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attualità PANORAMA 3/12/2009 Datevi una fren (se non volete finire DINO DE LEO In carrozzella dopo lo scontro (pagina 95). SARA PONGILUPPI Vivere con il dolore cronico (pagina 97). LAURA RAFFAELI Sorda e cieca, con mille euro al mese (pagina 97). PIERINA GUERRA Il coraggio di amare le piccole cose (pagina 98). JONNI PEROZZI Ha dovuto reimparare a parlare (pagina 98).

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attualità

PANORAMA 3/12/2009

Datevi una fren (se non volete finire

DINODE LEOIn carrozzelladopo lo scontro(pagina 95).

SARAPONGILUPPIVivere con il dolorecronico(pagina 97).

LAURARAFFAELISorda e cieca,con mille euroal mese(pagina 97).

PIERINAGUERRAIl coraggio di amare lepiccole cose(pagina 98).

JONNIPEROZZIHa dovutoreimparare a parlare(pagina 98).

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La strage infinita Mondadori e Ania insieme per unagrande iniziativa sulla sicurezza in strada. E, per l’occasione,cinque vittime di incidenti stradali raccontano a «Panorama»le loro storie. Tutti, rimasti gravemente feriti, lanciano un appello: «Non bruciate la vita per una leggerezza».

In Italia non c’è la volontà di mettere alprimo posto il valore della vita. In Fran-cia non si parla di incidenti stradali madi criminalità stradale. Anche le parolecontano e possono educare».

Proprio con lo scopo di educare e far ri-flettere, il 30 novembre esce in libreriaedito dalla Mondadori (224 pagine) Lavita è una cosa meravigliosa, un volume ric-co di spunti per interrogarsi sul senso del-la vita, riflettere sulla sua precarietà, sulsignificato profondo che ciascuno di noiattribuisce al bene più prezioso che ha.Un’antologia di citazioni, antiche e mo-derne: letterarie, cinematografiche, mu-sicali, con fotografie emozionanti. Natocome parte del progetto di sensibilizza-zione sociale sulla sicurezza stradale pro-mosso dalla Fondazione Ania, questo li-bro è un messaggio positivo di speranza

sul valore di vivere.«Un progetto editoriale

con un valore alto e forte conil quale la Fondazione (spiegail presidente della Fondazio-ne Sandro Salvati nella prefa-zione) vuole contribuire a sti-molare in chi legge, in chi de-ve emanare norme, in chi de-ve farle applicare e, soprattut-to, in chi deve rispettarle sul-la strada, una consapevolezzaprofonda circa la tragedia de-gli incidenti stradali. Una con-sapevolezza da acquisire attra-verso una caratteristica fonda-mentale degli esseri umani: lamemoria». L’ultima sezionedel libro raccoglie i dieci mi-

gliori contributi tra tutti quelli inviatidal pubblico al concorso lanciato sul si-to www.vitameravigliosa.it: poesie, fo-tografie, riflessioni sul tema della pie-nezza dell’esistenza e sul vuoto che si creaquando si perde qualcuno di caro, peresprimere quanto la vita sia, appunto,meravigliosa. Il giornalista di PanoramaFabrizio Paladini ha raccolto le testimo-nianze di chi è riuscito a sopravvivere aun grave incidente stradale. Nelle pagi-ne seguenti le loro storie. ●

Quattrocento morti inmeno: è un successo o èancora troppo poco? Nel2008 ci sono stati oltre230 mila incidenti stra-

dali, quasi 600 al giorno, con 4.731 mor-ti e 310 mila feriti. Un po’ meno peggiodel 2007 in cui avevamo pianto 5.131morti e 325 mila feriti.

Ma in realtà nessuno è soddisfatto.Tutti i paesi dell’Unione Europea si so-no impegnati a dimezzare il numero del-le vittime entro il 2010. Nove anni famorivano in Europa 56 mila persone.Oggi siamo a poco meno di 39 mila conun decremento del 31,2 per cento. Mase alcuni paesi come la Francia, la Spa-gna e la Germania si sono davvero im-pegnati in questa battaglia di civiltà e adue anni dal traguardo sono ben oltre il40 per cento di riduzione, inItalia siamo desolatamenteindietro. Dal 2000 a oggi ab-biamo ridotto il numero del-le vittime del 33 per cento,passando dalle 7.061 del2000 alle 4.731 di oggi. Di-ce Umberto Guidoni, segre-tario della Fondazione Ania(l’Ania è l’Associazione na-zionale fra le imprese assicu-ratrici) impegnata in campa-gne per la sicurezza stradale:«In altri paesi si sono investi-ti molti soldi in controlli, in-frastrutture ed educazione».

Gianmarco Cesari, avvoca-to, da 10 anni difende l’Asso-ciazione italiana familiari evittime della strada (Aifvs), ed è per lalinea dura: «L’automobile è un mezzo pe-ricoloso e lesivo della vita altrui. Bastipensare che nel 2008 ci sono stati 648pedoni uccisi e altri 20 mila sono rima-sti feriti. Vogliamo pene più severe masoprattutto la certezza della pena».

Amara la riflessione di GiuseppinaMastrojeni, presidente dell’Aifvs, che haperduto una figlia di 17 anni falciata sulmarciapiede da una macchina guidata a140 all’ora in centro: «Sono pessimista.

ata come noi)

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«La vita è una cosameravigliosa»:il libro Mondadori fa parte del progettosicurezza stradaledella FondazioneAnia.

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voglia di spaccare il mondo e mipiacerebbe pensare che la vitaè sempre una cosa meravigliosa.Faccio politica per cercaredi migliorare le cose e sonoconsigliere circoscrizionale nelgruppo misto. Diciamo che sonodi sinistra ma se devo essereonesto non mi piace il mondodella politica nazionale. Però,più passa il tempo più vedole enormi difficoltà che questadisabilità mi crea. Vorrei dire aimiei coetanei, ai tanti che fannocose a rischio, a tutti quelli chebuttano via la loro vita, di nonfare stupidaggini. Io, intanto,vivo di speranze: aspetto la curagiusta che potrà cambiare la miaesistenza. E poi una famiglia,i figli, il matrimonio. Ma vogliosposarmi in piedi, non incarrozzina. ●

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Quella torta che non ho mai mangiato«Compivo 22 anni, tornavo a casa con la moto, non è stato un impatto terribile, ma non potrò mai più camminare. Comunque sono pieno di speranze, vorrei sposarmi e sogno di farlo in piedi».

Bel modo di festeggiareil mio compleanno. Facevo22 anni, il 13 luglio 2007.

Guidavo la mia moto Honda Cbr600 qui a Messina. Erano quasile 9 di sera, tornavo a casa dovemi aspettava la torta. Andavopiano, mi godevo il fresco dellasera d’estate e percorrevo unrettilineo. Stavo superando unamacchina quando all’improvvisouna Smart mi è sbucata da unastradina laterale. L’impatto non èstato nemmeno terribile. Mentreero in volo capivo che, a parte undolore al ginocchio, non sarebbesuccesso nulla di grave. Mapurtroppo c’era un cassonettosulla mia traiettoria e lì èatterrata la mia schiena.All’ospedale hanno capito subitoche la lesione alle vertebre D6e D7 era brutta ma ci hannomesso un bel po’ a dirmi chenon avrei mai più camminato. Lasentenza era: Asia A. Vuol direche dall’addome in giù non c’èpiù sensibilità. I miei mi hannoportato a Milano per unintervento, non tanto per evitarela paralisi ma proprio per salvarequel che restava della mia vita.Hanno speso 24 mila europer il trasferimento con unacompagnia di trasporto privato.Quelli prima hanno volutoil bonifico e poi mi hanno portatoin aereo, ma questa è l’Italia.Mi hanno stabilizzato la colonnacon delle placche in titanioe direi che mi hanno salvatola vita. Poi sono stato portatoal Niguarda per la riabilitazionee lì ho scoperto, nei sei mesiche sono rimasto, il mondo delladisabilità. Mi hanno insegnatoa rendermi indipendente,a lavarmi, a vestirmi, a guidarela macchina.

Oggi riesco a fare quasi tutto ecerco di fare il più possibile tuttoda solo. Ero un ragazzo cometanti: sempre in giro, a divertirmi,a giocare a pallone, le ragazze.Non è stato facile entrare inquesto mondo. Riesco ad andarein discoteca, al ristorante, facciopasseggiate. Perfino a fare unbagno a mare, mi godo la miaragazza. Certo, è dura accettarele incredibili barriere cheil mondo dei normali poneal mondo dei disabili. Ti fa starmale vedere come tutti se neinfischiano dei tuoi diritti,il parcheggio riservatoperennemente occupato,la gente che ti guarda comese fossi un alieno, le macchineche non si fermano quandoattraversi, i marciapiedi senzascivoli, quelli che suonano

impazienti il clacson quandoscendo dalla macchina permontare sulla carrozzina.Prima non ci pensavo, primanon sapevo, perché nessuno mel’aveva insegnato. Sono un tipotosto e non mi spaventa nulla,però la fatica è tanta. Questoincidente mi ha fatto crescerema dentro ho molta rabbia.Non solo per l’incidente ma perle cose che ho visto dopo. Per lagente indifferente o addiritturacattiva. Per le difficoltàoggettive: se voglio scenderein centro e comprarmi un paiodi scarpe in un negozio,devo sempre chiedere aiutoa qualcuno. Non posso prendereun mezzo pubblico. Ero abituatoa fare tutto da solo e ora non èpiù così.Nonostante tutto, ho ancora

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di DINO DE LEO

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Abituarsi a viverecon il dolore cronicodi SARA PONGILUPPI

Il 20 giugno del 2005 stavoandando a Napoli con la miamacchina. A un certo punto,

sull’autostrada, un camionè improvvisamente passatodalla prima alla seconda corsiarallentando davanti a me. Hocercato di superarlo sulla terzacorsia ma quello mi ha strettoancora spingendomi controil guard-rail. E poi è scappatovia. La mia macchina ha presovelocità ed è sbandata,ha attraversato tutta la

carreggiata andando a sbatterecontro il guard rail di destra.L’auto era fuori controllo,era anche scoppiata una ruota.Alla fine si è fermata al centrodell’autostrada. Ho avutoil tempo di rendermi conto chenon mi ero fatta nulla. Ho tiratoun sospiro ma dopo pochisecondi mi è piombato addossoun altro camion. C’è stataun’esplosione e pensavo chestessi per morire. Non sentivopiù le gambe. Svenivo e mi

risvegliavo. I vigilidel fuoco hannodovuto lavoraredi fiamma ossidricaper tirarmi fuori. Eromalridotta ma viva.E lì è iniziatoil calvario. Costole,gambe, spalla, polmone, collo:era come se mi avessero presoa botte in dieci. Ma ero viva.La notte non chiudevo occhio.Sono rimasta immobilizzata piùdi un mese, prima in ospedale epoi a casa. Ad agosto ho iniziatola fisioterapia quattro giorni asettimana. Per il resto del 2005e per tutto il 2006.Il metabolismo era stravolto,non mangiavo, perdevo peso.Ho cominciato a stare megliosolo nel 2007. Ora sono rimastidisturbi che creano dolorecronico, ti abitui a vivere con ildolore costante, e dopo quattroanni sono sempre in terapia.Non riesco a stare seduta, ho

una tendinopatia alla gamba,e poi la cervicale. Faccio faticaal cinema, mi fa male starein piedi. Devo muovermi ma nontroppo. Devo riposare ma nontroppo. Dopo un anno e mezzodovevo tornare al lavoro, eroimpiegata in una prestigiosaorganizzazione internazionale,ma quattro giorni primadi rientrare mi hanno licenziata. Gli unici che mi sono stati vicinisono stati quellidell’Associazione italianafamiliari e vittime della stradaperché ci sono da affrontaretante difficoltà burocraticheche, se sei solo, ti senti spessoancor più umiliato. ●

di LAURA RAFFAELI

Dovrebbero investirlisul serio i soldi perla sicurezza stradale.

Credo che bisogna iniziaredalla testa, cioè dal rilasciodelle patenti che oggi vengonoregalate. La gente non hale basi, non conosce i segnalistradali. Basta dare la colpasolo ai giovani o demonizzarliperché bevono due bicchierise poi i loro genitori passano colrosso e, siccome conoscono ilvigile, si fanno togliere la multa.

Io il 9 maggio del 2002 passavocon la moto a Roma,a Monteverde Vecchio. Unamacchina è uscita da unparcheggio a marcia indietrosenza guardare. Mi ha preso inpieno e io sono stata sbalzatain avanti. Avevo il cascointegrale ma ho lo stessosbattuto la nuca e le tempie.La lesione mi ha toltoprogressivamente la vistae l’udito. Sono stata ricoverataquasi un anno. Vivevo in stato

confusionale per viadella cecità. Ilcervello impiega l’80per cento della suapotenzialità per lavista e io ho dovutoriprogrammarele funzioni del miocervello. Facevoun lavoro delicatoe naturalmente dopo

l’incidente non potevo piùcontinuare. Con una disabilitàcosì non puoi più fare niente.Ho un assegno di 1.000 euro almese e sono dovuta andare viada Roma perché non potreipermettermi un affitto. Sonopassati sette anni e non hovisto un euro di risarcimento.Siccome sono una che nonmolla, ho fondato unaassociazione, la Blind sightproject, che si occupa dei dirittidei non vedenti e non udenti.

Solo a Roma ci sono 3.500ciechi. Ho 49 anni e un figliodi 24 ed è chiaro che sono pienadi speranza ma al momento nonsono molto ottimista. Perquesto, più che dire: «La vita èuna cosa meravigliosa», direimeglio: «La vita potrebbeessere una cosa meravigliosa».Mi piacerebbe che le regolenon fossero vissute comeun obbligo. Il casco? Si mettee basta. I limiti di velocità? Si rispettano e basta. Ci sono40 mila disabili l’anno perincidenti stradali, senzaassistenza, e oggi, conamarezza, dico: se mi fosseandata bene, quel giorno sareimorta. Mi ritengo però unadonna fortunata: ho un figliomeraviglioso, Edoardo, chestudia e cerca di mantenersi, eun cane, Artù, che mi proteggee mi accompagna ovunque. ●

Ho perso il lavoro e la vista«Avevo il casco, ma una macchina in retromarcia mi ha fatto cadere.Ho perso la vista e l’udito: oggi non sono più in gradodi fare nulla».

«Quando quel camion mi ha buttata fuori strada è iniziato un calvario. E mi hanno anche licenziata».

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Il coraggio di amareanche le piccole cose

di PIERINA GUERRA

Avevo 26 anni, il 26febbraio di 27 anni fa,sul Ponte della libertà,

la strada che collega Mestrea Venezia. Sulla mia vecchiaSimca avevo di fianco miamadre che aveva 47 annie sul sedile posteriore mia figlia,di 6. A un certo punto lì c’erail limite di velocità a 50 all’ora,sulla corsia opposta duemacchine potenti checorrevano a 140 si sono toccate

mentre si superavano. Una hainvaso la mia carreggiata e nonho potuto nemmeno sterzare.L’impatto è stato fortissimo:mia madre è morta sul colpo,io non sentivo più le gambementre mia figlia non si è fattanulla. Il mio investitore è uscitoilleso. L’autista dell’altramacchina coinvolta è scappatoe poi hanno scoperto che avevagià causato un altro incidentegrave. I vigili del fuoco hannoimpiegato più di 40 minutiper tirarmi fuori dalle lamieree avevo le gambe maciullate.I medici prima pensavanoaddirittura all’amputazionee poi erano pessimisti sul fattoche potessi tornarea camminare. Sono stataricoverata un anno e mezzoe tra poco dovrò operarmi per lasesta volta. Al processo penalehanno condannato a 13 mesigli autisti di tutte e due lemacchine ma nessuno ha mai

fatto un solo giorno di galera.Il processo civile per ilrisarcimento invece, dopo 27anni non è ancora conclusoe non so quanto ci vorrà ancoraper chiudere questa vergogna.Cammino con difficoltà, convivocon il senso di colpa di avere inqualche modo accompagnatomia mamma alla morte. Perfortuna i primi sei mesi sonostata immobilizzata al letto, seno... so solo io quante volte hosentito il desiderio di farla finita.Poi, però, inizi ad apprezzareanche le piccole cose,il tramonto sulla laguna, ungabbiano che plana, il sorrisodi mio marito che non mi ha maimollato. Vorrei rivolgermia tutti quelli che si mettonoin macchina un po’ bevuti,impasticcati, distratti dalcellulare, senza cinture e dirgliche la vita è meravigliosa, mase non imparate a difenderla,può non valere nulla. ●

di JONNI PEROZZI

Mi chiamo Jonni in onoredi John Kennedy. Ho33 anni. Il 19 ottobre

del 1990 ne avevo 14. Ero sulmio motorino e stavo tornandoa casa. C’era un nebbionee pioveva qui a San Benedettodel Tronto (Ascoli Piceno), nonsi vedeva bene, la strada erapoco illuminata. All’improvvisomi sono trovato un camionfermo contromano, senzasegnalazione luminosa. Un’autoche veniva in senso contrario

mi ha abbagliato. Non ho vistopiù nulla e mi sono schiantatocontro il camion. Il tipo dellamacchina si è fermato, è sceso,è venuto verso di me, si èchinato, ha pensato che fossimorto ed è scappato via.Questo hanno riferito alcunitestimoni al processo, mail pirata non è stato maiindividuato. L’autista delcamion se l’è cavata con unamulta e io invece ho sbattuto latesta nonostante ilcasco, proprio sulcervelletto. Sonostato in coma un mesee mezzo poi mi hannofatto ascoltare unacassetta con la vocedei miei genitori e deimiei amici e mi sonomesso a piangere. Erovivo, e questo era già

molto. Ma per i medici erotetraplegico. Non parlavo più.La mia prima parola dopoquesto buio di quasi due mesie mezzo fu: «Ma». Per unasettimana non dissi altro e miamadre la sera mi insegnavacon infinita pazienza a farmiripetere due volte: «Ma-ma».Oggi vivo su una sedia a rotelle,riesco a parlare un po’ meglio,vedo abbastanza benema sono stati anni di cure

Sono diventato maturo troppo tardi«Ho dovutoreimparare a parlare.E la mia prima parola,di nuovo, è statamamma. Ora sto per dare l’esame da avvocato».

«Non sono più la stessa e mi fa rabbia vedere troppa leggerezza al volante».

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e sudore, sacrifici pazzeschi,attese infinite per far ridurregli ematomi, terapie, piccoleconquiste quasi impercettibili.Non rincorro più il sognodi ritrovare totalmente unanormalità persa. Sonopragmatico e conscio di tuttoquello che ero 19 anni fa. Sodi avere recuperato tantissimo,mi sono nel frattempo laureatoin giurisprudenza. Tra pocodarò l’esame da avvocato. Vivotra le barriere architettoniche. Il disabile è costretto a starechiuso in casa. Vorrei dire unacosa ai ragazzi che oggi fannocose irresponsabili e si sentonoimmortali: aprite gli occhi.Non aspettate l’incidente persvegliarvi perché nella maggiorparte dei casi è tardi. Siatematuri. Io lo sono diventatodopo. Un po’ tardi. ●