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I PROBLEMI DEI PAESI POVERI, I FRUTTI DELL’INIZIATIVA GIUBILARE DEBITO, A CHE PUNTO SIAMO? MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLI - NUMERO 4 - WWW.CARITASITALIANA.IT Italia Caritas POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA BADANTI “ESTRANEE DI FAMIGLIA”, TRA ASSISTENZA E DISAGIO SIERRA LEONE LA FATICA DELLA PACE: «UN PROCESSO NON BASTA» EUROPA VERSO IL 2010, UN ANNO PER BATTERE LA POVERTÀ maggio 2008 INSERTO SPECIALE

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I PROBLEMI DEI PAESI POVERI, I FRUTTI DELL’INIZIATIVA GIUBILARE

DEBITO, A CHE PUNTO SIAMO?

MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLI - NUMERO 4 - WWW.CARITASITALIANA. IT

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BADANTI “ESTRANEE DI FAMIGLIA”, TRA ASSISTENZA E DISAGIOSIERRA LEONE LA FATICA DELLA PACE: «UN PROCESSO NON BASTA»

EUROPA VERSO IL 2010, UN ANNO PER BATTERE LA POVERTÀ

maggio 2008

INSERTO SPECIALE

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I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 8 3

editoriale di Vittorio NozzaNELL’ORA DELLA FAME NON SI PUÒ STARE A GUARDARE 3parola e parole di Giovanni NicoliniLA CHIESA CROCIFISSA, GIUDIZIO CHE SALVA IL MONDO 5paese caritas di Roberto SciollaCONCRETE E PARTECIPATE, ECCO LE OPERE “TRASPARENTI” 6

nazionaleL’ESTRANEA DI FAMIGLIA, TRA ASSISTENZA E DISAGIO 8di Oliviero Forti, Francesco Chiavarini e Maria Grazia Bonollodatabase di Walter Nanni 13SALUTE MENTALE, LE SFIDE A 30 ANNI DALLA BASAGLIA 14di Cinzia Negliadall’altro mondo di Delfina Licata 17LEGGI IN LETARGO, RIAPRIAMO I CANTIERI 18di Ferruccio Ferrante e Paolo Nicoletticontrappunto di Domenico Rosati 24

panoramacaritas HOMELESS, INCAPIENTI, IMMIGRAZIONE 22progetti TUTELA AMBIENTALE 54

inserto speciale OLTRE IL DEBITO. UN PERCORSO DI GIUSTIZIA 25

internazionaleguerre alla finestra di Lucia Pezzuto 41SIERRA LEONE. LA FATICA DELLA PACE: «UN PROCESSO NON BASTA» 42testi e foto di Moira MonacelliSOMALIA: FOLLA AL CANCELLO, IL DISPENSARIO DIALOGA 46testi e foto di David Omwoyocasa comune di Gianni Borsa 49EUROPA 2010, È TEMPO DI BATTERE LA POVERTÀ 50di Paolo Pezzanacontrappunto di Alberto Bobbio 53

agenda territori 56villaggio globale 60

incontri di servizio di Laura MedaIL TACCUINO DI MOHAMMED, CARLO DI NUOVO AL TELEFONO 63

IN COPERTINARagazzi in un’area ruraledello Zambia: il fardello

del debito estero, per il paeseafricano, ha significato un freno

allo sviluppo umano, sociale,educativo. Le campagne

di remissione hanno dato frutti,ma bisogna fare ancora

un grande lavorofoto archivio Celim

AVVISO AI LETTORIPer ricevere Italia Caritas per un anno occorre ver-sare un contributo alle spese di realizzazione di al-meno 15 euro: causale contributo Italia Caritas.

La Caritas Italiana, su autorizzazione della Cei, puòtrattenere fino al 5% sulle offerte per coprire i costi diorganizzazione, funzionamento e sensibilizzazione.

Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite:● Versamento su c/c postale n. 347013● Bonifico una tantum o permanente a:

- Intesa Sanpaolo, piazzale Gregorio VII, RomaIban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707

- UniCredit Banca, piazzale dell’Industria 46, RomaIban: IT02 Y032 2303 2000 0000 5369 992

- Allianz Bank, via San Claudio 82, RomaIban: IT26 F035 8903 2003 0157 0306 097

- Banca Popolare Etica, via N. Tommaseo 7, PadovaIban: IT29 U050 1803 2000 0000 0011 113

● Donazione con Cartasì e Diners, telefonando a Caritas Italiana 06 66177001Cartasì anche on line, sul sitowww.caritasitaliana.it (Come contribuire)

5 PER MILLEPer destinarlo a Caritas Italiana, firmare il primodei quattro riquadri sulla dichiarazione dei redditie indicare il codice fiscale 80102590587

Mensile della Caritas Italiana

Organismo Pastorale della Ceivia Aurelia, 79600165 Romawww.caritasitaliana.itemail:[email protected]

I PROBLEMI DEI PAESI POVERI, I FRUTTI DELL’INIZIATIVA GIUBILARE

DEBITO, A CHE PUNTO SIAMO?

MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLI - NUMERO 4 - WWW.CARITASITALIANA. IT

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BADANTI “ESTRANEE DI FAMIGLIA”, TRA ASSISTENZA E DISAGIOSIERRA LEONE LA FATICA DELLA PACE: «UN PROCESSO NON BASTA»

EUROPA VERSO IL 2010, UN ANNO PER BATTERE LA POVERTÀ

maggio 2008

INSERTO SPECIALE

NELL’ORA DELLA FAMENON SI PUÒ STARE A GUARDARE

editoriale

trebbe non essere passeggero ma strutturale.

L’Italia dell’Expo, almeno per coerenzaCibo caro. Non si tratta certo di prelibatezze sofisticateo esotiche, ma di quanto milioni di persone, nel mondo,ogni giorno mettono sotto i denti (o vorrebbero fare)per la mera sopravvivenza. Molti i fattori e le responsa-bilità. Dietro l’impennata dei prezzi c’è, anzitutto, unprogressivo assottigliarsi delle scorte. A ciò si associa uncalo di produzione degli alimenti stessi che, almeno inalcune aree (ad esempio l’Australia, colpita da un’ano-mala siccità), ha a che fare con i cambiamenti climatici.Nel 2008 quasi un quinto della produzione di cereali de-gli Stati Uniti sarà destinata ai biocarburanti, anziché al-l’alimentazione: viaggiano i macchinoni di chi può per-

prezzi dei cereali, ma anche delle ta-riffe dei trasporti e del petrolio. E lospettro dell’insufficienza alimentaresi allunga pure sul continente asiati-co (Nepal, Cambogia, il poverissimoBangladesh), e per molti sarà realtàentro l’anno.

Mutamenti climatici, eventi na-turali eccezionali, scelte economi-che, addirittura opzioni ecologiche(come il crescente utilizzo dei suoliper produrre biocombustibili), oltreche ovviamente il gioco del mercatoe la speculazione: tutto ciò ha con-tribuito a innescare una situazioneche continua ad aggravarsi. Ancorauna volta sono i paesi più deboliquelli più a rischio. La malnutrizio-ne è destinata a crescere sensibil-mente in diverse regioni della terra.Una prospettiva che sta già portan-do alcuni alla disperazione. I suicidiimputabili alla crisi alimentare sonoin aumento. E l’aumento dei prezzi,sottolinea un documento Onu, po-

La “guerra per il pane” sta interessando diversi paesi, colpi-ti da un’inflazione galoppante. Scioperi generali hanno in-teressato il Burkina Faso; in febbraio 40 persone sono mor-

te nelle rivolte scoppiate in Camerun; sanguinose proteste vi so-no state in Costa d’Avorio e in Mauritania; manifestazioni in Se-negal e disordini in Egitto. Le rivolte per il pane stanno sconvol-gendo anche Haiti, dove vi sono stati cinque morti e una qua-rantina di feriti. In Pakistan il prezzo del pane è raddoppiato,mentre in India le opposizioni mi-nacciano di mobilitare le piazze se ilgoverno, che ha disposto il bloccodelle esportazioni di riso, non inter-verrà sul fronte del vertiginoso rin-caro dei prezzi.

Il primo ministro britannicoGordon Brown, ha lanciato un ap-pello ai colleghi del G8, affinché sia-no concordate azioni coordinate percontrastare l’inflazione. JacquesDiouf, direttore generale della Fao,ha parlato a nome di quelli che han-no fame, e sono popoli interi: la suadelusione per i ritardi e le promesse più volte non man-tenute dai governi dei paesi avanzati rende l’idea dellatragedia; il summit sull’alimentazione convocato a Ro-ma dal 3 al 5 giugno avrà carattere d’urgenza. «Le perso-ne – ha detto Diouf – stanno morendo nelle rivolte per ilcibo. Se non interveniamo cominceranno a morire di fa-me. E non rimarranno seduti ad aspettare di morire».Banca mondiale e Fondo monetario internazionale han-no confermato che la situazione è disperata, in almeno37 paesi. Si calcola che il costo delle importazioni cerea-licole nei paesi più poveri aumenterà del 56% nel 2007-2008, aumento che si somma a quello consistente (37%)registrato nel precedente biennio. La bolletta cerealicolaha un impennata ancora più grave (74%) nei paesi afri-cani a basso reddito, a causa non solo dell’aumento dei

I rincari delle materieprime alimentari

colpiscono i paesi poveri. E cominciano a provocaredrammatici danni sociali.Una risposta emergenziale

non basta. Bisognacambiare i meccanismi

della produzione e del commercio

di Vittorio Nozza

ItaliaCaritas

direttoreVittorio Nozzadirettore responsabileFerruccio Ferrantecoordinatore di redazionePaolo Brivioin redazioneDanilo Angelelli, Paolo Beccegato, Livio Corazza,Salvatore Ferdinandi, Andrea La Regina, RenatoMarinaro, Francesco Marsico, Walter Nanni,Giancarlo Perego, Domenico Rosatiprogetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna ([email protected])Simona Corvaia ([email protected])stampaOmnimediavia Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)Tel. 06 7989111 - Fax 06 798911408sede legalevia Aurelia, 796 - 00165 Romaredazionetel. 06 [email protected]. 06 66177205-249-287-505inserimenti e modifiche nominativirichiesta copie [email protected]. 06 66177202spedizionein abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)art.1 comma 2 DCB - RomaAutorizzazione numero 12478del 26/11/1968 Tribunale di RomaChiuso in redazione il 18/4/2008

sommario ANNO XLI NUMERO 4

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LA CHIESA CROCIFISSA,GIUDIZIO CHE SALVA IL MONDO

parola e parole

te di assumere tutto il carico della fe-rita mortale del mondo, senza mon-danizzarsi.

Così, il potere di legare e di scio-gliere non è in realtà un potere, mauna responsabilità sublime e tremen-da. Perchè dove noi facciamo manca-re nel mondo il segno e il mistero delFiglio di Dio e della sua Pasqua, pri-viamo il mondo dell’unico Amore chepuò salvarlo. Ma in questo modo vie-ne a mancare anche il giudizio di sal-vezza, che mette il mondo davanti al-la sua responsabilità.

L’Amore Crocifisso è il vero giudi-zio del mondo. Questa Chiesa, man-data nel mondo non per giudicare maper salvare, è il grande giudizio delmondo, proprio per la sua missione,nella quale rappresenta (rende pre-sente) Gesù: “Chi crede in Lui non ècondannato; ma chi non crede è giàcondannato, perchè non ha credutonel nome dell’unigenito Figlio di Dio”.

La Chiesa crocifissa, la sua veritàcrocifissa, è il vero, grande e tremendo giudizio del mondo.Lei, umiliata nell’obbedienza fino alla morte e alla morte dicroce, per questo capace di interpretare, di dare un nome edi glorificare la passione di tante vittime innocenti, costret-te a portare una croce senza nome, quindi senza speranza.

Annunciando e testimoniando l’Amore di Dio nellapersona e nell’opera del suo Signore, la Santa Chiesa ne tie-ne viva e operante la presenza. Non chiediamoci ancorache cosa questo povero mondo aspetta e chiede alla Chie-sa, essendo affidato nell’ultima ora della storia alla sua pre-ghiera e alla sua carità: le chiede Gesù, con gemiti ineffabi-li e inesprimibili. Dei quali la Chiesa può farsi voce presso ilPadre, con quelle “forti grida e lacrime”, che secondo la Let-tera agli Ebrei Gesù ha celebrato nell’orto dell’agonìa.

certamente amabile, ed è contrario aDio. Ma, proprio per questo, Dio (esolo Lui può farlo) lo ama sino allaCroce di suo Figlio. Un mondo cosìdominato dall’odio di Caino, Dio nonlo può abbandonare: del mondo nonsi può amare il peccato, ma non sipossono non amare i peccatori, chetutti sono figli di Dio.

Così Dio manda il Figlio nel mon-do, non per giudicarlo, ma perchè ilmondo sia salvato per mezzo di Lui.Una potenza d’amore infinito. “Comeil Padre ha mandato me, anch’io man-do voi”: l’amore del Padre diviene missione della Chiesa.

Responsabilità, non potereLa Chiesa, dunque, non è nel mondo per giudicare il mon-do, ma per essere luogo e tempo della sua salvezza. Ma “co-me” il Padre ha mandato il Figlio? Nella potenza salvificadella Parola. Nella fragilità della carne. Nell’amore fino allaCroce. Tale la Chiesa.

Il rischio di una lettura “tribunalizia” della missione (delFiglio, della Chiesa) è sempre incombente. Ma l’Agnello diDio toglie il peccato del mondo non perchè lo getta via –sarebbe già molto! –, ma perchè lo prende su di Sé. Nel mi-stero dell’Amore di Dio la Chiesa – e in Lei ogni cristiano –riscopre incessantemente quel volto divino, che le consen-

La realtà umana, con le sue violenze e concupiscenze,

non è amabile. Ma Dio la ama, sino alla Croce

di Suo Figlio. E la Chiesaesprime un giudizio

sulla storia, obbedendo a quell’Amore che si

sacrifica e salva gli uomini

Il mondo deve essere amato? Con espressioni molto severe Gio-

vanni nega questa eventualità, scrivendo nella sua prima lettera ai

figli di Dio di “non amare il mondo, né le cose del mondo! Se uno

ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui...”. Ma parlando con Ni-

codemo dice: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio uni-

genito”. Una volta tanto proviamo a tenere accostate le due afferma-

zioni, e chiediamoci in che senso non si contraddicano.

Il mondo, con tutte le sue concupiscenze e le sue violenze, non è

Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sisalvi per mezzo di lui (Giovanni 3, 16-18)

editoriale

metterselo, e intanto le massaie messicane fanno i con-ti con l’aumento delle tortillas.

Forse l’abbiamo dimenticato, ma le avvisaglie dellacrisi risalgono a più di un anno fa. Da allora, però, la po-litica non se n’è fatta carico. I poveri – si sa – non hannolobby nei palazzi e di questi argomenti non si parla enon se n’é parlato in campagna elettorale (vale per gliUsa, vale per l’Italia).

Proprio l’Italia, con Milano, ospiterà l’Expo 2015, conun ambizioso e impegnativo slogan: “Nutrire il pianeta,energia per la vita”. Se non per solidarietà, almeno percoerenza e dignità: non possiamo stare a guardare. Qual-cuno dice che non c’è abbastanza cibo per tutti, che bi-sogna mettere a produrre più terra. In realtà il pianeta hala capacità di sfamare abbondantemente più del doppio(e oltre) dell’attuale popolazione mondiale. Ancora si re-gistra il problema dello smaltimento delle eccedenzeproduttive in molte regioni (ad esempio le quote lattenell’Unione europea). Il problema risiede principalmen-te nei prezzi degli alimenti (il cibo come diritto, non co-me merce), sui quali benemeriti assassini speculano inborsa. E risiede nei monopoli dell’industria agroalimen-tare (dal produttore allo scaffale); nella perversa logicadel dare da mangiare alle macchine (agro-carburanti)anziché alle persone. Il problema non è quindi una que-stione di mezzi (produrre quantità sufficienti), ma di di-ritti: diritto di accesso al cibo (prezzi reali e accessibili atutti); diritto ad alimenti sani, culturalmente adeguati,prodotti in modo sostenibile per l’ambiente.

Uno scandalo intollerabileIl clima apocalittico di queste ore non piace affatto. Si ri-cordi quanto accaduto in Zambia, qualche anno fa:

quando gli organismi internazionali annunciarono lacrisi alimentare, i commercianti globali raddoppiaronoi prezzi, il grano spuntò miracolosamente dai magazzi-ni, fu acquistato a peso d’oro con i soldi dei paesi ricchie regalato alle popolazioni affamate. Alla fine i piccoliproduttori locali si trovarono in ginocchio (non poteva-no vendere un prodotto che veniva regalato), mentre igrandi commercianti si erano arricchiti ancora di più.

L’incremento dei prezzi mondiali è in corso da annie si prolungherà ancora. Non si può affrontare questacrisi in termini solo economici. Né convince una rispo-sta emergenziale, basata su grandi campagne di aiuti,che pure ci saranno. Siamo vittime di un terzomondi-smo compassionevole, che ha rincorso con generositàl’emergenza di turno. E non si è capito che applicandosolo la logica industriale nei paesi in via di sviluppo sistravolgevano i mercati, consegnandoli nelle mani digruppi commerciali e finanziari, cancellando la reteproduttiva tradizionale.

Nell’ora della fame, per noi è venuto il momento dialzare un grido alle coscienze di ciascuno, e soprattuttodi chi ha responsabilità economiche e politiche globali.Ripetendo un celebre grido di quarant’anni fa. “Quandotanti popoli hanno fame, quando tante famiglie soffro-no la miseria, quando tanti uomini vivono immersi nel-l’ignoranza, quando restano da costruire tante scuole,tanti ospedali, tante abitazioni degne di questo nome,ogni sperpero pubblico o privato, ogni spesa fatta perostentazione nazionale o personale, ogni estenuantecorsa agli armamenti diviene uno scandalo intollerabi-le. Noi abbiamo il dovere di denunciarlo. Vogliano i re-sponsabili ascoltarci, prima che sia troppo tardi” (PaoloVI, Populorum progressio).

di Giovanni Nicolini

Qualcuno dice che non c’è abbastanza cibo, che bisognamettere a produrre più terra. In realtà il pianeta può

sfamare più del doppio dell’attuale popolazione mondiale

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CONCRETE E PARTECIPATE,ECCO LE OPERE “TRASPARENTI”

Non sappiamo quanto di questaalta finalità evangelica si sia avvera-to nell’attuazione, nella diocesi diIglesias, del progetto “Equal-Extre-me”, promosso da Caritas Italiana inalcune chiese locali, in collaborazio-ne con altri partner. Ha però certa-mente avuto effetti benefici per tuttii soggetti che vi sono stati coinvolti.

Il progetto si proponeva di offrirea persone “ultime della fila” un tem-poraneo inserimento nel mondo dellavoro, con prospettive, in caso diesiti positivi e di congiunture favore-voli per le aziende artigiane coinvolte, di occupazionestabile. Un’operazione doppiamente significativa, in uncontesto territoriale (il Sulcis-Iglesiente) debole sul fron-te economico e, di riflesso, occupazionale.

Una “scommessa umana”Qual è il valore aggiunto di simili progetti? Il significatopiù importante è nella promozione del lavoro in rete. Farincontrare Caritas, Confederazione nazionale dell’arti-gianato, imprese artigiane, stabilendo rapporti di reci-proco apprezzamento, premessa per stabili collabora-zioni successive: un impegno durato mesi, mai venutomeno nelle diverse fasi del progetto, che ha reso tutticonsapevoli della “scommessa umana” implicita in que-sto tipo di operazioni, al di là della semplice attivazionedi nuovi rapporti di lavoro.

proseguono. Ora si tratta di coinvol-gere le istituzioni locali (comuni eprovincia), perché rendano disponi-bili risorse umane ed economiche.Anche la chiesa locale è stata costan-temente informata: tramite il setti-manale diocesano, ha potuto cono-scere un modo concreto di vivere lacarità, non semplicemente assisten-ziale. I volontari Caritas, dal canto lo-ro, hanno sperimentato la gioia divedere il proprio apporto inserito inun disegno più ampio e in un’operadi reale promozione delle persone.

Il progetto Equal-Extreme ha dunque rappresentato,nel nostro territorio, un’esperienza ricca di stimoli: havalorizzato le abilità e ha rimesso in moto l’autostimadei destinatari della proposta; ha qualificato il ruolo de-gli operatori pastorali e del centro di ascolto; ha aiutatola rete delle imprese a scommettere in un’esperienza,non priva di difficoltà ed ostacoli, foriera di una nuovaconsapevolezza della propria funzione sociale.

Misurare il grado di “trasparenza evangelica” di similiiniziative è difficile, se non impossibile. Ma il Vangelo nonparla a uomini e comunità astratti: chiede di incidere nel-le dinamiche di povertà, esclusione e separatezza che se-gnano un territorio e tante storie individuali. Le “opere” diEqual-Extreme hanno tentato di farlo. Mettendo in rete leforze, per testimoniare che uno sviluppo, per definirsi ta-le, deve essere partecipato e condiviso.

Durante lo svolgimento del pro-getto, le verifiche sono state continuee l’accompagnamento personalizza-to: chi, avendo alle spalle una storiadi fragilità ed emarginazione, vieneinserito o reinserito nel lavoro non sideve mai sentire solo. Nel nostro ca-so, per ogni problema il centro diascolto diocesano ha rappresentatoun importante punto di riferimento.

I contatti tra i soggetti promotori

Difficile misurare gli effetti, in terminidi risposta di fede,

di un progetto sociale. Ma fare rete, lavorandoinsieme e valorizzando le potenzialità di tutti,

è un modo per combatterela povertà e l’esclusione.Come chiede il Vangelo

paese caritasdi Roberto Sciolla direttore Caritas Iglesias

Caritas si sta chiedendo, in questo anno pastorale, quale sia la con-

dizione perché le “opere” prodotte da un soggetto ecclesiale obbe-

discano allo spirito evangelico. Il documento episcopale Evangeliz-

zazione e testimonianza della carità, ricordando Matteo (“Vedano le vo-

stre opere buone e diano gloria al Padre che è nei cieli”, 5,16), evidenzia

che devono avere una trasparenza evangelica. Eppure all’aumento del

numero delle “opere” non sempre corrisponde un effetto visibile, in ter-

mini di risposta di fede da parte di chi le osserva o ne fruisce.

IL PRESIDENTE NAPOLITANOHA INCONTRATO CARITAS ITALIANA

Un incontro cordiale, caloroso, protrattosi anche oltre quanto previsto dal protocollo. Il presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto al Quirinale mercoledì 9 aprileil presidente, monsignor Francesco Montenegro, e il direttore, monsignor Vittorio Nozza,

di Caritas Italiana. Al capo dello stato i vertici Caritas hanno presentato caratteristiche, significati e obiettivi del lavoro che l’organismo pastorale conduce in tutta Italia a favore degli “ultimi della fila”, in una costante ricerca di dialogo e confronto con istituzioni ed enti locali, sempre

nell’ottica del bene comune. In particolare, hanno illustrato il senso di alcune proposte lanciate, in diverse occasioni, negli ultimi mesi.

Il colloquio con il presidente Napolitano ha infatti avuto per oggettosoprattutto il consolidarsi dei fenomeni di povertà in Italia. «Occorreinserire nell’agenda politico-sociale italiana la questione povertà, che troppo spesso emerge solo dentro e dietro la questione sicurezza –ha affermato monsignor Francesco Montenegro –. Ciò significacostruire un Piano nazionale di contrasto alla povertà, come segno di una mobilitazione non solo istituzionale, ma anche sociale,puntando alla costruzione di politiche di giustizia che dianostrutturalmente dignità a chi fa più fatica».

Al presidente Napolitano monsignor Montenegro e monsignorNozza hanno espresso profonda gratitudine, per aver concesso un’occasione preziosa di illustrareistanze e preoccupazioni che derivano dall’esperienza di servizio condotta da Caritas nel paese. In particolare – rifacendosi al settimo “Rapporto sulla povertà in Italia”, dal titolo Rassegnarsi alla povertà?, curato da Caritas Italiana e Fondazione Emanuela Zancan di Padova – sono statesegnalate l’assenza di politiche di contrasto, organiche e strutturali, del fenomeno povertà; la necessità di operare un cambio di prospettiva nella spesa sociale, passando dai trasferimentimonetari all’offerta di servizi; la necessità di passare dalla gestione centrale delle risorse per l’assistenza sociale a forme di gestione regionale e locale, con un’attenzione significativa al tema delle disparità territoriali; l’urgenza di politiche di sostegno alle famiglie; infine la necessitàdi un’attenzione prioritaria al tema del lavoro.

Inoltre, al capo dello stato sono state evidenziate alcune preoccupazioni circa l’insufficienzadell’attuale normativa sull’immigrazione (orientata più al controllo del fenomeno che a una prospettiva di integrazione); la mancata regolamentazione legislativa per i richiedentiasilo (che non fa onore al nostro paese, nonostante pratiche di accoglienza consolidate e organizzate); le persistenti strumentalizzazioni (nel dibattito, spesso scomposto, sulla sicurezza)riguardo al tema della marginalità sociale, che sembra condurre verso una spirale di carcerizzazione come unica alternativa alla costruzione di un sistema di protezione sociale, fino a rendere lettera morta il dettato costituzionale relativo alla rimozione degli “ostacoli di ordineeconomico e sociale” che “impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (articolo 3).

Colloquio al Quirinale, mercoledì 9 aprile, con i vertici dell’organismopastorale. Bene comune e lotta alla povertà, impegni da rilanciare

INCONTROCORDIALEIl presidentedella repubblica,GiorgioNapolitano,stringe la manoal direttoredi CaritasItaliana,monsignorVittorio Nozza,accolto alQuirinale insiemeal presidenteCaritas,monsignorFrancescoMontenegro(a destra)

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territorio nazionale e una loro distribuzione capillare, chenon riguarda più solamente le grandi aree urbane, ma an-che i centri minori, dove è sempre più evidentel’accentuato invecchiamento della popolazione e la diffi-coltà di dare risposte da parte dei sistemi di welfare locali.Lo sfaldamento delle reti sociali tradizionali e la non com-patibilità tra la cura dei pazienti anziani e i ritmi delle fa-miglie moderne fanno delle badanti, nella maggioranzadei casi irregolari, un “dispositivo di stabilizzazione” delletensioni interne a famiglie e servizi.

Il ruolo svolto con fatica e abnegazione da queste la-voratrici presenta però alcune contraddizioni, proprie diun contesto lavorativo caratterizzato, il più delle volte, dal-

l’assenza di regole. Peraltro, il la-voro di cura impone alla badantee alla famiglia un costante ri-orientamento della propria espe-rienza, determinato da un’accen-tuata produzione di relazioni, se-condo un ritmo quotidiano il piùdelle volte ciclico. Una recente in-dagine (“Domanda di care domi-ciliare e donne migranti”, condot-ta dall’Agenzia sanitaria e socialeregionale dell’Emilia Romagna)ribadisce a suon di dati che il la-

voro di cura non è “una relazione lavorativa sic et simplici-ter, quanto piuttosto un rapporto dalle molteplici sfaccet-tature: come la famiglia è costretta a ricorrere a una estra-nea per continuare a esercitare alcuni ruoli e funzioni vi-tali, che culturalmente le sono attribuiti, così anchel’immigrata si trova in una situazione peculiare”.

Il rapporto fra badante e anziano, infatti, si sviluppasecondo una sequenza di contatti intimi, che portano labadante a essere percepita come una “estranea familiare”.I comportamenti della nuova arrivata, inevitabilmenteportatori di cambiamenti, sono spesso alla base di conflit-ti, disagi e frustrazioni, manifestati con una certa frequen-za da queste lavoratrici. Pur in assenza di statistiche, è no-ta la crescente richiesta, da parte delle badanti, di un sup-porto psichiatrico, invocato il più delle volte a causa dellecondizioni di vita e di lavoro.

n’inchiesta, pubblicata l’anno scorso dalla rivi-sta di strada bolognese Piazza Grande, era aper-ta da un titolo suggestivo: “Chi bada alle badan-ti?”. La domanda non è banale né scontata e sol-lecita una riflessione, ormai urgente, sulle con-dizioni di lavoro delle decine di migliaia di ba-

danti che continuano a giungere nel nostro paese, collocan-dosi all’interno di milioni di famiglie. E sulle relazioni che siinstaurano tra le une e le altre, al di là dell’aspetto mera-mente economico, prestazionale e contrattuale.

La diffusa presenza di donne straniere impiegate nel la-voro di cura non costituisce più una novità: con il passaredel tempo, sta diventando una componente stabile dellanostra società. E, di fatto, del no-stro sistema di welfare. Non abbia-mo più a che fare con ragazze dicampagna che arrivano in cittàper fare le governanti nelle fami-glie abbienti. Oggi è la famiglia diceto medio-basso a chiedere unservizio nella propria casa, taloradi tipo domestico, più spesso dicura, con implicazioni educativese riguardante i minori, ma piùspesso assistenziale, se riguardan-te anziani e malati, perché non sipuò permettere di sostenere i costi delle case di cura priva-te né di personale specializzato. E allora si rivolge alle don-ne immigrate, che costano meno e hanno meno pretese.

Diverse indagini, condotte negli ultimi anni, aiutano astilare un identikit di questa categoria di lavoratori, in cuiprimeggiano, per numero e diffusione, le donne prove-nienti dall’Europa dell’est, con un’età media non superio-re ai 40 anni. In genere, si tratta di persone che hanno la-sciato marito e figli nel paese di origine, per trovare, da so-le o con l’aiuto di amici o familiari già soggiornanti in Ita-lia, un salario da dividere tra le proprie esigenze quotidia-ne e le rimesse da inviare in patria.

Sequenza di contatti intimiL’esperienza quotidiana dei centri di ascolto Caritas con-ferma una diffusa presenza di queste lavoratrici in tutto il

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nazionale

badanti

di Oliviero Forti foto di Romano Siciliani

L’ESTRANEA DI FAMIGLIA,TRA ASSISTENZA E DISAGIO

Nelle case italiane sono sempre più presenti per curare malati e anziani. Ma aumenta il numero di quelle che manifestano disturbi psico-fisici. Il ricorso alle badanti non è senza costi: una fragilità, all’incrocio fra tre povertà

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Valentina, sola nella malattiaVicenza “studia” le sue badanti

Valentina si definisce “moglie, mamma e nonna”. Era in Italia da nemmeno due anni e assisteva una signora di 92 anni, Amabile, quando le è stato diagnosticato un carcinoma all’utero: sola nel momento del bisogno, ha affrontato un intervento chirurgico di ben cinque ore. Dopo sono venute la chemioterapia, la perdita del lavoro e dell’abitazione. Con le chemio, senza soldi, senza casa,c’era di che disperarsi. Solo l’aiuto dei volontari della Caritas(che hanno attivato il comune) e la sua incrollabile fedehanno fatto sì che Valentina trovasse un posto dove stare e qualcosa da mangiare. Ora sta meglio.

Valentina rappresenta bene i volti delle donne al centrodella ricerca sulle badanti, commissionata del Comitatoterritoriale Unicredit di Vicenza all’Osservatorio sulla povertàdella Caritas Vicentina. L'indagine, presentata il 23 aprile, è basata sul racconto di 58 donne. Età media 41 anni, livellodi scolarizzazione elevato, le intervistate hanno sottolineato le difficoltà di ingresso in Italia, sia dal punto di vistaburocratico che di ricerca del lavoro. «Molte testimonianze di moldave e ucraine – sottolinea la curatrice della ricerca,Maria Cristina Ghiotto – rivelano l’esistenza di percorsi migratoria volte difficili, nei quali permangono illegalità, pericolo e clandestinità. L’accesso cela spesso la rivendicazione di un compenso, una forma di sfruttamento di situazioni deboli».

La spinta a emigrare è legata alla ricerca di lavoro e di miglioramento della situazione economica della propriafamiglia. Pur nella varietà dei vissuti, le criticità maggioririguardano l’inserimento nelle famiglie: pesano la mancanzadi tempo per se stesse e le difficoltà relazionali, dovute anche al forte coinvolgimento emozionale.

Soltanto quattro lavoratrici su dieci dichiarano di avere un contratto di lavoro regolare; lo stipendio medio è 785euro. Quanto alle rimesse, inviate in patria attraverso circuitiinformali, ammontano a una parte significativa degli stipendi:un sostegno cruciale per la famiglia d’origine, anche per far studiare i figli, e un potenziale di sviluppo per il paesedi provenienza. Il livello di soddisfazione rispetto al lavorosvolto risulta abbastanza positivo, ma anche in questo casocon un’ampia variabilità. La maggior parte delle interpellatenon desidera avviare un progetto di vita in Italia, ma i costinascosti dell’emigrazione diventano a volte palesi al rientroa casa, dove le cose sono cambiate e i figli sono cresciuti,privati della presenza della madre. [Maria Grazia Bonollo]

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badanti

La solitudine e l’isolamento a cui sono costrette le ba-danti, e le tensioni familiari che loro malgrado vivono du-rante le 24 ore che trascorrono vicino all’anziano o al ma-lato, uniti alla fatica di un lavoro fisico spesso estenuante,sono alla base di disturbi più o meno gravi: episodi di de-pressione, disturbi del sistema immunitario, del sonno edella stanchezza. Inoltre le differenze culturali, determi-nate non solo dalla diversità degli ambienti di provenien-za dei soggetti in relazione, ma anche dal buon livello diistruzione che solitamente contraddistingue la badante,costituiscono un ulteriore elemento di criticità, esaspera-to spesso dalla scarsa preparazione che la badante mani-festa ad affrontare il lavoro che le è richiesto.

Altri aspetti, inoltre, meritano attenzione, in relazione

al diffondersi di forme di disagio psico-fisico tra le badan-ti. Da un lato si avverte la difficoltà di migliorare la propriacondizione, da parte delle badanti stesse, nel momento incui scelgono di curarsi: alcuni operatori sanitari racconta-no di donne straniere che non hanno neanche la possibi-lità di recarsi dal medico per la prescrizione dei farmaci, inquanto il tempo loro concesso dalle famiglie in cui lavora-no è minimo; questa, purtroppo, è una delle conseguenzedella mancanza di diritti che caratterizza molte badanti, acominciare ovviamente da quelle che lavorano “in nero”.Un’ulteriore questione riguarda la “difficoltà del doppioruolo”: la donna migrante acquista importanza e rispettoper ciò che fa, nei confronti della famiglia di origine; macontemporaneamente è una lavoratrice che talora non

gode, da parte della famiglia o dell’anziano che accudisce,del rispetto dovuto e che non di rado deve sopportare so-prusi di vario genere.

Bacini di provenienzaEmerge dunque da molte esperienze (per esempio il pro-getto Madreperla del comune di Reggio Emilia, che hacoinvolto anche la Caritas locale e i suoi centri d’ascolto)che il fenomeno delle badanti si colloca all’incrocio fra trepovertà: quella degli anziani, afflitti da problemi e patolo-gie, a cui il tradizionale sistema di welfare non riesce a da-re risposte convincenti; quella di donne immigrate, pro-venienti per lo più dal cosiddetto “secondo mondo”, di-sposte ad accudire persone che fanno parte della compo-

Tamara e lo smacco del risotto, a Milano un tavolo per aiutarsi

Le donne arrivano, si mettono in cerchio, cominciano a chiacchierare.C’è Rosaria, cilena. Maria Cruz,ecuadoregna. Tamara, rumena:racconta che l’altro giorno la “signora”l’ha criticata perché il risotto era troppo asciutto e lei, confessa, se l’è presa; la cucina è il suo forte a Bucarest, qui le sembra di nonessere apprezzata. Maria Cruz le spiega che il vero segreto è aggiungerci un po’ di midollo di bue,così le hanno detto. Poi Rosariachiede che fine abbia fatto Vittoria. Da una settimana non la si vede.Durante l’ultimo incontro eradisperata. La morte della signoraRosetta l’aveva scioccata. Standoleaccanto, tutti i giorni, le era diventataamica. Un po’ le ricordava sua nonna.E poi, adesso, si era trovataimprovvisamente senza lavoro.

La scena si svolge nella saletta di una parrocchia milanese, ex quartiere operaio, non distantedall’aeroporto di Linate. Dall’altraparte della strada, nei condominidell’ex Istituto autonomo per le casepopolari, abitano ormai quasi solo

anziani. Spesso, insieme a chi li assiste: le badanti. Per loro CaritasAmbrosiana ha aperto (grazie anche ai fondi del progetto Areemetropolitane, finanziato da CaritasItaliana) un luogo di incontro. È uno“Spazio Amico”, un tavolo attorno al quale le donne possano scambiarsiesperienze e informazioni.Confrontarsi. E sostenersi a vicenda.

«È un momento di decompressione– spiega Franca Carminati, responsabiledell’area anziani di Caritas Ambrosiana–, grazie al quale le badanti, coinvoltein un lavoro pressante, che richiedecompetenze specifiche, attenzione,capacità di relazione, si prendono un po’ di tempo per loro stesse. È un’occasione per riflettere su quelloche stanno facendo e su come lo stanno facendo. I primi destinataridi questo servizio sono naturalmentele donne». Ma l’aiuto ha ricadutepositive anche sulla qualità del lorolavoro di cura. «Seppure indirettamente,cerchiamo di favorire anche l’altro anello,debole, della relazione: cioè l’anziano».

Il gruppo si ritrova una volta allasettimana per un paio d’ore, all’inizio

del pomeriggio, quando le badantisono più libere. Nessuno convocanessuno. Viene chi vuole. Le dueoperatrici Caritas facilitano il confronto. Con molta discrezione.Perché devono essere le donne a trovare aiuto tra loro. Così, ladiscussione prende piede liberamente.

«Queste donne hanno lasciato nel loro paese figli, mariti, genitori –osserva Carminati –. La nostalgia e il senso di colpa per avere abbandonatola famiglia sono tra i problemi chetornano più frequentemente. C’è poi il rapporto con gli anziani: nonmancano le ambiguità, perché con il tempo all’impegno professionalesi sovrappone la relazione umana,fatta di sentimenti, emozioni, affetti.Per non parlare delle fatiche e delleincomprensioni che frequentemente si creano, anche solo per il fatto che anziano e badante parlano linguediverse e appartengono a culturedifferenti». Allora può capitare che un risotto cucinato male diventi una questione di stato. L’importante, è che si trovi il luogo per raccontarla. E relativizzarla. [Francesco Chiavarini]

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esclusione socialepolitiche socialidatabase

centuale di certificazione di agibilitàstatica (79% e 70%); anche la Basilica-ta ha il 65% di edifici scolastici in re-gola con la certificazione di agibilitàstatica. Le scuole più insicure sonoinvece a Catanzaro: solo il 5,8% degliistituti di tale città dispone del certifi-cato di agibilità igienico-sanitaria;solo l’8,8% è in regola con le normesull’abbattimento delle barriere ar-chitettoniche. In fondo alla classificadella sicurezza figurano Massa, Nuo-ro, La Spezia, Vibo Valentia e ReggioCalabria. Infine alcune scuole in Ita-lia non dispongono neppure del cer-tificato di agibilità statica: la medianazionale di edifici in regola conquesta basilare certificazione è del57,5%, mentre la certificazione antin-cendio dei vigili del fuoco è possedu-ta dal 35,3%.

Sul fronte delle attrezzature tec-nologiche, la regione con la miglioredotazione informatica nelle scuoleè la Puglia, seguita dall’Emilia Ro-

magna. A livello nazionale, negli istituti di istruzione se-condaria superiore vi sono mediamente 60 computerper istituzione scolastica, mentre nelle scuole del primociclo ve ne sono in media soltanto 13. Accanto a provin-ce che dispongono di circa 100 computer per istituto(Ancona, Parma e Pistoia su tutte), ve ne sono altre chearrivano a poco più di 30 (Vercelli e Grosseto).

Infine, la situazione del tempo pieno divide l’Italia indue parti, con forti ritardi nel mezzogiorno. L’Emilia Ro-magna vanta il dato più alto (89,5%) di classi organizzatecon il tempo pieno nella scuola elementare, mentre a livel-lo provinciale è Milano a far registrare il valore più elevato(40%). La media nazionale di classi organizzate a tempopieno nella scuola elementare è il 24%, ma a Palermo sonosolo l’1,6%, a Napoli l’1,5%, a Catania l’1,4%.

La rivista degli insegnanti Tuttoscuola ha realizzato nel 2007 un“Rapporto sullo stato di salute della scuola italiana”, sulla base di152 indicatori tratti da statistiche ufficiali (ministero della pub-

blica istruzione, Istat, UnionCamere, ragioneria generale dello stato,ministero degli interni, Invalsi - Istituto nazionale per la valutazionedel sistema educativo di istruzione e di formazione, ecc.). La pagellanazionale indica nell’Emilia Romagna la regione con i punteggi piùelevati di qualità; ottimi piazzamenti anche per la Lombardia (secon-da), seguita da Marche, Piemonte e Friuli. In fondo alla classifica

L’ITALIA SUI BANCHI,AL NORD LA SCUOLA DI QUALITÀdi Walter Nanni

Campania, Sicilia e Sardegna. Col-pisce il risultato negativo della To-scana, sotto la media nazionale(quattordicesima, dopo l’Abruzzo,prima del Molise).

Tra le province, è Forlì-Cesena aconquistare il gradino più alto del-la classifica; al secondo posto Par-ma, al terzo Biella, poi Piacenza,Savona e Macerata (unica provin-cia non del nord tra le prime dieci).Dal punto di vista del profitto sco-lastico, secondo le prove dell’Inval-si, gli alunni delle scuole del sud ot-tengono migliori risultati nelle scuole primarie, men-tre quelli del nord guidano la graduatoria nella scuolasecondaria di primo grado.

Dislivelli tecnologiciLa ricerca esplora anche altri aspetti del pianeta-scuola.Sulla base di alcuni indicatori di sicurezza (agibilità stati-ca e igienico-sanitaria, prevenzione infortuni, conformitàvigili del fuoco, abbattimento barriere architettoniche divario tipo), a livello regionale il Friuli Venezia Giulia strap-pa la leadership all’Emilia Romagna, mentre la maglia ne-ra della sicurezza tocca alla Sardegna. La provincia con lescuole più sicure è sempre Forlì-Cesena, seguita da Rimi-ni, Pordenone, Lecco e Udine. Gli edifici scolastici diCampania e Friuli Venezia Giulia hanno la più alta per-

Il “Rapporto sullo stato di salute” elaborato

da Tuttoscuola evidenziaeloquenti differenze

regionali. Profitti migliori a nord

nelle superiori. Sicurezzadegli edifici buona anche

in alcune aree del sud.Dove però manca

il tempo pieno

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Paesini lucani senza offerta, spunta lo spettro del caporalato

Dalla stazione di Potenza, due volte la settimana, partono i pullman direttiin Romania. Un cartello in rumenoindica anche le tariffe del viaggio: 80 euro per la sola andata, 130 il ritorno compreso. Gli autobus, gestitida rumeni, si riempiono normalmentedi donne. È il segno più evidente di un mercato fiorente in città, quello delle badanti, che da questeparti arrivano in gran parte dall’Europadell’est. Prima della Polonia, ora sempre più frequentementeproprio dalla Romania e dalla Bulgaria,secondo quanto risulta alla Caritasdiocesana, che negli ultimi anni si è occupata di incrociare la loroofferta di lavoro con le domande di assistenza degli anziani e delle loro famiglie.

Se però il “mercato” è florido nei grandi centri urbani della regione –non solo a Potenza, ma anche a Matera e Melfi –, non lo è altrettantonei paesi più piccoli e periferici,proprio là dove ce ne sarebbe più bisogno. «È una situazionedrammatica – denuncia il direttore

di Caritas Potenza, il diacono MicheleBasanisi –. Nei comuni più piccoli e decentrati i nostri centri di ascoltoricevono continuamente richieste di aiuto da parte delle famiglie che hanno anziani da accudire. Ma è difficile trovare donne disposte a trasferirsi in quei luoghi. Il punto è che nelle aree rurali e più periferichesi trovano proprio i paesi in cui è piùdebole la rete dei servizi alla quale ci si appoggia quando in una casa viveuna persona incapace di badare a se stessa. Così si viene a creareuna situazione doppiamentedrammatica. Mancano le badanti dove sarebbero più necessarie per coprire le falle del sistema di welfare, e la conseguenza è cheresta inevaso un bisogno di cura,espresso da anziani e famiglie sempre più lasciate a se stessi».

Difficile venire a capo di talesituazione. Anche perché, nel frattempo, il fenomeno ha cambiato velocemente pelle.Mettendo in crisi anche l’opera di mediazione svolta dalla Caritas.

Dopo l’ingresso di Romania e Bulgariain Europa, avvenuto il 1° gennaio dello scorso anno, le badantiprovenienti da quei paesi possonocircolare liberamente. Qualcuno ha fiutato l’affare dovuto a questamaggiore mobilità e ci si è buttato a capofitto. Il diacono MicheleBasanisi parla dell’emergere, nel territorio lucano, di «forme molto prossime al caporalato».

Si sarebbero, in altre parole,create organizzazioni composte da persone, spesso uomini, cheorganizzano il mercato: fanno arrivarele badanti, trovano le famiglie, trattanoil passaggio da una famiglia all’altraquando le donne rientrano nel paesedi origine. Tutto avviene, ovviamente,senza che vi sia lo straccio di un contratto.«Il lavoro in nero – sostiene Basanisi –è purtroppo la regola. Perché convienea tutti: alla famiglia che paga di menoe alla badante che guadagna di più». E a chi, sfruttando i bisogni dell’una e dell’altra, ha trovato il modo di costruire un’attività economicaredditizia. [Francesco Chiavarini]

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nente demografica più cospicua (e in crescita) delle popo-lazioni ricche; infine, la povertà delle famiglie, pressate damille impegni e opportunità (queste ultime spesso irrag-giungibili), che cercano di colmare il loro senso di inade-guatezza ricorrendo al lavoro delle badanti.

Il tema della condizione di lavoro delle badanti dovràcostituire una priorità nell’agenda del prossimo governo,non solo in relazione all’esigenza di regolarizzare la posi-zione di centinaia di migliaia di lavoratrici, ma anche conriferimento alla più ampia questione della sostenibilitàdell’attuale sistema. In effetti, il rischio che i bacini di pro-venienza di questa particolare forza lavoro (soprattuttoquelli dell’Europa orientale, dove vi sono paesi che giàtentano di frenare l’esodo delle proprie donne, anche perlimitare i danni sociali creati dal vuoto che esse lasciano

nelle proprie famiglie d’origine) possano prosciugarsi neiprossimi anni non è così lontano dal verificarsi. Ne conse-gue la necessità di riflettere su alternative valide. La possi-bilità di rivolgersi a lavoratrici provenienti da altri bacinigeografici, culturali o religiosi (est-asiatici, latino-ameri-cani, mediorientali o maghrebini) non può far dimentica-re che già oggi molte famiglie mostrano una certa diffi-denza a reclutare manodopera “culturalmente distante”.In ogni caso, l’inserimento e la convivenza di una badan-te in una famiglia è sempre un’esperienza umanamente esocialmente delicata. All’incrocio di tre fragilità si svilup-pano dinamiche magari produttive sul fronte assistenzia-le, ma certamente complesse sul fronte relazionale. Unnodo che anziani, famiglie e badanti non vanno condan-nati a districare da soli.

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prescrizioni non saranno realizzate.Le Linee di indirizzo hanno un grande

pregio: sono figlie dei tempi. È vero che la-sciano spazio a diverse “forme organizza-tive” dei Dipartimenti di salute mentale (eciò mantiene aperto qualche interrogati-vo su come potrà essere garantita l’equitàdi trattamento ovunque nel paese e a tut-ti i pazienti), ma nascono da una pienacondivisione di intenti da parte del ministero della salute edella Conferenza stato-regioni. Per la stesura è stato attiva-to un percorso che ha costruito alleanze: premessa impor-tante per consolidare le esperienze migliori e far lievitare lestrategie di intervento e cura, là dove sono ancora carenti.

Cinque aree strategicheLe Linee di indirizzo emanate a fine marzo affrontano cin-que aree prioritarie per lo sviluppo dei servizi di salutementale in Italia: dipartimenti di salute mentale; infanzia eadolescenza; carcere e ospedali psichiatrico-giudiziari(Opg); multiculturalità; formazione e ricerca. In alcuni casi,vengono trattate in modo innovativo e più organico que-stioni da tempo taciute (l’impatto del disagio mentale sul-l’infanzia e l’adolescenza, la definizione di diagnosi e tera-pie in un contesto ormai multiculturale); inoltre per fortu-na, riguardo a un tema delicato (carcere e Opg), ci si trova

ono state presentate a Roma, a fine marzo, le “Linee di indirizzo nazionali per la salutementale”. A trent’anni dall’approvazione (avvenuta il 13 maggio 1978) della legge 180 (piùfamosa come legge Basaglia) e dall’istituzione del Servizio sanitario nazionale (con la leg-ge 833), che garantiva anche ai malati di mente le cure al pari degli altri malati, è dunquestato emanato un documento importante, che segue, a poco meno di dieci anni, il Pro-getto obiettivo nazionale (Pon) “Tutela della salute mentale 1998-2000”.

Il nuovo documento tratteggia molto bene l’attuale situazione della salute mentale inItalia; vi sono evidenziate buona parte delle innumerevoli differenze di organizzazione e gestione checaratterizzano, nel paese, i servizi preposti alle cure, che pure dovrebbero avere nel Pon l’unico riferi-mento normativo. Allo stesso Pon doveva seguire la promulgazione, da parte delle regioni, di Proget-ti obiettivo regionali (Por) per la salute mentale; ma non tutte hanno assolto l’impegno, e tra quelli rea-lizzati le differenze risultano forti. Le Linee di indirizzo sollecitano dunque regioni e province autono-me a provvedere in proposito; purtroppo, anche in questa occasione non sono previste sanzioni se le

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A maggio ricorre l’anniversario di una legge che ha rivoluzionato, in Italia, l’approccioculturale e terapeutico a un tema delicato.Presentate le nuove “Linee di indirizzo”nazionali in materia: ancora molto resta da fare

felicemente dinanzi a impegni molto concreti, in parte giàaffrontati nel quadro della finanziaria 2008.

Alcuni principi sono presenti in modo costante, esplici-to e trasversale nel documento, fin dalle sue prime battute;in esse si evidenzia che la validità etica e l’efficacia dell’e-sperienza italiana di questi trent’anni ha avuto un ricono-scimento implicito all’interno di recenti documenti inter-nazionali. Tra gli altri principi, le Linee di indirizzo ribadi-scono la centralità della persona nella sua interezza, affer-mando quanto sia complesso, ma insieme necessario, unapproccio integrato alla situazione del malato, che tengaconto della sua intera vita, non solo dell’aspetto sanitario.Interessante è anche l’approccio all’aspetto comunitario: leLinee di indirizzo evidenziano che la salute mentale, cosìcome la sofferenza, muta al mutare della comunità; tra lenumerose trasformazioni del contesto sociale che bisognatenere presenti per valutare il fenomeno, occorre citare la

di Cinzia Neglia

UN MONDOA PARTE

Le foto di questepagine sono

tratte dal libro“Antonello

Rotondi -Fotografie,

grafica, parole”(Volumnia

Editrice,Perugia).

Furono scattatenell’allora

manicomio“Villa Massari”

di Perugia

disagio psichico

SALUTE MENTALE, LE SFIDEA 30 ANNI DALLA BASAGLIA

S

La legge 180/1978 trae il nome dallo psichiatra italiano Franco Basaglia(Venezia 1924-1980), che promosse una radicale revisione sul tema dei manicomi, o ospedali psichiatrici, e un’altrettanto radicaleriforma dei servizi psichiatrici nel territorio. La precedente legge risaliva al 1904 ed era intitolata “Disposizione sui manicomie sugli alienati”; la nuova (“Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”)poneva invece la questione manicomialedentro l’ambito del diritto alla salute e della salute mentale, come spiegò il ministrodella sanità dell’epoca, Tina Anselmi. La riforma della legge ha interessato, negli anni successivi, oltre 100 mila personedi 201 istituzioni pubbliche (75%) e private(25%), mentre sono rimaste escluse dagli effetti della legge le circa 1.300 personeancora oggi recluse negli Ospedali psichiatricigiudiziari. La celerità inusuale con cui la leggevenne approvata (dettata dalla volontà di evitare un referendum promosso dal Partitoradicale), non permise di accompagnarne l’itercon un adeguato processo di formazione degli operatori sanitari, di predisporrealternative sociali e sanitarie, né campagneeducative dell’opinione pubblica. Ne sonoseguiti alcuni problemi, dovuti più alle carenzedi applicazione che a insufficienze del testo.

La legge segnò la fine dei manicomi,trasformati in divisioni specialistiche di ospedaligenerali. Stabilì la normalità dei trattamentivolontari e l’eccezionalità di quelli obbligatori,ponendo in primo piano l’aspetto sanitariorispetto a quello sociale; le modalità del trattamento misero al centro, inoltre, la preoccupazione per i diritti della persona, il legame con il territorio, la prevenzione(attraverso i Centri di igiene mentale). Sul piano legislativo, penale e comunicativovennero abolite alcune espressioni (“alienatodi mente”, “infermo di mente”, “stabilimentodi cura”) che condannavano il malato mentaleall’emarginazione sociale.

Una legge “rivoluzionaria”

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presenza di popolazioni immigrate di prima e seconda ge-nerazione e i mutamenti nell’uso e abuso di sostanze.

“Non vi è dubbio che negli ultimi vent’anni – afferma inproposito il documento – le trasformazioni demografiche,economiche e sociali nel nostro paese hanno mutato il vol-to delle nostre comunità e dei loro bisogni di salute (…). Difatto, i cittadini italiani sono mediamente più ricchi, istruitie sani, ma più diseguali tra loro e probabilmente più vulne-rabili alle condizioni di difficoltà, incluse le malattie e altreforme di disagio psichico”. Ma se la comunità “condiziona”la malattia, ne può condizionare anche la guarigione; il mi-nistro della salute, Livia Turco, nell’incontro di presentazio-ne delle Linee ha affermato con convinzione che la presa incarico delle persone sofferenti mentali non spetta solo aiservizi, ma deve essere attuata anche dalla comunità.

Ne consegue che sono due gli assi principali su cui arti-colare la politica della salute mentale: “Promuovere servizifinalizzati ai percorsi di ripresa e promuovere la salute men-tale nella comunità”. In effetti oggi, a trent’anni dall’appro-vazione della legge Basaglia, l’affermazione di alcuni princi-pi continua ad apparire irrinunciabile, sebbene essi vadanoattualizzati: l’attenzione alla salute mentale, che va svilup-pata all’interno della comunità; la necessità di un lavoro direte per garantire le cure; l’opportunità di approcci che nonguardino solo al singolo caso patologico, ma alla salute del-l’intera popolazione. Bisogna dunque porre attenzione alle

disuguaglianze, e analogamente importante è creare al-leanze, essere innovativi (ma attenti alla sostenibilità, nonsolo economica, di iniziative e progetti), far maturare unadimensione partecipativa e di cittadinanza attiva per tutti.

I rischi delle “leggi speciali”Centralità della persona, dimensione partecipativa, atten-zione agli ultimi: su questi principi converge, e deve ulte-riormente concretizzarsi, l’impegno delle Caritas diocesa-ne. Non si può non concordare con le Linee di indirizzo,quando ribadiscono che “è nel territorio che si creeranno osi perderanno le opportunità di salute nel prossimo decen-nio e la salute mentale ha un ruolo fondamentale in questapartita. In una società che presenta una maggiore domandadi salute mentale, l’intera collettività è chiamata a risponde-re integrando politiche per la salute, l’istruzione, il lavoro, la

tutela sociale, le pari opportunità e il con-trasto alla povertà e all’emarginazione. Lacostruzione di un nuovo welfare di co-munità non può non comprendere unapolitica di salute mentale integrata contutte le altre politiche sociali”.

Tanto è stato fatto per la salute mentale in Italia negli ul-timi trent’anni. La legge Basaglia ha rivoluzionato lo sguar-do e la cultura di un’intera società, riuscendo a ridare vita edignità a molti. Non si può tacere che spesso è stata stru-mentalizzata ideologicamente, anche in direzioni oppostea quelle che l’avevano storicamente ispirata. Ma restano, inogni caso, rilevanti questioni aperte: il reale e definitivo su-peramento degli ospedali psichiatrico-giudiziari, la rivisita-zione dei Livelli essenziali di assistenza (che, come indicatonelle Linee, dovrebbero superare la logica prestazionale,per garantire invece processi di cura), il collegamento traservizi per l’età evolutiva e servizi per l’età adulta.

In passato qualcuno ha proposto (e in alcuni ambientisi torna a farlo) di rimettere in discussione quanto sancitonon già dalla legge 180, ma dalla 833 (secondo la quale ilservizio sanitario nazionale garantisce l’universalità dellecure anche ai malati di mente), per tornare a “leggi specia-li”: se questa è l’intenzione, è importante comprendere chenegare il diritto di cura a un tipo di malati può diventare co-stume. Gradatamente, si rischia di ampliare la lista dellemalattie a cui non garantire le cure: condizione indispensa-bile per una sanità di qualità, ma rivolta solo a chi può per-mettersela. La comunità ecclesiale e la società civile do-vrebbero invece vigilare per la tutela dei diritti di tutti, a par-tire dai più deboli. Solo così si esprime la propria natura dicomunità “terapeutica”, capace di cura e guarigione.

di Delfina Licata

DISGIUNTE O COESE, CAMBIALA GEOGRAFIA DELLE FAMIGLIE

il mezzo per eludere il problema di faraccettare ai genitori un partner cristia-no. Nei primi anni Novanta i matri-moni misti erano 6 mila; nel 2005 era-no diventati 30.656, su un totale di248.969 celebrati in Italia (12,5% deltotale), mentre le coppie miste hannosuperato le 200 mila unità (erano ap-pena 58 mila nel 1991).

Integrare circuiti e politicheRestano comunque aperti moltiproblemi. Uno in particolare: la par-tenza di donne adulte spesso pro-duce in patria carenze di risorse af-fettive e di cura, soprattutto versominori e anziani. Quando i figli ven-gono affidati ad altri, si registral’interruzione parziale dei legamiaffettivi e l’insorgenza di fattori didisagio. Si sperimentano, di conse-guenza, nuovi equilibri familiari o“parafamiliari”: affidamento a pa-renti, amici o vicini; accudimentodei figli di più donne emigrate da

parte di una sola persona adulta; coabitazione conadulti, che in cambio non pagano affitti e utenze.

La questione appare ancora più paradossale, se siconsidera che molti, tra i migranti verso l’Italia, si inse-riscono nel settore dei servizi alle nostre famiglie. Biso-gnerebbe dunque costruire e rafforzare, come è statoipotizzato, circuiti integrati tra il paese di partenza equello di arrivo, per farsi carico delle esigenze sociali dientrambi. Servono interventi coordinati in materia dipolitiche migratorie e delle politiche di cooperazione al-lo sviluppo: un esempio può essere costituito dalla va-lorizzazione delle rimesse degli immigrati, per realizza-re all’estero strutture di servizio per i minori e le perso-ne che li accudiscono, da noi servizi di consulenza alledonne immigrate.

L’inserimento degli immigrati in Italia si caratterizza abbastan-za frequentemente per la presenza di nuclei famigliari disgre-gati, in cui manca l’una o l’altra figura genitoriale, così come

manca di solito l’appoggio della rete parentale, costituita da fratelli,nonni, zii, cugini. Non sono frequenti i casi di “famiglie coese”, se nondopo un periodo di separazione forzata. È invece consueto il model-lo della “famiglia transnazionale”, in cui gli adulti vivono in paesi di-versi rispetto ai figli e le relazioni vengono mantenute vive anche a di-stanza. Questa situazione fa sì che i minori si trovino a vivere una parte consistente della loro in-fanzia in famiglie di fatto smembra-te. Proprio questo è, a detta di tutti,un tema cruciale, non solo per la ri-levanza statistica del fenomeno, maanche per le sue implicazioni future.

I ricongiungimenti familiari so-no andati aumentando, in Italia, ne-gli anni Novanta e ancora più nelnuovo secolo. A fine 2006, il 52,7%degli immigrati non erano più uo-mini o donne soli, bensì personesposate; secondo una stima delDossier statistico immigrazione Ca-ritas-Migrantes, gli stranieri giunti per motivi familiari(inclusi i minori) erano 1.312.587, il 35,6% del totale (nelnord il 38,8%). Ogni anno, i ricongiungimenti familiaricoinvolgono circa 100 mila persone, in prevalenza sottoi 40 anni, circa il 40% minori.

Seppure gradatamente, viene così ridimensionatal’entità delle famiglie disgiunte. Ma le famiglie “transnazio-nali” continuano a essere molte; per esse, il rischio di esse-re emarginate dalla società ospitante è alto. A entrare in cri-si è sovente il processo identitario del minore emigrato, la-cerato tra due culture, spesso non complementari. La rot-tura nei confronti delle tradizioni d’origine porta spesso al-la rottura con la famiglia. Di ciò si ha traccia, per esempio,nel particolare fenomeno della diffusione delle convivenzedi fatto: soprattutto per i giovani e le giovani musulmane, è

Gli immigrati in Italiasono sempre piùpersone sposate.

Ma aumentano anchei figli ricongiunti,

e con loro i problemi di identità. Nel caso di

“famiglie transnazionali”, quando la donna parte,

chi rimane subiscecarenza di cure

dall’altro mondonazionale

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nazionaledisagio psichico

PERMANENZECOATTEI manicomi, perdecenni terminaledi casi sociali,non solo psichici

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sere migliorata sia in rapporto all’evoluzione inter-venuta nelle logiche e nelle dinamiche dell’impe-gno volontario, sia in relazione all’esigenza di sal-vaguardare le specificità di tale impegno, e in par-ticolare il suo carattere gratuito e spontaneo. Poi cisono le proposte di legge riferite alla riforma delCodice civile, per ciò che attiene alle associazioni efondazioni (Libro primo, Titolo secondo), passan-do anche per la riforma della cooperazione allosviluppo e delle organizzazioni non governative eper la cosiddetta “stabilizzazione” del 5 per mille: su que-sti temi l’unico concreto esito è stata l’emanazione dei de-creti attuativi della legge sull’impresa sociale (cfr IC aprile2008), oltre ad alcuni atti di indirizzo emanati dall’Agenziadelle Onlus (molto importante quello in dirittura d’arrivosulle linee guida e sugli schemi per la redazione dei bilan-ci d’esercizio degli enti non profit).

Sponsor e dintorniDi cantieri aperti, però, ne restano molti altri. Da partedelle organizzazioni rappresentative del mondo delle di-sabilità, per esempio, si è messo in luce che lo scioglimen-to anticipato delle camere ha impedito di ratificare laConvenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità,di salvare il disegno di legge delega sulla non autosuffi-cienza e di approvare quello sul riconoscimento della

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nazionalelegislazione sociale

LEGGI IN LETARGO,RIAPRIAMO I CANTIERI

guarigione e della piena cittadinanza. Senza parlare poidel numero dei “tavoli” ministeriali aperti: dalla questionedell’assistenza alla riabilitazione, dall’accertamento del-l’invalidità alla presa in carico, dal lavoro alla scuola.

Un altro tema apertissimo, su cui si è giocata ancheparte della campagna elettorale, è quello dell’immigrazio-ne. Nella scorsa legislatura è avvenuto il recepimento dialcune direttive europee del 2002 e 2003 (ricongiungi-mento familiare, permesso per “lungosoggiornanti”, de-creto sulle procedure e decreto sulle qualifiche per richie-denti asilo e rifugiati), necessario per evitare procedure diinfrazione contro l’Italia. È stata inoltre modificata la leg-ge sui comunitari e sui loro familiari extracomunitari,sempre per la necessità di adeguamento alla normativaeuropea. Anche le disposizioni relative alla presentazionedelle domande, in base ai decreti flussi, sono cambiate,

anzitutto quanto alle modalità di invio e oggi è possibilefarlo direttamente dal computer di casa, senza passare at-traverso il sistema delle poste. Sta di fatto che i tempi si so-no rivelati ancora lunghi, in quanto la verifica della do-manda è fatta sempre dagli stessi uffici delle questure, chenon riescono a fare fronte alla enorme quantità di do-mande. Ma tutto ciò (così come molti altri aspetti del pia-neta-immigrazione) deriva da una normativa inadeguata:il governo caduto a gennaio aveva tentato di superare lalegge attuale (denominata Bossi-Fini), presentando un di-segno di legge di riforma (Amato-Ferrero) che però è ca-duto sotto la ghigliottina di fine legislatura. E anchel’ampio dibattito relativo alla legge sulla cittadinanza si èarenato: si era infatti arrivati a una proposta, per manodell’onorevole ds Giancarlo Bressa, ma non si è riusciti atrovare una convergenza politica.

In sede di valutazione, va precisato che nel disegnodi legge delega Amato-Ferrero non erano previsti cam-biamenti significativi nella procedura di richiesta e rila-scio del permesso di soggiorno: rimanevano in piedi ilmeccanismo di incontro all’estero tra l’offerta e la do-manda di lavoro e la successiva procedura per il rilasciodel titolo (compresa la stipula del contratto di soggior-no). Invece un tentativo di ampliare la rigidità di questocanale era rappresentato dalla reintroduzione del siste-ma dello sponsor, su cui si erano espresse favorevol-mente associazioni ed enti che lavorano nel settore eavevano già sperimentato questo canale, previsto dallalegge 40/98 (la cosiddetta Turco-Napolitano), poi aboli-to dalla Bossi-Fini. Positive erano anche le norme, con-tenute nel disegno di legge delega del governo Prodi,tendenti ad assicurare una maggiore stabilizzazione

di Ferruccio Ferrante

forte la preoccupazione delle forze sociali – imprenditori, sindacati, terzo settore – perla sorte di molti provvedimenti legislativi dopo lo scioglimento anticipato delle Came-re della quindicesima legislatura. Il nuovo governo sarà ora chiamato a decidere qualicantieri riaprire: vedremo cosa resterà di tutto il complesso impianto di riforme gia-centi nel disciolto parlamento e riferibili al sociale, in un quadro in cui il sistema delwelfare è alla ricerca di nuovi equilibri. L’attuazione della legge quadro 328/2000, sul si-

stema dei servizi sociali, resta infatti faticosa e problematica, mentre il terzo settore invoca il supe-ramento di una logica di intervento residuale o riparatorio: andrebbe infatti immaginata una strut-tura di welfare alla quale, nel quadro di una programmazione concertata, possano concorrere siale istituzioni che i soggetti sociali come il sindacato, il terzo settore, le famiglie, i gruppi informali.

Ma quali erano le principali leggi in gestazione, sul fronte sociale, cancellate dalla brusca con-clusione della scorsa legislatura?

Resta in sospeso, innanzitutto, proprio la revisione della legge sul volontariato, che doveva es-

ÈLa fine improvvisa della legislatura ha bloccato il percorso di molte leggisociali, vanificando i passi che si stavanoabbozzando. Servizi sociali, terzo settore,disabilità, immigrazione: ora prevarrà la logica del punto e a capo?

SOGGIORNANTI,CITTADINI

Stranierial voto

per i lororappresentanti

al comunedi Roma.

Tra le normesull’immigrazione

da correggereo varare, ci sono

anche quellesull’ingresso,

la cittadinanzae il voto

amministrativo

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vo in favore dei soggiornanti da lungo periodo. Tuttiquesti elementi andrebbero ripresi e tradotti in legge

L’incentivazione di misure in favore dei lungosoggior-nanti è anche una via per favorire l’accesso alla cittadi-nanza come frutto di una volontà e di un percorso di ma-turazione personale, non solo come strumento per il su-peramento delle difficoltà legate alla lunghezza e alla tor-tuosità delle procedure amministrative. Positiva, nel dise-gno di legge sulla cittadinanza, era in questo senso so-prattutto l’intenzione di migliorare la condizione dei mi-nori stranieri nati in Italia o con almeno un genitore nato

in Italia, riducendo il termine di soggiorno necessario peravviare la richiesta di naturalizzazione.

Capitale sociale apertoWelfare, volontariato, disabilità, migrazioni: sono questio-ni da cui dipende il benessere di ogni società che aspiri adaprirsi al contributo delle sue forze civili, valorizzando co-sì tutte gli elementi positivi che derivano da una miglioree più moderna impostazione del welfare, sia in termini dicontenimento della spesa pubblica (primo effetto, impor-tante, ma non l’unico, e alla lunga non determinante), sia

in termini di creazione e accumulazione di quello che og-gi economisti e sociologi sono concordi del chiamare “ca-pitale sociale aperto” (reticoli sociali, regolati da norme direciprocità che favoriscono l’inclusività).

La parola torna ora alla politica, con l’auspicio che rie-sca perlomeno a limitare il danno oggettivo della discon-tinuità legislativa, e con la grande speranza che sia capacefinalmente di volare alto, favorendo incontri, relazioni,confronto, tutela dei diritti, in un territorio ripensato apartire dal “bene comune”, come luogo di partecipazionee di crescita di cittadinanza, più che di potere.

delle presenze e maggiori garanzie e diritti agli stranieriregolarmente soggiornanti, come quelle che prevedeva-no una maggiore durata dei permessi di soggiorno edelle misure idonee ad assicurare la continuità degli ef-fetti del soggiorno regolare nelle more della proceduradi rinnovo, utili anche al fine di evitare di intasare con-tinuamente gli uffici per evadere le richieste di rinnovoo conversione dei titoli di soggiorno. E ulteriori normedi segno positivo erano quelle volte a favorire l’accessoal lavoro nella pubblica amministrazione anche ai noncittadini, nonché quella sul diritto di voto amministrati-

In parlamento giacciono quattro distinti progetti diriforma della legge quadro sul volontariato (266dell’11 agosto 1991), frutto di un processo di revi-sione generale di tutta la normativa che riguarda ilterzo settore, iniziato circa dieci anni fa. I testi pre-

sentati recepiscono in parte anche il dibattito che ha inte-ressato e animato le organizzazioni di volontariato(l’ultima occasione, nell’aprile 2007, è stata la quinta Con-ferenza nazionale del volontariato, svoltasi a Napoli), oltreche la composizione di alcuni dissidi storici fra le organiz-zazioni di volontariato e le fondazioni bancarie riguardoall’interpretazione dell’articolo 15 della legge 266.

Il 12 luglio 2007 presso la commissione Affari socialidella Camera è stato costituito un comitato ristretto peraddivenire a un testo unificato, partendo da quelli deposi-tati; al Senato, invece, dei due progetti presentati solo ilprimo è stato assegnato (il 20 giugno 2007) alla commis-sione permanente Affari costituzionali, ma non è statoancora discusso. Risulta dunque assai complesso dare ungiudizio sulle proposte giacenti in parlamento, e più in ge-nerale sulle prospettive di riforma.

Sembra però opportuno ribadire alcuni principi. Anzi-tutto, occorre riflettere sulla figura e sul ruolo del volonta-rio: gratuità, spontaneità e personalità della prestazione,assicurazione obbligatoria, rimborso delle spese vive (con

esclusione dalla base imponibile ai fini Irpef) dovrebberoessere gli elementi distintivi dell’azione volontaria rispet-to a un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo chesia. Nei testi vi sono alcune previsioni condivisibili, riguar-do al tema delle dirigenze nazionali (collocamento inaspettativa non retribuita, per la durata del mandato; pos-sibilità di percepire un compenso dall’organizzazione peril compito svolto).

Il volontariato va inteso poi come azione collettiva enon individuale: tale principio, insieme alla democraticitàdegli organi di governo e alla gratuità delle cariche, va ul-teriormente rafforzato, prevedendo tutti gli strumenti ditrasparenza e rendicontazione sociale ed economica cherisultano indispensabili. Sarebbe inoltre interessanteestendere agli enti ecclesiastici civilisticamente ricono-sciuti la possibilità di costituire un “ramo di organizzazio-ne di volontariato”; essi, pur non avendo sempre unastruttura interna democratica, devono poter vedere rico-nosciuta, da un punto di vista civilistico, la possibilità chesi prestino azioni volontarie al loro interno.

Accreditare la filieraLa riforma della legge dovrebbe prevedere, tra le altrecose, anche l’estensione della definizione di organizza-zione di volontariato agli enti di coordinamento e alle

associazioni di organizza-zioni di volontariato, non-ché l’istituzione di un re-gistro nazionale delle me-desime (evitando la dupli-cazione di registrazionilocali per le diverse sedi eper gli organismi regiona-li-provinciali). Ciò inte-ressa particolarmente Ca-ritas Italiana: sarebbe in-teressante prevedere unsuo riconoscimento (con alcune riserve per ciò che at-tiene agli adempimenti civilistici in tema di bilanci), inmodo da accreditare di conseguenza l’intera filiera del-le Caritas diocesane e locali (sulla base della positivaesperienza del Servizio civile nazionale).

Tra le altre questioni di cui la riforma dovrebbe farsicarico, vi sono l’estensione dei benefici fiscali (con parti-colare riferimento alla riduzione dei tributi locali e un ag-giornamento di quanto previsto all’articolo 8 della legge266, riguardo alla definizione di “attività produttive margi-nali”); il miglioramento della rappresentatività (includen-do anche i coordinamenti nazionali) e il rafforzamentodel ruolo dell’Osservatorio nazionale del volontariato (di

promozione da una parte, di authority dall’altra); il rece-pimento dell’accordo del 5 ottobre 2005 fra Acri (l’organodi rappresentanza collettiva delle casse di risparmio e del-le fondazioni bancarie) e Forum del terzo settore, com-pletando (senza riscriverlo integralmente) l’articolo 15della legge 266, in vista di una riformulazione dei compitidei Centri di servizi per il volontariato e dell’istituzione diComitati di gestione, di natura privatistica, composti damembri provenienti dalle organizzazioni di volontariato,dalle istituzioni locali e dalle fondazioni bancarie, chia-mati ad amministrare – sulla base di compiti e modalitàpuntualmente individuate – il fondo speciale costituitodai flussi ex articolo 15.

Gratuito, spontaneo, collettivo:il volontariato vuole riformarsiQuattro progetti di revisione della legge 266. La necessità di dare sbocchiparlamentari al dibattito tra le organizzazioni. Ecco gli obiettivi da centraredi Paolo Nicoletti

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nazionalelegislazione sociale

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RUOLODI SERVIZIO

Volontarie allamensa Caritas

di Pitigliano (Gr):la riforma della

266 devericonoscere

gratuità,spontaneità

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panoramacaritas

HOMELESSL’Europarlamento:vita da senza casa,stop entro il 2015Una data e una decisionestoriche. Giovedì 10 aprile il Parlamento europeo ha approvato la dichiarazione(0111/20007), promossanello scorso dicembre da cinque europarlamentariappartenenti ad altrettantigruppi politici, sulla Endingstreet homelesness. Si tratta di un documento che impegnala Commissione europea e gli stati membri a porre fine,entro il 2015, alla streethomelessness, ovvero la condizione che costringedecine di migliaia di persone,in Europa e in Italia, a vivereper strada senza concretealternative di inclusionesociale. La dichiarazione è stata sostenuta sin da gennaioda Feantsa (la Federazioneeuropea degli organismi che si occupano di persone senzadimora) e in Italia da Fio.psd,l’analoga federazione italiana,cui aderiscono 70organizzazioni pubbliche e private, oltre che da CaritasItaliana, che ha inviato a tuttigli europarlamentari italiani una lettera che li invitava a sottoscrivere la dichiarazione.Alla fine, il documento è statofirmato da 438 parlamentari,una larga maggioranzatrasversale nell’emiciclo di Strasburgo: il documentosottolinea che l’accesso

a un alloggio dignitoso “è unodei diritti umani fondamentali”ed è il primo passo verso“soluzioni abitative decorose e durature” per coloro che vivonoin condizioni di emarginazionee in estrema povertà. Osservainoltre che, proprio a causadella mancanza di alloggid’emergenza e di insufficientiservizi, ogni inverno “moltepersone muoiono di freddo in tutta Europa” e invita dunquegli stati a definire “piani invernalid’emergenza”, ma nel quadrodi “un’ampia strategiaglobale”. Il Parlamento di Strasburgo, infine, sollecitala Commissione di Bruxelles a elaborare una “definizione-quadro europea per i senzatetto”e a raccogliere dati statistici“comparabili e affidabili”,nonché a fornire aggiornamentiannuali sulle azioni intrapresee sui progressi fatti negli statimembri al fine di risolvereil problema dei senzatetto.La dichiarazione di Strasburgodimostra che il superamentodella grave emarginazioneadulta è possibile: può portarela politica europea, e di conseguenza quellenazionali, a occuparsi di un fenomeno solitamenteinvisibile, attivando misurecome un Piano organico di lotta alla povertàe il Fondo nazionale control’estrema povertà, che avrebbedovuto essere inserito,ma non lo è stato, nella Finanziaria 2008.

La stagione dell’impegnoe l’autunno del manicomioIl 13 maggio 1978 veniva approvata dal parlamento italianola legge 180, nota come legge Basaglia (vedi articoli alle pagine 14-16). La nuova normativa fu subito al centrodell’attenzione di Caritas, a livello nazionale e in relazionealle sue ricadute territoriali. Italia Caritas, nel settembre1978, nella rubrica “Un problema al mese”, presentòle novità della legge rispetto alle precedenti disposizioni,sintetizzandole in quattro punti: gli edifici manicomiali,le modalità di ricovero, le modalità di intervento e cura,i riflessi legislativi e penali. Commentando la legge,don Giuseppe Pasini, direttore di Caritas Italiana dal 1986al 1996, affermò che occorreva impegnarsi nelle comunitàcristiane per eliminare alcuni equivoci, indicati dallo stessoBasaglia: quello secondo cui eliminando gli ospedalipsichiatrici si eliminavano le malattie mentali e quellisecondo cui, approvata la legge, la riforma sarebbe stata da ritenersi completata e scomparisse l’emarginazione dei malati di mente. Pasini, rimandando alle conclusioni di un convegno (“I cristiani e i malati di mente”, svoltosi a Parma), ricordò che la legge apriva a un impegno nuovo, in favore della lotta allo stigma, la prevenzione e la cura, la formazione di operatori e volontari, i modelli di cura.

Nel decennio successivo sono fiorite molte cooperativesociali e associazioni di volontariato e di familiari impegnatenel settore della salute mentale; tante hanno avuto originenelle parrocchie e nelle diocesi, esprimendo un’attenzioneparticolare a malati e famiglie. Di questo impegno,consistenti tracce si rinvengono nelle indagini della Consultadelle opere socio-assistenziali relative agli anni Ottanta e Novanta, poi in un seminario promosso da Caritas Italiananel 1996 a Roma (“Malattia psichica, famiglia e territorio”).Dal 2001, la risorgente messa in discussione della 180,latente in alcuni ambienti politici e culturali, ha portatoCaritas Italiana a un lavoro di coordinamento e di promozione di buone prassi, anche grazie alla risorsadei fondi otto per mille, con un’attenzione particolare alle nuove forme di malattia mentale, legate a depressione,attacchi di panico e disturbi alimentari, ma anche all’etàadolescenziale o al fenomeno migratorio (cfr. IC 2/2004).

La speranza è non dover ripetere le parole che MarioTobino, scrittore e psichiatra, ha usato a conclusione del noto romanzo Le libere donne di Magliano: “È venuto di nuovo l’autunno. Dalla finestra si odono per il ventofrusciare i rami. Già è notte presto. Il manicomio, senza la distrazione dell’estate, torna evidente, vivo, mio dominatore”. Giancarlo Perego

ARCHIVIUMdei Caaf Cisl, delle Caritasdiocesane e degli organismisoci Fio.psd, perché lavorinocon i destinatariper condurli alla fruizione del beneficio e producanostrumenti informativi dadiffondere tra i potenziali fruitorie gli operatori dei servizi.

IMMIGRAZIONEItalia-Germania,integrazionea confronto

Unadocumentatacomparazionesui caratteridellaimmigrazionein Germania

(di cui sono stati protagonisti,negli scorsi decenni, anchemolti nostri connazionali)e in Italia. Un testo che si sofferma, oltre che sugli aspetti quantitativi, sulle questioni qualitative, sulle esperienze e sulle storiedi vita di tanti migranti, sulledinamiche e sulle prospettivedei processi di integrazione.Lo studio Da immigratoa cittadino: esperienzein Germania e in Italia.Integrazione degli immigrati,delle loro famiglie e dei giovani.Realizzato dall’ambasciatadi Germania in Italia e dallaredazione del Dossier statisticoCaritas-Migrantes, edito da cooperativa Idos, il libro è stato presentato giovedì 17 aprile a villa Borghese, a Roma. È pubblicato in occasione dell’Anno europeodel dialogo interculturale, comecontributo alla conoscenza di una società sempre piùplurale e multiculturale.

FISCOBonus incapienti,sperimentazioneper i senza redditi

L’articolo 4 del decreto legge159, varato nello scorsoautunno dal governo Prodi, ha previsto, in favore deicontribuenti a basso reddito(“incapienti”), una detrazionefiscale pari a 150 euro, qualerimborso fiscale da attribuireai soggetti passivi dell’Irpef, la cui imposta netta dovuta per l’anno 2006 sia risultatapari a zero. Vi sono però dueparadossi. Anzitutto le personein stato di emarginazionesociale, per esempio i senzadimora, sono per così dire“acapienti”, non percependoredditi: in quanto non rientrantinella categoria dei contribuentia basso reddito, potrebberonon beneficiare della misura.Il secondo paradosso risiedein una rilevante barrierad’accesso: con moltaprobabilità, un numero elevatodi soggetti socialmente debolie dotati di scarsa confidenzacon le istituzioni e le procedureburocratico-amministrativesaranno obbligati, in quantoprivi del sostituto d’imposta,a compilare il modello per richiedere il rimborsoforfettario. Caritas Italiana,Fio.psd e i Caaf della Cislhanno dunque stilato unprogetto sperimentale: in alcuniterritori campione (sono stateindividuate 14 città) intendonosviluppare buone praticheper l’accompagnamentodei potenziali beneficiariin difficoltà, da estenderein futuro all’intero territorionazionale e a una più ampiagamma di soggetti. In concreto,si tratta di formare operatori

Novità per i ricongiungimentiSicurezza, decade il decretoMINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI: ALLARMEDELL’ANCI. È in aumento il numero di minori non accompagnati che giungono in Italia, prevalentemente dal Marocco e dall’Albania, ma anche dall’Iraq e dall’Afghanistan: dai circa 6 mila censiti nel 2002 si è passati a oltre 7.500 ragazzi, di età media di 14-15 anni, che l’anno scorso sono sbarcati nel territorio nazionale. L’allarmeè stato lanciato dall’Associazione nazionale comuni d’Italia.

RIPRENDONO LE ESPULSIONI PER GLI IRREGOLARIPROVENIENTI DAL BANGLADESH. Il ministero dell’internogiudica terminata la fase di emergenza seguita al ciclone Sidr,abbattutosi sul Bangladesh a novembre 2007. Un telegrammadel Viminale a prefetti e questori informa che è da ritenersisospesa la misura di protezione temporanea offerta ai cittadinidel paese asiatico. Chi entra in Italia (o vi si trattiene) senza documenti in regola torna passibile di espulsione.

RICONGIUNGIMENTi: NUOVA PROCEDURA ON LINE. Entrobreve anche per la richiesta del nulla osta al ricongiungimentofamiliare si potrà fare domanda via internet. Lo ha comunicatoil ministero dell’interno, che sta sviluppando il nuovo sistema.Si passerà dall’attuale modalità di invio dell’istanza, tramiteraccomandata postale, all’invio con modalità telematica.Intanto, sempre il ministero dell’interno, con circolare emessail 5 marzo 2008, ha informato gli sportelli unici che i cittadinistranieri che hanno un permesso di soggiorno per protezionesussidiaria o umanitaria possono richiedere il nulla osta al ricongiungimento familiare in Italia per i propri familiari.

FONDO INTEGRAZIONE DICHIARATO ILLEGITTIMO DALLA CORTE COSTITUZIONALE. La Corte Costituzionale ha dichiarato anticostituzionale il fondo di integrazione per gli immigrati, finanziato dal ministero della solidarietàsociale con 100 milioni di euro per l’anno in corso.

DECRETO SICUREZZA NON CONVERTITO IN LEGGE.Il decreto legge 249 del 29 dicembre 2007, che ha modificatola disciplina in tema di espulsione dello straniero e di allontanamento del cittadino comunitario e dei suoifamiliari, non è stato convertito in legge. A decorrere dal 2 marzo 2008, pertanto, non sono più efficaci i provvedimenti emessi in applicazione di tale norma e adottatiper motivi di prevenzione del terrorismo e per motivi imperatividi pubblica sicurezza. Tale effetto si estende alla connessaprescrizione del divieto di reingresso e alla sanzione.

PILLOLE MIGRANTI

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contrappunto

una complicazione: mentre una vol-ta i partiti mantenevano un fondoideologico, che forniva comunqueuna griglia di interpretazione univo-ca della realtà, oggi si sono “decaffei-nati” (l’espressione è di PierantonioGraziani, fine analista politico, da po-co scomparso). Hanno cioè perdutola vocazione alla sintesi, per quantodistorta da visioni ideologiche unila-terali, e sempre di più si qualificanocome agenzie di rastrellamento set-toriale del consenso. Ne fa fede lastessa composizione di liste - arca diNoè, dove si ha cura di includere “ca-pi” di ogni specie utilizzabile: operaie imprenditori, magistrati e avvocati,luminari e precari, cattedratici e ri-cercatori, militari e obiettori. Anche il“cattolico” viene classificato comecategoria da cooptare, più che comeun valore con cui confrontarsi. Inogni caso, nulla lascia presagire chevi possano essere mutamenti nellacomposizione e nelle abitudini dellecommissioni parlamentari.

A meno che una mano irriverente non riesca a me-scolare le carte, destinando gli avvocati alla sanità, i me-dici alla giustizia, i professori al lavoro, i sindacalisti allacultura, i generali agli affari sociali e via miscelando. Oquantomeno disponendo una rotazione di assegnazio-ni temporanee, in modo da interrompere il circuito del-le solidarietà di corporazione e da spingere ognuno afarsi carico di esigenze più vaste di quelle del proprioceto di estrazione. Ne seguirebbe, forse, un recupero dicredito della politica come arte di mediazione nella pro-spettiva del bene comune. Sicuramente se ne otterreb-be, almeno, un miglioramento della comunicazione le-gislativa, perché le norme non sarebbero più pensate escritte ad uso e consumo degli addetti ai lavori.

Quando entrai in Parlamento, nel remoto 1987, rimasi colpito dalfatto che le commissioni, cioè i luoghi in cui effettivamente sisvolge l’attività legislativa, erano composte secondo un’omoge-

neità non politica, bensì professionale. Tutti i partiti, maggioranza eopposizione, avevano cura di collocare in commissione giustizia ma-gistrati e avvocati, in commissione sanità i medici, alla cultura i pro-fessori, al lavoro i sindacalisti. E così via.

Risultato: al di là delle divisioni e delle polemiche di schieramento – re-citate nel gran teatro dell’aula –, su problemi concreti, scelte pratiche e in-teressi in campo si realizzavano spontaneamente, spesso silenziosamente,convergenze e coincidenze per nullasorprendenti. In ogni ambito appli-cativo si parlava lo stesso linguaggioe si esprimevano le medesime esi-genze, legate agli ambienti di prove-nienza. E quando un consenso si eracoagulato in termini persuasivi nellafase preparatoria di una legge, eradifficile che il confronto politico po-tesse modificare il prodotto.

Il consociativismo, ossia la pro-pensione all’incontro pragmatico-parlamentare tra maggioranza e op-posizione, al quale si sono fatti risali-re molti fenomeni degenerativi della “prima repubblica”,andrebbe analizzato anche sotto il profilo del prevaleredegli interessi dei gruppi sociali sulle piattaforme alterna-tive dello scontro politico. Le quali, beninteso, continua-vano a farsi valere sulle grandi scelte di politica estera e diorientamento politico generale. Ma sulla ricostruzionedelle carriere, le procedure dei concorsi, gli organici ospe-dalieri, le spese militari e altre materie consimili tornava labonaccia della collaborazione funzionale. E a ogni cate-goria veniva data, in una logica di scambio, l’opportunitàdi costruire serenamente il nido in cui deporre le uova.

Perdita di sintesiLe cose non sono cambiate negli ultimi vent’anni. Con

UNA MANO IRRIVERENTEPER LA POLITICA “DECAFFEINATA”di Domenico Rosati

Le commissioniparlamentari, sededell’effettiva attività

legislativa, sono compostesecondo criteri di

omogeneità professionale.Così vi si proiettano

gli interessi particolari,non più mediati dai partiti.

Bisognerebbe riuscirea rimescolare le carte...

nazionale

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I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 8 41

guerre alla finestra

BURUNDI, PAESE BLOCCATOIL CONFLITTO TORNA VIOLENTO?

internazionale

di Lucia Pezzuto

primo ciclo della scuola pubblica fi-nalmente è gratuito. Molte altre pro-messe, però, sono state disattese:l’aumento del 34% dei salari dei di-pendenti statali non si è concretizzato,tanto che negli ultimi mesi si sono sus-seguiti scioperi estenuanti. I prezzihanno subìto aumenti considerevoli,l’inflazione galoppa; di servizi o lavoripubblici neanche l’ombra, nonostan-te i fondi provenienti dall’estero. In-tanto si avverte sempre più forte lapresenza straniera: la Cina costruisceopere pubbliche, inclusa la nuova resi-denza presidenziale; la biblioteca na-zionale l’ha pagata Gheddafi. Cosa ri-ceveranno in cambio?

Il Burundi corre così verso la fase4 della scala di sicurezza delle Nazio-ni Unite. Ma il governo di Bujumbu-ra (imperniato sul Cndd-Fdd, partitocomposto soprattutto da ex ribelli)altro non sembra concepire che unasoluzione di stampo dittatoriale.Quanto ai ribelli, tale Rwasa, capo

delle Fnl, unica fazione che non ha firmato gli accordi dipace ad Arusha nel 2000 ed è stata protagonista degliscontri degli ultimi anni, dalla vicina Tanzania ha ripetu-to più volte di non ambire a posti di potere, ma al benedella popolazione.

Sarà. Intanto i burundesi sono sempre più sfiducia-ti. Non credono più nemmeno alla versione etnica delconflitto: le Fnl sono hutu, come il presidente attuale, eal governo ci sono sia tutsi che hutu. Ma il paese difettadi coscienza politica diffusa, quindi è lontano da una ri-bellione di stampo popolare: mancano i mezzi, la cultu-ra, prima di tutto il pane. L’uomo comune spera solo inun po’ di pace. In un paese stabile, capace di democra-zia, diritti umani, migliori condizioni di vita. Un sognoimpossibile?

Una quarantina di parlamentari burundesi hanno scritto una lette-

ra al Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, per sol-

lecitare un’assistenza politica dell’Onu in vista delle elezioni del

2010, in modo che si svolgano in maniera libera, trasparente e democra-

tica. L’8 marzo quattro tra i firmatari si sono visti recapitare in casa alcu-

ne granate; la polizia non ha individuato autori né mandanti. Il fatto è un

piccolo saggio del clima che si respira oggi in Burundi. Il piccolo stato nel

cuore della regione africana dei Grandi Laghi è formalmente in pace, dopo decenni di sanguinosa guerracivile. Ma la violenza non si spegne.Le istituzioni, a cominciare da Assem-blea nazionale e Senato, sono blocca-te. Polizia ed esercito operano sotto ilpeso di forti strumentalizzazioni poli-tiche, e tra le loro fila ci sono molti au-tori di furti, violenze, torture, criminidi guerra e contro l’umanità del re-cente passato. L’impunità regna so-vrana, nonostante i richiami delle as-sociazioni di difesa dei diritti umani.

Il processo di smobilitazione dellemilizie irregolari e di disarmo della po-polazione civile (a detta di molti, un’azione suicida) è giuntoalla quinta fase, ma è stato congelato. Intanto nel paese sisussura di un prossimo colpo di stato. La comunità interna-zionale colleziona informazioni allarmanti, ma sembra in-tenta a vigilare solo affinché il Burundi non cada nella retedel terrorismo di matrice islamica. Se nessuna pressione po-litica esterna sarà esercitata, le tensioni potrebbero sfociarein una crisi politico-istituzionale molto grave, anticameradella ripresa della guerra, figlia, secondo i più, dell’incoeren-za dell’azione di governo, oltre che di una leadership nazio-nale debole. Il presidente della repubblica, Pierre Nkurunzi-za, prende tempo, ma il suo governo è moribondo.

Scuola gratuita, prezzi al galoppoUn merito, in realtà, al governo attuale lo si può attribuire: il

Una pesante crisi politica.Un clima di impunità.Promesse inattuate.Nel paese africano

resta aperto il fronte conuna formazione ribelle,

mentre si sussurra di colpidi stato. Urgono pressioni

esterne, per mutareun quadro esplosivo

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Il processo si è aperto a gennaio, «ma è troppo lontanodai cittadini sierraleonesi – ribadisce Jalloh, che ha pre-senziato in Olanda ad alcune fasi dell’istruttoria per contodella Jphrc –. La presenza di molti esperti e addetti ai lavo-ri non colma la lacuna di una distanza eccessiva da chi ilconflitto l’ha vissuto e ne sta ancora pagando le conse-guenze».

Padre Josè Maria Caballero, noto come padre Chema,missionario saveriano, parroco di Madina (villaggio nelnord della Sierra Leone) è un giurista. Ed è anche coordi-natore di un programma di recupero di bambini soldato aLaka, nella penisola di Freetown. In questa duplice veste è

n conflitto sanguinoso e brutale, protrattosiper dieci anni, dal 1991 al 2001. Il collassosociale ed economico del paese, una trage-dia umana (decine di migliaia di morti, rapi-menti, violenze, abusi, una generazionequasi annientata) senza precedenti. La Sier-ra Leone è stata a lungo – con i suoi bambi-

ni soldato, le mutilazioni efferate, la lotta per il controllodell’attività estrattiva dei diamanti, condotta da milizie lo-cali ma attentamente “vigilata” da centri di potere interna-zionali – l’icona dei peggiori incubi africani, al valico tra ilsecondo e il terzo millennio. Ormai il piccolo paese dell’A-

frica occidentale si è messo alle spalle il conflitto aperto.Ma un trattato di pace non basta a rimarginare le ferite: ilcammino per la giustizia e la riconciliazione è un percorsolungo e accidentato, una sfida quotidiana dall’esito sem-pre sospeso. Una prova che chiede di porre particolare at-tenzione alla ricostruzione del tessuto sociale, impegno incui è coinvolta (nella regione settentrionale, in collabora-zione con la diocesi di Makeni), anche Caritas Italiana, tra-mite il sostegno a un articolato progetto di formazione ecoinvolgimento delle comunità locali nei processi socio-politici e nelle strategie di riduzione della povertà.

La Sierra Leone ha scelto di percorrere due strade pa-

rallele per giungere a una pace non di facciata: assicurarealla giustizia internazionale i maggiori responsabili dei cri-mini commessi nel corso della guerra; capire le ragioni delconflitto ed esplorarne dinamiche e risvolti sociali e politi-ci attraverso la testimonianza di chi lo ha vissuto.

Il Trattato di pace di Lomè, firmato nel 1999, prevede-va la creazione di una Commissione verità e riconciliazio-ne (Trc), istituita nel 2002; nello stesso anno è stata inse-diata la Corte speciale per la Sierra Leone, un tribunale pe-nale chiamato a processare i maggiori responsabili dellegravi violazioni del diritto internazionale umanitario per-petrate durante il conflitto. L’adozione di entrambi gli stru-menti ha fatto del dopoguerra sierraleonese una sorta di“prima volta”, a livello mondiale: in precedenza, in seguitoa conflitti civili devastanti, era stato impiegato solo l’uno ol’altro strumento. Ma come viene valutato, dal basso, dallasocietà civile locale, questo ingente sforzo per fare dellamemoria e di una giustizia non vendicativa i pilastri di unfuturo democratico e meno incerto?

Non dimentica, vuole raccontare«La duplice strategia, fondata sulla giustizia penale e sulprocesso di riconciliazione, potrebbe essere molto utilie –afferma Benedict Jalloh, avvocato, responsabile del pro-gramma “Access to Justice” della Commissione pace, giu-stizia e diritti umani (Jphrc) della diocesi cattolica diMakeni –. Però essa è troppo lontana dalle comunità. Lagente deve invece sapere, ha diritto a essere informata». Ilriferimento è alle raccomandazioni scaturite dal lungo la-voro della Trc, poco diffuse tra la popolazione, e anche allavoro della Corte speciale, in particolare nel caso dellostorico processo contro Charles Taylor (l’ex presidente del-la confinante Liberia, da molti ritenuto mente e mandan-te del Ruf, formazione ribelle che per un decennio ha con-teso la Sierra Leone alle forze governative), che per motividi sicurezza si sta svolgendo all’Aja e non a Freetown, ca-pitale del paese e sede centrale del tribunale.

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crisi africaneinternazionale

LA FATICA DELLA PACE«UN PROCESSO NON BASTA»

VITE DI RITORNORagazzi di Makeni,uno degli “epicentri”del triste fenomenodei bambini-soldatodurante la guerra

La Sierra Leone lotta con i traumi di dieci anni di guerra. Gli strumentiallestiti in ambito nazionale e internazionale danno fruttiimportanti. «Ma bisogna diffonderlinelle comunità. Dove si incontranocarnefici e vittime»

Utesti e foto di Moira Monacelli

Il rapporto della Commissione,Taylor al cospetto della Corte

La Commissione verità e riconciliazione (Trc) è stata istituitadal governo sierraleonese nel 2002, dopo l’approvazione da parte del parlamento nel 2000. Era chiamata a registrarein modo storico e imparziale le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario perpetrate durante il conflitto, rispondere ai bisogni delle vittime, prevenire il ripetersi dei crimini. Sulla base dei fatti e delletestimonianze raccolte (con udienze trasmesse nel paese via radio, che hanno coinvolto molti protagonisti e testimonidei fatti, al cospetto di commissari nazionali e stranieri) ha redatto nel 2004 un rapporto con una serie diraccomandazioni, che però rischiano, se non adeguatamentediffuse, di non entrare nella coscienza popolare.

La Corte Speciale per la Sierra Leone è invece stataistituita nel 2002 in seguito alla firma di un accordo tra Nazioni Unite e governo sierraleonese: è dunque un tribunale “misto”, a differenza di quelli per ex Jugoslavia e Ruanda, istituiti dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ha la sede principale nella capitale della Sierra Leone,Freetown, è composta da giudici nazionali e internazionali e può esercitare la giurisdizione sia su crimini di dirittointernazionale che su alcune violazioni della legge interna. Il suo mandato prevede di perseguire i maggiori responsabiliper gravi violazioni del diritto internazionale umanitario (criminidi guerra, crimini contro l’umanità e altre gravi violazioni, tra cui il reclutamento di bambini soldato) commesse in SierraLeone dal 1996. Uno dei maggiori imputati è Charles Taylor,ex presidente della Liberia, accusato di aver pianificato,ordinato e partecipato alla perpetrazione di crimini di guerra e contro l’umanità, tra cui il reclutamento di bambini soldato.

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Vite in fuga nella foresta, Isha difende i diritti delle donne

Isha ha vissuto gli orrori della guerra, ne ha sofferto le conseguenze. Era un’adolescente, negli anni del conflitto.La guerra l’ha costretta a scappare dalla sua città, ad abbandonare casa e studi, a separarsi dalla famiglia.Ha visto uccidere i parenti e rapire dai ribelli il fratello minore,arruolato a dieci anni come bambino soldato. È sfuggita a un attacco quando aspettava un figlio: incinta di ottomesi, ha camminato per miglia e miglia attraverso le foreste, in fuga verso la confinante Guinea, dove ha avuto lo status di rifugiata. Ce l’ha fatta a mettersi in salvo. E non si è piegata a compromessi. Oggi vive una vita semplice, ma appassionata e battagliera: ha continuato gli studi, si è cercata un lavoro, è diventataattivista per i diritti umani. «Ho visto rapire, uccidere,commettere crudeltà – racconta –; ho sofferto, ma moltiin Sierra Leone hanno sofferto più di me. L’esperienza mi ha reso forte. Non posso dimenticare, ma non voglio

vivere nel passato. Sento di avere la responsabilità di aiutare la mia gente e di fare qualcosa di buono per la mia comunità. Amo la mia vita e il mio lavoro:posso raccontare ciò che ho vissuto e renderne gli altripartecipi. La gente comune, vittima, in alcuni casicostretta a commettere violenze, ha bisogno di raccontarela propria storia, condividerla. Per riconciliarsi con essa. E lasciarsela alle spalle». Isha ha fondato un’organizzazioneper la tutela dei diritti delle donne. In collaborazione con la diocesi di Makeni, sta realizzando un progetto per diffondere le raccomandazioni della Commisione veritàe riconciliazione in alcune scuole secondarie della regione.«È un processo lungo; il lavoro della Trc è molto buono,ma è necessario che ogni cittadino lo conosca e neprenda coscienza. Soprattutto bambini e giovani: dobbiamocostruire una nuova generazione, nello spirito, non solonell’età, perché quanto é accaduto non si ripeta più».

cole vendette tra vittime ed ex soldati. Poi, però, con il tem-po, con gli incontri e gli allenamenti quotidiani, siamo riu-sciti a organizzare un piccolo campionato tra squadrecomposte da ex ribelli e vittime, che hanno potuto incon-trarsi anche al di fuori del campo di gara. Dopo quattro an-ni siamo riusciti a farli conoscere più a fondo, a convivere,a perdonarsi».

La storia di Madina fa riflettere sull’importanza di pro-grammi mirati. Ma rivela anche le difficoltà proposte da unpassato di traumi tanto devastanti. Per le donne, per esem-pio, «il processo di riconciliazione è addirittura più lungo ecomplesso – spiega padre Chema –: spesso sono state vitt-me di abusi da parte dei ribelli, sfruttate, rese schiave, co-strette a prostituirsi. Le loro ferite, fisiche, psicologiche emorali, sono ancora più profonde». Il reinserimento nellavita comunitaria, in questi casi, non può che avvenire at-traverso l’acquisizione di una consapevolezza della pro-pria dignità e autonomia: a questo servono i progetti (mi-crocredito, training sulla gestione di piccole attività pro-duttive o commerciali) che puntano a garantire soprattut-to alle donne “violate” indipendenza economica, quindimaggiore considerazione e accettazione da parte deimembri della comunità.

Pur segnate profondamente dalla guerra, ci sono don-ne che ce l’hanno fatta e possono essere considerate il sim-bolo di una riconciliazione che procede, a piccoli passi,

nella quotidianità. Con il loro coraggio, insieme a molte al-tre vittime, soprattutto ex bambini soldato, non sono ri-maste sedute, hanno fatto tesoro della propria esperienza.E l’hanno trasmessa ad altri, per aiutarli, per crescere in-sieme. La giustizia e la riconciliazione sono anche un’im-presa di popolo, collettiva, oltre che il frutto di un’indivi-duazione delle responsabilità individuali. «Giuridicamen-te non sarà facile provare che Taylor ha pianificato la guer-ra ed era la mente di tante atrocità commesse – osserva pa-dre Chema –. Ma la sensazione che ho ricavato da questoprocesso è positiva: un’eventuale condanna non restituiràciò che la guerra ha tolto, ma potrà essere un punto di rife-rimento per il diritto internazionale e un monito per la co-munità internazionale».

«Il cammino della giustizia è ancora lungo – gli fa ecoBenedict Jalloh – e una riforma del sistema giudiziario ènecessaria. Ma le priorità sono chiare: prevenire la cor-ruzione, educare e formare personale preparato ad af-frontare i problemi della giustizia e della gestione dellavita pubblica». Per far questo la popolazione non può es-sere ridotta a spettatrice. Condividere, sensibilizzare,rendere consapevoli: non sono auspici astratti, ma ne-cessità concrete, per un paese che, a cominciare dallaquotidianità, deve guardare in faccia il proprio passato.Per non lasciarsene prendere in ostaggio, per riuscire adaprire la porta a un futuro migliore.

stato chiamato a testimoniare, in qualità di esperto, al pro-cesso contro Taylor. «È giusto rispondere alla necessitàdella giustizia internazionale ed è positivo che per la primavolta un ex capo di stato africano debba rispondere delleproprie azioni davanti ad una corte internazionale – os-serva –. Ma il problema è la mancanza di coinvolgimentodella maggioranza della popolazione: una questione chenon si limita a questo processo, ma che addirittura si ac-centua se si prende in considerazione l’attività della Trc».

Il contenuto delle raccomandazioni della Commissio-ne è infatti molto significativo, ma sostanzialmente igno-rato nelle comunità, soprattutto nelle aree rurali, dove in-vece potrebbe avere un grande valore, perché è nei villag-gi che ogni giorno si incontrano violentatori e violentati.Siccome i casi trattati dalla Trc sono stati pochi, rispetto aquanto è avvenuto, sarebbe essenziale dare più voce allagente comune, che non può dimenticare e vorrebbe al-meno poter raccontare. «La sensazione – avverte padreChema – è che la popolazione, esausta dopo dieci anni di

conflitto, abbia voluto cercare di dimenticare e perdonarein fretta. Ma poi, con gli anni, i traumi, gli incubi e il desi-derio di vendetta sono tornati a farsi vivi. Si respira spesso,in giro, un clima di aggressività: molte ferite sono ancoraaperte, tutti conoscono chi ha compiuto certi atti». Nonsolo senza aver subito processi e condanne, ma anchesenza nemmeno vedersene assegnata, in una sede pub-blica, la responsabilità morale e civile.

Per prevenire i rischi connessi a questa situazione, bi-sogna diffondere tra la popolazione, a livello di base, unacultura profonda della giustizia e della pace. Le raccoman-dazioni contenute nel rapporto finale della Trc sarebberomolto utili per trovare luoghi, strumenti e prassi di rico-struzione di una memoria condivisa. «Ma vanno trasmes-se alla base, interiorizzate, riportate nella vita di tutti i gior-ni – ribadisce padre Chema –; in questa prospettiva, lapriorità è sicuramente rappresentata dal lavoro con i gio-vani, tra i quali sono maggiormente diffusi i sentimenti dirabbia e frustrazione, anche perché il paese offre pocheopportunità di futuro, sul versante del lavoro e dello svi-luppo. Bisogna operare con loro, perché acquistino fiducianel domani: seguirli a scuola, educarli, ma non abbando-narli una volta terminati gli studi; offrire loro opportunitàdi impiego, anche attraverso piccoli progetti».

Torneo di riconciliazioneIl processo di riconciliazione durerà per due, tre genera-zioni. Ma la sfida si può vincere. Lo dimostrano i ragazzi diMadina, dove da quattro anni si conduce un programmadi riconciliazione basato sullo sport, rivolto a ragazzi tra i12 e i 24 anni. «L’inizio è stato difficile – ricorda padre Che-ma –, le partire di calcio diventavano l’occasione per pic-

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internazionalecrisi africane

VOLTI DI SPERANZAUn bambino di Makeni;a destra, meeting dellaCommissione pace,giustizia e diritti umanidella diocesi sierraleonese

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quale chiediamo che gli altri centri medici locali si ispirino.La sua organizzazione ed efficienza è un esempio di cosasignifichi operare in una zona di guerra con scarse risorse».

L’Unicef fornisce medicinali e alcune attrezzature allaclinica, per migliorarne i servizi. Grazie al supporto tecnicodell’ong inglese Merlin, il dispensario offre invece un tratta-mento specializzato a chi ha contratto il Kala-azar (nomeindiano della leishmaniosi viscerale, malattia in forte diffu-sione). Baidoa, che recentemente ha subìto una grave sic-cità e il colera, è una delle città più colpite da quasi vent’an-ni di guerra civile. La speranza di Caritas Somalia è che il la-voro che vi svolge sia anche la dimostrazione di un dialogopraticabile. Nel 2006, quando il dispensario fu aperto, sem-brava impossibile per un’organizzazione cattolica lavorarein un clima così pesante, segnato da anni di violenze, in cui

la gente non era solita interagirecon gli estranei e dove qualunquepresenza religiosa non musulma-na era potenzialmente vista consospetto. Due anni dopo, più di 70mila persone hanno beneficiato diservizi e medicine (gratuiti) delcentro. Esso ha ottenuto il rispettodelle autorità, civili e religiose, edella popolazione locale, che loconsiderano come proprio, un do-no di Allah per salvare le loro vite.

Maalin Nuno Abdulrahaman,imam della vicina moschea al-Ridhwan, definisce Caritas«un vicino utile e pacifico. Non so come sarebbe stata la no-stra vita senza Caritas, molte persone sarebbero morte. Lamia stessa famiglia ha fatto ricorso alle cure del centro: il ri-spetto di cui gode si capisce dalle distanze che la gente per-corre per raggiungerlo. I nostri fratelli cristiani si sono ri-cordati di noi nel tempo del bisogno: ne siamo colpiti».

In Somalia, nonostante la guerra e il collasso delle strut-ture istituzionali e amministrative del paese, la rete Caritasnon ha mai smesso di essere presente. Caritas Somalia hasempre operato, direttamente o attraverso partner, all’in-terno o dalla base di Nairobi, in Kenya. Oggi nel paese (adHargeisa, in Somaliland, a nord, e a Gedo, nel sud) agisco-no anche le Caritas di Svizzera, Lussemburgo e Irlanda.

Lavorare con e per i somali musulmani, dunque, non èimpossibile. È un “dialogo in azione”, grazie al quale cri-stiani e fedeli di religioni differenti collaborano per lo svi-luppo integrale delle persone. «In questo spirito – incalza

CHI PRIMO ARRIVAOspite alle porte del dispensario Caritas a Baidoa. Per ricevere cure molti vengonoda lontano, camminando nella notte. A destra, cure all’interno dell’ambulatorio

FOLLA AL CANCELLO,IL DISPENSARIODIALOGA

testi e foto di David Omwoyo traduzione di Michela Bempensato e Sabrina Montanarella

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internazionalesomalia

Sono le 4 di mattina a Baidoa, la città del sud delpaese dove è insediato, protetto dai militari etio-pi, il governo federale di transizione della Soma-lia. Di notte vige il coprifuoco, instabilità e sicu-rezza restano problemi quotidiani. Eppure neipressi della moschea al-Ridhwan, periferia dellacittà, una gran folla si è assiepata a un cancello.

Benvenuti al dispensario medico di Caritas Somalia,una struttura di cui un anno fa scrissero molti media in-ternazionali, quando papa Benedetto XVI le donò, attra-verso il Pontificio consiglio Cor Unum, le offerte raccoltedurante la messa del Giovedì Santo, celebrata nella basili-ca di San Giovanni in Laterano: l’equivalente di 19 miladollari, grazie ai quali sono stati visitati e curati 8.586 pa-zienti, dei quali 2.362 bambini sotto i cinque anni. In ge-nerale, la struttura ambulatorialefornisce assistenza a oltre 4 milapazienti al mese, con punte di ol-tre 170 al giorno.

Molti di quelli che stanno alcancello hanno viaggiato per pa-recchi chilometri, anche 75, altrivivono in campi improvvisati cheaccolgono i fuggitivi dal conflittoche è tornato a insanguinare la ca-pitale Mogadiscio. Con tanti pa-zienti, l’accoglienza funziona se-condo un principio semplice e im-parziale: il primo che arriva è il primo a essere servito, sen-za distinzione di provenienza, tribù, ceto sociale. Le perso-ne si mettono in coda molto presto e dormono sotto le tet-toie costruite da Caritas; sfortunatamente, a volte sono co-sì tanti che ad alcuni non resta che tornare il giorno dopo.

Un vicino pacificoUno staff ben preparato, gentile e attento, e servizi gratuiti,a cominciare dalle cure ambulatoriali, sono i punti di forzadel dispensario Caritas di Baidoa. «Siamo felici che il papaabbia ricordato il popolo somalo, è un segno di amore e so-lidarietà per una delle chiese più piccole e fragili al mondo,al servizio di una delle popolazioni più povere sulla terra»,afferma Davide Bernocchi, lombardo, già operatore di Ca-ritas Italiana e da tre anni direttore di Caritas Somalia. Ladonazione è servita a consolidare una struttura sanitariache, secondo Grace Kyeyune, responsabile dell’ufficio Uni-cef per la Somalia centrale e meridionale, «è un modello al

L’anno scorsoricevette dal papale offertedella messadel Giovedì Santo.Oggi la strutturamedica di Caritas Somalia,a Baidoa, assistepiù di quattromilamalati al mese. E collabora con le realtàmusulmane del territorio

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internazionalecasa comune

IL CLIMA CI MINACCIAE L’ANALISI CAMBIA PASSO

suna grande novità, per chi da temposegue la questione, ma un cambio dipasso nell’analisi e una visione piùampia, da parte dei vertici Ue.

I compiti a casaIl testo spiega che l’Africa è uno deicontinenti più esposti. Nel nord enel Sahel la crescente siccità el’eccessivo sfruttamento dei terreniporterebbero al degrado del suolo ea una riduzione delle superfici colti-vabili, con lo spettro della fame. Ildelta del Nilo potrebbe cambiarevolto a causa dell’innalzamento dellivello del mare e dalla salinizzazio-ne delle aree agricole. Corno d’Africae Africa australe sarebbero esposti asiccità e conflitti.

Sottolineature altrettanto allar-manti per il Medio Oriente. In Tur-chia, Iraq, Siria, Arabia, Palestina eIsraele “si registreranno cali idrici si-gnificativi, con ripercussioni sullastabilità di una regione d’importanza

strategica fondamentale per l’Europa”. La situazione nonappare meno grave per il resto dell’Asia e in America La-tina: “I paesi dei Caraibi e del golfo del Messico sono sem-pre più colpiti da forti uragani. La situazione si esacer-berà con i cambiamenti climatici e sfocerà in tensioni so-ciali e politiche in una regione in cui spesso le strutture digovernance sono deboli”.

Solana ha invitato l’Ue a intraprendere azioni risolu-te in molteplici direzioni: sviluppo della ricerca, raffor-zamento delle relazioni politiche e della cooperazioneinternazionale, predisposizione di strumenti di rispostarapida contro le catastrofi naturali (dentro e fuori i con-fini dell’Unione), esame costante della “tensione migra-toria supplementare provocata da cause ambientali”. Icompiti a casa, per l’Ue a 27, certo non mancano.

moltiplicatori di minacce, che acui-scono tensioni e instabilità esisten-ti. La sfida fondamentale consistenel fatto che essi rischiano di so-praffare stati e regioni già fragili edesposti a conflitti». I pericoli all’oriz-zonte non sono solo di natura uma-nitaria (fame, migrazioni, malattie),«ma comprendono rischi politici eper la sicurezza che riguardano di-rettamente gli interessi europei».

È persino ovvio che in un conses-so comunitario si dibatta di interessieuropei: ma mentre l’Ue appare de-cisa a serrare i ranghi per il dopo-Kyoto e in vista dellaConferenza di Copenaghen (sul clima) del 2009, cambia laprospettiva di analisi. Solana specifica: l’Unione europea«si trova in una posizione unica per rispondere agli im-patti dei mutamenti del clima sulla sicurezza internazio-nale, dati il suo ruolo guida nello sviluppo, la politica glo-bale sul clima e l’ampia gamma di mezzi di cui dispone».

Ghiacciai che si sciolgono, deserti che si espandono,inondazioni e siccità che avanzano parallele: spettri lonta-ni, che però in poco tempo potrebbero generare gravi rica-dute sul Vecchio continente e i suoi cittadini. Il documento-Solana fa l’elenco delle “minacce”: instabilità economiche esociali; conflitti per le risorse; nuove e disperate pressionimigratorie; tensioni per l’approvvigionamento idrico edenergetico; città e regioni costiere invase dalle acque... Nes-

Presentato ai leader Ue un documento sui rischi

dei cambiamenticlimatici globali. Nientedi nuovo per chi conosce

la materia. Ma finalmenteuna visione, che indicaanche cosa c’è da fare in termini di ricerca

e cooperazione

di Gianni Borsa inviato agenzia Sir a Bruxelles

Icambiamenti climatici irrompono nelle sedi comunitarie. E final-

mente i Ventisette interrogano il futuro, alzando lo sguardo dal pro-

prio ombelico. È già un risultato. Durante il Consiglio europeo di

metà marzo, convocato a Bruxelles per parlare di ambiente, energia ed

economia, l’Alto rappresentante della politica estera, Javier Solana, ha il-

lustrato un documento, redatto da esperti, intitolato “Cambiamenti cli-

matici e sicurezza internazionale”. «I cambiamenti climatici – ha spiega-

to Solana ai capi di stato e di governo Ue – possono essere considerati

Bernocchi – cerchiamo ogni cooperazione possibile conaltre organizzazioni religiose, per testimoniare insieme checredere in Dio vuol dire agire per ridurre povertà e soffe-renza, nel rispetto assoluto della dignità umana». Così, peresempio, è nata la cooperazione con l’ong Islamic Relief,«dimostratasi significativa ed efficace quando centinaia dimigliaia di persone sono fuggite dalle violenze di Mogadi-scio, a partire da marzo 2007, cercando rifugio nella perife-ria rurale della capitale, soprattutto nel distretto di Afgoye».

Sopra le differenzeIslamic Relief era tra i pochi soggetti operanti in quel terri-torio; la collaborazione ha coinvolto anche Cafod (Caritasinglese e del Galles) e l’ong britannica Christian Aid. Anchesecondo Shihab Babiker, direttore di Islamic Relief Somalia,il lavoro comune è un esempio di “dialogo delle opere”.L’appoggio ricevuto da Caritas Somalia e Cafod ha contri-buito ad aiutare, per diversi mesi, 1.080 famiglie sfollate acausa delle violenze di Mogadiscio, che vivevano in condi-zioni drammatiche, sotto ripari improvvisati, lungo la stra-da per Afgoye. «Quando organizzazioni cristiane e musul-mane cooperano in nome di Dio, la dignità della persona èposta al di sopra delle differenze», commenta Shihab.

E la collaborazione continua, perché l’emergenza per-mane. «Noi attribuiamo a questa attività – osserva Bernoc-chi – un valore supplementare: crediamo che la coopera-zione tra un’organizzazione islamica e una cristiana sia unmessaggio importante di dialogo e di pace, in particolarenell’ambiente somalo, così segnato dall’animosità tra di-verse identità, ma in generale nel più ampio contesto in-ternazionale. E non dimentichiamo che il nostro staff loca-le è interamente costituito da musulmani, che trovanoproprio nei loro valori religiosi una fonte di ispirazione peril servizio a favore delle persone vulnerabili. Tutto ciò mi ri-corda due versetti. Il primo del Vangelo: “Tutto ciò che ave-te fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me”. Ilsecondo del Corano: “Se Dio avesse voluto, avrebbe fatto divoi una sola comunità. Vi ha però voluto provare con quelche vi ha dato. Gareggiate in opere buone!”».

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internazionalesomalia

Hawo con la pancia gonfia,prima delle cure va nutrita

Seduta davanti al centro sanitario Caritas di Baidoa, dopo averpercorso più di 18 chilometri a piedi, Mama Habibo SaladHabibo aspetta che i suoi due bambini ricevano le cure. La maggiore, Hawo Salad, ha 2 anni e un aspetto emaciato.Le ferite sul ventre, le costole visibili, le gambe e le manimagre dimostrano che è sottoalimentata, oltre che malatagrave. «È stato suo padre – spiega Habibo indicando le ferite–. L’ha curata poggiandole sopra il ventre un ferro caldo. Ma lei non guariva: dopo quattro settimane, ho deciso di portarla qui». Tra i somali vige la tradizione di curare le malattie dello stomaco (ma anche altre) mettendo un ferrocaldo o della brace fumante sulla pancia. Hawo è affetta da leishmaniosi, malattia parassitaria diffusa dai pappataci,insetti più piccoli delle zanzare: essa colpisce principalmentebambini e giovani ed è comune in Somalia, in particolare nelle regioni di Bay e Bakool, dove causa numerosi decessi.

Nel caso di Hawo, come per molti altri di leishmaniosi, gli infermieri del centro sanitario di Baidoa devono decidere da dove cominciare: se curare prima le ferite, oppure fareiniezioni e dare medicinali contro altre malattie opportunistiche,oppure ancora somministrare integratori alimentari, perchéspesso i malati sono deboli per sopportare le cure e necessitanodi calorie. La leishmaniosi è difficile da curare, anche perché il paziente dovrebbe fare un’iniezione al giorno per trenta giorni.Per consentire la permanenza a Baidoa dei malati e dei lorocongiunti, favorendo magari la loro accoglienza da parte di unafamiglia locale (altri invece installano strutture temporanee,cosa non rara in un ambiente segnato da una cultura nomademillenaria), Caritas assegna a ciascun paziente (all’inizio, a metà e a fine cura) una “dote” di riso, olio e zucchero di foglie di té. «È il solo modo – spiega Mustafa Haji, operatoreCaritas – per assicurare un efficace servizio a persone povere,che provengono per la maggior parte da zone rurali; molti di loro maneggiano raramente denaro e vengono in città per barattare latte di cammello in cambio di ciò di cui hannobisogno». Habibo starà per un mese da sua sorella,aspettando che Sawo venga curata. Come loro, IbrahimMohammed sa che per tornare a casa, nel lontano villaggio di Goof Gaduud, dovrà aspettare. Lo potrà fare, quando sisentirà pronto a riprendere le sue responsabilità di capofamiglia.La leishmaniosi l’aveva reso quasi immobile e lui, come gli altri, ricompensa gli operatori Caritas nel solo modo che gli è possibile: pregando Dio di benedire il loro lavoro.

LUNGHE ATTESEDonne ai cancellidel dispensarioCaritas. I malatiche devonotrattenersi perle cure, spessosono accoltida famiglie locali

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I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 8 5150 I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 8

ale situazione è in flagrante contraddizione con i principali valori comu-ni dell’Unione europea e va affrontata con un’azione risoluta e credibile”.Lo stato di fatto cui questa frase si riferisce è quello, riportato dalle stati-stiche ufficiali, secondo cui, in Europa, 78 milioni di persone vivono sot-to la soglia di povertà. Nulla di nuovo, purtroppo. L’autore dell’afferma-zione però non è la Caritas, o uno dei soliti organismi militanti: sono pa-

role della Commissione europea, contenute in una proposta di decisione ufficiale in-viata al Parlamento europeo, affinché il 2010 sia dichiarato “Anno europeo della lottaalla povertà e all’esclusione sociale”. Il parlamento di Strasburgo non si è ancora pro-nunciato su quello che la Commissione di Bruxelles intende perseguire: una grandesensibilizzazione di istituzioni e cittadini in tema di lotta alla povertà. Quale che sia ilgiudizio sull’utilità effettiva degli “anni celebrativi”, questo può essere comunque letto

luppo iniquo come l’attuale possa perpetuarsi. Se la sfi-da del 2010 come Anno europeo per la lotta alla povertàverrà effettivamente colta, sarà un’occasione forse irri-petibile per indagare su scala globale le criticità del mo-dello di sviluppo occidentale, che procede secondo unaferoce legge di selezione naturale dei più forti, senzareale mediazione politica.

A essere dimenticati sono soprattutto principi mora-li fondamentali, come la destinazione universale dei be-ni, comuni alle culture dei popoli europei, ma sull’ap-plicazione pratica dei quali accade a tutti di “negoziare”sovente e senza eccessive preoccupazioni. Fare scelte disviluppo diverse sarebbe possibile ed è ampiamente di-mostrato. È una questione di volontà politica, ma nonsolo di volontà dei politici. La politica deve anzituttoriappropriarsi del suo ruolo e della legittimazione ne-cessaria per esercitarlo, ma di questo potere istituentesono titolari i cittadini e la società civile. Il tema dellalotta alla povertà e dell’inclusione sociale potrebbe

come un “evento politico”, specie nei pae-si, come in Italia, dove una strategia orga-nica e permanente di lotta alla povertà èsempre stata una chimera. La Commis-sione europea, consapevole del mancatoraggiungimento degli obiettivi di lotta al-la povertà e coesione sociale stabiliti a Li-sbona nel 2000, prende atto che “la graveemarginazione continua a causare preoccupazioni e ilnumero di persone in stato di povertà assoluta aumen-ta”. Essa stessa propone quindi di tornare con più forzasugli obiettivi di allora, confermandone la validità.

Non sarebbe poco; sarebbe soprattutto un modopotenzialmente efficace di porre in termini nuovi e piùchiari il problema dell’identità dell’Europa: è una realtàpolitica che serve davvero il bene comune dei propricittadini, o una semplice economia di scala per com-petere meglio?

Uno sforzo “dal basso”I dati dicono anche che la povertà in Europa è un feno-meno essenzialmente “stagnante”; il numero dei poverinon accenna a diminuire e le disuguaglianze continua-no a trasmettersi di generazione in generazione più omeno tra gli stessi gruppi di persone. Siamo di fronte,insomma, a un panorama di povertà “strutturale”, ovve-ro strutturalmente necessaria perché un modello di svi-

quindi divenire un grande tema chiave per chiedere“più buona politica” e affrontare le contraddizioni del-l’economia liberista.

Quanto a quest’ultima, non serve tanto ripudiarla(non è che uno strumento); occorre però ridefinirne gliscopi ultimi. È infatti la definizione di un nuovo sistemadi valori che può garantire la sostenibilità del “modellosociale europeo” e la sua possibilità di fare da esempioper la crescita delle economie mondiali emergenti. Seoggi tale modello, per quanto se ne parli, non c’è, èsenz’altro colpa dei fallimenti della politica, ma anche eforse soprattutto di tale assenza “di radici”, che ha resovani gli sforzi politici pur compiuti.

La Commissione, con l’atto di richiesta di un Annoad hoc, probabilmente non si propone un obiettivo tan-to alto, ma intende pur sempre cofinanziare nel 2010, intutta Europa, percorsi di sensibilizzazione dei governi edei cittadini sulle cause della povertà e sui mezzi chepossono permettere di rimuoverla, sperimentando ini-

ziative che guardino alla lotta allapovertà come a una condizione im-prescindibile per lo sviluppo socio-economico. Tutti sono chiamati incausa, dai governi sino alle stessepersone in condizione di povertà,sulla base del presupposto che solouno sforzo comune e complementa-re può produrre risultati.

Il solo modo per rendere tale ap-proccio effettivo è mettere in di-scussione “dal basso” i meccanismisociali ed economici che produco-no esclusione; vanno sviluppate re-ti locali ed economia civile, pratichesolidali e impegno gratuito, fiduciareciproca e senso del bene comune.Nell’epoca della dittatura del Pil,occorre ribadire, con ottica pedago-gica, che la felicità e la sicurezza di

tutti dipendono dalle possibilità di benessere concreta-mente disponibili per ciascuno, non solo da discutibiliindici di crescita.

Sulla base di queste considerazioni, Caritas Europaha deciso di partecipare in modo convinto alla sfida del2010 Anno europeo di lotta alla povertà, promuovendouna campagna di sostegno alla proposta della Com-missione e istituendo una task force sull’argomento. Sela proposta verrà accolta dal Parlamento, le Caritas,dalle parrocchie alle diocesi, dai livelli nazionali a quel-li continentali, dovranno esprimere il loro bagaglio dicultura, esperienze, valori, opere segno. Se la sfida del-la lotta alla povertà non si radicherà nei territori locali enella loro connessione con grandi reti europee (che èanche compito della Caritas promuovere e animare), il2010 rischierà di diventare l’ennesima operazione di fi-lantropico marketing sociale, magari molto visibile, masostanzialmente inutile. È esattamente ciò che Caritasvuole evitare.

internazionale

di Paolo Pezzana

welfare europeo

‘‘T

EUROPA 2010, È TEMPODI BATTERE LA POVERTÀ

La Commissione chiede al Parlamento di indire un “Anno europeo di lotta all’esclusionesociale”. In attesa della risposta, è partita la mobilitazione della società civile. Caritascontribuisce con una campagna e una task force

CAMPAGNA, IMPEGNO“2010, Anno europeoper combattere la povertàe l’esclusione sociale.Realizziamolo!”: eccolo slogan e l’immaginedella campagna lanciatada Caritas Europa

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UNA GUERRA EVITATA,L’EX CORTILE SCEGLIE LA POLITICA

Partecipazione e reciprocità,perni del nuovo “modello sociale”Caritas Italiana contribuisce alla riflessione sull’Europa sociale del secoloventunesimo. Due documenti, per affermare principi e avanzare proposte

gli altri stati del Sud, a schierarsi deci-samente a fianco dell’Ecuador e diuna soluzione regionale del conflittoin Colombia. Così anche l’altra, e piùnuova, dottrina americana recente(attacco preventivo e guerra al terro-rismo ovunque si trovi) almeno inAmerica Latina è stata respinta.

La liberazione è la soluzioneAlla guerra colombiana, insomma,si deve trovare una soluzione lati-noamericana, che passi anzituttoper la liberazione degli ostaggi, e siadunque politica, non militare. Ma gliamericani e Uribe non l’hanno capi-to. La Colombia è intervenuta mili-tarmente in Ecuador, ha ucciso ilnumero due e l’anima politica delleFarc, Raul Reyes, ha impedito che gliemissari francesi suggellassero conla liberazione di Ingrid Betancourtl’inizio della fine della guerra civile.

Uribe non vuole che la guerra fini-sca, ma la stessa cosa pensa ancheuna parte della dirigenza delle Farc e

non è escluso che altri, nei paesi andini, traggano vantaggidall’attuale situazione. Tutto ciò, nonostante si sia rischia-to di pagare il prezzo di una grave crisi internazionale.

Ma finché non si troverà una soluzione politica ge-nerale alla questione degli ostaggi e, almeno, una treguanella selva colombiana, nessuno può stare al sicuro. Si èevitata l’ennesima “guerra sporca” sostenuta dagli ame-ricani nel continente. Ma il fatto che Uribe abbia esalta-to la faccenda come un successo militare del suo gover-no, che ha le mani sporche di sangue esattamente comela guerriglia, non lascia intravedere alcuna evoluzionepolitica positiva (cioè un tavolo di mediazione, garanti-to da governi latinoamericani importanti, Brasile, Cile eArgentina) della spinosa questione.

Lo scenario è in movimento. L’America Latina resta la regionepiù pacifica del mondo, ma la sua agenda non è delle più faci-li. Gli abbracci di Santo Domingo, al termine (per ora) della

“crisi delle Ande” non dicono cosa il futuro potrà riservare, ma spie-gano l’America Latina è su una strada irreversibile. Quella secondocui i conflitti devono restare dentro confini precisi, non servire daesca per destabilizzare l’intero continente.

Quasi due secoli dopo, insomma, la dottrina Monroe (“l’Americaagli americani”, confermata rudemente agli inizi del Novecento da unaltro presidente Usa, Theodore Roosvelt, con la politica del big stick, il “grosso bastone” necessario permettere ordine nel patio trasero, il“cortile di casa”, poi variamente inter-pretata dai successivi inquilini dellaCasa Bianca come soluzione di ogniproblema a sud del Rio Grande) sem-bra definitivamente tramontata. Laprova sta proprio nella soluzioneadottata – meglio, autoimposta – da-gli attori della “crisi delle Ande” e be-nedetta dalle grandi potenze regiona-li, Brasile e Cile in testa.

La crisi delle Ande è nata da un in-cidente di frontiera tra Colombia e Ecuador, per via dellalotta ai terroristi delle Farc. Non è un mistero che Washing-ton si fosse schierata a fianco di Bogotà, nel tentativo di-sperato di riportare agli antichi fasti la dottrina del cortiledi casa. Nella mente di George W. Bush c’era sicuramentel’idea di utilizzare il volontarismo del presidente Uribe, uo-mo forte e disperato di Bogotà, per incendiare il campo edestabilizzare Venezuela, Bolivia ed Ecuador, dove sono in-sediati presidenti e governi in attrito con Washington. Inrealtà le mire americane erano ben più audaci e spudora-te e tendevano a sfidare il ruolo di potenza regionale, or-mai riconosciuta dal mondo intero, del Brasile di Lula.

Ma è stato il Cile della signora Bachelet, con la sua po-litica estera continentale, appoggiata dall’Argentina e da-

contrappunto

La “crisi delle Ande” traEcuador e Colombia nonè sfociata in una guerra“sporca”. La soluzione

del conflitto colombianoresta lontana. Ma le

nuove potenze regionalilatinoamericane

scelgono strategiealternative a quelle Usa

di Alberto Bobbio

internazionale

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internazionalewelfare europeo

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he volto dovrà avere l’Europa sociale nel ventune-simo secolo? Esiste un convincente, uniforme, in-clusivo “modello sociale europeo”, da tramandarealle prossime generazioni? Oppure, specie dopol’allargamento a 27, l’Unione europea rischia di

tollerare, al proprio interno, fenomeni di esclusione edemarginazione che ne frenano lo sviluppo, oltre a violare idiritti essenziali di persone, famiglie e comunità? Su questedomande, e sulla volontà di raccogliere indicazioni e sug-gerimenti, in grado di arricchire una “Vision” circa ciò chedovrà essere “Europa sociale” nel ventunesimo secolo, laCommissione europea ha condotto un’ampia consulta-zione, conclusasi a febbraio, tra cittadini, organizzazionidella società civile, soggetti istituzionali.

Caritas Europa ha partecipato allaconsultazione, sollecitando le Caritas na-zionali a fornire analisi, critiche ed espe-rienze, in relazione ai due filoni di rifles-sione proposti dall’esecutivo di Bruxelles(che ha promesso di tener conto dei ma-teriali raccolti, quando elaborerà, proprionel 2008, le linee programmatiche dellepolitiche sociali per il decennio 2010-2020): l’inclusione sociale attiva delle per-sone svantaggiate e, in termini più gene-rali, la visione della realtà sociale europea.

La “quarta gamba”Caritas Italiana, attraverso il suo ServizioEuropa, ha raccolto l’invito e ha coinvoltoalcune Caritas diocesane nella stesura di due densi docu-menti (info: Servizio Europa, tel. 06.66.17.74.17), base di unprocesso di pensiero e attivazione destinato a intensificar-si man mano che si approssimerà il traguardo del 2010.

Il documento dedicato alle politiche per le personesvantaggiate ha il suo passaggio cruciale nell’affermazioneche “la strategia di inclusione attiva da sola non basta, mava letta come un primo passo molto importante verso unapiù generale strategia di partecipazione attiva, capace divalorizzare come risorse tutte le persone”: ne discende una

serie assai articolata di proposte, indirizzata alle istituzionicontinentali e nazionali, ma anche alla galassia delle rap-presentanze sociali, delle imprese sociali, delle aziende.

Il documento sulla “visione” poggia invece su un’impe-gnativa, ma innovativa affermazione di principio: “la chia-ve di volta per sorreggere l’impianto dell’Europa del XXI se-colo” può e deve essere “la relazionalità umana”. SecondoCaritas Italiana, in altre parole, pensare all’Europa socialedel futuro significa non accontentarsi dei tre pilastri(l’allocazione efficiente delle risorse tramite il mercato,l’equa ripartizione delle stesse, un equilibrio stabile cheambisce a correggere le disfunzioni sociali del mercato) del-l’attuale “modello sociale europeo”: in un mondo globaliz-

zato, segnato da dolorose forme di disagioimmateriale, da fenomeni strutturali comele migrazioni, dalla perdita della capacità digoverno dei fenomeni macroeconomici daparte delle istituzioni nazionali, esso nonriesce più ad assicurare equità, giustizia,cura, pari opportunità a tutti gli uomini.

La nuova Europa sociale, se vorrà reg-gere la sfida dei tempi, senza tradire la suaradice inclusiva e solidaristica, dovrà pog-giare anche su una “quarta gamba”: la “re-ciprocità civile, intesa come relazionalitàpositiva, comprendente le forme di coope-razione, economica e non, condizionata omeno, che ‘edificano la città’ in tutte le suedimensioni”. Grazie a questa impostazio-ne, nello scenario continentale potrà farsi

strada “la dimensione del benessere, che discende dallapossibilità di relazioni significative e di una ‘vita buona’”.

Anche in questo caso, dalla svolta in termini di princi-pio conseguono concrete proposte politiche e sette racco-mandazioni rivolte ai soggetti istituzionali, sociali ed eco-nomici del continente. Un’agenda che impegna l’Europasociale a non pensarsi in termini statici e riduttivi, e Caritasa non trascurare il panorama continentale, che sempre piùdeterminerà la qualità della vita e delle relazioni umane an-che entro gli orizzonti territoriali locali.

C

CONTINENTE INCLUSIVOMonumento e bandiere all’Europarlamento di Strasburgo

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I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 8 5554 I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 8

progetti > tutela ambientaleinternazionale

MICROPROGETTIVIETNAML’acqua va pulita e filtrataLuong Hoa è una piccola comunità di villaggio, che si trova a 52 chilometri dalla capitale Hanoi. La popolazione vive di un’agricoltura di sussistenza, che spesso non assicura il cibo quotidiano. Ma la mancanza più grave è quella di acqua potabile.L’acqua a disposizione, infatti, è fortemente inquinata da un uso dissennato di pesticidi e dai residui della guerra che ha distrutto il paese molti anni fa. Il programma prevede la bonifica delle falde, la realizzazione di un sistema di filtraggio e la costruzione di un pozzo (profondo 300 metri) e di dieci fontanelle di acqua potabile a disposizione della comunità. > Costo 4.300 euro> Causale MP 81/08 Vietnam

BOLIVIAEnergia dal sole per le microimpreseLa popolazione campesina sulle Ande sopravvive con enorme fatica. In molti villaggi le uniche strutture comunitarie sono rappresentate dalla scuola, che ospita anche corsi di formazione professionale, e dal pronto soccorso o dal dispensario. Anche nel villaggio di Tarija, in pochi metri quadri, è racchiuso il futuro della comunità. Il programmaprevede l’acquisto e l’installazione di sistemifotovoltaici per catturare energia in modo pulito e alimentare il funzionamento di laboratori e microimprese femminili, che verranno anche dotate di macchine da cucire.> Costo 4.770 euro> Causale MP 20/08 Bolivia

UGANDAVenti fattorie producono biogasLa piccola comunità di Maddu è in una zona ruraledensamente popolata da allevatori, caratterizzata da modelli di conduzione agricola in costanteevoluzione. Il programma prevede l’avvio di un’attività di trasformazione degli escrementi degli animali (in particolare mucche e maiali) in biogas e fertilizzanti. Saranno coinvolte in queste azioni ventipiccole fattorie di cinque villaggi, che produrrannoenergia rinnovabile a servizio della comunità.> Costo 4.200 euro> Causale MP 64/08 Uganda

Bolivia

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Nel 2030, in assenza di politicheadeguate, le emissioni globali di gas serra aumenteranno del 37%, un miliardo di persone in più vivrà in aree con gravicarenze idriche, le mortipremature causate dall’aumentodell’ozono quadruplicheranno.L’Osce (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppoeconomico) ha lanciato l’allarmea marzo, attraverso il suoEnvironmental outlook, che presenta questi e altri datiinquietanti. “Sempre piùchiaramente – ricordava papaBenedetto XVI nel Messaggio per la Pace dello scorso anno –emerge un nesso inscindibile tra la pace con il creato e la pacetra gli uomini”. Sono molti gli interventi che Caritas Italianasostiene nel mondo a tutela e salvaguardia del patrimonioambientale, bene comune da condividere. Eccone alcuni

Nella diocesi di Olancho è in fase di conclusione il progetto per la salvaguardia ambientale,denominato “Risorse naturali e vita: dignitàdell’uomo”. Il progetto punta a favorire il contenimento della deforestazione progressiva e indiscriminata, da anni in corso nella zona ad opera di imprese nazionali e multinazionali.Attraverso la gestione operativa del Mao(Movimento ambientalista di Olancho), che ha legami con le Caritas locali, il progetto si propone di agire su diversi piani e attraversodiverse azioni: esperienze pilota di vivaiagroforestali, riforestazione di aree,rafforzamento delle comunità per una resistenza

pacifica nonviolenta, atti legali contro gli abusi e le violazioni dei piani di conservazioneforestale. L’obiettivo generale è arrestare il saccheggio ambientale, sviluppando le capacità tecniche, organizzative e amministrative dei 54 comitati ambientalicomunitari che agiscono in 23 municipidell’area di Olancho, affinché incidano sui rispettivi territori e attivino progetti di protezione ambientale e azioni regionali di difesa dell’ambiente, per un utilizzosostenibile delle risorse naturali.> Costo 20.000 euro> Causale Honduras / Ambiente

HONDURAS

Rete di 54 comitati contro il saccheggio delle foreste

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agenda territori

VERONA

Al “Samaritano”ora l’accoglienzadiventa anche diurna

Operativa da un anno e mezzo, la casa di accoglienza “Il Samaritano”,realizzata dalla Caritas diocesana di Verona, ha ormai consolidato il primoobiettivo della sua attività, ovverol’accoglienza serale di persone senzadimora e gravemente emarginate,coinvolgendo gli ospiti nella gestionedegli spazi e nel mantenimentonell’ordine, della pulizia, del rispettodell’ambiente e degli altri. Ora, anchese in via sperimentale, è stato apertoanche il centro diurno, spaziopomeridiano che ogni giorno, dalle 16 in poi, aiuta alcuni ospiti nel percorso di “ristrutturazione” della propria vita,autentica mission della casa di accoglienza. L’area sociale pomeridianaintende rappresentare il cuore pulsantedel Samaritano: l’obiettivo è il recuperosociale delle persone, in modo chepossano crearsi una vita indipendente.Entro qualche mese sarà operativoanche uno “spazio lavoro”, tramite la costituzione di una cooperativasociale di tipo B, per realizzarecommesse di lavoro per e con gli ospiti.

ANCONA

Teatro “dalla strada”per festeggiarela “Mensa del povero”

Una rete unica tra la “Mensa del povero - Opera Padre Guido”,storica istituzione caritativa locale, che ha festeggiato i 70 anni di attività, e altre realtà che nel territorio praticano quotidianamentel’accoglienza e la solidarietà, tra cui il centro di ascolto “Giovanni Paolo II”

della Caritas diocesana di Ancona. La prospettiva di lavoro è emersa nel corso del convegno “Povertà,infanzia e immigrazione”, promosso a inizio aprile dalla facoltà di economia dell’Università Politecnicadelle Marche. Dal confronto è emersoche è ormai imprescindibile “faresistema”, anche nel campo dellerisposte che il territorio offre alla graveemarginazione, nonché alle semprepiù numerose famiglie toccate dai fenomeni di impoverimento e indebitamento. La Mensa del poverofu fondata il 4 aprile del 1938 da padre Guido Costantini; nel 2007ha accolto 1.305 persone, erogandopiù di 18mila pasti; ben il 70% degli utenti sono stranieri; il centro di ascolto Caritas, attivo da quindicianni nel capoluogo marchigiano, l’annoscorso ha invece registrato l’accessodi 974 persone, l’80% stranieri. In occasione dei festeggiamenti, la compagnia teatrale “La Strada”,formata da 17 persone senza fissadimora di Ancona, ha messo in scenala storia dei 70 anni della mensa,raccontandola anche attraverso le storie di vita degli stessi attori.

ROMA

“Festa per la pace”,occasione per aiutaregli ex bambini-soldato

Si è svolta in aprile la quarta edizionedella Festa per la Pace, organizzatadalla Caritas diocesana di Roma. Un serata di musica dal vivo e openbar ha fatto da cornice, al localeAlpheus, a momenti di sensibilizzazione,riflessione e condivisione, a favoredella smobilitazione dei bambinisoldato nella Repubblica Democraticadel Congo. La Festa della Pace 2008,

MILANO

Senza dimora: chiesto un “tavolo”,apre sportello per assistenza legale

Un tavolo sulle povertà estreme. Lo ha chiesto al comune di Milano(nel corso di una conferenzastampa, tenutasi il 18 aprile) la Commissione graveemarginazione, organismo creatoda Caritas Ambrosiana per coordinare e orientare l’attivitàdelle principali realtà cittadine

impegnate nell’aiuto ai senza dimora. La richiesta parte dalla constatazioneche gli interventi messi in campo sinora, sia da parte delle organizzazioni di volontariato, sia da parte dell’amministrazione comunale, sono insufficienti,come dimostra il fatto che, nell’inverno appena trascorso, nonostante il potenziamento del piano anti-freddo, in città sono morti assiderati duehomeless. Il tavolo dovrebbe diventare il luogo dove i soggetti pubblici e privati concertano “un sistema d’interventi territoriali capace di cogliere i bisogni, anche più nascosti”, come si legge nell’articolato documentopreparato dalla commissione. Tra gli obiettivi concreti che il tavolo dovrebbedarsi, figurano – a titolo di esempio – un reale coordinamento delle unità di strada attive in città e un piano di housing sociale esteso anche ai graviemarginati. Intanto è stato presentato un nuovo servizio per i senza dimora:l’associazione Avvocati per niente, promossa da Caritas Ambrosiana per offrire tutela legale agli svantaggiati, ha aperto in aprile uno sportello di assistenza legale gratuita per assistere i senza tetto riguardo a questionicivili, penali e amministrative. Lo sportello sarà aperto il venerdì pomeriggionella sede del Servizio di accoglienza milanese, storica struttura Caritas.

CREMONA

Dopo la prigioneuna casa per il dialogoe la riconciliazione

Luogo di dialogo, perdono e condivisione. La casa “Giovanni PaoloII – Comunità pace e riconciliazione” è stata inaugurata a inizio aprile a San Savino, frazione di Cremona, dal vescovo della città. Promossa dallaCaritas diocesana e nata dalla sinergiacon l’amministrazione penitenziaria e il magistrato di sorveglianza, ospita

detenuti idonei a usufruire di penealternative, altri in permesso (anche per incontrare i familiari) ed ex carceratiche, soli, provano a ricostruirsiun’esistenza. L’intento è offrire percorsieducativi di dialogo e riconciliazione:la casa intende promuovere, quandopossibile, anche occasioni di riparazioneo risarcimento concrete, e in ogni casopercorsi di risarcimento indiretti,attraverso servizi di utilità sociale. La nuova comunità sarà una sorta di laboratorio, ispirato a un’idea di giustiziaripartiva, anziché meramente afflittiva.

Tempo fa, leggendo la lettera di unasettantacinquenne preoccupata per il suo futuro, gli operatori della Caritasdiocesana di Cuneo rimasero colpiti dauna frase: “Aiutate me e tutti gli anziania restare a casa e a morire fra le propriecose; forse vivrò di più, sicuramentevivrò meglio”. Queste parole per moltotempo hanno interpellato le coscienze,

suscitando molte domande, sugli atteggiamenti e sullo stile dei servizi e dellestrutture dedicati agli anziani. Dalla riflessione innescata (anche) da quellalettera è emersa la necessità di operare per umanizzare il servizio e lasciarespazio a un nuovo approccio: anziché istituzionalizzare, occorre aiutare l’anzianoospite, quando e se è possibile, a tornare alla propria casa.

Da questa convinzione, e dalla volontà di promuovere una formazione del personale assistenziale, basata non solo su aspetti tecnici ma anche suiconcetti della medicina etica, è scaturito il progetto “Il frutto della vita”, attuatodalla Caritas diocesana di Cuneo, grazie al finanziamento con i fondi Cei ottoper mille. Il progetto si proponeva obiettivi molto precisi: mettere al centro la persona; migliorare la qualità della vita degli anziani, arricchendo i serviziofferti; valorizzare la presenza degli operatori; promuovere una maturazioneetico-sociale delle strutture, facendosi anche carico dei bisogni del territorio;stimolare e realizzare concrete azioni di assistenza domiciliare, con il contributodelle strutture residenziali (nella foto, una di esse) e ambulatoriali del territorio.

Sostegno a domicilioCosì, da febbraio a maggio 2007, è stata promossa una prima azione formativain chiave etica, che ha fatto registrare una buona partecipazione di operatoridelle locali strutture per anziani (circa 80 persone per incontro) e ha affrontatodiversi aspetti dell’impegno assistenziale, considerandoli dal punto di vistasociale, psicologico, medico e anche spirituale; a beneficiarne sono statioperatori, responsabili, amministratori e volontari che operano nelle residenzeper anziani del territorio. È seguita una fase di azioni concrete, messe in campoda alcune strutture residenziali e da un gruppo parrocchiale di volontariato, perstudiare e favorire un miglioramento dell’assistenza nelle strutture, ma anchepromuovere interventi di sostegno ad anziani presso il loro domicilio. A febbraio2008 un convegno ha concluso il progetto; in tale occasione si è discusso della domiciliarità; si è dato conto delle iniziative concrete di assistenza;soprattutto è stato presentato un interessante documento sui comportamentietici da diffondere tra gli operatori del settore, elaborato dai partecipanti al corso.

ottoxmille

“Il frutto della vita”, idee e azioniumanizzano i servizi agli anziani

di Gianni Romano

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agenda territori

nata grazieall’iniziativa di un gruppo di giovani volontariimpegnati nella solidarietàinternazionale,aveva lo scopo di raccogliere fondia sostegno della campagna“Lasciateci in Pace!

Siamo bambini!”, che sostiene le iniziative condotte dalla diocesi di Goma (e sostenute da CaritasRoma) per la realizzazione di centri di transito e orientamento (Cto), dove si svolgono attività di accoglienza, reinserimento sociale,assistenza sanitaria, educative,ludiche, di espressione artistica e volte al ricongiungimento familiare.

PALERMO

Nasce “Agape”,parole e immaginidella Chiesa del riscatto

Un nuovo strumentoper informare e farecultura. La Caritasdiocesana di Palermo ha datoalle stampe, allavigilia di Pasqua,il primo numero

di Agàpe, rivista bimestrale che prendeil posto del foglio Informacaritas.Il nuovo periodico si presenta assairicco di contenuti, con una veste graficamoderna, che si affida in maniera moltoforte alle immagini. “Abbiamo ritenutonecessario ripartire dall’informazione –recita l’editoriale del primo numero –(…). La Chiesa oggi, e soprattutto quella

siciliana, è tacciata di essere più unaChiesa del silenzio che dell’azione, maaccanto a una realtà, che forse stenta a intraprendere la strada coraggiosadella Verità, proclamata a chiare lettere,ve n’è un’altra, meno conosciuta:quella, pure numerosa, dei tanti padrePuglisi che ogni giorno lottano accanto

agli ultimi, per il riscatto di Palermo. La nostra rivista darà dunque maggiorespazio ai contenuti sociali (…),approfondendo tematiche vicine alla gente, ai giovani, interrogando le istituzioni, allargando gli orizzonti al mondo sempre più globalizzato e all’immigrazione verso e dal nostro

territorio”. La rivista, che nel primonumero dedica un ampio e coraggiosodossier al tema della lotta al racket,sarà impreziosita, in ogni numero, da una tavola dell’illustratrice brasilianaRaquel Rodriques Caldas, in arte Quel (nella foto, la copertina del primonumero, con l’illustrazione di Quel).

Quasi un miliardo senza cibo,non è tardi per sfamare l’umanità

Il problema“Noi, capi di stato e di governo, riaffermiamo il diritto di ogni persona ad avere accesso ad alimenti sani e nutrienti, in accordo con il diritto a un’alimentazione appropriata e con il diritto fondamentale di ogni essere umano di non soffrire la fame” (Dichiarazione universaledei Diritti dell’Uomo, 1948). A sessant’anni da quella solenne proclamazione, 854 milioni di persone soffrono la fame nel mondo. Ognianno fame e malnutrizione uccidono più di Aids,

malaria e tubercolosi messe insieme. Iniquità delle relazioni tra nord e sud del mondo, concentrazione delle proprietà terriere, potere crescentedelle multinazionali, squilibri del commercio internazionale, nuovedinamiche economiche e di coltivazione legate agli ogm, effetti dei cambiamenti climatici su suoli e risorse idriche: sono alcuni dei fattori che spiegano perché la fame continui ad attanagliare intere popolazioni.

La mobilitazioneLo sviluppo agricolo, se ben calibrato, sarebbe il fattore più potente nel ridurre la povertà (e di conseguenza la fame) su scala globale. Per questo dovrebbe assumere un ruolo centrale nel processo che mira a far raggiungere, entro il 2015, gli Obiettivi di sviluppo del millennio.Nonostante i ritardi accumulati dagli stati rispetto agli obiettivi fissati in sede Onu nel 2000, la partita non è persa. Anche se i vertiginosiaumenti dei prezzi degli ultimi mesi (la Banca mondiale ha calcolato che il costo del riso è aumentato del 75% tra febbraio e aprile e quello del grano del 120% nell’ultimo anno, mentre secondo il Fondo monetariointernazionale i prezzi dei prodotti alimentari sono cresciuti del 48% a livello globale da fine 2006) rischiano di dare vita a una crisi alimentaresenza precedenti, almeno negli ultimi due decenni.

A sostenere la necessità di moltiplicare gli sforzi sul fronte della lottaalla fame, ha contribuito nel 2007 la campagna internazionale “Make aidwork”: promossa da Caritas Internationalis e Cidse, è stata riproposta inItalia, con il titolo “Prima che sia troppo tardi”, da Caritas Italiana e Focsiv,insieme a molti altri soggetti dell’associazionismo cattolico. La campagnaha avuto termine a marzo 2008; le sigle aderenti, però, si sono impegnatea darle seguito, diffondendo nelle proprie reti e attraverso i propri strumentidi comunicazione, a cominciare dai siti internet, i materiali informativi,formativi e di analisi prodotti durante più di un anno di mobilitazione.

sto in campagna di Roberta Dragonetti

Insieme a Firenze per una “Terra Futura”, la sostenibilità chiede di tessere alleanze

Ormai ci siamo. La quintaedizione di “Terra Futura”,mostra-convegno internazionaledelle buone pratiche di sostenibilità ambientale,economica e sociale(organizzata dalla Fondazione

culturale Responsabilità Etica e da Adescoop, Acli, Arci, CaritasItaliana, Cisl, Fiera delle utopie concrete, Legambiente, BancaEtica, Consorzio Etimos, Etica Sgr e rivista Valori) si svolgerà a Firenze, alla Fortezza da Basso, da venerdì 23 a domenica25 maggio (programma a pagina 64). La manifestazione (con associazioni e realtà del non profit, imprese eticamenteorientate, enti locali e istituzioni) sarà affiancata, come è tradizione, da un ricco cartellone di iniziative culturali, ispiratedal tema “Pianeta Terra: nessun futuro senza alleanze”, conpartecipanti illustri (nella foto, Vandana Shiva all’edizione 2007).

Il documento che fa da guida alla riflessione, sottoscrittodai promotori dell’iniziativa, si intitola Alleanze per una TerraFutura. Prende le mosse dalla constatazione che “costruirealleanze nell’età della globalizzazione è qualcosa di connaturato, di identificativo della stessa globalizzazione”;alla formazione di istituzioni e processi globali deve fare dacomplemento la tessitura di reti dei cittadini e della societàcivile. Il lavoro di costruzione di alleanze va svolto anzitutto nei confronti dei governi: “Il movimento per una globalizzazioneequa e sostenibile può aiutare i governi di ogni livello – affermail documento – a trovare il coraggio di assumere politicheecologiche, economiche e sociali sostenibili, senza per forzapretendere sempre che questi stiano al suo passo o di volerstare sempre un passo oltre i governi stessi”. Rispetto

ai rapporti con il sistema economico, si afferma che appare“non più rinviabile un massiccio investimento di risorse pubblicheper riorientare complessivamente il sistema produttivo, tantodelle merci quanto dell’energia. (…) Per tutto questo occorrecostruire un ampio consenso fra gli attori decisivi dell’ambitoeconomico, le imprese e i lavoratori. Entrambi devono essereconvinti che cambiare il modello di sviluppo in senso ecologicopuò essere conveniente non solo per il pianeta e per il futuro,ma anche per ciascuno di loro e per il presente”.

Terreno di mediazioneInfine, dopo un paragrafo dedicato al “sistema dellaconoscenza”, il documento riconosce che “il tema dellealleanze mette in gioco e interpella in primo luogo il movimentoper una globalizzazione equa e sostenibile. È necessaria una maturazione politica di questo movimento, che ha avuto il merito indiscutibile (…) di aver visto con grande anticipo e lucidità (…) che la globalizzazione produce effetti che aggravano gli squilibri sociali, economici e ambientali. Ma il tempo della denuncia e della critica da posizioni di assoluta purezza è scaduto”. Porre il tema delle alleanzesignifica “chiedere a tutte le molteplici componenti del movimento di perseguire prima di tutto la definizione di strategie, obiettivi e azioni comuni, unitarie, senza per questorinunciare alle proprie plurali identità. (…) In questa logica non può esserci l’affermazione del proprio punto di vista come punto non negoziabile, o della propria agenda comequella assoluta; deve esserci, al contrario, la disponibilità a considerare il punto di vista altrui come terreno di discussione e anche di mediazione per giungere a sintesimigliori o almeno utili per un risultato finale comune”.

bacheca

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villaggio globale

e documentarista Guido Votano, che ha visitato luoghi e situazioni in diverseprovince. «Trent’anni fa la legge 180 ha posto l’Italia all’avanguardia mondialenella gestione dei servizi psichiatrici –spiega Votano –. Oggi il dibattito su quelle norme, rispetto a una realtàsociale, sanitaria e farmacologica assaimutata e disomogenea, è ancora aspro,ma limitato agli addetti ai lavori. Il nostroprogramma intende smorzare un po’di quel timore e di quella distanza».Le puntate si riascoltano in streaming,nella sezione “Gli speciali di Radio 3Scienze” del sito internet di Radio3.

CINEMA

Jimmy in Collinaper cambiare vitaoltre la prigione

È uscito a inizioaprile Jimmy dellaCollina, storia di “un percorsoche porta allalibertà”. Il film di Enrico Pau ètratto dall’ omonimolibro di Massimo

Carlotto ed è stato girato nella comunitàdi recupero “la Collina” di Serdiana,diretta da don Ettore Cannavera. Jimmy è un ragazzo di 18 anni, vive con la suafamiglia di operai (a differenza di quellodel libro) in Sardegna, a Sarroch.All’orizzonte vede stagliarsi una vita in fabbrica e il profilo delle ciminiere della petrolchimica. Ma sente rabbioso il richiamo a cambiare vita, e la suastrada comincia a incrociare il fascino del crimine. Per Jimmy si spalancano le porte del carcere minorile; poi il percorso nella comunità. Il regista sardoEnrico Pau ha confezionato una pellicolavincitrice, tra i tanti premi e concorsi, del Festival internazionale di Locarno. Il film vuole diffondere l’idea che la penanon dev’essere una pietra tombale per chi sbaglia, ma un passaggioesistenziale che può condurre fuori dalleprigioni interiori in cui spesso ci si rifugia.

MUSICA

Straniero a chi?Tredici canzonidi “nati in Italia”

Non chiamateci immigrati, non chiamateci figli di immigrati. Noisiamo nati in Italia, quindi siamo italiani come voi». L’invito, lanciato da Mohamed

RADIO

Salute mentale,viaggio di Rai3nel dopo-Basaglia

A trent’anni dall’entrata in vigore della legge 180,Radio3 Rai propone un documentario realizzato

all’interno delle strutture e dei servizi di salute mentale italiani. Trenta di 180.Viaggio nell’Italia della salute mentale,sono venti puntate speciali di Radio3scienza, andate in onda dal 24 marzo al 19 aprile, realizzate dal giornalista

Per il diciottesimo anno consecutivo il Sud delmondo si è raccontato per suggestive immagini e caldi suoni al pubblico milanese. Che cresce di anno in anno e ha affollato le sale in cui, dal 7al 13 aprile, sono stati proiettati gli oltre 100 filme video (in rappresentanza di 50 nazioni) del Festival del cinema africano, d’Asia e AmericaLatina 2008, promosso dall’ong cattolica Coe -Centro Orientamento Educativo. Cinque

le sezioni: tre riservate all’Africa, due aperte a lungometraggi di fictione documentari di Africa, Asia e America Latina. Dedicato invece ai registiitaliani che hanno trattato il fenomeno dell’immigrazione il “Fuoriconcorso”del festival. «Siamo davvero felici della risposta sempre più numerosa del pubblico, che mostra di voler conoscere, attraverso questi film, i problemi e soprattutto le risorse di paesi di cui si parla sempre troppo poco – è il bilancio degli organizzatori –. Il fatto che quest’anno il premio del pubblico sia stato assegnato a Getting home, film cinese di Zhang Yang, che fa scoprirein chiave ironica alcune contraddizioni della Cina odierna, conferma la validitàdella scelta di aver esteso il festival alle cinematografie di Asia e AmericaLatina». Il premio per il miglior film africano se lo è aggiudicato La maisonJaune, un road movie nato dal viaggio che il regista algerino Amor Hakkar ha compiuto tornando dalla Francia nella sua terra d’origine. Ora i film del festivalcircoleranno in tutto il territorio italiano; entro fine anno toccheranno 20 città,grazie alle iniziative “Travelling Africa” (promossa anche da Volontari nel mondo - Focsiv) e “Dopofestival”: Roma, Trento,Trieste, Gorizia, Pordenone,Cantù, Frascati, Genova, Milano, Catania, Castellammare di Stabia, Padova, Brescia, Benevento, Cuneo, Forlì, Lecco, Cagliari, Reggio Emilia.INFO Segreteria festival, tel. 02.66.96,258; www.festivalcinemaafricano.org

Z

Al Festival del cinema africano vince l’ironia… sulla Cina di oggi

Candido e gli amici che rendono rosa la vita«Carcerati, disabili, “pretacci”: tutto ha più senso»

a tu per tu di Danilo Angelelli

Una vita in rosa. È il romanzo popolare firmato da Candido Cannavò e pubblicato nel 2002. Il titolo è un evidente riferimento al colore delle pagine della Gazzetta dello Sport, quotidiano che Cannavò ha diretto per 19 anni, ma anche e soprattutto al suo sguardo sulla cose. Dopol’autobiografia, il decano dei giornalisti sportivi, classe 1930, si è dedicato a esplorare le realtàsociali, in una trilogia iniziata con Libertà dietro le sbarre, proseguita con E li chiamano disabilie conclusasi con i 22 ritratti di Pretacci. Storie di uomini che portano il Vangelo sul marciapiede(Rizzoli), da poco in tutte le librerie. Chissà se dopo questo viaggio nel mondo del disagio, la vita di Candido Cannavò è ancora in rosa. Glielo chiederemo…

Qual è il filo conduttore dei suoi ultimi tre libri?Il valore della persona. Lo trovi nel carcere con gente che sa ragionare, sperare. Così come tra i disabili, uomini e donne che danno lezioni di amore per la vita. In carcere ho conosciuto una ragazza africana, Melodia, che ha dato una prova di dignità rifiutando di patteggiare la propriainnocenza: le è costato tre anni di detenzione in più. Le figure raccontate in Pretacci esprimonoinvece valore, svolgendo le loro attività dove è scritto nel Vangelo: quindi per le strade, tra i poveri, gli emarginati, le prostitute.

Lei parla di Chiesa “altra” rispetto a quella dei precetti, della ritualità. Quanto è meno “altra”, oggi, questa Chiesa dei preti di strada, rispetto a ieri?

Poco meno. Io vedo ancora troppo apparato, burocrazia. Sono rimasto scioccato dal trasferimentodi monsignor Bregantini, ormai ex vescovo di Locri-Gerace, che lì aveva creato un reticolo di umanità coraggiosa, gestito dalla società civile. Credo ci sia ancora poco senso della vita in questa Chiesa che, se non esce dal suo ambito, rischia di morire.

Un denominatore comune dei sacerdoti incontrati è un momento preciso della loro vita, che conduce a una svolta…

Sì, ma i veri denominatori comuni sono altri tre: il Vangelo, al quale si rifanno sempre; don Milani,un riferimento per tutti; la felicità. Se non sei felice, non puoi fare cose come quelle che fannoloro. Io ho 77 anni e, dopo aver girato il mondo e aver avuto la fortuna di una bella carriera, sono stato con questi uomini sulla strada: ho goduto della loro felicità, diventata anche mia.

Perché questi preti, spesso schivi, hanno accettato di raccontarsi a lei?Ho avuto difficoltà con tutti all’inizio: cercavano di capire cosa volessi. Poi gli ho mandato il librosui disabili e hanno conosciuto il mio stile, la mia disponibilità spirituale, la mia voglia di raccontare prendendo per mano il lettore. Quel libro è stata la mia chiave di accesso.

I preti che lei racconta hanno davvero cambiato la realtà delle persone con cui e per cui operano?Girando per il rione Sanità, a Napoli, si capisce quanto gli abitanti contino su padre Alex Zanotelli.A Forcella, il giovane don Luigi Merola ha fatto cose coraggiosissime: quando arriva, intorno a lui si radunano frotte di ragazzini. Oggi c’è una speranza per molti, grazie a loro.

Ci siamo. Dopo Pretacci e i due libri precedenti, la vita di Candido Cannavò è più o meno in rosa?Sicuramente molto di più. Ogni volta ringrazio Dio per questi incontri, per queste amicizie. Sembra che tutto abbia più senso. Ricevere da Melodia la foto del suo bambino è stata una gioiaincredibile. E mi è rimasto addosso l’odore della santità di don Oreste Benzi. Sono sicuro che non andrà più via.

MEZZO SECOLODI GAZZETTACandido Cannavò,siciliano d’origine, ha cominciato a lavorare per laGazzetta dello Sportnel 1955. Ne èdiventato direttore nel 1983 e hatimonato la “rosea”fino al 2002. Poi si è dato alla produzioneeditoriale: dopo Unavita in rosa (2002),di ispirazioneautobiografica, ha scritto Libertàdietro le sbarre(2004), E li chiamanodisabili (2005), finoall’ultima fatica (fotosotto) Pretacci. Storiedi uomini che portanoil Vangelo sulmarciapiede (2008)

OMO

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incontri di servizio

Mohammed ha trascorso la sua infanzia in una casetta bianca con le finestre azzurre,uno di quei tipici edifici bassi del Mediterraneo, in un povero paesello nei dintornidi Hammamet, Tunisia. Suo padre, Karim, faceva il tassista per i ricchi turisti

europei, li portava dalle spiagge alla medina per qualche dinaro. Una notte Karim tornavaa casa assonnato dopo molte, forse troppe ore di lavoro. In una frazione di secondo la sua vita si squarciò contro un muretto di cemento, insieme alle lamiere del vecchio taxi.Quella notte Mohammed non riusciva a prendere sonno; disteso sul sottilissimomaterasso di tela e cotone, sentiva il freddo gelido del cemento sulla pelle. Nonostante il caldo e l’aria asfissiante, Mohammed aveva i brividi. Quando un furioso bussare svegliòtutti di colpo, Mohammed si precipitò alla porta. Il padre aveva avuto un grave incidente,era in coma, le sue condizioni erano disperate. Ma Karim era troppo battagliero. A dispetto dei medici, si riprese velocemente. Al suo risveglio, però, un’amara sorpresa: gli era stata amputata la gamba destra. Mohammed in quei giorni camminava per chilometri con l’animo gonfio di disperazione. Spesso arrivava fino ai ricchi alberghieuropei. Un giorno, seduto sulla sabbia, chiacchierava con alcuni francesi, quando arrivòun responsabile dell’albergo. Invece di mandarlo via, gli offrì un impiego presso l’hotel per 300 dinari al mese. Mohammed lavorò lì tutta l’estate, conobbe molti turisti. Uno di loro, Carlo, un italiano, lo prese in simpatia. L’uomo gli diede il suo numero, dicendo

di chiamarlo: poteva trovargli un lavoro in Italia. L’anno dopo il ragazzo gli telefonò, ma Carlo finse di non ricordare e lo liquidò sbrigativamente.Mohammed, scoraggiato, decise di prendere contatti con altre persone, personeche lo avrebbero portato in Italia, ammassato insieme ad altri mille come lui, su una lurida carretta chiamata barca. In cambio volevano soldi, molti soldi.Soldi che lui non possedeva. Mohammed sapeva che era pericoloso, che potevamorire, che avrebbero preteso qualcosa da lui, ma non aveva altra scelta…D’inverno non guadagnava più quei 300 dinari, non c’erano turisti. Ma c’eranoi suoi fratelli, e avevano fame! Poi, inaspettatamente, ricevette una lettera di Carlo. Aveva un posto per lui nella sua pizzeria. Così Mohammed partì: dalle calde spiagge di Hammamet alla pallida Milano. Il lavoro era vario: lavava i piatti, puliva in cucina, ogni tanto, quando mancava un cameriere, lo sostituiva. Intanto studiava l’italiano: voleva iscriversi a scuola e prendere un diploma. Girava sempre con un taccuino in tasca, per annotare i nuovitermini che sentiva, poi chiedeva a noi ragazzi, che lavoravamo con lui, come

si scriveva quella o quell’altra parola. Oggi Mohammed ha 25 anni e un diploma alberghiero.Parla perfettamente l’italiano. È uno dei capocamerieri del ristorante di Carlo. Suo fratelloNasser è venuto in Italia per studiare medicina: vuole laurearsi al più presto, per poiandare in Africa ad aiutare i meno fortunati. «I meno fortunati?», chiedo a Mohammed.«Sì, certo, ci sono tante persone che non hanno nulla. Noi abbiamo tutto, dobbiamoaiutare chi non ha ricevuto questi doni»: la sua risposta mi toglie le parole. Intanto Carlo,l’estate scorsa, è stato in vacanza in Kenya e ha lasciato il suo numero a una ragazza di un piccolo villaggio vicino a Mombasa. La telefonata non ha tardato ad arrivare…

L’incidente del padre. Un incontro fortuito

all’albergo. Il viaggiodella speranza. DallaTunisia, un giovane

sbarca a Milano, e comincia a prendere

appunti in pizzeria. Fino a diventarecapocameriere.

Intanto, dal Kenya…

a cura di Laura Meda volontaria in servizio civile in Australia

IL TACCUINO DI MOHAMMED,CARLO DI NUOVO AL TELEFONO

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Il Tibet tra splendori e dolori:la dura lotta per l’autonomia,un paesaggio che diventa mito

Le drammatiche notizie che filtrano attraverso le fitte maglie della censuramostrano il volto feroce del governo cinese, a pochi mesi dalle prossimeOlimpiadi (Pechino, 8-24 agosto). La brutale repressione dei movimentid’opposizione tibetani, che rivendicano il rispetto dei diritti umani e una maggiore autonomia da Pechino, ha spinto molti a usarel’espressione “genocidio culturale”, per indicare la tendenza a cancellarel’identità culturale e religiosa di un popolo, diretta conseguenzadell’occupazione avvenuta nel 1950. Da allora, ai tibetani è negato il diritto all’autodeterminazione, è stata tolta la libertà religiosa e d’espressione, mentre ogni atto di presunta “insubordinazione” è punito con la morte o con disumane torture in carcere.

Per far luce su questo scenario, significativo è il volume Tibet.Il fuoco sotto la neve di Palden Gyatso e Tsering Shakya(Sperling & Kupfer 2006, pagine 254), racconto emozionantedella vita di un monaco, sopravvissuto a 33 anni di prigionianelle carceri cinesi.

Gyatso Tenzin (Dalai Lama), La mia terra sul tetto del mondo(Sperling & Kupfer 1997, pagine 124): in questo volume la maggiore autorità spirituale tibetana, Premio Nobel per la pace 1989, con la saggezza e la serenità che emananodalla sua figura, offre un alto esempio di impegno civile

e morale, ergendosi a paladino della causa della sua gente, ma attraversouna ferma politica di non violenza. Il Dalai Lama racconta delle durecondizioni di vita dei profughi tibetani, della loro aspirazione a difendereun’identità nazionale ormai compromessa e del loro desiderio di tramandare la memoria di una civiltà che è la culla della spiritualitàbuddista. Esule in India, egli si esprime sia come monaco che obbedisceai principi di una religione fondata su valori quali la giustizia, l’uguaglianzae la compassione, sia come uomo, il cui destino è vivere sul pianetainsieme agli altri.

Agli occhi del mondo occidentale, il Tibet appare come una fortezza isolata, fuori dal tempo, arroccata dietro la catenadell’Himalaya: un paese meraviglioso, mitico, immobile, quasi oleografico. Il volume di Piero Verni, Tibet (White Star,2006, pagine 136), è illustrato da splendide fotografie

e costituisce un’efficace introduzione al paesaggio geografico e umano del Tibet, rivolta ai lettori che, al di là dei miti vecchi e nuovi, voglionorendersi conto del caleidoscopio di immagini che coesistono nella realtàquotidiana del “Paese delle nevi”.

pagine altre pagine

villaggio globale

di Francesco Dragonetti

SEGNALAZIONI

Viaggio alle originidei Focolari,i numeri dei migranti

Chiara Lubich, Igino Giordani,“Erano i tempi di guerra…”.Agli albori dell’idealedell’unità (Città Nuova 2007,pagine 228). Trento, 1943:

infuria la seconda guerra mondiale, ma in questo contesto di morte e distruzionenasce il Movimento dei Focolari,portatore di una spiritualità nuova nellavita della Chiesa. Il volume ritorna alleorigini dell’esperienza: con i contributi diChiara Lubich e Igino Giordani, vengonoripercorse le prime tappe del movimento.

Fondazione Ismu,Tredicesimo Rapporto sullemigrazioni 2007(FrancoAngeli 2008, pagine400). Al 1° gennaio 2007

gli stranieri presenti in Italia sfioravano la soglia dei quattro milioni di presenze.Analisi di una crescita costante e consistente, che porta gli immigrati a rappresentare il 5% dell'interapopolazione italiana.

Tailmoun, portavoce della rete G2 -Seconde Generazioni, è forse la presentazione più efficace del cdStraniero a chi?, realizzato da giovaniartisti di “seconda generazione”, cioè appunto figli di immigrati in Italia.L’iniziativa, presentata a fine marzo, nella Giornata mondiale contro il razzismo, è stata promossa dal ministerodella solidarietà sociale: ne è scaturitoun disco con tredici brani musicali di giovani artisti emergenti, che raccontanodi giovani che non avvertono più ledifferenze, perché l’integrazione sociale e culturale è andata molto avanti, ma spesso vengono trattati con sospetto.

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terrafuturafirenze - fortezza da basso

23-25 maggio 2008 5ª edizione ingresso libero

buone pratiche di vita, di governo e d’impresa verso un futuro equo e sostenibile

mostra-convegno internazionale

www.terrafutura.it

coltivareagire

abitare

governare

produrre

Terra Futura è un evento a “zero emissioni CO2” grazie a

Terra Futura 2008 è promossa e organizzata da Fondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus per conto del sistema Banca Etica (Banca Etica, Consorzio Etimos, Etica SGR, Rivista “Valori”) e Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c.

È realizzata in partnership con Acli, Arci, Caritas Italiana, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete, Legambiente.

In collaborazione con Regione Toscana, Provincia di Firenze, Comune di Firenze, Firenze Fiera SpA, Ufficio del Parlamento europeo per l’Italia, Rappresentanza in Italia della Commissione europea, AGICES-Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale, AIAB-Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, Alleanza per il Clima, Associazione internazionale “Cultura & Progetto Sostenibili”, Centro SIeCI-Mani Tese, CNCA-Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Coordinamento Agende 21 locali italiane, Coordinamento Nazionale Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani, CTM altromercato, Fairtrade TransFair Italia, FederBio-Federazione Italiana Agricoltura Biologica e Biodinamica, FIBA-CISL, FISAC CGIL Toscana, Istituto Italiano della Donazione, ICEA-Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale, Kyoto Club, Metadistretto Veneto della Bioedilizia, Rete di Lilliput, Rete NuovoMunicipio, WWF, Wuppertal Institut.

Con il patrocinio di AIEL-Associazione Italiana Energia dal Legno, ANAB-Associazione Nazionale Architettura Bioecologica, ANCI-Associazione Nazionale Comuni Italiani, APER-Associazione Produttori di Energia da Fonti Rinnovabili, CIA-Confederazione italiana agricoltori, Federazione Italiana dei Parchi e delle Riserve Naturali, GIFI-Gruppo Imprese Fotovoltaiche Italiane, Lega delle Autonomie Locali, Touring Club Italiano, UNCEM-Unione Nazionale Comuni Comunità Enti montani, UNDP-United Nations Development Programme, UNEP-United Nations Environment Programme, UPI-Unione delle Province d’Italia, Segretariato Sociale RAI.

L’evento gode dell’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica.

Media partner: Valori, Arcoiris Tv, Asca, Carta, Ecoradio, IPS-Inter Press Service, La Nuova Ecologia, Redattore Sociale, Unimondo, Vita-non profit magazine.

Relazioni istituzionali e Programmazione culturaleFondazione Culturale Responsabilità Etica

Piazza dei Ciompi, 11 - 50122 FirenzeTel. +39 049/8771121 - Fax +39 049/8771199 [email protected]

Organizzazione eventoADESCOOP-Agenzia dell’Economia Sociale s.c.Via Boscovich, 12 - 35136 Padova Tel. +39 049/8726599 - Fax +39 049/8726568 [email protected]