Danilo Zardin - Articolo Su Leo Spitzer

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 Cultura STORIA/ Leo Spitzer: dall’età classica al cristianesimo, il mondo come “armonia” Danilo Zardin lunedì 13 luglio 2009  Ancora alla fine d el Sett ecen to, G oeth e es alta lo s plend ore de l sole alto nel cielo c ome un cant o trionfale: «Il sole risuona, secondo il modo antico  / nell a gar a canor a d elle sorel le sfere…». Nei versi del Faust, sotto la patina di un linguaggio fedele alla tradizione, si sente affiorare la forza di una rappresentazione ancora “arcaica” del mondo, trasfigurata dal simboli smo della poesia. È la stessa che ancora oggi spinge a parlare dello spettacolo del cielo stellato come di un “concerto di stelle”. Sono metafore che si stagliano tutte su uno sfondo musicale animato, brulicante di vita e di movimento. Persino l’universo fisico dei grandi corpi celesti, che disegnano i loro movimenti circolari nello spazio concavo del cosmo, veniva ancor a immagi nato, nel solc o di una scienza enci clopedi ca eredi tata dal Medioevo e dalla cultura della prima Età Moderna, d a Dante fino a Marino, a Gracián, a Daniello Bartoli, al  Paradiso perdut o di Milton, come l’incastro di rotazioni collegate fra loro in modo mirabile, nel quadro di una regia amorosamente attenta al minimo dett agli o, che non lasciava nulla al caso, capace di far sprigionare, dal gioco armoni oso di tutte le parti separate da intervalli e gradazioni di misure distribuite con millimetrica precisione, l’armonia di una incessante, sovrasensibile melodia. La musica “artificiale” inventata dall’uomo era solo un pallido riflesso di questa “musica mondana” diffusa in ogni angolo dell’universo. Se la terra stava classicamente al centro della “macchina” gigantesca tenuta in perenne movimento dall’energia affettiva del volersi immedesi mare con la perfezi one di Dio che l’a vvol geva da ogni la to, sette erano le sfere dei pianeti che la fisica antica aveva individuato nella volta celeste, ruotanti l’una dentro l’altra, scendendo a cascata fino al nucleo più interno del globo su cui l’uomo aveva visto collocata la sua esistenza. Ma le distanze fra i pianeti si disponevano secondo uno schema che ricalcava l’alternanza dei toni e dei semitoni delle note musicali, e sette erano infatti le note su cui si basava, in modo perfettamente speculare, la scala dell’arte musicale portata al culmine della sua elaborazione nell’Occidente cristiano, dopo la fine de ll’anti chità greco-latina. Si intui sce subi to che questa suggestiva immagi ne orga nica del mondo creato ha dominato fin dai suoi inizi più remoti il percorso della tradizione culturale di cui siamo figli. E ha continuato a segnarne la fisionomia anche quando le radici primordi ali che l’avevano nutrita e la sua anima religio sa di fondo sono state dimenticate, alla fine contestate e sfigurate. Per Dante e per i poeti barocchi, dietro la bellezza affascinante del simbolo poetico si imponeva la realtà corposa del mondo, così come poteva essere letta dal punt o di vista de ll’uomo chiamato a governarla nel suo cammino verso il destino eterno. Noi moderni abbiamo capito che quell’immagine sentimentale afferrava solo una parte limitata della realtà esistente.  Abbiamo dovu to corre ggerla, inte grandola con le misuraz ioni matema tiche e le oss ervazion i spe rimentali che hanno fatto emergere lati prima irri conoscibi li dell a strut tura del cosmo che ci ospita. Ma anche d opo che la rivoluzione astronomica dell’età moderna ha portato a compimento la sua marcia vittoriosa, spodes tando la rappresentazione pri ma condi vi sa del mondo del la natur a, i pri ncì pi costituti vi dell’immagine che noi abbiamo “scartato” per poter progredire hanno continuato a far sentire la loro influenza. Di tutto questo, e di molto altro ancora, discorre in modo limpidamente autorevole il classico saggio di Leo Spitzer, tradotto in italiano con il titolo  L’armonia del mondo. Storia semantica di un’idea , recentemente ripr oposto in una nuova edizione. I l punto più genial e dell ’affr esco delineato dal grande STORI A/ L eo Sp itzer: d all’età classica al cristianesimo, il mondo come... ht tp://www.il sussidiario.net/News/Cultura/200 9/7/13/STOR IA-L eo-Sp... 1 di 2 08/10/2011 15.30

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Cultura

STORIA/ Leo Spitzer: dall’età classica alcristianesimo, il mondo come “armonia”Danilo Zardin

lunedì 13 luglio 2009

 Ancora alla fine del Settecento, Goethe esalta lo splendore del sole alto nel cielo come un canto trionfale:

«Il sole risuona, secondo il modo antico / nella gara canora delle sorelle sfere…». Nei versi del Faust,sotto la patina di un linguaggio fedele alla tradizione, si sente affiorare la forza di una rappresentazioneancora “arcaica” del mondo, trasfigurata dal simbolismo della poesia. È la stessa che ancora oggi spinge aparlare dello spettacolo del cielo stellato come di un “concerto di stelle”. Sono metafore che si staglianotutte su uno sfondo musicale animato, brulicante di vita e di movimento. Persino l’universo fisico deigrandi corpi celesti, che disegnano i loro movimenti circolari nello spazio concavo del cosmo, venivaancora immaginato, nel solco di una scienza enciclopedica ereditata dal Medioevo e dalla cultura dellaprima Età Moderna, da Dante fino a Marino, a Gracián, a Daniello Bartoli, al Paradiso perduto di Milton,come l’incastro di rotazioni collegate fra loro in modo mirabile, nel quadro di una regia amorosamenteattenta al minimo dettaglio, che non lasciava nulla al caso, capace di far sprigionare, dal gioco armoniosodi tutte le parti separate da intervalli e gradazioni di misure distribuite con millimetrica precisione,

l’armonia di una incessante, sovrasensibile melodia. La musica “artificiale” inventata dall’uomo era soloun pallido riflesso di questa “musica mondana” diffusa in ogni angolo dell’universo. Se la terra stavaclassicamente al centro della “macchina” gigantesca tenuta in perenne movimento dall’energia affettivadel volersi immedesimare con la perfezione di Dio che l’avvolgeva da ogni lato, sette erano le sfere deipianeti che la fisica antica aveva individuato nella volta celeste, ruotanti l’una dentro l’altra, scendendo acascata fino al nucleo più interno del globo su cui l’uomo aveva visto collocata la sua esistenza. Ma ledistanze fra i pianeti si disponevano secondo uno schema che ricalcava l’alternanza dei toni e deisemitoni delle note musicali, e sette erano infatti le note su cui si basava, in modo perfettamentespeculare, la scala dell’arte musicale portata al culmine della sua elaborazione nell’Occidente cristiano,dopo la fine dell’antichità greco-latina.

Si intuisce subito che questa suggestiva immagine organica del mondo creato ha dominato fin dai suoiinizi più remoti il percorso della tradizione culturale di cui siamo figli. E ha continuato a segnarne lafisionomia anche quando le radici primordiali che l’avevano nutrita e la sua anima religiosa di fondo sonostate dimenticate, alla fine contestate e sfigurate. Per Dante e per i poeti barocchi, dietro la bellezzaaffascinante del simbolo poetico si imponeva la realtà corposa del mondo, così come poteva essere lettadal punto di vista dell’uomo chiamato a governarla nel suo cammino verso il destino eterno. Noi moderniabbiamo capito che quell’immagine sentimentale afferrava solo una parte limitata della realtà esistente. Abbiamo dovuto correggerla, integrandola con le misurazioni matematiche e le osservazioni sperimentaliche hanno fatto emergere lati prima irriconoscibili della struttura del cosmo che ci ospita. Ma anche dopoche la rivoluzione astronomica dell’età moderna ha portato a compimento la sua marcia vittoriosa,spodestando la rappresentazione prima condivisa del mondo della natura, i princìpi costitutividell’immagine che noi abbiamo “scartato” per poter progredire hanno continuato a far sentire la loroinfluenza.

Di tutto questo, e di molto altro ancora, discorre in modo limpidamente autorevole il classico saggio diLeo Spitzer, tradotto in italiano con il titolo   L’armonia del mondo. Storia semantica di un’idea,recentemente riproposto in una nuova edizione. Il punto più geniale dell’affresco delineato dal grande

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maestro è l’aver chiarito quale era il fondamento della visione “armonistica” dell’universo tradizionale.L’armonia si fondava sulla corrispondenza delle parti molteplici dentro la cornice del tutto che leriabbracciava. L’unità era la sintesi del pluralismo esasperato del diverso che, invece di esplodere nellaguerra rovinosa della dispersione (della realtà singolare contro l’economia ordinata dell’insieme),accettava di convergere nella grande scuola dell’obbedienza e dell’intreccio vicendevole, dai livelli piùciechi e istintivi della realtà materiale delle cose fisiche salendo fino ai piani più nobili ed elevati dellelibertà in contrasto degli attori umani, della vita dello spirito, della sfrenata differenziazione gerarchicadei cori (musicalmente festanti in cielo!) delle creature angeliche e del mondo dei beati. È proprio qui che

salta di nuovo in primo piano la radice musicale della metafora dell’armonia della natura creata. Lamusica più bella non è una nenia monocorde; è essa stessa una sinfonia sapientemente orchestrata disuoni e di voci che si combinano in una alchimia fondata sull’incastro delle diversità. Spitzer trascina finoad altezze vertiginose quando per esempio ricostruisce la genesi seicentesca della nostra idea moderna(oggi pressoché totalmente laicizzata) di “concerto” musicale. Ma l’unità dell’effetto esteticamentearmonioso non deve far dimenticare che, dietro la storia materiale dell’elaborazione della parola, ci statutto il peso dell’accordo da stabilire tra strumenti diversificati e per natura fra loro “discordanti”, selasciati all’indisciplina del loro estro isolato. Dentro il “concerto”, stanno la “tensione” da mantenere inequilibrio e la “corrispondenza” da far vibrare tra i due, o i più, che solo fondendosi creano l’unità di unacosa sola. Tutta la metafora del corpo biologico che percorre l’ecclesiologia neotestamentaria e dellateologia patristica si è nutrita della stessa linfa culturale: l’unità come sintesi del diverso, che non annulla

la specificità delle parti componenti, ma le piega verso l’unisono di un concerto pluralistico. QuandoSpitzer conduce a perlustrare la genesi del canto liturgico ambrosiano, differenziandolo dalla lineareligiosa più rigidamente agostiniana. O quando discorre del lento decollo della polifonia, dell’ingressoprepotente della rima nella tradizione poetica della cultura cristiana, dopo la dissoluzione della metricaclassica basata sulla quantità: ogni volta viene spalancata una finestra luminosa sulle tendenzesotterranee che hanno plasmato l’identità di fondo della cultura dell’Occidente mediterraneo e poieuropeo.

Sul piano più strettamente storico, due mi sembrano i lasciti più preziosi tramandataci da Spitzer, in unlibro che è stato definito «un monumento alla memoria dell’uomo e al suo ideale di dottrina, unastupenda presentazione dell’armonia del mondo intesa come un credo». Su tutto sovrasta l’idea dellagenesi insieme classica e cristiana di questa immagine del mondo che la Commedia di Dante ha rivestitodi una forma poetica immortale. Come Virgilio è stato per lui il padre benedetto, così i materiali di basedell’uni-diversità del tutto fondato sull’armonia dinamica delle parti sono stati forgiati dalla classicitàgreca e latina. Ma la sapienza etico-religiosa e la filosofia degli antichi sono state assunte dalcristianesimo fin dal suo primo apparire, che le ha bilanciate con la teologia della sua fede e le ha resepatrimonio fecondo su cui costruire sempre nuovi discorsi sull’uomo e il suo destino. L’armonia di una verità “sinfonica” si è coniugata con lo sguardo positivo che la cultura cristiana ha gettato sulla realtà delmondo da salvare. E Spitzer aggiunge con vigore che di questa cultura l’“armonia del mondo” haaccompagnato lo sviluppo fino alla grande crisi maturata solo quando la coscienza di fondo dellacristianità europea ha cominciato a cedere alla pressione di una modernità che voleva andare per lapropria strada, troncando il cordone che la teneva agganciata alla sua origine. Anche per Spitzer, come

per gran parte della cultura umanistica più avanzata del nostro tempo, la vera linea di frattura si collocafra Sei e Settecento. Prevale l’ideale di una lunga continuità creativa della cultura classico-cristiana dellagrande tradizione occidentale. Per lui - e la tesi vale come una provocazione stimolante, su cui continuarea discutere - Medioevo, Rinascimento e Barocco sono solo le tre fasi distinte di un unico ciclo unitariodella storia culturale della Cristianità.

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