DELACROIX,HAYEZ,COURBET,MACCHIAIOLI,FATTORI - Riassunto

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DELACROIX Delacroix studiò al Lycée Imperiai di Parigi e dal 1815 fu allievo di Pierre Narcisse Guérin. L'artista si staccò molto presto dalla poetica neoclassica e arrivò a essere il maggiore dei pittori romantici francesi. Del Romanticismo la sua arte incarna la malinconia, il desiderio di cambiamento, l'avversione per l'accademismo, il riferimento ai fatti della storia medioevale, piuttosto che a quelli della storia antica. Il soggiorno in Marocco nel 1832, se da un lato appagava il suo esotismo romantico, dall'altro gli faceva scoprire la luminosità dei cieli nordafricani e i colori accesi. Dal Marocco riportò in patria un gran numero di bozzetti e impressioni a cui attinse per tutta la vita. Delacroix divenne un pittore colorista . Ci sono già in queste osservazioni, tutte quelle linee di ricerca che apriranno aR'Impressionismo. L'artista si spense a Parigi il 13 agosto 1863. Il disegno di Delacroix è immediato, nervoso e fortemente espressivo, sia negli schizzi sia nei bozzetti. Rapidi accenni paesaggistici a cui si sommano annotazioni sui colori osservati. Il disegno è essenziale; la matita ora tenuta leggera, ora premuta contro il foglio, crea forti contrasti chiaroscurali. Il tratteggio obliquo o curvilineo stabilisce, invece, i mezzi toni. Giocata sui forti contrasti luministici ottenuti quasi essenzialmente per mezzo di un tratteggio curvilineo e filiforme è, invece, la litografia rappresentante Macbeth e le streghe, la celebre tragedia di William Shakespeare. Una maggiore dolcezza e un uso di colori caldi, sovrapposti al tenue disegno a matita, si può cogliere nell'acquerello rappresentante La moglie di Abraham Benchimol e una delle sue figlie. La barca di Dante, Il soggetto, tragico e pieno di forza, è tratto dall'ottavo canto dell'Inferno dantesco, ove si narra del passaggio dello Stige, la palude infernale, nel cui fango sono immersi gli iracondi che si percuotono e si mordono a vicenda. La barca è pilotata da Flegias. il demone nocchiero. Durante la traversata — che avrebbe condotto Dante e Virgilio verso l'infuocata città di Dite - il Poeta incontra l'anima di Filippo Argenti, un iroso e arrogante fiorentino che intende anche rovesciare la barca. Delacroix ha immerso tutti i personaggi - Flegias, Dante, Virgilio e i dannati - in un ambiente tenebroso dal cui fondo emergono fuoco e nuvole di fumo dai riflessi rossastri che si sprigionano oltre le mura possenti della città di Dite. Ogni corpo, tuttavia, ha bagliori di luce che lo modellano: da Flegias visto da tergo e intento a remare a Dante che, impaurito, cerca riparo presso l'ammantato Virgilio, fino ai dannati atteggiati in varie pose. In specie i nudi vigorosi, volumetricamente trattati con un forte chiaroscuro, sono un ricordo di quelli michelangioleschi. Delacroix, non ha fatto ricorso a un colore ottenuto dalla fusione di più colori né ha impiegato un colore carico di riflessi di luce, ma ha posto l'uno di fianco all'altro il rosso, il giallo, il verde e tocchi di bianco. L'unico colore, quindi, è stato diviso nei suoi componenti che, puri, sono stati posati sulla tela. La Libertà che guida il popolo è l'opera che Delacroix realizzò in quello stesso 1830, ed espose al Salon nell'anno successivo, per ricordare ed esaltare la lotta per la libertà dei parigini.I riferimenti formali a La zattera della Medusa di Géricault, di un decennio prima, sono innegabili, specie nella composizione piramidale. Alla perfezione anatomica che conferisce importanza a ciascuno dei personaggi sulla zattera, però, si è sostituita la massa indistinta del popolo, senza connotazioni fisionomiche particolari. Ciascuno poteva, in tal modo, rivedersi o immaginarsi fra la gente che aveva combattuto per il bene del proprio Paese. Il messaggio è preciso e immediato le varie classi sodali nella lotta comune: ci sono il popolano, il militare e il borghese (l'uomo con il cilindro, probabile autoritratto dell'artista). Il fumo degli incendi e degli spari e la polvere sollevata dagli insorti lasciano immaginare l'esistenza di un qualcosa anche lì dove ci è impedito di vedere. Le torri gemelle della Cattedrale di Notre-Dame, sulla destra, stanno a suggerire la collocazione geografica deU'vvenimento. Sulle barricate una donna con il berretto frìgio e a seno scoperto, la Libertà, stringendo nella destra il tricolore e impugnando con la sinistra un fucile, incita il popolo a seguirla. Essa viene verso di noi seguita dalla gran massa degli insorti: è un modo per invitarci a partecipare. È come se noi stessi, parte del popolo in armi, in posizione avanzata, abbandonando per un attimo la nostra corsa, ci fossimo voltati indietro per guardare e riprendere vigore e slancio spronati dalla consapevolezza d'avere compagna la Libertà. È molto probabile che la fonte iconografica a cui Delacroix si rifece per la fanciulla a seno scoperto fosse la statua ellenistica della Venere di Milo. I colori scuri sono resi più vivaci da quelli brillanti della bandiera della Francia repubblicana, colori che si ripetono negli abiti della figura ai piedi della Libertà. la decorazione della Cappella dei Santi Angeli nella chiesa parigina di Saint-Sulpice. II ciclo pittorico comprende due dipinti murali (Eliodoro mcciato dal Tempio e Giacobbe lotta con l'angelo), un soffitto con una tela raffigurante San Michele che vince il demonio e quattro vele a monocromo raffiguranti angeli. Il soggetto è tratto dal libro della Genesi, la figura di un uomo in lotta addirittura con la divinità, è in sintonia con il tema romantico dell'eroe solitario. In un ambiente dominato da alberi maestosi e contorti, a sinistra i corpi dell'angelo e di Giacobbe sono avvinghiati, al centro sono raggruppati degli abiti da viaggiatore e delle armi, mentre sulla destra sono collocati i servi e le mandrie di Giacobbe in movimento. La luce che si distribuisce sui tronchi degli alberi, assecondando le cortecce rugose, e la sapiente distribuzione dei riflessi sulle foglie delle chiome sono il frutto di laboriose ricerche e di lunghe osservazioni. Tutti i riflessi partecipano del verde; i bordi dell'ombra, del viola». Per Delacroix ogni colore contiene i tre colori primar i: I blu, rosso e giallo. Se per l'artista la verità del colore si trova solo in piena luce è evidente come egli tendesse a ricreare nel chiuso delle mura di una chiesa proprio quei colori e quei riflessi che il sole provoca all'aperto. Inoltre il massimo della lumino-sità è

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Riassunto fatto dal libro: Itinerario dell'Arte - Dall'Età dei Lumi ai giorni nostri di Cricco di Teodoro, Zanichelli

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DELACROIX Delacroix studiò al Lycée Imperiai di Parigi e dal 1815 fu allievo di Pierre Narcisse Guérin. L'artista si staccò molto presto dalla poetica neoclassica e arrivò a essere il maggiore dei pittori romantici francesi. Del Romanticismo la sua arte incarna la malinconia, il desiderio di cambiamento, l'avversione per l'accademismo, il riferimento ai fatti della storia medioevale, piuttosto che a quelli della storia antica. Il soggiorno in Marocco nel 1832, se da un lato appagava il suo esotismo romantico, dall'altro gli faceva scoprire la luminosità dei cieli nordafricani e i colori accesi. Dal Marocco riportò in patria un gran numero di bozzetti e impressioni a cui attinse per tutta la vita. Delacroix divenne un pittore colorista. Ci sono già in queste osservazioni, tutte quelle linee di ricerca che apriranno aR'Impressionismo. L'artista si spense a Parigi il 13 agosto 1863. Il disegno di Delacroix è immediato, nervoso e fortemente espressivo, sia negli schizzi sia nei bozzetti. Rapidi accenni paesaggistici a cui si sommano annotazioni sui colori osservati. Il disegno è essenziale; la matita ora tenuta leggera, ora premuta contro il foglio, crea forti contrasti chiaroscurali. Il tratteggio obliquo o curvilineo stabilisce, invece, i mezzi toni. Giocata sui forti contrasti luministici ottenuti quasi essenzialmente per mezzo di un tratteggio curvilineo e filiforme è, invece, la litografia rappresentante Macbeth e le streghe, la celebre tragedia di William Shakespeare. Una maggiore dolcezza e un uso di colori caldi, sovrapposti al tenue disegno a matita, si può cogliere nell'acquerello rappresentante La moglie di Abraham Benchimol e una delle sue figlie. La barca di Dante, Il soggetto, tragico e pieno di forza, è tratto dall'ottavo canto dell'Inferno dantesco, ove si narra del passaggio dello Stige, la palude infernale, nel cui fango sono immersi gli iracondi che si percuotono e si mordono a vicenda. La barca è pilotata da Flegias. il demone nocchiero. Durante la traversata — che avrebbe condotto Dante e Virgilio verso l'infuocata città di Dite - il Poeta incontra l'anima di Filippo Argenti, un iroso e arrogante fiorentino che intende anche rovesciare la barca. Delacroix ha immerso tutti i personaggi - Flegias, Dante, Virgilio e i dannati - in un ambiente tenebroso dal cui fondo emergono fuoco e nuvole di fumo dai riflessi rossastri che si sprigionano oltre le mura possenti della città di Dite. Ogni corpo, tuttavia, ha bagliori di luce che lo modellano: da Flegias visto da tergo e intento a remare a Dante che, impaurito, cerca riparo presso l'ammantato Virgilio, fino ai dannati atteggiati in varie pose. In specie i nudi vigorosi, volumetricamente trattati con un forte chiaroscuro, sono un ricordo di quelli michelangioleschi. Delacroix, non ha fatto ricorso a un colore ottenuto dalla fusione di più colori né ha impiegato un colore carico di riflessi di luce, ma ha posto l'uno di fianco all'altro il rosso, il giallo, il verde e tocchi di bianco. L'unico colore, quindi, è stato diviso nei suoi componenti che, puri, sono stati posati sulla tela. La Libertà che guida il popolo è l'opera che Delacroix realizzò in quello stesso 1830, ed espose al Salon nell'anno successivo, per ricordare ed esaltare la lotta per la libertà dei parigini.I riferimenti formali a La zattera della Medusa di Géricault, di un decennio prima, sono innegabili, specie nella composizione piramidale. Alla perfezione anatomica che conferisce importanza a ciascuno dei personaggi sulla zattera, però, si è sostituita la massa indistinta del popolo, senza connotazioni fisionomiche particolari. Ciascuno poteva, in tal modo, rivedersi o immaginarsi fra la gente che aveva combattuto per il bene del proprio Paese. Il messaggio è preciso e immediato le varie classi sodali nella lotta comune: ci sono il popolano, il militare e il borghese (l'uomo con il cilindro, probabile autoritratto del-l'artista). Il fumo degli incendi e degli spari e la polvere sollevata dagli insorti lasciano immaginare l'esistenza di un qualcosa anche lì dove ci è impedito di vedere. Le torri gemelle della Cattedrale di Notre-Dame, sulla destra, stanno a suggerire la collocazione geografica deU'vvenimento. Sulle barricate una donna con il berretto frìgio e a seno scoperto, la Libertà, stringendo nella destra il tricolore e impugnando con la sinistra un fucile, incita il popolo a seguirla. Essa viene verso di noi seguita dalla gran massa degli insorti: è un modo per invitarci a partecipare. È come se noi stessi, parte del popolo in armi, in posizione avanzata, abbandonando per un attimo la nostra corsa, ci fossimo voltati indietro per guardare e riprendere vigore e slancio spronati dalla consapevolezza d'avere compagna la Libertà. È molto probabile che la fonte iconografica a cui Delacroix si rifece per la fanciulla a seno scoperto fosse la statua ellenistica della Venere di Milo. I colori scuri sono resi più vivaci da quelli brillanti della bandiera della Francia repubblicana, colori che si ripetono negli abiti della figura ai piedi della Libertà. la decorazione della Cappella dei Santi Angeli nella chiesa parigina di Saint-Sulpice. II ciclo pittorico comprende due dipinti murali (Eliodoro mcciato dal Tempio e Giacobbe lotta con l'angelo), un soffitto con una tela raffigurante San Michele che vince il demonio e quattro vele a monocromo raffiguranti angeli. Il soggetto è tratto dal libro della Genesi, la figura di un uomo in lotta addirittura con la divinità, è in sintonia con il tema romantico dell'eroe solitario. In un ambiente dominato da alberi maestosi e contorti, a sinistra i corpi dell'angelo e di Giacobbe sono avvinghiati, al centro sono raggruppati degli abiti da viaggiatore e delle armi, mentre sulla destra sono collocati i servi e le mandrie di Giacobbe in movimento. La luce che si distribuisce sui tronchi degli alberi, asse-condando le cortecce rugose, e la sapiente distribuzione dei riflessi sulle foglie delle chiome sono il frutto di laboriose ricerche e di lunghe osservazioni. Tutti i riflessi partecipano del verde; i bordi dell'ombra, del viola». Per Delacroix ogni colore contiene i tre colori primari: I blu, rosso e giallo. Se per l'artista la verità del colore si trova solo in piena luce è evidente come egli tendesse a ricreare nel chiuso delle mura di una chiesa proprio quei colori e quei riflessi che il sole provoca all'aperto. Inoltre il massimo della lumino-sità è raggiunto da Delacroix con l'opposizione dei complementari rosso e verde, colori che determinano la struttura cromatica dell'intero dipinto. C'è ancora, nell'opera che stiamo osservando, un'armo-nia e un'unità fatta di linee, colori, posizioni dei personaggi e tocchi di colore arbitrario.HAYEZ Nato a Venezia il 10 febbraio 1791, Hayez fece i suoi primi studi nella città lagunare, vinse il Premio Roma,e poté vivere nell'Urbe a contatto con le antichità e con le opere di Raffaello che studiò a lungo e con passione. Anche Antonio Canova lo aiutò grandemente nei suoi inizi. L'artista visse fra Roma e Venezia, ma nel 1823 si trasferì definitivamente a Milano.Ebbe una vita estremamente produttiva, ottenne numerosi incarichi. Si spense a Milano il 21 dicembre 1882 all'età di 91 anni. Francesco Hayez, si trovò a operare proprio quando la pittura storica, divenne un mezzo per diffondere nell'animo degli Italiani una comune coscienza di Nazione proponendo un glorioso passato a favore della libertà e contro la tirannide. Rinunciando ai modelli e alle finzioni mitologiche - dopo una prima totale e coinvolgente adesione al Neoclassicismo - Hayez si rivolse alla rappresentazione del vero. Per "vero" si deve intendere la realtà, la società, i sentimenti propri e quelli degli altri uomini. I dipinti dell'artista associano al vero il "bello", cioè una certa idealità: quindi, la realtà non è mai interpretata in maniera cruda. Non solo, al vero e al bello corrisponde un contenuto serio, fatto di ideali, di sentimenti elevati, di pensieri edificanti. L'opera d'arte, infatti, è rivolta non più a un' élite, come nel passato, ma al popolo intero e ha funzione educativa. Il disegno a matita del 1822 preparatorio per un dipinto a olio, raffigurante la conclusione della storia mitica di Aiace d'Oilèo. Aiace , figlio di Oileo, è mostrato aggrappato allo scoglio sul quale Poseidon lo ha fatto approdare dopo un naufragio. Il contorno è netto, il segno sicuro, il tratteggio deciso. L'esercizio sui modelli antichi, lo studio approfondito del nudo, l'aspirazione a una bellezza ideale priva di imperfezioni, l'aderenza ai principi della poetica neoclassica, il ri-ferimento alla coeva scultura canoviana e gli echi dell'Apollo del Belvedere sono alla base dell'Atleta trionfante. L'idea, che tiene nella destra la palma della vittoria, è in primo piano ed è collocato in un ambiente composto da un carro — quello del trionfo - e da un edificio classico con colonne doriche scanalate. Alla destra dell'atleta, abbandonato contro il muro, un disco di pietra: evidentemente il giovane uomo è un discobolo. La quasi frontalità è un mezzo per dimostrare la perfetta conoscenza dell'anatomia e delle regole proporzionali che stanno alla base dello studio del nudo. La posizione dell'atleta è resa meno statica e più dolce dall'incedere verso destra e dalla rotazione della testa verso il lato opposto. L'efficace chiaroscuro, invece, è dovuto al-l'illuminazione da sinistra e all'atteggiarsi del corpo, appena sinuoso, con un braccio sollevato e l'altro avvolto in un bruno man-tello ondeggiante che offre il necessario contrasto all'incarnato chiaro. Dal Neoclassicismo derivano la perfezione e l'accuratezza esecutiva delle nuove creazioni. Proprio tale continuità con il "vecchio" ha consentito l'immediata accettazione da parte del pubblico dei nuovi soggetti trattati e, per conseguenza, ha determinato la diffusione e l'assorbimento dei nuovi contenuti romantici. La congiura dei Lampugnàni (o ài Còla Montano), è uno dei dipinti di Francesco Hayez che ben rispondeva al requisito di affinità con il diffuso sentimento patriottico italiano. In esso è raffigurato il momento in cui il 26 dicembre 1476 tre giovani milanesi, Giovanni Andrea Lampugnani, Girolamo Olgiati e Carlo Visconti, stanno sfoderando i pugnali per assassinare il duca Galeazzo Maria Sforza nella Chiesa di Santo Stefano, per porre fine alla sua tirannide.I giovani, in primo piano, sono disposti diagonalmente su una scalinata che forma la base della statua di Sant'Ambrogio, alla cui protezione l'anziano umanista Cola Montano (sulla destra), educatore dei tre giovani e ispiratore della congiura, sta affidando i congiurati. A sinistra, in fondo, il duca fa il suo ingresso nella chiesa, un edificio presentato da Hayez in forme romanico-goti che, mentre, ai tempi dell'artista, aveva ancora un'ornamentazione barocca. La ricreazione di una "corretta" ambientazione e la proposta dell'antico assetto dell'edificio sacro assumono particolare significato in anni in cui la progettazione architettonica cercava ispirazione negli edifici medioevali e quando si stava facendo strada il concetto di restauro degli edifìci "in stile", cioè secondo le forme originarie Il fascino del dipinto, di grande equilibrio, consiste - ed era così anche all'epoca della sua realizzazione ed esposizione al pubblico - nell'evidente assimilazione dei congiu rati, giovani e dalle mosse furtive, ai cospiratori carbonari ottocenteschi animati da un uguale spirito di libertà. E del 1842 Pensiero malinconico, un dipinto che rappresenta ima fanciulla presa dalla malinconia, imo stato d'animo a cui veniva dato ampio spazio

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anche nell poesia contemporanea. Nella dolcissima fanciulla dai grandi occhi scuri, l'aspet to quasi discinto sta sottolineare, nell'imperfezione dello stato esteriore, una ca duta dell'equilibrio emotivo, spostatosi verso la tristezza so gnante e la depressione. A rafforzare la sensazione di perdi ta, una sorta di autunno dei sentimenti, Hayez ha collocat sulla sinistra un vaso di fiori in parte appassiti. Dei petali una foglia caduti suggeriscono, con la loro definitiva sepa razione dalla vita, la scomparsa della gioia. Il bacio: Sicuramente la più famosa creazione dell'artista, il dipinto godette di un'ampia e meritata popolarità. Il bacio dolce e furtivo che si stanno scambiando i due giovani in abiti medioevali venne immediatamente interpretato come l'addio del cospiratore, o del volontario, alla fanciulla amata. Favorivano tale interpretazione il volto coperto del giovane ammantato e dal berretto piumato, il suo piede sinistro poggiante su uno scalino, il pugnale la cui impugnatura preme contro un fianco della fanciulla e l'ombra di una persona che pare quella di uno che spii di nascosto. Le figure dei due giovani si stagliano nitide contro una parete di pietre squadrate. La fanciulla è completamente abbandonata nell'abbraccio. La sua flessuosa figura, come ritagliata fra il rosso delle calze e il bruno del mantello del giovane amato, è impreziosita dai riflessi cangianti e lucenti della veste di seta che sembra aggiungere luce alla scena. Il ritratto di Massimo d'Azeglio, amico di Hayez ed egli stesso pittore, uomo e letterato. Il dipinto venne realizzato in base a una fotografia. I colori caldi, il fondo che dal verde cupo passa gradualmente a toni più chiari fino a contornare con una sorta di àura il personaggio, il simile effetto creato dalla tappezzeria di damasco della poltrona il cui disegno associa il giallo ocra al verde cupo, nonché la mancanza di ambientazione, contribuiscono a situare la figura di Massimo d'Azeglio fuori dal tempo. II volto del nobile intellettuale dagli occhi indagatori e l'indice della mano sinistra che tocca il mento, restituiscono, infine, l'immagine di un uomo riflessivo, dai pensieri profondi, affidabile e sereno. COURBET Di fronte ai nuovi fatti accaduti, al sangue versato sulle barricate del '48, alle condizioni di vita misere e depravate dei ceti popolari più bassi, l'artista non sembra potersi più nascondere fuggendo nel mondo incantato della mitologia o dello storicismo romantici. I movimenti realisti nascono pertanto proprio per rispondere in modo artistico a questa prepotente richiesta di vero e di quotidiano. In pittura come in letteratura non si vuole più ingannare, al contrario si cerca di documentare la realtà nel modo più distaccato possibile, quasi analitico. In Francia, in modo particolare, il Realismo si sviluppa come metodo scientifico per indagare la realtà, spiegandone le contraddizioni e le miserie senza esserne però coinvolti emotivamente. Il primo (e unico) fine dell'artista, infatti, sarà quello di annotare minuziosamente le caratteristiche del mondo che lo circonda, astenendosi il più possibile da qualsiasi giudizio di tipo soggettivo. Il capostipite indiscusso del realismo pittorico francese è senza dubbio ]ean-Désiré-Gustave Courbet. Nato a Ornans nel 1819. Formatosi quasi da autodidatta, inizia la propria attività nel solco della tradizione romantica, dedicandosi soprattutto alla copia dal vero e al rifacimento di alcuni dipinti del Louvre. stato contrario all'insegnamento dell'arte, nel 1861 apre una propria, singolarissima scuola, in evidente e aperta polemica con l'Accademia e le altre scuole d'arte ufficiali. Ai suoi pochi allievi il bizzarro maestro insegna innanzi tatto che «non ci possono essere scuole: ci sono soltanto pittori». Courbet è infatti del parere che l'arte non possa essere appresa meccanicamente, ma che, al contrario, essa «è tutta individuale e che, per ciascun artista, non è altro che il risultato della propria ispirazione e dei propri studi sulla tradizione».Ecco allora che anche nella scelta dei temi l'artista abbandona di colpo qualsiasi riferimento storicistico concentrandosi sui piccoli fenomeni del quotidiano, registrati con l'impersonale distacco di un osservatore oggettivo e ribadendo che il proprio scopo è comunque quello di «fare dell'arte viva», esaltando l'«eroismo della realtà». Ne Lo spaccapietre del 1849, ad esempio, Courbet rappresenta un manovale intento a frantumare dei sassi per ricavarne ciottoli di pezzatura inferiore. Il soggetto è molto diverso da quelli ai quali ci aveva abituato la pittura accademica del tempo, trattandosi - come scriveva lo stesso artista - di «pittura senza storia». L'occhio indagatore di Courbet scava impietosamente nella realtà mettendone a nudo ogni risvolto. Ecco allora le toppe sulle maniche della camicia, il panciotto strappato sotto l'ascella, i calzini bucati al tallone. A sinistra, sotto un cespuglio, vi sono anche una pentola e mezzo filone di pane, evidente accenno a quello che sarà il povero pasto dello spaccapietre. La natura circostante è tratteggiata in modo essenziale, quasi scarno, senza indulgenza né compiacimen- 1 ti. Courbet rifugge da qualsiasi tentazione pietistica e projl prio in questo equilibrio sta la sua grandezza. Nell'Atelier del pittore, che l'artista stesso definisce in modo volutamente contraddittorio come un'«allegoria reale», egli espone in modo compiuto tutti i propri ideali artistici e umani. Al centro della composizione, realizzata nel 1855, Cour-bet rappresenta se stesso intento a dipingere un paesaggio di Ornans con un cielo estremamente realistico e anticonvenzionale. Attorno a lui si affollano, nella fosca penombra dell'atelier, una trentina di personaggi. A sinistra sono rappresentate le classi sociali che vivono ai margini della società: operai, saltimbanchi, balordi. Hanno tutti la testa mestamente reclinata e l'atteggiamento pensoso. Nei loro volti senza sorriso si legge il pesante fardello della vita e dei suoi dolori. A destra sono invece i sogni e le allegorie. Tra queste l'amore, la filosofia e la letteratura, alle quali Courbet ha imprestato i volti di vari amici e conoscenti. La Ve-rità, nuda accanto all'artista, osserva con tenerezza l'opera che egli sta ultimando. Di fronte un bimbetto dai vestiti laceri guarda incuriosito: la verità, vuol dirci l'artista è semplice e innocente, oltre che nuda. Fanciulle sulla riva della Senna, nel quale l'artista rappresenta due giovani donne che si riposano su un praticello in riva al fiume. In esso, l'autore non rappresentava personaggi storici o mitologici e per la prima volta la scena appariva ambientata non in una dimensione fantastica e lontana ma lungo le ben note rive della Senna. Le due ragazze sdraiate, poi, erano vestite secondo il gusto dell'epoca, e ciò escludeva definitivamente qualunque volontà, da parte dell'artista, di identificarle con qualche personaggio dell'antichità classi-ca. Nei loro volti assonnati e un po' volgari, anzi, si poteva leggere tutta la quotidianità della loro storia. Erano amiche o, all'occhio di taluni critici, addirittura prostitute, andate a fare una passeggiata e sopraffatte dal torpore del caldo pomeriggio primaverile. Le loro posizioni, goffe e quasi sgraziate, ci dicono di come l'artista abbia voluto coglierle di sorpresa: una, quella in primo piano, appena assopita e l'altra, invece, placidamente immersa nei propri pensieri, con in grembo un mazzo di fiori dai colori sgargianti. Il realismo complessivo della scena e,non deve indurci a credere che l'artista costruisse i suoi dipinti in modo casuale. Nel caso specifico egli realizzò moltissimi schizzi preparatori. Il delicato chiaroscuro dello sfondo e le morbide lumeggiature degli incarnati, infatti, ci testimoniano come per l'artista il disegno assuma già dall'inizio un preciso valore documentativo, per rispecchiare la realtà «in tutte le sue forme e in tutte le sfumature». Courbet realizza anche un significativo bozzetto a colori, vengono studiati con molta attenzione sia l'equilibrio compositivo, sia la giustapposizione dei colori, al fine dichiarato di riportare «la natura a un massimo di potenza e intensità». Jo, la bella ragazza irlandese, noto anche come Donna d'Irlanda . II dolce personaggio femminile si guarda allo specchio districando la gran massa di capelli rossicci con la mano destra. La composizione, organizzata lungo una delle diagonali della tela, è di un realismo palpitante. Gli occhi chiari e intenti della giovane, l'incarnato morbido e chiaro, i lunghi boccoli negligentemente ricadenti sulle spalle, ne fanno uno dei ritratti meglio riusciti di Courbet. La resa dei particolari, infine, quali la candida camicetta o il piano marmoreo della toeletta, rimanda da un lato all'immediatezza di Delacroix, preludendo dall'altro alla resa sintetica, per veloci tocchi di colore, "di Edouard Manet MACCHIAIOLI La più vivace schiera di intellettuali amava ritrovarsi nel centralissimo Caffè Michelangelo. Importante ideologo del gruppo del Michelangelo fu il pittore Telemaco Signorini, per gli amici Macchiaioli. Il suo arco di sviluppo si può pertanto collocare tra il 1855 e il 1867. Le premesse culturali che hanno consentito la nascita e lo sviluppo della macchia sono da ricercarsi nella rivolta al-l'accademismo e nella volontà di ripristinare il senso del vero. Dato che, secondo i giovani artisti del gruppo, tutte le nostre percezioni visive avvengono grazie alla luce, ogni nuova pittura che miri al realismo doveva necessariamente riprodurre la sensazione stessa della luce. Poiché la luce non viene percepita in sé ma solo attraverso le modulazioni dei colori e delle ombre, ecco che per restituire pittoricamente l'effetto-luce occorre impiegare colori e ombre variamente graduati. E, visto che nella realtà non esiste né il disegno né la linea di contorno, il nostro occhio è colpito sólo dai colori, organizzati in masse contrapposte. I limiti di un oggetto sono infatti dati dal brusco passaggio da un colore all'altro ed è proprio questa differenza di colori che ce ne determina l'esatto contorno. La pittura deve pertanto cercare di ricostruire la realtà per masse di colore e il modo più semplice e utile per riuscirvi è quello di impiegare, appunto, le macchie. Il disegno scompare, e la sensazione complessiva che ne deriva è quella di una grande solidità. Le macchie, infatti, posseggono una loro corposità, e appaiono sempre massicci e ben strutturati. L'innovazione della tecnica pittorica coinvolge, fin dall'inizio, anche la scelta dei temi da dipingere. Abbandonati immediatamente i soggetti di carattere storico e mitologico cari alla tradizione accademica, i giovani pittori del gruppo rivolgono la loro attenzione al vero così come appariva loro dall'osservazione del quotidiano.FATTORI Giovanni Fattori fu, senza dubbio, il maggior pittore italiano dell'Ottocento. Uomo semplice e schivo, nasce a Livorno nel 1825. Egli anche frequenta il Caffè Michelangelo, dove entra in contatto con «una classe di giovani [artisti], i quali erano divenuti nemici dei professori accademici: guerra all'arte classica! ». L'adesione di Fattori alla macchia è spontanea e quasi fisio- logica. Quel qualcosa che, fin dagli anni dell'Accademia, lo aveva reso insofferente nei confronti della pittura storico-celebrativa, riusciva finalmente ad avere un nome. Si trattava, in pratica, della volontà di indagare la realtà secondo il «puro verismo», obbedendo allo «stimolo acuto di fare studi di animali e paesaggio» nel tentativo «di mettere sulla tela tutte le sofferenze fisiche e morali di tutto

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quello che disgraziatamente accade». «Il verismo porta lo studio accurato della Società presente, il verismo mostra le piaghe da cui è afflitta, il verismo manderà alla posterità i nostri costumi e le nostre abitudini». Fattori indaga le situazioni più quotidiane, meno appariscenti e, proprio per questo, spesso più dolorose e reali. I suoi soldati, infatti, non hanno nulla degli eroi di David. In essi l'artista riconosce contadini e operai che, strappati al lavoro, alle case e agli affetti, sono costretti a morire, spesso senza sapere neanche perché.L'altro soggetto fondamentale dell'arte fattoriana è, quello del lavoro dell'uomo. E poiché la società toscana è una società ancora quasi completamente agricola, l'attenzione dell'artista va soprattutto ai contadini e alla loro fatica. Fattori è il cantore della terra inaridita dal sole, del contadino che arandola la irrora del suo sudore, dei buoi bianchi che trascinano enormi carri di legno, faticando e soffrendo insieme al contadino. Uomini e animali, uniti da un unico destino di miseria, di sofferenza, spesso anche di fame. La stessa attenzione che l'artista pone all'osservazione e allo studio della figura umana viene riservata anche alla natura e agli animali: soprattutto buoi e cavalli. Campo italiano alla battaglia di Magenta nel quale rap-presenta, come sua consuetudine, non un momento di battaglia ma il mesto e pur dignitoso ritorno dei feriti. Alcuni procedono a piedi, barcollando, mentre i più gravi sono adagiati su un carro e accanto a loro si prodigano due monache infermiere. L'opera non può ancora definirsi macchiaiola, in quanto disegno e chiaroscuro continuano a essere usati secondo le regole accademiche. H soggetto, però, già prefigura i temi della grande pittura fattoriana. La ricerca verista appare infatti condotta in modo asciutto ed equilibrato, senza nulla concedere al sentimentalismo romantico allora tanto di moda. Fattori soggiornando a lungo in Marémma e diventandone senza dubbio il cantore più sensibile e ispirato. Nel 1869 anche il mondo accademico ufficiale incomincia ad accorgersi del valore di Fattori. A fronte di un'attività pittorica sempre crescente iniziano anche ad arrivare i primi riconoscimenti a carattere internazionale. Il 30 agosto 1908, si spegne a Firenze. i Soldati francesi del '59, un olio di piccole dimensioni oggi parte di una collezione privata milanese [Fig. 25.56]. Come si deduce anche dal titolo il dipinto risale al 1859, quando l'artista ebbe modo di osservare le truppe di Napoleone III che, sbarcate a Livorno in maggio, si acquartierarono al Pratone. delle Cascine di Firenze fino alla metà di giugno. In quel-l'occasione l'artista potè studiare dal vivo i soldati francesi sia durante le attività di addestramento sia nei momenti di riposo o di libera uscita, riempiendo molti dei suoi famosi album di schizzi e bozzetti. In quest'opera, rappresentante un drappello di otto soldati e un ufficiale in attesa, la banale quotidianità del soggetto contraddice tutte le regole accademiche. Anche dal punto di vista tecnico Fattori abbandona senza rimpianti il tradizionale chiaroscuro preferendo accostare pure e semplici macchie di colore di tonalità diversa.Il dipinto, insolitamente sviluppato in larghezza, secondo una prassi assai diffusa tra i macchiaioli, è organizzato per semplici fasce di colore sovrapposte. La prima e più larga, di tonalità ocra, è costituita dal terreno. La seconda, grigiastra, rappresenta un muro, contro il quale, come in una quinta teatrale, sembra spezzarsi l'immensità dell'orizzonte. La terza, infine, di un azzurro pallido, pur essendo sottilissima prelude al cielo che vi è al di là del muro, contribuendo in modo fondamentale al senso di profondità dell'intera scena. I personaggi sono individuati in modo estremamente sin- tetico, con veloci pennellate di colori quasi puri, che la predominante neutra degli sfondi contribuisce a mettere volumetricamente in risalto. Gli stessi concetti appaiono ripresi e sviluppati nella celeberrima Rotonda di Palmieri, In essa sono rappresentate alcune ricche signore che, secondo la moda del tempo, fanno i bagni di aria di mare standosene sedute al fresco, sotto il tendone di uno stabilimento balneare allora fra i più rinomati di Livorno. Lo sviluppo del dipinto è sempre di tipo orizzontale, quasi per meglio suggerire il senso d'immensità dell'orizzonte. Ritorna anche una meticolosa ripartizione in fasce di colori sovrapposti, tra loro perfettamente accordati o per assonanza (colore caldo con colore caldo) o per dissonanza (colore caldo con colore freddo). Partendo dal basso, infatti, troviamo l'ocra della parte in ombra della rotonda, il giallo della parte al sole, l'azzurro intenso del mare qua e là increspato da tocchi di bianco, il bruno rossiccio delle rocce che digradano verso la riva, l'azzurro grigiastro del caldo cielo estivo e l'arancio dorato della tenda. Le macchie corrispondenti alle figure si addensano al centro, stagliandosi contro il cielo bianchiccio e l'immagine che ne risulta, pur nella sommarietà della definizione, appare comunque solidamente costruita. In vedetta ( II muro bianco) In essa il senso della prospettiva è dato dalla parete sulla destra, la cui perfetta geometria interrompe con un taglio netto la linea dell'orizzonte, dove l'ocra della brulla pianura si confonde con l'azzurro violaceo del cielo. Le figure del soldato e del cavallo in primo piano si stagliano con forza sullo sfondo bianco-giallastro del muro calcinato dal sole. Gli altri due cavalieri in lontananza equilibrano compositivamente il dipinto, quasi proseguendo idealmente la prospettiva della parete. La scena è giocata sui forti contrasti delle macchie e la sensazione che ne deriva è quella, immobile e sonnolenta, di un'afosa giornata d'estate. Bovi al carro, realizzato intorno al 1867, Il dipinto, che anche per dimensioni è, fra i paesaggi, uno dei più importanti di Fattori, rappresenta un carro trainato da una coppia di buoi sullo sfondo di un'assolata campagna maremmana. Il tema del paesaggio e del duro lavoro dei campi, del resto, è sempre stato uno fra i più cari al maestro livornese. L'orizzonte, amplissimo, viene realizzato ancora una volta per campiture di colore sovrapposte in fasce: dal giallo bru-nastro delle stoppie, al grigio-azzurro del cielo, passando attraverso il verde brunastro delle colline che digradano verso una lingua di mare turchese. La straordinaria profondità prospettica, enfatizzata dall'esagerata preponderanza della larghezza rispetto all'altezza, è ulteriormente sottolineata dal viottolo che solca diagonalmente la campagna, dall'angolo sinistro in basso fino all'orizzonte marino. All'interno di questa natura incontaminata il massiccio gruppo dei buoi con il carro e il contadino assume un significato quasi monumentale. La composizione, squilibrata tutta verso destra, rende in modo impeccabile il senso della vastità degli spazi, tipico della Maremma, e contribuisce a mettere in risalto la macchia compatta delle figure. Queste, sembrano far parte esse stesse di quella natura aspra e ingenerosa che fa loro da sfondo. Se il carro di buoi fosse stato al centro o la tela fosse stata più stretta, l'insieme non avrebbe assunto quel perfetto equilibrio compositivo. Lo staffàto, La tela rappresenta con crudo realismo una scena di gran movimento. In essa si osserva infatti un cavallo il quale, forse spaventato da uno sparo, si lancia in un galoppo forsennato trascinandosi dietro il suo povero cava- liere che, disarcionato e ferito, è rimasto con un piede mortalmente impigliato nella staffa. Il dipinto è diviso orizzontalmente in due fasce distinte che tendono quasi a fondersi lungo la linea del lontano orizzonte. In basso la terra giallognola e polverosa di una strada deserta di campagna; in alto il cielo bianchiccio di una livida giornata senza sole. Contro questo cielo opaco la criniera e la coda del cavallo imbizzarrito si stagliano con inconsueta violenza. Nonostan*» te esse siano rese con macchie sfumate, per dare il senso concitato del movimento e della polvere, la scena assume una compostezza profonda, quasi solenne. Il dramma del quale Fattori ci rende testimoni si consuma nel silenzio d'una natu-ra solitaria e indifferente. Quando il cavallo sarà scomparso all'orizzonte, l'unica traccia della tragedia avvenuta rimarranno le macchie di sangue miste ai sassi e alla polvere della via.