Della commedia presso i greci, i latini e gl’italiani · Della Commedia presso i Greci. 1. Del...

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TITOLO: Della commedia presso i greci, i latini, e gl'italianiAUTORE: Beccaria, CesareTRADUTTORE:CURATORE:NOTE:

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TRATTO DA: Della commedia presso i greci, i latini, e gl'italiani : studii / di Cesare Beccaria. - Roma etc.! : E. Loescher, 1874. - VIII, 352 p. ; 20 cm.

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DELLA COMMEDIAPRESSO

I GRECI, I LATINI, E GLITALIANISTUDII

DI

CESARE BECCARIA

ROMA TORINO FIRENZEERMANNO LOESCHER

1874

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Indice generale

AL LETTORE................................................................9LIBRO PRIMO.Della Commedia presso i Greci....................................12LIBRO SECONDO.Della Commedia presso i Romani..............................150LIBRO TERZO.Della Commedia presso gli Italiani............................313INDICE.......................................................................480ERRATA - CORRIGE................................................484

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ILLUSTRISSIMI SIGNORI

SINDACO E CONSIGLIERI DEL COMUNE DI SARZANA

E dissi che al lor nome il mio desireApparecchiava grazioso loco.

DANTE, Purg. XXVI, 137.

Come prima, Illustrissimi Signori, deliberai di pubbli-care questa mia opericciuola, primo e tenue frutto de miei letterarii studii, mi corse alla mente chio avrei fat-to cosa a Voi non discara, a me onorevole e carissima, sio lavessi a Voi dedicata, acciocch sotto lauspizio vostro, e dellalta vostra protezione munita, pi balda e pi sicura uscisse alla luce. In su questo pensiero ve ne feci richiesta, e Voi, da quecortesi e generosi favoreg-giatori de buoni studii che siete, accolta benignamente la mia domanda, vi degnaste gradire lomaggio chio in-tendeva prestarvi; onde di presente mi gode lanimo di porgervene pubblicamente le pi vive e sentite grazie, e colle dovute laudi commendare e celebrare la grandezza dellanimo vostro.

E invero, chi ben considera, a niuno meglio che a Voi avrei io potuto questo piccolo lavoro dedicare, concios-siacch dovesse per due ragioni principalmente a Voi in-titolarsi, e dirsi al tutto vostro. E prima, lessere io stato in questa illustre citt, da Voi con tanto senno ed amor

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governata, graziosamente ricevuto ed ospitato oggimai da tre anni, e lavervi riscontro persone non meno assen-nate e colte che benevoli e gentili, imponevano a me il dovere di corrispondere, comio potessi il meglio, a tali benefizi, e dingegnarmi far palese quanto dentro della-nimo vivamente li sentissi e giustamente li apprezzassi, essendo offizio delluom dabbene non pure lessere gra-to, ma la gratitudine altres con esterni segni chiarire e provare, anzi, come Dante dice (Parad. VIII, 57), mo-strare dellamore pi oltre che le fronde; cosa la qual pi acconciamente non mi sarebbe venuta fatta che col consecrare a Voi quello io avessi di meglio e di pi caro. In secondo luogo, ponendo mente alla piccolezza e me-schinit del mio lavoro, io dovevo, come padre accorto ed amorevole fa del figliuolo difettoso, trovargli protet-tori e tutori siffatti, che col nome loro illustrandolo gli dessero reputazione, e quella grazia presso le persone gli procacciassero, che in s non avrebbe; ed anche qui non potevo far scelta pi savia, che di uomini, quali Voi siete, di senno e valore sperimentati, danimo ornato e colto, di cuore gentile e generoso; doti, le quali mi sono cagione a bene sperare, che per rispetto vostro molti al-lopera mia faranno buon viso, e chio sar, per valermi delle parole del Macchiavello, (Ded. dellIstor. Fior. a Clem. VII) dalle armate legioni del vostro autorevole giudicio aiutato e difeso, se per avventura ad altri en-trasse la voglia di mordermi e dir male del fatto mio.

Che se uom dicesse essere presunzione dedicare a s nobile Consesso un libro pressoch da nulla, risponderei appartenere anzi agli uomini veramente grandi e degni il

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pigliar di buon animo la protezione e la tutela de piccoli e degli umili, e colla loro fortezza laltrui debolezza av-valorare.

Adunque, Illustrissimi Signori, accogliete come cosa vostra, e con quel cuore con cui io ve loffro e presento, questo mio qualsiasi dono, e sappiate che lopera mia in tutto ed a Voi soli con me medesimo affido e raccoman-do.

Sarzana, 16 maggio 1874.Vostro Devotmo Servo

CESARE BECCARIA.

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AL LETTORE

Quid dignum tanto feret hic promissor hiatu?(HOR., Ep. ad Pis., 138.)

Lettor mio cortese, dopo aver veduto il titolo del libro io metto pegno che ti verr in mente il citato verso di Orazio, di che promettendoti maggior cose, chio atte-nerti non possa, e trovandoti, come abbi letto lopera, della aspettazione ingannato, avrai a soggiungere que-staltro che segue: Parturiunt montes nascetur ridiculus mus. Acciocch dunque non accada siffatto sconcio con mio biasimo, e con dispiacer tuo, io ti vo ammonire fin da principio, che il mio libro non , n pretende essere un gran fatto, sebbene porti un titolo alquanto fastoso, e che io non ho inteso in niun modo dallacciarmi la gior-nea, e farla da maestro a chicchessia, potendo anzi per et e per dottrina essere scolare di ognuno. A che dun-que, dirai, venir fuori con coteste tue chiacchere? tu po-tevi bene startene ed attendere ad altro. Ecco: mi parve, che la commedia classica delle tre nostre letterature non fosse avuta in quel conto chella si merita, e da molti forsanche poco conosciuta: onde, trovandomi aver fatto sopra di essa qualche studio un po accurato, disegnai di stendere questo scritto e pubblicarlo, acciocch duna parte servisse a chi ne sappia meno di me come a dir duna guida in tale studio, e dallaltra muovesse a trattar pi degnamente questo soggetto chi sia fornito dinge-

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gno pi balioso del mio, e di pi soda dottrina nutrito. Ho trattato adunque della commedia classica, e questo aggiunto ti far intendere perch, quanto alla commedia italiana, io non sia andato pi in l del cinquecento, poi-ch soltanto allepoca detta della rinascenza delle lette-re, come in ogni altro genere, cos nel comico si ormeg-giarono i Greci ed i Latini, mentre dappoi i modelli si trassero daltronde, e sullesempio del francese Molire si cre in Italia un nuovo modo di commedia.

Ma come io nabbia trattato, tu, o lettore, giudicherai. I difetti di lingua e di stile (lasciando alla tua indulgenza quelli di stampa), le inesattezze di dottrina e di erudizio-ne, le mancanze di ordine lucido e di acconcio metodo essendo per avventura pi che io non mi figuri, faranno a pi duno torcere il viso; ond chio voglio o lettore, affidarmi alla tua discretezza, e ricordarti, che anche a far male si dura fatica, e, se non altro, si d ad altrui oc-casione di far bene e meglio; ed anche m duopo pre-gare chi nelle lettere sia pi innanzi di me a volermi cor-reggere ed insegnare, cosa chio non avr altro che cara, poich posso almeno dir col Petrarca (Trionfo dAm., cap. I.) chaltro diletto, che mparar, non provo.

Vivi felice.

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DELLA COMMEDIA PRESSO I GRECI, I LATINI E GLI ITALIANI

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LIBRO PRIMO.

Della Commedia presso i Greci.

1. Del bello. Il bello, al dir di Marsilio Ficino, altro non che il fiore del buono, a cui esso va essenzialmen-te unito, e ne inseparabile, in quella guisa, direbbesi, che la fiamma un prodotto del fuoco, il quale in essa dimostra pi incandescente e pi brillante la sua sostan-za; ed essa stessa fuoco (come il bello pur esso buo-no) e dal fuoco indisgiungibile, ma lo segue, come dice Dante (Purg., XXV, 97), l vunque si muta. E come la fiamma segno del fuoco, cos del buono il bel-lo; ed oltre esserne il segno, n ancora attrattiva poten-te, e direi quasi irresistibile; che pure un pensiero dello stesso Ficino: Bonitatis florem quemdam esse pulchritu-dinem volumus, cujus floris illecebris, quasi esca qua-dam, latens interius bonitas allicit intuentes. Laonde gli per mezzo del bello specialmente che luomo muovesi al buono, ed al tocco di questa corda che vibra tutta lanima umana, e dispiega, stende e sviluppa ogni sua potenza e tutta intiera la sua attivit.

2. Del bello della natura. Tale essere lordine di na-tura io ravviso nellavere il Creatore circondato luomo duno spettacolo s svariato e s magnifico di eterne bel-lezze, quante ne presenta il mondo sensibile, e nellaver-lo collocato, in sul primo nascere, nellorto delle delizie,

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acciocch fattosi scala di questo gradatamente salisse al mondo ideale, e portato sullali del bello spaziasse per le serene e tranquille regioni del vero e del buono. Dio stesso, se mi lecito esprimermi cos, si nascose dietro questo immenso apparato di bellezze sensibili, e se ne ammant come di ricca e nobil veste, e di s nel cuor delluomo accendendo sete inestinguibile, lasci chegli senza posa lo investigasse con ansia affannosa, e quasi cercasse di toccarlo con mano dietro alla coperta del sensibile, e dalla contemplazione del bello innamorato di Lui, si sforzasse di penetrare alfine questa quasi invo-glia estrinseca, e con Lui sommo vero, sommo buono, sommo bello stringersi e rannodarsi col pensiero e col-laffetto.

3. Dellarte, dellarti belle, ed in ispecie della poesia e della musica. Larte, che figlia di natura, e cui quanto puote, al dir dellAlighieri (Inf., XI, 102), segue, come il maestro fa il discente, sicch a Dio... quasi ni-pote, mantenne sempre lordine stesso; e il suo magiste-rio, che ben si pu dir divino, fu sempre di condurre per mezzo del bello gli uomini al vero e al buono, e dalla bellezza sensibile rapirlo con volo sublime alla bellezza intellettuale e morale, di cui quella soltanto vestigio ed impronta ed una specie di richiamo. Quindi ecco nate le belle arti, che a ragione si chiaman sorelle, perch rap-presentano un medesimo concetto sotto aspetti e lati di-versi, e con vario ministero adempiono ad un medesimo ufficio; e prime fra esse la musica e la poesia, perocch le altre non ebbero sviluppo se non quando progredita

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ed estesasi la civilt per il maggior ravvicinamento dei popoli e per il cresciuto commercio didee e di cogni-zioni gli uomini sentirono il bisogno e la capacit di esprimere e scolpire sulle tele e sui marmi i proprii pen-sieri e le proprie immaginazioni. La poesia e la musica nacquero a un corpo, e furono negli antichi tempi inti-mamente congiunte, per modo che n poesia senza mu-sica si conosceva n musica senza poesia. Ed naturale, poich la poesia in generale, e massime la primitiva, il linguaggio passionato dellanima rapita come in estasi dallammirazione del bello e tocca da un sentimento e da un affetto potente; e luomo, eccitato in questo modo, direbbesi con parola dantesca che si trasumana, la sua voce plus quam mortale sonat, s un che darcano e di divino, abbandona il modo piano e dimesso di favellare, ed esce in vere cadenze musicali, or rapide or lente, or mosse or gravi, secondo limpulso loro dato dallanima del poeta. Che se pi tardi si music ancora la prosa, ed Erodoto, come si legge, a giuochi olimpici cant le sue istorie, e nebbe premio, devesi osservare che non preci-samente nella forma e nellartifizio esteriore consiste la poesia, ma nel concetto e nella forza ed elevatezza dun pensiero ardito ed immaginoso: onde vere e sublimi poesie sono non solo le bibliche, ma e le istorie altres di Erodoto, cui egli stesso (avendo in mente di scrivere pi che una storia, nel senso inteso da noi, un poema) intito-l dalle nove Muse. Quel Romano oratore s celebrato, il quale prima di esordir lorazione facevasi dare il tono col flauto da uno schiavo, dovette forse, a parer mio, usare nelle aringhe una cotal specie di canto simile, per

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mo di dire, a quello in cui Erodoto cant le sue Muse.Daltra parte vive anche adesso un canto antichissi-

mo, appellato Gregoriano da quel pontefice che ne fiss le norme e le leggi e ne stabil pei chierici pubbliche scuole, il quale sadatta benissimo alla prosa, ed offre tal maestosa gravit ed espressione patetica di sentimento che a giudizio dei migliori musici moderni in molti punti inarrivabile ed inimitabile dal canto figurato. Ora questo canto non fu gi inventato dalla Chiesa, che lus ed usa di presente, ma ella dai Greci probabilmente il tolse, e con qualche modificazione ladatt a suoi biso-gni; onde nulla vieta di credere che identico o simile al-meno fosse il canto applicato dagli antichi alla prosa: il che veramente io non oso asserire, bastandomi davere esposto questi pensieri a mo di dubbio, e di sottoporli ora al giudizio del lettore intelligente. Certo tuttavia, che presso gli antichi alla Poesia fu come a dir ancella la Musica, e non venne mai questa riguardata come princi-pale, tenendosi paga del secondo luogo; ellera a guisa dun velo delicato e sottile che veste persona formosa, il qual ne lascia trasparire tutte le forme distintamente e le rende pi piacevoli e pi eleganti per modo che chi con-templa non sia s rapito dallo sfoggio del velo che di-mentichi la persona, ma luno e laltra uniti in bellar-monia ammiri con soddisfazione e diletto. Il contrario dei giorni nostri, quando il canto ha soverchiato la poe-sia, e la fuga delle note, i gorgheggi, i ritorni, le ripeti-zioni, il frastagliar le parole oscurano ed intenebrano la poesia ed impediscono dintendere che cosa si canti, sic-ch poco importi oggimai in qual lingua sia scritta la

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composizione, poich chi va allopera, non daltro si cura che di sentire una bella musica; il che se sia un mi-glioramento nellarte, non saprei.

da osservare ancora che laccompagnamento instru-mentale era semplicissimo, e da prima principalmente nei cori drammatici non era che il flauto detto dai Greci, e da latini tibia1 dallo stinco degli animali e par-ticolarmente di alcuni uccelli ondera formata, e, pi che ad accompagnare il canto dovette servire a mantenere in tono i cantori. Orazio nellepistola ai Pisoni a questo proposito dice cos (vers. 202 e seg.):

Tibia non, ut nunc, orichalco vincta tubquemula, sed tenuis simplexque foramine paucoAspirare et adesse choris erat utilis, acqueNondum spissa nimis complere sedilia flatu,Quo sane populus numerabilis, utpote parvusEt frugi, castusque verecundusque coibat.

Ma pi tardi, nota ancora Orazio, cresciuto il lusso ed il fasto ed introdottasi nei costumi licenza maggiore, si corruppero musica e poesia abbandonando la primitiva semplicit, e si diede nelleccessivo e nellaffettato (Ibid., v. 216):

Fidibus voces crevere severis,Et tulit eloquium insolitum facundia prceps.

Questi pochi cenni bastino per la musica, la qual non entra nello scopo che mi sono proposto in questa operet-

1 Delle varie sorta di tibie presso i Greci ed i Romani vedi il Rich, Dizion. dantichit greche e romane ad voc.

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ta. Ora verr alla poesia, e brevemente detto di essa in generale, mi fermer poscia alla poesia drammatica e propriamente alla comica.

4. Della poesia, e prima della divina. La poesia in principio non serv quasi ad altro che alla religione, pri-mo e principale affetto delluomo, ed a conservare e tra-mandare a posteri le patriarcali tradizioni della fami-glia, nelle quali tutta stringevasi la sapienza de popoli e rannodavansi le leggi e le costumanze, riguardate ancor esse come sacre e perci alla religione appartenenti. Era questo un codice prezioso che scrivevasi nei cuori, e ge-losamente conservato trasmettevasi di padre in figlio come sacro retaggio, ed intorno ad esso si raggruppava-no mano mano i fatti e gli avvenimenti di qualche im-portanza, s privati come pubblici; s fisici come morali. I dogmi religiosi e le istituzioni famigliari e patrie che armonizzavano s bene il consorzio umano e sociale do-vettero essere espressi mediante larmonia del verso da popoli, che vergini ancora e di sentimento delicato e squisito agevolmente venivano compresi dallentusia-smo e dal sacro fuoco di poesia.

La bibbia, il pi antico libro che si conosca, in ogni sua parte eminentemente poetica, e dove narra la genesi del mondo, e dove conta le vicende del popolo ebreo, e dove ne assegna per minuto i riti, le leggi, le costuman-ze, e dove registra i fasti dei due regni e delle due mo-narchie di Giuda e dIsraele: ma divinamente poetica in Giobbe, tipo dellumanit colpevole percossa da Dio e pur serena ed illuminata dun raggio di speranza; nel li-

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bro di Ruth, storia s ingenua e s schietta che innamora; ne salmi, aspirazione dellanima in tutti i secoli, che sono come il fuoco duna lente in cui si raccolgono e sincentrano tutti i raggi della poesia ebraica; nella can-tica, il pi antico e pi bello idillio pastorale che si co-nosca; ne libri sapienziali, primo modello di poesia gnomica, al cui paragone troppo sottostanno i versi au-rei attribuiti a Pitagora; ma, pi che in altri, ne profeti, ne cui carmi fatidici si racchiude tutto che abbia dim-maginoso, di grande, di sublime la poesia.

Cos ancora presso gli altri popoli la poesia si ristrin-se nella cerchia religiosa; e poetici furono presso gli In-diani i libri sacri noti sotto il nome di Veda, che ispiraro-no il Ramayana di Valmici2, come i sacri inni dei Greci e lepopea dOmero. Anzi, s intimo ed esclusivo fu il nesso della poesia colla religione, che i poeti furono ri-guardati come messaggieri ed interpreti degli Dei e cre-duti divinamente ispirati e forniti di spirito profetico, in guisa che essi furono dapprima sacerdoti e reggitori di popoli, e loro fu dai Greci attribuito un nome proprio di Dio, poich , dal verbo fare, suona lo stesso che fattore o creatore; e presso i latini Vates si-gnific egualmente e poeta e profeta ed indovino. Poeti-ci furono altres i responsi degli oracoli, e la poesia serv ad involgerli nella sacra oscurit del mistero, e talmente poetici, che Orazio la soverchia e fragorosa elevatezza della poesia drammatica paragon agli oracoli dicendo:

2 Di questo vasto e maraviglioso poema vedi la bella versione italiana del sig. Gaspare Gorresio, bibliotecario dellUniversit di Torino, studiosissimo delle antichit indiane. Milano, 3 vol. in-8.

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Sortilegis non discrepuit sententia Delphis3. Cos pure leggiamo in Virgilio che Enea, ito alla Sibilla4 di Cuma a sapere i futuri eventi che lo aspettavano in Italia, la prega di non iscrivere i responsi cui appella Carmi sulle foglie secche, che il vento non le disperda: Foliis tan-tum ne carmina manda, Ne turbata volent rapidis lu-dibria ventis5: e soggiunge: ipsa canas oro. Ancora le scienze teurgiche ed occulte e le magiche arti s rinoma-te in Tessalia, onde anche tolsero il nome, le quali paio-no avere un rispetto alla divinit, od almeno una cotal relazione con enti soprasensibili, mediante carmi miste-riosi, celebri ancora nei nostri poeti epici e romanzeschi, costringevano gli spiriti ed operavano effetti prodigiosi. Lino, Museo, Orfeo, cantori e poeti vetusti fra i Greci, presentano un carattere divino ed hanno dagli Dei la missione di ammansare, dirozzare e incivilire gli uomi-ni: Orfeo anzi marito ad una ninfa delle Driadi, e mor-ta la ritrae dallErebo e riconducela a rivedere le stelle, addormentato Cerbero ed impetrata grazia da Proserpina colla dolcezza della lira e del canto. Sacri a celebrare le lodi di ciascuno degli Dei sono gli inni6 attribuiti ad Omero ed agli Omeridi, e forse si cantavano dal popolo nelle loro solennit.

3 Ep. ad Pis., 218.4 Sibilla, parola composta dal greco, significa Consilium Dei,

da laced. e ion. per , Dio, usato ancora da Aristofane (Ach., 905), e , consiglio. Cos Lattanzio e Servio.

5 Eneide, VI, 74.6 Sono trentatre intitolati: , inni o prelu-

dii.19

5. Poesia eroica. In seguito la poesia fu volta agli eroi e ne cant lalte e gloriose imprese; n per questo si allontan dal carattere suo religioso, poich gli eroi era-no progenie degli Dei e dagli Dei mandati a purificare lumanit7, e quindi si ebbero anchessi e templi e culto religioso. Ercole figliuolo di Alcmena e di Giove, il quale per ingannarla aveva vestito le sembianze di Anfi-trione suo marito, che trovavasi allora alla guerra di Tebe. Generose ed utili imprese di lui cantarono i poeti; uccise nel lago di Lerna lidra dalle sette teste, giunse ed ammazz correndo una cerva dalle corna doro e dai pie di bronzo, strangol il formidabile lione della selva Nemea, pun Diomede che dumana carne pasceva i ca-valli, sul monte Erimanto pigli un cinghiale che deva-stava tutto il paese, dom un furioso toro che rovinava lisola di Creta, sostenne in luogo di Atlante il cielo col-le sue spalle, separ i due monti Abila e Calpe, unendo cos lOceano col Mediterraneo, e quivi eresse le due fa-mose colonne, credendo questo essere il confine del mondo, ed altre infine compi enormi imprese che ci simboleggiano in lui la forza adoperata in pro del gene-re umano. N meno grandi e salutari furono i fatti di Te-seo, anche lui semideo, ed a cui gli Ateniesi eressero al-tari. Aggiungi gli eroi della guerra di Troia discendenti la massima parte, s degli Achei che de Troiani, o dagli

7 Diogene presso Luciano, Vitarum auctio, dice dimitare Er-cole, ed aggiunge: ( )

, , , : E come lui muovo guerra ai piaceri, non per altrui comando, ma di mia volont, essendomi scelto di purificar la vita umana.

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Dei, o da semidei, tutti, secondo Omero, di corpi ingen-ti, danimo invitto, di forze al di l dellumano8, e dagli Dei difesi e salvati. Il secondo libro dellIliade appellato Beozia, che a noi riesce un lungo e stucchevole catalogo di nomi, dovette avere pei Greci una somma importanza e servire di fondamento e di fomento allambizione ed alla boria dei molteplici e piccoli stati in cui era divisa e sminuzzata la Grecia.

6. I poemi omerici. Omero. Di qui pertanto ebbe nascimento la poesia eroica improntata dun carattere religioso e nazionale, nel suo svolgersi inesauribilmente feconda, della quale ci rimangono monumenti splendi-dissimi nei due poemi omerici, che diedero e danno leg-ge a tutte quante le epopee. LIliade canto di guerre e di battaglie; lOdissea poema di casa, di mercanti, di viaggiatori: questa, secondo il Tommaseo, distante da quella per intervallo non danni, ma di generazioni, s differente n lo stile non solo, ma ed i costumi, nellI-liade feroci, nellOdissea corrotti: questa nata tra locci-dente e il mezzod della Grecia, quella tra settentrione ed oriente, in guisa che non si possono riconoscere dun medesimo autore9, sebbene vabbian tra loro delle ri-spondenze ed analogie, come nel numero dei libri e nel

8 Spesso in Omero sincontrano eroi che levan di terra e sca-gliano un sasso s enorme, che due uomini, dice il poeta, quali vi-vono adesso, nol muoverebbero punto.

9 Longino, nel trattato del sublime, mostra daver sentito qual-che differenza tra lIliade e lOdissea, affermando quella essere stata composta da Omero ne verdi anni della sua giovent, questa nella vecchiaia.

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tempo10 che durarono s la guerra di Troia, s i lunghi viaggi di Ulisse, ed altre non poche.

Omero nellIliade ci porta addirittura sotto le mura di Troia, e si propone cantare lira dAchille luttuosa e fu-nesta, ma ad un tempo puerile e nata da frivole cagioni. Achille, irato contro Agamennone per il rapimento della schiava Briseide, ritirasi dalla guerra co suoi Mirmido-ni, e se ne rimane inoperoso e pieno di dispetto a guisa dun fanciullo fino al libro XIX, quando Ettore minaccia incendere le navi, ed uccide, aiutato dagli Dei, il giova-ne Patroclo: ed allora, avute nuove armi fabbricate ap-positamente da Vulcano per preghiera di Teti, per amore alfine combatteo, come dice Dante11, e ucciso Ettore lo trascina a coda di cavallo attorno alle mura di Troia; quindi al padre Priamo, che supplice viene a domandar-lo, restituisce il cadavere, con cortesia austera gli im-bandisce un convito, e lo rimanda promettendogli pei funerali dodici giorni di tregua. Priamo, ritornato alla citt, celebra le esequie al prode figliuolo, e cos si ter-mina il poema12, senza nulla dirci n della fine della

10 Lassedio di Troia dur dieci anni, ed i Greci, durante que-sto tempo s lungo, per vivere dovettero cambiar lancie e spade col vomero e collaratro, e coltivarono il Chersoneso, onde Tuci-dide inferisce che poco numerosi e poveri dovettero essere i Gre-ci.

11 Inf., V, 66.12 Anche Virgilio termina lEneide colluccisione di Turno fat-

ta da Enea in vendetta di Pallante, e tace affatto e le esequie di Turno e il matrimonio di Enea con Lavinia, e lo stabilimento del nuovo regno latino, per la qual cosa alcuni la supposero non fini-ta; e Mafeo Vegio di suo vaggiunse un libro XIII. Allo stesso

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guerra, n delleccidio di Troia, n del ritorno dei Greci. Il qual ritorno de Greci rest poi materia a poeti omeri-ci del ciclo che si riannodano allIliade, e composero poemi di cui lOdissea, quale a noi rimane, sarebbe, se-condo alcuni, un episodio13. Di questi poemi ci furono conservati alcuni soggetti nella Crestomazia di Proclo, e rimangono alcuni pochi frammenti presso Ateneo, Pau-sania, Clemente Alessandrino ed altri, che trovansi rac-colti tutti insieme nelledizione delle opere di Omero fatta a Parigi da Firmin Didot, 1844.

Omero da Giambattista Vico fu sciolto in un mito, e da Wolf diviso e spezzato in molti poeti. Che che sia di

modo il Tasso precipita, per dir cos, la Gerusalemme liberata, e la tronca s dimprovviso, che lascia il lettore in sospeso e quasi mal soddisfatto.

13 Tra i molti che seguitarono la materia dellIliade, io ricordo Trifiodoro Egizio, grammatico, che compose un poemetto di 677 esametri, a mio gusto di pretto sapore omerico. Lilio Gregorio Gi-raldi, tom. II delle sue opere, pag. 166, lo enumera tra i poeti che vissero sotto i Tolomei. I primi che ne abbiano fatto menzione sono Esichio e Suida. Le opere di Trifiodoro, ad eccezione di questa intitolata , Ilii excidium, sono tutte perdute. Si ricorda di lui unOdissea, , cos chiamata per-ch nel primo libro mancava la lettera A, nel secondo la lettera B, e cos le altre via via. Eustazio nei prolegomeni allOdissea intese che in tutta lopera fosse eliminato il : ...., ma se cos fosse, il nome di Ulisse, ne do -vrebbe essere sbandito, il che impossibile, come osserva il Ban-dini, il quale dellEccidio dIlio fece in Firenze co tipi cesarei una bella ed accurata edizione greco-latina, e vaggiunse unela-borata versione italiana in endecasillabi sciolti del celebre Anton-Maria Salvini.

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ci, volendone anche mantenere e difendere la esistenza reale e storica e lautenticit de suoi poemi, non si pu supporlo n solo, n primo, quasi fresca e fiorita pianti-cella che sboccia e vegeta in un deserto di aduste arene, poich la sua poesia s bella e s armonica, lordine s lu-cido ed esatto, la lingua s forbita e s pura rivelano lar-te non pi bambina ed in fascie, ma gi innanzi progre-dita ed adulta. Esistettero adunque prima di lui poeti e cantori non solo dinni religiosi, come ho detto di sopra, ma ancora di eroi e di belliche imprese; e forse gli stessi eroi di Troia tornati alla patria affidarono al verso ed al canto popolare la memoranda spedizione14: a quella gui-sa che il poema sacro dellAlighieri, come nota Cesare Balbo nella vita di Dante, non fu gi solitario e senza precedenti, n Dante in tutto in tutto creatore; ma gi la poesia aveva fatto sue prove, e sera ingentilita nella corte di Federico II, ed anche in Firenze, e prima di Dante si citano nomi non oscuri, tra quali quel di Guido Guinicelli, cui Dante chiama nel XXVI Purgatorio, vers. 97, padre mio e degli altri miei miglior, che mai Rime damore usr dolci e leggiadre, e il provenzale Ar-naldo Daniello, cui il Guinicelli, ivi stesso, vers. 115 e seg., mostra a Dante col dito, appellandolo il miglior fabbro del parlar materno, dicendo di lui: Versi damo-re e prose di romanzi Soverchi, tutti e lascia dir gli stolti Che quel di Lemos credon chavanzi. Come dunque a Dante preesistette una letteratura gi assai ric-ca, e Dante ebbe il merito soltanto di raccoglierla in s e

14 Costantino Koliades crede autore dellIliade e dellOdissea uno dei guerrieri di Agamennone, ed anzi lo stesso Ulisse.

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perfezionarla; cos da credere che precedesse ad Ome-ro una serie di poeti non piccola, nelle cui mani larte poetica avesse gi raggiunto un grado abbastanza eleva-to di buon gusto, di brio, di forza, di efficacia, di elegan-za; ed il Meonio giovossi de lor lavori, e forse altro non fece che raccogliere ed unire insieme molti componi-menti staccati, dando loro di suo una forma unica ed un colorito uniforme, sebbene anche adesso i pi sottili, come per esempio il Thiersch nella grammatica homeri-ca, vi sentono la diversit delle mani. La qual sua quali-t di raccoglitore e ordinatore alcuni ravvisano nel nome stesso di composto di insieme, ed , primitivo di dispongo, ordino, connetto15.

Omero non scrisse nulla, anzi tradizione che e fos-se cieco; ma i suoi poemi vissero nella memoria di quei popoli che in essi riscontravano la loro storia e le glorie del passato; e da rapsodi si cantavano per ordine del-lantico legislatore Solone alle Panatenaiche, per la qua-le solennit furono la prima volta qualche anno dopo da

15 Supponendo Omero raccoglitore o rapsodo, pi agevolmen-te si spiegano le varie contraddizioni che si trovano nellIliade, di cui tesse un catalogo Cesare Cant nella Storia della letteratura greca, cap. 3. Anche a Dante fall un tratto la memoria e si con-traddisse quando, dopo daver collocato nellinferno tra gli indo-vini la figliuola di Tiresia Manto (Inf., XX, 55), nel Purg., XXII, 112, fa dire a Stazio da Virgilio che nel limbo evvi la figlia di Ti-resia. Io so che i commentatori spiegano per unaltra figlia di Ti-resia, nomata Dafne o Istoriade, ricordata da Pausania; ma la mi pare una stiracchiatura, conciossiach chiamandola Dante figlia di Tiresia senzaltro, dovette intendere Manto famosa e per tale conosciutissima, non laltra che per poco affatto incognita.

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Pisistrato e da suoi figliuoli con laiuto di grammatici e di critici, detti grecamente diaschevasti da ordinare, disporre, correggere, raccolti e restituiti per iscritto ad una forma autentica, ad impedire che vi si in-troducessero aggiunte estranee. Pi tardi occuparonsi con critica squisita della correzione di quelli i Gramma-tici Alessandrini, ed Aristarco ne di il testo vulgato. Cionondimeno dovettero al certo subire molte variazio-ni, e presso gli antichi sincontrano citati versi di Omero che nelle moderne edizioni non si trovano pi. Chec-chessia poi di tutto ci, certo che Omero il pi antico e pi perfetto cantore di eroi, e lIliade la pi graziosa e pi feconda epopea che si conosca, la qual serv a tutti desempio e di modello. Virgilio, si pu dire, altro non fece che vestirla in delicati e gentili versi latini, ed imi-tarla fedelmente, ed in molte parti anche copiarla; e se talora Orazio si sdegna: quandoque bonus dormitat Ho-merus16, pur subito lo scusa dicendo: Verum opere in longo fas est obrepere somnum; ed a poeti latini racco-manda: Vos exemplaria graeca Nocturn versate manu, versate diurn17 anzi il metro usato da Omero pone a legge dellepico poema senza recare altra ragione se non che e fu usato da Omero: Res gestae regumque ducumque et tristia bella Quo scribi possent numero monstravit Homerus18, bastandogli questo, poich Ome-ro secondo Aristotile,

, del quale non si p u far elogio mag-

16 Ep. ad Pis., 359.17 Ibid., 279.18 Ibid., 73.

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giore, dice Enrico Bindi.Cos la poesia dagli Dei pass agli eroi, mantenendo

pure il suo carattere religioso, poich, come ho avvertito di sopra, gli eroi hanno cogli Dei una stretta attinenza e parentela, e son uomini divini o divi, onde Omero pre-mette quasi sempre ai loro nomi laggettivo . Il qua-le passaggio non dovette garbar gran fatto a Platone, che dalla sua Repubblica nel lib. X sbandisce i poeti e la poesia, ad eccezione degli inni sacri alla divinit e degli elogi degli uomini grandi, ed a proposito di Omero fa parlare Socrate ne seguenti termini: Adunque, Glauco-ne mio caro, allorch udrai dire dagli ammiratori di Omero che questo poeta form la Grecia; che leggendo-lo luomo apprende come governarsi e ben condursi ne-gli avvenimenti della vita; che non si pu far cosa mi-gliore che reggersi secondo i suoi precetti, bisogner s avere ogni riguardo e compiacenza per chi tiene cotale linguaggio, credere che costoro adoprino ogni miglior modo per divenir gente da bene, accordar loro che Ome-ro sia il pi gran poeta, il pi gran tragico; ma insieme vi ricordi che nella nostra repubblica non bisogna am-mettere altra poesia che gli inni ad onore degli Dei, e gli elogi de grandi uomini. Forse, osserva Cesare Cant, Platone sbandendo Omero aveva lintento a qualche cosa di pi grande, cio a scassinare il politeismo greco che da quei poemi era insinuato negli animi colla prima educazione.

7. La lirica. -Scorsi di buon tratto i tempi eroici, ces-s nella Grecia la vera epopea, e la poesia si volse ad al-

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tri soggetti, poich, se vero che virtutes, come dice Ta-cito19, eisdem temporibus optime aestimantur, quibus fa-cillime gignuntur, vero del pari che solo allora i grandi fatti e le magnanime imprese trovano acconcii e degni cantori che li celebrino e lillustrino, quando o si com-piono, o trascorsi di fresco sono i tempi in cui furono compiute; conciossiach col volgere degli anni, collam-mollirsi e corrompersi de costumi, poco a poco si estin-gue la tradizione vivace ed ispiratrice nellanimo de po-poli che la rappresentano, simile ad eco lontana che gra-datamente assottigliasi, svanisce e muore. La Grecia pri-ma di Maratona e di Salamina fu popolata di eroi, vi re-gnava una vita salda e robusta; pi tardi le leggi di Solo-ne in Atene, di Licurgo in Sparta davano ancora una tempra di ferro ai petti greci, e formavano un Temisto-cle, un Aristide, un Leonida ed un pugno di prodi da fronteggiare e vincere quel Serse a cui di luogo il mon-te Athos e sassoggett lEllesponto: ma dopo le gloriose vittorie riportate sopra i Persiani, la Grecia fu tocca, a cos dire, dal contagio asiano, e la mollezza e la corru-zione dei vinti sinsinu nei vincitori e loro rimase quasi spoglia malaugurata e micidiale. Allora tu vedi Temisto-cle, leroe di Salamina, con sfarzoso strascico di vesti aggirarsi nella corte del gran Re, e dire scherzando alla moglie: Perieramus nisi periissemus; e Pausania, che alla battaglia di Platea aveva comandato le schiere vitto-riose dei Greci, offrire, sedotto dallambizione, al mo-narca Persiano di dargli in mano Sparta e tutta la Grecia

19 Vita Julii Agric., I.28

a vile e detestabile prezzo20. Qual meraviglia pertanto che anco la poesia scadesse e perdesse dellantico nerbo e della prisca robustezza? La poesia il linguaggio del-lanima: or quando vergini ed intemerate sono le anime, la poesia scaturisce limpida e pura come rivo da chiara e fresca sorgente; quando invece quelle sono come am-mencite dalla mollezza, anchessa vien fuori languida, effeminata e cascante di vezzi, vezzi che sono come bel-letto onde si cerca risarcire e riparare ad una bellezza menomata e guasta dallet e dai disordini. Quindi vede-si nella Grecia al poema eroico succedere nel predomi-nio la lirica e dalle laudi degli Dei, a cui nella sua origi-ne era consacrata, scendere poco a poco agli amori ed a men degni soggetti21; sebbene in essa come aquile spie-garono voli sublimi Simonide22, Stesicoro, Corinna, Saf-

20 () , , , : La figliuola del quale (Megabate) Pausania di Cleombroto Lacedemone, se vero il racconto, in tempo a queste cose posteriore tolse in moglie, aspirando a divenir tiranno della Grecia (Erodoto, lib. V, 32).

21 I varii soggetti della lirica sono enumerati da Orazio in que-sti tre versi: Musa dedit fidibus divos puerosque deorum Et pu-gilem victorem et equum certamine primum Et juvenum curas et libera vina referre. Ep. ad Pis., 83.

22 A Simonide si attribuiscono moltissimi epitafi sopra i tre-cento morti alle Pile, dei quali celebre quello: O passeggiero, va dire a Sparta che qui morimmo obbedendo alle sue leggi. In bocca di questo lamentevole poeta Giacomo Leopardi, nella sua Canzone allItalia, pone un canto sublime di pensiero e di affetto, n certo pi tenero pot uscire l sul colle dAntela dal petto del

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fo, Anacreonte, e sopra tutti Pindaro, e negli inni di guerra Collino e Tirteo che coi rapidi ed impetuosi ana-pesti inanim gli Spartani nelle guerre di Messenia. An-che la satira ebbe i suoi cultori, ed Archiloco di Paro, a sfogar lira contro il suocero Licambe, invent, al dir dOrazio, il metro giambico, adottato poscia dalla poe-sia drammatica come pi agile ed efficace e pi accon-cio al dialogo:

Archilochum proprio rabies armavit jamboHunc socci cepere pedem grandesque cothurni,Alternis aptum sermonibus, et popularesVincentem strepitus, et natum rebus agendis23.

8. La drammatica. Ed eccomi giunto alla poesia drammatica di cui fa parte la commedia che mi era pro-posto come tema esclusivo di questo scritto. La dram-matica, come si vede, lultima forma che rivest la poesia, ed, in questo genere nuovo fu portato, per dir cos, tutto che di tenero e di patetico ebbe la lirica, tutto che di sostenuto e di serio ebbe lepopea, tutto che di mordace e di caustico ebbe la satira: nella drammatica

greco poeta.23 Ep. ad Pis., 79. Il piede giambo duna breve e duna lun-

ga; il verso giambico, detto anche senario, consta di sei piedi giambi se puro, e se misto riceve lo spondeo nelle sedi di nu-mero dispari. Vi ha ancora il giambico quadernario, che puro se composto di quattro giambi, misto se nella prima e terza sede ri-ceve lo spondeo, o il tribraco o lanapesto. Orazio chiama il giambo pes citus, ed Aristotele agile e mosso: .

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mostr tutto quanto pot la greca poesia, e con Eschilo, Sofocle, Euripide ed Aristofane chiuse splendidamente lra sua gloriosa ricca dimmortali allori. Fiorirono di poi prosatori eccellenti, filosofi, oratori, Platone, Aristo-tile, Senofonte, Tucidide, Demostene; ma poeti sommi non sorsero pi, e la poesia cedette il campo alla prosa dopo di averglielo coltivato e disposto in maniera, che ne raccogliesse ampii ed ubertosi frutti.

La poesia drammatica differisce da ogni altra maniera di poesia, in quanto che ogni altra o narra avvenimenti trascorsi, o vagheggia esseri ideali, o specula unidea, o descrive enti reali, o porge precetti ed ammaestramenti; laddove la drammatica consiste tutta nellazione, come indica letimologia del nome da agire, fare; i personaggi antichi riduce presenti vivi e parlanti, gli uomini accozza insieme a ragionare e discutere, e me-diante un intreccio bene assortito e naturale, che grada-tamente svolgendosi si risolve, parla agli occhi, istruisce e diletta; e quindi sovra gli altri generi di poesia ha que-sto vantaggio di essere assai pi efficace e di raggiunge-re pi prontamente e meglio lo scopo, giacch, come dice Orazio, Segnius irritant animos demissa per au-rem, Quam quae sunt oculis subjecta fidelibus et quae Ipse sibi tradit spectator24, ed ha troppo pi forza la cosa quando agitur in scenis, che non quando acta re-fertur.

9. Tragedia e Commedia. La drammatica si parte come in due gran rami, che germogliano da un ceppo

24 Ep. ad Pis., 180.31

medesimo e sono tra loro, non che diversi, contrarii, il tragico ed il comico. Quello considera il serio, il grande, il sublime della vita; questo invece il frivolo, il ridicolo, il festivo: sicch la differenza che corre tra loro insita nella natura stessa delloggetto, del fine, dei mezzi. Il contrapposto che tra il tragico ed il comico, dice il Mller25, non si fece gi manifesto per la prima volta in queste due specie del dramma: ch esso tanto antico, quanto antica la poesia. A lato al nobile e al grande dov manifestarsi naturalmente ci che vulgare e catti-vo, perch quello vie pi rifulgesse, e pi chiara se ne facesse lessenza. In quella misura, anzi, in cui lo spirito nutriva e coltivava in se stesso le idee dun ordine pi perfetto, del bello e del potente nel mondo e nella vita degli uomini, addivenne anche meglio capace e pi abi-le a concepire il debole e lerrato in tutto il suo modo di esistere, ed a colpirlo in ci che nera propriamente il nucleo ed il centro. Ci che cattivo ed errato non , a ver dire, obbietto di poesia per se stesso; ma quando saccoglie nelle idee duna mente del nobile e del bello ripiena, anchesso trova un qualche luogo nel mondo del bello e addiviene poetico. E nella esistenza contingente e limitata dellumana stirpe ha ci il suo fondamento: da che una cotale specie dintellezioni ognora occupata nella semplice realt; laltra invece a questa opposta con libera e creatrice forza s fatta della fantasia il suo re-gno. La vita reale sempre stata una materia abbonde-volmente ricca per la poesia comica, la quale se spesse fiate us di tali figure di cui invent ella stessa la forma,

25 Storia della letteratura greca, cap. 27.32

e che nella vita reale non si rinvengono, in quelle signi-fica pur sempre fenomeni e condizioni, uomini e ceti di essi realmente esistenti. Ci che tristo ed errato non sinventa; linvenzione non fa pi che metterlo in vista sotto il suo aspetto pi vero.

La drammatica, come dissi, tardi si svilupp tra i Gre-ci; e specialmente la commedia regolata e diretta dal-larte venne in luce solo circa il tempo della guerra del Peloponneso, conciossiach il popolo greco amantissi-mo e cupido degli spettacoli in antico si contentasse del-la lotta, della corsa e del pugilato e tuttal pi di qualche lettura o di qualche canto. La ragione ne semplice as-sai quanto alla commedia, che il solo proposito del mio scritto, poich quando pi interi ed incorrotti sono i costumi de popoli, la societ presenta molto meno il lato ridicolo che la vena del comico; e gli uomini pi sobrii e pi temperanti non sono acconcii n a concepire n a gustare quellintreccio di vizio e di virt, quellim-pasto di buono e di cattivo, quel conserto di grave e di faceto che fondamento alla commedia: laddove nella societ stemperata e rimota dalla prisca semplicit (quando la virt si simula, non si pratica, e il vizio si co-lorisce e si pallia, non si fugge n sabborre), come nu-merosi sono i burloni ed i bellumori, cos a migliaia per giorno nascono i soggetti comici, cui il popolo gradisce ed applaude. In tale stato della societ il vizio, che resi-ste alle censure morali e serie, pu cedere ad una lepida commedia in cui sia messa a nudo la sua deformit, e sventati gli accorgimenti ed i raggiri onde cerca masche-rarsi ed imbellirsi: quindi il comico pu dar lezioni pro-

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fittevoli di morale sublime, e sotto il velo del ridicolo ascondere un intendimento serio e grave, che otterr sempre pi o meno leffetto a cui mira. da confessare per altro che questo modo di correggere i costumi ri-schioso assai; e se il poeta non sia savio ed avveduto, pu in quella vece corromperli. La commedia cerca cor-reggere il vizio colla rappresentazione del vizio medesi-mo, come il diamante si taglia col diamante, e il veleno talvolta si cura col veleno, e pu accadere non di rado che si insinui la malizia dove non v, e che saccenda-no le passioni in quella che si crede di attutirle e di spe-gnerle. Plauto stesso riconobbe questo pericolo inerente alla natura stessa della commedia e disse: Paucas poe-tae reperiunt comoedias Ubi boni meliores fiant. La commedia e la tragedia, dice il Bindi, nel volere tagliar la piaga, arrivano col ferro periglioso alcuna parte vitale ed uccidono.

10. I precedenti della Commedia greca. La comme-dia non nacque improvvisa; s fu un parto per lungo tempo bene svolto e maturato, in guisa che da Aristofa-ne fu posto in luce si pu dir perfetto. I semi della com-media erano gi gittati fin nellantica epopea, e il corre-re del tempo, il raffinarsi della civilt, il rilassarsi della prisca severit de costumi li svilupparono ampiamente.Omero nellIliade tiene assai spesso la forma drammati-ca, e tratto tratto toffre la scena degli eroi che od arrin-gano nella concione, o prima di misurarsi colle armi si lanciano pel capo insulti e villanie, o tessono con lunghe parlate le loro genealogie; mentre Virgilio, per esempio,

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sattiene piuttosto alla forma espositiva e descrittiva, e le parlate de suoi guerrieri sono brevi26. Il comico, dice il Mller27, si trova gi nellepica poesia unito in parte con lepopea eroica, e comici sono lepisodio di Tersite, la scena di Agamennone ingannatore ed ingannato, Mar-te ferito nel ventre, Giunone che piglia per le braccia Pallade Minerva e la scuote in modo da farle cader la fa-retra e versare in terra i dardi, ed altre non poche. Vena comica si rinviene ancora in Esiodo.Ma dove il genere comico gi culto per se medesimo, si , oltre alla Batrocomiomachia, nel Margite poemetto attribuito ad Omero da Aristotile nella Poetica, il quale lo stima come un primo avviamento alla commedia, a quel modo medesimo che secondo lui lIliade e lOdis-sea preludono alla tragedia. Pochissimi frammenti, e scarse memorie rimangono intorno a questo lavoro: il Margite incominciava cos:

, 28

Platone nellAlcib. cita del Margite questo verso: , 29; e

26 La forma drammatica usata nellantico Testamento nel li-bro di Giobbe; ed anche nel Pentateuco Mos veste sovente la sua narrazione della forma drammatica.

27 Op. cit.28 Venne in Colofone un vecchio e divino cantore, servitor

delle Muse e del saettatore Apollo, tenendo nelle proprie mani ar-moniosa lira.

29 Molte opere sapeva, ma tutte le sapeva male.35

Clemente Alessandrino, Strom., I, pag. 281, questi altri due: ,

30.

Il Mller31 da queste poche memorie ricava che nel Margite omerico si rappresentasse una stupidit che re-puta se stessa prudenza, poich di lui detto: Molto ei seppe, ma tutto seppe male; ed unistoria che ci fu con-servata da Eustazio, ne narra che bisognava usare finis-sime astuzie per indurlo a ci a cui pur richiedevasi ben poco intelletto. Egli paragona poi questo stolido arcipru-dente col tedesco Tyll Eulenspiegel, che sotto apparenza di stupidit nascose sottilissima astuzia; e noi il possia-mo raffrontare col rinomato Bertoldo che a tempi del re Alboino, secondo la leggenda, velando colla zoticaggine maliziosissima astuzia ed accortissima furberia, diede il giambo al re, alla regina e a tutta la corte, e gli accorgi-menti e le coperte vie, direbbe Dante, e seppe tutte e s men lor arte; Chal fine della terra il suono uscie32.

Ad Omero si attribuiscono ancora varie piccole epo-pee scherzevoli come il canto dei Cercopi, la Capra to-sata sette volte, il Canto dei tordi, cui narrano Omero cantasse a fanciulli per averne dei tordi in ricambio, e la

30 Costui gli Dei non fecero n fossore, n aratore, n in altro modo savio, ma dogni arte e mancava.

31 Op. cit., cap. II.32 Inf., XXVII, 76. Di Bertoldo e della sua famiglia Giulio Ce-

sare Croce, fabbro bolognese, stese unarguta leggenda, sulla qua-le nel secolo scorso fu composto un poema giocoso in 20 canti da venti poeti diversi, tra cui Giampietro e Francesco Maria Zanotti, Gerolamo Baruffaldi e Camillo Zampieri.

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Fornace del Pentolaio.Archiloco eziandio, come ho detto di sopra, cogli ar-

rabbiati suoi giambi preparava il terreno alla commedia, principalmente allantica dindole politica; ed certo che la satira contribu assaissimo alla formazione del dramma.

Altra forma che tiene alquanto del drammatico e del comico rivest la greca poesia, voglio dir lapologo o la favola di cui i greci furono amantissimi ed inventori fe-condi. In essa sattribuisce ragione e favella alle bestie ed agli enti inanimati a rappresentare col velo dellalle-goria e punzecchiare e mordere i viziosi costumi degli uomini, e con tali ingegnose invenzioni farli riconosce-re, loro dicendo a guisa di morale: Stulte, quid rides? mutato nomine, fabula de te narratur. Socrate ghiottissi-mo qual era della garbata e fine ironia si dilettava mol-tissimo di questo genere, e narrano che nel tempo della prigionia lavorasse a ridurre in forma poetica le favole esopiane33.

33 Le greche favole, dice il Tommaso, fatte volgari dalluso e per questo avute in istima di cosa volgare, ma ignote le pi, dimo-strano in mirabile modo, appunto perch semplice, la delicatezza del greco ingegno tante volte lodata da un degno e severo giudice, il Vico. In esse favole senti insieme cospiranti limmaginazione, la ragione, laffetto; hai filosofia, politica, storia e naturale e civi-le; hai satira e dramma; hai, pi sovente che rimproveri, conforti e consigli; pi sovente che o ira o spregio, piet..... Dalle favole stesse che larte ha composte, chi trae una moralit sola, a me pare che le isterilisca della loro nutritiva bellezza. Narriamole al fanciullo e lasciamo che le accomodi egli a casi da s, lo far so-vente in modo pi acconcio di noi. E quella quasi scoperta gli eserciter dilettevolmente lingegno, e gli metter coraggio ad

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Esopo schiavo di Iadmone di Samo, figlio di Efesto-poli, che visse 520 anni avanti Cristo, lideale della fa-vola greca. Era rinomato come facile ed ingegnoso nar-ratore di favole, e quindi quante se ne coniarono furono a lui attribuite, e sotto il suo nome arrivarono, a noi, sebben egli probabilmente non ne scrisse una. Che Eso-po non sia se non il nome ideale a cui venne attaccato ci che apparteneva a vari tempi e soggetti, indicato dalla distinzione delle favole in carie, cilicie, sibaritiche, ciprie, libiche, frigie ed esopiche.

da notare ancora, cosa che accenna a qualche rela-zione tra la favola e la commedia, che presso i latini la parola fabula, oltre significare apologo, valse e tragedia e commedia, perch in queste come in quella sadopera-vano personaggi finti. Ma per questa ragione un tal nome non converrebbe alla commedia antica greca, nel-la quale i personaggi, principali erano non finti ma veri, reali e viventi, e talora presenti allo stesso spettacolo, come si dir in seguito.

Da questi semi adunque sparsi qua e l dagli antichi germogli nella Grecia la commedia, genere nuovo che incontr il massimo favore nelle fervide fantasie e nel genio festivo e satirico di quel popolo dalla natura sopra ogni altro distinto e privilegiato: e tanto crebbe lamore degli spettacoli teatrali che a mantenerli ed accrescerli ad essi si volse il denaro dellerario pagato da tutti gli Stati della Grecia e destinato alla guerra contro il barba-

esercitarlo in sempre pi vario modo (Dizion. estet., nom. Esopo). Certo che l alle favole greche dovette essere aggiunto assai pi tardi da chi forse le raccolse.

38

ro a tutela della libert.

11. Se la commedia sia poesia. Fu un tempo que-stione se la commedia fosse poema, ed Orazio nella sati-ra quarta del lib. I vers. 45 segg. ne discorre cos:

Quidam comoedia nec ne poemaEsset, qusivere; quod acer spiritus et visNec verbis nec rebus inest, nisi quod pede certoDiffert sermoni sermo merus. Al pater ardensSvit, quod meretrice nepos insanus amicaFilius uxorem grandi cum dote recuset,Ebrius et magnum quod dedecus, ambulet anteNoctem cum facibus. Nunquid Pomponius istis34Audiret leviora, pater si viveret? ErgoNon satis est puris versum perscribere verbis,Quem si dissolvas, quivis stomachetur eodemQuo personatus pacto pater. His, ego qu nuncOlim qu scripsit Lucilius, eripias siTempora certa modosque, et quod prius ordine verbum est,Posterius facias prponens ultima primis,Non (ut si solvas Postquam discordia tetraBelli ferratos postes portasque refregit)Invenias etiam disiecti membra pot.

Dalle quali parole del Venosino parrebbe insinuarsi che la commedia non sia poesia, sebbene egli non lo de-

34 Questa una tirata cos per indiretto del caustico spirito del poeta contro lo scorretto e licenzioso vivere dun tal Pomponio, che dopo la morte del padre dovette darla per mezzo ad ogni vi-zio.

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cida promettendo di trattarne altra volta, il che poi non fece35, o se il fece, tale scritto non giunse fino a noi. E di vero, dice, nella commedia non n forza n concetto poetico, ma ogni cosa procede semplice e piana al modo che suol avvenire nel comune andazzo della vita privata e domestica, dalla quale, si direbbe, al tutto bandita la poesia; e se tu mi togli lartifizio esteriore del metro in-vertendo lordine de piedi e delle parole, la ti torner prosa schietta e talvolta anco di quella anzi bassa che no ed ordinaria. Che se talvolta un padre irato, come De-mea negli Adelfi di Terenzio, rampogna amaramente e fa tragedie in capo al fratello ed al figliuolo, o se Creme nellEautontimorumenos sadira con quello scapato di Clitifone et tumido delitigat ore, non per questo si ha poesia, sebbene vocem comoedia tollit (Ad Pis. 93-94); poich, dicea quivi Flacco, un padre qualunque a queste strette si leva in capo cos, e mena tanto fracasso quanto il padre della commedia; sicch questo non esce ancora dalla cerchia della prosaica vita ordinaria. Poesia, se-condo lui, soltanto quando anche scompaginato e di-strutto il verso, rimane tuttavia la frase ed il concetto poetico quasi membra sparse del poeta dilacerato, come nellesempio che e reca di Ennio. Il qual pensiero di Orazio par favorire la commedia in prosa, contro cui si scaten la immensa schiera de pedanti che venera ed adora lantico, solo perch antico, e fino gli errori ed i solecismi giustifica chiamandoli figure grammaticali. Pure la commedia in prosa si fe strada tra noi fin dal se-

35 Della commedia parla ancora nellepistola ai Pisoni, ma la questione, se sia o no poema, n propone n risolve.

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colo XVI; e nel XVIII ottenne maggior riputazione per Carlo Goldoni. Una delle ragioni per cui gli antichi la verseggiarono si certamente che nellampiezza e vasti-t de teatri in cui raccoglievansi a migliaia gli spettato-ri, richiedevasi tal pronunzia nitida, chiara, vibrata, ed armonica quale acconciamente viene somministrata dal verso. Del resto se si eccettua Aristofane, che a volte spicca voli veramente poetici, e si vale duno stile eleva-to e concettoso, gli altri comici e specialmente Plauto e Terenzio batton le ali terra terra, ed i loro versi pieni di quelle che addimandansi licenze poetiche saccostano moltissimo alla prosa.

Alla stessa questione, se cio la commedia sia poema, cos risponde il sig. Marmontel36: On demande si la co-mdie est un pome; question aussi difficile rsoudre quinutile proposer, comme toutes les disputes de mots. Veut-on approfondir un son, qui nest quun son, comme sil renfermoit la nature des choses? La comdie nest pas un pome pour celui qui ne donne ce nom qu lhroque et au merveilleux; elle en est un pour celui qui met lessence de la posie dans la peinture. Un troisime donne le nom de pome la comdie en vers, et le refuse la comdie en prose, sur ce principe que la mesure nest pas moins essentielle la poesie qu la musique. Mais quimporte quon diffre sur le nom; pourvu quon ait la mme ide de la chose? LAvare, ainsi que le Tlmaque sera, ou ne sera point un pome; il nen sera pas moins un ouvrage excellent. On disputoit Addison que le Paradis perdu ft un pome

36 Enciclopedia, alla voce Comdie.41

hroque: H bien, dit il, ce sera un pome divin.In quanto dunque la commedia verseggiata, si pu

dir poesia nel senso pi ampio della parola, vale a dire in quanto alla forma estrinseca; in quanto poi al concet-to ella un ritratto fedele della vita ordinaria e comune degli uomini, e come tale un genere di componimento utile, dilettevole ed eccellente, ma prosaico. Eccettuer tuttavia lantica commedia greca, la quale poco o nulla ritrae dalla vita privata; immaginosa e spesso stravagan-te ridonda di vivacissime fantasie, di pensieri elevati, di concetti sublimi, e senza aver quasi intreccio, col brio, colla vivacit e collarguzia, onde a cos dir scintilla da capo a fondo, piace ed alletta, e sinnalza a stato di vera poesia. Quindi Aristofane sarebbe lideale del vero poe-ta comico37.

12. De generi della commedia. La commedia fu dai moderni distinta in commedia dintreccio o dintrigo, ed in commedia di carattere. La prima sarebbe quella che tutta saggira in una serie di fatti e di avvenimenti pro-

37 A questo proposito cos ragiona Enrico Bindi: Invero vha nella sostanza della commedia un elemento prosastico, essendo-ch le azioni ed i discorsi chella piglia ad imitare spettano alla volgare consuetudine della vita, dovella si studia di accostarsi pi che sia possibile alla realt delle cose. Ma linvenzione e la disposizione delle parti, la loro convenienza alle leggi teatrali, lazione in breve raccolta e rapida, il vivo lumeggiamento dei ca-ratteri, il dialogo pronto, netto e scorrevole, tutto insomma che costituisce la forma comica, e che troppo lontano dalla verit, appartiene veramente allelemento poetico; e per questo lato la commedia veramente un poema.

42

dotti dal caso e dallastuzia, che formano un viluppo e presentano ai personaggi del dramma ostacoli da vince-re e difficolt da superare, finch lintreccio poco a poco e con naturalezza si svolge, e si diviene ad un lieto scio-glimento che sia consentaneo allintreccio e quasi in esso precontenuto. La seconda invece si quella in cui il poeta piglia, mediante una sottile investigazione del cuore e delle passioni umane, a tratteggiare e dipingere un carattere qualunque, e mette in sulla scena un perso-naggio nel quale accumula tutti gli atteggiamenti e tutte le propriet di quel carattere, operando con destrezza che lintreccio serva unicamente come duna molla che scatta e d movimento al carattere, s che erompendo in atto si manifesti. Tali sono le pi belle commedie del Molire, filosofo profondo ed egregio pittore, ristoratore in Francia, nel secolo di Luigi XIV, del teatro comico; come lAvaro, il Misantropo, la Donna sapiente, il Tar-tufo. Nella commedia dintreccio come nella tragedia lo scioglimento necessario ed essenziale, e deve rispon-dere e proporzionarsi allintreccio; laddove nella com-media di carattere lo scioglimento cosa secondaria come secondario lintreccio; onde che Arpagone ava-ro, dice il Batteux38, ceda la sua amata per riavere la sua cassetta, non altro che un tratto davarizia di pi, senza il quale sussisterebbe ancora tutta la commedia.

Gli antichi non conobbero codesta distinzione, e le loro commedie presentano luno e laltro genere unito e saviamente concertato insieme, come p. e. nel Miles gloriosus di Plauto tu rinvieni lintreccio in cui tendesi a

38 Corso di belle lettere, parte 2a, art. 3.43

cavar di mano al soldato la Filocomasia e ci si riesce, e ad un tempo il piacevolissimo carattere del soldato spac-cone che si crede e si d per lAmmazzasette, e quanto a bellezza si spaccia per nipote di Venere; il qual carattere forma poi ridevolissimo contrasto colle busse e colle ba-stonate che il vecchio Periplecomene gli fa appoggiare, e colle suppliche e raccomandazioni chegli a lui porge, affinch non gli si faccia un tratto ziffe e piazza pulita con quel tal coltello di Carione. Cos ancora nellAulu-laria il carattere di Euclione avaro; in Terenzio nellEu-nuco il soldato Trasone e ladulatore Gnatone; negli Adelfi i caratteri opposti di Mizione e di Demea; quello spensierato, sfarzoso, indulgente; questi piangolone, tir-chio, severo, brontolone, ecc.

13. Origini prossime della Commedia e della Trage-dia. Venendo ora alle origini prossime della commedia vediamo quello che Orazio ne dice nellEp. I del lib. II:

Agricol prisci, fortes parvoque beati,Condita post frumenta levantes tempore festoCorpus et ipsum animum spe finis dura ferentem,Cum sociis operum, pueris et conjuge fida,Tellurem porco, Silvanum lacte piabant,Floribus et vino Genium memorem brevis vi.Fescennina per hunc inventa licentia morem,Versibus alternis opprobria rustica fudit,Libertasque recurrentes accepta per annosLusit amabiliter, donec jam svus apertamIn rabiem coepit verti jocus, et per honestasIre domos impune minax. Doluere cruento

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Dente lacessiti; fuit intactis quoque curaConditione super communi; quin etiam lex39Pnaque lata, malo qu nollet carinine quemquamDescribi: vertere modum formidine fustisAd bene dicendum delectandumque redacti.

In questi versi di Orazio sono compendiosamente de-scritte le origini e le vicende della commedia greca e la-tina. Essa, come la tragedia40, ebbe nascimento fra gli agricoli in occasione delle feste sacre a Dioniso, o Bac-co, ed appellate Dionisie, Liberali, Lenee, ma principal-mente di quelle autunnali che celebravansi dopo la ven-demmia. I villani, finiti i lavori della campagna e riposto il prezioso liquore della vite, di cui riconoscevano bene-fico largitore Bacco, in esso simboleggiando il sole, che si fa vino Giunto allumor che dalla vite cola41, sab-

39 Come in Atene fu frenata per legge, come vedremo, la mor-dace dicacit dei comici, cos anche in Roma a salvar dai vituperii della commedia e della satira gli onesti cittadini fu provvisto dalle leggi delle XII tavole, di cui ecco il testo: Si quis occentassit ma-lum carmen, sive condidissit, quod infamiam faxit flagitiumve al-teri, capital esto.

40 da , becco, e , canto, fu cos detta perch fu dapprima un canto villesco a Bacco nelle feste della vendemmia, quando a questo Dio sacrificavasi un becco, come devastatore della vigna; o perch premio del canto era assegnato un becco. Altri ne traggono la etimologia non da , ma da , vendemmia, ed allora sarebbe il canto della vendemmia; altri finalmente da , feccia di vino o di olio, perch i cantori di essa solevano impiastricciarsi il volto di feccia per alterar la propria figura e non essere conosciuti. Ad ogni modo letimologia di questa parola rivela unorigine agricola.

41 Dante, Purg., XXV, 78.45

bandonavano alle pi vive e pazze allegrie del mondo. Dopo gli stravizzi di allegri conviti, esordivano cori a Bacco, i quali con canti e con danze contadinesche ne dicevano le lodi, ed inalberato il emblema della forza produttiva della natura sacro a Dioniso non meno che a Priapo, ordinavano chiassose processioni che a lume di fiaccole si producevano per tutta la notte. In queste processioni per dar riposo al coro che cantava il od inno bacchico, que villani avvinazzati, che

avean sbrigliato lumor faceto, e sciolto lo scilinguagno-lo, cominciavano a proverbiarsi e dirsi villania a vicen-da scherzando assai grossolanamente sui difetti fisici e morali luno dellaltro, ed eccitavano cos il riso ed il plauso della brigata. Intrecciavano altres alla salacit dei motti danze pi salaci ancora42; e forse anche di qui ebbe origine quella danza del coro comico detta s sucida ed indecente, cui Aristofane, tuttaltro che ca-stigato e scrupoloso, vantavasi daver tolto dalla com-media, lodando la sua che , , , 43, e di cui avrebbe arrossito qua-

42 Danzatori ai cori bacchici erano i satiri ed i silleni, compa-gni e servitori del Dio. , probabilmente deriva da , che al perfetto significa aprir la bocca, e quindi ridere sgangherato. Dalla lascivia di questi danzatori, significa ancora pei Greci uomo lascivo, e il verbo , lascivire, ed anche essere affetto da un certo morbo venereo. Sileno poi viene dal verbo , motteggiare, burlarsi di alcuno, onde anche , poema satirico, satira.

43 Nubi, v. 530 e seg.46

lunque Ateniese onesto a ballarla senza essere briaco e col viso tinto; onde Teofrasto descrivendo il carattere dello sfacciato e temerario dice che senza essere ubriaco capace di ballare il cordace in un coro comico: 44. Di qui si vede che il dialogo presso que villani non era che parte se-condaria al coro e trovato unicamente per dar agio ai cantori di riposarsi e pigliar fiato, mentre poi nella com-media pass ad avere la prima e principal parte confi-nando il coro al secondo luogo.

Che tale sia stata lorigine della commedia, oltre al-lunanime testimonianza degli antichi critici ed eruditi, raccogliesi ancora dalletimologia della parola, poich si compone di e di , e si-gnifica in primo senso appunto questa sorta di proces-sioni che si facevano alle feste od orgie di Bacco, ed in secondo festino, stravizzo, gozzoviglia e che so io, don-de il latino comissatio o comessatio e Comus dio dei conviti e dei piaceri. Altri non da derivano , ma da 45, che significa borgo, villaggio vicino alla citt, e quindi spiegano canto del villaggio, supponendo che quando i contadini ricevevano al-cunoffesa od ingiustizia da qualche cittadino, venissero in corpo alle porte della citt a far baccano, ed una spe-

44 Caratt. VI, .45 Fondandosi sopra di questa etimologia quei del Peloponne-

so contendevano allAttica linvenzione della commedia, poich presso di loro si chiamava il villaggio, laddove presso gli Attici si diceva .

47

cie di serenata dinsulti e di vituperi. A me per altro qua-dra pi la prima, la quale ha anche il suffragio di Aristo-tile che nel IV della Poetica dice aver avuto origine la commedia , cio da coloro che presiedevano e conducevano queste feste e questo in cui si portava il . Cotali feste presso i greci erano quello che appo noi il carnovale, in cui ciascuno, appoggiato alla massima che semel in anno licet insanire, crede di poter fare le pi pazze stra-vaganze del mondo, e sfogar un tratto tutta lallegria cui la seriet delle occupazioni lungo lanno gli tien chiusa in corpo; e quindi non maraviglia che siffatti canti e dialoghi avessero dello strano, del matto, del bestiale, e fossero quali si convengono a briachi.

14. La Tragedia, e primi saggi della Commedia. Il culto di Bacco adunque fu fecondo dun doppio portato, della tragedia e della commedia, che pigliate da esso le mosse savviarono per strade diverse e contrarie, quella scostandosi dalla trivialit della nascita e sollevandosi alle alte regioni del bello ideale, questa mantenendo sempre quel brio, quel faceto, quel sale onde fu nel suo nascere improntata.

Prima ad aver forma certa e determinata fu la tragedia per opera di Tespi46, cui Orazio d il merito dellinven-zione:

Ignotum tragic genus invenisse CamenDicitur et plaustris vexisse pomata Thespis

46 Tespi era nativo dIcairca nellAttica, e fior circa la 61a Olimpiade, 536 anni avanti lera volgare.

48

Qu canerent agerentque peruncti fcibus ora47.

Costui pose gli attori sopra dun carro che serviva di palco scenico, ed insegnato loro ad accompagnare il canto col gesto andava attorno facendo rappresentazio-ni; ma probabilmente egli non fu inventore, s soltanto riformatore della tragedia, come par che accenni Plutar-co nella vita di Solone, dove dice che Tespi aveva co-minciato a cangiar la tragedia, e che gli uomini veniva-no tratti dalla novit introdotta in cotali rappresentazio-ni48, e prima di lui altri avevano tentato questo genere, e sedici se ne annoverano dal Giraldi. Le finzioni tragiche di Tespi non garbarono a quel grande legislatore di Ate-ne che fu Solone, il quale considerando come la finzione e la menzogna teatrale avrebbe potuto viziare i costumi insinuandosi ancora nelle cose serie, non solo le inter-disse, ma di pi diede a Tespi il bando dalla citt, e quindi quel carro drammatico torn a vagare per i vil-laggi e per le castella a sollazzo della gente del contado.

Un secolo appena dopo Tespi sorse Eschilo49 prode guerriero nei campi di Maratona, il quale port la trage-dia allapice della perfezione, invent la maschera, e

47 Ep. ad Pis., 275.48 Il medesimo concetto sembra insinuarsi nel seguente passo

di Diogene Laerzio in Platone, XXXIV: , . Tespi adunque nella tragedia gi esistente e rappresentata dal solo coro avrebbe introdotto un istrione od attore per riposare tratto tratto il coro stesso.

49 Eschilo scrisse 70 tragedie, delle quali sette soltanto si con-servarono; e ben trenta volte fu coronato in Olimpia.

49

die al teatro una forma stabile:

Post hunc (Thespin) person pallque repertor honestschylus et modicis instravit pulpita tignis,Et docuit magnumque loqui nitique cothurno50.

Ad Eschilo tennero dietro Sofocle ed Euripide: e qui la tragedia chiuse lepoca sua gloriosa di grandezza e di perfezione, in modo che gi Aristofane nelle Rane ne annunzia e lamenta la decadenza; n trov presso i Lati-ni degni imitatori, poich Seneca a pezza rimase addie-tro ai Greci. Il risorgimento di essa fu riservato alla Francia in Corneille, e allItalia in Vittorio Alfieri.

La commedia secondo Aristotile ebbe da principio una vita nascosa e non fu presa in sul serio n riguardata come importante. Il primo che si ricordi un tal Susa-rione, che, dice il Mller51, avrebbe gareggiato con un coro dIcarii, che simbrattavano di feccia il volto, pel solo premio di una cesta di fichi e dunanfora di vino. Questo Susarione era megarese di Tripodisco, onde con-fermasi la tradizione che non tra gli Attici propriamente avesse origine la commedia, ma tra i Dori, alle cui colo-nie appartenne anche lantico comico siciliano Epicar-

50 Ep. ad Pis. 277. Insegn Eschilo, secondo Flacco, a parlare e recitare con maest e con magnificenza, ed a puntare il pi sul coturno, cio a regolare con gravit proporzionata il gesto, la po-stura ed il contegno della persona. Il coturno fu la calzatura della tragedia, come il socco della commedia, e consisteva in uno stiva-le che aveva un suolo di sughero alto parecchi pollici per ingran-dire la statura degli attori e dar loro un aspetto pi imponente. V. Rich, Diz. ant. grec. e rom.

51 Op. cit., cap. XXVII.50

mo, di cui dir fra poco, e nei quali, dice ancora il Ml-ler52, si celavano alcune faville di comica arguzia, che poi lanciate ne suscettivi animi di altri popoli dorici ed attici, a cos veloce accrescimento scrsero il comico genio.

15. Della Commedia formata, e primamente in Sici-lia. Ma lasciando oggimai il discorso delle antichissi-me origini della commedia, che sono incerte ed avvolte nelloscurit di tanti secoli, da dire ora della comme-dia gi formata, regolata, e retta dal freno dellarte.

E qui ci ricorre una gloria italiana, poich la comme-dia sistemata e ben definita trovasi in Sicilia una genera-zione innanzi alla commedia attica. Quivi essa rappre-sentavasi in Selinunte colonia di Megara, e ricordasi un Aristosseno che ne compose nel dialetto dorico, quindi Formide, Epicarmo, ed il suo figliuolo Dinoloco. Di Formide non si sa nulla se non che fu il primo a vestire gli attori della veste talare detta dai Greci . Epi-carmo contemporaneo di Eschilo e di Pindaro fior circa lolimpiade LXXIV 488 anni avanti lra volgare; egli era nativo dellisola di Coo53, ma da piccolino ne emigr col tiranno di essa Cadmo, e venuto in Sicilia stabilissi in Megara, donde, presa questa citt da Ierone pass a Siracusa. Di Epicarmo fa lelogio Platone che si valse di alcune sue sentenze, e Cicerone che lo chiama acuto e

52 Ibid.53 Dal nome di questisola alcuni vanamente, come nota il

Bindi, trassero letimologia di Comedia. Di Formide, dice il Ml-ler, trovasi presso Efestione un verso chera principio duna pi lunga invettiva contro gli indovini.

51

non insipido, citandone questo verso tradotto: Emori nolo, sed me esse mortuum nihil stimo54; ed altrove cita di lui questaltro verso:

, 55.Questo poeta filosofo compose di molte commedie;

di trentacinque delle quali ci rimangono i titoli, da cui si pu arguire che alcune di esse fossero commedie cos dette di carattere, onde Plauto tolse probabilmente quel-le pitture s vive e risentite, e quel pennelleggiare i ca-ratteri da maestro ed a colpo sicuro56. Presso Ateneo VI, 28, troviamo un frammento in cui con verit di disegno e con franchezza di colorito dipinge cos il parassito57: Mi basta un cenno per correre ad un convito, n cenno aspetto per presentarmi dove si fa nozze; sciorino lodi sperticate a colui che mette tavola, e chi lo contraddice tratto da nemico e svillaneggio; e ben cioncato e meglio mangiato me ne vo. Non ho ragazzo che mi scorga per la via con la lanterna, e soletto nel buio, e barcollando ad ogni passo maffretto verso casa. Se mimbatto nella

54 Tusc., I, 8.55 Att., I, 19: ed forse per questa sentenza che e lo chiama

astuto siciliano.56 Anche Orazio attesta che dicevasi dai critici Plauto aver

imitato Epicarmo nellandamento svelto e vivace della favola e nel festinare ad eventum: Dicitur ... Plautuus ad exemplar Siculi properare Epicharmi (Ep., lib. II, I, 58).

57 Epicarmo fu il primo ad adoperare in questo senso il voca-bolo , che propriamente vale: chi mangia presso od in-sieme, da , presso, e , pigliar cibo. Dagli Attici questa vil genia di persone era designata dapprima col nome generico di , adulatore.

52

ronda, giuro di non aver fatto nulla di male; eppure essi mi caricano di mazzate. Fiaccato dalle busse arrivo a casa, e mi sdraio su duna pelle, e non sento il dolore finch la forza del vino mi grava lanima e la mente. Ex uno disce omnes, e questo poco ci rivela quanto mae-strevolmente Epicarmo maneggiasse il pennello; ed in-sieme lindole della sua commedia, la quale pi che col-lattica antica ebbe affinit colla media e colla nuova. Non vebbe in essa alcun sentore di politica, poich il mordere i reggitori della cosa pubblica, mettere in can-zonella i magistrati, e scoprir le magagne della Signoria non era in Sicilia come nella democrazia di Atene unimpresa da pigliarsi a gabbo e da passarsela impune-mente, ch sotto la tirannide di Ierone ne poteva andare la vita. Quindi, Epicarmo si contenne dentro i limiti del-la vita privata contentandosi di mettere in ridicolo i vizii in generale del comune degli uomini, e sferzare dove non era pericolo di toccarne in ricambio. Intrecci anco-ra allordito delle sue favole speculazioni filosofiche, ed espose dottrine metafisiche; ma riesce quasi inconcepi-bile come si potesse consertare insieme colla frivolezza e colla nugacit della commedia la ponderosa gravit della filosofia, e nondimeno facesse bella prova. In Sici-lia altres ebbe origine unaltra sorta di drammi comici detti Mimi od Etologie, che dapprima furono a guisa dintermezzi alla commedia, come i drammi satirici alla tragedia58, e poscia da essa staccatisi diventarono dram-

58 Ogni autor tragico dovea presentare al Magistrato una trilo-gia o tetralogia, che quanto dire tre o quattro componimenti drammatici uniti, dei quali uno, in cui favellavano i satiri, onde

53

mi comici a parte. Inventore di essi si dice un tal Sofro-ne di Siracusa che in essi rappresent azioni morali in forma dialogica scevre da quelloscena e vituperosa li-cenza che in seguito insucid il teatro; onde Platone, il quale poi non aveva troppo genio co poeti, e guardavali come corrompitori della morale, rec di Sicilia i libri di Sofrone, e narrasi che alla sua morte gli si trovassero sotto il capezzale. Questi mimi passarono poi ai Latini, come vedremo, ma non vennero loro dai Greci, sibbene, come sembra, dagli Osci59.

16. Della Commedia Attica e prima dellantica. Ve-nendo ora alla commedia attica, dir che essa si divide secondo i grammatici Alessandrini in antica, media e tolse il nome, aveva da essere lepido e giocoso per rallegrare gli spettatori atterriti e contristati dalle scene tragiche; tale per es. il Ciclope di Euripide; e si recitava fra una tragedia e laltra, oppure alla fine di tutte, al modo a un dipresso delle nostre farse che si fanno seguire allo stesso scopo alle funeree commedie dei moder-ni e ai drammi lagrimosi. Del dramma satirico parla Orazio spie-gandone lorigine e dandone precetti: Carmine qui tragico vilem certavit ob hircum, Mox etiam agrestes satyros nudavit et asper Incolumi gravitate jocum tentavit eo quod Illecebris erat et grata novitate morandus Spectator functusque sacris et potus et exlex (Ep. ad Pis., 220).

59 Dei mimi alcuni erano serii, altri giocosi, tutti con una ma-ravigliosa naturalezza di stile, chera il linguaggio abitualmente proprio delle persone introdotte a parlare. Lateniese Apollodoro li coment; ma se fossero scritti in verso o in prosa non ben ri-soluto fra i filologi. Credono alcuni che fosse una prosa partecipe del ritmo poetico, come gli Idillii di Gessner, e certamente erano pubblicamente rappresentati (Centofanti, Discorso sulla lettera-tura greca. Firenze, Le Monnier).

54

nuova.Orazio della prima dice essere ella succeduta alla tra-

gedia: successit vetus his comdia non sine multa Laude60; ed altrove ne disegna lindole acre, e satirica:

Eupolis atque Cratinus Aristophanesque potAtque alii, quorum comdia prisca virorum est,Si quis erat dignus describi quod malus aut fur,Quod moechus foret, aut sicarius, aut alioquiFamosus, multa cum libertate notabant61.

Questa commedia antica ebbe unindole al tutto parti-colare, e sola se ne rimane senza esempio n prima n poi nella storia letteraria, ristretta per di pi nella sola repubblica Ateniese. Essa molto ritiene delle orgie bac-chiche e del , che ne fu, come ho osservato, quasi la culla, inquantoch ne conserv la mordace dicacit e la licenziosa e sbarbazzata maldicenza, e le sue invettive diresse senza alcun riguardo o ritegno contro i gover-nanti, i pubblici personaggi, i magistrati, mettendone a nudo la viziosa ed immorale condotta, il pravo e danno-so reggimento, i giudizii compri e venduti, e buttandone nel fango le virt, se pure alcuna ne avevano. Il popolo a questi spettacoli rideva squaccheratamente ed applau-diva a chi metteva a fascio gli Dei, gli uomini, le leggi, i costumi, le istituzioni e di tutto si burlava e motteggia-

60 Ep. ad Pis., 281.61 Satyr., lib. I, 4. Da questi poeti, soggiunge quivi stesso, fece

ritratto Lucilio, cavaliere romano, nella sua satira, mutando in esametri i giambici dei comici: Hinc omnis pendet Lucilius, ho-sce secutus Mutatis tantum pedibus, numerisque, facetus Emunct naris, durus componere versus.

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va. Cicerone mostrasi di s sfrenata licenza scandalezza-to e giustamente sdegnato: Quem illa, dice, non attigit? vel potius, quem non vexavit? cui pepercit? Esto, popu-lares homines, improbos in rempublicam, seditiosos, Cleonem, Cleophantem, Hyperbolum lsit, patiamur; etsi hujusmodi cives a censoribus melius est quam a poeta notari. Sed Periclem, cum ita su civitati maxima auctoritate plurimos annos domi et belli prfuisset, vio-lari versibus et eos agi in scena non plus decuit, quam si Plautus noster voluisset aut Nvius Publio et Gneo Sci-pioni aut Ccilius M. Catoni maledicere62. A leggere le commedie di Aristofane ti pare avere alle mani certi giornali dei nostri giorni e di quei paesi dove la stampa libera; cominciando dagli Dei e dal governo e venendo fino ai letterati tutto malmenato, cuculiato, deriso in modo e stile anche pi virulento e certo pi sconcio e pi da bordello, che non si usi oggid contro la religione e le politiche istituzioni. Se i giornali moderni giovino e rechino dei vantaggi alla societ, massime quando non sieno contenuti dentro certi limiti, io non dir, che non appartiene al mio istituto; dir bene che la prisca com-media nulla approd a correggere e migliorare n i co-stumi n la costituzione politica di Atene; pales forse indecentemente il reale, ma non vi port opportuno ri-medio, e non valse a ritardare dun istante la caduta del-la libert e dellindipendenza republicana che andava a precipizio, e presto soggiacque allemula Sparta, domata e spenta da Lisandro e dai trenta tiranni. Se mai fu vera la sentenza di Carlo Botta che in verit le repubbliche

62 De republ., IV, (IV, 10).56

sono matte, fu in Atene verissima, poich non si pu comprendere come fosse lecito al poeta comico erigersi in censore universale, e dispensare e sparnazzare vitupe-rii sulla scena a cui gli talentasse, ed il teatro cambiare in tribunale dove si citava e si giudicava per via di mot-teggio e di scherzo amari e con beffa sanguinosa, met-tendo a repentaglio lautorit dei reggitori, la tranquillit e la sicurezza dei privati cittadini e la pubblica morale ed onest. In verit gli Ateniesi erano matti, perch su-perbi, spavaldi, invidiosi luno dellaltro; ed ognun sa come giuocassero dostracismi, frivoli, leggieri, curiosi ed amanti di novit; liberi e in pace dallo straniero si da-vano in capo tra loro e rodeansi come cani rabbiosi63: per conseguenza la commedia fu dellindole e natura loro, fedele ed espressivo ritratto di un popolo, che al dir di Plutarco64 come rigoglioso cavallo insolentiva, n comportava pi di obbedire ai magistrati, e mordeva lEubea e spiccava salti nellisole.

Si potrebbe domandare come e perch la commedia godesse s ampia e sconfinata licenza, n a frenarla sa-doperasse alcuna censura, permettendo che il poeta co-mico a talento mettesse al pallio, caricandola dinsulti, qualunque persona gli venisse bene. Non so se da ammi-

63 Alla stessa guisa Dante dipinge le repubbliche dItalia al suo tempo: Quellanima gentil (Sordello) fu cos presta Sol per lo dolce suon della sua terra Di fare al cittadin suo quivi festa; Ed ora in te non stanno senza guerra Li vivi tuoi, e lun laltro si rode Di quei che un muro ed una fossa serra; e pi sotto: Ch le terre dItalia tutte piene Son di tiranni, ed un Marcel diventa Ogni villan che parteggiando viene. (Purg., VI, 83-120).

64 Vita di Pericle, c. 7.57

rare o da riprendere sarebbero e Pericle e gli altri magi-strati supremi se per tolleranza e per bonariet avesser lasciato calpestare la maest delle leggi, ed a se stessi dar cos il giambo su pei teatri. Il p. Brumoit stima che per politica si lasciasse imperversare la commedia, per-ch i capi della repubblica preferivano che il popolo ri-desse e scherzasse intorno alla loro amministrazione, anzi che la togliesse ad esaminare e notare in sul serio; altri dissero che gli Ateniesi perdonavano di buon grado a chi facesse mostra di spirito arguto e lepido e li muo-vesse al riso. Ma queste risposte non mi sembrano appa-ganti gran fatto, tanto pi che si sa non essere stati s in-dulgenti i magistrati Ateniesi da lasciar celiare a capric-cio ed impunemente di s e della cosa publica, poich condannarono a morte Anassimandro per un solo verso satirico assai meno caustico ed offensivo di quelli di Aristofane: non altro avendo fatto Anassimandro che parodiare questo verso di Euripide: : la natura il volle a cui nulla impor-ta delle leggi, e sostituire alla parola la parola in guisa che il senso fosse: La citt ossia il magi-strato il volle a cui nulla importa delle leggi: n di natu-ra gran fatto benigna e paziente dovette essere Alcibiade se vero , come dice lo Schlegel65, che facesse affogare Eupoli per punirlo daver diretto contro di lui una satira dialogizzata66. duopo per rispondere a questa questio-

65 Corso di letteratura drammatica, sez. 4a.66 Il genio satirico cost caro ben spesse volte a chi ne fece

uso. Si narra, nelle istorie di quel buffone, che avendo data unambasciata ad un morto per Augusto allo scopo di mordere Ti-

58

ne ritornarsi alla mente quello che ho detto di sopra del-le origini della commedia. Si veduto chessa apparten-ne ad una sacra funzione esclusivamente propria del cul-to di Bacco. Or bene anche in seguito mantenne questo carattere, e fu parte delle solennit Panatenaiche a cui convenivano tutti i popoli della Grecia. Il teatro dunque godette, si direbbe, come luogo sacro, del benefizio da-silo e dimmunit, ed allombra protettrice del tempio scaravent lazzi, ingiurie e calunnie senza distinzione di cose n di persone, non risparmiandola neppure agli Dei tutelari ed alla religione che lo salvava dalle leggi67. No-nostante ci, del tutto non furono franchi e sicuri i comi-ci dai birri e dalla ragione, il che si dimostra dal fatto di berio, fu da questo mandato per la via delle forche a portarne egli stesso una seconda. Dicesi che Dante nei monti del genovesato fosse fatto battere di santa ragione da quel Branca dOria cui egli aveva ancor vivo detruso nella Tolomea (Inf., XXXIII, 137). Al-lAretino la lingua sconcia e maledica stette ben sovente bastona-te; ed fama che a Fulvio Testi lode: Ruscelletto orgoglioso, co-stasse la vita; come poco manc che il Castelvetro, per le amare critiche contro il Caro, non fosse davvero allInquisitore, al Boja ed al gran diavolo raccomandato (Caro, Apolog.).

67 Che la commedia fosse a guisa di cosa sacra, si rileva eziandio dalla forma stessa del teatro, sul palco scenico del quale era eretta unara da sacrifizio, detta dai Greci (che manc poi, come dice il Rich, nel teatro romano), circondata allintorno da scaglioni, sopra cui stava il coro, tra gli uffizii del quale era anche quello di cantare inni agli Dei, come per es. nelle Tesmofo-reggianti di Aristofane un coro di donne intona un melodioso cantico di lode e di gloria agli Dei: .....

, ecc. (Tesmof., 959 e seg.).59

Eupoli pur ora accennato, e da un altro riguardante i Ca-valieri di Aristofane. Trattavasi in questa commedia di rovesciar Cleone, uomo volgare e violento, salito dopo la morte di Pericle al potere, ed idolo adorato del popo-lazzo; ma niun fabbricatore di maschere ebbe il corag-gio di foggiarne una che rappresentasse il formidabile demagogo, onde Aristofane stesso dipintosi il viso fece la parte di questo personaggio, e seppesi nellazione de-streggiare in modo, non lo nominando mai, che ne cav salva la pelle.

Diretta comera la commedia antica alla satira politi-ca ed a mordere e trafiggere i personaggi viventi, non ha, si pu dire, un intreccio ben connesso e ben disposto che vada via svolgendosi e tendendo ad un fine corri-spondente e proporzionato al principio, n caratteri scol-piti e sostenuti fino al termine; ma cominciando con biz-zarre ed allegre fantasie procede sostenendosi per buon tratto, e scintilla di vivacit e di brio; poi verso il finire decade e si raffredda: nervi deficiunt animique, direbbe Orazio, non sibi constat, ed soggetta talora a dare fu-mum ex fulgore, ed a mancare alla legge: primo ne me-dium, medio ne discrepet imum. In generale, dice lo Schlegel68, lantica commedia era esposta al pericolo di rallentarsi nel suo cammino. Quando si comincia dal maraviglioso, quando si dipinge il mondo volto sosso-pra, i pi straordinarii avvenimenti si offrono tosto da s; ma non possibile che questa prima vivacit si so-

68 Op. cit., lez. IVa. Io cito la versione che di questopera fece Giovanni Gherardini, abbandonando lortografia, si direbbe, eti-mologica diversa da quella della lingua parlata, adoperata da lui.

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stenga, e tutto par debole in confronto dei grandi colpi vibrati a prima giunta dallo scherzo.