dedicato alle mafie, a Lamezia Terme dal 15 al 19 giugno ... · pomeriggio, erano in corso...

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36 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 20 MARZO 2016 n. 79 Storia e storie anni 70 a milano Quell’omicidio dimenticato di  Raffaele Liucci D egli anni Settanta serbiamo spes- so una memoria stereotipata, co- lor rosso sangue. Come se l'Italia intera avesse preso parte attiva a stragi, attentati, sabotaggi, trame eversive, cortei facinorosi e disordini di ogni tipo. In realtà, furono soltanto alcune minoranze alacri a monopolizzare piazze e giornali, mentre i più stettero alla finestra, in attesa che passasse la «nuttata». Ora un originale volumetto di Andrea Kerbaker rivisita quegli anni caldissimi attraverso gli occhi di uno spettatore qualunque, che ebbe la sfortuna di trovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Un'indagine avvincente e ben scritta, che s'articola lungo tre assi. Innanzitutto, quello di Kerbaker è quasi un esercizio di «microstoria». Protagonista del libro è infatti Giuseppe Tavecchio: un ignaro pensionato milanese sessantenne, ucciso l'11 marzo 1972 in piazza della Scala dal lacrimogeno di un poliziotto. In quel sabato pomeriggio, erano in corso tafferugli tra for- ze dell'ordine e gruppuscoli di estrema sini- stra, scesi in campo contro un comizio della cosiddetta «maggioranza silenziosa». Tavecchio sembra incarnare la quintessenza dell'ordinarymannovecentesco:leoriginicam- pagnole (Vaprio d'Adda), il trasferimento nella metropoli ambrosiana, l'impiego come custode al macello comunale di viale Molise, l'arruola- mento nell'impresa d'Abissinia, il matrimonio, i bombardamentidel'43,laricostruzione,il«ma- le del secolo» che gli porta via la moglie appena cinquantenne,l'etàpensionabileraggiuntapre- sto grazie al Welfare allora assai generoso, una nuovamoglie.Un'esistenzasenzapicchiesenza voragini, a quanto pare mai contagiata dalla passione politica. Nonèstatofacilericomporreitassellibiogra- fici di un signore uscito dall'anonimato soltanto il giorno del suo ferimento mortale. Però, grazie alla complicità di un'impiegata dell'ufficio ana- grafe di Milano, Kerbaker è riuscito a rintraccia- re in Friuli uno dei due figli, ormai ultrasettan- tenne,irreperibilesulweb.Perunavolta,glialgi- di motori di ricerca di Google sono stati surclas- sati dal fattore umano. In secondo luogo, il presente volume rac- chiude un côté autobiografico. Troppo giovane per aver vissuto con cognizione di causa gli anni di piombo, Kerbaker ha maturato un'inesausta curiositàperquelperiodocruciale,forsel'ultimo in cui erano all'ordine del giorno proposte anti- teticheedeflagranti.Ripercorrereinunasortadi promenade letteraria le quinte della Milano pri- mi anni Settanta – via Solferino, la Questura di via Fatebenefratelli, la Comit di Mattioli, piazza Fontana, via Larga, via De Amicis – significa rie- vocare una metropoli sfiorata da bambino che oranonesistepiù.Milanonondiventeràunluna park mortuario come Venezia, però negli anni Ottantahamutatopelle,dismettendolasuaani- ma popolare. Le case di ringhiera trasformate in lussuosi loft per stilisti, la cintura operaia lottiz- zata in ghiotte aree edificabili, i residenti non fa- coltosi espulsi verso i casermoni delle periferie. Infine, terzo punto, l'evanescenza di una vittima «non illustre» come Tavecchio: ucciso dalla polizia, ma politicamente amorfo. Fosse stato uno studente del «movimento», o anche un militante neofascista oppure un carabinie- re, avrebbe avuto diritto a una delle numerose lapidi che costellano Milano. Invece, ancor og- gi ignoriamo le sue idee in materia. Forse era amico del sindaco socialista Aldo Aniasi, però leggeva abitualmente «La Notte», il destrorso quotidiano della sera. Per questo il suo nome, poco spendibile, è stato ben presto espunto dai nostri annali. La giornata dell'11 marzo passe- rà alla storia non per l'«incidente» di Piazza della Scala, bensì per l'assalto della sinistra ex- traparlamentare alla sede del «Corriere» di Spadolini, «baluardo della reazione». Questarimozionenondevestupire.Secondo ilgrandestudiosofranceseMauriceHalbwachs, lamemoriacollettivaèunaformadiricostruzio- neselettivadelpassato,nellaqualeunruolofon- damentale è svolto dai gruppi sociali organizza- ti,ingradodigarantirecontinuitàtemporalealle loro autorappresentazioni. Ma il nostro sventu- ratopensionato,senzasantiinparadisodisposti a spendersi per la sua ‘gloria' postuma, sarà pre- sto risucchiato dall'oblio. Inoltre, appartenendo a una delle categorie in assoluto più penalizzate dai tribunali (i cittadini vittime delle forze dell'ordine), Tavecchio sarà bistrattato anche dalla Giustizia. Alla fine, i due poliziotti incrimi- nati per aver sparato un lacrimogeno ad altezza d'uomo durante una fase di calma degli scontri, saranno assolti in appello nel '77 «perché il fatto non costituisce reato». Ieri come oggi, resta dif- ficile persuadere lo Stato democratico a con- dannare se stesso © RIPRODUZIONE RISERVATA Andrea Kerbaker, La rimozione. Storia di Giuseppe Tavecchio, vittima dimenticata degli anni di piombo, Marsilio, Venezia, pagg. 126, € 15 russia Kasparov contro Putin Il campione di scacchi non ha dubbi: l’ascesa del «dittatore» russo coincide con l’ignavia delle democrazie. Che devono riscuotersi di Serena Vitale P er pochissimi, nel cosiddetto mondo libero, è un segreto che la Russia di oggi non è un Rechts- staat: i diritti umani vengono si- stematicamente violati, un Pro- curatore generale può lanciare l’idea di modificare la Costituzione per privi- legiare il diritto nazionale a danno di quello internazionale «sfruttato dagli oppositori occidentali», la massiccia propaganda di re- gime fortifica giorno dopo giorno un già so- lido culto della personalità. Quella di Vladi- mir Putin, il carneade - ex tenente colonnello del Kgb passato all’amministrazione pubbli- ca - che subito dopo l’8 agosto 1999, quando venne nominato da Boris El’cin premier del- la Federazione Russa, sconcertò il mondo proprio per la sua personalità scialba: un ta- citurno e schivo “uomo senza volto” che sembrava impacciato, addirittura a disagio, parlando in pubblico… Ormai pochissimi, nel cosiddetto mondo libero, giustificano quanto accade oggi in Rus- sia con stolidi cliché antropologico-geografi- ci: «i russi sono geneticamente predisposti ad accettare regimi autocratici», «per governare l’immensa Russia, la più grande nazione del mondo, è indispensabile il pugno di ferro». Eppure - ammonisce con toni lucidamente catastrofistici Garry Kasparov dal suo ultimo libro - è proprio l’Occidente a chiudere uno o entrambi gli occhi sulle malefatte di Putin (più volte paragonato a Hitler prima del ’38), così legittimando implicitamente il suo stra- potere. E dunque the winter is coming, come nella serie televisiva Il trono di spade, dove dal- le lande dell’Eterno Inverno incombe una ter- ribile minaccia. Nativo di Baku, sangue armeno ed ebreo (il vero cognome è Vajnštejn, come fanno notare sempre più spesso i sempre più fanatici ultra- patrioti russi), enfant prodige degli scacchi, campione del mondo per molti anni di segui- to, Garry Kasparov - «il più grande scacchista di tutti i tempi» - nel 2005 si è ritirato dallo «sport più violento che esista» per dedicarsi quasi esclusivamente all’impegno politico, al- l’opposizione. È stato leader e fondatore del Comitato 2008: libera scelta, poi del Fronte Civile Unito, di Solidarnost’. Nella sua nuova carriera di dissidente - sì, ne esistono ancora in Russia, e il loro destino è purtroppo facile da prevedere: prigione (come Chodorkovskij), incontri ravvicinati con sicari dalla mira infal- libile (come Anna Politkovskaja, Boris Nemcov), emigrazione ( come lo stesso Ka- sparov, che dal 2013 vive in esilio volontario negli stati Uniti) - ha conservato lo stile che ca- ratterizza il suo gioco: rapido, irruente, impla- cabile. Dall’altra parte della scacchiera c’è ora Putin, di cui ripercorre la breve marcia verso il potere autocratico, fino al trono di Capo dei capi, Boss della lobby cleptocratica. Le fasi del- l’avanzata sono scandite da “operazioni mili- tari”: le atrocità che durante la seconda guerra cecena trasformarono Groznyj nella «città più devastata della terra», l’intervento armato in Georgia (2008), l’invasione dell’Ucraina nel 2014, in violazione del memorandum di Bu- dapest e delle più elementari norme del diritto internazionale. E tuttavia, sostiene Kasparov, Putin non è un abile stratega; non ha la stoffa del condot- tiero né smania di diventarlo - «è soltanto un giocatore di poker d’attacco, che trova davanti a sé una debole resistenza da parte di un mon- do occidentale diventato così allergico al ri- schio da preferire passare la mano invece che scoprire il bluff». Col tempo, invece, ha elabo- rato un’astuta strategia per manipolare la po- polazione che inizialmente aveva visto in lui il leader capace di liberare il Paese dagli odiati oligarchi, per guarirla dal complesso di infe- riorità nei confronti dell’Ovest (che avrebbe umiliato la Russia dopo il disfacimento del- l’Urss) tramite una martellante campagna na- zionalista: «Noi abbiamo salvato l’Europa dal fascismo ed è fascista chiunque sia contro di noi», con la conseguente rivalutazione di Sta- lin, Generalissimo dell’Unione Sovietica. Simile a ogni piccolo o grande dittatore, continua Kasparov, Putin sente la perversa necessità di celebrare riti democratici come elezioni, referendum, processi - dagli esiti, sappiamo, ampiamente scontati. Ai propri sudditi concede dosi omeopatiche di dissenso tollerato, un’illusoria libertà di parola (del re- sto perché censurare quando si possono ac- quisire, con le buone o le cattive maniere, tutti i media?), un simulacro di stabilità economica ( ma il 15,9% della popolazione, ossia 22,9 mi- lioni di russi, vive sotto la soglia di povertà, e non solo nella sterminata provincia). Della rabbia e del dolore di Kasparov fa le spese anche l’Occidente (compreso il «princi- piante idealista» Obama ) che si limita, ogni- qualvolta vengono trasgrediti i diritti di sin- goli individui o di interi paesi, ad auspicare «indagini rapide e trasparenti», a «fiacche di- chiarazioni che escludono dai tavoli di nego- ziazione le minacce e il potere individuale, uniche cose di cui si preoccupa Putin…I gesti di pace sono per lui manifestazioni di debo- lezza». L’Occidente che intrattiene rapporti di affari con una classe politica vergognosa- mente corrotta… Realpolitik o ignoranza? Ot- timismo immotivato circa la vera natura di Putin oppure cinismo, paura? «Sanziona- re…è una presa in giro, e in effetti le élite del Cremlino hanno tutte le ragioni per sghignaz- zare», tuona Kasparov, sentendo soffiare dal- l’Est venti sempre più gelidi. E propone: «im- ponete sanzioni alle élite che appoggiano Pu- tin, state dietro a tutti i familiari che usano per nascondere all’estero le loro fortune e fate le pulci alle loro società…». Ha in odio la «retori- ca della distensione» ma non è un guerrafon- daio; unica via d’uscita gli appare quella indi- cata da un suo idolo (l’altro è Sacharov, la cui morte, nell’ ’89, ha inciso sui destini della Rus- sia postsovietica molto più di quanto non si pensi comunemente), Vaclav Havel: «Fer- mezza, perseveranza e trattative da una posi- zione di forza sono l’unica cosa che Kim Jong- il e i suoi simili comprendono…». L’inverno sta arrivando… C’è solo da au- gurarsi che Kasparov non sia un bravo mete- orologo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Garry Kasparov, L’inverno sta arrivando, trad. di Valentina Nicolì, Fandango, Roma, pagg. 400, € 22 bianca stancanelli Il sindaco dei 101 giorni di  Giuseppe Oddo L’ assassinio di Giuseppe Insalaco, il sindaco di Palermo che rimase in ca- rica per centouno giorni, tra l’aprile e il luglio 1984, non fu un regolamento di conti estraneo alla politica, come argomenta- rono l’avvocato Vito Guarrasi e l’alto commissa- rio antimafia e direttore del Sisde Emanuele De Francesco. Fu l’omicidio di un democristiano che aveva tagliato i ponti con Cosa nostra, stava scardinando il sistema degli appalti legati alla mafia e che probabilmente aveva fatto parte della rete Gladio in Sicilia. Bianca Stancanelli, che all’epoca era croni- sta de «L’Ora», scava ne La città marcia con passione intorno alla vicenda di Insalaco, ri- componendo il quadro degli avvenimenti che determinarono l’ascesa dei corleonesi al verti- ce dell’organizzazione criminale. L’anno chiave è il 1979, quello successivo al delitto Mo- ro, che aveva cambiato gli equilibri politici del Paese e la mappa del potere mafioso in Sicilia. Era stato un anno segnato da una catena di de- litti e dalla decisione di installare gli euromis- sili a Comiso, che riposizionava l’Isola al cen- tro dello scacchiere geopolitico. È in questo contesto (culminante, poi, nell’uccisione del presidente della Regione Piersanti Mattarella e del prefetto di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa) che si afferma la mafia dei Riina e dei Provenzano e che declina, a colpi di kalash- nikov e di pentimenti, quella dei Bontate, dei Badalamenti e dei Buscetta. Insalaco, spiega Stancanelli, è al centro di questa drammatica transizione. Nato a San Giuseppe Jato, è immerso nell’ambiente mafio- so fin da ragazzo. È amico d’infanzia di Angelo Siino, che diverrà “ministro dei lavori pubblici” di Totò Riina. È tesserato alla stessa sezione del- la Dc a cui è iscritto Giovanni Brusca. Negli anni ’60 è procacciatore di voti e poi assistente di Franco Restivo, ministro dell’Interno e tra i fon- datori della Dc siciliana. Ma Restivo, che con la mafia ha fatto solo patti elettorali, è sulla via del tramonto. I nuovi protagonisti della scena poli- tica siciliana sono i Goia, i Lima, i Ciancimino, che hanno favorito l’ingresso dei boss nel parti- to e sono tutt’uno con Cosa nostra. Insalaco, sceso a Palermo per compiere il grande salto nella politica, è parte di questo am- biente. Ma nel momento stesso in cui Lima lo designa sindaco con la garanzia di Siino e l’ap- poggio di Stefano Bontate e Michele Greco, scatta dentro di lui come un moto di ribellione che lo porta a sganciarsi dai suoi protettori, tra- sformandolo in una «bomba che scoppiava dentro il sistema», dichiara oggi Leoluca Orlan- do, che ne portò a spalla il feretro. L’uomo sembra impazzito, ma è lucido, sa bene dove colpire. Mette nel mirino i grandi appalti per la manutenzione delle strade e del- le fogne di Palermo, appannaggio di Arturo Cassina, legato a filo doppio a Ciancimino. Abolisce la licitazione privata, introducendo le gare per l’aggiudicazione dei lavori. Denuncia lo scandalo dei pozzi privati dei Greco, la cui ac- qua è acquistata dall’azienda municipalizzata con un trasferimento di profitti nelle tasche del “papa” della mafia. Denuncia il cancro della burocrazia connivente. Attacca il pm che lo in- daga per una tangente che avrebbe percepito da presidente dell’Istituto dei sordomuti: so- stiene che sia il genero di un magistrato di corte d’Appello amico di don Vito. È la circostanza che lo spingerà alle dimissioni (questo stesso pm, nel 1996, sarà eletto deputato nel centro- destra e la moglie sarà assessore della prima giunta regionale presieduta da Rosario Cro- cetta). E nel frattempo - annota l’autrice - cerca il dialogo con il Pci, commemora Pio La Torre, deposita una corona sul luogo dell’attentato a Dalla Chiesa, aderisce a una manifestazione contro l’installazione dei missili, scrive al pre- sidente del Consiglio Bettino Craxi ipotizzan- do un collegamento tra “i misteri di Palermo” e l’abbattimento del Dc9 a Ustica. E a Corrado Stajano, prima firma del «Corriere della sera», rivela, in un incontro riservato, l’intreccio ma- fia-politica, con Giulio Andreotti in cima alla piramide del potere, Franco Evangelisti anello di collegamento tra la corrente andreottiana e Salvo Lima, quest’ultimo a sua volta collegato agli esattori Salvo, e sotto di lui i politici minori, i boss, i soldati semplici, i gregari. Sembrano le farneticazioni di uomo abban- donato dal proprio partito; di un politico ambi- guo che tenta il ritorno in campo, prendendo le distanze dal proprio passato. In realtà è il rac- conto di chi ha visto le cose dall’interno. Un’an- ticipazione di fatti che, oltre dieci anni più tardi, emergeranno dal processo Andreotti. © RIPRODUZIONE RISERVATA Bianca Stancanelli, La città marcia, Marsilio, Venezia, pagg. 270, € 16 aggressivo  | Il presidente russo Vladimir Putin durante la conferenza annuale, lo scorso 17 dicembre, al World Trade Center di Mosca Chi spiava la zarina? Nel 2009 Serena Vitale raccontava come le intercettazioni avessero una tradizione secolare: nel Settecento Elisabetta di Russia faceva controllare la principessina e sua madre, sospettata di spionaggio in favore del re di Prussia www.archiviodomenica.ilsole24ore.com OLYCOM il bando per «trame» Giunge alla VI edizione «Trame», il festival dedicato alle mafie, a Lamezia Terme dal 15 al 19 giugno, e lancia un bando (entro il 10 aprile) rivolto ai giovani artisti per un’opera simbolo da esporre in uno dei luoghi del- l’evento. Info: www.tramefestival.it IN EDICOLA E IN LIBRERIA Guerre d’Arabia Per informazioni e abbonamenti tel. 02.30300600 oppure www.shopping24.it Aspenia Rivista di Aspen Institute Italia diretta da Marta Dassù

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36 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 20 MARZO 2016 n. 79

Storia e storie

anni 70 a milano

Quell’omicidio dimenticatodi Raffaele Liucci

Degli anni Settanta serbiamo spes-so una memoria stereotipata, co-lor rosso sangue. Come se l'Italiaintera avesse preso parte attiva a

stragi, attentati, sabotaggi, trame eversive, cortei facinorosi e disordini di ogni tipo. Inrealtà, furono soltanto alcune minoranze alacri a monopolizzare piazze e giornali, mentre i più stettero alla finestra, in attesa che passasse la «nuttata». Ora un originale volumetto di Andrea Kerbaker rivisita queglianni caldissimi attraverso gli occhi di unospettatore qualunque, che ebbe la sfortuna di trovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Un'indagine avvincente e ben scritta, che s'articola lungo tre assi.

Innanzitutto, quello di Kerbaker è quasiun esercizio di «microstoria». Protagonista del libro è infatti Giuseppe Tavecchio: unignaro pensionato milanese sessantenne, ucciso l'11 marzo 1972 in piazza della Scala dallacrimogeno di un poliziotto. In quel sabato pomeriggio, erano in corso tafferugli tra for-ze dell'ordine e gruppuscoli di estrema sini-stra, scesi in campo contro un comizio della cosiddetta «maggioranza silenziosa».

Tavecchio sembra incarnare la quintessenzadell'ordinary man novecentesco: le origini cam-pagnole (Vaprio d'Adda), il trasferimento nella metropoli ambrosiana, l'impiego come custodeal macello comunale di viale Molise, l'arruola-mento nell'impresa d'Abissinia, il matrimonio, ibombardamenti del '43, la ricostruzione, il «ma-le del secolo» che gli porta via la moglie appena cinquantenne, l'età pensionabile raggiunta pre-sto grazie al Welfare allora assai generoso, una nuova moglie. Un'esistenza senza picchi e senzavoragini, a quanto pare mai contagiata dalla passione politica.

Non è stato facile ricomporre i tasselli biogra-fici di un signore uscito dall'anonimato soltantoil giorno del suo ferimento mortale. Però, graziealla complicità di un'impiegata dell'ufficio ana-grafe di Milano, Kerbaker è riuscito a rintraccia-re in Friuli uno dei due figli, ormai ultrasettan-tenne, irreperibile sul web. Per una volta, gli algi-di motori di ricerca di Google sono stati surclas-sati dal fattore umano.

In secondo luogo, il presente volume rac-chiude un côté autobiografico. Troppo giovane per aver vissuto con cognizione di causa gli annidi piombo, Kerbaker ha maturato un'inesausta curiosità per quel periodo cruciale, forse l'ultimo

in cui erano all'ordine del giorno proposte anti-tetiche e deflagranti. Ripercorrere in una sorta dipromenade letteraria le quinte della Milano pri-mi anni Settanta – via Solferino, la Questura di via Fatebenefratelli, la Comit di Mattioli, piazza Fontana, via Larga, via De Amicis – significa rie-vocare una metropoli sfiorata da bambino che ora non esiste più. Milano non diventerà un lunapark mortuario come Venezia, però negli anni Ottanta ha mutato pelle, dismettendo la sua ani-ma popolare. Le case di ringhiera trasformate inlussuosi loft per stilisti, la cintura operaia lottiz-zata in ghiotte aree edificabili, i residenti non fa-coltosi espulsi verso i casermoni delle periferie.

Infine, terzo punto, l'evanescenza di unavittima «non illustre» come Tavecchio: uccisodalla polizia, ma politicamente amorfo. Fosse stato uno studente del «movimento», o ancheun militante neofascista oppure un carabinie-re, avrebbe avuto diritto a una delle numeroselapidi che costellano Milano. Invece, ancor og-gi ignoriamo le sue idee in materia. Forse era amico del sindaco socialista Aldo Aniasi, però leggeva abitualmente «La Notte», il destrorso quotidiano della sera. Per questo il suo nome, poco spendibile, è stato ben presto espunto dainostri annali. La giornata dell'11 marzo passe-rà alla storia non per l'«incidente» di Piazza della Scala, bensì per l'assalto della sinistra ex-traparlamentare alla sede del «Corriere» di Spadolini, «baluardo della reazione».

Questa rimozione non deve stupire. Secondoil grande studioso francese Maurice Halbwachs,la memoria collettiva è una forma di ricostruzio-ne selettiva del passato, nella quale un ruolo fon-damentale è svolto dai gruppi sociali organizza-ti, in grado di garantire continuità temporale alleloro autorappresentazioni. Ma il nostro sventu-rato pensionato, senza santi in paradiso dispostia spendersi per la sua ‘gloria' postuma, sarà pre-sto risucchiato dall'oblio. Inoltre, appartenendoa una delle categorie in assoluto più penalizzate dai tribunali (i cittadini vittime delle forze dell'ordine), Tavecchio sarà bistrattato anche dalla Giustizia. Alla fine, i due poliziotti incrimi-nati per aver sparato un lacrimogeno ad altezza d'uomo durante una fase di calma degli scontri, saranno assolti in appello nel '77 «perché il fatto non costituisce reato». Ieri come oggi, resta dif-ficile persuadere lo Stato democratico a con-dannare se stesso

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Andrea Kerbaker, La rimozione. Storia di Giuseppe Tavecchio, vittima dimenticata degli anni di piombo, Marsilio, Venezia, pagg. 126, € 15

russia

Kasparov contro Putin Il campione di scacchi non ha dubbi: l’ascesa del «dittatore» russocoincide con l’ignaviadelle democrazie.Che devono riscuotersi

di Serena Vitale

Per pochissimi, nel cosiddettomondo libero, è un segreto che laRussia di oggi non è un Rechts­staat: i diritti umani vengono si-stematicamente violati, un Pro-curatore generale può lanciare

l’idea di modificare la Costituzione per privi-legiare il diritto nazionale a danno di quellointernazionale «sfruttato dagli oppositorioccidentali», la massiccia propaganda di re-gime fortifica giorno dopo giorno un già so-lido culto della personalità. Quella di Vladi-mir Putin, il carneade - ex tenente colonnellodel Kgb passato all’amministrazione pubbli-ca - che subito dopo l’8 agosto 1999, quandovenne nominato da Boris El’cin premier del-la Federazione Russa, sconcertò il mondoproprio per la sua personalità scialba: un ta-citurno e schivo “uomo senza volto” chesembrava impacciato, addirittura a disagio,parlando in pubblico…

Ormai pochissimi, nel cosiddetto mondolibero, giustificano quanto accade oggi in Rus-sia con stolidi cliché antropologico-geografi-ci: «i russi sono geneticamente predisposti adaccettare regimi autocratici», «per governare l’immensa Russia, la più grande nazione del mondo, è indispensabile il pugno di ferro».

Eppure - ammonisce con toni lucidamentecatastrofistici Garry Kasparov dal suo ultimolibro - è proprio l’Occidente a chiudere uno oentrambi gli occhi sulle malefatte di Putin (più volte paragonato a Hitler prima del ’38),così legittimando implicitamente il suo stra-potere. E dunque the winter is coming, comenella serie televisiva Il trono di spade, dove dal-le lande dell’Eterno Inverno incombe una ter-ribile minaccia.

Nativo di Baku, sangue armeno ed ebreo (ilvero cognome è Vajnštejn, come fanno notaresempre più spesso i sempre più fanatici ultra-

patrioti russi), enfant  prodige  degli scacchi, campione del mondo per molti anni di segui-to, Garry Kasparov - «il più grande scacchista di tutti i tempi» - nel 2005 si è ritirato dallo«sport più violento che esista» per dedicarsi quasi esclusivamente all’impegno politico, al-l’opposizione. È stato leader e fondatore delComitato 2008: libera scelta, poi del Fronte Civile Unito, di Solidarnost’. Nella sua nuova carriera di dissidente - sì, ne esistono ancora in Russia, e il loro destino è purtroppo facile daprevedere: prigione (come Chodorkovskij),incontri ravvicinati con sicari dalla mira infal-libile (come Anna Politkovskaja, Boris Nemcov), emigrazione ( come lo stesso Ka-sparov, che dal 2013 vive in esilio volontarionegli stati Uniti) - ha conservato lo stile che ca-ratterizza il suo gioco: rapido, irruente, impla-cabile. Dall’altra parte della scacchiera c’è ora Putin, di cui ripercorre la breve marcia verso ilpotere autocratico, fino al trono di Capo deicapi, Boss della lobby cleptocratica. Le fasi del-

l’avanzata sono scandite da “operazioni mili-tari”: le atrocità che durante la seconda guerracecena trasformarono Groznyj nella «città piùdevastata della terra», l’intervento armato in Georgia (2008), l’invasione dell’Ucraina nel 2014, in violazione del memorandum di Bu-dapest e delle più elementari norme del dirittointernazionale.

E tuttavia, sostiene Kasparov, Putin non èun abile stratega; non ha la stoffa del condot-tiero né smania di diventarlo - «è soltanto un giocatore di poker d’attacco, che trova davantia sé una debole resistenza da parte di un mon-do occidentale diventato così allergico al ri-schio da preferire passare la mano invece che scoprire il bluff». Col tempo, invece, ha elabo-rato un’astuta strategia per manipolare la po-polazione che inizialmente aveva visto in lui illeader capace di liberare il Paese dagli odiati oligarchi, per guarirla dal complesso di infe-riorità nei confronti dell’Ovest (che avrebbeumiliato la Russia dopo il disfacimento del-

l’Urss) tramite una martellante campagna na-zionalista: «Noi abbiamo salvato l’Europa dalfascismo ed è fascista chiunque sia contro di noi», con la conseguente rivalutazione di Sta-lin, Generalissimo dell’Unione Sovietica.

Simile a ogni piccolo o grande dittatore,continua Kasparov, Putin sente la perversanecessità di celebrare riti democratici come elezioni, referendum, processi - dagli esiti,sappiamo, ampiamente scontati. Ai propri sudditi concede dosi omeopatiche di dissensotollerato, un’illusoria libertà di parola (del re-sto perché censurare quando si possono ac-quisire, con le buone o le cattive maniere, tuttii media?), un simulacro di stabilità economica( ma il 15,9% della popolazione, ossia 22,9 mi-lioni di russi, vive sotto la soglia di povertà, e non solo nella sterminata provincia).

Della rabbia e del dolore di Kasparov fa lespese anche l’Occidente (compreso il «princi-piante idealista» Obama ) che si limita, ogni-qualvolta vengono trasgrediti i diritti di sin-goli individui o di interi paesi, ad auspicare «indagini rapide e trasparenti», a «fiacche di-chiarazioni che escludono dai tavoli di nego-ziazione le minacce e il potere individuale, uniche cose di cui si preoccupa Putin…I gesti di pace sono per lui manifestazioni di debo-lezza». L’Occidente che intrattiene rapporti diaffari con una classe politica vergognosa-mente corrotta… Realpolitik o ignoranza? Ot-timismo immotivato circa la vera natura di Putin oppure cinismo, paura? «Sanziona-re…è una presa in giro, e in effetti le élite del Cremlino hanno tutte le ragioni per sghignaz-zare», tuona Kasparov, sentendo soffiare dal-l’Est venti sempre più gelidi. E propone: «im-ponete sanzioni alle élite che appoggiano Pu-tin, state dietro a tutti i familiari che usano pernascondere all’estero le loro fortune e fate lepulci alle loro società…». Ha in odio la «retori-ca della distensione» ma non è un guerrafon-daio; unica via d’uscita gli appare quella indi-cata da un suo idolo (l’altro è Sacharov, la cui morte, nell’ ’89, ha inciso sui destini della Rus-sia postsovietica molto più di quanto non si pensi comunemente), Vaclav Havel: «Fer-mezza, perseveranza e trattative da una posi-zione di forza sono l’unica cosa che Kim Jong-il e i suoi simili comprendono…».

L’inverno sta arrivando… C’è solo da au-gurarsi che Kasparov non sia un bravo mete-orologo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Garry Kasparov, L’inverno sta arrivando, trad. di Valentina Nicolì, Fandango, Roma, pagg. 400, € 22

bianca stancanelli

Il sindaco dei 101 giornidi Giuseppe Oddo

L’assassinio di Giuseppe Insalaco, ilsindaco di Palermo che rimase in ca-rica per centouno giorni, tra l’aprile eil luglio 1984, non fu un regolamento

di conti estraneo alla politica, come argomenta-rono l’avvocato Vito Guarrasi e l’alto commissa-rio antimafia e direttore del Sisde Emanuele DeFrancesco. Fu l’omicidio di un democristiano che aveva tagliato i ponti con Cosa nostra, stavascardinando il sistema degli appalti legati alla mafia e che probabilmente aveva fatto parte della rete Gladio in Sicilia.

Bianca Stancanelli, che all’epoca era croni-sta de «L’Ora», scava ne La città marcia con passione intorno alla vicenda di Insalaco, ri-componendo il quadro degli avvenimenti che determinarono l’ascesa dei corleonesi al verti-ce dell’organizzazione criminale. L’anno chiave è il 1979, quello successivo al delitto Mo-ro, che aveva cambiato gli equilibri politici del Paese e la mappa del potere mafioso in Sicilia.Era stato un anno segnato da una catena di de-litti e dalla decisione di installare gli euromis-sili a Comiso, che riposizionava l’Isola al cen-tro dello scacchiere geopolitico. È in questo contesto (culminante, poi, nell’uccisione del presidente della Regione Piersanti Mattarella e del prefetto di Palermo Carlo Alberto Dalla

Chiesa) che si afferma la mafia dei Riina e dei Provenzano e che declina, a colpi di kalash-nikov e di pentimenti, quella dei Bontate, dei Badalamenti e dei Buscetta.

Insalaco, spiega Stancanelli, è al centro diquesta drammatica transizione. Nato a San Giuseppe Jato, è immerso nell’ambiente mafio-so fin da ragazzo. È amico d’infanzia di Angelo Siino, che diverrà “ministro dei lavori pubblici”di Totò Riina. È tesserato alla stessa sezione del-la Dc a cui è iscritto Giovanni Brusca. Negli anni’60 è procacciatore di voti e poi assistente di Franco Restivo, ministro dell’Interno e tra i fon-datori della Dc siciliana. Ma Restivo, che con la mafia ha fatto solo patti elettorali, è sulla via deltramonto. I nuovi protagonisti della scena poli-tica siciliana sono i Goia, i Lima, i Ciancimino, che hanno favorito l’ingresso dei boss nel parti-to e sono tutt’uno con Cosa nostra.

Insalaco, sceso a Palermo per compiere ilgrande salto nella politica, è parte di questo am-biente. Ma nel momento stesso in cui Lima lo

designa sindaco con la garanzia di Siino e l’ap-poggio di Stefano Bontate e Michele Greco, scatta dentro di lui come un moto di ribellione che lo porta a sganciarsi dai suoi protettori, tra-sformandolo in una «bomba che scoppiava dentro il sistema», dichiara oggi Leoluca Orlan-do, che ne portò a spalla il feretro.

L’uomo sembra impazzito, ma è lucido, sabene dove colpire. Mette nel mirino i grandiappalti per la manutenzione delle strade e del-le fogne di Palermo, appannaggio di Arturo Cassina, legato a filo doppio a Ciancimino. Abolisce la licitazione privata, introducendo legare per l’aggiudicazione dei lavori. Denuncia lo scandalo dei pozzi privati dei Greco, la cui ac-qua è acquistata dall’azienda municipalizzata con un trasferimento di profitti nelle tasche del“papa” della mafia. Denuncia il cancro dellaburocrazia connivente. Attacca il pm che lo in-daga per una tangente che avrebbe percepito da presidente dell’Istituto dei sordomuti: so-stiene che sia il genero di un magistrato di corte

d’Appello amico di don Vito. È la circostanza che lo spingerà alle dimissioni (questo stesso pm, nel 1996, sarà eletto deputato nel centro-destra e la moglie sarà assessore della prima giunta regionale presieduta da Rosario Cro-cetta). E nel frattempo - annota l’autrice - cercail dialogo con il Pci, commemora Pio La Torre,deposita una corona sul luogo dell’attentato a Dalla Chiesa, aderisce a una manifestazione contro l’installazione dei missili, scrive al pre-

sidente del Consiglio Bettino Craxi ipotizzan-do un collegamento tra “i misteri di Palermo” el’abbattimento del Dc9 a Ustica. E a Corrado Stajano, prima firma del «Corriere della sera»,rivela, in un incontro riservato, l’intreccio ma-fia-politica, con Giulio Andreotti in cima alla piramide del potere, Franco Evangelisti anellodi collegamento tra la corrente andreottiana e Salvo Lima, quest’ultimo a sua volta collegato agli esattori Salvo, e sotto di lui i politici minori,i boss, i soldati semplici, i gregari.

Sembrano le farneticazioni di uomo abban-donato dal proprio partito; di un politico ambi-guo che tenta il ritorno in campo, prendendo le distanze dal proprio passato. In realtà è il rac-conto di chi ha visto le cose dall’interno. Un’an-ticipazione di fatti che, oltre dieci anni più tardi,emergeranno dal processo Andreotti.

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Bianca Stancanelli, La città marcia, Marsilio, Venezia, pagg. 270, € 16

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