’uso comune, disegni, sculture, ricami, tessuti, strumentimusicali, maschere, archi, frecce ed altri elaborati che nel loro insieme offronoun inedito percorso fra le culture e la vita quotidiana dei popoli ai quali i missionaritrentini dedicano la loro opera e la loro vita.

Il percorso espositivo è arricchito da prestiti gentilmente concessi dal MuseoAfricano di Verona ed è suddiviso in quattro sezioni tematiche, introdotte dapannelli informativi che raccolgono alcuni dei molti spunti offerti dagli oggetti inmostra: echi di tragedie come il genocidio degli indios ma anche storie di popoli eculture che in America Latina resistono alla sopraffazione; musiche e canzoni cheraccontano lotte e dolori ma anche speranze, volontà di riscatto e gioia di viverenonostante tutto, come nel caso delle donne che in Africa rivendicano con giustoorgoglio il proprio ruolo e degli indigeni che si propongono come co-protagonistidi una diversa gestione del territorio e del turismo, più equa e rispettosa deidiritti degli abitanti tuttora calpestati dagli appetiti del neocolonialismo.

Dietro a ogni oggetto c’è una storia e, innanzitutto, un incontro: quello deimissionari trentini con le persone che quelle storie le vivono e con la loro culturache gli stessi missionari contribuiscono non solo a preservare ma anche a diffonderenei propri Paesi di origine. Ogni oggetto materializza dunque l’incontro fra culturediverse di cui ogni missionario è naturale “ponte”: e questo oggi, in tempi diforti migrazioni e di presunti “scontri di civiltà”, è forse il dono più prezioso deimissionari trentini al Trentino.

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Uno dei disegnidegli Yanomamiesposti nella se-zione Indios.

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FRA I COLORI DEGLI “ULTIMI” INDIOS

Bianco come la festa, rosso come la gioia, nero come la guerra... Ogni

colore ha un preciso, intenso significato nella cultura e nella vita degli Yanomami,

uno degli ultimi popoli indigeni del Brasile e del Venezuela sopravvissuti al

genocidio degli indios e divenuti simbolo di fiera resistenza alla distruzione, alla

sopraffazione e all’omologazione culturale.

I missionari trentini sostengono questo ed altri popoli indigeni nella difesa

della loro cultura e della foresta, anch’essa vittima degli appetiti dei “bianchi”

Yanomami di Roraima, Brasile.

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che devastano la natura, inquinano l’aria e l’acqua, portano malattie e morte.

E la natura della foresta amazzonica è vita, per gli indios come per il futuro del

pianeta Terra.

L’intera vita degli Yanomami è in simbiosi con la natura, di essa narrano i

loro antichi miti e si nutrono tuttora non solo i loro corpi ma ogni rito, ornamento

e gesto quotidiano che evoca e tramanda l’armonia di un mondo non ancora

perduto.

Di quel loro mondo - e con i loro colori - narrano i disegni qui esposti, giunti

a noi dall’America Latina grazie ad un missionario trentino che li ha raccolti e

portati in dono al Centro Missionario Diocesano.

Sono storie di miti e figure leggendarie, di spiriti e sciamani, ma anche

scene che raccontano la vita quotidiana del popolo Yanomami, con le sue fatiche

e le sue gioie, i suoi lutti e le sue feste: una vita semplice, scandita da ritmi e

riti ancestrali ma al tempo stesso aperta a nuove relazioni con il mondo esterno,

ben accetto purchè rispettoso della natura e della cultura locale. Fra queste

relazioni spiccano, in alcuni disegni, quelle con tecnici ed operai che

ricostruiscono un ponte, o quelle con missionari che portano aiuti e all’occorrenza

fanno “pronto soccorso”, prelevando con la canoa a motore un ragazzo ferito

per trasportarlo all’aeroporto e di lì all’ospedale.

Così gli Yanomami si aprono all’esterno, peraltro ricambiando chi li aiuta

con i “doni” della loro cultura, primo fra tutti quello di un’ospitalità che per

loro è un principio inviolabile, sacro come il senso della mensa e della festa che

esprimono la gioia - e il valore - della vita comunitaria e della condivisione.

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Yanomami di Roraima, Brasile.

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Giraffe in legnoprovenienti dal-la Tanzania.

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PER UN FUTURO OLTRE LO “ZOO”

“L’Africa non é uno zoo” era il titolo di un dossier del mensile “Nigrizia” chegià dieci anni fa denunciava un’insospettabile incompatibilità: quella fraambientalisti e popoli indigeni, i primi in quanto promotori di una tutela che haportato alla moltiplicazione di parchi naturali per gli animali e i secondi “sfrattati”dalle loro terre per far spazio a quegli stessi parchi. Gli “sfratti” da parte deigoverni locali sono spesso avvenuti con l’uso della forza, accompagnati da incendi,saccheggi e uccisioni di uomini e bestiame; e altro bestiame, “sfrattato” con isuoi padroni in nome della tutela degli animali, é morto di fame per la mancanza

Foto:archivio CMD

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di pascoli adeguati.

Gli esemplari qui esposti riproducono solo alcuni dei molti animali da salvarein Africa e nel resto del mondo, ma la loro “salvezza” non può avvenire sullapelle di altri esseri viventi, tantomeno delle popolazioni indigene giàpesantemente decimate dallo sfruttamento selvaggio del neocolonialismo chesta distruggendo ecosistemi, villaggi e coltivazioni.

I missionari trentini affiancano gli indigeni nella difesa dei loro diritti, peruna politica di tutela degli animali e dell’ambiente condivisa con le popolazionilocali, attenta alle loro esigenze di vita e possibilmente attuata con il loro direttocoinvolgimento nella gestione del territorio.

Questo coinvolgimento é necessario anche per lo sviluppo di un turismodiverso da quello attuale, di massa, che aggredisce l’ambiente e arricchisce igrandi tour operator e le multinazionali, lasciando ben poco alle popolazionilocali ed anzi accentuando l’inaccettabile divario fra queste e i “ricchi” ospitidei lussuosi hotel.

I missionari trentini sostengono, con il loro impegno per l’istruzione dellepopolazioni locali, iniziative e progetti in corso per lo sviluppo di un turismo“equo”, che assicuri positive ricadute sul territorio e sulle popolazioni stesseattraverso giusti salari e condizioni d’impiego, uso di prodotti e servizi del luogoe non d’importazione, utilizzo parsimonioso delle risorse naturali e rispetto dellacultura e dei diritti degli abitanti.

E’ peraltro il caso di ricordare che a questo turismo più equo possiamocontribuire tutti, informandoci bene prima di intraprendere un viaggio eprivilegiando le agenzie e le strutture che meglio garantiscono il rispettodell’ambiente e le positive ricadute della nostra vacanza sulle popolazioni deiPaesi che ci ospiteranno.

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Elefanti in eba-no provenientidalla Tanzania.

Pappagalli in le-gno provenientidall’Ecuador.

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Strumento mu-sicale a 8 cordep r o v e n i e n t edall’Africa.

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A RITMO DI VITA DAL TAMBURO ALLA RADIO

Degli africani e dei sudamericani si dice comunemente che “hanno la musicanel sangue”. E a questa immagine se ne associa un’altra, quella di una “gioia divivere nonostante tutto” che suscita un misto di stupore, ammirazione e sconcertoin chi, come noi in Trentino, ha avuto il privilegio di nascere e vivere nella parte“fortunata” del mondo e non capisce come e perchè si possa provare gioia inmezzo a guerre, fame, malattie, persecuzioni. Ma lasciando questo interrogativoalla riflessione di ciascuno, il fatto é che per gli africani e i sudamericani lamusica non esprime solo gioia. Esprime, nella sua interezza, la vita. E’ un mezzo

Foto:archivio CMD

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per comunicare ed anche per sensibilizzare, con le canzoni che denunciano leingiustizie, invocano la pace, raccontano la lotta quotidiana contro la povertà,le malattie, le dittature e le guerre, gridano il dolore e accarezzano la speranzadi un futuro migliore.

I ritmi tradizionali si sono venuti mescolando con altri provenienti dal restodel pianeta, come il rap venuto dall’America che va oggi per la maggiore fra igiovani africani (forse anche perché era nato nei quartieri americani “neri”,come dall’Africa non si é mancato di far notare).

Ed é un fatto che nel variegato repertorio dei cantautori e musicisti africanipiù noti ed affermati a livello internazionale si trovano oggi i generi musicali piùdiversi, sempre più “meticci” ma non per questo meno espressivi dell’animapopolare. Anzi.

“Meticcia” é infatti, ormai, anche la cultura africana. Un’immagineemblematica é quella dei pastori africani che attraversano il deserto con laradio al collo: é “Il nuovo tamburo”, come titola un recente quaderno di “Afriche”,edito dalla Società Missioni Africane, che racconta la storia di alcune dellemoltissime radio libere che trasmettono nel continente, seguite grazie alle pilee ai transistor anche nei villaggi più sperduti che non hanno la corrente elettrica.Usate e spesso promosse anche dai missionari, sia in Africa che in America Latina,queste radio trasmettono nelle lingue locali, parlano dei problemi e della vitaquotidiana della gente, diffondono informazioni pratiche e valori religiosi e morali.In una parola, “comunicano”, come un tempo il tam-tam e come da sempre lamusica. Con mezzi nuovi, che potranno aiutare l’Africa e l’America Latina acrescere, progredire, cambiare. Sperando che resti quella gioia di vivere chealtrove, con il “progresso”, è andata perduta.

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Tamburi prove-nienti dall’Africa.

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Donna che porta cesto estuoia in legno prove-niente dalla RepubblicaDemocratica del Congo.

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NEL MONDO DELLE COSEMANI E CUORI DI DONNE

I tessuti e gli oggetti qui esposti potrebbero a prima vista trarre in inganno.Dietro ad essi infatti si immaginano mani operose di donne che in Africa e inaltre aree del Sud del mondo continuano a vivere come cento o mille anni fa,relegate nei loro villaggi fra lavoro domestico e nei campi, con lunghe oretrascorse a seminare, mietere, allevare animali, raccogliere legna, cercare etrasportare acqua, cucinare, prendersi cura dei figli e poi anche cucire, tessere,ricamare: ma questo é vero solo in parte.

Foto:archivio CMD

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E’ vero che nelle zone rurali africane le donne lavorano 17-18 ore al giornoe che la loro giornata é molto più lunga e faticosa di quella degli uomini; ed éanche vero che sulle spalle delle donne grava tutto il carico – spesso ancheeconomico - della famiglia e che nonostante questo le decisioni e i diritti“spettano” agli uomini, perchè così vuole la tradizionale società patriarcale.

Ma é altrettanto vero che “essere donna africana – come ha scritto lamissionaria Sr. Elisa Kidanè, comboniana e poetessa – significa sentire la gioia, lafatica e la responsabilità di portare sulle proprie spalle il continente e il mondostesso”. Ed é partendo da questa consapevolezza – e fierezza - del proprio ruoloche anche le donne africane reclamano oggi i loro diritti; “e a testa altacamminano in avanti senza scoraggiarsi”, come ha scritto ancora Sr. Elisa Kidanè.I segni di questo cammino si scorgono non solo nelle donne africane che hannoraggiunto cariche e riconoscimenti prestigiosi – come la presidente della Liberia,o la kenyota Premio Nobel per la Pace – ma anche nelle tante altre impegnatenel giornalismo, nella cultura, nei movimenti per l’emancipazione femminile enelle battaglie per la difesa dell’ambiente, dei diritti umani e della democrazia.E soprattutto, grazie anche all’impegno dei missionari trentini, sta crescendo avista d’occhio il numero di donne che possono finalmente accedere all’istruzionescolastica e professionale, accrescendo così ulteriomente il loro ruolo nella societàe nell’economia.

E’ difficile prevedere quanto lungo sarà ancora il loro cammino e se saràaccompagnato da una parallela maturazione della popolazione maschile, ma afar ben sperare c’é anche il fatto che in Africa, come titolava un articolo di“Missionari Saveriani” nel maggio scorso, “Se la donna non cammina, l’uomonon mangia”...

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Mezzo busto di donnain avorio provenientedalla Repubblica De-mocratica del Congo.

Zuccheriera in legnoproveniente dallaTanzania.

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La mostra é stata allestita con la competente e sensibile collaborazione delMuseo Diocesano Tridentino, al quale vanno i più sentiti ringraziamenti.

Il Centro Missionario Diocesano ringrazia inoltre:il Museo Africano di Verona per la consulenza e per il prestito di alcunioggettiil Comune di Trento per il patrocinio e la gentile concessione delle salela Provincia Autonoma di Trento per il patrociniol’ACCRI con Harriet Mugera Kassidi e Magatte Nang per la gestione dei trelaboratori per i ragazzi delle scuole “Ragazzi mettiamoci in gioco” (Daglisquilibri internazionali alla responsabilità personale, Il mondo a colori, Ledonne d’Africa in cammino)padre Gianfranco e padre Donato per il tempo che ci hanno dedicatotutti i volontari e gli amici per la loro disponibilità