Daniela Quieti Relazione

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STUDIOSI ED ESPERTI

Relatrice

Relazione

Daniela Quieti, scrittrice e giornalista

Universal Round Table Conference – Un evento italiano per i giovani “ IL LAVORO” FOLIGNO: 11 Gennaio 2014 – Palazzo Trinci

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Universal Round Table Conference – Un evento italiano per i giovani “ IL LAVORO” FOLIGNO: 11 Gennaio 2014 – Palazzo Trinci

Desidero iniziare questa mia relazione con un detto di Voltaire: “Il lavoro

allontana da noi tre grandi mali: la noia, il vizio e il bisogno”.

Forse anche avendo presente questo pensiero, i nostri Padri Costituenti vollero

che il primo articolo della Costituzione, la legge più importante della Nazione

appena risorta dal disastro bellico, fosse: “L’Italia è una Repubblica democratica

fondata sul lavoro”. Questa scelta, non casuale, ebbe l'intenzione di sottolineare

il primato del valore lavoro rispetto a ogni altra attività umana.

I legislatori costituenti avrebbero potuto, per esempio, scrivere: “L’Italia è una

Repubblica democratica fondata sulla libertà” ma intesero scolpire, in modo

chiaro e inequivocabile, nei principi fondamentali cui si ispira tutta la nostra

legislazione, cioè il nostro schema di vita, che il lavoro è sinonimo di esistenza

dignitosa, nobile e operosa, specie quando è gratificante e offre il senso della

realizzazione delle proprie vocazioni e capacità.

“Felice colui che ha trovato il suo lavoro, non chieda altra felicità” diceva

Carlyle, mentre Baudelaire ne “Il mio cuore messo a nudo” azzardava

argutamente che “tutto ben considerato, lavorare è meno noioso che

divertirsi”.

Questo inizio del mio intervento non vuole sfuggire, tuttavia, con una citazione

apparentemente “leggera”, alle problematiche sul lavoro che lasciano perplessi i

più preparati e saggi studiosi della materia.

Oggi, come da tanti secoli, il problema del lavoro, o meglio, della mancanza del

lavoro, costituisce una delle angoscianti questioni sul tavolo dei governanti,

delle imprese, dei sindacati, delle organizzazioni umanitarie, delle famiglie, in

una parola, dell’umanità.

Esso comporta riflessioni, decisioni, scelte che spaziano a livello geopolitico, di

genere, di età. Si pensi allo sfruttamento del lavoro minorile, al lavoro

sottopagato e irregolare, a quello forzato (ne esistono, purtroppo, alcuni tipi che

sono tali al di là del significato comune della parola).

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Si pensi ai problemi sociali che la grande mole di persone senza lavoro deve

affrontare per se stessa e per la collettività.

Si pensi ai problemi sanitari e di sicurezza: la tentazione di un lavoro facile ma

illegittimo è in agguato specie tra i più giovani.

Consentitemi di rivolgermi in particolare a voi studenti in attesa di prima

occupazione: cercate di non adattarvi all’idea che è inutile cercare un lavoro,

tanto non si trova o bisogna avere un santo in paradiso.

In parte sarà vero ma in parte, desidero crederlo fermamente, molto dipende

dalla volontà di studiare, di specializzarsi in un mestiere che venga appreso e

svolto bene, che valorizzi le capacità individuali e faccia emergere il talento e la

voglia di fare.

È stato detto: “Se avete grandi doti, il lavoro non farà che migliorarle; se avete

doti soltanto modeste, il lavoro rimedierà alle loro deficienze. Sono

d’accordo!”.

Veniamo da territori che hanno conosciuto le fatiche del lavoro agricolo; che

per secoli hanno vissuto sulla pastorizia e sui prodotti della terra. Regioni,

l’Umbria, e la mia, l’Abruzzo, in cui il sudore degli uomini e delle donne nei

campi fin dall’alba, ha seminato fatica e speranza, amarezze e soddisfazioni,

grandini e buoni raccolti.

Poi è arrivato il progresso, sono state costruite le fabbriche che, con

l’industrializzazione e la commercializzazione, hanno trasformato i prodotti

agricoli immettendoli nella grande distribuzione. Le fabbriche nascono vicino ai

recinti di altre fabbriche, perché ognuna ha bisogno dell’altra per interagire, per

quello che si chiama l’indotto.

Però non sottovalutate, cari giovani, le nuove possibilità offerte dal mondo del

settore primario. Non esiste soltanto il posto fisso.

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E affinate la conoscenza delle lingue estere e dell’informatica, perché aiuterà

moltissimo. Forse non diventerete miliardari come gli inventori di Google,

Facebook o Twitter (comunque qualcuno di loro ha cominciato a lavorare nel

garage di casa ed è stato il loro talento che li ha portati a diventare personaggi

di primo livello internazionale).

Voi avete bisogno di un futuro: una cultura di fondo e uno studio specialistico

sono alla base di ogni attività. E fate esperienza: “grazie all’esperienza

progrediscono la scienza e l’arte” (affermava Aristotele). E Kafka diceva che “il

lavoro intellettuale strappa l’uomo alla comunità umana. Il lavoro manuale,

invece, conduce l’uomo verso gli uomini”.

Lungi da me privilegiare il lavoro manuale e sottovalutare quello intellettuale,

ma, lo ribadisco con forza, entrambi hanno la loro dignità.

Non vedo grandi differenze tra un ricercatore, un medico, un avvocato, un

tecnico di laboratorio, un infermiere, un usciere. Non mi scandalizzo di fronte a

chi sceglie di fare il muratore piuttosto che l’ingegnere, né di fronte all’artigiano,

al contadino, al netturbino.

I tempi, poi, sono quelli che sono, duri, durissimi. Non è accettabile, senza

rabbrividire, che nel nostro Paese circa il 42% dei giovani sia in cerca di un

impiego, che due persone su dieci dai 24 ai 35 anni non trovino occupazione. I

dati del sud, rispetto alla media nazionale sono, peraltro, ancora più drammatici.

Tutti gli indicatori appaiono estremamente preoccupanti: le spese delle famiglie,

il risparmio, la fiducia dei consumatori, le condizioni di vita, il numero dei nuovi

poveri. E il tasso di disoccupazione continua a salire fino a superare il 12%.

Di chi le responsabilità, quali i rimedi?

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La crisi globale, certo, ha aggravato le difficoltà che ciascuno Stato aveva di per

sé, così come la conflittualità, i tempi lunghi della giustizia e della burocrazia in

materia civile e del lavoro, la timidezza degli imprenditori a intraprendere nuovi

investimenti di fronte all’instabilità politica e a un’ondivaga legislazione in

materia.

Ma soprattutto è, a mio parere, una burocrazia asfissiante che penalizza,

ritarda, in certi casi impedisce, nuove iniziative. Vi sono addirittura opere

finanziate e incompiute, fondi europei che non vengono utilizzati, piani

regolatori comunali assenti o confusi, infrastrutture incomplete: un patrimonio

urbanistico fatto di case, caserme, ospedali e altre strutture che lo Stato, le

Regioni o gli Enti locali non utilizzano e che, invece, potrebbe essere rimesso in

funzione o alienato per ricavarne fondi da destinare a infrastrutture o a

diminuire l’ormai insostenibile pressione fiscale che grava sulle famiglie italiane.

Le banche concedono mutui e prestiti con il contagocce; la Pubblica

Amministrazione paga in tempi lunghissimi.

Se il sistema funzionasse meglio con più giustizia fiscale e una più consapevole

politica della valorizzazione delle enormi possibilità che il nostro Paese offre in

materia turistica, artistica, culturale, enogastronomica, ci sarebbero nella

nazione una maggiore occupazione e un ritorno economico.

Sono presenti poi le problematiche di una politica europea comune per

fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione (e conseguentemente quello

speculare dell’accoglienza) che pure ha e avrà sempre più i suoi costi perché

l’evento è epocale e non tende a diminuire.

Fenomeno non sempre determinato da situazioni di conflitti bellici ma in misura

notevolissima da difficoltà di sostentamento: chi non lavora non mangia o

addirittura non beve, e tanti popoli, interi continenti, hanno questo problema,

aggravato dalle malattie che conseguono a una scarsa e inadeguata

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Le statistiche sono impietose e, perciò, responsabilizzanti per quei Paesi che

hanno raggiunto l’autosufficienza alimentare, sia pure con squilibri tra ceti

sociali e aree geografiche.

Sono presenti le problematiche di una politica europea per la difesa e gli

interventi militari in aree ad alta tensione i cui costi sono altissimi e crescenti;

della ricerca e sviluppo di nuove fonti di approvvigionamento energetico di cui

l’Italia è debitrice nei confronti dei Paesi esteri.

Tutti questi argomenti saranno oggetto di approfondimenti in sintonia con i

contributi trattati da voi e dagli esperti.

Per concludere, giovani amici, desidero auspicarvi un radioso futuro. Il mondo

progredisce e l’avvenire è di coloro che non sono disillusi.

Vorrei citare, infine, in questa terra benedetta da Dio e da San Francesco, una

frase di speranza del Santo, che sia di incitamento e stimolo: “Cominciate col

fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi

sorprenderete a fare l’impossibile”.

Grazie infinite per l’attenzione e auguri vivissimi a tutti di buon lavoro.

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