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Poste Italiane s.p.a. - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB BL STRUMENTO DI INFORMAZIONE MISSIONARIA Maggio 2017 - N. 28 Il coraggio della libertà Non più schiave Poste Italiane s.p.a. - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB BL

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Centro Missionario DiocesanoDiocesi di Belluno-FeltreP.zza Piloni, 11 32100 BellunoTel. 0437 940594centro.missionario@diocesi.itwww.centromissionario.diocesi.it

Maggio 2017 - N. 28

Il coraggiodella libertà

Non più schiave

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NotizieCentro Missionario di Belluno-Feltre

Hanno collaborato a questo numero: Mario Bottegal, don Luigi Canal, don Ezio Del Favero, Josè Soccal, Chiara Zavarise,i nostri missionari e collaboratori

Redazione c/o: Centro Missionario Belluno-FeltrePiazza Piloni, 11 - 32100 Belluno – Tel. 0437 940594centro.missionario@diocesi.itwww.centromissionario.diocesi.it

Direttore di redazione don Luigi CanalResponsabile ai sensi di legge don Lorenzo Dell’AndreaStampa Tipografia Piave Srl - BellunoIscrizione al Tribunale di Belluno n. 1/2009

CENTRO MISSIONARIO DIOCESANOIBAN Bancario Unicredit IT73U0200811910000002765556 intestato aCentro Missionario DiocesanoP.zza Piloni, 11 – 32100 Belluno

Questo numero di Notizie riporta diverse realtà che ope-rano in favore delle donne e della loro libertà. È possibile aiutarle attraverso il nostro

“Il coraggio della libertà”Non più schiave

La parola del direttore pag. 1

Testimonianze dal mondo pag. 9

Testimonianze in Italia pag. 44

Letture, approfondimenti e racconti a tema pag. 72

Iniziative pag. 76

Foto di copertina

Tre nuove vite in periodo pasquale a Casa Rut – Caserta (Cfr. pag. 47)

Notizie - N. 281

LA PAROLA DEL DIRETTORE

Carissimi lettori e lettrici,questo numero 28 di “Notizie” ci propone un tema drammatico, di grande attualità e di pesante sfida alla civiltà di questa nostra società: “la tratta delle nuove schiave – il mercato del sesso…”.Trattiamo questo argomento illuminati dell’evento pasquale che abbiamo appena vissuto. Quelle donne che, tornate dal sepolcro di Gesù, trovato vuoto, annunciano la Risurrezione (Lc. 24), fanno da sfondo a tutti gli sforzi che altre donne operano oggi per spezzare le catene infernali che mantengono schiave queste povere donne nel mondo della morte, per riportarle alla libertà, alla vita, alla Risurrezione. E in molti casi le rendono portatrici di questo annuncio di risurrezione alle loro “compagne di sventura!” come si può leggere nell’autobiografia di Blessing Okoedion (“Il coraggio della libertà”).

Il fenomeno

Il fenomeno, in gran parte sommerso, è impressionante.In Italia ci sono dalle 50.000 alle

70.000 donne (alcune statistiche parlano più probabilmente di 120.000!) che si vendono giorno e notte: poche per libera scelta, la maggioranza come schiave di questo mercato organizzato dalle mafie dei paesi di origine in rete con le mafie di sponda italiana. La maggioranza sono africane, ma un 30% vengono dai paesi dell’Est europeo.Si calcolano in circa 7-8 milioni i clienti italiani che praticano il libero commercio del sesso: appartengono a tutte le classi sociali, gente che magari si oppone all’immigrazione e se ne serve poi in maniera così vergognosa, diventando così corresponsabili delle mafie che in teoria condannano!

Cosa intendiamoquando si parla di “tratta”?

Prendiamo l’esempio delle ragazze nigeriane, che sono la maggioranza: strappate dai loro villaggi e dalle loro terre, spesso analfabete e originarie della campagna, di famiglie povere, sono lusingate e ingannate con false promesse di

2Il coraggIo della lIbertà

lavoro altamente remunerato come baby-sitter, badanti, cameriere o parrucchiere, commesse di negozio, donne di pulizia negli alberghi. Per loro la prostituzione non è stata una scelta in partenza, ma un inganno: sono state fatte venire in Italia da una rete mafiosa che ha laggiù i boss e qui la manodopera (le madam) che le butta subito sulla strada, sottomesse ad un regime di schiavitù…Chiediamoci: l’Europa e l’Italia che si ritengono campionesse dei valori e delle tradizioni culturali aperte alla libertà e al rispetto della persona, come mai si rendono responsabili di una pratica così vergognosa? E perché le istituzioni che tanto difendono i diritti umani, non intervengono con leggi appropriate per scovare queste mafie e sopprimere la tratta degli esseri umani sul proprio territorio? Bisogna assolutamente eliminare dall’Italia la manovalanza mafiosa degli sfruttatori: tolta quella, anche questo vergognoso traffico scomparirà dalla strade italiane!

La missione

Su queste strade c’è tanta presenza e lavoro svolto da Associazioni,

soprattutto religiose:dal 1990 ad oggi, più di 6.000 ragazze sono state tolte dalla strada (albanesi, romene, polacche, nigeriane…) grazie all’assiduo servizio di 250 religiose di 85 congregazioni. Ne dà testimonianza suor Eugenia Bonetti, che dal 2000 lavora a Roma come responsabile dell’Ufficio “Tratta donne e minori” dell’USMI (Unione Superiore Maggiori d’Italia).Ne dà testimonianza suor Rita Giaretta che nel 1995, assieme alle sue consorelle, fonda a Caserta la Comunità “Casa Rut”, con l’obiettivo di soccorrere le donne vittime dello sfruttamento della prostituzione.Fra le altre testimonianze dei nostri missionari vi proponiamo anche quella di padre Pino Locati, che lavora ora alla Fondazione lombarda GEDAMA (Bergamo) per incontrare questi “rifiuti umani della società”.Questo lavoro però è fatto anche nei paesi di origine, particolarmente in Africa.Ne dà testimonianza suor Rosemary Nyirumbe che “cuce la

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speranza” con oltre duemila ragazze rapite e seviziate dai miliziani dello spietato criminale Joseph Kony (leader terrorista dell’“Esercito di resistenza del Signore”).Nel Vangelo di Giovanni (cap. 8) i farisei pretendono di lapidare la donna colta in flagrante adulterio, proprio loro che magari sono stati fra i suoi clienti: dopo averla usata, la condannano a morte, come fanno i clienti italiani con le loro vittime… Gesù invece formalizza così la sua denuncia: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra!». E mentre loro lasciano cadere le pietre che avevano preparato per colpire la donna, Gesù la risolleva da terra e la pone in libertà.Gesù inaugura così una nuova pratica: disautorizza i clienti

e rimette in libertà la donna. È quanto dovrebbe fare ogni società che crede al Vangelo o semplicemente al valore della dignità umana.Leggendo queste esperienze, lasciamoci illuminare dall’esempio biblico di Rut, che nonostante le sue origini moabite, rimasta vedova, segue la suocera in Giudea, nella terra d’Israele, scegliendo di vivere da straniera, ma libera, il suo servizio e il suo diritto ad un affetto famigliare dignitoso (vedi il libro di Rut). È la prova che Dio vuole realizzare i suoi progetti di amore anche con persone povere e sofferenti di altre nazioni, tolte dalla miseria e dalla schiavitù.

Don Luigi Canal

4Il coraggIo della lIbertà

(Raccolti da Ezio Del Favero)

Alcuni aspetti del fenomenoin Italia e nel mondo

Baby prostitutein Italia

(Scribd) Il fenomeno delle “baby-prostitute” è in costante aumento e, secondo uno studio realizzato dall’Osservatorio sulla Prostituzio-ne Minorile della Asl di Rimini, il mercato del sesso conterebbe più di duemila minori. Un quadro a dir poco inquietante: c’è chi comincia già a sette anni e se lo sfruttamen-to sessuale dei giovanissimi italiani avviene per lo più in casa, i loro coe-tanei stranieri sono costretti, spesso dagli stessi genitori, a prostituirsi in strada o in locali particolari. Se per gli extracomunitari, nella maggior parte clandestini, la prostituzione è un modo, spesso solo un’illusione, per sfuggire alla povertà, lo studio rivela che molti giovanissimi si di-cono pronti a vendere il proprio corpo in cambio di piccoli lussi: dal telefonino a vestiti e scarpe firmati. A Roma, il prefetto Achille Serra ha annunciato la decisione – adottata dal Comitato provinciale per l’or-dine e la sicurezza – di installare

telecamere mobili sulle strade per-ché, ha dichiarato il Prefetto, «La prostituzione ha ormai raggiunto livelli di guardia, offrendo di Roma un’immagine indecente. Dall’ultimo intervento dell polizia», ha riferito il prefetto, «è emerso che, su 240 don-ne fermate, 150 sono minorenni. Vi sono anche clienti che vanno con bambine che talvolta si vedono sulla strada con delle bambole in mano».

Schiave del sessoin Italia

(Ecplanet) La prostituzione in Italia è cominciata a essere tollerata a par-tire dal 1860, al massimo controllata per evitare il diffondersi di malattie. Ma è con la legge Merlin del 1958 che inizia l’apogeo del sarcasmo giuridico. Oltre alla notoria abolizio-ne delle case di prostituzione – le fa-mose case chiuse – la legge prevede il divieto dell’apertura delle stesse, la non punibilità della prostituzione in quanto tale e il divieto di qualsia-si attività che consenta, favorisca o agevoli la prostituzione. Legalmen-

Notizie - N. 285

te, per casa di prostituzione, viene inteso «qualsiasi spazio circoscritto, composto da uno o più ambienti nel quale si  trovino o convengano ap-positamente una o più persone di-sposte a prostituirsi con chiunque vi acceda con finalità lussuriose». Stu-pisce allora, data la reclusione dai 2 ai 6 anni, ma soprattutto la multa da € 258 a € 10.329, che nessun governo abbia proposto di incentivare i con-trolli per rimpinguare le casse dello stato.

Mentre è facile immaginare che le “abituali prestatrici d’attività ses-suali a fini di lucro” che troviamo sui giornali, siano libere e consenzienti, molto più difficile è crederlo per le donne e gli uomini, spesso mino-renni, che troviamo giornalmente sui bordi delle strade.

Perché non si interviene a tutela delle schiave del sesso? In molte strade d’Italia è possibile ritrovare quantomeno il reato di favoreggia-mento, oltre alla già citata forma analoga di schiavitù. Ed è lecito pre-sumere lo sfruttamento, ossia anche occasionale indebita acquisizione dei profitti procurati da chi si pro-stituisce, con la vendita del proprio corpo. Va inoltre precisato che per lo sfruttamento violento – forma ag-gravata di sfruttamento – deve ricor-rere la libera volontà di prostituirsi e il successivo uso della violenza per l’acquisizione dei profitti. Se la vio-lenza o la minaccia è precedente e diretta a indurre alla prostituzione per fini di lucro, si ricade nel reato d’estorsione.

Sfruttamento sessualedi minori in Kenya

(Scribd) Lo sfruttamento sessuale di bambini e bambine ha raggiunto livelli terribili ed è in aumento nelle zone costiere del Kenya. A lancia-re l’allarme è l’Unicef, all’indomani della pubblicazione di un rapporto sulla prostituzione minorile nel Pae-se condotto in collaborazione col governo keniota.

Secondo il rapporto, sono circa 15.000 le bambine e ragazzine tra i 12 e i 18 anni che saltuariamente si prostituiscono nei quattro distretti costieri del Kenya (Mombasa, Kilifi, Malindi e Kwale): in pratica, il 30% della popolazione della zona in quella fascia d’età. Si stima inoltre che altri 2-3mila bambini e bambi-ne si prostituiscano a tempo pieno, anche nelle stagioni non “turisti-che”. Un capitolo dello studio è poi dedicato ai clienti e mostra come il turismo sessuale coinvolga tutte le nazionalità che frequentano il Ken-ya per turismo. Il 38% di loro sono uomini kenioti, mentre più della metà sono stranieri: il 18% italiani, il 14% tedeschi, il 12% svizzeri. Se-guono ugandesi, tanzaniani, inglesi e arabi sauditi.

«È un vizio che continua a cresce-re in dimensioni orrende, soprattut-to nella regione costiera», ha detto il vicepresidente keniota Moody Awori.

«È duro dover ammettere la realtà di questi fatti di fronte all’opinione

6Il coraggIo della lIbertà

pubblica», ha sottolineato Awori, «ma dobbiamo dire la verità se vo-gliamo salvare i nostri bambini». Il rappresentante Unicef in Kenya, Heimo Laakkonen, ha ribadito che occorre prevenire e ridurre la “do-manda” intervenendo sui potenziali clienti, punendoli e informando l’o-pinione pubblica dei paesi occiden-tali coinvolti per bloccare il turismo sessuale.

Turismo sessualein Brasile

(Scribd) Si chiamava Alexadra. A 15 anni muore di Aids. Una ragazza del Pernambuco, in Brasile – stato a nord del Goais dove l’associazione Modena Terzo Mondo ha costrui-to uno dei tanti centri per minori – come tante, che frequentava la casa

costruita coi soldi dei modenesi per togliere i minori dalle strade. È lei la molla che fa scattare in Luca Mucci – presidente di Modena Terzo Mondo che dal 1993, quando si è costituita, opera in Brasile – la battaglia contro il turismo sessuale.

I dati sono inquietanti: ogni anno dall’Italia partono migliaia di uomini per passare non meno di quindici giorni a testa con ragazze tra i 10 e 18 anni.

In questa fascia adolescenziale, nei luoghi maggiormente frequen-tati come Bahia, Rio e Fortaleza, il 5% delle ragazze ha già contratto il virus dell’Hiv: «È la mercificazione più degradante della persona uma-na. Non possiamo accettare che ci siano persone pronte a offrire 500 euro a una famiglia povera per man-dare la propria figlia a prostituirsi. E non possiamo accettare che ci siano

Notizie - N. 287

italiani che con 100 euro alla setti-mana passano settimane in Brasile per fare sesso con minorenni».

L’Italia è al primo posto, tra i Paesi europei, nel praticare quella ignobi-le attività chiamata “turismo sessua-le” a discapito soprattutto di bambi-ne (e bambini).

Sono circa 80mila ogni anno i ma-schi italiani che si recano all’estero per soddisfare i loro più bassi istinti.

La povertà e il clima d’indigenza in cui vivono gli abitanti di questi paesi aiutano il mercato verso i commer-ci che offrono bambine e bambini come merce fresca, schiavi del pia-cere di qualche maschio inappaga-to.

Anche altre sono le mete preferite dai maschi turisti italiani consuma-tori del sesso: come la Thailandia ad esempio.

La compagnia aerea che, sotto mentite spoglie, assicura la spola con il Brasile e il tour-operator ve-neto che è leader per questo genere di viaggi sono noti alla polizia inter-nazionale e sono stati denunciati da “Stop Sexual Tourism”, una campa-gna contro il turismo sessuale isti-tuita da enti pubblici e associazioni, cui ha recentemente aderito anche “Musibrasil”.

Leggi per contrastareil fenomeno in Europa

Le leggi emesse negli ultimi 10 anni e la Convenzione Internazionale sui Diritti del Bambino firmata nell’89

non hanno ostacolato un fenomeno praticato da molti “turisti sessuali”, tra i quali anche nostri connazionali. Il turismo sessuale nasce negli anni ’70 contemporaneamente al calo dei prezzi dei voli aerei interconti-nentali, alla crescita economica dei paesi industrializzati e all’esplosio-ne delle offerte dei tour operator. È un sistema illecito di sfruttamento della prostituzione in cui il turista cerca, nei paesi stranieri più pove-ri, una “merce” difficile da ottenere nel proprio stato. In questi luoghi, il turista può avviare la sua attività criminale senza correre il rischio di condanne poiché appoggiato da strutture apparentemente legali che invece coprono ogni suo movimen-to. Il tutto si svolge in paesi dove la legislazione è carente e incompleta. Le più colpite sono le bambine tra gli otto e i sedici anni, ma in molte regioni l’età delle prostitute arriva fino ai quattro. Le vittime provengo-no da villaggi sperduti e completa-mente dimenticati dalle istituzioni; spesso la condizione di precarietà in cui sono costrette a vivere, spin-ge le famiglie del luogo a vendere i propri figli in cambio di qualche mi-gliaio di dollari, con la speranza di avviarli a un futuro migliore.

La causa principale di questo fe-nomeno resta quindi la povertà. Si determina un giro di soldi impres-sionante, circa 5 miliardi di dollari l’anno, ma che non alimenta l’eco-nomia locale. I soldi finiscono nelle tasche di una ristretta élite che ha nelle mani l’intero mercato e che

8Il coraggIo della lIbertà

paga le autorità per avere il loro silenzio. Lo stato coinvolto resta povero, i controlli di conseguenza sono pari a zero e la possibilità di creare traffico di turisti in cerca di sesso diventa altissima. Tra i paesi afflitti dal turismo sessuale compare al primo posto la Thailandia, seguo-no poi le Filippine, lo Sri Lanka, il Brasile, la Colombia e il Venezuela. Anche l’Europa è colpita dal siste-ma, soprattutto nei paesi dell’est come Russia, Polonia e Romania.

«Sono 200 anni che l’Europa ha abolito la schiavitù. Eppure – dice Terry Davis del Consiglio d’Euro-pa – il fenomeno non è stato anco-ra sradicato: gli esseri umani sono ancora comprati e venduti mentre criminali internazionali si arricchi-scono ovunque grazie al fiorente traffico di esseri umani senza che i nostri governi si sforzino di met-tervi fine. Le vittime sono sotto gli occhi di tutti ogni sera. Le vediamo

passeggiare ovunque nelle città e nelle metropoli, in periferia o in pie-no centro. Sono povere ragazze che non hanno scelto di prostituirsi: vi sono costrette con la violenza, com-plice il silenzio dei passanti. Talvolta vengono persino arrestate ed espul-se e rispedite dalla polizia nei rispet-tivi paesi d’origine. Ma qualche ora dopo i criminali che le schiavizzano (molte di queste povere creature sono ancora delle bambine) le de-stinano già in un altro mercato del sesso, in un altro angolo d’Europa».

La nuova convenzione europea, sottolinea Davis, è il primo accor-do internazionale che considera le donne prevaricate come vittime e non come prostitute, quindi fuori-legge. La convenzione offre alle vit-time un lasso di tempo di 30 giorni per riflettere e decidere. E offre loro pure la possibilità di ottenere un permesso temporaneo di soggiorno che non sia condizionato dal dove-re di collaborare con la polizia. Uno strumento dunque – sostiene Davis – in grado di ridurre notevolmente il fenomeno in Europa. «Intanto, però, deve ancora essere adottata nella maggior parte dei paesi. In poco meno di due anni solo in quattro hanno aderito. Quando li sollecitia-mo, i governi attribuiscono il feno-meno all’emigrazione clandestina. Ma non è assolutamente vero: trat-tare gli esseri umani deportati come immigrati clandestini significa con-siderare le vittime come criminali... È tempo di interrompere definitiva-mente il traffico di esseri umani…».

Notizie - N. 289

Le testimonianze che seguono giungono dai nostri missionari bellunesi o da persone che abbiamo

conosciuto nel nostro cammino. Ci aiutano a conoscere la realtà di quelle donne che

diventano vittime di sfruttamento, illuse dalla speranza di una nuova vita, a partire dalla situazione che vivono

nei loro paesi d’origine.

Buona lettura!

Testimonianzedal mondo

10Il coraggIo della lIbertà

Siamo una comu-nità di tre suore Orsoline del Sacro Cuore di Maria di Vicenza; lavoria-mo all’estremo nord del Brasile, nello stato di Ro-

raima, in collaborazione con due sacerdoti della Diocesi di Vicenza.

La nostra area di servizio pasto-rale è composta da dieci quartieri della periferia della capitale Boa Vista.

Siamo presenti anche nella peri-feria dello Stato di Roraima, ai con-fini con il Venezuela e la Guyana Inglese, crocevia di migrazioni, in

particolare dal Venezuela. I citta-dini di questi Stati sono costretti a lasciare il proprio Paese in cerca di cibo e di una vita migliore.

Ci sono inoltre, purtroppo, da altri stati del Brasile “rotte di traf-fico umano”, sia interregionale che internazionale. È una triste realtà che facilita l’uscita dal Brasile di persone schiave dirette poi verso l’Europa.

Le situazioni di vulnerabilità e di impoverimento sono spesso il motivo per sognare una vita mi-gliore, più umana, con prospettive di studio e di conseguenza di un futuro che possa offrire sicurezza ed emancipazione. È il sogno di

BRASILE

S

Suor Laura Rossi,missionaria orsolina di Livinallongo che ha vissuto molti anni in Brasile, ci ha messo in contatto con la sua consorella in missione. «Carissimi amici del Centro Missionario, suor Renata con piacere ha scrit-to quanto stanno vedendo e vivendo a Boa Vista, capitale dello stato di Roraima».

Notizie - N. 2811

lasciarsi alle spalle l’angustia dell’i-nizio di una giornata con tutte le privazioni che la realtà impone.

Normalmente all’inizio c’è quel-lo che in portoghese si chiama “alisiamento”: arriva una persona ben vestita, molto gentile, che si fa amica ed inizia l’opera di persua-sione con promesse allettanti volte ad attirare fuori dalla città, con la possibilità di studiare all’università o con la prospettiva di lavorare nel mondo della moda o dello spetta-colo.

Tutto ciò è visto dagli adolescenti e dai giovani come una prospettiva di riscatto per un futuro luminoso, attraente, ma c’è sempre una con-dizione: l’omertà. Ai ragazzi viene imposto di non parlare in casa, di non avvisare i genitori o gli adulti.

Il tempo passa e la persona si fa

sempre più prossima ed amica ... arriva il momento della partenza, i giovani vengono avvisati di non portare quasi nulla con sé, perchè verrà messo a disposizione dalla casa tutto quello che occorre.

I giovani, o meglio, le giovani, in quanto la maggioranza sono ragaz-ze, fino a qualche anno fa venivano trasportate in taxi, ma ora, visti i co-sti, viaggiano con un pulmino e in gruppo, perché è più economico!

Quando arrivano nel luogo dei sogni, scoprono la triste realtà: la persona tanto amica inizia a co-mandare senza pietà. Obbligano le/i giovani a vestirsi per la prosti-tuzione, vengono buttate/i sulla strada dicendo loro che devono pagare con il proprio corpo ogni centesimo usato per loro. Inoltre, sono costrette/i a fare uso di dro-

Mughetto – Fiore della felicità ritrovata.

12Il coraggIo della lIbertà

ghe per riuscire ad affrontare il giorno e la notte in questa schia-vitù che umilia profondamente la persona.

Una risposta della vita religio-sa di fronte alle persone trafficate è stata la formazione di una rete con il Gruppo “Grido per la vita”, il quale ha come obiettivi lo stu-dio, la prevenzione, l’informazione (nelle scuole), la for-mazione dei profes-sori e la mobilitazione di vari gruppi per uni-re le forze e proporre anche dei momenti pubblici. Tra le attivi-tà c’è il volantinaggio in occasione di eventi importanti (ad esempio nello sport) che do-mandano un supplemento di forze dove il traffico umano aumenta e si intensifica.

Anche la Conferenza dei Reli-giosi del Brasile lavora contro il traffico di organi e il lavoro schia-vo con un’attività di prevenzione. Un’équipe di esperti in pedagogia e psicologia prepara dei giochi per adolescenti e giovani attraverso i quali, divertendosi, imparano i di-ritti e i doveri nella società, insie-me ai pericoli che possono incon-trare.

Noi abbiamo chiesto al Presiden-te dell’Assemblea legislativa di Ro-raima di proporre il gioco per tutte le scuole di Boa Vista e dei paesi li-mitrofi, con la speranza che venga esteso a tutto lo Stato.

La proposta è stata accettata, ma

i tempi si allungano; stiamo aspet-tando, ma anche spingendo per accelerarli.

Considerando la vastità geogra-fica e la grande vulnerabilità, è importante perseguire gli stessi obbiettivi, unire le forze civili e re-ligiose. Al riguardo al Gruppo “Gri-do per la vita” si è affiancato il ”Co-mitato contro l’abuso sessuale di

bambini e adolescen-ti” ed il “Gruppo con-tro la violenza dome-stica”. Religiose/i, la polizia locale e federa-le, giudici ed avvocati, consigli tutelari, assi-stenti sociali, psicolo-

gi, con i rappresentanti del Conso-lati del Venezuela e della Guyana Inglese: tutti in rete per far fronte alla rete che abusa e schiavizza le persone. Anche noi facciamo parte di questa rete che s’incontra men-silmente presso la curia diocesana formando un unico gruppo.

Due donne roraimesi, assistenti sociali, che lavorano in questo cam-po da più di vent’anni, passando e ripassando nelle due frontiere, ci hanno preparato la strada unendo l’équipe, le forze civili e religiose, per progredire nella prevenzione, dando speranza di futuro a chi ha pagato con la propria vita la scan-dalosa realtà del traffico di esseri umani.

Grazie a Dio abbiamo molti casi di giovani ritornate alla libertà. Come Maria, una giovane studen-tessa delle superiori che ha accet-

Grazie a Dio ab-biamo molti casi di giovani ritorna-te alla libertà.

Notizie - N. 2813

tato di seguire l’amica. Preparato passaporto e valigia si mette in viaggio. Fino a Manaus il viaggio è stato semplice, poi ha proseguito per lo stato dello Suriname. Maria ha viaggiato con la gioia nel cuore, pensando «realizzerò i miei sogni, aiuterò la mia famiglia, tornerò tra poco tempo a Boa Vista»... Arrivata nella capitale Paramaribo, ecco la triste realtà: la perso-na tanto amabile, che l’ha condotta in quel luogo, le ritira il pas-saporto, le impone di vestirsi da prostituta e ad ogni rifiuto viene picchiata, castigata e buttata sulla strada; è costretta a drogarsi per riuscire a resistere a quella vita e per pagare tutti i debiti contratti per i viaggi, i vestiti... e così il debito aumenta in-vece di diminuire.

La famiglia, disperata, ha denun-ciato la scomparsa della giovane figlia e si è rivolta al gruppo che da tempo sta lavorando in quest’ambi-

to. Attraverso gli organi competenti sono riusciti a rintracciarla nella ca-pitale del Suriname, a Paramaribo e a farla ritornare a Roraima.

Lontana da dove abitava, dimagri-ta a causa della dipendenza dalla droga, ha iniziato il percorso per uscire dal fondo del pozzo, come dicono in Brasile. Il lavoro più duro è stato quello di recuperare l’au-

tostima e la voglia di vivere. Si è trattato di un lungo accompagna-mento da tutti i punti di vista: psicologico, medico, umano, so-ciale e religioso per ri-cominciare una nuova vita. Maria si è sposa-

ta, è amata dal marito, ha due figli: ora sono una famiglia felice, dove la schiavitù è solo un triste ricordo lasciato alla spalle. Spesso proprio queste persone diventano autore-voli con la loro parola e aiutano a prevenire la perdita della libertà di altre ragazze.

Suor Renata Gonzato

“Il lavoro più duro è stato quello di recuperare l’au-tostima e la vo-glia di vivere.“

14Il coraggIo della lIbertà

Sono Marinalva,già donna di stra-da, che ora abita qui nella Chiesa della Trinità, orga-nizzata dal missio-nario Henrique, pellegrino della

Trinità.Vengo dal quartiere Plataforma

(Salvador), con problemi di droga, io e i miei figli. Qui sto lottando per una vita migliore, tentando di ricominciare tutto da capo.

Accetto di pubblicare questa testi-monianza affinché la gente sappia quello che ho passato, senza ver-gogna di manifestarlo. Ho sofferto molto, ma la vita mi ha offerto mol-te opportunità per ricominciare.

È un’esperienza che per me è stata molto triste, ma in questo mo-

mento è molto importante perché ora mi mostra come ricominciare una vita differente e migliore.

L’esperienzaAvevo cominciato la vita di strada

dopo che il mio primo figlio se n’e-ra andato via. Era sparito per causa di furto. L’altro mio figlio era coin-volto pure lui... Mia madre non mi voleva bene e mi ha lasciata sola, se n’è andata a Rio de Janeiro, per cui abbiamo dovuto andar via tutti.

Sono finita su una strada e ho vissuto le sofferenze delle donne di strada.

Per chi vive nei marciapiedi tutto è problema: per alimentarsi, per fare una doccia, per lavare i panni. Perfino per entrare in una chiesa, perché subito dicono: «ecco, vie-ne a chiedere soldi!».

Il nostro amico Henrique, il pellegrino della Trinità, è un missionario laico che, nella periferia di Salvador-Bahia (Brasile), ha trasformato una vecchia chiesa abbandonata in una comunità di accoglienza per i senza fissa dimora e le don-ne di strada, che si chiama appunto la “Comunità della Santa Trinità”.

Cogliamo l’esperienza di Marinalva dal libro “Milagres somos nòs”(tradotto “Noi siamo dei miracoli”): un insieme di testi raccolti da Eremita Motta con la presentazione di Henrique, con frammenti di vita della comunità (Ed. Capital – Salvador – 2012).

S

Notizie - N. 2815

Vivere nei marciapiedi è un pro-blema in tutti i sensi.

Io sono stata battezzata nelle acque, dalla Chiesa Avventista del Settimo giorno. Quel giorno è sta-to un giorno felice. Felice, perché io sentivo in quella immersione nelle acque che avrei potuto di-ventare nuova creatura.

Solo che per diventare nuova creatura bisognava collaborare, invece è stato tutto il contrario, perché oltre al fatto che io non mi aiutavo, non mi aiutava neanche l’ambiente che mi stava attorno.

Io ho bisogno di Dio, ho bisogno di volermi bene, per vincere. Per-chè se io non mi amassi almeno un poco, avrei già fatto una sciocchezza...

Voglio liberarmi dall’alcool, perché quando passa l’effet-to, io mi rivolto con me stessa. Ho solo bisogno di un po’ di buona volontà per collaborare con questo amore che Dio ha per me... Io voglio il bene per me!

Come sono arrivatain comunità?

Lucia, una collega, conobbe Hen-rique attraverso la Commissione Giustizia e Pace. Avevamo un grup-po dove si lavorava producendo oggetti di artigianato. Henrique ci visitava, per cui ebbi la curiosità di

conoscere la comunità della Trini-tà.Sono rimasta lì pochi giorni, me ne andavo e poi ritornavo... non riuscivo a rimanere per molto tem-po, al massimo due mesi.

Non so proprio cosa sarebbe di me senza la comunità della Trinità.

La Trinità mi aiutò molto. C’erano giorni che arrivavo qui dispe-rata, invocando anche la morte e la Trinità mi

accoglieva con affetto e attenzione. Io sono stata ingrata molte volte perché me ne andavo senza avvisa-re e poi tornavo e mi accettavano di nuovo a braccia aperte. Ora io fac-cio tutto quello che posso fare per questa comunità, perché devo mol-to a lei. Un giorno io ho ringraziato Henrique a colazione, benché di solito io non ami farlo in pubblico, ma quel giorno l’ho fatto in modo che tutti potessero ascoltare!

““

Vivere nei marcia-piedi è un proble-ma in tutti i sensi.

Dalia – Fiore della gratitudine.

16Il coraggIo della lIbertà

Guardando la situa-zione della donna in Brasile, possiamo sottolineare due aspetti: la situazio-ne di sfruttamento a livello nazionale e internazionale, e

la situazione di violenza contro la donna, esistente all’interno della famiglia.

Il desiderio di fuggire dalla mi-seria, che affligge gran parte della popolazione brasiliana, fa sì che l’annuncio di lavoro in altre regio-ni e paesi sia visto come occasio-ne per ottenere una vita più degna attraverso una pseudo-stabilità fi-nanziaria.

Donne, bambini e adolescen-ti, sono spesso ingannati con la promessa di migliorare la vita e finiscono per essere sottomessi a regimi di schiavitù, come sfrutta-

mento sessuale, lavoro in condi-zioni abusive, mendicanza forzata e donazione forzata di organi per i trapianti.

Il traffico di persone è una pra-tica del crimine organizzato, con una struttura sofisticata e ramifica-ta nei grandi centri urbani e in re-gioni di frontiera.

La donna brasiliana è spesso vi-sta come esotica e concupiscente, e quest’immagine fa proliferare il crimine dello sfruttamento ses-suale. Falsi annunci, proposte di matrimonio, cataloghi fotografici, promesse infondate di lavoro al-tamente remunerato, contatto di-retto/indiretto con trafficanti attra-verso parenti, conoscenti o amici, sono alcune delle forme di approc-cio alle vittime.

Papa Francesco disse che «il traf-fico di persone è una vergogna per le nostre società che si dicono ci-

G

Daniela Camuffoè missionaria della Comunità di Villaregia a San Paolo.Ci racconta le difficoltà della donna in Brasile, attraverso la sua esperienza a contatto con il CDCM (Centro di difesa e convivenza della donna Mulheres Vivas)

Notizie - N. 2817

vilizzate». La maggior parte delle persone trafficate è povera o vive in situazione di grande vulnerabi-lità. Il traffico umano è uno dei più grandi problemi dell’umanità, per-ché viola la grandezza e la dignità dei figli e figlie di Dio.

La chiesa è solidale con queste persone sfruttate. Il valore della dignità umana, fondata sulla Sacra Scrittura, è assunta nel-la misura in che l’essere umano vive le sue rela-zioni: con se stesso, con la natura, con l’altro e con Dio, nel suo piano d’amore. La rottura di queste relazioni porta al peccato e alla violenza, allo sfrut-tamento dell’altro, alle aggressioni alla dignità umana come il traffico di persone. Per sensibilizzare i cri-stiani a questo problema, nel 2014 la Conferenza Episcopale Brasilia-na, ha promosso una campagna, la consueta Campagna di fraternità della quaresima, col tema: «È per la libertà che Cristo ci ha liberati» (Gal 5,1), col desiderio di lottare per re-stituire la libertà a queste persone.

Si vede una forte contraddizione nel paese: mentre le donne sono generalmente più qualificate e ci sono leggi che finalmente le favo-riscono, esiste un maschilismo cul-turale che mette la donna in una situazione di inferiorità, squalifi-candola quando lavora in politica, esigendo da lei di più nel mondo del lavoro e assassinandola perché ci si sente padroni del suo corpo e

della sua anima.L’altra dimensione che vorrei

sottolineare, che riguarda la situa-zione della donna in Brasile, è ap-punto la violenza all’interno delle mura domestiche. Frequentemen-te accade che un uomo, fidanzato, marito o ex, aggredisce la compa-gna, motivato da un sentimento di possesso sulla vita e le scelte di

quella donna. Si trat-ta di aggressione che provochi sofferenza fisica, sessuale, psico-logica o morale, o ad-dirittura la morte.

La violenza dome-stica è un fenomeno

di estrema gravità, che impedisce il pieno sviluppo sociale e mette a rischio più della metà della popola-zione del paese.

La lotta per la fine della violen-za contro la donna trovò speranza nella Legge Maria da Penha, del 2006. Questa legge nasce dall’esigenza di proteggere la donna soprattutto all’interno dell’ambiente familia-re. Il grande salto di questa legge è aver tolto la violenza dall’ambito privato, trattandola come respon-sabilità del potere pubblico e di tutta la società. Non valgono più le giustificazioni: “ha ucciso per amo-re, per onore”, o “tra moglie e marito non mettere il dito”.

Nella nostra diocesi esiste un centro che si occupa direttamente delle vittime di questo tipo di vio-lenza, il CDCM (Centro di difesa e convivenza della donna Mulheres

La maggior parte delle persone traf-ficate è povera.

18Il coraggIo della lIbertà

Vivas). Il loro obiettivo è accogliere le donne in situazione di violenza, offrendo un attendimento psico-sociale, orientamento giuridico necessario al superamento della situazione di violenza, contribuen-do al rafforzamento della donna e al riscatto della cittadinanza.

La violenza domestica funziona con un sistema circolare, chiamato “ciclo della violenza domestica”, che in genere si sviluppa in tre fasi:

Fase della tensione: non c’è dia-logo, la donna cerca di calmare la situazione tentando di giustificarsi, spesso senza capire quello che sta succedendo;

Fase dell’esplosione: atti di violen-za, frequentemente accompagnati da forti aggressioni verbali, prisologiche, fisiche e sessuali. È la fase più breve, e generalmente è in questa fase che la donna corre il rischio di morte;

Luna di miele: promesse di cambia-mento, lui dice che non succederà più, chiede perdono, si mostra affet-

tuoso e amabile. Non ci sono aggres-sioni per un periodo.

Passata questa fase, il ciclo si ri-pete.

È in questo centro che ho cono-sciuto Marta (nome fittizio), che mi ha raccontato la sua storia.

Marta ha 46 anni, è nata in Minas Gerais in una famiglia povera, ha 9 fratelli, e all’epoca solo il papà lavorava. Marta ha studiato fino al settimo anno di scuola, e nel 1990 è venuta a S. Paolo con i fratelli più grandi per lavorare e aiutare la fa-miglia. Ha conosciuto un ragazzo, si è sposata e ha avuto da lui una bambina, Sofia, che oggi ha 8 anni.

Ha vissuto alcuni momenti buoni con suo marito, ma a un certo pun-to ha capito che avevano desideri diversi. Lei voleva continuare gli studi e lui non era molto d’accor-do. Ha scelto lo stesso di iscriversi alla scuola e questo le ha permesso di aprire la mente, permettendole anche di chiarire alcune difficoltà

Ibisco – Fiore della bellezza fugace.

Notizie - N. 2819

nella loro relazione.4 anni fa ha cominciato a lavorare

al CDCM perché voleva qualcosa di meglio nella sua vita, e aiutare persone in difficoltà era molto im-portante per lei.

Lui, per problemi di salute, stava ricevendo una pensione che a un certo punto è stata tagliata. Que-sto ha creato molta tensione, lui non voleva aiutare in nessun modo in casa, lei portava la bambina a scuola e l’andava a prendere e lui voleva solo uscire. Un po’ alla volta la tensione è cre-sciuta e lui ha iniziato a mostrarsi molto ag-gressivo, usciva di notte per bere e di giorno dormiva o suonava la chitarra. Non c’era più nessun dia-logo.

Lei ha chiesto la separazione, ma lui voleva rimanere insieme nella stessa casa, anche se praticamen-te separati. Un giorno la tensione è scoppiata e lui l’ha aggredita in modo forte.

Lei è scappata, non sapeva cosa fare, non voleva denunciarlo, ma ha trovato appoggio nelle sue col-leghe che l’hanno ascoltata e l’han-no aiutata a superare il momento.

Lavorando in un centro che si oc-cupa proprio di questi problemi, Marta conosceva bene la dinamica della violenza, e conosceva la diffi-coltà di molte donne di rivolgersi alla polizia in questi casi. Nono-stante questo, ha sperimentato

sulla propria pelle quanto è diffi-cile prendere una decisione così drastica. Aiutata delle colleghe, ha fatto tutti i passi necessari, è riusci-ta ad ottenere che il marito uscisse di casa, ed è rimasta a vivere con la figlia.

Molte donne devono restare na-scoste per non essere perseguita-te, o lasciare la città per potersi co-

struire una nuova vita. Nonostante questo, molte, dopo essere scappate, ritornano in-dietro, credendo alle promesse degli uo-mini, rischiando così la propria vita e met-tendo a rischio anche

i figli. Marta è riuscita ad evitare il peggio perché conosceva altre si-tuazioni ben peggiori della sua e sapeva come difendersi, ma molte rimangono intrappolate in una spi-rale di violenza.

Il Brasile è uno dei paesi col mag-gior tasso di omicidi femminili, le donne sono uccise solo per il fatto di essere donne, e questo equivale a uno stato di guerra civile perma-nente.

Come chiesa desideriamo lavo-rare insieme a tutti gli enti religiosi e sociali che si battono per la li-bertà e la dignità è della persona, con un’attenzione speciale alle ca-tegorie più fragili. Siamo convinti dell’importanza di parlare di questi temi, di sensibilizzare la gente per poter insieme costruire un futuro migliore.

“Ha scelto di iscri-versi alla scuola e questo le ha per-messo di aprire la mente. “

20Il coraggIo della lIbertà

CONGOPadre Raimondo Sommacal,missionario saveriano nato a Antole, che ha operato dal 1980 in molte diocesi della Repubblica Democratica del Congo ed ora è rientrato in Italia, ci segnala una pagina del Corriere della sera che descrive la realtà delle donne schiave: «Gli episodi presentati sono veri, purtroppo ho potuto documentarli anch’io, nella mia esperienza diretta».

Fuggita di casa quattordicenne «perché non c’era nulla da mangiare e nessuna speran-za per il futuro» at-tirata dalle milizie armate che offro-

no “pane e dignità” tra i loro campi di capanne nel folto della giungla. Ma poi subito violentata dai suoi comandanti, trattata da “Kubaka”, schiava sessuale, per lunghi mesi, sino a che, dopo il periodo di adde-stramento militare, non si affranca e assume un ruolo più autonomo. Quindi, fortunosamente libera-ta assieme al figlio di un anno dai militari congolesi in cooperazione con il contingente Onu e inseri-ta nei programmi di riabilitazione

per le ragazze-soldato. A 18 anni appena compiuti Esperance Fran-cine non nasconde il desiderio di tornare nella foresta con le milizie, «dove almeno posso cibarmi ogni giorno, c’è chi mi dà aiuto e trovo la solidarietà del gruppo».

Diverso è il racconto di Solange Zawadi, anche lei da poco mag-giorenne, a sua volta rapita nep-pure quindicenne da un gruppo di banditi, violentata ripetutamen-te, spesso da più uomini la stessa notte, utilizzata per trasportare le merci rubate, affidata quindi al “capitano Sambambi”, 45 anni, suo “padrone” con diritto di vita e di morte. Oggi lei si dice “felicissima” di essere stata liberata assieme al suo bambino di ormai tre anni nato tra i suoi persecutori.

F

Notizie - N. 2821

Come del resto è del tutto par-ticolare la vicenda di Emakilè, arrivata a Goma da meno di una settimana e ancora visibilmente traumatizzata. Tre anni fa era an-data con un’amica della zona di Katala, nel nord Kivu, con l’inten-zione di unirsi ai Mai Mai, i gruppi di auto-difesa dei villaggi nelle re-gioni della guerriglia. Le due inve-ce cadono nelle mani delle Fdlr (le milizie di guerriglieri del Ruanda), che subito le inquadrano nei loro programmi di adde-stramento. «Abbiamo imparato a sparare, a smontare e pulire i fu-cili, a tirare le granate e compiere imboscate», ricorda. Un anno di lavoro duro, durante il quale però entram-be sono “bambole da gioco” per i soldati. Di giorno sol-datesse a tutti gli effetti e di notte oggetti di piacere.

«Ci prendevano a turno. Prima i comandanti, quindi i loro sottopo-sti. Noi non potevamo opporci, sa-remmo state picchiate e poi prese con maggior durezza. Alfrede, una mia amica sedicenne, ha provato a scappare ed è stata uccisa. Uno dei momenti più rilassati era dopo la colazione della mattina. Gli uo-mini, oltre trecento, partivano per le razzie nei villaggi, oppure per le battaglie contro le altre milizie e noi settanta donne, in maggio-ranza tra i quindici e diciassette anni, ci riunivamo lungo il ruscello

per preparare il pranzo collettivo», spiega. Alla fine dell’addestramen-to ottiene maggior rispetto. S’in-namora di un soldato ruandese 22enne di nome Bosco. «Ci siamo voluti bene, stavamo sotto lo stes-so tetto come marito e moglie. Ma ben sette dei suoi superiori han-no ripreso a violentarmi. Bosco ne soffriva, ma non poteva reagire. Mi sono ammalata, sono infetta, ho l’Aids. Così, è stato lui stesso a con-segnarmi di nascosto dai suoi capi

agli ispettori del Mo-nusco (il contingente Onu). Mi ha accom-pagnato fuori dalla fo-resta e mi dato il suo mitra affinché potessi dimostrare che ero combattente».

Le loro storie sono l’eco drammatico del-

le infinite tragedie che ammor-bano l’Africa profonda. Bambini soldato, Kadogo nei dialetti locali: almeno 60.000 nel solo Congo (ma c’è chi dice 100.000), di cui oltre il 35 per cento bambine.

«Il fenomeno è destinato a peg-giorare. In genere i minorenni sono ottimi soldati. Obbediscono docili, sparano, uccidono, ruba-no senza fare troppe domande. In Congo è normale utilizzarli nella difesa dei villaggi. Bambine e bam-bini, senza differenze».

Il grido d’allarme coinvolge an-che noi europei.

Un nuovo enigma anche per i nuovi piani italiani (ed europei)

Le loro storie sono l’eco drammati-co delle infinite tragedie che am-morbano l’Africa profonda.

22Il coraggIo della lIbertà

per il controllo dei migranti. «Quando i soldati con la lunga

barba nera ci hanno portato nella giungla subito siamo stati costretti a pregare per Allah in una piccola moschea fatta di tronchi e fango. Noi bambini cristiani siamo stati convertiti. Chi non pregava veni-va picchiato, non poteva mangia-re», testimonia a proposito David, 9 anni. Rapito con la famiglia nel 2013 dal loro villaggio nel nord del Kivu, subisce ben presto l’indottri-namento dei suoi guardiani, tutti militanti nella Adf/Nalu, nota mili-zia di jihadisti ugandesi. Due anni fa è stato liberato dai soldati di Ka-bila durante uno scontro a fuoco in cui è morto anche il padre, che nel frattempo si era islamizzato e allea-to ai suoi rapitori.

David da pochi mesi ha iniziato a disegnare la sua odissea come se fosse un fumetto. Sono ritratti i serpenti che incontra nella giun-

gla, disegna in rosso il sangue delle mani tagliate ai bambini accusati di rubare cibo dai jihadisti e persino la scena finale della morte del pa-dre con lui accanto che gli prende l’arma (a sette anni!) e si mette a sparare a sua volta contro i solda-ti sino a che non è ferito ai piedi da un paio di proiettili. Disegnare per lui è come una terapia libera-toria. Apre il foglio bianco sul tavo-lo, prende le matite e sorride. Non così Shakira, un’undicenne musul-mana ugandese trovata assieme a 54 minori (tra cui 24 bambine) ab-bandonati e quasi morti di fame dopo uno scontro a fuoco con le Adf/Nalu. Le sue parole sono con-tinuamente interrotte dai singhioz-zi. Sussurra e piange Shakira: ha perso mamma, papà, fratelli, non sa dove sia la sua casa, non ricorda il nome del suo villaggio ed è rima-sta sola.

Corriere della Sera, 29 marzo 2017

Ortesia – Fiore del distacco.

Notizie - N. 2823

COSTA D’AVORIO

È terribile pen-sare alla felicità con cui le ra-gazze di qui “si vendono”, spes-so per un solo piatto di banane fritte (300 lire – 15 centesimi di

euro!).In un Paese dove vige la poliga-

mia (specialmente tra gli animisti e i musulmani) e l’adulterio viene praticato quasi da tutti, uomini e donne, la cosiddetta prostituzio-ne diventa uno dei tanti lavori, un modo di “arrangiarsi”, come chi vende galline o vino di palma al

mercato.Bisogna dire inoltre che l’intimità

della famiglia (nucleare), l’amore poetico, la fedeltà, l’indissolubili-tà… sono valori lontani dalle loro abitudini.

Questo per capire la storia di Marcelle (nome di fantasia), figlia di questa cultura. Lei si è fatta un nome, ha un ottimo giro di “fedeli” clienti.

«Voglio diventare scout!». È già da un pezzo che me lo chiede. Le parlo: “D’accordo! – cerco di aggi-rare l’ostacolo – Quanto tempo li-bero hai? Se sei veramente decisa, devi darti al commercio, cercare di vendere qualcosa all’incrocio del

Un racconto dal libro “Spiragli”, di don Ezio Del Favero, vice-direttore del Centro Missionario, riporta la storia di una giovane ivoriana, incontrata durante il suo periodo in missione

È

24Il coraggIo della lIbertà

liceo, così non sarai più costretta a lavorare nei campi e potrai trova-re il tempo per vivere l’esperienza scout”… E lei con un sorriso: “Non vado mica a lavorare i campi! Ho tanto tempo libero… specialmente di giorno!».

Con rinnovato coraggio torno alla carica: «Permettimi d’insistere. Potresti vendere per esempio delle cipolle “al minuto”, olio da cucina in sacchettini da 25, 50, 100 franchi (1 franco africano equivale a circa 3 lire). Dovresti inoltre abbandonare i vecchi “amici”, condizione indi-spensabile per entrare nella gran-de famiglia scout».

Questa volta Marcelle sembra aver capito: «D’accordo! Accet-

to!». Così le compro un sacco di cipolle da 25 chili, 5 litri di olio e un centinaio di sacchettini di plastica.

Marcelle si lascerà formare allo scoutismo con docilità, con inte-resse e con entusiasmo. Qualche mese dopo, insieme a un gruppo di “novizie”, già cristiane, riceve la camicia scout, segno di fiducia da parte dei capi e inizio di una prepa-razione seria alla promessa.

Due settimane dopo qualcuno mi dice: «Marcelle. L’ho vista usci-re oggi da “l’hotel” insieme a un uomo sposato… e indossava la ca-micia scout!».

Tutto da rifare! Chiediamo a Marcelle di restituire la camicia e di “riflettere”, un modo diplomati-

co, tutto africano, per allon-tanare con garbo qualcuno.

Tre mesi dopo, Marcelle viene a trovarmi: “Le tue ci-polle sono finite!” E poi tra le lacrime: «Voglio diventa-re scout!».

Capisco che stavolta lei è proprio decisa a chiudere col passato. Commosso, le restituisco la camicia… Le sue lacrime mi ricordano l’adultera del Vangelo.

Oggi Marcelle è capo scout e presto riceverà il Battesimo, suggello del-la vita nuova che conduce fedelmente da più di due anni…

Giacinto– Fiore del gioco.

Notizie - N. 2825

ECUADORLe Suore del Buon pastore si dedicano in particolare al recupero ed alla rieducazione delle donne. Dalla loro casa in centro a Quito ci giunge questa testimonianza.

Mi chiamo Vivia-na, anche se que-sto non è il mio nome vero.

Ho avuto una vita di dolore sen-za valori con bas-

sa autostima, senza amor di me stes-sa. Proprio per questo sono stata usata da un uomo che mi ha portato alla prostituzione; ho realmente, più volte, pensato al peggio.

Poi iniziai ad avviare un proces-so molto difficile per comprendere che la vita che facevo era sbagliata. Viveva in me il rifiuto di accettare qualcosa di nuovo, diverso dal mio stile di vita, che era circondato da oggetti costosi. Potevo ottenere quello che desideravo, e l’abitudine allo sfruttamento del mio corpo era diventato la normalità.

Il percorso di recupero fu risco-prire i valori come donna, sentir-mi una persona amata, sentire che dopo tutto quello che avevo vissuto ero ancora accettata da Dio.

E così sono andata via, assumendo un altro stile di vita; non è facile, ci sono state cadute e rinascite, è una continua lotta di giorno in giorno. Dopo tante fatiche, vivo una vita fe-lice, ho l’opportunità di sperimenta-re qualcosa di nuovo, e non quello che faccio io, ma per sentire il Buon Pastore che è in me. Che sono una donna importante ai suoi occhi. Un’altra grande spinta sono i miei figli, la mia famiglia: voglio essere un esempio di lotta e perseveranza per qualcosa che mi porta ad essere libera.

Non è facile, ci sono momenti in cui desidero riprendere ciò che mi sono lasciata alle spalle, era una vera dipendenza e la lotta deve essere costante.

Questo cammino l’ho potuto fare con l’aiuto di Dio, di me stessa e del-le suore.

«Sono felice, non discriminata, senza etichette, sono una persona».

Con gratitudine,Viviana

M

26Il coraggIo della lIbertà

Nagham è una si-gnora libanese di 27 anni, cristiana, che si è sposata con Fady, un si-riano musulmano sciita. Lei amava moltissimo suo

marito, nonostante le due famiglie di origine, ma soprattutto quella di lui, fossero contrarie a questo ma-trimonio. In Siria, infatti, lei sarebbe stata ob-bligata a sposarsi in moschea per registrare il suo matrimonio. Lei ha cercato sempre invece di testimo-niare la sua fede, fino al punto di portare suo marito al Battesimo e al successivo matrimonio secondo il rito cattolico.

Purtroppo, lui è morto nella guerra in Siria e Nagham si è trova-ta da sola a occuparsi dei 2 bambini nel frattempo nati. Ha subito gran-

di umiliazioni e maltrattamenti, perché la famiglia del marito le im-poneva di sposare suo cognato e che i figli diventassero sciiti per es-sere riconosciuti come nipoti. Lei con molto coraggio, nonostante anche minacce di rapimento, edu-ca i suoi figli alla vita e alla libertà, facendoli studiare privatamente, grazie all’aiuto dei nostri volonta-ri di Oui pour la Vie, perché non possono accedere alla scuola pub-blica. Lei dice sempre che in tutte queste prove non si è mai sentita abbandonata da Dio, che è grazie alle nostre ragazze di Oui pour la Vie che non ha mai smesso di sorri-dere, anche quando a causa di tan-ta paura e stress ha dovuto subire un’operazione importante, con tanta difficoltà perché i suoi docu-menti familiari non erano completi e non poteva entrare in ospedale regolarmente.

LIBANOPadre Damiano Puccini, missionario dell’Istituto Servi del Cuore Immacolato di Maria, opera da anni in Libano, nell’acco-glienza dei profughi siriani. Condivide con noi la storia di Nagham.

NGarofano rosa – Fiore della fedeltà.

Notizie - N. 2827

MOLDAVIA

Notte tardiva. Sonno riposante. Domani inizia una nuova settimana. A l l ’ i m p r o v v i s o sono stata sveglia-ta dalle urla forte di una bestia... Poi

ho sentito dei pianti e gridi di pau-ra. Ho capito subito. La bestia era il mio vicino di casa. I pianti - la voce impaurita dei suoi piccoli figli. Sa-pevo che c’era anche il silenzio di una moglie incapace di ogni difesa.

Tornava dal lavoro più delle volte ubriaco. La moglie doveva prende-re in fretta i tre piccoli bambini e scappare fuori di casa... Nonostan-te il buio, la pioggia o il freddo. Aspettavano che la bestia si addor-mentasse per poter entrare in casa. Quando riusciva a prendere la mo-glie, la picchiava senza pietà. Tante volte picchiava anche i bambini.

Beveva non solo al lavoro... quasi tutti i giorni. Avevamo paura anche io e i miei fratelli. Di notte sveglia-vo il mio papà che andava sempre a cercare di calmarlo... Di giorno papà era al lavoro. Con tutta la pau-ra, se riuscivo, facevo entrare la ma-dre con i figli dentro casa nostra. Chiusi dentro al sicuro chiamavo le forze dell’ordine locale che lo rim-proveravano senza alcun effetto. E la storia continuava. Giorno dopo giorno... Continua anche oggi, in un paese dove la sottomissione della donna è legge. Il più delle volte la donna tollera la violenza e gli abusi per la paura di essere giudicata, per la mentalità arcaica caratteristica del nostro paese. Per la vergogna, perché si sente impo-tente di fronte all’immobilità delle autorità. E tutto continua... senza la consapevolezza dei diritti persona-li, senza speranza...

La nostra amica Viorica, nata in Moldavia, condivide con noi un suo ricordo.«Buongiorno a tutti, questo è il mio racconto. È solo una goccia di un mare pieno di dolore... Nonostante il mio scarso italiano, spero di essere riuscita a de-scrivere una realtà triste e drammatica. Un abbrac-cio a tutti. Grazie per la vostra amicizia! Io ci sono».

NAnemone – Fiore della attesa.

28Il coraggIo della lIbertà

PAKISTAN

La donna non è vo-luta, non è amata, ma è usata e mal-trattata in generale e non solo dall’I-slam. È proprio una mentalità avversa alla donna. Ho letto

il messaggio di un marito alla mo-glie incinta: «Se è una bimba, am-mazzala, eliminala»... e visto che non l’ha eliminata, la giovanissima ragazza ha dovuto ritornare nella sua famiglia che, molto malvolen-tieri, l’ha ripresa ed ora, anche se il marito la picchierà e tratterà male, deve tornare da lui ed avere una vita da martire per lei e la sua bim-ba...

In libreria, ricevo le confidenze dalle spose infelici, non volute, maltrattate e delle mamme che non trovano soluzioni per le loro figlie con la famiglia del marito. La donna non è libera di scegliersi e

conoscere il futuro marito. I matri-moni sono “arranged” (combina-ti) dalle due famiglie e la giovane deve sottomettersi senza lamen-tela, sicura che i genitori conosco-no meglio di lei qual è il suo bene (questo anche nel cristianesimo). Se per caso due giovani si innamo-rano e si scelgono, restano rigettati ed esclusi dalla famiglia.

I genitori sono in difficoltà se-rie, perché sono obbligati a prov-vedere una consistente dote alle loro figlie e per questo fanno de-biti enormi che lasciano la famiglia sempre nei guai.

In generale, i genitori sono con-tenti se le proprie ragazze si fan-no suore, perché ricevono educa-zione e formazione senza pagare, perciò noi dobbiamo stare molto attente anche nel discernimento delle vocazioni.

In sostanza vi confido che amo tanto le donne Pakistane ed ho

Riceviamo questo scritto da suor Agnese Grones, suora Figlia di San Paolo, originaria di Pieve di Livinallongo e missionaria in Pakistan dal 1980.

L

Notizie - N. 2829

speranza in un futuro migliore, anche se non appaiono ancora se-gni. Conto forte sulla Provvidenza divina che non ama gli uomini più delle donne e mi fa sperare anche per loro un’esistenza più felice nel mondo intero e specialmente in Pakistan.

A voi tutto il mio bene e la mia comunione, con sentiti auguri per una Santa Pasqua di Risurrezio-ne per tutti e specialmente per le donne.

Con gratitudine e amore.Gerbera rosa – Fiore della giovinez-za.

Il bellunese diacono Francesco d’Alfonso segnala la situazione critica in Pakistan, specialmente per le minoranze religiose.

Una persona appar-tenente a una mi-noranza religiosa in Pakistan può trovar-si esposta facilmen-te ad accuse che av-viano procedimenti senza garanzie di

tutela per l’imputato, che rischia di venire condannato alla detenzione o anche alla pena capitale, partico-

larmente per l’accusa di blasfemia. Questa infatti spesso è solo un pre-testo criminale utilizzato per dirime-re questioni personali o coprire altri obiettivi. Anche nel caso di arresto per reati comuni può accadere che i membri delle minoranze, se pove-ri, rimangano a lungo in detenzio-ne per il solo fatto che nessuno si occupa del loro caso. Quando poi persone povere e socialmente emar-

U

30Il coraggIo della lIbertà

ginate subiscono torti o violenze, come stupri e rapimenti a scopo di conversione forzata o matrimonio, non riescono facilmente ad ottenere giustizia o protezione.Vi sono avvocati che operano a favo-re della APMA (All Pakistan Minori-ties Alliance), l’associazione fondata da Shahbaz Bhatti, ucciso dai taleba-ni nel marzo del 2011, i quali sono di-sponibili a farsi carico di questi casi che, ovviamente, richiedono risorse adeguate.

Certo, ingiustizie e violenze posso-no riguardare chiunque, ma i mem-bri delle minoranze religiose, specie i più poveri, sono maggiormente esposti agli attacchi degli estremisti, con il rischio della perdita dei beni e della stessa vita. L’elevato tasso di analfabetismo, inoltre, aggrava la loro vulnerabilità, rendendoli facil-

mente vittime di sfruttamento e di schiavitù ed anche di false accuse a sfondo religioso. Senza istruzione è difficile difendersi e progettare un futuro!

L’APMA e, in sostegno ad essa, l’as-sociazione Missione Shahbaz Bhatti Onlus, presieduta da Paul Bhatti, fra-tello di Shahbaz, che ne ha prosegui-to l’opera, intendono promuovere la condizione dei cristiani e delle mi-noranze nel Pakistan, anche attraver-so interventi appropriati per risolve-re in tempi brevi i casi prima che si giunga a sentenza con pena deten-tiva o di morte, qualora sia possibi-le; inoltre si preoccupano di fornire tutela legale in casi di iter giudiziario prolungato e di garantire protezione alle famiglie delle vittime. Il Centro missionario diocesano ha destinato un contributo a questo scopo.

Mimosa – Fiore della femminilità.

Notizie - N. 2831

In questi anni ho visto molto e ho sentito molte cose. Gli amici ogni tanto mi chiedono come pos-so convivere con alcune situazioni estreme cono-sciute nel sud del mondo. Non ci si abitua mai e quel-

le volte che ti trovi a percorrere le vite delle persone, quella strada diventa un po’ anche tua. In realtà troppo spesso queste persone e questi luoghi sono dipinti in ma-niera estrema. Non tutti gli africani sono bambini con le pance gonfie e le mosche che gli ronzano sul viso, come non tutti i messicani sono narcotrafficanti, e come non tutti gli italiani sono mafiosi. Chi è entrato al Centro Missionario, o semplicemente guarda le foto che pubblichiamo sulla pagina missio-naria, avrà notato che raramente mettiamo fotografie che dipingo-no la miseria umana, non solo per

scelta, ma anche perché spesso sono solo una faccia della meda-glia.

Un paio di giorni fa però, è ve-nuto a trovarci un amico, presen-tandoci un caso di grave difficol-tà. Come Centro Missionario non accompagniamo mai i casi delle singole persone, ma ci rivolgiamo sempre all’aiuto di una comunità, di un missionario o missionaria. Sono solo loro che sul campo pos-sono pesare, valutare i casi singo-li. Per amicizia però decidiamo di ascoltare questa persona. Il caso che ci viene presentato tratta di una bambina di tre anni, violentata da un uomo.

I fogli vengono distribuiti sulla scrivania, una foto ritrae il volto di questa bambina.

Le parole del nostro amico ri-empiono la stanza, ma allo stesso tempo si confondono alle emozio-ni che mi suggeriscono di lasciar-

I

La risposta del Centro Missionario a questo caso di grande difficoltà, nelle parole di José Soccal.

32Il coraggIo della lIbertà

mi andare alla rabbia e al senso di giustizia.

Esce dalla porta, le carte riman-gono li sulla mia scri-vania, giro il foglio dove c’è la foto della bambina, forse così sarà più facile affron-tare l’argomento. Al-cuni referti medici confermano il peggio, l’inenarrabile. Decido di fermarmi alla terza pagina.

Sono passati alcuni giorni, la cartellina che contiene il progetto è incastonata in uno dei fascicoli che contengono i progetti. Le do-mande però sono li che mi atten-dono sopra la scrivania, sul divano

di casa, sul guanciale del letto. Abbiamo deciso di aiutare l’as-

sociazione che si occupa di questi gravi casi in questo paese.

Sarà difficile per questa bambina e anche il nostro aiuto sarà poca cosa davan-ti ad un dramma così. Vorrei essere li, poter

dire e fare qualcosa, ma credo che comunque cambierebbe poco. Ri-cordo le parole di madre Teresa di Calcutta: «Signore, ti ho trova-to nella terribile grandezza della sofferenza degli altri». Oggi forse sei venuto a trovarci, con il volto di una piccola e con il suo dolore.

Non ci si abitua mai e quella stra-da diventa un po’ anche tua.

Giglio – Fiore della purezza.

Notizie - N. 2833

PARAGUAYPadre Aldo Trento, della fraternità sacerdotale dei Missionari di S. Carlo Borro-meo, nato a Faller di Sovramonte è in Paraguay dal 1989, dove svolge diverse attività sociali in favore dei bambini della strada, della gente abbandonata. È impegnato non solo nella parrocchia, ma nella scuola, nell’ospedale, nella clinica per malati terminali, nelle attività con i campesinos.Dall’Osservatore romano ricaviamo questo articolo, che racconta di donne con le ali spezzate.

Povera Liza.Povera Paulina.Povera Patricia.Tutte con le ali spezzate. Botte, violenze domesti-che, sevizie. La via crucis ha tanti vol-

ti. E la lista dei loro nomi potrebbe continuare a lungo.

Del resto, in questi anni, la casa della speranza di padre Aldo Tren-to, missionario in Paraguay, è cono-sciuta per essere una specie di por-to di mare, un approdo sicuro dove trovare rifugio. Quando la polizia non sa cosa fare, alle prese con casi di violenza estrema, bussa al por-

tone di legno della parrocchia. Da un muro di cinta di mattoncini ros-si spuntano ciuffi di piante. «Ben-venuti, qui si confessa ogni ora», c’è scritto.

Naturalmente i poliziotti non van-no da padre Aldo per confessarsi. Sanno che è l’unico che accoglie gli scarti umani che nessuno vuole; troppo spesso corpi di donne malri-dotti, denutriti, sottoposti a ogni ge-nere di pratiche bestiali. Ragazzine dal volto di bambine pestate a san-gue. Perché non è solo il racket del-la prostituzione a mietere vittime. Il machismo, deformazione culturale devastante, è parte sostanziale della società sudamericana.

P

34Il coraggIo della lIbertà

Al sinodo straordinario sulla fami-glia, lo scorso autunno, sono risuo-nate nell’aula assembleare diverse testimonianze. Erano riflessioni an-gustiate sulla deriva di questo feno-meno endemico al quale la Chiesa si oppone con forza e contribuisce a fermare. Cosa certamente non facile, visto che l’imprinting popo-lare muta col tempo, di generazione in ge-nerazione, e così c’è bisogno di un costante impegno a livello edu-cativo e didattico, in parrocchia, nelle scuo-le. In ogni caso serve determinazione e coraggio. Il silen-zio non giova mai.

Povera Liza, povera Paulina, po-vera Patricia. Potrebbero essere nomi di fantasia, eppure non lo sono. Le loro vite non sono inven-zioni, frutto di operazioni imma-ginarie. Disgraziatamente la realtà con la quale ci si scontra quando si mette piede nell’hospice di padre Aldo fotografa uno spaccato impie-toso di prepotenza. Il volto oscuro della famiglia. Mariti brutali, padri orchi, padrigni senza pietà.

E così nella struttura parrocchiale del missionario italiano non solo trovano riparo i malati terminali e i bambini abbandonati, ma ritrova-no il sorriso anche le donne con le ali spezzate. Alcune sono lungode-genti, con patologie invalidanti ri-portate dopo anni di sevizie.

In una stanza colpisce il volto di cartapecora di una anziana. Sem-

bra un cameo del secolo scorso, a un primo sguardo potrebbe esse-re centenaria. Immobile, mantiene una posizione fissa, quasi innatu-rale. Mercedes, invece, ha da poco compiuto cinquantaquattro anni. A trasformarla in questo fagotto pel-le e ossa sono state le botte. Tante. Per anni, al punto che l’hanno fatta

diventare autistica. Dal suo mondo inghiotti-to nel buio la donna capta solo una voce: quella di padre Aldo. Quando le si avvicina evocando due paro-le sacre per gli indios

guaranì, lei spalanca gli occhi: è come se una chiave avesse aperto una memoria affievolita. Mercedes si alza dal letto pronta ad accoglie-re la benedizione con le mani giun-te. Una donna accanto a lei osser-va quello che accade. Padre Aldo sussurra altre parole di affetto. Le infermiere si fanno in quattro per aiutare coloro che non sono più in grado di essere autonome. Appa-rentemente sono tutte anziane, ma chi può dirlo?

Le botte che hanno preso per anni, le hanno sfigurate, invecchia-te, curvate. Padre Aldo ha messo in piedi una specie di welfare alterna-tivo. «Per noi europei il machismo è qualcosa che non comprendia-mo fino in fondo. Certo, abbiamo violenze, assistiamo a uccisioni, ma non abbiamo una cultura ma-schilista così violenta e radicata. La Chiesa cattolica è consapevole che

Le loro vite non sono invenzioni, frutto di operazio-ni immaginarie.

Notizie - N. 2835

bisogna difendere l’importanza dell’uguaglianza tra uomo e don-na, insegnando il mutuo rispetto, la complementarietà dei ruoli».

Il cammino da fare è in salita. Nul-la è scontato. Al piano sottostante del centro parrocchiale, nel grande salone pieno di giocattoli colorati e mobili allegri, una decina di bam-bini si diverte. Alcuni di loro hanno solo pochi mesi. Sono accuditi da cinque o sei ragazze che avranno sì e no una ventina d’anni.

In disparte c’è Liza, una adole-scente paralizzata, costretta su una carrozzina. Occhi nerissimi, capelli corvini, il suo sguardo è assente. Anche lei con le ali spezzate. La sua storia ha commosso Papa Fran-cesco quando si è recato a fare vi-sita al centro di don Aldo. La sua è forse la vicenda più agghiacciante.

Liza è appena dodicenne, ma a vederla sembra ancora più piccola. Per anni è stata violentata dal pa-drigno che la lasciava senza cibo, spegnendole le cicche delle siga-

rette sulle gambe, divertendosi a torturarla. Le cicatrici orrende non se ne andranno più. La polizia l’ha trovata, grazie a una segnalazio-ne, abbandonata in una casupola, nelle campagne circostanti, in con-dizioni indescrivibili. I suoi piedi erano stati spezzati più volte ed è per questo che non le sarà più possibile reggersi. Padre Aldo l’ha accolta che non emetteva alcun suono, non apriva nemmeno gli occhi. Era incinta di sei mesi, vio-lentata dal padrigno. Oggi il suo bambino, David, è un meraviglioso bebè coccolato da alcune ragazze che si alternano a fare le baby sit-ter. Ognuna di loro è portatrice di altre storie legate al marciapiede, alla droga, al racket. Un bambino di tre anni, Diego, corre felice incon-tro al missionario e lo abbraccia. Gli porge un giocattolo rotto. «Ora proviamo a ripararlo». Come le ali da aggiustare di queste donne. Un sorriso per ciascuna. Forse un gior-no torneranno a volare.

Papavero – Fiore della consolazione.

36Il coraggIo della lIbertà

Don Luigi Canal, in visita a padre Aldo Trento in Paraguay, ci racconta il suo incontro con Lidia.

Lidia è un’adole-scente di 16 anni, in sedia a rotelle per disabilità fisi-ca. La vedi serena, sorridente, con le mani che acca-rezzano il bambi-

no che porta nel ventre, frutto di uno sventurato atto di violenza di uno zio che poi l’ha abbandonata sulla strada. Nella casa del missio-

nario ha trovato affetto, amore, fi-ducia, futuro per il suo bambino. La presenza di una suora e di altre “mamme volontarie” le hanno fat-to trovare quella famiglia che non ha mai avuto. Così l’orizzonte è il-luminato dal sole della Speranza, mentre oltre la finestra, s’intravede la clinica dove l’orizzonte è la Luce della Risurrezione finale. Le due si completano a vicenda illuminando questa “valle di lacrime”.

L

Iris – Fiore della fiducia.

Notizie - N. 2837

Ci addentriamo nella parrocchia “La Trinidad”, più di 100.000 abitan-ti, periferia sud della capitale, col-line desertiche ormai completa-

mente popolate dai famosi “pue-blos jóvenes”, nuovi insediamenti di popolazioni riversate negli ulti-mi decenni soprattutto dalle zone sud-andine. È qui che i missionari s’incontrano quotidianamente con un intreccio di storie, di culture

e tradizioni. Tra i protagonisti di queste storie spiccano moltissime donne, senza dubbio tra le fasce più vulnerabili della popolazione, considerate per molte ragioni le più povere tra i poveri.

Da anni, la pastorale sociale del-la missione si interroga su come intervenire per incidere in questa realtà nella difesa dei diritti della donna, nella sua promozione, nel-la lotta contro la povertà.

«L’aspetto che più ci colpisce in questa realtà umana – ci confi-da uno dei missionari – è proprio

PERÙDa 30 anni la Comunità Missionaria di Villaregia presta un servizio di evan-gelizzazione in Perù.Padre Sergio Cassol è missionario della Comunità di Villaregia a Lima. La sua comunità racconta la situazione della donna e il lavoro della pasto-rale sociale nella missione nel numero del giornalino CMV di dicembre scorso.

C

38Il coraggIo della lIbertà

la forza delle donne peruviane, di queste madri. C’è in loro una po-tenzialità enorme, soprattutto nel-la capacità di lotta e di resilienza che probabilmente la stessa vita e le sue sofferenze hanno suscita-to».

La pastorale sociale parrocchiale dall’inizio ha dato vita ai “gruppi solidarietà”: gruppi di laici, prevalentemen-te donne, che visita-no i casi di maggior necessità presenti nel quartiere. In questo modo si è formata una rete di sostegno alle situazioni di estrema povertà. Nelle visite si condividono alcuni beni materiali basilari, ma soprattutto si manife-sta la vicinanza, si ascolta, si cerca insieme qualche soluzione al ven-taglio di problematiche sociali che è frequente trovare: dalla salute all’educazione dei figli, dal lavoro alla sistemazione di un’abitazione perché sia dignitosa.

Le signore del “gruppo solidarie-tà” non sono persone estranee a questa realtà o che non siano toc-cate in qualche modo dagli stessi problemi e dalle stesse povertà, ma sono donne che, avendo spe-rimentato loro stesse il bisogno, sentono la necessità di farsi pros-sime alla sofferenza dei fratelli. Pa-rafrasando ciò che papa Francesco dice della Caritas, sono “la carezza della madre Chiesa ai suoi figli”. Una carezza concreta.

Testimonianzadi Marta

Marta vive nel territorio della missione, una vicina di casa ci se-gnala questa situazione e ci avvi-ciniamo per vedere se possiamo aiutarla.

Marta è una giovane madre, ha 28 anni e 3 figli di 8, 5 e 2 anni. Vive in una pic-cola abitazione pre-caria con il padre dei suoi figli anche se la loro relazione è ormai conclusa da tempo. Marta è arrivata a Lima quando era appena adolescente, emigran-

do da un piccolo paese delle Ande, dove lascia l’attività dei campi con la speranza di studiare ed aver un futuro migliore. Arrivando alla ca-pitale comincia a lavorare da subi-to in una famiglia benestante come domestica e si rende conto ben presto che non sarebbe stato così semplice concludere le scuole su-periori.

Nella capitale inoltre si scontra con un Perù a lei sconosciuto, dove si sente fortemente discriminata per i suoi tratti andini, lo spagno-lo mescolato al quechua e le sue abitudini che la classificano subito come “chola”, termine fortemen-te dispregiativo quando usato in questo contesto. Marta vorrebbe ritornare alla sua terra ma non ha il coraggio di ripresentarsi a mani vuote.

Marta si sente sola, ferita nella propria dignità di donna e di essere umano.

Notizie - N. 2839

A 18 anni conosce un uomo che apparentemente sembra proteg-gerla dal mondo ostile nel quale è capitata. La comprende perché anche lui proviene dalla stessa provincia e le promette un futuro felice insieme… poco dopo si ren-de conto che la vita non sarà così semplice come aveva pensato. Lui è molto geloso e aggressivo, qua-si non le permette uscire di casa e pretende che solo si dedichi ai figli che intanto cominciano ad arrivare. Il fine settimana torna a casa sem-pre ubriaco e diventa molto violen-to sia verbalmente che fisicamen-te. Vorrebbe scappare, soprattutto per mettere al sicuro i suoi figli, ma dove? Marta si sente sola, ferita

nella propria dignità di donna e di essere umano, non sa a chi chiede-re aiuto e neanche Dio sembra più ascoltare le sue preghiere…

Per la defensorìa è chiaro che il lavoro da fare con Marta è multidi-sciplinare: da una parte è urgente attivare quei procedimenti legali che difendono la sua sicurezza e quella dei suoi figli, dall’altra ha bi-sogno di un forte supporto psico-logico e spirituale per ricostruire la propria vita, sentire che vale la pena lottare, ritrovarsi come per-sona.

Inizia così un lavoro lento e gra-duale di ascolto, di ricerca di nuovi cammini che ridarà a Marta fiducia e speranza in una vita nuova.

Bucaneve - Fiore della rinascita.

40Il coraggIo della lIbertà

THAILANDIACi scrive don Bruno Soppelsa, nostro amico e missionario Fidei-Donum di Caviola in Thailandia.

Thailandia, terra meravigliosa, ric-ca di cultura, po-poli, tradizioni: un popolo fiero, or-goglioso. Tuttavia, è quasi naturale affiancare questa

nazione al problema della prostitu-zione, della vendita, commercio e violenza di minori: la maggior par-te bambine, ragazze. Anche noi missionari, pur lavorando lonta-ni dalla megalopoli di Bangkok, ma a stretto contatto con la realtà giovanile tra le tribù dei monti e in piccoli centri abitati, incontriamo ogni giorno situazioni limite di povertà in cui si vede an-cora una volta come la donna deb-ba ancora fare enormi passi avanti

nella piena consapevolezza e as-sunzione dei propri diritti, e nella valorizzazione della propria digni-tà. Di seguito, alcune storie di ra-gazze tuttora presenti (o che hanno appena terminato) nei nostri centri educativi e che seguiamo quotidia-namente durante il loro percorso scolastico e formativo: sono più di un centinaio. Ragazze con alle spalle famiglie a volte inesistenti;

ragazze che alle volte cercano libertà, attrat-te dal “desiderio di cose nuove, costose” rese necessarie e indi-spensabili dall’attuale società. Ragazze spin-

te ad un guadagno ad ogni costo: anche della perdita di se stesse e del proprio corpo.

Peng è una ragazza che ha fini-

T“

“Ragazze che cer-cano libertà.

Notizie - N. 2841

to la terza superiore. È una delle tante ragazze che vivono nei nostri centri, strutture che abbiamo co-struito in prossimità delle scuole governative, per dare l’opportunità a ragazzi e ragazze provenienti da famiglie povere dei monti di poter portare a termine agevolmente la formazione scolastica superiore.

Ora per lei sono gior-ni importanti, giorni in cui è chiamata a deci-dere del suo futuro. Lei ha la passione del taglio e cucito: abbia-mo appositamente contattato una congregazione di suore che lavora a Chiang Mai e che si prende carico in particola-re di giovani ragazze che vogliono imparare a confezionare abiti nuo-vi. Abbiamo accompagnato Peng in questo centro: i suoi occhi sono lucidi di gioia e brillanti per un fu-turo che già comincia a prendere i contorni. Peng torna al villaggio per le vacanze estive... dopo 2 mesi arriva il tempo delle iscrizione per l’anno scolastico nuovo. Di Peng nemmeno l’ombra. Dopo alcuni giorni riusciamo ad avere qualche notizia a riguardo. Mamma e papà hanno deciso che Peng non se ne andrà da nessuna parte; starà a casa ad aiutare nelle faccende di casa, nel lavoro dei campi e ad ac-cudire i fratellini più piccoli: Peng ha già una sorella più grande che sta studiando all’università, per cui di taglio e cucito non se ne riparle-rà mai più. Andiamo più volte al vil-

laggio per parlare con i genitori e chiedere che Peng possa realizzare la sua vita in ciò che più la rende fe-lice e realizzata: invano. Ora Peng è mamma di 2 bambine e vive al vil-laggio... con un sogno infranto.

Koi è una bambina che sta finen-do le scuole elementari ed è molto

affettuosa. Ogni vol-ta che faccio visita al Centro dove vive, su-bito mi viene incontro e mi abbraccia felice. È un abbraccio vero, in-tenso, che ogni volta

mi apre il cuore e mi commuove. Koi, come tutti gli altri amici che vi-vono con lei, torna in famiglia ogni venerdì pomeriggio per poi rien-trare la domenica sera. Un giorno il catechista, responsabile del Cen-tro, mi dice che Koi per un po’ di tempo è meglio che non ritorni in famiglia, perché a casa ci sono dei problemi... e si spiega: il papà è sempre ubriaco e già fin dal-le prime ore del mattino non è in grado di reggersi in piedi. La gente del villaggio ha riferito che spesso picchia la moglie davanti a Koi e al figlio maggiore... a volte anche Koi è vittima delle violenze del padre. Sono violenze fisiche, che lascia-no il segno. Un giorno vado al vil-laggio di Koi e lei viene con me... devo celebrare un funerale. Arri-vato, sulla stradina sterrata vedo il papà che scende barcollando... si ferma... deve urinare, ma non fa a tempo a fare nulla se non lasciare

Sono violenze fi-siche, che lascia-no il segno.

42Il coraggIo della lIbertà

che i suoi pantaloni pian piano si bagnino ed emanino odore... Koi si gira dall’altra parte facendo finta di nulla. Poi vede la mamma e subito si rifugia tra le sue braccia.

Ooi è un’adolescente che ha fi-nito le scuole superiori. È una ra-gazza molto bella oltre che ad ave-re uno spiccato talento per l’arte figurativa, disegno e pittura. Ha frequentato uno dei nostri Centri, seppur a volte con insofferenza.

Ooi ama la libertà e odia ogni tipo di restrizione e imposizione: le è sempre pesato di non poter usa-re il telefonino come voleva. Ora studia all’Università, è finalmente libera di gestire la sua vita come meglio desidera. Dopo aver vissu-to un anno in una stanza all’inter-no del Campus se ne è uscita alla ricerca di una stanza... in libertà.

Ricevo una sua telefonata... mi dice che deve vedermi. La incontro: è stordita, confusa... evidentemente sotto l’effetto di droghe che dice di aver assunto poche ore prima.

Mi racconta, in disordine, di es-sere scappata da Bangkok: vi era andata per cercare un lavoro... voleva velocemente dei soldi per comperarsi l’iphone7, alcuni vestiti di marca e una somma da inviare alla famiglia. Si è ritrovata prima a “lavorare” in un centro massag-gi per adulti; poi a vivere con un uomo che la costringeva a lavorare in alcuni karaoke come ragazza di compagnia sia per i drink che nel-le stanze private al piano di sopra. Piange, è sempre stordita dall’effet-to della melanfetamina, ma chiede aiuto. Sa che i padri hanno sempre 2 braccia pronte ad accoglierla, perdonarla e aiutarla. E provare a ricominciare daccapo.

Viola – Fiore dell’umiltà.

Notizie - N. 2843

UGANDASuor Rosemary Nyirumbe è una religiosa ugandese, grande segno di spe-ranza per l’Africa. È la testimone di una società civile che cresce per guida-re il continente africano sulla strada dell’autonomia: ha liberato oltre due-mila ragazze con educazione e lavoro, dal Lord’s resistence army, la milizia di Joseph Kony che per decenni ha insanguinato il Nord Uganda e il Sud Sudan. Riportiamo un suo racconto da un’intervista di Adrea Pasqualetto per il Corriere della Sera, ottobre 2016.

«Sharon aveva tredici anni quan-do fu rapita dai soldati di Kony. Quel giorno do-veva attraversare un fiume con la sorellina più pic-

cola, controllata a vista. Lei si fermò perché la sorellina poteva annega-re. “O la uccidi tu o noi uccidiamo te”, dissero i soldati. E Sharon ucci-se la sorellina. C’è voluto un anno perché Sharon me lo dicesse». 

È una delle tragiche storie rac-contate da Rosemary Nyirumbe, la suora che accoglie nella sua scuola di Gulu, seconda città dell’Ugan-da, le bambine soldato. Bambine rapite, schiavizzate, spesso vio-lentate e addestrate a uccidere da quello che era il Lord’s Resistance Army, l’Esercito di Resistenza del

Signore comandato dal terrorista Joseph Kony, protagonista di una guerra durata fino al 2007. Suor Rosemary le andava a cercare nella foresta per poi accoglierle e istruir-le alla Scuola di sartoria femminile di Santa Monica, a Gulu. In sedici anni per quelle aule e per quei la-boratori ne sono passate oltre 2500, tutte vittime di un conflitto spietato. Sessantaduenne, ostetrica, laureata, sister Rosemary nel 2007 è stata no-minata “eroe dell’anno” dalla Cnn e nel 2014 è stata inserita dal Time tra le cento donne più influenti del pia-neta.

SLavanda –

Fiore della diffidenza.

44Il coraggIo della lIbertà

Le pagine seguenti raccontano il lavoro di realtà, vicine al nostre Centro Missionario, che provano a risollevare

le donne vittime di sfruttamento qui in Italia.

Buona lettura!

Testimonianzein Italia

Notizie - N. 2845

TorinoSuor Eugenia Bonetti, missionaria della consolata, con decenni di espe-rienza africana, si occupa ora della tratta di donne e minori. Attualmente è la responsabile dell’Ufficio “Tratta donne e minori” dell’USMI (Unione Superiore Maggiori d’Italia).Famiglia Cristiana ha pubblicato il suo intervento in piazza del Popolo, a Roma, durante una manifestazione in difesa della dignità della donna. Ne cogliamo alcune parti...

Il mio saluto caloroso e af-fettuoso e il mio grazie a tutto il mondo femminile qui presente per chiede-re il rispetto per la dignità della donna. Sono suor Eu-genia Bonetti, missionaria della Consolata, vissuta in

Africa per 24 anni, dal 1993 impe-gnata in un centro Caritas di Torino dove ho conosciuto il mondo della notte e della strada e dove ho incontrato il volto, le storie, le sofferenze, la disperazione e la schiavitù di tante don-ne portate in Italia con il miraggio di una vita confortevole per trovarsi poi nelle maglie della criminalità.

Dal 2000 lavoro a Roma come responsabile dell’Ufficio “Tratta donne e minori” dell’USMI per coordinare il servizio di centinaia di religiose che operano sulle stra-

de, nei centri ascolto, nei centri di detenzione ed espulsione e so-prattutto nelle case famiglia per il recupero di tante giovani vite spez-zate.

Sono qui a nome di queste suo-re che ogni giorno operano silen-ziosamente e gratuitamente con amore, coraggio e determinazione nel vasto mondo dell’emarginazio-

ne sociale per ridare vita e speranza. Sono qui per dare voce a chi non ha voce, alle nuove schiave, vitti-me della tratta di es-seri umani per sfrut-tamento lavorativo

e sessuale, per lanciare un forte appello affinché sia riconosciuta la loro dignità e ripristinata la loro vera immagine di donne, artefici della propria vita e del proprio fu-turo. A nome loro e nostro, che ci sentiamo sorelle e madri di queste vittime, diciamo basta a questo in-

I“

Sono qui per dare voce a chi non ha voce.

46Il coraggIo della lIbertà

degno e vergognoso mercato del mondo femminile. 

Questo grido nasce dalla nostra esperienza concreta, dalla nostra vita vissuta ogni giorno a contat-to con tante giovani trafficate e sfruttate dai nostri stessi stili di vita e alle quali sono negati i fon-damentali diritti umani. Purtroppo l’immagine che viene trasmessa in tanti modi e forme, dai media, dalla pubblicità e dagli stessi rap-porti quotidiani tra uomo-donna è l’immagine del corpo della donna inteso solamente come oggetto o strumento di piacere, di consumo e di guadagno, misconoscendo in-vece l’essenziale che lo stesso cor-po umano racchiude: una bellezza infinita e profonda da scoprire, ri-spettare, apprezzare e valorizzare. 

[…]

Durante questi lunghi anni di im-pegno e servizio alla donna, la no-stra rete di religiose si è allargata e consolidata non solo in Italia ma

anche nei Paesi di origine, transito e destinazione. Abbiamo creato le basi per un vero lavoro educativo di informazione, prevenzione e reintegrazione, come pure di con-danna per quanti, in modi diversi, usano e abusano del corpo del-la donna la cui dignità non si può mercanteggiare o pagare perché è un dono sacro da rispettare e cu-stodire. Non possiamo più rimane-re indifferenti di fronte a quanto oggi accade in Italia nei confronti del mondo femminile. Siamo tutti responsabili del disagio umano e sociale che lacera il Paese.

È venuto il momento in cui cia-scuno deve fare la sua parte e assu-mersi le proprie responsabilità. Per questo come religiose rivolgiamo un forte appello alle autorità civi-li e religiose, al mondo maschile e maschilista che non si mette in discussione, alle agenzie di infor-mazione e formazione, alla scuola, alle parrocchie, ai gruppi giovanili, alle famiglie e in modo particolare alle donne affinché insieme pos-

siamo riappropriarci di quei valori e significati sui quali si basa il bene co-mune per una convivenza degna di persone umane, per una società più giusta e più libera, con la speran-za di un futuro di pace e armonia dove la dignità di ogni persona è considera-to il primo bene da ricono-scere, sviluppare, tutelare e custodire».Margherita – Fiore della semplicità.

Notizie - N. 2847

Casa Rut è una comunità fondata dalle Suore Orsoline di Vicenza nel 1997 a Caserta. Nata dall’ascolto delle tragedie vissute da donne immigrate e tuttora esposte al traffico della strada, nata per accoglierle e donare loro amore e libertà. Il nostro Centro Missionario ha un legame con questa casa, da quando ha incontrato suor Rita Giaretta, una delle suore fondatrici. Riportiamo i loro auguri pasquali, portatori di Risurrezione, insieme ad un testo che racconta la vita e lo spirito della Casa

Una telefonata: c’è una donna straniera, pare ni-geriana, che ha partorito; non sappiamo altro di lei. Non ha nes-sun documento

d’identità per potere risalire alle sue generalità, non sappiamo cosa fare, come registrare la nascita del bambino… È al letto n. 8. Una se-conda e poi una terza telefonata che ci informano di questa situa-zione. Donne che si mettono in movimento: la caposala del reparto maternità dell’Ospedale di Caser-ta, la dirigente dell’Ufficio Stranieri della Questura, l’assistente Sociale dell’Ospedale e noi suore. Donne che, come quelle narrate nei Van-geli, fann alleanze e creano gesti

per restituire dignità e speranza a chi l’ha perduta.

Aisha è una giovane donna ivo-riana arrivata sulle nostre coste su un gommone dopo la traversata del deserto e un lungo periodo vis-suto in Libia, tempo da non ricor-dare per le violenze e le sofferenze subite, una vera via crucis. Aisha ha un piede tumefatto e il ventre rigonfio. Durante la dura traversa-ta del mare si è lasciata schiaccia-re il piede dal peso delle persone che riempivano ogni centimetro di spazio di quella “zattera della spe-ranza”, pur di proteggere la vita che portava in grembo. Tre giorni all’o-spedale di Agrigento per idratare quel corpo dolorante, per accer-tarsi delle condizioni della nuova vita che doveva attraversare “altre acque” e per curare il piede ferito.

U

Caserta

Pasqua 2017Le donne tornate dal sepolcroannunciano che Gesù è il Risorto (cfr. Lc 24)

48Il coraggIo della lIbertà

C’è un “gri-do” di dignità e di vita che continua ad a t t r a v e r s a -re la storia e che ci deve inquietare e

scomodare, e Papa Francesco ce lo ricorda: Vorrei che si ascoltasse il grido di Dio che chiede a tutti noi: «Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9). Dov’è il tuo fratello schiavo? E noi aggiungiamo, la tua sorella schia-va? Quello che stai uccidendo ogni giorno nella fabbrica clandestina, nella rete della prostituzione, nei bambini che utilizzi per l’accatto-naggio, in quello che deve lavorare di nascosto perchè non è stato re-golarizzato? Non facciamo finta di niente. Ci sono molte complicità. La domanda è per tutti (E. G. 211).

Posso dire che quel grido e quel-la domanda ci sono entrate dentro,

scuotendoci fino alle ossa, fin dal nostro arrivo a Caserta. Tre suore orsoline del Nord, arrivate da Vi-cenza, senza nessun progetto pen-sato e preparato a tavolino… in noi la sola forza del vangelo e del no-stro carisma e l’accoglienza calda e l’accompagnamento costante del nostro padre, oggi vescovo emeri-to, Raffaele Nogaro.

Ed è proprio in questa nostra ter-ra, difficile e amata, che la Comuni-tà vive il suo mandato missionario ormai da più di un ventennio. Una missione, quella espressa da Casa Rut e dalla Cooperativa Sociale neWhope che ci vede impegnate, insieme a tante “presenze amiche” a favorire, a promuovere e a so-stenere cammini di liberazione di donne migranti, spesso minoren-ni, ridotte a merce, o meglio come schiave sulle nostre strade, co-strette al “mestiere più antico del mondo”. Nel paesaggio di questa

C’

Poi il viaggio in pulman, verso un centro di accoglienza del Nord, insieme alle altre persone arrivate con lei in Italia. Dopo alcune ore Aisha non riesce a nascondere i dolori che si fanno sempre più fitti. Si alzano voci che chiedono aiuto e che obbligano l’autista a fermare il pulman in una zona di sosta per chiamare un’ambulanza che porta

Aisha all’Ospedale di Caserta dove, dopo due ore, avviene la nascita di un bel maschietto.

Mamma Aisha e il piccolo Denis sono ora al sicuro, risorti a nuova vita.

È tempo di nuove risurrezioni, Buona Pasqua!

 le Sorelle di casa Rut:Rita, Assunta Nazarena

Cammini di liberazione Caserta, aprile 2017

Notizie - N. 2849

nostra terra dei fuochi, anche que-ste giovani donne si trovano come incorniciate dentro: anche loro “sversate” sulle nostre strade di periferia, accanto a dei fuochi accesi, pic-coli roghi dentro dei bidoni che segnalano la presenza di “corpi trafficati”, dai più considerate, in maniera ipocri-ta dopo averle “usate”, come rifiuti velenosi, da eliminare o da nascon-dere. Davvero è forte il simboli-smo che unisce questi due dram-mi: ambientale e umano. Drammi che chiedono anzitutto a noi il coraggio di “bonificare” e ripulire i nostri comportamenti e le nostre relazioni, per passare dalla cultura dello scarto alla cultura dell’acco-glienza, dalla cultura del depre-dare e possedere, alla cultura del rispetto, del custodire e coltivare la vita in tutte le sue espressioni e manifestazioni.

La tenerezza ela forza di uno sguardo

Simone Weil affermava che una delle verità fondamentali del cri-stianesimo, verità troppo spesso misconosciuta è questa: ciò che salva è lo sguardo.

Sono stati gli sguardi, a volte di-retti, spesso abbassati, di tante ra-gazze straniere, in particolare di colore, ferme lungo i bordi delle strade, incrociati girando per le strade della provincia di Caserta a

sconvolgere la nostra vita. Non ci bastavano le solite risposte: «Da

che mondo è mondo la prostituzione c’è sempre stata; è il me-stiere più antico della storia…». Come don-ne, come consacrate volevamo conoscere,

capire…incontrare quei volti. Ma come avvicinarle? Queste giovani donne non le troviamo nelle no-stre chiese, nei nostri oratori, nei nostri conventi o seminari, non sono presenti alle nostre liturgie e catechesi, ai nostri convegni o seminari, dove magari si parla dei poveri, di chi non ha voce…

Dovevamo noi andare da loro… dovevamo noi lasciare le nostre tante, troppe comodità, “uscire” dalle nostre sicurezze, anche re-ligiose, comunitarie e sconfina-re per avvicinare e toccare quelle “periferie umane”. E invece, anche oggi quanti muri, recinti e reticola-ti stiamo alzando. O ancor peggio quanti fili spinati sono impiantati dentro di noi e sono i nostri pre-giudizi e spesso le nostre condan-ne, ma anche la nostra indifferenza o il nostro silenzio.

Un ispettore di polizia, avvisato di questa nostra intenzione, ci ha per così dire richiamate ad essere e restare suore e pertanto a stare al nostro posto. E ci siamo chieste qual era il nostro posto? Qual è il posto delle suore?...

Se viviamo il Vangelo incontria-mo un Gesù che non si stanca di

Quel grido e quel-la domanda ci sono entrate dentro.

50Il coraggIo della lIbertà

abitare la strada, le strade concrete della vita, dove anche oggi, come 2000 anni fa, è impaziente di incon-trare volti, sguardi di donne, uomi-ni, bambini, di sofferenti, oppressi, sfruttati, delusi, di peccatori. La strada è il luogo cercato e abitato da Gesù, molto più del tempio. È il Vangelo!

Altri ci dicevano che era perico-loso, potevamo rischiare ritorsioni e minacce da parte degli sfruttato-ri che le controllavano, per nulla disposti a perdere in-troiti elevati di denaro “sporco”.

Ma seguendo il cuore e non la pau-ra abbiamo osato un “gesto”. L’8 marzo del 1997 – giornata della donna – dopo aver ri-empito il bagagliaio della nostra vecchia auto di tanti vasetti di pri-mule siamo andate noi sulla stra-da per incontrare queste donne e portare loro un fiore e un messag-gio di amicizia: «Cara amica, cara sorella, con questo gesto vogliamo dirti che c’è qualcuno che pensa a te con amore».

Quel gesto è stato per noi l’inizio di una serie di incontri sconvolgen-ti. Loro stesse ci avevano chiesto di ritornare. Man mano che cresce-va la fiducia, Tina, Rosmery, Vera, Mary… ci consegnavano le loro storie. Ci parlavano della grande povertà vissuta nel loro Paese, dei figli lasciati per cercare di offrire loro un futuro migliore, degli stu-

pri subiti ancor prima di arrivare in Italia, dell’inferno vissuto durante la traversata a piedi del deserto e poi sulla carretta del mare, dei son-ni popolati di volti sfigurati di ami-che e amici morti durante il viag-gio, delle paure e delle minacce di violenza fisica e psicologica, della speranza e delle continue violenze che ora subivano sulla strada, su queste nostre strade.

Queste giovani, a volte ancora bambine, ieri come oggi, sono del-

le schiave, rese tali da organizzazioni crimi-nali che le sfruttano per far denaro, ridotte a non sentirsi più per-sone ma unicamente merce, oggetti usa e getta per soddisfare la sete di piacere ses-

suale di tanti, troppi clienti, i quali con il loro comportamento, spesso ipocrita, alimentano questo infa-me mercato. Perché, lo sappiamo bene, è la domanda, che determi-na l’offerta. E non pensiamo che i clienti, quantificati in alcuni milio-ni, qui in Italia, siano persone ma-late, siano dei mostri, siano altro da noi… no! sono vicini a noi, abi-tano le nostre comunità, le nostre famiglie, sono padri, fratelli, mariti, nonni…

Perché così tanti clienti?Una domanda questa che ci do-

vrebbe inquietare dentro. Forse perché l’uomo ha paura di farsi

Man mano che cre-sceva la fiducia ci consegnavano le loro storie.

Notizie - N. 2851

incontrare, di lasciarsi guardare dentro nella verità più profonda, perché ci vuole coraggio, tanto co-raggio, a guardarsi dentro. Credo che l’uomo, il maschio, che tende a identificarsi con la forza, con il potere, come colui che domina… forse oggi ha paura di riconoscersi umano, di lasciarsi abitare da sen-timenti di solidarietà, di tenerezza, di giustizia, di amore… Basta pen-sare a quanta violenza, anche tra le mura domestiche, viene inferta sul corpo delle donne e non solo.

Eppure è solo liberando e nu-trendo la nostra umanità, è solo incontrando la nostra povertà ac-carezzata e rivestita dalla miseri-cordia di Dio, che possiamo essere persone vive e libere.

Credo che anche la chiesa, dal volto ancora troppo maschilista, che non riesce a liberarsi dal biso-gno di potere, di prestigio e di ric-chezza, o che ha paura di toccare e vivere la sua povertà, oserei dire la sua nudità, è ancora molto lontana dall’incarnare e vivere il Vangelo di Gesù.

Gesù ha detto a ognuna/o di noi, e non per scherzo, che i pubbli-cani e le prostitute ci passeranno davanti nel Regno dei cieli. Un’af-fermazione questa, che dovrebbe scuoterci, inquietare….

Almeno per me posso dire che sono state proprio queste donne, da tutti etichettate come “prostitu-te”, a scuotere la mia vita di donna e di consacrata.

Il loro grido di dolore:«Help me, help me» era, e conti-

nua ad essere per me e per le mie consorelle un pugno nello sto-maco, ma anche rivelatore di una chiamata sempre nuova: accoglie-re e vivere il Vangelo che si fa, oggi, storia di salvezza.

Ho osservato la miseria del mio popolo, ho udito il suo grido di dolore e sono sceso per liberarlo…(Esodo)

Anche oggi ci è chiesto di stare dentro la storia, di farci compagne/i di strada nei tanti e sofferti cammi-namenti umani, come ha fatto e con-tinua a fare il Dio con noi.

Lo sguardo, l’ascolto e la rispo-sta a quel grido di dolore, a quella nuova chiamata, ha fatto nascere Casa Rut. Da quel gesto a oggi or-mai più di 400 ragazze hanno tro-vato accoglienza e la possibilità di riprendere il cammino e di rico-struirsi una nuova vita, e più di 70 bambini sono nati…

Casa Rut uno spazio e un luogo familiare e bello che profuma di vita. E mi suggestiona pensarla e associarla al pozzo di Sicar (luogo dell’incontro di Gesù con la donna samaritana) dove le ragazze che ar-rivano all’ora più calda, con i volti sfigurati dal dolore e dalla paura, derubate della dignità e con il buio nel cuore, lentamente: vivendo re-lazioni di fiducia, e di rispetto delle diversità, coltivando gesti che pro-fumano di tenerezza e di gratuità, avviando percorsi personalizzati di

52Il coraggIo della lIbertà

lingua italiana, di regolarizzazione e di formazione professionale, ali-mentando reti amicali che danno energia e coraggio, ritrovano den-tro di loro quell’acqua che zampil-la che le rende libere e vive.

La speranza di nuova vitaAppena arrivata a Casa Rut, mi ha

detto un giorno una ragazza, non mi sentivo una persona ma come un animale, oggi mi sento viva, ho una luce dentro di me, non ho più paura e posso camminare e guarda-re avanti con speranza. So che Dio è con me.

Che bello pensarle come donne restituite alla loro bellezza e digni-tà che dopo un tratto di strada fatta insieme sono in grado di lasciare a terra, sull’uscio di Casa Rut, la loro brocca vuota… non né han-no più bisogno… perché dentro di loro hanno ritrovato il coraggio di rimettersi in piedi e l’ardore di ricominciare il cammino di una vita nuova.

Un laboratorio di sartoriaLa coop. sociale newHope, nata da

Casa Rut, è un laboratorio di sarto-ria etnica, un luogo condiviso dove queste ragazze imparano a diventare tessitrici di nuove speranze, a sentir-si finalmente protagoniste e arte-fici del loro futuro. Gesù quando libera, rialza le persone, le invita a camminare a testa alta, le spinge addirittura a diventare dei testimo-ni di vita nuova.

Questo luogo dice allora a tutti noi, in maniera forte e autorevole, che queste giovani donne, spesso mamme, non sono le “poverine da aiutare”, da assistere…come spes-so rischiamo di fare, forse per met-tere a tacere le nostre coscienze. Sono ancora troppo diffuse, anche dentro le nostre chiese e le nostre comunità religiose quelle forme di assistenzialismo che non promuo-vono e liberano le persone. Abita-re volti e storie, restituire dignità e vita, consegnare misericordia e fu-turo questa è la nostra vocazione e la nostra missione.

Oggi sono 7 le socie lavoratrici di 5 nazionalità diverse e 4 sono mamme, con un regolare stipendio che permette loro e ai figli una vita dignitosa e umana.

Forse è poco… ma è un segno forte nella nostra terra, così segna-ta da gravi piaghe sociali, in parti-colare dalla mancanza di lavoro e quello che c’è è in nero e nella lo-gica dello sfruttamento…

Un segno umile ma potente che dice a tutti e soprattutto testimo-nia, che “non c’è scarto che non possa fiorire”, non c’è vita piegata che non possa risorgere.

In un tempo, il nostro, così triste, ostile, chiuso, dove i tanti accadi-menti ci fanno percepire che po-trebbe non esserci futuro, che bel-lo sentirci chiamate da Dio, Padre e Madre a far rinascere la vita, a far fiorire liberazione e speranza e ad accendere l’amore.

Suor Rita Giaretta

Notizie - N. 2853

Treviso

La Congregazio-ne delle Suore di Nostra Signora di Carità del Buon Pastore, fondata da Santa Maria Eufrasia Pelletier nel 1835, opera

secondo il Carisma della Miseri-cordia e della Riconciliazione rivol-gendosi a donne di provenienza, religione, età e culture diverse che attraversano fasi o momenti di pro-fonda vulnerabilità: vittime di vio-lenza domestica, donne coinvolte nella tratta a scopo di sfruttamento sessuale, madri che con i loro figli provano a ricostruire esistenze di-gnitose per sé e per i propri bam-bini.

La missione apostolica delle suo-

re a Quinto di Treviso inizia inve-ce nel 1962: da allora la Villa Ciardi – dimora di generazioni di pittori che ha sede in questo piccolo Co-mune di provincia – si trasforma in struttura di accoglienza per donne italiane e straniere che vengono sostenute nei loro percorsi evolu-tivi finalizzati alla resilienza, cioè alla riprogettazione e alla ricostru-zione positiva di sé. Evolversi non è solo cambiare, ma diventare più capaci di stare nella complessità della vita contemporanea, con mo-dalità più giuste e rispettose di sé e degli altri.

L’attenzioneai segni dei tempi

Alla Domus Nostra noi suore e laiche, nel quotidiano lavoro con le donne, ci siamo impegnate a “ri-mettere insieme al mondo verità,

Suore e laiche, impegnate nella Domus Nostra di Quinto di Treviso, una realtà vicina al nostro Centro Missionario, hanno scritto per noi questo testo, che racconta la loro esperienza di accoglienza di giovani donne nigeriane richie-denti asilo.A cura di: suor Teresa Linda, Suora di Nostra Signora della Carità del Buon Pastore, Direttrice dei Servizi Domus Nostra; Fanny Barlese, coordinatrice ge-nerale dei Servizi Domus Nostra e responsabile della Nuova Progettualità per donne migranti richiedenti asilo; Fiorella C. Capasso, psicosociologa, consu-lente alla produzione dei servizi e allo sviluppo della missione della Domus Nostra, con vaste esperienze nel campo delle migrazioni.

L

54Il coraggIo della lIbertà

giustizia e bellezza”, rimanendo attente ai segni dei tempi e alle sollecitazioni della Chiesa, della Congregazione e della società nel-la quale viviamo.

In tempi recentissimi (2015), que-sta sensibilità e attenzione all’a-scolto dei segni dei tempi ci ha permesso di accogliere l’esortazio-ne che giungeva ad ognuno di noi da Papa Francesco:

«In questo Anno Santo, potremo fare l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo intero crea in maniera dram-matica… non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudina-rietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi a guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della

nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità».

(Misericordiae Vultus n°15)

Allo stesso tempo, la Congrega-zione stessa spingeva nella mede-sima direzione:

«Abbiamo identificato i bisogni più urgenti di oggi come: povertà, tratta delle persone, migrazione forzata, rifugiati, disuguaglianza di genere, violenza verso le donne e bambini e intolleranza religiosa».

(dalla dichiarazione finaledel Capitolo Generale del 2015)

Abbiamo così assunto il mandato di aprire, accanto ai servizi classici, l’accoglienza delle donne migranti richiedenti asilo politico e nell’a-prile del 2016 abbiamo affrontato questa nuova sfida.

Rilevanzadel fenomeno

Ben presto infatti ci siamo rese conto che entravamo in contatto

con una nuova for-ma di vulnerabilità e marginalità femmini-le, complessa e anche disturbante le nostre certezze e le nostre coscienze.

Le donne inserite in questo di-spositivo e inviate a noi dalla Pre-fettura di Treviso, sono tutte di na-zionalità nigeriana, di età compresa fra i 18 e i 25 anni circa e provenien-ti dalla città di Benin City, Edo Sta-te tristemente famosa perché da

Zinnia - Fiore della nostalgia.

Vittime di inganni e autoinganni.

Notizie - N. 2855

quella zona proviene «la stragrande maggioranza delle vittime di tratta verso l’Europa».

Il destino che attende queste gio-vani donne mandate dalle famiglie a procacciare soldi è ovviamente tragico, come testimonia una ra-gazza coinvolta nella tratta delle nuove schiave sessuali sui marcia-piedi d’Italia: «Quando dico che il marciapiede brucia il cervello, confonde il Bene e il Male e fa della rabbia il motore dell’u-niverso, io non invento niente. L’ho imparato sulla mia pelle».

Difatti alla Domus accogliamo donne portatrici di grandi sof-ferenze, subite in parte nel loro paese d’origine, ma anche e soprattutto durante il viaggio che le ha condotte in Europa. Le vio-lenze, fisiche e psicologiche a cui le giovani sono esposte sono così profonde e traumatiche che le gio-vani ricorrono – inconsapevolmen-te – a classici sistemi difensivo-re-gressivi che vanno dalla rimozione alla negazione, tipici meccanismi nelle situazioni di violenze trau-matiche, sotto ogni latitudine e in ogni cultura. Apparentemente non manifestano nessun contatto col loro dolore, nessun segno di con-traddizione né di conflitto e non chiedono aiuto in tal senso. Sono “richiedenti”, sì, ma non di asilo.

Ci appaiono inizialmente richie-denti esclusivamente di forniture

di beni e prestazioni a loro favore, secondo la sola modalità stru-mentale da loro conosciuta e subi-ta nelle loro reti di appartenenza. Non si fidano, e tendono a porre delle barriere all’incontro.

Il paradosso del rifiutodella relazione

L’incontro con queste ragazze straniere è stato mo-tivo di importanti e profonde riflessioni per noi suore e laiche della Domus Nostra. Non è facile non la-sciarsi travolgere dalle ambiguità di cui sono inconsapevolmente portartici queste gio-

vani migranti. Siamo oggi di fronte ad una nuova marginalità: quella di donne che più o meno consape-volmente sono coinvolte nel traf-fico degli esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale, ma che non lo riconoscono o non vogliono/possono farlo.

Siamo così chiamate a lavora-re con donne che non chiedono di uscire dalla prostituzione o di essere aiutate in un percorso di resilienza, che sono sì vittime, ma vittime di inganni e autoinganni. Questo ci ha richiesto di trovare il senso del nostro rapportarci a loro nella misericordia più vera e auten-tica, attrezzandoci di uno sguardo capace di vedere e immaginare un possibile futuro per loro e i loro fi-

Il marciapiede bru-cia il cervello, con-fonde il bene e il male e fa della rab-bia il motore dell’u-niverso.

56Il coraggIo della lIbertà

gli, quando ci sono o li portano in grembo. Ci ha altresì spinto all’ur-gente ricerca di nuove strade, nuove strategie per aprire un dialogo con queste giovani donne che, inizialmente, non si muovono affatto nella direzione dell’incontro con l’altro, con la so-cietà, con la realtà di accoglienza.

Suore e laiche impegnate nel lavoro dell’accoglienza e nel lavoro del pensiero luingimirante sulle periferie esistenziali

Alla Domus – accanto al lavoro dell’accoglienza – dedichiamo un tempo consistente al lavoro del pensiero”. Questa integrazione tra azione e pensiero ci permette di en-trare in contatto con la complessità

e l’estraneità con pru-denza, rispetto al feno-meno, e con rispetto per le giovani donne. Senza “buonismi“, con misericordia, provia-mo ad orientare la no-

stra azione nel modo più efficace, giusto e lungimirante possibile.

La co-responsabilità suore/laici è un tratto fondante del lavoro alla Domus Nostra verso un comune obiettivo: dare dignità alle vite di queste donne affinché possano im-maginare percorsi diversi rispetto a quello che stanno vivendo quando arrivano da noi, allestire le condi-zioni affinché possano fare espe-rienze di bene e si possano aprire per loro dei “varchi”, una speranza, “valorizzandole ai loro stessi occhi”, come esortava Santa Maria Eufra-sia, per non cadere «…nella globa-lizzazione dell’indifferenza».

(Papa Francesco)

Fare esperienze di bene.

Malva – Fiore della pacatezza.

Notizie - N. 2857

PalermoSuor Lea Zandonella, missionaria comboniana di Dosoledo,da meno di un anno vive in Sicilia, ad Agrigento.

L’Italia e l’Europa stanno attraver-sando un’emer-genza prolun-gata, o piuttosto una realtà di con-siderevole immi-grazione dal sud

e dall’est del mondo. Si tratta in generale di persone che fuggono da realtà di persecuzione e guer-re nei loro Paesi verso luoghi di speranza e di vita nuova. In realtà cosa trovano quando, sopravvivendo ai di-sagi dei loro viaggi del terrore, riescono ad approdare sulle nostre coste? Grazie a Dio, in questo clima di egoismo e di paure alimentate spesso a proposito, esi-stono coloro che “non ci stanno” e reagiscono, attivandosi in modo costruttivo, a difesa di chi è nostro ospite e soprattutto nostro fratello e sorella, figli dello stesso Padre.

Noi Suore Missionarie Combo-niane, vantaggiate da esperienze di vissuto in terre di missione, cono-scenza di culture e lingue diverse, abbiamo cercato, pur nella nostra scarsità di personale attivo in Italia,

di essere presenti in questa realtà unendo le nostre forze a quelle già attive in questo settore.

Collaboriamo con le Caritas, a li-vello nazionale e diocesano, in vari posti, ma più direttamente a Pado-va, Verona, Brescia, Roma, Palermo e Agrigento.

La Sicilia è in una posizione di avanguardia nell’accoglienza dei profughi in cerca di vita nuova. A volte pare che le forze del male prevalgano su quelle del bene, ma

non è così.Ci possiamo chie-

dere: «cosa può fare il Signore oggi attraverso di noi, per risponde-re al grido di richiesta

d’aiuto che sale a Lui dal mare, dal-la strada, dalla terra ferma dove si infrange spesso il sogno di migliaia di persone di aver finalmente rag-giunto la salvezza?”».Come agli apostoli Pietro e Giovanni che in-contrano lo storpio alla porta Bella del tempio di Gerusalemme dopo la risurrezione e ascensione di Gesù, anche noi, consapevoli del-la nostra povertà, preghiamo e con fede agiamo nel nome di Cristo (At 3,6-7). Lui ascolta sempre il grido

L“

Esistono coloro che “non ci stanno”.

58Il coraggIo della lIbertà

del povero e noi siamo veramente testimoni del potere di guarigione del Signore nella storia delle per-sone.

In particolare, io ho dato la mia disponibilità alla Caritas Diocesana e Parrocchiale per un servizio pres-so i Centri di Ascolto e soprattutto nelle carceri. Ora posso accede-re in questo ambiente tre volte la

settimana per un paio d’ore. È in questo ambiente che la mia vita incrocia più direttamente quella delle donne esposte alle realtà più dolorose della tratta e di altri mali di cui purtroppo diventano vittime. Al momento sto dedicandomi spe-cialmente a due donne nigeriane che desiderano prepararsi a rice-vere il Battesimo.

Ci presenta una sua consorella, suor Valeria Gandini, che risiede a Palermo e da anni è attiva a tempo pieno in questo settore. In occasione dell’8 feb-braio 2015, prima giornata internazionale contro il traffico di esseri umani, suor Valeria ha rilasciato un’intervista per l’Aleteia, in questo articolo di Chiara Santomiero.

La Missionesulla porta di casa

Sudan, Etiopia e poi Uganda: suor Valeria Gandini, nella sua at-tività di missionaria comboniana ne ha viste di situazioni difficili. Eppure niente l’aveva preparata a quanto avrebbe trovato rientrando in Italia per un periodo di riposo. Nel 1989, alla Caritas di Verona cer-cavano una suora che potesse dare una mano nell’accogliere le ragaz-ze africane che cominciavano ad apparire lungo le strade della città.

«Abbiamo scoperto  donne, me-glio, ragazzine, – racconta suor Valeria – che venivano al centro di ascolto per parlare, chiede-re lavoro e  facevano intuire una realtà spaventosa: tratta per lo sfruttamento della prostituzione.

All’inizio è stato molto difficile:  io non volevo a crederci». I sei mesi di suor Gandini a Verona sono di-ventati 20 anni, accanto a ragazze prostituite che hanno continuato a crescere di numero. Poi, cinque anni fa, il trasferimento a Palermo, di nuovo in aiuto alla Caritas. Pri-ma un corso di formazione aperto a tutti per tentare di capire meglio il fenomeno, con l’aiuto del Grup-po Abele di Torino e la Caritas di Roma, e poi le unità di strada, con altre tre suore comboniane.

La fabbricadel sesso a pagamento

All’inizio, certo, la paura c’è «ma le ragazze – spiega suor Valeria – quando vedono una suora accor-rono e ci salutano “ciao mamma”.

Notizie - N. 2859

Sono ‘avide’ di qualcuno che le av-vicini con una parola gentile, di cui si possano fidare: di solito vedono solo clienti e sfruttatori».

La strada funziona  come una fabbrica: c’è un turno al mattino e uno alla sera. E le suore sono lì, al mattino e alla sera, per incontrare le prostitute schiave. «Hanno un orario per uscire e uno per rientra-re e il pezzo di strada dove sono costrette a vendersi, è tutto quan-to vedono della città. Non si muovono da lì» spiega suor Valeria disegnando un orrore che si consuma a pochi passi dalle nostre vite impegnate.

«Non ci dicono molto perché sono sempre controllate, a vista. Mentre parliamo arrivano messag-gi e squilli all’unica del gruppo che è dotata di cellulare. Noi offriamo amicizia: portiamo acqua fresca d’estate e tè caldo d’inverno. Ci aspettano soprattutto per pregare insieme. A tutte diamo il numero di telefono per contattarci. Se riesco-no a scappare possono trovarci».

Una lettera ai “clienti”I clienti delle prostitute in Italia

si stima siano 9 milioni. Le suore di Palermo hanno scritto una lettera per loro, per  raccontare una veri-tà – quella delle donne sulla strada – che forse fingono di non vedere. Portano la lettera nelle scuole, ne-gli incontri di sensibilizzazione or-

ganizzati dalle parrocchie, e a qual-che uomo la consegnano a mano, quando vanno a trovare le ragazze e li incrociano.

E loro che dicono? «Niente. Te-sta bassa e sguardi sfuggenti. È una forma di dipendenza».

Ho conosciuto Marco, figlio uni-co, aveva speso tutti i suoi soldi e ora prelevava dalla banca quelli

del padre. Gino, era studente universitario, che non riusciva più a studiare, e la mamma che si era accorta, pian-geva sempre, caduta in una forte depressio-

ne. Paolo, aveva 19 anni, la paura di essersi preso l’AIDS lo portava alla disperazione. Giuseppe, aveva moglie e due figli, alla sera non po-teva andare a dormire finche non avesse salutato la ragazza, che ave-va conosciuto per caso. Gianni, di anni ne aveva 74, piangeva perché in una retata avevano preso an-che la ragazza alla quale lui voleva bene, come una figlia, e la voleva di ritorno a tutti i costi, perché non poteva più vivere senza di lei…

Queste persone, questi clienti ci fanno rabbia e allo stesso tempo tanta pena e ci chiediamo come possiamo aiutarli a capire la loro responsabilità e come possiamo aiutare i nostri giovani a non cade-re nella stessa trappola.

È difficile sapere se si ottengono risultati con loro. Troppi silenzi av-volgono ancora questa ricerca di sesso clandestino.

Questi clienti ci fan-no rabbia e allo stes-so tempo tanta pena.

60Il coraggIo della lIbertà

contrata in Ospedale, era grave, in dialisi… mi diceva:” Il freddo del-la notte mi è penetrato nelle ossa e in tutto il corpo, per questo mi sono ammalata. È morta a 25 anni. Ho conosciuto donne impazzite, come Edith, che vedeva uomini cat-tivi entrare dalla finestra, e dietro le porte e gridava aiuto. Gala la ri-peteva sempre: «Suora, nessuno può capire la vergogna e la paura che si prova stando nuda sulla stra-da. Prima di uscire faccio il Segno

della Croce e quando rientro ancora, e dico Grazie a Dio per esse-re tornata a casa viva». Una cosa mi ha sem-pre sorpresa in queste sorelle, pur nella loro situazione di soffe-renza e di confusione portano sempre den-

tro di loro il desiderio di vivere, la capacità di generare, di proteggere e far crescere la vita in situazioni di non vita. La tenacia nella lotta e la speranza inamovibile per un futu-ro migliore, e il sacrificare se stes-se fino a morire pur di risparmiare i loro cari. Ricordo Norah. Volevano farla abortire, nonostante l’abbia-no riempita di botte e calci, ha pro-tetto e salvato il suo bimbo. Mercy, da Roma, ha potuto fuggire al Nord perché una ragazza le ha conse-gnato tutto il guadagno della notte per pagare il biglietto.

Queste sono le parole di papa Franceco: «La tratta delle per-sone è un crimi-ne contro l’uma-nità». Per capire che cosa signi-fichi tratta degli

esseri umani, bisogna incontrare le vittime, ascoltarle, guardarle negli occhi, abbracciarle. Parlare con la donna che ha subito violenza, che si trova priva della sua li-bertà, che è continua-mente sorvegliata dai suoi padroni, violenta-ta, minacciata, comprata e venduta, e obbligata al silenzio... e condivi-dere con lei i sentimenti, le emo-zioni, le paure, è qualcosa di inde-scrivibile… è toccare con mano il fenomeno della tratta.

Sono giovani donne, mamme di famiglia, sono minorenni e tutte chiedevano: ascolto, accoglienza, un lavoro pulito. Chiedevano com-prensione e preghiere. Ricordo Lucy, costretta ad abortire otto vol-te, era terrorizzata perché vedeva sangue uscire dal rubinetto dell’ac-qua, e a chi poteva dirlo? Con chi poteva confidarsi? Osagje, l’ho in-

Riportiamo anche una parte della sua testimonianza per l’Avvenire del 3 febbraio 2015.

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Prima di uscire fac-cio il Segno della Croce e quando rientro dico Grazie a Dio.

Notizie - N. 2861

Sono un missio-nario con 30 anni di Africa, di cui gli ultimi 4 nei campi dei rifugiati interni congolesi ed ora, quando vedo, leg-go, constato, visi-

to le ragazze africane sulla strada come schiave sessuali, non posso tacere sulla vergogna, non loro, ma piuttosto di noi tutti, che in questo XXI secolo permettiamo l’olocau-sto di un’intera generazione afri-cana.

Tutti conoscono la “tratta” di queste ra-gazze nigeriane strap-pate dai loro villaggi e dalle loro terre, spes-so analfabete e origi-narie della campagna, di famiglie povere, lusingate e in-gannate con false promesse di la-voro altamente remunerato come baby-sitter, badanti, cameriere o parrucchiere, commesse di nego-zio, donne di pulizia negli alber-ghi. Sono fatte venire in Italia dopo aver subito riti cultuali (il voodoo: sono 5.000 gli sciamani o stregoni

a Benin-City e dintorni a praticar-lo, sono pagati bene dai reclutatori locali mandati dalle mafie nigeria-ne) che sembrano piuttosto riti di possessione e di terrore patologi-co sulle ragazze, violentate spesso già dai reclutatori dei magnaccia nei giorni dopo il voodoo e prima della partenza e poi ancora duran-te il viaggio nel deserto del Niger, nei centri di detenzione in Libia e poco dopo il loro sbarco sul suolo italiano.

Sono rivendute alle madam che hanno alle spalle un tirocinio di migliaia di prestazioni sessuali. Le madam da vittime sono diventate carne-fici!

In Italia ci sono dalle 50.000 alle 70.000 don-

ne (alcune statistiche parlano più probabilmente di 120.000!) che si vendono ininterrottamente, 24 ore su 24, dandosi il cambio ai bordi delle strade o nella prostituzione indoor in appartamenti, in centri di massaggi, nei veicoli (vetture, camion, camper), sulle navi o nei motel, specialmente quelli vicini

BergamoCi scrive padre Pino Locati, missionario d’Africa,amico del nostro Centro Missionario,attualmente impegnato nella fondazione GEDAMA a Bergamo

S“

Le madam da vitti-me sono diventa-te carnefici!

I riti e gli inganni

62Il coraggIo della lIbertà

ai centri commerciali aperti tut-ta la notte. Le sole nigeriane (non meno di 30.000 sulla strada) ren-dono ai loro magnaccia la somma di 1,1 miliardi di euro all’anno, di cui la maggior parte è versata nei conti dei boss mafiosi residenti in Nigeria. È denaro sporco riciclato nell’edilizia: una strategia tipica-mente di stampo ma-fioso! In Italia ci sono non meno di cinque mafie nigeriane che sfruttano le ragazze. Il 20% delle ragazze nigeriane sono mino-renni, quindi 12.000 adolescenti sono state adescate dai magnaccia per essere date in pasto ai clienti e sono proprio loro le preferite dai lupi famelici del giorno e della notte! Queste ra-gazze come le altre provenienti dai paesi poveri, non sono nate “pro-stitute” e la maggior parte di esse non ha neppure pensato di fare quella scelta ma, arrivate in Italia, sotto minaccia di botte ed anche di

essere uccise (minacce che risalgo-no ai riti voodoo) sono obbligate a darsi a chiunque “richiedente ses-so”. In caso di resistenza, ne va del-la loro vita o dei famigliari lasciati nella loro terra. Sorprende che in un paese civile come l’Italia si deb-ba assistere a un simile regime d’i-pocrisia statale e di schiavitù civile!

Noi volontarinella strada

Negli anni addietro, ho avuto sempre un certo timore ad acco-starmi a queste donne

che stanno in gruppo o da sole e vivono ai bordi della strada: pre-giudizi, paura di violenze, difficoltà di linguaggio, insufficiente prepa-razione professionale, forse anche una certa distanza psicologica e culturale che si trasformava in in-capacità di approccio.

Ora, dall’ottobre del 2015, esco con i volontari della fondazione lombarda GEDAMA (Ponte S. Pie-tro – Bergamo) per incontrare i “rifiuti umani della società”. Tutti i miei pregiudizi culturali e le mie paure psicologiche di un tempo sono cadute immediatamente.

Ci accostiamo e restiamo con le “ultime della classe”, le ragazze ni-geriane senza alcun diritto né voce, facenti parte di quelle “periferie” molto oscure del mondo attuale. Ad ogni uscita sulla strada, incon-triamo da quindici a trenta ragazze (dipende dalle ore, dai momenti, Peonia – Fiore della vergogna.

Queste ragazze non sono nate “prostitute”.

Notizie - N. 2863

dal clima stagionale, i turni delle ragazze vanno dalle 9 alle 17, dal-le 15 alle 22, dalle 18 a mezzanotte, dalle 22 alle 5 del mattino anche in pieno inverno). Su quel percor-so di strada di 30 km che compia-mo tre volte alla settimana (una di giorno e due di notte), c’è oltre un centinaio di ragazze nigeriane. Tal-volta le ragazze sono sole, il più spesso in due o anche tre e più, anche sette insieme. In generale hanno un atteggiamento di grande accoglienza e simpatia verso noi, ci abbracciano, parlano volentieri. Raramente alcune scappano via perché le ma-dam hanno loro telefonato e mi-nacciate, ordinando loro di fuggire quando ci vedono. Ma il più spesso avviene il contrario: le giovani ni-geriane ci danno il loro tempo per restare con noi, anche se con lo sguardo scrutano il passaggio delle macchine per vedere se qualcuna si ferma o meno. È chiaro che se noi siamo presenti, nessun cliente si ferma, per questo anche noi non ci attardiamo per non creare loro dei problemi con le madam. Ci succede spesso di vedere proprio in quei momenti le ragazze salire o scendere dai veicoli dei clienti oc-casionali!

Parliamo anche individualmente

con ciascuna di loro, non hanno difficoltà a dire quanto stiano vi-vendo. Sono tutte giovanissime, non possono dire i loro veri nomi, neppure l’età. Alloggiano nei co-muni non molto distanti dai loro luoghi di “traffico sessuale”. Al momento del commiato, in quel loro modo di guardarci, salutar-

ci e sorriderci si nota uno spiraglio aperto alla fiducia, si sente un respiro che libera la gioia di aver trovato un contatto vero con qualcuno che le rico-nosca come persone e voglia aiutarle a uscire da quell’inferno.

Nel 2015 sono 5.000 le ragazze giunte in Italia via aereo o con i bar-coni! Nel 2016 sono arrivate in Ita-lia ben 11.000 ragazze nigeriane! Il 90% di tutte queste ragazze è desti-nato alla tratta della prostituzione.

L’Europa e l’Italia che si ritengo-no campionesse dei valori e della tradizioni culturali aperte alla li-bertà e al rispetto della persona, come mai non intervengono con leggi appropriate per sopprime-re la tratta degli esseri umani sul proprio territorio? Bisogna assolu-tamente eliminare dall’Italia la ma-novalanza mafiosa dei magnaccia: tolta quella, anche il traffico della ragazze nigeriane scomparirà dalla strade italiane!

Si nota uno spira-glio aperto alla fi-ducia, si sente un respiro che libera la gioia.

64Il coraggIo della lIbertà

È una piccola sto-ria che ha per-messo di vedere molte cose. Ha scoperchiato un mercato intolle-rabile di ragazze. E ha insegnato a

non dare giudizi sommari sulle per-sone cadute nella rete.

Nella piccola storia che raccon-tiamo, ci siamo entrati per dovere di umanità: quando qualcuno ti chiede un aiuto che solo tu puoi dare, mancheresti al tuo dovere di figlio di Dio se tu non lo aiutassi.

Una scopertaNel 2016 sono state mandate ed

ospitate a Feltre una ventina di ra-gazze africane, quasi tutte del sud della Nigeria. Erano di quelle che avevano attraversato il deserto, soggiornato forzatamente e più o meno lungamente in Libia (uno stato senza governo e senza leggi) dove sono state costrette ad aspet-

tare dei mesi per poter essere im-barcate sui barconi o i gommoni per l’Italia.

Un gruppo così consistente di ragazze, africane, provenienti dal-la stessa regione, suscitò subito in me dei sospetti: quando mai delle ragazze (in Africa) partono da sole per un viaggio del genere?

La storia che mi è capitata con una di esse, ha sollevato il coper-chio. Era nella rete dei mercanti di esseri umani: era destinata al “mer-cato” della prostituzione.

Pensava di venire a lavorare e a guadagnare tanti soldi, senza es-sere al corrente di quale lavoro promesso si trattava, quale lavoro intendevano offrire gli organizza-tori di quel viaggio... Lei e le altre ragazze ospiti a Feltre erano ac-compagnate da una giovane ca-pessa (di colore) e da un sedicen-te intermediatore (pure di colore) che, senza dare nell’occhio, le sor-vegliavano per prepararle al loro futuro. Queste persone, presenti in ogni assemblamento di ragazze nigeriane, facevano e fanno parte del giro, ma nessuno può produrre delle prove. Le ragazze sono ob-bligate a dipendere da loro. A loro

FeltreA Feltre, don Virginio De Martinha condiviso con noi la sua testimonianza: un episodio di risurrezione..

La limpidezza si fa strada nel mercato dell’impurità

È

Notizie - N. 2865

devono obbedire sotto la minaccia di ritorsioni per loro parenti lonta-ni. E le ragazze temono per la vita dei loro parenti, perché le minac-ce sono serie: con i gruppi satani-ci legati al Vudù, e simili, non c’è scampo, sono maléfici, e domina-no grazie all’ignoranza e alla paura della gente.

La ragazza della sto-ria (che chiameremo Blessing) veniva da Benin City, capitale di uno degli stati di cui è composta la Nigeria, lo stato di Edo, dove opera una delle gran-di organizzazioni ma-fiose per la tratta delle ragazze da inviare in Occidente per il mercato della prostituzione. Essa si offre di pagare le spese del viaggio, dei do-cumenti e dell’inserimento lavora-tivo, con la clausola che gliele rim-borseranno con il lavoro futuro. Anche per Blessing qualcuno della famiglia ha detto di sì. Le famiglie non sono da immaginarsi come da noi. Le famiglie africane sono lar-ghe e molto legate tra i loro: geni-tori, zii, zie, nonni, genitori adottivi se i figli sono orfani…

Leggendo sul web si scoprono anche cose rivoltanti messe in atto da queste organizzazioni crimina-li per preparar le ragazze al “salto inconsapevole” nella prostituzio-ne internazionale. Blessing però non ha subìto queste cose, forse perché di famiglia non animista, o forse per altri motivi, perché i me-

todi di reclutamento variano e non sempre vi è il tempo sufficiente per prepararle in patria. Quando poi è il momento, arrivati sul luogo di lavoro le istruiscono rapidamen-te. Le materie da imparare? porno-grafia, preservativi, igiene, accosta-mento dei clienti, abbigliamento, linguaggio... Saranno marchiate

per sempre. Non po-tranno farsi un avveni-re. Resteranno distur-bate per sempre.

Blessing non è ani-mista, né musulmana; ha frequentato religio-samente qualche setta cristiana di matrice an-

glicana e protestante. Ha frequen-tato la scuola primaria, è intelligen-te e ha dei sogni.

Il lavoro sporco Un giorno Blessing sparì dal

gruppo ospitato a Feltre. Succede: ogni tanto, ne sparisce qualcuna che non fa più ritorno. E un giorno sparì Blessing. Le avevano detto, i loro capi segreti, di prepararsi che deve fare un viaggio per lavoro. Un uomo e una donna l’aspettavano con la macchina alla porta.

La capessa le dice che i docu-menti non le servono e neppure il cellulare. E glieli ritira. Racconterà di aver viaggiato diverse ore. Igna-ra della geografia e delle località dell’Italia non ha idea di dove sia arrivata. Viene chiusa per una set-timana in un appartamento, per es-

Ha frequentato la scuola primaria, è intelligente e ha dei sogni.

66Il coraggIo della lIbertà

sere indottrinata e chiusa nella sua camera quando usciva la responsa-bile.

Provvidenza vuole che avesse a Feltre un amico di colore cono-sciuto durante la traversata. Egli riceve una telefonata di andare a prenderla, perché lei non vuol fare quel lavoro. «Vie-nimi a prendere oggi alle 18 nella stazione di... sono stufa di ses-so, non voglio fare questo!». Ma come aiutarla?

L’amico arriva nel mio ufficio con un amico italiano. Sono ansiosi e determinati. Chiedono di aiutarli ad andare a salvare l’amica alla sta-zione di... Padova . Di Padova? Non sono sicuri. Pausa. Alla stazione di PD Padova? Sei sicuro? Lui non conosce l’Italia e borbotta: mi sem-bra Padova. Sono venuti a chiede-re un’auto per andare a prenderla. Calma...Non si parte senza essere sicuri di dove bisogna arrivare. Gli suggerisco di chiamare al numero dal quale era giunta la telefonata. Risponde una voce femminile stra-niera. Meno male che lo sa: dice “Verona”. Blessing, dopo le prime uscite, era arrivata alla stazione: era quella di Verona. Allora si era fatta prestare il cellulare ed aveva chia-mato l’amico. La storia aveva l’aria di essere credibile.

Non c’è tempo da perdere. O sì, o no. O si rischia e così forse l’aiuto va a buon fine, oppure si sceglie di non rischiare e si rischia di perde-

re Blessing e di perderla forse per sempre… Ma i due non avevano la più pallida idea di Verona. Si cerca allora rapidamente come arrivare in tempo all’appuntamento: le 18. Faranno un tratto in auto e il se-

condo tratto in treno, così da arrivare diret-tamente alla stazione. Si calcola la spesa, si consegna loro i soldi necessari, l’auto di-sponibile e partono senza indugiare.

La salvezzaL’appuntamento ha successo. Ci

riferiscono che a Verona hanno avuto il modo di vedere i condo-mini dai quali uscivano le ragazze, giovanissime, inequivocabilmente, per battere i marciapiedi. È notte quando risalgono sul treno con Blessing per il viaggio di ritorno.

Tornata al Centro da dove era par-tita, la devono nascondere. Guai se venisse scoperta dai suoi padroni. Non glielo perdonerebbero. Bles-sing ha ascoltato anche il consiglio ed è stata condotta a sporgere de-nuncia alla questura. Ma persiste il problema di un alloggio sicuro. Blessing non ha nessuno, non co-nosce l’italiano e non ha casa…

Eccoli di nuovo in ufficio, questa volta con lei. Chiedono di trovare un rifugio sicuro per lei. … Una casa-famiglia di don Benzi, sarebbe l’ideale. Ma non è per l’immediato; e, con i problemi che pone, non è il caso di chiedere l’ospitalità ad una

Guai se venisse scoperta. Non glie-lo perdonerebbe-ro.

Notizie - N. 2867

famiglia della parrocchia, per tante ragioni. Sarebbe un NO. Ci rivol-giamo allora ad una famiglia africa-na. E la risposta è stata subito “sì”. «Come posso dire di no se Dio me lo chiede?!» risponde la giovane mamma che ha già tre figli piccoli e abita in affitto in un piccolo ap-partamento. «Per qualche giorno posso accoglierla io, è una sorel-la!». Chiederà una branda da met-tere in salottino TV e Blessing sarà loro ospite provvisoria. Noi intanto prepariamo il dossier per chiedere l’ospitalità in una casa-famiglia di don Benzi. In attesa della risposta, sarà accolta per qualche giorno an-che presso le suore a Tambre. Poi si bussa ad altre porte, a Sedico, a Belluno, ma senza successo. Tutti sono dispiaciuti ma il momento è difficile e complicato. Per venirne a capo ritorniamo a Feltre: Le Suore la ospitano per la notte, la parroc-chia durante il giorno, dove dimo-stra buona volontà di lavoro casa-lingo e impegno per apprendere l’italiano.

ConclusioneInevitabile il mormorìo della gen-

te: che cosa ci fa quella ragazza in parrocchia? Ma è difficile spiegarlo a tutti finché la vicenda non si con-clude. Si concluderà infatti un paio di mesi dopo con l’accoglienza in una casa-famiglia. Verrà accompa-gnata da tre parrocchiani che ave-vano capito che non sempre la ca-rità è esente da rischi e da fatiche

e che la persona in difficoltà ha bi-sogno di essere aiutata e non solo compatita. E che la denuncia della situazione non deve essere fatta a spese del malcapitato, cioè lascian-dolo solo in balia di una burocra-zia infinita. San Paolo dice che “La carità è il vincolo della perfezione”. Il che significa che è la carità che rende perfetta ogni azione, ogni pensiero, ogni intenzione ed ogni sentimento. Senza la carità operati-va, senza l’aiuto diretto al bisogno immediato della persona, Blessing poteva essere sparita nuovamente. Questo capitolo della sua storia si è conclusa a lieto fine.

Tornata, era tentata di abortire…Oggi ha la grazia di essere diventa-ta mamma e di sognare un avveni-re normale con un lavoro normale, una abitazione normale, e una vera famiglia. E preghiamo che ciò si av-veri anche per tante altre cadute nella rete dei trafficanti di ragazze e bambini, che in numero crescen-te chiedono aiuto alle case di acco-glienza della comunità Papa Gio-vanni di don Benzi ai cui operatori leviamo il cappello e ringraziamo a nome di tutte loro e a nome di tut-ta la chiesa.

Azalea – Fiore della fortuna.

68Il coraggIo della lIbertà

Il mio peluche si chiama Eze che nella mia lingua si-gnifica Re. È un orsacchiot-to da cui non mi voglio staccare. È il primo amico che ho avuto e mi ricorda il pupazzetto con cui gio-cavamo mia sorella ed io

in Nigeria, bambine povere ma fe-lici, bambine ignare di tutto il male che c’è anche fuori dalla Nigeria. Me lo ha regalato una volontaria dell’unità di strada della Comunità

Papa Giovanni XXIII quella notte in cui finalmente sono riuscita a scap-pare dall’inferno. È il più bel regalo che potesse farmi in quel momen-to di confusione in cui ritornavo ad essere io, una dodicenne traspor-tata in Europa, vergine, destinata ai bordelli della Germania.

Ricordo che quando arrivai sul-le coste della Sicilia, sopravvissuta alla traversata del Sahara, soprav-vissuta al rischio di violenze in Libia, sopravvissuta al viaggio in

ITALIA Comunità Papa Giovanni XXIIIL’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata nel 1968 da don Oreste Benzi, è impegnata da allora, concretamente e con continuità, per contrastare l’emarginazione e la povertà. La Comunità lega la pro-pria vita a quella dei poveri e degli oppressi e vive con loro, 24 ore su 24, facendo crescere il rapporto con Cristo, «perché solo chi sa stare in ginocchio può stare in piedi accanto ai poveri». Ha fatto proprio, tra gli altri, il dramma della tratta di minori a scopo di sfruttamento sessuale. Grazie alla forza dei suoi membri, dei volontari e di chi la sostiene la Co-munità Papa Giovanni XXIII porta avanti il grande progetto di solidarietà di don Oreste: essere famiglia con chi non ce l’ha.A Belluno, la comunità non è direttamente presente, ma abbiamo avuto la fortuna di entrare in contatto con Irene Ciambezi, referente per l’Emilia del servizio anti-tratta della Comunità e autrice del libro “Non siamo in vendita”. Irene ha condiviso con noi la testimonianza di Chidimma, una bambina nigeriana che ora, nella comunità, ha trovato una famiglia. Ripor-tiamo alcuni tratti della sua storia, contenuti nel capitolo 3 del libro.

Storia di Chidimmache vuol dire “Dio è buono”

I

Notizie - N. 2869

mare, non sapevo nemmeno che esistesse l’Italia. Conoscevo a ma-lapena alcuni paesi vicini alla Nige-ria; avevo sentito parlare del Niger, del Benin, del Ghana, ma non sa-pevo nulla del mondo oltre i nostri soliti confini.

Sapevo solo che ero fortunata rispetto a tanti altri migranti che erano morti di stento o erano stati uccisi durante il viaggio. Io ero so-pravvissuta: avevo 12 anni ed ero miracolosamente ancora vergine.

Mama Twins mi disse che mi sarei dovuta prostituire, che non sarei mai andata a lavorare in una fami-glia ricca come mi aveva promesso all’inizio, che l’unico lavoro anche per le altre ragazze nigeriane che vivevano con me era stare dalle 9 di sera fino alle 2 del mattino a cer-care clienti tra le auto che passano in strada. Mi spiegò come attirarli, quale listino dei prezzi proporgli, quali rapporti dovevo accettare. Mi fece vedere il mio posto e quello di un’altra ragazza nigeriana che vive-va con me e che, essendo più gran-de, mi avrebbe controllato. Alle 2 di notte ci avrebbe portato a casa un uomo italiano con l’auto bianca, che chiamavamo driver, del quale la madame mi obbligò a segnare il numero sul mio cellulare.

Davanti a tutte queste lezioni di crudeltà io ero impietrita e piansi, piansi, piansi tutte le mie lacrime. In quella strada buia di periferia non vedevo in quella notte nessu-na via d’uscita.

[…]

E fu solo l’inizio della fine. In quel tratto di marciapiede, sono stata violentata ogni notte da alme-no dieci clienti. Dovevo pagare in una settimana almeno 500 euro e anche il marciapiede era da pagare a chi controllava quella zona: 200 euro di “affitto”.

[…]Come si fa a chiamare lavoro tut-

to questo schifo? La prostituzione non è un lavoro! È una tortura! Chi ti compra ti obbliga a fare quello che vuole e non glielo puoi impe-dire. Potrebbe anche ucciderti e nessuno può accorgersene.. Le isti-tuzioni dovrebbero punire i clien-ti, perché se non ci fossero loro, noi non saremmo in vendita, e poi dovrebbero trovare un modo per chiudere le frontiere ai trafficanti, per impedire che portino tante ra-

Orchidea – Fiore dell’armonia.

70Il coraggIo della lIbertà

gazzine disperate in Italia a prosti-tuirsi.

Io sono stata fortunata. Quella sera per la prima volta in

quel pulmino bianco una donna mi chiese in inglese: «Come stai?», e ancora: «Stai soffrendo tanto ma non puoi dire la verità a nessu-no vero?». E mi disse espressamente che potevo scappare. Lei sapeva tutto! Mi spie-gò che non dovevo pa-gare il debito, che non dovevo essere schiava ma una ragazza libe-ra di andare a scuola, al cinema, a ballare come le ragazzine della mia età… Potevo essere libera e avevo finalmente una via d’uscita! Do-vevo fidarmi di loro, salire su quel pulmino e non aver paura se chia-mavano la polizia perché non mi avrebbero mai lasciato sola.

È stata la fine di un incubo. Quan-do mi sono risvegliata, ero al sicu-ro.

Oggi ho una vita nuova e ho ri-cominciato a sorridere. In questo nuovo percorso della mia storia ho riscoperto la mia fede cristiana. Dio mi ha davvero salvata e mi ha dato la forza di sperare quando ero nel buio più buio.

Ho ricominciato a pregare ogni giorno, ad ascoltare la parola di Dio e ad andare in chiesa. Quello che mi colpisce di più è che il sa-cerdote non guarda al vestito che metti o a quanto metti nel cestino durante l’offertorio, si preoccupa

che io mi senta voluta bene e per-donata da Dio.

Ho tanto bisogno di essere per-donata e di perdonare. Ci sono due passi del Vangelo che mi han-no aiutato di più a sopravvivere: «Ama il prossimo tuo come te stes-so», e poi ancora: «Non temere, io

sono con te».D’altra parte se Dio

non mi avesse protetta non mi sarei mai po-tuta salvare, di certo sarei morta. Molte al-tre bambine e ragazze sono morte prima di

arrivare in Europa. Io oggi invece sono viva!

Grazie alla famiglia della Comu-nità che mi ha accolto, ho frequen-tato un corso di alfabetizzazione e ora sto frequentando la scuola me-dia. Dopo questo anno di violenze e torture posso vivere finalmente come tutti gli altri tredicenni. Mi piace ballare, cantare e giocare a pallavolo: oltre alla scuola sono queste le mie attività durante il giorno. È fantastico! Oggi non devo più dormire durante il giorno per recuperare le forze e andare a lavorare in strada di notte.

Ho tanti desideri per il mio fu-turo: vorrei proprio diventare avvocato un domani per aiutare tante donne e tante bambine che come me sono costrette a subire quest’orrore. So che è molto diffi-cile ma sarebbe un modo per inter-rompere il traffico di esseri umani.

Quando sono andata a fare la de-

Io ero impietrita e piansi, piansi, piansi tutte le mie lacrime.

Notizie - N. 2871

nuncia dei miei sfruttatori avevo tanta paura. In Nigeria nessuno si fida della polizia perché è corrot-ta. Può picchiarti o metterti in pri-gione se qualcuno li ha pagati per questo. Ma quando sono andata in Questura c’era una donna, una poliziotta che mi ha tranquillizza-ta, mi ha parlato con voce calma e con chiarezza. È lei che ha raccolto la mia storia. Ha avuto la pazienza di ascoltarmi per più di tre ore la prima volta con l’aiuto di una me-diatrice culturale del mio paese.

Ancora oggi a vol-te mi sale l’angoscia, ritornano nella mia mente tutti i ricordi e mi sembra di morire. Mi manca molto la mia famiglia. I miei sono morti prima che lasciassi la Nigeria e non ho

più nessuno tranne una nonna an-ziana, che mi ha cresciuto dopo la

loro morte. Con l’aiu-to della mia psicologa giorno dopo giorno però questa ansia e tristezza si presentano sempre di meno. E poi quando la mia mamma affidataria mi abbrac-

cia e mi lascia piangere, dopo un po’ tutto passa.

Stai soffrendo tanto ma non puoi dire la verità a nessuno vero?».

Crisantemo – Fiore della vita.

72Il coraggIo della lIbertà

Letture, approfondimentie racconti a tema

(REPERIBILI PRESSO GLI UFFICIDEL CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO)

TurismoresponsabileUn racconto di Mario Bottegal

Fino a pochi decenni fa, rare era-no le persone che intraprendeva-no viaggi per diporto per vedere il mondo: qualche ricco “strambo” e qualche spirito avventuroso. Oggi invece le cose sono radicalmente cambiate. Un mare di gente ogni anno si sposta da un continente all’altro per turismo o per fare va-canze “diverse”. Tutto questo sta creando dei problemi non indif-ferenti e ciò perché, tutte queste persone che vanno in giro, non sono educate al rispetto né delle persone con culture diverse, né dell’ambiente che vanno a vedere.

C’è da dire anche che, da una parte, il turismo rappresenta per chi lo pratica, motivo di svago, studio e avventura, cose queste le-gittime ma, dall’altra e per molti, è motivo di iniquità, immoralità, de-pravazione ecc.. Il turismo è diven-tato un grosso affare e i responsa-

bili del settore, senza scrupoli, ne pensano una al giorno pur di invo-gliare la gente, realizzando com-plessi faraonici che, da una parte offrono tutto e di più e dall’altra non hanno nessun rispetto né per la natura, che viene inquinata in modo pazzesco, né per la gente lo-cale che viene sfruttata come ma-nodopera a basso costo oltre che derisa per le proprie tradizioni e costumi. Chi va in vacanza in paesi esotici deve sapere che neanche le briciole di quanto spendono va a beneficio dei poveri di quelle zone. Essi continuano a rimanere indigenti.

Sentite questa, mia figlia, un mese fa, si trovava per lavoro a Rio de Janeiro. Al suo ritorno mi raccontò che, nell’Hotel dove era ospitata, venivano organizzate del-le gite nelle favelas per andare a vedere i miseri. Naturalmente con pulmini speciali ed accompagnati dai “gorilla” della Security. Pensate un po’!

Secondo me è tutta la filosofia dell’andare che deve essere rivista.

Notizie - N. 2873

Il coraggiodella libertà(Blessing Okoedion con Anna Pozzi)

Blessing Okoedion racconta la sto-ria di liberazione, accompagnata dalla Casa Rut di Caserta.

Spezzare le catene: la battaglia per la dignità delle donne(suor Eugenia Bonetti e Anna Pozzi)

Alcuni libri di suor Eugenia Bonet-ti, responsabile dell’Ufficio “Tratta donne e minori” dell’USMI:

Schiave(suor Eugenia Bonetti e Anna Pozzi)

Dietro le sbarre(suor Eugenia Bonetti)

74Il coraggIo della lIbertà

Non siamo in vendita(Irene Ciambezi)

Tre ragazzine: 15 anni, 17, 13. Sto-rie partite da lontano ma finite ac-canto a noi. Questo libro offre una via d’uscita per spezzare questa ca-tena. Un libro dalla Comunità Papa Giovanni XXIII.

Le ragazze di Benin City La tratta delle nuove schiave dalla Nigeria ai marciapiedi d’Italia(Isoke Aikpitanyi e Laura Maragnani)

Isoke è arrivata in Italia a vent’anni: le avevano promesso un lavoro di commessa, si è ritrovata a vivere in schiavitù. Oggi, finalmente libera, racconta la vita, la tratta, i clienti, i sogni delle ragazze da marciapiede.

Osare la speranza(suor Rita Giaretta – Sergio Tanzarella)

Un libro di Suor Rita Giaretta, orso-lina di Casa Rut.

Canzone:Ebano(Modena City Ramblers)

Per l’Africa, contro lo sfruttamento della donna.

Notizie - N. 2875

Fuga dall’Isis, reportage sulle donne fuggite dal CaliffatoDocumentario sottotitolato in Ita-liano, racconta la sofferenza del mondo femminile nei paesi dove è presente il Califfato. Storia di mi-gliaia di donne che dopo violenze e soprusi fuggono per poter avere una vita normale. Alcune di queste, abbandonando tutto il loro passato e affetti, a volte riesce a rifugiarsi in paesi limitrofi.http://video.sky.it/news/mondo/fuga_dallisis_reportage_sulle_donne_fuggi-te_dal_califfato/v267121.vid

Zoe(Francesco Vidotto)

Lo scrittore Francesco Vidotto, di Tai di Cadore, racconta di Zoe, una prostituta Keniota, del suo destino e della sua rivincita.

Talking to the treesè il titolo di un film-denuncia del-la piaga del turismo sessuale che, secondo le stime dell’associazio-ne Ecpat, coinvolge ben 40 milioni di bambini in 82 Paesi del mondo. Racconta di un viaggio verso la li-bertà nel cuore della Cambogia .

Cucire la speranza(suor Rosemary Nyirumbe)

Un libro di suor Rosemary, la don-na che ridà dignità alle bambine soldato in Uganda.

76Il coraggIo della lIbertà

PROGETTO:

Le ragazzedi Benin City(Gaetano Lo Presti)

Tra l’aostano Claudio Magnabo-sco e la nigeriana Isoke Aikpitany tutto è nato su una panchina di Porta Nuova, a Torino, con le clas-siche domande “quanto vuoi?” e “dove andiamo?”.

Il progetto “Le ragazze di Benin City” mira a liberare le schiave del sesso, cercando, anche, di aiutare i clienti a superare il loro disagio con l’apporto di gruppi spontanei di auto-mutuo aiuto. L’esperienza è sfociata nella costituzione, nel dicembre 2006, di “Le ragazze di Benin City”, un’associazione infor-male delle ragazze africane vittime o ex-vittime della tratta, alla quale possono aderire tutte le donne che vogliano fare qualcosa di con-creto per risolvere il problema.

«Perché – aggiunge Magnabo-sco – la risposta deve venire dalla gente, non dalle istituzioni o dal-la Chiesa. Questi, semmai, devo-no intervenire dopo. E la risposta consiste in una rete informale che contatti le ragazze, per, poi, affidarle a degli “sponsor” che le aiutino a studiare e ad inserirsi in realtà lavorative. È in questo modo che ne abbiamo tolto molte dalla strada».

INIZIATIVEGiornata Mondiale ecclesiale controla trattaDal 2015, si celebra la giornata mon-diale ecclesiale contro la tratta, in tutte le diocesi e le parrocchie del mondo, nei gruppi e nelle scuole, ogni anno nel giorno 8 febbraio, Festa di Santa Giuseppina Bakhita, schiava sudanese, liberata e dive-nuta religiosa canossiana, canoniz-zata nel duemila.

«La tratta delle persone è un cri-mine contro l’umanità. Dobbiamo unire le forze per liberare le vittime e per fermare questo crimine sem-pre più aggressivo, che minaccia, oltre alle singole persone, i valori fondanti della società e anche la si-curezza e la giustizia internaziona-li, oltre che l’economia, il tessuto familiare e lo stesso vivere sociale»

Papa Francesco

Camminatada Viterbo

fino a RomaQuando? 23-27 agosto 2017Cosa? Marcia per la lotta contro la tratta delle donne.Dove? Lungo la via francigena, da Viterbo a Roma. Info? Informazioni alla mail:[email protected]

NotizieCentro Missionario di Belluno-Feltre

Hanno collaborato a questo numero: Mario Bottegal, don Luigi Canal, don Ezio Del Favero, Josè Soccal, Chiara Zavarise,i nostri missionari e collaboratori

Redazione c/o: Centro Missionario Belluno-FeltrePiazza Piloni, 11 - 32100 Belluno – Tel. 0437 940594centro.missionario@diocesi.itwww.centromissionario.diocesi.it

Direttore di redazione don Luigi CanalResponsabile ai sensi di legge don Lorenzo Dell’AndreaStampa Tipografia Piave Srl - BellunoIscrizione al Tribunale di Belluno n. 1/2009

CENTRO MISSIONARIO DIOCESANOIBAN Bancario Unicredit IT73U0200811910000002765556 intestato aCentro Missionario DiocesanoP.zza Piloni, 11 – 32100 Belluno

Questo numero di Notizie riporta diverse realtà che ope-rano in favore delle donne e della loro libertà. È possibile aiutarle attraverso il nostro

“Il coraggio della libertà”Non più schiave

La parola del direttore pag. 1

Testimonianze dal mondo pag. 9

Testimonianze in Italia pag. 44

Letture, approfondimenti e racconti a tema pag. 72

Iniziative pag. 76

Foto di copertina

Tre nuove vite in periodo pasquale a Casa Rut – Caserta (Cfr. pag. 47)

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STRUMENTO DI INFORMAZIONE MISSIONARIA

Centro Missionario DiocesanoDiocesi di Belluno-FeltreP.zza Piloni, 11 32100 BellunoTel. 0437 940594centro.missionario@diocesi.itwww.centromissionario.diocesi.it

Maggio 2017 - N. 28

Il coraggiodella libertà

Non più schiave

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