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Dalle parole ai fatti:
l’attuazione del programma di governo
Nicolò Conti
Introduzione
Il paper si propone di analizzare la capacità del governo italiano di implementare il suo
programma e di avanzare alcune valutazioni sulla capacità complessiva dell’esecutivo di esercitare
un controllo sull’agenda politica, dando seguito alle promesse elettorali. Si tratta di un tema di tutto
rilievo se non altro perché, come già osservato da Verzichelli (2002), gli esecutivi maggioritari della
Seconda Repubblica – formatisi all’indomani delle elezioni in un contesto di competizione
avversariale e non più a seguito di alleanze post-elettorali – hanno segnato una discontinuità rispetto
al passato, con un passaggio dal modello della transazione, che privilegia il negoziato sulle nomine
rinviando a un momento successivo la messa a punto delle politiche, al modello di adempimento a
un programma. Tale cambiamento sistemico avrebbe permesso un’evoluzione che, andando oltre il
confine delle micro-politiche prevalenti nella Prima Repubblica, si struttura intorno al concetto
della responsiveness, i cui cardini prevedono una maggiore attenzione da parte delle élite
rappresentative verso le domande dei cittadini, gli impegni presi con gli elettori e gli outcome
erogati. Tracciare un bilancio e definire i caratteri del più recente governo di derivazione elettorale,
il Berlusconi IV, sotto il profilo della performance rispetto agli specifici impegni assunti nella fase
di genesi e di investitura, costituisce l’oggetto primario di questa analisi. Il confronto con i
precedenti governi (in particolare Prodi II) e con altri paesi permetterà, inoltre, una ricognizione più
ampia sullo stato del governo italiano.
Dal punto di vista teorico, nella letteratura comparata il programma di governo viene
considerato di un certo rilievo per definire le relazioni tra i partiti (il principale) e l’esecutivo
(l’agente): attraverso delle priorità di policy i primi vincolano il secondo nelle sue decisioni,
impegnandolo anche rispetto a una serie di aspettative maturate nell’elettorato. Questo meccanismo
di delega costituisce il principale strumento per l’attuazione di un sistema di party government
(Katz 1986), dove i partiti svolgono un ruolo di “guardiani” delle politiche pubbliche (Cotta, Della
Porta e Morlino 2004, 299), rispondendone ai cittadini in occasione delle elezioni. Si tratta di un
meccanismo attraverso il quale anche un principale più remoto (i cittadini) attribuisce alla classe di
governo uno specifico mandato (Budge e Hofferbert 1990), un passaggio importante per la vita
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democratica di un paese. Pur configurando una relazione principale-agente disciplinata dal
programma lungi dall’essere perfetta, o consolidata, come in altri sistemi (per un quadro comparato
si vedano Dalton, Farrell e McAllister 2011, Müller e Strøm 2008, Naurin 2011, Strøm 2000), ciò
anche in ragione di una lunga esperienza di segno contrario sedimentata negli anni della Prima
Repubblica, gli studi che hanno fatto luce su questo aspetto hanno documentato la tendenza del
governo italiano a muoversi in quella direzione. Anche perché l’evoluzione generale
dell’organizzazione partitica ha portato a una sempre maggiore sovrapposizione tra i suoi organi
centrali (il party in central office) e il partito nelle istituzioni (il party in public office) – nella Prima
Repubblica alquanto distinti – con uno spostamento della principale fonte di autorità dagli apparati
esterni alle sedi parlamentare e di governo (Bardi et al. 2007). Si è rinsaldato, di riflesso, il
collegamento tra queste componenti anche per quanto attiene alle preferenze di policy. Alla luce di
quanto descritto, il programma di governo può rappresentare un referente empirico importante per
comprendere le relazioni all’interno della triade partiti-governo-elettori.
A partire dal 1994, i partiti che hanno governato si sono presentati con programmi separati
in alcune elezioni (1994, 2008) e di coalizione in altre (1996, 2001 e 2006). Il sistema elettorale può
aver influenzato questo tipo di scelta spingendo all’unità programmatica nel caso del maggioritario
e a una maggiore distinzione nel caso del proporzionale. Una prassi sembrava essersi imposta a
partire dal 1996, con una tenuta anche nel 2006 malgrado il passaggio al proporzionale, ma con
l’elezione del 2008 la definizione di un programma di coalizione è una pratica che si è interrotta.
Neanche l’indicazione del leader di coalizione è stata sufficiente a determinare una strategia
univoca. Ad esempio, gli stessi partiti che hanno indicato Berlusconi per tale ruolo hanno adottato
talvolta un programma comune e altre volte programmi separati. A quanto pare, il sistema non ha
ancora sviluppato una prassi consolidata, che invece caratterizza altre democrazie la cui esperienza,
da questo punto di vista, appare più solida. Infatti, mentre in Italia la messa a punto di programmi
di coalizione è una tendenza recente, in altri paesi gli accordi programmatici sono più diffusi e
risultano spesso stilati in termini più realistici e con lo scopo di rappresentare una forma di contratto
non solo tra partiti ed elettori, ma anche tra le diverse forze della coalizione, per ridurre il conflitto
inter-partitico e i costi di transazione all’interno della maggioranza (De Winter 2004, Müller e
Strøm 2008). In questi casi, l’effetto vincolante del programma per la definizione delle politiche
pubbliche è più stringente; tuttavia, come dimostreremo più avanti, anche la capacità dei partiti
italiani di proporre programmi plausibili e verificabili è andata affinandosi nel tempo.
Sebbene nell’esperienza italiana il collegamento di una coalizione a uno specifico
programma sia un fenomeno più recente e ancora fluido, gli studi condotti sul tema dimostrano
come anche qui l’importanza di questo nesso non sia trascurabile. I programmi elettorali sono
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diventati progressivamente più articolati dal punto di vista dei temi trattati e i loro contenuti
rispondono sempre più alle logiche della competizione downsiana, caratterizzata dalla convergenza
programmatica tra le diverse formazioni (Green-Pedersen 2007) per la conquista dell’elettore
mediano in una cornice tendenzialmente bipolare (Conti 2008). Inoltre, è stato dimostrato come a
partire dal 1996, lo sforzo dei governi italiani di dare seguito alle promesse elettorali sia diventato
più rilevante, attraverso l’attivazione dell’esecutivo su provvedimenti di natura programmatica
(Marangoni 2010) e l’approvazione di leggi di implementazione da parte del Parlamento (Moury
2001, Moury e Timmermans 2008). Queste risultanze empiriche depongono quindi a favore del
superamento del tradizionale sistema basato sulla legiferazione di tipo particolaristico (Capano e
Giuliani 2001), sganciata da ogni collegamento a impegni ampi assunti durante la fase elettorale o
al momento della formazione del governo. Anzi, la tendenza a considerare gli impegni
programmatici come il terreno privilegiato sul quale innestare l’attività legislativa ha prodotto un
rafforzamento della dinamica avversariale della politica italiana, in quanto la contrapposizione tra
maggioranza e opposizione nell’aula parlamentare è risultata più marcata proprio quando sono state
in discussione le proposte programmatiche del governo (Marangoni 2010).
L’interesse primario di questa analisi è analizzare come il governo Berlusconi IV si sia
collocato rispetto al modello di governo di adempimento, un esecutivo per il quale non è ancora
stata condotta una ricognizione analoga in quanto altri studi si sono arrestati all’analisi dei governi
precedenti (Moury 2011). In ragione della centralità che gli impegni programmatici hanno assunto
in molti paesi nel disciplinare le relazioni tra partiti, e tra partiti ed elettori, il principale obiettivo di
questo lavoro sarà, quindi, quello di approfondire in quale misura l’attività legislativa abbia mirato
all’attuazione del programma. Adottando il sentiero tracciato dalle sole leggi collegate al
programma, l’obiettivo sarà quello di procedere alla definizione delle attività che il governo ha
effettivamente messo in opera nell’ottica dell’adempimento1. Potremo così testare, in chiave
empirica, la congettura emersa nella letteratura secondo la quale nel corso della sua lunga
transizione anche il sistema italiano si sarebbe avvicinato alla tendenza diffusa di dare vita a
governi di adempimento.
Metodo
La letteratura comparata definisce come proposte programmatiche le affermazioni che
esprimono un sostengo inequivocabile per specifiche azioni del governo, oppure per dei risultati
(outcomes) chiari e verificabili (Moury 2011, Naurin 2009, Thomson 2001). Per inequivocabile si
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intende un sostegno che non sia solo ipotetico ed eventuale (es: solo al presentarsi di determinate
circostanze), ma fermo e univoco. Inoltre, sotto il profilo dell’operazionalizzazione, è fondamentale
che ogni proposta risulti verificabile, vale a dire che abbia un referente empirico, per esempio un
atto legislativo oppure un obiettivo finale accertabile (es: ridurre il tasso di disoccupazione al 5%).
In questo modo, è possibile stilare una gerarchia delle dichiarazioni contenute nel programma,
mettendo in evidenza gli impegni programmatici più completi (le proposte vere e proprie, definiti
pledges nella letteratura comparata) e riservando un diverso trattamento alle affermazioni più
generiche (semplici enunciazioni).
I dati utilizzati in questo lavoro sono originali e sono stati raccolti nell’ambito del progetto
Party Pledges and Democratic Accountability, coordinato dall’ISCTE-IUL di Lisbona. In
particolare, mentre le informazioni relative ai governi Berlusconi IV e Prodi II vengono presentate
qui per la prima volta, quelle relative ai governi precedenti fanno riferimento a dati raccolti da altri
studiosi e già presentati in precedenti lavori (Moury 2008, Moury e Timmermans 2008). Attraverso
l’uso di un libro codice e una procedura di codifica standardizzata, per tutti questi governi sono stati
classificati i contenuti dei programmi distinguendo tra proposte e enunciazioni. Successivamente,
attraverso l’analisi della legislazione, integrata dove necessario facendo ricorso a documenti
ufficiali per verificare il perseguimento degli obiettivi più ampi (es: statistiche ISTAT), si è stabilito
se ciascuna proposta è stata oggetto di una reale attivazione da parte del Parlamento.
Sebbene in questo tipo di analisi risulterebbe troppo ambizioso pretendere di avanzare stime
su quanta parte del programma sia stata realizzata efficacemente - ciò richiederebbe un esame
approfondito degli effetti delle singole leggi e una verifica che gli obiettivi programmatici siano
stati soddisfatti in pieno - il metodo adottato consente di stabilire in che misura il governo abbia
attuato misure legislative in linea con i punti del programma per tradurne, in tutto o in parte, gli
obiettivi annunciati in concreta realtà. Rispetto ad altri metodi, lo studio dell’attività legislativa
presenta indubbi vantaggi. Per esempio, l’analisi empirica ha messo in luce una tendenza alla
sottostima da parte dei cittadini della misura in cui il programma di governo viene effettivamente
attuato (Naurin 2009): il ricorso a dati sull’opinione pubblica può essere quindi rappresentativo di
un sentimento popolare, ma non della realtà fattuale. Allo stesso modo, metodi di collegamento
della spesa pubblica agli impegni programmatici (Budge e Hofferbert 1990) possono documentare
lo sforzo del governo solo in maniera parziale, considerata l’avanzata in Europa di politiche
regolative a costo zero e la contrazione delle politiche di spesa. Infine, l’esame in profondità delle
politiche pubbliche e una stima di quanto il programma di governo contribuisca a influenzarle
imporrebbe una analisi di policy su vasta scala dai costi molto alti e con difficoltà di
standardizzazione (da paese a paese, ma anche da politica a politica) non trascurabili, come già
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documentato da alcuni tentativi pioneristici (Imbeau et al. 2001). Riteniamo che, essendo
sufficientemente parsimonioso, il metodo adottato in questo lavoro non imponga limitazioni al
numero di settori di policy da considerare, permettendo un esame esaustivo dei livelli complessivi
di attuazione del programma di governo. Inoltre, grazie all’inserimento in una agenda di ricerca
internazionale, questo metodo ha il vantaggio della standardizzazione e permette di generalizzare i
risultati oltre il caso di studio, attraverso la comparazione con altri paesi.
I contenuti del programma del governo Berlusconi IV
La natura del programma del governo Berlusconi IV, già presentato alle elezioni del 2008
come piattaforma del Popolo della libertà (Pdl) e poi adottato come programma di governo, è
sicuramente multi-tematica, ma presenta allo stesso tempo una netta prevalenza di alcuni temi. Sono
diversi gli argomenti trattati ma, più che in passato, si riscontra un orientamento attento a bilanciare
la salienza della sfera economica e di quella sociale. Questa particolare connotazione fa sembrare
superato ogni tentativo di specializzare, in chiave neo-liberista, l’offerta programmatica del centro-
destra, come invece era sembrato possibile negli anni novanta quando i discorsi di Silvio
Berlusconi, con la sua discesa in campo, più volte avevano fatto riferimento agli effetti benefici del
mercato. Nel tempo, si assiste invece alla progressiva convergenza dell’offerta programmatica di
centro-destra e centro-sinistra e del sistema partitico nel suo complesso, intorno al tentativo di
bilanciare aspetti di liberalizzazione economica e di welfare state (Conti 2008). Si tratta di un
fenomeno che non deve stupire nell’ambito di una competizione bipolare, dove una certa
convergenza è fisiologica e il voto tende a non proporsi come scelta tra visioni opposte del mondo,
ma come un atto di fiducia verso chi è considerato più capace ad attuare un programma largamente
condiviso. Infatti, più che nella sfera socio-economica, le differenze tra centro-destra e centro-
sinistra sono rilevanti in altre questioni, quali quelle etiche, la sicurezza, la giustizia e
l’immigrazione. Quello che colpisce nel caso italiano è certamente il baricentro della competizione
politica, complessivamente più vicino a un modello di economia sociale di mercato che a un
modello neo-liberista, e la sotto-rappresentazione di questo orientamento ideologico nel complesso
dell’offerta politica.
Il programma del governo Berlusconi IV si articola nelle seguenti sette aree tematiche. In
linea con il turbolento quadro economico e finanziario internazionale, la figura 1 evidenza la
(prevedibile) elevata salienza della dimensione economica, declinata nelle due aree tematiche
denominate “rilancio dello sviluppo” (24,4%) e “finanza pubblica” (6,1%). Tuttavia, è interessante
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rilevare come questa dimensione risulti superata dal welfare, declinato in “sostegno alla famiglia”
(26%) e “servizi ai cittadini”2 (15,7%). Nel complesso, economia e welfare sono le due dimensioni
che ricoprono gran parte del programma (72,2%). Seguono poi “sicurezza e giustizia” (18,1%),
“Sud” (6,1%) e “federalismo” (3,1%). Un simile livello di analisi non permette ancora di andare a
fondo nei contenuti nel programma. Per esempio, anche se quantitativamente ridotti, i riferimenti al
federalismo avrebbero potuto avere una portata dirompente se tradotti in legge. In particolare, tra le
enunciazioni di principio a favore del decentramento dei poteri e del federalismo fiscale, spicca una
proposta: l’indicazione di voler approvare una proposta di legge di attuazione dell’art. 119 della
Costituzione, nella versione già adottata dal Consiglio Regionale della Lombardia il 19 giugno
2007, la quale avrebbe comportato un ripensamento profondo dei rapporti tra stato e regioni. Questo
è un esempio del fatto che non tutte le affermazioni hanno lo stesso peso e che il dato quantitativo
può celare una diversa qualità dei contenuti. In effetti, da questa serie di confronti che descrivono a
maglie larghe il programma politico del governo Berlusconi IV, non è possibile stabilire con
precisione quali siano le aree di intervento più ambiziose sotto il profilo delle azioni di governo. Pur
riconoscendo i limiti di questo livello di analisi, insiti nel considerare tutte le proposte/enunciazioni
come aventi lo stesso peso, una prima gerarchia di impegni emerge chiaramente.
Volendo adesso approfondire la natura dei contenuti, è interessante sottolineare come il
78,8% del programma del PdL contenga proposte precise (pledges), vale a dire specifiche azioni
sulle quali il governo promette di impegnarsi fattivamente, mentre la parte rimanente riporta
semplici enunciazioni. In termini assoluti, la quantità di proposte (100) risulta più bassa rispetto ai
governi Prodi I (274) e II (294) e Berlusconi II-III (183)3. Si tratta di una differenza che depone a
favore di una maggiore precisione degli impegni e di un ambito d’azione più circoscritto e
verificabile in termini di responsabilità assunte dal governo: una logica che potremmo definire in
linea con l’esecutivo di adempimento. Le spiegazioni che si celano dietro questa scelta potrebbero
essere molteplici. A tal proposito, vale la pena rilevare che nessuno dei precedenti governi della
Seconda Repubblica è mai stato confermato alle successive elezioni e il problema ha riguardato tutti
gli esecutivi maggioritari, sia nel caso di governi più brevi (Prodi I nel 1996-1998, Prodi II nel
2006-2008) che di governi di legislatura (possiamo considerare tali Berlusconi II-III nel 2001-
2006). In un sistema di competizione bipolare dove i cittadini sono chiamati a scegliere il governo
anche sulla base di un programma, essi prestano maggiore attenzione agli impegni assunti dai
partiti, verificano la congruenza con le loro aspettative e una parte consistente di essi vota
aspettandosi che i rappresentanti politici non vengano meno alla parola data (Powell 2005). La
popolarità risente (anche se non esclusivamente) di questi fattori, così a impegni troppo estesi in
numero e ambizione corrispondono aspettative molto forti, o disorganiche, da parte dei cittadini.
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Guardando per esempio al recente passato, la natura troppo complessa del programma del governo
Prodi II aveva sollecitato forti critiche nei confronti del leader dell’Unione, in quanto contravveniva
al principio di responsabilità dell’esecutivo rispetto a impegni credibili. La lettura stessa del
programma risultava difficoltosa, dal momento che a un altissimo numero di dichiarazioni (717)
corrispondeva un più ridotto numero di vere proposte (294, pari al 41%), accompagnate da un
cospicuo numero di enunciazioni (423) che rendevano particolarmente complicata l’individuazione
degli impegni e ogni monitoraggio dell’attivazione su questi.
Diametralmente opposto è il caso del programma del governo Berlusconi IV che, pur
adottando un documento limitato nei contenuti, può essere ritenuto ad alto grado di propositività:
con vari livelli di specificità, le proposte corrispondono infatti a circa 4/5 del programma, mentre la
parte rimanente è costituita da un corollario di semplici enunciazioni. Ci troviamo, quindi, di fronte
a un programma articolato e al tempo stesso parsimonioso nei contenuti, dove la proposta prevale
nettamente sull’enunciazione, senza lasciare molto spazio all’incertezza legata a fattori esterni,
malgrado la presenza di una crisi economica ormai ben oltre la semplice fase di gestazione. Si tratta
in definitiva di un programma molto assertivo, meglio calibrato rispetto ai programmi del passato (e
al Prodi II in particolare) dal punto di vista della proposta, forse non del tutto in linea con la
congiuntura critica che ha investito l’Italia imponendo gravi vincoli di spesa e una traiettoria non
certo in armonia con gli obiettivi del governo. Berlusconi è stato attento a non esagerare la quantità
di impegni assunti dinanzi agli elettori, come invece era avvenuto per i governi precedenti sui quali
era pesato un conseguente senso di delusione da parte dei cittadini, ma al tempo stesso ha generato
molte aspettative quanto alla fattibilità delle proposte, presentando il campo degli interventi in un
quadro di isolamento dal difficile contesto esterno e dai problemi interni alla coalizione che, invece,
si sarebbero rivelati fatali.
L’attivazione sul programma
Sebbene il governo sia caratterizzato da un programma assertivo, le realizzazioni sono state
ben più limitate, come conferma un lavoro di Cotta et al. (2011) che, analizzando i contenuti delle
proposte di legge varate dal Consiglio dei Ministri, suddivide l’arco temporale in tre specifiche fasi.
Una prima, denominata “aurea” (primi 4 mesi), con livelli di concentrazione programmatica
dell’iniziativa legislativa superiori al 60%; una seconda “di crociera”, dove l’iniziativa
programmatica scende fino al 50% (inizi del 2010); una terza “critica”, in cui la percentuale di
iniziative da programma scende al 29% (dimissioni di Berlusconi a fine 2011). Dato l’evidente
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declino, gli autori ipotizzano una lunga fase di crisi del governo da far risalire già alla prima metà
del 2010.
In contrapposizione, si potrebbe però ipotizzare che l’impegno sul programma abbia avuto
un decorso per esaurimento, declinando man mano che le proposte trovavano una traduzione anche
dal punto di vista legislativo. Risulta quindi opportuno analizzare quante proposte sono state
effettivamente trasformate in legge. Detto in altri termini, quante delle iniziative di origine
governativa hanno trovato attuazione, diventando vere e proprie leggi dello Stato. E in che misura il
successo dell’iniziativa governativa della fase iniziale abbia ridotto il margine degli interventi da
compiere nelle fasi successive. Muovendo da questi due quesiti di ricerca, in questo e nei prossimi
paragrafi, si è ritenuto opportuno:
1) esaminare la totalità di realizzazioni rispetto agli impegni assunti nel programma;
2) mettere a confronto le iniziative programmatiche del governo e le leggi votate dal
Parlamento;
3) comparare la capacità degli esecutivi della Seconda Repubblica di tradurre in legge il
programma di governo.
Iniziando dal primo punto, la procedura adottata per discriminare tra i contenuti
programmatici, in linea con le prassi in uso in questo tipo di studi e per una migliore operabilità del
nostro metodo, è consistita nell’esclusione dall’analisi di quelle affermazioni che corrispondono a
una generica missione di programma o a semplici dichiarazioni di principio (che abbiamo già
definito enunciazioni). Si tratta di un metodo di per sé generoso, in quanto opera una riduzione della
base sulla quale calcolare la percentuale di realizzazioni perseguite. Un programma che contiene
una larga parte di enunciazioni finisce inevitabilmente per essere favorito da questo metodo, in
quanto queste vengono scartate dal computo. Abbiamo già visto nel paragrafo precedente come nel
programma del Berlusconi IV le proposte ricoprano in realtà la gran parte dei contenuti, mentre le
enunciazioni vi figurano più che altro come corollario. Quindi, utilizzare come base per il nostro
calcolo le sole proposte non comporta una distorsione sostanziale dei contenuti del programma, ma
permette una definizione più puntuale degli impegni assunti4. Diverso invece è il caso del
programma del Prodi II dove abbiamo visto le enunciazioni prevalere sulle proposte (presenti
comunque in grande quantità e in termini assoluti in misura perfino maggiore rispetto al Berlusconi
IV). La comparazione tra i due governi dovrà quindi tenere conto di queste differenze, insite nella
struttura originale dei programmi.
Soffermandoci quindi sulle sole affermazioni che prevedono un obiettivo programmatico
tangibile e verificabile (pledges), risulta che a conclusione di un periodo di vita di complessivi 43
mesi del governo Berlusconi IV sono state tradotte in legge (integralmente o parzialmente) 47
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proposte su un totale di 100: per ogni due proposte meno di una è stata implementata. In definitiva,
considerato che il valore complessivo delle realizzazioni attraverso leggi, sul totale delle proposte,
si attesta al di sotto del 50%, il bilancio non appare positivo. Certamente ha pesato lo scioglimento
anticipato del governo rispetto alla conclusione naturale della legislatura: l’esecutivo ha avuto una
vita più breve rispetto a un orizzonte temporale di cinque anni, che avrebbe lasciato maggior tempo
per l’attuazione del programma. Tuttavia, come documentato di seguito, considerata la tendenza
associata agli ultimi due anni di vita, probabilmente non sarebbe bastato un allungamento del
mandato a migliorare la performance complessiva dell’esecutivo.
Così come anticipato al punto due, un bilancio sulla capacità del governo Berlusconi IV di
mettere in atto il programma può essere meglio formulato alla luce di una comparazione con i dati
sull’iniziativa legislativa di origine governativa. Dall’analisi condotta da Cotta et al. (2011) risulta
che (escludendo i disegni di legge di ratifica internazionale) il 42,4% delle proposte del programma
ha in effetti dato luogo a una qualche iniziativa da parte dell’esecutivo5, un valore percentuale di
attivazione programmatica molto vicino a quello rilevato in questo lavoro (47%). Sovrapponendosi
abbastanza all’iniziativa del governo, tale similarità appare suggerire l’esistenza di una compagine
politica che, ponendo obiettivi programmatici chiari all’orizzonte della propria azione, ha operato in
maniera efficace per la loro realizzazione, secondo una attenta regia dei lavori di governo e
Parlamento. Tale immagine, però, sembra scontrarsi con quella di una maggioranza in realtà assai
litigiosa e destinata all’implosione a seguito della scissione di alcune sue componenti e sollecita un
approfondimento delle dinamiche che caratterizzano il fenomeno oggetto d’analisi.
Alla luce dei dati raccolti è possibile affermare che la maggioranza a sostegno del governo
Berlusconi IV ha esordito come una compagine realmente disciplinata e impegnata su precisi
obiettivi di programma. Nel periodo fino al 2009, ben 81 convergenze tra atti normativi e proposte
del programma hanno caratterizzato il governo Berlusconi IV6. Pur trattandosi di un impegno di
tutto rilievo, la capacità della maggioranza parlamentare di dare seguito agli impegni assunti con il
programma si è però ridotta drasticamente nel tempo, lasciando la sua missione, come
precedentemente dimostrato, largamente incompiuta. A conferma di ciò, nel 2010 e 2011 si rilevano
rispettivamente solo 10 e 5 convergenze tra atti normativi e proposte programmatiche. Questo
significa che, in una fase iniziale, il governo è stato sostenuto da una maggioranza parlamentare ben
allineata sugli obiettivi, entrambi impegnati nell’adempimento al programma, coordinati da un
esecutivo la cui iniziativa ha potuto contare su un certo successo all’interno del Parlamento. Ma la
situazione è precipitata rapidamente quando le divisioni all’interno della maggioranza sono
diventate manifeste: la compagine ha cessato di lavorare per obiettivi disallineandosi rispetto al
programma. Molte iniziative di origine governativa, peraltro declinanti nel tempo, sono naufragate
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nelle aule parlamentari dove, nel medesimo lasso temporale, il livello di realizzazione
programmatica è risultato molto modesto. L’uscita dalla maggioranza dei parlamentari che hanno
aderito a Futuro e libertà (Fli) e la loro sostituzione con nuove aggregazioni, costituite in
Parlamento riunendo alcuni rappresentanti dell’opposizione (i Responsabili), segna effettivamente
un passaggio alla forma di governo di transazione, con una definitiva perdita di centralità del
programma nella definizione dell’indirizzo politico.
Integrando le risultanze empiriche del nostro studio con le osservazioni già avanzate da
Cotta et al. (2011) – disponendo così del quadro delle iniziative di governo e dell’attività
parlamentare – si può verosimilmente sostenere che la prima ‘fase aurea’ può essere estesa fino al
2009, quando molte proposte del programma sono state trattate e di tutto rilievo sono apparsi
(almeno dal punto di vista quantitativo) gli atti legislativi a esse collegate. Buono anche il raccordo
tra il governo e il Parlamento, un anno e mezzo è stato sufficiente per l’attivazione di entrambe le
istituzioni su una vasta serie di impegni. Se il governo ha avuto un ruolo-guida nel determinare
l’agenda politica fino al 2009, il Parlamento ha comunque portato a termine un numero rilevante di
atti collegati al programma. Questo è il segno di una certa armonizzazione tra l’esecutivo e la sua
maggioranza parlamentare e di una fusione tra queste due componenti del party public office in una
prospettiva di adempimento.
Successivamente l’andamento è stato invece di tipo negativo. A partire dal 2010, il numero
di leggi approvate dal Parlamento in attuazione del programma è apparso irrisorio. Da quel
momento, l’iniziativa legislativa di origine governativa appare più che altro di “bandiera”, destinata
a rimanere incompiuta malgrado i numerosi impegni rimasti irrealizzati. Le diverse componenti del
party public office attraversano una vera e propria disgregazione e non sembrano più rispondere a
una regia comune, rivelando invece una certa asimmetria, come dimostrano le divisioni trasversali
che hanno portano numerosi parlamentari ad abbandonare la maggioranza per aderire ad altri gruppi
parlamentari (Fli, Unione di centro), mentre più limitate risultano le defezioni all’interno
dell’esecutivo da parte di ministri7. Possiamo quindi parlare di una lunga fase di “naufragio” del
governo Berlusconi IV, osservabile nell’attività parlamentare a partire dal 2010 e destinata ad
acutizzarsi nel tempo.
In altri termini, la vita del governo Berlusconi IV, analizzata attraverso l’intera attività
legislativa, può essere riassunta in due fasi: una prima etichettabile come ‘aurea’, da far risalire fino
al 2009, e una successiva dove si assiste a un vero e proprio ‘naufragio’. Le ragioni di questi
sviluppi possono essere endogene, relative alle trasformazioni della maggioranza, così come
esogene, attinenti alle forti pressioni scaturite dalla crisi economica. Sebbene rilevanti, anche per
ragioni di spazio, nelle prossime pagine non tutti questi aspetti potranno essere approfonditi, mentre
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sarà sviluppata un’ampia descrizione della perdita di traiettoria della maggioranza, il dissolversi
della leadership politica del governo sul Parlamento e il definitvo abbandono del modello di
governo di adempimento.
La gerarchia degli interventi
Dal punto di vista dei contenuti, nel caso del Berlusconi IV le realizzazioni programmatiche,
pur seguendo un andamento altalenante, rivelano una chiara e certa gerarchia delle azioni. La
congiuntura economica può aver contribuito alla definizione di un mutato ordine di priorità rispetto
al programma, per esempio rendendo difficili le politiche distributive di welfare state. Tuttavia,
come vedremo, questa non può essere l’unica spiegazione del fenomeno e una precisa volontà
politica può invece aver determinato livelli di attivazione consistenti in altri settori. Infatti, una serie
di issues care all’elettorato di centro-destra e di quello leghista ha conosciuto effettivamente un
intervento legislativo (tra gli altri, le disposizioni in materia di sicurezza pubblica). Inoltre, non
possiamo non ricordare gli ampi sforzi che a lungo hanno impegnato il Parlamento nel tentativo di
intervenire sulla giustizia e sul processo, alcuni dei quali si sono poi rivelati fallimentari (legge sul
legittimo impedimento, lodo Alfano, legge sulle intercettazioni, processo breve). Nell’area
economica, l’andamento è stato migliore dal punto di vista del capitolo “rilancio dello sviluppo”,
grazie alla legiferazione su misure afferenti alla semplificazione burocratica, alle aziende e ai
distretti industriali, alla difesa del made in Italy (il riferimento è alla quantità di interventi, non al
loro outcome, ovvero alla capacità di risolvere in concreto il problema originario della bassa
crescita economica). Viceversa, il bilancio è più negativo quando si considera l’altro capitolo, il
“piano straordinario di finanza pubblica”, dove gli interventi collegati agli impegni programmatici
risultano più modesti, anche perché i pesanti vincoli di bilancio hanno imposto una diversa
direzione. Invece, contrariamente a quanto promesso nel programma, le realizzazioni hanno
riguardato solo in minima parte il welfare. Quando ciò è avvenuto, spesso si è trattato di interventi
regolativi a costo zero, o di interventi con una dotazione finanziaria molto contenuta (un’eccezione
è rappresentata dall’abolizione dell’Ici sulla prima casa). L’intervento nelle altre aree di policy è
apparso pure intermittente, come si osserva nella tabella 1.
Complessivamente, il bilancio migliore si è avuto nelle aree “federalismo” (una sola
proposta che prevedeva un riequilibrio della fiscalità con un trasferimento importante di risorse alle
regioni e 100% di attuazione grazie alla legge delega 42/2009 sul federalismo fiscale, ma dovendo
ancora essere emanati molti dei decreti attuativi è doveroso sottolineare che lo sforzo potrebbe
Convegno SISP, Roma 13-15 Settembre 2012 N. Conti
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rivelarsi vano), “più sicurezza, più giustizia” (63,2%), “rilanciare lo sviluppo” (56,7%) e “Sud”
(50%). Seguono poi, in misura ben inferiore, “sostenere la famiglia” (34,4%), “servizi ai cittadini
(30%) e “piano straordinario di finanza pubblica” (25%).
I dati in nostro possesso permettono di confermare quanto già rilevato da Cotta et al. (2011),
secondo i quali a parte il Ministro degli Esteri (che ha firmato il 45% delle proposte di legge
presentate dall'esecutivo riguardanti principalmente ratifiche internazionali), all’interno del governo
vi è stato un “nucleo forte” che ne ha orientato le attività, firmando una gran parte delle iniziative
legislative: in primis il Presidente del Consiglio (coinvolto come firmatario, o co-firmatario, in circa
il 35% delle iniziative) e i ministri dell'Economia e della Giustizia (con percentuali di
coinvolgimento pari al 22% e al 17% circa), seguiti dai ministri della Difesa e dell’Interno.
Sicurezza e giustizia e economia sono, a esclusione del federalismo, le aree per le quali abbiamo
registrato i più alti livelli di attuazione programmatica. Questo dimostra una netta gerarchia nelle
priorità dell’esecutivo che si manifesta già nei lavori del Consiglio dei Ministri, ma forse perfino sin
dalla selezione degli stessi ministri. Per esempio, la coincidenza tra una bassa attivazione del
Ministro del welfare e le modeste realizzazioni programmatiche in questo ambito rivela un
problema (o una scelta?) di ordine strutturale, tanto più stridente rispetto alla già documentata
natura marcatamente “sociale” del programma.
In definitiva, esiste una certa incongruenza nell’attività del governo, tra impegni
programmatici e realizzazioni concrete. Difficile risulta stabilire se l’inversione di rotta rispetto agli
impegni assunti nella fase elettorale abbia portato benefici complessivi dal punto di vista del policy-
making, o se si sia trattato di scelte prive di alternativa considerato il deteriorato quadro economico
internazionale e le sopraggiunte pressioni sull’Italia. Non è obiettivo di questo lavoro formulare
questo tipo di valutazioni, mentre ai fini del nostro studio maggior rilievo assume
l’approfondimento delle congetture avanzate nel paragrafo precedente. Infatti, non solo dopo un
inizio positivo il governo ha abbandonato la modalità operativa di adempimento al programma, ma
anche quella parte del programma che ha potuto contare su un adempimento parziale è risultata
fortemente sbilanciata a favore di alcuni settori, tradendo l’impostazione complessiva degli impegni
che, come visto, enfatizzavano molto gli interventi a favore del welfare. In maniera un po’
grossolana, si potrebbe sintetizzare che la coalizione guidata da Silvio Berlusconi ha vinto le
elezioni sulla base di un programma, ma ha poi governato secondo un diverso programma e forse
addirittura in totale assenza a partire dal 2010. Nella fase elettorale e di insediamento del governo il
PdL ha coperto alcuni temi sociali vicini all’elettorato di centro-sinistra (come già rilevato da
Ricolfi, 2010), ma nell’attività che è seguita sono stati privilegiati i temi più cari all’elettorato di
centro-destra quali quelli relativi alla giustizia e alla sicurezza, complice certamente il ruolo giocato
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dalla Lega. Il PdL ha quindi adottato uno stile elettorale di tipo strategico, orientato a raccogliere
consensi anche nel campo avversario, ma ha poi stravolto la gerarchia degli impegni una volta al
governo rientrando nei ranghi delle priorità più vicine al centro-destra, prima di perdere
definitivamente ogni traiettoria di tipo programmatico.
Le pressioni causate dalla crisi finanziaria hanno certamente inciso negativamente sul
repertorio di policy del governo, legandone le scelte a una serie di vincoli esterni molto stringenti.
Questo potrebbe creare un problema più ampio dal punto di vista della riflessione teorica: per i
governi europei non è più possibile l’aderenza a un programma, data la preminenza assunta dagli
impegni con le istituzioni sovranazionali rispetto alle promesse fatte ai cittadini, soprattutto nelle
congiunture di crisi come quella attuale. Il modello di governo di adempimento potrebbe essere
messo in crisi da queste evoluzioni e nuove proposte teoriche dovrebbero intervenire per spiegare il
modus operandi dell’esecutivo. Nello specifico, il governo Berlusconi IV è apparso, comunque,
particolarmente deficitario dal punto di vista dell’adempimento, attraversato da una fase iniziale di
slancio (ancorché selettivo e non del tutto armonico con il programma), seguita a breve da una
totale perdita di rotta.
Il confronto con i precedenti governi
Nel confronto con i governi che lo hanno preceduto, dal punto di vista dell’implementazione
del programma, il governo Berlusconi IV risulta pure problematico. Dai dati della tabella 2 si
evince che la XVI legislatura è quella che ha conosciuto i livelli più bassi di realizzazione
programmatica. In realtà, vale la pena precisare che per questa legislatura abbiamo considerato solo
i tre anni e mezzo di durata del Berlusconi IV, mentre per le precedenti facciamo riferimento alle
realizzazioni complessive di una intera legislatura, anche a fronte dell’avvicendarsi di più governi
(Prodi I, D’Alema I e II e Amato II nella XIII legislatura, Berlusconi II e III nella XIV legislatura)
in quanto in questi casi nel quinquennio di riferimento la maggioranza parlamentare non è cambiata
in maniera sostanziale (come invece è accaduto nel 2008 con la formazione di un esecutivo tecnico
guidato da Monti). A fronte di questa precisazione, le legislature precedenti hanno conosciuto livelli
medi di attuazione del programma del 56%, con livelli più alti nella XIV (Berlusconi II-III, 58,5%)
e più bassi nella XV legislatura durata poco più di un anno e mezzo (Prodi II, 52,7%). Peraltro,
quest’ultima è stata particolarmente breve, ma l’attivazione sul programma appare di tutto di rilevo,
in quanto le proposte diventate oggetto di un intervento legislativo sono state ben 155, un dato
comparabile in termini assoluti a quello dei precedenti governi e più che triplo rispetto al Berlusconi
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IV. Tuttavia, nel caso del Prodi II pesano non poco le mancate realizzazioni. Infatti, come
precedentemente descritto, il programma risultava particolarmente sovraccarico dal punto di vista
propositivo (e lo sarebbe ulteriormente se si tenesse conto anche dei contenuti enunciativi, che non
consideriamo in questo lavoro e quindi non figurano nel calcolo sviluppato nella tabella 2). Più in
generale, questa tendenza riguarda soprattutto i governi guidati da Prodi, cui corrisponde però una
evidente capacità di attivazione in tempi molto brevi su numerosi punti del programma, segno di
una certa efficienza nell’organizzazione del governo, che però si è dovuta scontrare con i limiti di
una maggioranza risicata e sfilacciata.
A questo punto è d’obbligo avanzare una precisazione circa la congettura iniziale secondo la
quale il sistema italiano si sarebbe mosso verso un modello di governo di adempimento. In realtà, il
quadro è piuttosto discontinuo; questa tendenza può essere confermata solo nei casi in cui a guidare
l’esecutivo è il leader della coalizione che ha vinto le elezioni (Prodi I-II e Berlusconi II-III-IV).
Mentre ogni cambiamento nella leadership di governo o nella maggioranza che lo sostiene spinge il
sistema verso un modello di governo di transazione (si vedano i dati nella tabella 2 su D’Alema I-II,
Amato II, ma si pensi anche alla fase finale del Berlusconi IV e ai cambiamenti all’interno della sua
maggioranza). La tendenza non è quindi affatto lineare e ciò dimostra che la Seconda Repubblica
non è ancora approdata a un modello che privilegia chiaramente la responsabilità del governo
intorno a precisi impegni programmatici, sia tra partiti che verso gli elettori. Anzi, la migliore
definizione del programma di governo, che pure è andata affinandosi nel tempo, si scontra con le
spinte più centrifughe del sistema che causano governi instabili, concentrazione dell’attivazione
programmatica nella fase iniziale della legislatura, conseguente senso di delusione nei cittadini e
risultati negativi per i governi uscenti alle elezioni. Questi problemi non hanno riguardato solo il
centro-destra nel 2008-2011, ma anche i precedenti governi. Si tratta di fenomeni che possono
contribuire ad allontanare il governo dai cittadini, alimentando un’immagine diffusa di
autoreferenzialità della politica e disinteresse verso gli impegni che questa assume con gli elettori.
Anche con queste specificazioni su alcune linee generali del sistema, il bilancio del
Berlusconi IV appare ad ogni modo problematico. A fronte di una durata più che doppia del Prodi
II, l’attivazione sui punti del programma è stata percentualmente inferiore e molto
sottodimensionata in termini assoluti. Una serie di punti programmatici di portata ambiziosa
(riforma della giustizia) ha impegnato per molto tempo il governo e il Parlamento, ma non ha
trovato una compiuta realizzazione dal punto di vista legislativo, mentre altri punti del programma
sono stati evidentemente accantonati. Peraltro, Berlusconi ha potuto contare sul vantaggio iniziale
di una maggioranza ampia, ma evidentemente questa condizione ha inciso solo relativamente sulla
capacità di attuazione degli obiettivi enunciati. I governi a maggioranza più risicata guidati da Prodi
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hanno conosciuto livelli di attivazione sul programma molto alti, anche a fronte di un tasso di
successo parlamentare delle proposte di legge governative complessivamente limitato (poco più del
35% per Prodi II, cfr. Cotta, Marangoni e Verzichelli 2008). In questo caso, la macchina
governativa appare essersi mossa in maniera più sistematica per adempiere al programma, anche se
poi si è dovuta scontrare con un Parlamento diviso, anche all’interno della stessa maggioranza.
Questo fa capire che lo sforzo di Prodi di dare seguito alle proposte programmatiche è stato di tutto
rilievo, infatti in un tempo molto limitato molte di queste hanno conosciuto un intervento
legislativo, pure a fronte di un rapporto non proprio armonico tra governo e Parlamento sin dagli
inizi della legislatura. In definitiva, i livelli di implementazione del programma da parte di Prodi II
sono risultati superiori rispetto al Berlusconi IV. Su questo dato potrebbe pesare il sistema di
calcolo dei livelli di implementazione rilevato sulle sole proposte che, come abbiamo visto, nel caso
di Prodi II riguardano solo il 43% del programma (78,8% per Berlusconi IV). Si tratta, comunque,
in termini assoluti di 294 proposte (a fronte delle 100 proposte del governo Berlusconi IV), di cui
oltre la metà ha conosciuto una traduzione almeno parziale in un lasso di tempo breve. Questo
confronto può dare la misura di un esito non certo positivo dell’attività programmatica del governo
Berlusconi IV.
In chiave comparata, invece, i governi monopartitici britannici riescono ad attivarsi per
tradurre le promesse elettorali in decisioni autoritative in maniera più puntuale dei governi italiani.
Ma esiste evidentemente un complesso di fattori che determina il successo di un programma di
governo, dove la forza e la struttura monopartitica della maggioranza parlamentare, oppure la natura
pre-elettorale dell’accordo di coalizione, non costituiscono condizioni necessarie per un buon
risultato (come dimostra peraltro la comparazione tra Berlusconi IV e Prodi II). Per esempio, come
illustrato nella tabella 3, anche i governi di minoranza (es: Svezia), o le coalizioni post-elettorali
(es: Irlanda, Olanda), possono avere alti livelli di attivazione sul programma (Costello e Thomson
2008, De Winter et al. 2000, Naurin 2009, Thomson 2001). Peraltro, in chiave comparata, vediamo
che l’Italia si pone ai livelli più bassi, con delle oscillazioni importanti già documentate in questo
lavoro e che vedono il recente governo Berlusconi IV in una posizione piuttosto sfavorevole.
L’analisi empirica dimostra quindi l’esistenza di governi più impegnati sul programma, dotati di
maggiore capacità di guidare l’agenda e ricondurla a impegni prefissati, ma le ragioni di queste
diversità rimangono in larga misura inesplorate dalla letteratura. Per il caso italiano, alla luce dei
risultati dell’analisi la natura pre-elettorale 1) della coalizione 2) del leader e 3) del programma di
governo possono aver avuto un’influenza positiva sull’attuazione. Si tratta tuttavia di fattori
esplicativi che andrebbero esaminati più approfonditamente, mentre il presente studio si è limitato
essenzialmente a una analisi di tipo descrittivo. Da questo punto, la ricerca potrebbe trarre un sicuro
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arricchimento da una analisi approfondita delle spiegazioni, con l’esame dei fattori che hanno
determinato i diversi esiti del sistema italiano rispetto agli altri paesi, ma anche tra i diversi governi
della Seconda Repubblica.
Conclusioni
Il quadro complessivo delle realizzazioni del governo Berlusconi IV e il loro collegamento
al programma è risultato piuttosto frammentato. L’attuazione (misurata attraverso l’esame delle
leggi di implementazione del programma) non riflette pienamente gli impegni che l’esecutivo ha
assunto. Sono molti i punti che hanno conosciuto un’attivazione solo parziale e l’iniziativa
programmatica del governo è risultata progressivamente declinante e fallimentare. In realtà, il
governo ha avuto una fase di avvio molto promettente con livelli di attivazione sul programma
piuttosto elevati e un buon raccordo con il Parlamento. A questa fase breve ne è seguita una più
lunga di evidente perdita della traiettoria e abbandono del modello di governo di adempimento.
Abbiamo tuttavia documentato trattarsi di un fenomeno ricorrente nel caso italiano, dove a
un’immediata fase post-elettorale di intensa attivazione sul programma segue puntualmente una
fase di transazione incentrata più che altro sul negoziato per le nomine politiche cui non corrisponde
una definizione altrettanto puntuale delle policy, oppure di totale deriva della maggioranza (Prodi
II). Si tratta di una continua oscillazione tra due modelli - per certi versi opposti - che ben rende
l’idea della transizione che attraversa il sistema, tra spinte maggioritarie e per un governo
responsabile su precisi impegni di policy e pressioni di tipo proporzionalistico e perfino
consociativo.
Con riferimento alla congettura di partenza, nel complesso la nostra analisi mette in
evidenza come il governo italiano non abbia abbracciato il modello di adempimento in maniera
stabile. Alcune fasi hanno visto un avvicinamento a quel modello, segnando un cambiamento
importante rispetto al passato, ma solo in presenza di una maggioranza e un capo di governo di
derivazione elettorale, mentre ogni variazione a quel tipo di compagine ha comportato un
allontanamento. In questo quadro, il governo Berlusconi IV è apparso piuttosto distante
dall’adempimento al programma, abbandonato già a partire dal secondo anno di mandato; questo
caso pone quindi una sfida alle congetture che hanno anticipato la tendenza del caso italiano ad
allinearsi a un modello di responsabilità politica incentrato sul rispetto di precise proposte
programmatiche. In alcune fasi, questa tendenza è risultata effettivamente più evidente, ma nel
complesso il caso italiano può definirsi una forma ibrida, caratterizzata da pressioni di segno
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opposto che spingono a una continua fluttuazione tra la responsabilità e l’indifferenza verso ogni
impegno programmatico prefissato dall’esecutivo.
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Fig. 1 – L’articolazione del programma del governo Berlusconi IV per macro-aree tematiche
(%)
Tab. 1 – L’attuazione delle proposte programmatiche del governo Berlusconi IV secondo il
settore di policy (percentuali tra parentesi)
Proposte programmatiche …di cui interessate da intervento legislativo
Il federalismo 1 1
(100)
Rilanciare lo sviluppo 30 17
(56,7)
Più sicurezza, più giustizia 19 12
(63,2)
Sostenere la famiglia 32 11
(34,4)
Il Sud 4 2
(50)
Servizi ai cittadini 10 3
(30)
Piano straordinario di finanza
pubblica
4 1
(25)
Totale 100 47
(47*)
* la percentuale totale è calcolata sulle proposte totali del programma (N=100)
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Tabella 2: Attuazione del programma di governo (percentuali e valori assoluti tra parentesi)
XIII Legislatura
(1996-2001)
XIV Legislatura
(2001-2006)
XV Legislatura
(2006-2008)
XVI Legislatura
(2008-2011)
Attuazione almeno
parziale
Intera legislatura
56,9
(156)
Di cui Prodi I
40,9
(112)
58,5
(107)
52,7
(155)
47
(47)
Nessuna attuazione Intera legislatura
43,1
(118)
Di cui Prodi I
59,1
(162)
41,5
(76)
47,3
(139)
53
(54)
Tot. 100
(274)
100
(183)
100
(294)
100
100 Nota: L’attuazione è stata calcolata in termini di atti legislativi riconducibili alle proposte del programma di governo. Nel computo non rientrano invece i punti del programma codificati come semplici enunciazioni. I dati del 1996-2006 (legislature XIII e XIV) sono adattati da Moury (2011), gli altri dati sono stati calcolati dall’autore applicando lo stesso metodo.
Tabella 3: Attuazione del programma di governo in diversi paesi
Realizzazione almeno parziale
Svezia 1994-2002 89%
Regno Unito 1974-1997 85%
Stati Uniti 1976-2000 65%
Norvegia 2001-2005 60%
Francia 1997-2007 60%
Olanda 1986-1998 57%
Spagna 1993-2000 55%
Italia 1996-2011 54% Irlanda 1977-2007 52%
Repubblica Ceca 1992-2006 45%
Fonte: adattamento da Naurin 2009 (elaborazione dell’autore di Italia 1996-2011).
Convegno SISP, Roma 13-15 Settembre 2012 N. Conti
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1 Naturalmente, l’agenda del governo non si esaurisce con il suo programma, per forza di cose incompleto rispetto all’attività di un’intera legislatura, ma si attiva anche su altre questioni, per esempio sull’onda di emergenze o di nuove
priorità emerse in seno alla sua maggioranza, nella società, oppure sollevate dall’opposizione. L’analisi degli interventi
esterni al programma e la loro interazione con gli impegni programmatici rappresenta di per sé un problema di ricerca
(si vedano Baumgartner et al. 2011e Sulkin 2005) che non sarà trattato in questo lavoro. 2 Questa area tematica contiene circa 2/3 di riferimenti alla sanità e all’istruzione e circa 1/3 all’ambiente. 3 Per i governi Prodi I e Berlusconi II-III facciamo riferimento ai dati riportati da Moury (2011), mentre per Prodi II
trattasi di una elaborazione dell’autore. 4 La somma delle proposte (100) e delle enunciazioni (27) equivale a un totale di 127 dichiarazioni. 5 Nello studio di Cotta et al. (2011) non è presente la distinzione tra proposte e enunciazioni, la proporzione di
iniziative legislative è stata quindi calcolata sul totale delle dichiarazioni (127). 6 A ogni proposta del programma può corrispondere più di una legge attuativa, ecco perché il totale delle convergenze supera le 47 realizzazioni complessive di proposte del programma. D’altra parte, un atto normativo può implementare
contemporaneamente più proposte.
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7 A lasciare i rispettivi incarichi di governo sono solo Andrea Ronchi, Adolfo Urso, Roberto Menia e Antonio
Buonfiglio.