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1 DEBITO SOVRANO E RESPONSABILITÀ DELLA BCE SOMMARIO Capitolo 1. Fattispecie e problemi affrontati dal Tribunale comunitario 1.1. Crisi del debito pubblico greco e tutela dei risparmiatori 1.2. ........... La responsabilità aquiliana della BCE. Presupposti e limiti Capitolo 2. La responsabilità delle autorità italiane per atto lecito dannoso 2.1. La posizione dei giudici ordinari 2.2.La posizione dei giudici amministrativi 2.3. ...................................... Le interpretazioni degli studiosi Capitolo 3. La responsabilità della BCE per atto lecito dannoso Capitolo 4. Valutazione della pronuncia esaminata Bibliografia

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DEBITO SOVRANO E RESPONSABILITÀ

DELLA BCE

SOMMARIO

Capitolo 1.

Fattispecie e problemi affrontati dal Tribunale comunitario

1.1. Crisi del debito pubblico greco e tutela dei risparmiatori

– 1.2. ........... La responsabilità aquiliana della BCE. Presupposti e limiti

Capitolo 2.

La responsabilità delle autorità italiane per atto lecito

dannoso

2.1. La posizione dei giudici ordinari – 2.2.La posizione dei giudici

amministrativi – 2.3. ...................................... Le interpretazioni degli studiosi

Capitolo 3.

La responsabilità della BCE per atto lecito dannoso

Capitolo 4.

Valutazione della pronuncia esaminata

Bibliografia

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Capitolo 1.

FATTISPECIE E PROBLEMI AFFRONTATI DAL

TRIBUNALE COMUNITARIO

1.1. Crisi del debito pubblico greco e tutela dei risparmiatori

Con la sent. 7-10-2015, causa T-79-13, attualmente

analizzata, il Tribunale dell’Unione Europea esamina una

fattispecie particolarmente nota ai giudici italiani.

Essi considerano casi, ormai quasi innumerevoli, di

“risparmio tradito”, ossia in cui gli investitori non hanno

ottenuto la restituzione del capitale, maggiorato dei frutti

sperati, stante l’insolvenza degli emittenti.

Questi talora sono enti sovrani, come nell’ormai triste e

lontano caso della Repubblica Argentina.

Nella recente crisi del debito pubblico greco non c’è

l’insolvenza della Repubblica ellenica, ma gli investitori

(nella specie italiani) subiscono notevoli perdite, stante il

piano di ristrutturazione di tale debito.

I risparmiatori (“elencati nominativamente” in calce alla

sentenza esaminata) pertanto si rivolgono al Tribunale

dell’Unione Europea, al quale propongono svariate

domande risarcitorie, tutte fondate sulla responsabilità

extracontrattuale dell’Unione stessa e della BCE (Banca

centrale europea).

1.2. La responsabilità aquiliana della BCE. Presupposti e limiti

I giudici comunitari (con la richiamata sent. T-79-13)

respingono il ricorso, condannando altresì i ricorrenti alle

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spese, partendo dai presupposti che – indipendentemente

dal considerare l’ordinamento italiano o quello europeo –

governano la responsabilità extracontrattuale. Pertanto

l’autorità comunitaria è responsabile quando:

• commette un illecito, nel senso appresso specificato;

• la controparte risente un danno effettivo e non puramente

ipotetico;

• esiste il nesso causale tra la condotta illecita ed il

pregiudizio lamentato. Peraltro, diversamente

dall’ordinamento italiano (art. 1223 c.c., applicabile alla

responsabilità extracontrattuale ex art. 2056 stesso

codice), in ambito comunitario si richiede solo un legame

causale sufficientemente stringente, non già immediato e

diretto (Trib. UE 26-10-2011, n. 436/09, Raccolta, 2011,

III, 7727).

In questo senso depone l’art. 340 (originario 288 TCE), 2º

co., TFUE, mentre il 3º co. della stessa norma contiene la

disciplina specifica a termini della quale “la Banca centrale

europea deve risarcire, conformemente ai principi generali

comuni al diritto degli Stati membri, i danni cagionati da essa

stessa o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni”.

Nonostante questa disposizione si ponga “in deroga al 2º

comma” dell’art. 340 TFUE, l’unica differenza notata dallo

scrivente (che non ha trovato contributi specifici né in

dottrina né in giurisprudenza) consiste nel fatto che la

disposizione sulla BCE non indica il titolo della

responsabilità. Si ritiene comunque di inquadrarla

nell’ambito aquiliano, stante l’assenza di rapporti diretti tra

la stessa BCE ed i risparmiatori.

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Passando poi ad esaminare meglio le condizioni necessarie

perché si configuri la responsabilità extracontrattuale della

BCE, a giudizio di Trib. UE T-79-13, innanzitutto non esiste

l’illecito. Come detto dallo stesso organo giudicante in una

precedente sentenza (Trib. UE 436/09, già richiamata), “il

criterio decisivo” per considerare esistente il danno consiste

nello stabilire se le istituzioni comunitarie hanno commesso

una “violazione sufficientemente qualificata” di norme che

attribuiscono diritti agli individui.

Per accertare tale situazione occorre chiedersi se

l’istituzione considerata ha realizzato una “violazione

manifesta e grave”, dovendosi altresì indagare “i limiti posti

al suo potere discrezionale” (Trib. UE 436/09, con cui

concorda Trib. UE T-79-13, ora in esame). Se l’agire

dell’organo comunitario è vincolato (o scarsamente

discrezionale), la sola trasgressione della norma integra la

“violazione sufficientemente qualificata” dei diritti individuali

e quindi, in concorso con le altre condizioni, dà luogo

all’obbligo risarcitorio per responsabilità aquiliana.

Non esiste peraltro un modello prefabbricato per superare le

difficoltà finanziarie (tendenti all’insolvenza) di uno Stato

membro. Lo dimostrano le difformi politiche di “riduzione

dello Stato”, messe in campo dai singoli Paesi UE per

governare la crisi finanziaria globale. La BCE pertanto

dispone di molte alternative, tra cui scegliere secondo la

sua libera e prudente valutazione .

La BCE opera dunque in modo ampiamente discrezionale,

sicché la sua responsabilità aquiliana sorge soltanto in caso

di “violazione grave e manifesta” delle norme poste a

presidio dei diritti individuali.

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Ma la BCE non è incorsa in nessuna violazione “grave

manifesta” delle norme relative alla sua attività quando ha

partecipato alla ristrutturazione del debito pubblico greco .

Non esiste neppure il diverso profilo di illiceità, derivante

dalla noncuranza del “legittimo affidamento”, riposto dagli

investitori negli atti delle istituzioni comunitarie. Infatti le

dichiarazioni di alti esponenti della BCE (che, a giudizio degli

interessati, fondano il loro “legittimo affidamento”) non

provengono da “fonti autorizzate”, non sono affidabili, né

tantomeno incondizionate.

Di conseguenza non si genera nessun affidamento tutelabile

degli investitori, poi tradito dalla pretesa condotta

antigiuridica dell’Autorità comunitaria.

Inoltre – e così si spiega pure l’inesistenza del nesso

causale – gli investitori non si sono comportati da “operatori

avveduti”, compiendo scelte di portafoglio in mercati ad

elevata volatilità, nonché a favore dei titoli del debito

pubblico greco, il cui rating era basso.

Di conseguenza gli investitori stessi hanno volontariamente

scelto di effettuare investimenti rischiosi. Tale libera scelta

interrompe dunque il legame eziologico tra il preteso illecito

della BCE ed il danno sofferto.

Mancano dunque 2 condizioni richieste per il configurarsi

della responsabilità. Stante la necessità che i tre presupposti

della responsabilità aquiliana della BCE si verifichino

assieme, il Tribunale UE (con la sent. T-79-13) giustamente

la dichiara inesistente .

Ma gli investitori propongono al Tribunale comunitario anche

la domanda di responsabilità per atto lecito dannoso,

addebitato alla BCE.

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A giudizio di chi scrive, questa è la parte più importante

dell’ampia motivazione della pronuncia T-79-13 .

Capitolo 2.

LA RESPONSABILITÀ DELLE AUTORITÀ

ITALIANE PER ATTO LECITO DANNOSO

2.1. La posizione dei giudici ordinari

L’evoluzione normativa soltanto formalmente supera la

disciplina – ancora vigente nel caso specifico: art. 57, 1º co.,

d.p.r. 327/2001 – applicata dai giudici (Trib. Ariano Irpino 15-

1-2009,GM, 2009, 2273) ai quali si deve la lucida disamina

della responsabilità, nella quale l’amministrazione pubblica

incorre per atto lecito dannoso .

Infatti l’art. 46, 1º co., l.25-6-1865, n. 2359 è abrogato

dall’art. 58, 1º co., d.lg. 8-6 5-5-1950-2001, n. 327 (testo

unico espropriazioni), ma l’art. 44, 1º co., dello stesso testo

unico ripete quasi letteralmente la disciplina varata oltre un

secolo addietro.

Pertanto dalle argomentazioni dei giudici di Ariano Irpino, e

soprattutto dal relativo commento, si traggono utili

indicazioni per la ricerca.

L’amministrazione commette infatti atti leciti dannosi

qualora:

• ponga in essere 1 comportamento legittimo (nella specie

“la ristrutturazione e pedonalizzazione” di una pubblica

piazza);

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• il privato risenta un danno “permanente che si traduce

nell’imposizione di una servitù o nella perdita di un diritto

di proprietà” (sono parole dei giudici di Ariano Irpino.

Un’illustre autrice, concordando con quei giudici,

richiama la giurisprudenza orientata nello stesso senso.

Per quest’ultima, ad es., cfr. Cass. 3-7-2013, n. 16619,

www.iusexplorer.it);

• esista il nesso causale tra l’attività amministrativa ed il

pregiudizio lamentato.

In tal caso l’amministrazione deve corrispondere al privato

un’“indennità”, della quale si occupano prevalentemente i

giudici amministrativi.

2.2. La posizione dei giudici amministrativi

I giudici amministrativi intervengono nel dibattito fiorito

attorno alla configurabilità di un atto che produce danni,

nonostante sia consentito dall’ordinamento.

Innanzitutto i giudici amministrativi siciliani (TAR Sicilia,

Palermo, 9-7-2007, n. 1775, GD, 2007, n. 35, 90)

aderiscono alla teoria giustamente definita da significativa

dottrina “delle formule vuote”, dichiarando “giuridicamente –

e ancor prima logicamente – incompatibili” le domande tese

all’indennizzo per atto lecito dannoso ed al risarcimento per

comportamento illecito.

Ma poco dopo la stessa pronuncia non desume coerenti

conclusioni dalla sua premessa. Evidenziata la comune

funzione compensativa dell’indennizzo per atto lecito

dannoso della p.a. e del risarcimento del danno da illecito,

TAR Sicilia 1775/2007 giudica impossibile “costruire

l’indennizzo come una domanda di minore entità, non solo

quantitativa, rispetto al risarcimento”.

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Infatti il risarcimento del danno si correla anche all’elemento

volitivo (colpa o, nei casi più gravi, volontarietà della

condotta pregiudizievole), comprendendo tanto la perdita

patrimoniale ((danno emergente), quanto il mancato

guadagno (lucro cessante): art. 1223 c.c.

Ma altrettanto avviene per l’indennizzo quando la condotta

addebitata alla p.a. ha natura autoritativo (essendo quindi

l’amministrazione stessa sovraordinata ai privati). Lo si

desume capovolgendo quanto detta l’art. 21-quinquies, 1º-

bis co., l. 7-8-1990, n. 241. La norma – introdotta dall'art. 13,

8º-duodevicies co., d.l. 31-1-2007, n. 7, conv. con

modificazioni in l. 2-4-2007, n. 40 – infatti prescrive

all’amministrazione di liquidare “agli interessati l’indennizzo

parametrato al solo danno emergente”. Ciò qualora “la

revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o

istantanea incida su rapporti negoziali”, nei quali pertanto

l’amministrazione si trova in posizione paritaria rispetto agli

amministrati.

Le posizioni degli studiosi

Sulla stessa linea ideale di TAR Sicilia 1775/2007 si pone

chi ritiene che l’indennizzo, in quanto conseguenza di un

atto lecito dannoso, “non ha nulla a che vedere” con la

responsabilità aquiliana, governata dall’art. 2043 c.c.

All’opposto si pongono le interpretazioni che fanno notare la

differenza ontologica tra indennizzo e risarcimento, essendo

quest’ultimo destinato a compensare un danno ingiusto.

Ma la liceità dell’atto dannoso esclude per definizione

l’ingiustizia del danno e, conseguentemente, la sua

risarcibilità .

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Peraltro nell’attuale lavoro si preferisce la tesi ad avviso

della quale “anche negli atti leciti dannosi si può ritenere che

sussista un danno ingiusto”. In altre parole, “il danno si

sostanzia nella lesione di un interesse del danneggiato

tutelato dall’ordinamento giuridico”.

La conseguenza operativa dell’opinione preferita è che

l’indennizzo per atto lecito dannoso è governato dalle stesse

regole pertinenti all’illecito aquiliano, ovviamente nei limiti di

compatibilità. I titoli di Come dice il maggior sostenitore di

questa teoria, infatti, le ipotesi di atti leciti dannosi sono

“fattispecie di responsabilità civile in senso tecnico”. Ciò

perché “si ha l'imputazione di un danno giuridicamente

rilevante ad un soggetto”.

Pertanto chi pretende l’indennizzo dall’Amministrazione che

ha commesso un atto lecito dannoso deve dimostrare

quanto indicato dal giudici di Ariano Irpino, la cui pronuncia

è stata precedentemente sintetizzata.

Così ragionando si avvicina notevolmente l’ordinamento

italiano a quello comunitario, come bisogna precisare

appresso.

Capitolo 3.

LA RESPONSABILITÀ DELLA BCE PER ATTO

LECITO DANNOSO

La pronuncia attualmente esaminata (Trib. UE T-79-13) si

pone in ideale collegamento con un altro intervento dello

stesso Tribunale (sent. 14-12-2005, n. T-69/00, CorG, 2005,

629), che si inserisce nella “saga delle banane”.

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Nel quadro della guerra commerciale, che allora

contrapponeva gli operatori europei e statunitensi, gli US

imponevano una “soprattassa doganale del 100% sulle

importazioni di prodotti comunitari figuranti in un elenco

pubblicato sul Federal Register, sino a concorrenza di un

importo annuo di scambi pari a 191,4 milioni di dollari” (si

veda il commento a Trib. UE T-69/00).

Questo super dazio – che tra l’altro colpiva le esportazioni

europee negli USA di batterie ed accumulatori – era la

risposta statunitense al regime preferenziale, accordato a

specifici Stati produttori di banane da appositi regolamenti

del Consiglio UE “su proposta della Commissione” (questi

regolamenti possono leggersi su www.wto.org).

Due società italiane, fabbricanti di accumulatori, si

ritenevano danneggiate dalla predetta guerra commerciale.

Quindi si rivolgevano al Tribunale comunitario, facendo

valere la responsabilità del Consiglio e della Commissione

dell’Unione Europea.

Dando continuità (come spesso si legge nelle province della

S.C. italiana) alla propria ormai pacifica giurisprudenza (ad

es. Trib. UE 10-2-2004, n. 64/01, 65/01, Raccolta, 2004, II,

521), l’organo giudicante ha respinto il ricorso. Ciò perché

l’affermazione della responsabilità extracontrattuale della

Comunità, derivante da atto lecito dannoso, postula il

simultaneo concorso di “tre condizioni”, ossia:

• “l’effettività del danno asseritamente subìto”;

• il nesso di causalità tra esso e l’atto imputato alle

istituzioni comunitarie, nonché

• “il carattere anormale e speciale di tale danno” (peraltro

la dottrina considera separatamente l’anormalità e la

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specialità del danno, portando così le condizioni da 3 a

4). Così condizioni

Quest’ultima condizione è spiegata dai giudici comunitari

qualificando il danno come «’speciale’ quando riguarda una

categoria particolare di operatori economici in maniera

sproporzionata rispetto agli altri operatori”.

Il danno è altresì «’anormale’ quando supera i limiti dei rischi

economici inerenti alle attività nel settore di cui trattasi,

senza che l’atto normativo che si trova all’origine del danno

fatto valere sia giustificato da un interesse economico

generale” (in tal senso la giurisprudenza culminata nella

sent. T-79-13, attualmente esaminata).

I giudici europei, nell’attuale occasione, applicano

fedelmente questi principi e respingono il ricorso degli

investitori italiani. Infatti il piano di ristrutturazione del debito

pubblico greco non fa superare agli investitori il normale

livello di rischio senza c… “ he il provvedimento della BCE

sia fondato su “un interesse economico generale”. Il danno,

dunque, non è “anormale ”.

Il pregiudizio lamentato non è neppure “speciale” perché

“colpisce in uguale misura tutti gli operatori” dei mercati

finanziari, parimenti esposti al loro aleatorio andamento .

Difettano dunque le condizioni richieste dalla giurisprudenza

sovranazionale per dichiarare indennizzabile il pregiudizio

da atto lecito dannoso della BCE.

Capitolo 4.

VALUTAZIONE DELLA PRONUNCIA

ESAMINATA

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La sentenza del Tribunale comunitario T-79-13 si presta a

valutazioni divergenti, guardandola dal piano della BCE e da

quello degli operatori economici.

Applicando i criteri suggeriti dalle Corti sovranazionali,

infatti, la responsabilità dell’autorità per atto lecito dannoso

è confinata ad ipotesi residuali. Ciò stanti le caratteristiche

dei mercati finanziari (e di talune operazioni svolte in essi),

oltre che le motivazioni di ordine generale sottostanti all’atto

della BCE.

D’altra parte, e così ci si sposta sul piano degli operatori

economici, la difficoltà di ottenere il risarcimento dalla BCE

svolge la stessa funzione che la responsabilità degli

amministratori societari spiega in Italia. Chi conosce la

difficoltà di ottenere il risarcimento per atti leciti dannosi delle

pubbliche autorità, oppure la possibilità che il suo operato

giustifichi l’altrui pretesa risarcitoria, agisce con la

necessaria oculatezza.

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