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DALLA VIOLENZA ALL’IMPEGNO STORIE AL FEMMINILE PER COSTRUIRE CAMBIAMENTO

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DALLA VIOLENZAALL’IMPEGNO

STORIE AL FEMMINILEPER COSTRUIRE CAMBIAMENTO

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Questa pubblicazione è stata realizzata dal settore formazione e memoria di Libera. Si ringraziano, in particolare, docenti e studenti per l'impegno profuso, le studiose per il prezioso contributo offertoci e infine la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Pari Opportunità- per il contributo concesso.

pubblicazione realizzata daLibera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie

Via Marcora 18/20 - 00183 RomaTel 06 69770341 / 23mail [email protected] / [email protected]

Progetto grafico e impaginazione Francesco Iandolo

Gennaio 2018

Progetto realizzato con il contributo della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Pari Opportunità

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Introduzionedi Elisa Crupi

Antimafia e movimenti femminilidi Alessandra Dino

Memoria, generi e violenza.Lotta alle mafie a partire dai corpi e dai sentimenti.di Sabrina Garofalo e Ludovica Ioppolo

Lavori degli studentiEmanuela SansoneCristiana MazzottiCaterina LibertiGraziella De PaloRossella CasiniAnnamaria EspositoEmanuela Setti CarraroPatrizia ScifoLia PipitoneRenata FonteBarbara Rizzo AstaGraziella CampagnaDomenica De GirolamoIda CastelluccioMarcella Di LevranoSalvatora TieniLucia PrecenzanoFrancesca MorvilloEmanuela Loi

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Rita AtriaMaria Teresa PuglieseLiliana CarusoAgata ZuccheroAnna Maria TornoSilvia RuotoloAgata AzzolinaIncoronata SollazzoMaria Incoronata RamellaGelsomina VerdeAnna PolitkovskajaMaria Concetta Cacciola

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Questo lavoro è frutto di unesercizio di approfondimento erielaborazione profondo eaccurato.Un percorso che più di trentaclassi provenienti da tutta Italia,hanno portato avanti, ciascunacon la propria sensibilità e ilproprio impegno. Entrare dentroa l c u n e v i c e n d e i n t i m e ecomplesse non è stato semplice.Le storie che gli studenti hannoraccontato attraverso la scrittura,esigevano rispetto e delicatezza:storie di donne, di madri, di figlie,che hanno pagato con la vita leloro scelte, spesso vittime di unsistema criminale così forte epervasivo anche sul profiloculturale, capace di condizionaretotalmente e drasticamente levite delle persone. Dunqueintraprendere questo viaggio diconoscenza, per i ragazzi èdiventato un percorso di crescitae di consapevolezza.Abbiamo chiesto agli studenti eai loro insegnanti di provare a

raccontare le vite di questedonne nella loro dimensionequotidiana, quella più fragile epiù autentica. Una scelta benprecisa che ha richiesto unosforzo: provare a narrare storiemeno conosciute, ma anche,nelle storie più note, rintracciaregli aspetti e le sfumature dellapersonalità che spesso nonbalzano agli onori della cronaca eche invece ci restituiscono unadescrizione più vera di quellavita; sempre nella direzione didecostruire la figura “dell'eroesolitario che lotta contro lemafie”, per avvicinarci, invece, auna modalità di contrasto allemafie fatta di scelte quotidiane egesti che riguardano tutta lasocietà civile.Riadattare le biografie di questedonne, partendo da alcuni datireali, per poi lasciare spazio allaf a n t a s i a d e i r a g a z z i , h arappresentato per studenti edocenti una piccola grandescommessa.

Introduzionedi Elisa CrupiLibera Formazione

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In questo lavoro non c'è statosemplicemente un esercizionarrativo, ma una sorta di viaggiointrospettivo che ha permessoagli studenti di far proprie questestorie, provando, in alcuni casi,anche a immaginare un “finaledifferente”.E allora questi racconti sonodiventati dei diari, delle lettere,addirittura dei piccoli gialli, in cuii g iovani scr i t tor i s i sonocimentati, e sicuramente unodegli aspetti più interessanti èche l'abbiano fatto in manieracorale e condivisa. Con l'idea checiascuno degli studenti potessearricchire l'elaborato, senza averpaura di esprimere i concetti inmaniera non corret ta , mapreoccupandosi di andare alcuore delle questioni. Motivo percui questo percorso formativon o n è a s s o l u t a m e n t e u nconcorso, ma un libro scritto apiù mani, dove tutte le storiesono state valorizzate e hannotrovato pari dignità e importanza.Volutamente, per impaginare iracconti in unico prodotto,a b b i a m o s c e l t o l ' o r d i n ecronologico, in modo che lalettura delle storie venga guidatadalla linea del tempo.Anche la scelta dell'ebook comestrumento di divulgazione è statapensata nell'ottica di poter

ampliare questo percorso. Siamopartiti da circa 40 storie differentifra loro per età, provenienza econtesto, ma tante altre ancoraaspettano di essere conosciute elette, quindi speriamo che infuturo questo lavoro digitalepossa raccogliere altre biografiec h e s t u d e n t i e d o c e n t idecideranno di approfondire.Ci piace pensare che il fruttodell'impegno dei ragazzi possadonare nuova vita e slancio allevicende di queste donne, e aifamiliari di queste persone,perché con la loro forza, il lorocoraggio e la loro determinazioneci aiutano a trasmettere memoriaviva, per fare in modo che lestorie complesse e dolorose, chevi apprestate a leggere, nonfacciano parte solo del passato,m a d i v e n t i n o c o s t a n t eriferimento di impegno nell'oggie nel domani di tutti noi.

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1. Premessa

Per affrontare il ruolo dei movi-menti femminili nella lotta alfenomeno mafioso è utile intrec-ciare gli studi sulla mafia comesistema di potere e strumento dicontrollo del quotidiano con la¹relazione tra i sessi, intesa comeforma di dominio in cui ha un pesodeterminante la dimensionesimbolica .²Attraverso il simbolico si dà vitaalla subcultura sessuale e sifondano le discriminazioni, madentro il simbolico avviene ilprocesso di emancipazione cheporta alla ridefinizione di sé e alladecostruzione delle relazionicoercitive . “L'antimafia è donna”³ha scritto Nando dalla Chiesa,soffermandosi sul “linguaggio diverità” delle donne “che resistonoalle mafie” .⁴Osservando in prospettiva diacro-nica i contesti e le forme associatedi lotta alla mafia, si nota come lapresenza femminile al loro interno

stenti a configurarsi in modostrutturato e durevole e si presen-ti, piuttosto, attraverso formecomunicative originali e strumentidi lotta alternativi, aderenti alquotidiano e alla dimensionebiografica . Gli studi sulle donne e⁵sui movimenti femminili sonospesso opera di altre donne chenarrano l'esperienza associativa epolitica, narrando se stesse.Il filtro della soggettività e quellodel genere sono la base di parten-za di questi racconti, spessointrecciati a singole biografiecircondate da scarsa visibilità escarsa attenzione .⁶Partendo da queste premesse,ripercorrerò le tappe del movi-mento associativo antimafia inSicilia, guardando al contributodelle figure femminili e ai lorocodici espressivi, individuando treperiodi: il primo dall'esperienzadei Fasci (1891-1894) fino secondodopoguerra (1940-1950); il secon-do tra li anni '60 e '70 del secoloscorso; il terzo dagli anni '80 a

Antimafia emovimenti femminilidi Alessandra Dino

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oggi .⁷

2. Il socialismo insegnato aibambini

I Fasci Siciliani sono il primoesempio di lotta organizzatacontro la mafia: come movimentoper la riforma dei rapporti dilavoro si scontrano con unassetto di potere di cui è determi-nante la componente mafiosa .⁸Spesso, nei loro statuti si fad i v i e t o d i p a r t e c i p a r eall'associazione a tutti coloro che“sono conosciuti come vagabon-d i , m a fi o s i e d u o m i n i d imal'affare” . Non mancano però⁹

alcune eccezioni di Fasci nonsocialisti organizzati da notimafiosi.Le dimensioni dei Fasci sonoampie e le donne vi svolgono unruolo di rilievo, con una parteci-pazione paritaria. Recita, adesempio, l'art. 6 dello statuto delFascio di Trapani del 1892: “IlFascio si compone di lavoratorisalariati e lavoratori liberi, diqualsiasi arte e mestiere, d'amboi sessi, dell'età dai 14 ai 55anni” .¹⁰La loro presenza, sollecitata daidir igent i del movimento¹¹suscita lo stupore di chi leosserva muoversi con competen-za, passione e disinvoltura.

Osserva Garibaldi Bosco, fonda-tore del Fascio dei lavoratori diPalermo: «Bisogna sentirleparlare queste contadine! Sonooratori nati» .¹²La partecipazione delle donne sidistingue per forme, linguaggi emodi di protesta. I numeri dellaloro presenza sono elevati: nelFascio di Piana dei Greci su unapopolazione di circa 9.000abitanti ci sono 2.500 uomini e1.000 donne e c'è anche unasezione femminile con tanto distendardo .¹³Anche a Corleone il contributofemminile nei movimenti diopposizione al latifondo èrilevante , soprattutto in termini¹⁴educativi e culturali, poiché,come osserva Bernardino Verro,sono le donne che “insegnano ilsocialismo ai nostri bambini” .¹⁵Adolfo Rossi, corrispondente de“La Tribuna”, inviato in Sicilia perdocumentare quanto accadeva,annota nel 1893:

Le donne, sintomo molto serio,sono le più ardenti e i Fasci dicontadine non si mostrano menoagguerriti di quelli degli uomini.In certi paesi l'entusiasmo per lasperata redenzione economica ègiunto al punto da sostituire ognialtra fede; le donne, che eranoreligiosissime, non credono più

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che ai Fasci .¹⁶

La partecipazione femminileappare il frutto di una presa dicoscienza consapevole e ragio-nata. Alla domanda di Rossi sullesue aspettative nei confronti delmovimento, una contadinarisponde:

Vogliamo che, come lavoriamonoi, lavorino tutti. Che non visiano più né ricchi né poveri. Chetutti abbiano del pane per sé eper i figli. Dobbiamo essereuguali. […] Gesù era un verosocialista e voleva appuntoquello che chiedono i Fasci, ma ipreti non lo rappresentano bene,specialmente quando fanno gliusurai .¹⁷

L a p a r a b o l a d i F a s c i el'esperienza del protagonismofemminile, si esauriscono nellaferoce repressione governativa,c h e , a p p r o fi t t a n d odell'isolamento del movimento,amplifica i l per icolo del lapresenza di “malandrini” al suointerno, giustificando così l'usodella violenza e il duro interventomilitare.

3. Movimenti associativi nelsecondo dopoguerra

Nel primo e nel secondo dopo-guerra, le donne sono presenti afianco dei loro uomini, a soste-gno dei movimenti contadini perla lotta per le terre. I numeri dellaloro partecipazione sono peròpiù ridotti.Lo scontro con la mafia prendeforma nella rivendicazione deidiritti dei lavoratori, mentre ilblocco sociale tra mafia eapparati dello Stato si saldaintorno alla lotta al comunismo.Il 19 ottobre 1944 vengonoapprovat i i decret i Gu l lo .L'opposizione al movimentocontadino è dura e violenta .¹⁸Tra il 1860 e il 1970, vengonouccisi 47 sindacalisti.La presenza femminile il più dellevolte è silenziosa; su di essagravano pesanti rapporti didominio. Si segnalano, episodi-camente, figure come quella diMaria Domina – che passadall'Azione cattolica al PCI per leposizioni assunte dalla Chiesasulla riforma agraria – e di altremi l i tant i comunis te comeGiuliana Saladino, Anna Grasso,Antonietta Profita . La loropartecipazione rispecchia ilconflitto tra la ricerca di un ruolopubblico e il peso di un ruoloprivato, relegato a funzioni diaccudimento familiare:

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Non è facile fare la politicante dip r o f e s s i o n e , – r a c c o n t aun'attivista – hai bisogno di unlivello culturale diverso e unimpegno continuo che una donnadi casa non può avere; per questoè sperabile che ogni paese troviuna avanguardia che ti sostitui-sca perché appena sposata e con ifigli non puoi più fare niente .¹⁹

È un periodo di transizione in cuila lotta alla mafia è condottadalle forze politiche di opposizio-ne, prevalentemente di sinistra ;²⁰il movimento assume una dimen-sione classista, incrociando lacontestazione giovanile e lerivendicazioni femministe. L'8marzo del 1953 si svolge aPalermo il Primo congresso delledonne siciliane; affiorano letematiche di genere anche se,sovente, le donne hanno ruoli dico-protagoniste, facendo dacuscinetto o da interlocutrici conle forze del'ordine.Più che di forme associative didonne contro la mafia, si tratta disingole e coraggiose prese diposizione . Numerose quelle²¹delle madri, sorelle, figlie dellevittime della violenza mafiosa .²²Le biografie di queste donnesono paradigmatiche. Cosìaccade con le storie di Maria DiCarlo e di Vera Pegna, i cui percor-

si biografici sono accomunatidalla carica rivoluzionaria e dauna forte vocazione civica, in cuisi riflettono i movimenti antima-fia degli anni '60 e '70, che sisvi luppano paral lelamenteall'infiltrazione mafiosa nelsettore degli appalti e del trafficodi sostanze stupefacenti.

3.1 La storia di Maria di Carlo

Tra gli anni '70 e gli anni '80,nascono a Corleone numeroseassociazioni giovanili che vedonola partecipazione di giovanidonne che lottano per il ricono-scimento dei loro diritti .²³Fioriscono movimenti giovanili asfondo politico-culturale: l'Abcdel Teatro, gli Amici della Musica,i circoli della FGSI e della FGCI, ilcircolo femminile Franca Viola, ilcircolo Placido Rizzotto, e altriancora. Un ruolo da protagonistaè giocato dalla scuola, fucina diriflessioni e iniziative. Nel 1974 ungruppo di liceali fonda il "Giorna-le del Corleonese".Dentro i movimenti associativicorleonesi, le ragazze rivendica-no il diritto alla differenza echiedono parità di trattamento.L'emarginazione di cui sonovittime è condivisa dalle diverserappresentanze politiche. Così,può accadere che una giovane di

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famiglia anticlericale trovi nellaf requentaz ione dei c i rcol idell'Azione Cattolica un momen-to di libera espressione di sé,come soggetto politico.L'8 marzo del 1975 un gruppo diragazze organizza a Corleone laprima manifestazione per la festadella donna. L'iniziativa incontrala violenta reazione della comu-nità locale.È in questa atmosfera che maturala vicenda di Maria di Carlo.Maria è figlia di una famiglia dellabuona borghesia. I l padre,medico, è esponente di rilievo delpartito Socialdemocratico. Per ilsuo impegno nei movimentidell'associazionismo culturale epolitico, la ragazza è fortementeosteggiata dal genitore. Il 29gennaio 1977, a seguito dellaviolenta reazione del padre che larinchiude in casa dopo la parteci-pazione a uno sciopero braccian-tile, Maria scappa, si reca pressola stazione dei Carabinieri esporge denuncia contro di lui. Alprocesso, Carmelo Di Carlo saràcondannato; per Maria, inizieràun lungo periodo di isolamento edi esilio .²⁴La reazione del paese è, infatti, dipiena solidarietà al genitore.Aumentano i controlli e le restri-zioni nei confronti dei figli: siteme l'effetto contagio. D'un sol

colpo, le poche conquiste delledonne in tema di diritti e dilibertà di espressione sembranosparite per sempre .²⁵

3.2 La “Repubblica della Mafia”

Densa di consapevolezza antima-fiosa è la storia di Vera Pegna,giovane pacifista, nata da unafamiglia antifascista, che dopoaver studiato in Svizzera, giunge aPartinico per seguire Danilo Dolcie approda alla Federazionepalermitana del Pci. È il 1962. Veraviene mandata a Caccamo doveda anni il Pci non presenta le listeelettorali per il veto di CosaNostra, alleata con la Dc .²⁶Il sindaco è una figura ombradietro cui si cela il capomafiaPeppino Panzeca, fratello di donTeostista, sacerdote e amico delcardinal Ruffini, definito dallaCommissione antimafia “verocervello della mafia”. A donPeppino viene da anni riservatauna poltrona in consiglio comu-nale, accanto a quella del sinda-co, il medico democristianoSalvatore Cordone.A f f a s c i n a n t e l a s t o r i adell'impegno politico di Vera,innovative le forme della suapratica antimafiosa.Un giorno, un gruppo di iscritti alPci sta montando il microfono

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per iniziare il suo comizio, in unaCaccamo oppressa dalla presen-za di don Peppino Panzeca chesiede di fronte alla sezione delPci, per scoraggiare i paesanidalla partecipazione alla compe-tizione politica. Vera prende ilmicrofono e fra gli astanti incre-duli inizia a parlare: “Prova,prova, per don Peppino. Serimane seduto davanti a noi,allora è vero che è mafioso; e se ècosì, allora gli chiedo di alzare gliocchi e sorridere perché gli vogliofare la fotografia” . Don Peppino²⁷si alza, entra precipitosamentenella macelleria e ne esce dallaporta posteriore.Qualche tempo dopo, vieneconvocato il primo consigliocomunale nel quale il Pci haeletto 4 consiglieri. Nella salaconsiliare troneggiano 22 sediebianche, per gli esponenti dimaggioranza, e 8 sedie nere perquelli di opposizione; di frontec'è la scrivana del sindaco e, afianco, la poltrona di donPeppino; Vera decide di occuparela poltrona riservata al boss: “Lafolla dapprima ammutolisce […] Iconsiglieri presenti sparisconosubito tutti, tranne i nostri. Dopopoco il messo torna, pregandomigentilmente di alzarmi perché,dice, deve portare via quellapoltrona, che ormai, lì, “non ci fa

più niente”. Io mi alzo e lui mitoglie la poltrona tra gli applausidel pubblico” .²⁸L'esperienza di Vera Pegna aCaccamo si conclude, però, benpresto, ostacolata dalla conni-venza delle forze dell'ordine con igabelloti e con i proprietariterrieri.

4. Gli anni '80

Negli anni '80 c'è una nuovatrasformazione del movimentoantimafia e della partecipazionefemminile alle sue iniziative.Nascono esperienze associativeformalizzate mentre si rinsalda lacentralità della dimensionepersonale, spesso legata avicende traumatiche e dolorose.Il dolore e l'impegno civico sonoil tratto che caratterizza la parte-cipazione delle donne. Un dolore,sintomo della violenza subita;trasversale agli schieramenti proe contro la mafia. Una violenzaesercitata nel quotidiano, dove icorpi femminili sono facil ibersagli . Un dolore che diventa²⁹molla dell'impegno e del cambia-mento . Un dolore epico lace-³⁰rante, fondato su un'immensasolitudine, spesso “data in pasto”

al pubblico durante le cerimonieufficiali. Un dolore che attivanuove forme comunicative.

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A Palermo, nei primi anni '80, RitaB a r t o l i C o s t a , G i o v a n n aTerranova e Caterina Mancusoi n i z i a n o a p e n s a r e aun'associazione di donne controla mafia . Nel marzo del 1982, il³¹Comitato donne contro la mafiastila un documento in cui ilcontrasto alla violenza mafiosa èpresentato come difesa dellad e m o c r a z i a e l o t t a p e rl'uguaglianza di genere. Nelgennaio del 1984, si costituisceformalmente l'Associazionedonne contro la mafia che sischiera a fianco dei familiaricostituitisi parte civile nei pro-cessi contro la mafia. Nontardano a emergere le ambiguitàdi un'antimafia “difficile” cheesclude Michela Buscemi, VitaRugnetta e Piera Lo Versodall'accesso ai fondi raccolti perpagare gli avvocati delle particivili, non ritenendo del tutto“puro” il loro pedigree di vittimedella mafia .³²Il 22 ottobre 1988 si svolge lamanifestazione nazionale delledonne “contro la mafia e tutte leforme di violenza” cui partecipaNilde Jotti presidente dellaCamera.Lungo l'elenco delle donnecontro la mafia. Parenti di vittime,parenti di carnefici: da AntonellaAzoti a Rita Atria, da Margherita

Petralia, a Francesca Serio,Serafina Battaglia, GiacomaFilippello, Vita Rugnetta, Pietra LoVerso; da Rita Bartoli Costa a PinaMaisano Grassi da GiuseppinaZacco a Fel ic ia Barto lot taImpastato . Il ruolo dei familiari³³delle vittime è centrale ma non sisottrae a strumentalizzazionipolitiche e a rischi di ipostatizza-zione iconografica.Tante anche le figure in bilico;autentiche nel loro straziantedolore. Nel rimanere ancorate auna parte a cui non riescono asottrarsi anche a rischio dellavita .³⁴Ma cosa significa essere donnecontro la mafia? E chi sonodavvero queste donne cui sichiede un'intransigente nettezzadi comportamenti? Significativele loro storie: prima fra tuttequella di Felicia BartolottaImpastato, moglie di LuigiImpastato e cognata di CesareManzella, strenua sostenitricedel figlio nell'opposizione alpotere mafioso ; ma anche³⁵

quella di Michela Buscemi, con latragica uccisione di due fratelli ela contrastata costituzione diparte civile al maxiprocesso .³⁶Senza alcun intento giustificazio-nista penso alle loro difficoltà.Penso a Giovanna Cannova che vasulla tomba della giovane Rita,

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suicida all'indomani della mortedi Paolo Borsellino, per spaccarecon un martello la foto che ritraequella lei stenta a riconoscerecome sua figlia .³⁷Le loro biografie, sottratteall'oblio dal racconto di altredonne , sono forme di resisten-³⁸za al potere mafioso che nelquotidiano ha le più salderadici .³⁹

5. Gli anni '90

Sono dei primi anni '90 dueimportanti iniziative promossed a d o n n e n e l c a m p odel'antimafia: l'esperienza delComitato dei Lenzuoli e quelladell'Associazione donne per ildigiuno.Il Comitato dei lenzuoli nasce aPalermo, all'indomani dellastrage di Capaci. Un gruppo dicittadini, costituitisi successiva-mente in associazione, storditidal dolore per quanto accaduto,decide di manifestare il propriodissenso alla mafia, con unlinguaggio immediato e evocati-vo, esponendo in pubblico unlenzuolo, oggetto intimo, legatoal quotidiano.Come matura questa esperienza,lo racconta con passione la suaideatrice, Marta Cimino che ilgiorno successivo al funerale diGiovanni Falcone, frastornata da

dolore e impotenza ha un'idea:

E se mettessimo dei lenzuoli conscritte di protesta ai nostribalconi. Se ognuno 'esponesse' lapropria indignazione? L'ho detto,nel silenzio, a bassa voce, tra me eme. […] Poco dopo, legavo il mioprimo lenzuolo, 'Palermo chiedegiustizia', alla ringhiera delbalcone, con cura, con emozione.Al di là della strada, sul balcone difronte si sono affacciate dueragazze. Un cenno d'intesa, unsorriso, e poco dopo esponevanoun lenzuolo con la scritta 'Insiemepossiamo farcela'” .⁴⁰

Anche quella di digiunare è unascelta femminile, incentrata sullacorporeità. Segue la strage di viad'Amelio e vede impegnate circa200 donne che decidono dioccupare piazza Politeama aPalermo e di alternarsi con undigiuno prolungato. SpiegaAngela Lanza:

Il digiuno […] è una forma di lottache […] ci vede essere presenticon il nostro corpo. È un segno dipulizia, di trasparenza per nondisperdere l'energia. È un segnoimmediatamente opposto allaviolenza, alla grande, pantagrue-lica avidità dei clan, ad un com-portamento di sopraffazione chenon è segno di vita .⁴¹

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Esplicite le ragioni della protestanel comunicato stampa del 22luglio 1992:

Iniziamo oggi pomeriggio con unpresidio a piazza Castelnuovouno sciopero della fame […] checontinuerà fino a quando ilPrefetto Jovine, il Capo dellapolizia Parisi, il ProcuratoreGiammanco, l'Alto Commissariop e r l a l o t t a a l l a m a fi aFinocchiaro, il ministro degliInterni Mancino, non si dimette-ranno. […] Esigiamo almeno chechi occupa ruoli istituzionali siassuma finalmente le proprieresponsabilità” .⁴²

La mobilitazione delle donne peril digiuno si conclude il 23 agosto1992. Nel frattempo, il 31 luglio ilprefetto Mario Iovine lascia il suoincarico, mentre il 3 agosto ilprocuratore Piero Giammanco èt r a s f e r i t o a l l a C o r t e d iCassazione.

6. E oggi?

Pur riconoscendo le moltepliciconquiste, occorre sottolineare lafatica e gli ostacoli con cuidevono ancora confrontarsi lefigure femminili che raggiungonoposizioni istituzionali di rilievo .⁴³Il riconoscimento del ruolo

pubblico alle donne stenta arealizzarsi. Ne sono spia il modostereotipico attraverso cuivengono rappresentate le figurefemminili dentro le mafie o lefigure delle donne che contrasta-no il potere mafioso.Bisogna, allora, uscire daglistereotipi omologanti. Evitare diridurre l'antimafia a un manifestodi buoni propositi, in cui le donneinterpretano i ruoli più senti-mentali. Occorre avere il coraggiodi denunciare anche la cattiveria,la strumentalità, la connivenzafemminile col sistema di poteremafioso. La violenza sulle donne,infatti, non esclude la presenza ditante figure femminili calcolatricie consapevoli.È un universo variegato quellodelle donne contro la mafia, le cuiprotagoniste vanno ritratte nellaloro sfaccettata verità. La mafia ècambiata e sempre più s'intrecciacon il crimine dei potenti, attin-gendo linfa dall'ampliarsi delledisuguaglianze sociali e dallaconcentrazione della ricchezzan e l l e m a n i d i p o c h i . S eun'economia senza etica diventail nuovo metro della moralità,servono nuovi paradigmi chespieghino le mutazioni prodotten e l s i s t e m a e c o n o m i c o -finanziario e in quello etico e delgiudizio, integrando legalità egiustizia sociale .⁴⁴

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Ecco perché, oggi come ieri, unaconcreta mobilitazione antimafianon può ignorare la difesa deiv a l o r i d e m o c r a t i c i edell'uguaglianza sociale. I lpercorso è difficile. L'antimafia èdifficile, laddove è sedimentatain linguaggi omologanti e posi-zioni di comodo.Ne sono specchio le amareriflessioni di Vera Pegna, che –

tornata a Caccamo dopo 50 anni –

viene prima adulata e poi osteg-giata quando chiede un impegnoconcreto ai militanti antimafiosidi sinistra: “Per noi sei stata e seiun'icona, – le scrive un'amica –

ma adesso vuoi sapere troppecose e così l'icona finisce” .⁴⁵

Nel mettere in luce le ipocrisie diun modello collusivo di cui sonospesso vittima i movimentiantimafia, le donne “eretichedella parola” hanno un ruolodecisivo. Assumere e valorizzare ilinguaggi femminili è cruciale,riguarda non solo i futuri spazi dilibertà delle donne ma anche lapossibilità di dar compiutezza“democratica” ai nostri sistemi digoverno, attraverso il riconosci-mento di pari opportunità di vitae di scelta. Rivendicare i dirittifemminili è lottare per unasocietà più equa. E in una societàpiù equa gli spazi per la mafia sirestringono.

¹ A. Puglisi, Donne, mafia e antimafia, Di Girolamo, Trapani 2012, U. Santino, Storia del movimentoantimafia, Editori Riuniti, Roma 2009; R. Siebert, Mafia e quotidianità, Il Saggiatore, Milano 1996;Eadem, Resoconti dal mondo accanto, in M. Schermi (a cura), Crescere alle mafie, Franco Angeli,Milano 2010, pp. 13-68; A. Dino, Mutazioni, La Zisa, Palermo 2002.² P. Bourdieu, Il dominio maschile, Feltrinelli, Milano 1998; A. Dino, Donne e politica, tra esclusione,rivendicazione di diritti e bisogno di riconoscimento, in AA.VV., I Diritti Umani, oggi, Aisthesis, Milano2005, pp. 157-181; e Eadem, Il linguaggio delle donne fuoriuscite dalle mafie, “Segno”, anno XLI, n. 362,2015, pp. 72-84.³ Piccone Stella, C. Saraceno (a cura), Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, ilMulino, Bologna 1996.⁴ Prefazione, in L. Ioppolo, M. Panzarasa, Al nostro posto, Transeuropa, Massa 2012, pp. V-VIII.⁵ A. Dino, Attrazioni fatali: genitori e figli nel quotidiano mafioso, in M. Massari (a cura di), Attraversolo specchio, Pellegrini, Cosenza 2012, pp. 153-175.⁶ R. Siebert, Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994; T. Principato, A. Dino, Mafia Donna,Flaccovio, Palermo 1997.⁷ U. Santino, Storia del movimento antimafia, cit.; F. Renda, I Fasci siciliani, Einaudi, Torino 1977.⁸ Le associazioni dei contadini dilagano in tutta l'Isola; tra il 1892 e il 1893 si contano 177 sedi deiFasci, con circa 400.000 aderenti (AA.VV., L'associazionismo a Corleone, Istituto Gramsci, Palermo2005).⁹ Art. 4, Statuto del Fascio dei Lavoratori di Santo Stefano di Quisquina, 1893, in U. Santino, Storia delmovimento Antimafia, cit., p. 9.¹⁰ Ivi, p. 51.¹¹ J. Calapso, Donne ribelli, Flaccovio, Palermo 1980.¹² U. Santino, Storia del movimento Antimafia, cit., p. 60.

16 Dalla violenza all’impegno

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¹³ Ibidem.¹⁴ Scrive Francesco Renda (I Fasci Siciliani, cit, p. 114): «Il movimento femminista per la prima volta inSicilia ha fatto la sua comparsa proprio all'epoca dei Fasci. E allora si costituirono financo sezionifemminili qui a Corleone, come a Piana degli Albanesi e anche altrove».¹⁵ A. Rossi, L'agitazione in Sicilia, La Zisa, Palermo 1988, p. 80.¹⁶ Ivi, p. 15.¹⁷ Ivi, pp. 68-69.¹⁸ Ricordo solo la strage di Portella delle Ginestre il 1° maggio del 1947. Crf: Centro Siciliano diDocumentazione, 1947-1977: Portella delle Ginestre, storia di una strage, Cooperativa Centofiori,Palermo 1977; G. Casarrubea, Portella della Ginestra, Franco Angeli, Milano 1997.¹⁹ U. Santino, Storia del movimento antimafia, cit., p. 227.²⁰ P. La Torre, Comunisti e movimento contadino in Sicilia, Editori Riuniti, Roma 1980; D. Paternostro,A pugni nudi, La Zisa, Palermo 1992.²¹ G. Modica, Il ruolo delle donne nelle lotte contadine, in AA. VV., Ricomposizione del bloccodominante, lotte contadine e politica delle sinistre in Sicilia (1943-1947), Materiali del CSD, Palermo1977, pp. 53-56.²² Tra i personaggi più affascinanti vi è Francesca Serio, madre di Salvatore Carnevale, ucciso a Sciarail 16 maggio del 1955 (C. Levi, Le parole sono pietre, Einaudi, Torino 1979).²³ Sul clima di quegli anni a Corleone cfr. C. A. dalla Chiesa, Michele Navarra e la mafia delcorleonese, a cura di F. Petruzzella, La Zisa, Palermo 1990 e A. Galasso, La mafia non esiste, TullioPironti, Napoli 1988.²⁴M. Di Carlo, R. Siebert, Un'adolescenza a Corleone, “Nosside”, a. V, n. 9, 1994, pp. 7- 23.²⁵ Attraverso il racconto di una protagonista, si comprende l'isolamento subito dalle amiche di Maria:“Io mi sono ritrovata tutta la scuola contro, tutti i professori contro, il quartiere contro e poicominciai a subire qualche aggressione fisica. […] avevo sempre paura che qualcuno mi potesseinfilare in macchina per usarmi violenza; perché ero quella che difendeva Maria Di Carlo” (Miaintervista,14.09.2001).²⁶ V. Pegna, Tempo di lupi e di comunisti, il Saggiatore, Milano 2015.²⁷ Ivi, p. 38.²⁸ Ivi, p. 50.²⁹ A. Dino, Donne di Cosa Nostra, “Nuove Effemeridi”, a. XIII, n. 50, 2000/II, pp. 74-91; M. Stefanelli, Loromi cercano ancora, con M. Mareso, Mondadori, Milano 2014.³⁰ R. Siebert, La mafia, la morte, il ricordo, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995.³¹ G. Terranova, Una, cento, mille donne contro la mafia, Istituto Gramsci Siciliano, Palermo 2013.³² N. dalla Chiesa, Manifesto dell'Antimafia, Einaudi, Torino 2014.³³ R Siebert, Le donne, la mafia, cit. e A. Puglisi, Donne, mafia e antimafia, cit.³⁴ Inchiesta. Donne e 'Ndrangheta, “Narcomafie”, a. XX, n. 3, 2012, pp. 23-58.³⁵ F. Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia, La Luna, Palermo 1987. G. Ebano, Felicia e le suesorelle, Ediesse, Roma 2005.³⁶ M. Buscemi, Nonostante la paura, la meridiana, Bari 1995.³⁷ Della sua sofferenza ha dato una bella trasposizione letteraria Dacia Maraini nel monologo A piedinudi, pp. 15-22, in Eadem, Sulla mafia, Giulio Perrone, Roma 2009.³⁸ Costituisce un'eccezione il lavoro di Nando dalla Chiesa, Le ribelli, Melampo, Milano 2013.³⁹ S. Garofalo, L. Ioppolo, Onore e dignitudine, Falco, Cosenza 2015.⁴⁰ R. Alajmo Un lenzuolo contro la mafia, Gelka, Palermo 1993, p. 24.⁴¹ A. Lanza, Donne contro la mafia, Datanews, Roma 1994, p. 46.⁴² Ivi, p. 23.⁴³ Ricordo le storie di due donne sindaco in Sicilia, Gigia Cannizzo e Maria Maniscalco, minacciatedalla mafia per il loro impegno (L. Mirone, Le città della luna, Rubbettino, Soveria Mannelli 1997).⁴⁴ L. Ciotti, Formare alla legalità, in A. Dino (a cura di), Criminalità dei potenti e metodo mafioso,Mimesis, Milano-Udine 2009, pp. 421-427.⁴⁵ V. Pegna, Tempo di lupi …, cit., p. 101.

17Antimafia e movimenti femminili

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La riflessione che qui proponiamonasce dai percorsi condivisi distudio e di ricerca radicati in unimpegno di costruzione di processieducativi e formativi sui temi –

interconnessi – della violenza digenere e del potere delle mafie, edella 'ndrangheta in particolare.Intento di questo contributo èprovare a far emergere nuovipercorsi di progettazione a partireda nuove prospettive di analisi, alfine di innescare processi dicambiamento e trasformazione,dalle soggettività ai territori. Ciòche si intende proporre è unalettura di genere dei fenomenidella violenza e della 'ndrangheta,decostruendo categorie chetroppo spesso hanno favorito lariproduzione di vecchi modelli easimmetrie, nonché standardizza-to modalità di intervento, maanche linguaggi e chiavi di letturadella realtà.Data la peculiarità del progetto incui si colloca tale riflessione,procederemo per nodi teorici e

pratiche, mettendo in relazionedialettica la teoria con la prassi,mantenendo fede alla intersezio-ne – di metodo e di contenuto – tramemoria, violenza, genere e mafie.

I nodi teorici

Violenza di genere. Dalla realtàsociale odierna emerge con forzala necessità di mettere a lavoro ilconcetto stesso di violenza decli-nato nelle sue diverse forme,decostruendo immagini e parolelegate al senso comune e vincolatedalla narrazione dominante suquesti temi. Il punto di partenza,teorico e pratico, è la necessità dia f f rontare quest i temi conl'obiettivo di una trasformazionecollettiva di emancipazione dellesoggettività subalterne, e inparticolare delle donne: concettoquest'ultimo particolarmenteimportante nelle realtà sociali deicontesti trasversalmente attraver-sati da dinamiche di potere (che èanche maschile e maschilista)

Memoria, generi e violenza.Lotta alle mafie a partiredai corpi e dai sentimenti.di Sabrina Garofalo e Ludovica Ioppolo

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della 'ndrangheta. Un primo nodoteorico da sciogliere è quindiquello della violenza intesa comeviolenza di genere in tutte le sueforme. In tal senso, è necessariorintracciare l'origine, la giustifica-zione o lo scopo (anche latente) inun rapporto ineguale o discrimi-natorio contro un soggetto di cui sivuole, attraverso la violenza fisica,sessuale, psicologica o economica,ribadire o confermare una identitàdi genere stereotipata o funziona-le all'ordine sociale egemone(Carnino, 2011, p.62).Mafie e genere. Un secondo nodo èlegato alla intersezione tra ladimensione di genere e le defini-zioni di potere mafioso. Il frame incui si colloca questo contributo èla definizione di organizzazionecriminale complessa e multidi-mensionale, costantementeattraversata da dinamiche dipotere/dominio (Santino e Puglisi,2005). Guardare al fenomenoattraverso il prisma di genere,significa considerare le trasforma-zioni nei ruoli, nello status, nelriconoscimento e nelle dinamichetra micro e macro. Concetto utilealla comprensione del fenomeno edella prospettiva è quello disignoria territoriale inteso qualecontrollo totalizzante della popo-lazione di un determinato territo-rio, che condiziona le scelte, i

desideri, la sfera pubblica e quellaprivata, fino ad attraversare i corpistessi.In questa prospettiva, rifletteresulla costruzione del maschile edel femminile mette in mostracontraddizioni e pratiche checostringono a leggere il fenomenoincludendo la costruzione dientrambi i generi. Una prassiconsolidata, anche metodologica-mente, è quella di pensare algenere come ad una questionemeramente femminile: le ricercherecenti e le esperienze concretemettono in luce come sia oggiimportante includere anchepercorsi di riconoscimento delmutamento dei ruoli maschili neicontesti di mafia.Come si evince, le pratiche educa-tive passano attraverso la costru-zione di una mascolinità senzaemozione ma funzionale agliscopi. La differenza tra essere eapparire, tra privato e pubblico, siconfigura in modalità differenti,che si traducono in forme dimisoginia e omofobia: “il gruppomaschile infatti, funziona di solitocome una specie di 'polizia digenere', secondo l'espressione diMichael Kimmel, ovvero come unospazio sociale in cui gli uomini sisorvegliano costantemente l'unl'altro circa la dose minima divirilità che è doveroso esibire in

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pubblico” (Bellassai, in Turri, 2013,p. 235). Ma onore e virilità – nellavita quotidiana delle donne che simuovono tra il rifiuto ed il fascinodel potere, tra eros e tanathos neitermini definiti da Renate Siebert(1994) – si manifestano proprionelle dinamiche violente quotidia-ne. A tal proposito nei contesti di'ndrangheta, ritroviamo gli ele-menti che caratterizzano i modellisociali in cui la violenza esiste cosìcome proposti da Connell (2011):1. disprezzo sociale per le donne,visioni stereotipate delle donne;2. egemonia in una forma dimaschilità che pone enfasi sulpotere e sul dominio e un senso didiritto ad esercitare il potere senzalimiti dentro e fuori la famiglia daparte degli uomini;3. un ambiente che supporta laviolenza.Nei contesti di 'ndrangheta, infatti,le donne devono mantenerel'immagine della riservatezza, delsilenzio e della chiusura nellasfera privata, che si riduce neltempo speso tra le mura domesti-che. Si può poi parlare di mascoli-nità egemonica basata su potere,dominio e controllo totale dellavita e dei corpi: l'essere “macho” siassocia ad una idea di virilitàco n t i n u a m e n te d i m o s t ra taattraverso la violenza, ma ancheattraverso l'omofobia. Infine, in

questi contesti, è necessarioriflettere sul grado di consensodiffuso, consapevole o no.Il controllo totale sulle persone esui corpi è conseguenza direttaanche della costruzione socialedel concetto di onore nei contestidi 'ndrangheta. L'esperienza diricerca mette in evidenza ciò cheafferma Pieroni: “l'onore degliuomini è nella capacità di sorve-gliare, controllare e dominare nonil proprio corpo, ma la condottasessuale delle donne. L'onoredelle donne è nel sottomettersi inquanto tabernacolo di purezza”

(Pieroni 2002, p.151). Il potere èquindi declinato al maschile, in unconflitto centrato sulla virilità esull'etero-riconoscimento delpotere, come emerso dalle testi-monianze raccolte nell'ambito delconcetto di dignitudine (Garofalo eIoppolo, 2015). In sintesi, le rela-zioni di genere costruite suipilastri dell'onore (maschile) edella virilità (esasperata) dannovita a pratiche quotidiane diresistenza delle donne che vengo-no attraversate, anche nei lorocorpi, da dinamiche di potere e didominio, mettendo in discussionel'idea stessa di appartenenza eemancipazione.Nelle 'ndrine le ragazze vivonosulla loro pelle il binomio essere-apparire, vivono il controllo sul

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proprio corpo e sui propri desideri.Le donne passano dal controllodei padri e dei fratelli a quello deifidanzati. La violenza sessuale e gliabusi sono presenti nell'infanzia enell'adolescenza di queste donne.Scrive Maria Stefanelli: “Non avevopossibilità di salvarmi dalleviolenze. Se non dicendo a miamadre che se voleva esserechiamata mamma doveva proteg-gerci da quell'orco. Ma non neavevo il coraggio, né lei la forza”

(Stefanelli, 2014, p. 50).Dimensione privata e controllo delterritorio che è anche controllo suicorpi delle ragazze. “Malanova”

veniva definita Anna Maria Scarfò,vittima di violenza collettiva, dopoaver denunciato i suoi stupratori'ndranghetisti. “Ci ha rovinati –

così le dicevano le altre donne – hapreso i nostri uomini e ora fa lasanta. E noi rimaniamo senzamariti. Troia. Pentita. Sbirra. Ci hairovinati” (Scarfò, 2010, p. 140). Gliabusi e le violenze sessuali subitesono spesso causa della scelta dicollaborazione delle donne. Ma laviolenza è agire comunicativonelle relazioni di prossimità neicontesti di 'ndrangheta. RaccontaGiusy Pesce: “Mi picchiava perchémi ribellavo perché dicevo le coseche pensavo, e lui per farmi starezitta mi aggrediva” (Stefanelli,2014, p. 58). Questo coinvolgimen-

to delle donne nella “onoratasocietà” non è solo indiretto,perché l'onore affermato e dimo-strato dentro e fuori le muradomestiche è ciò che consentel'affiliazione stessa dell'uomo,condizionandone anche la carriera(Ingrascì, 2007). Di contro, l'onoreferito è causa ancora di violenza edi morte sia per gli uomini che perle donne coinvolte in relazioniconsiderate illegittime: nonostan-te l'abolizione del delitto d'onore,esiste ancora un processo dilegittimazione di questo tipo.“Nella mia famiglia si punisce chiha una storia clandestina. Esisteper questo un codice (…) chitradisce e disonora la famigliadeve essere punito con la vita. Èuna legge” (Stefanelli, 2014, p. 59).Questo cancellare ogni traccia sitraduce in pratiche di omicidi efemminicidi il cui obiettivo èl'annullamento di quel corpo,oggetto del desiderio. Ancora,importanti sono le parole cheMaria Concetta Cacciola, uccisasimulando un suicidio, rivolge allamadre: “In fondo sono sola. Nonvolevo il lusso, volevo la serenità,l'amore che si prova quando fai unsacrificio, a me la vita non ha datonulla, se non dolore. So che non tivedrò mai perché questa sarà lavolontà dell'onore, che ha lafamiglia, per questo che avete

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perso una figlia”. Una prima apertariflessione ha a che fare con quelloche sono le situazioni complessedi memoria, trasmissione deicodici e potere, laddove nonavendo la forza di uccidere i padri,simbolicamente, si procede con“uccidere le figlie” (lettera di MariaConcetta Cacciola alla madre, 2011)che purtroppo oltre al realecoinvolge anche il simbolico el'immaginario. La legge dell'onoreè più forte, meglio una figlia mortache disonorata. L'onore coincidecon una idea di virilità che sinasconde nel monito dell'uomod'onore, laddove amore-pudore(Ingrascì, 2007) rappresentano unnesso indissolubile dell'essereveri uomini, quindi virili. Nelleorganizzazioni mafiose si assisteall 'esasperazione dei valoriconsiderati maschili e dellavirilità, ribadita con forza nei riti enei codici che escludono la pre-senza delle donne. Mantenendo laforma della società segreta di soliuomini (Siebert, 1994), contro auna sostanza di compartecipazio-ni, complicità e resistenze quoti-diane da parte delle donne, leorganizzazioni mafiose rappresen-tano una risposta alla fragilità evulnerabilità del genere maschilerispetto ai mutamenti dei ruoli digenere delle società contempora-nee. La negazione delle emozioni,

il monito dell'“Essere e diventareuomini”, racchiude la specificacostruzione della mascolinità che,come scrive Ombretta Ingrascì(2013) si traduce poi in pratichequotidiane di riproduzione. Nelcolloquio della ricercatrice con uncollaboratore di giustizia si legge:“ero un picciottino quando miononno, per renderci masculi,costringeva me e i miei cugini amangiare il peperoncino diretta-mente dalla pianta. I miei occhipiangevano ma dovevo resistereper dimostrare di essere uomo. (…)erano prove di virilità per formarenoi bambini a diventare uominid'onore” (Ingrascì, 2013, p. 60). Eancora: “Mi facevano anche girareil sangue del porco (…) quindi dabambino, per farmi venire corag-gio mi mettevano a fare questomestiere. E io mi atteggiavo comese fossi capace di farlo, figuraticome ero scemo anche io conquella mentalità, la mentalità percui dovevo essere un duro (…)ancora adesso mi torna in mentecon disgusto, è stato uno shock”

(p. 59). Tale educazione alla virilitàsi traduce anche nella mercifica-zione dei corpi delle donneutilizzate come misura del proprioessere uomini: “tutti gli 'ndranghe-tisti hanno l'amante (…) e vannoorgogliosi di questo. Se ne vanta-no, dicono io ho fatto questo, ho

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fatto quello. Il mafioso, lo 'ndran-ghetista vuole sempre vantarsi diessere un macho” (Ingrascì, 2013,p. 108). In tutto ciò si rintraccia ciòche Ciccone descrive relativamen-te alla nostra cultura socialmentecondivisa (quindi, oltre il confinemafioso): “Sin da piccoli, veniamoinvitati a dimostrare, con prove diforza o di destrezza, di sarcasmo odi indifferenza dal dolore o aisentimenti, di essere maschi e dinon cadere, con il pianto o con ladebolezza, nell'indistinto femmi-nile: un percorso di costruzionedella nostra identità contrasse-gnato da continue iniziazioni,verifiche e minacce che ricordanola precarietà della virilità” (Cicco-ne, 2009, p. 89).Memoria, genere e mafie! ora importante mettere inevidenza l'approccio attraverso ilquale si intende mettere in rela-zione la teoria con la pratica,ovvero tutto ciò che significa fareesperienza – nel senso letteraledel passare attraverso – dellamemoria.Come afferma Daniela Marconeraccontando il progetto Vivi, ènecessario prendere consapevo-lezza della forza del racconto, perriconoscere che le piccole storiecostruiscono la nostra storia, e perelaborare percorsi di memoriacollettiva. La memoria individuale

entra spesso in conflitto con lamemoria collettiva, e questo èevidente ogni volta che siamodinnanzi a storie che rappresenta-no dinamiche di genere e potere.La memoria della violenza – intesanei suoi aspetti più vari e ancheestremi – costringe al confrontocon la possibilità che esse avreb-bero potuto svolgersi diversamen-te. L'esperienza della violenza odella presa di coscienza dellaviolenza subita, in un modo onell'altro, segna un prima e undopo, un punto di non ritornonella biografia delle persone. Ifamiliari delle vittime innocentidella 'ndrangheta rappresentanoun monito vivente perché ricorda-re è un atto di grande responsabi-lità: perché quelle morti sonoferite aperte per chi continua achiedere verità e giustizia; perchésappiamo che potevano essereevitate; perché dovremmo impe-gnarci affinché non possa piùaccadere. E non solo. Ricordare èfare i conti con un potere che negaagli individui il riconoscimento inquanto donne e uomini liberi.Ricordare è un percorso formativo,fatto di ascolto, di narrazione, diletture, di carte e di emozioni. Èuna fatica, è una cura: nella sceltadelle parole per raccontare, neisilenzi da cogliere, nei modi e nellostile del rispetto di un dolore che è

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intimo, personale, innominabile.Nel rispetto e nella cura, rientraquel grande sentimento di ricono-scenza e gratitudine che a lorodobbiamo. Perché nel rispetto deitempi e dei modi di ognuna eognuno, i familiari ci accompagna-no nell'attraversare quel ponte dalprivato al pubblico, per farnememoria collettiva, da cittadine ecittadini.Scelte metodologicheLa scelta metodologica, legata allaintersezione tra genere, memoria eviolenza si traduce in scelta praticache qui proviamo a condividere.Nella elaborazione di percorsi suquesti temi ci sembra opportunoutilizzare i nodi teorici sopraesplicitati traducendoli in nuoviapprocci e nuovi temi. Potere,corpi, violenza, maschile e femmi-nile. La domanda dalla qualesiamo partiti è proprio questa:come far emergere nella vitaquotidiana delle giovani donne edei giovani uomini che incontria-mo quelle chiavi, quei segnali dautilizzare per avviare percorsi diconsapevolezza e di liberazione?Quello che qui suggeriamo è direndere trasversali i temi a partiredalle storie, intese come spaccatodella grande realtà quotidianadelle mafie. Come è emerso dallenostre ricerche, riteniamo fonda-mentale immergersi in una dimen-

sione nuova, quella delle relazioniprivate e intime in cui “le piccolestorie di donne e uomini” fornisco-no nuovi modi di leggere il feno-meno e di raccontarlo.La scelta di raccontare l'universo'ndranghetistico a partire dallestorie si inquadra in una sceltametodologica tesa a rimettere alcentro le soggettività e di rintrac-ciare, in questo modo, i cambia-menti, le resistenze e le criticitàdel femminile stesso. Sono storiedi donne e di uomini rielaborate apartire dalla dimensione narrativaprivata, dal racconto di chi havissuto con la vittima quella stessadimensione intima e relazionale,ma non solo. È necessario cono-scere bene le storie che vengonoraccontate: pur mantenendo fedealla volontà di una narrazioneprivata e soggettiva, bisognaapprofondire, incontrare le storieattraverso la ricostruzione dellefonti giuridiche e processuali.Nell'immaginare percorsi formati-vi, è importante quindi tenerepresente che il come si racconta,come si fa conoscere una storia, haricadute diverse nella vita quoti-diana delle e dei giovani.Uno dei temi affrontati in questianni è quindi legato alla dimensio-ne dei corpi e del desiderio, deisentimenti e delle emozioni, e ciòvale sia per il maschile che per il

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femminile. Pertanto, la sceltametodologica è stata quella diutilizzare le storie quotidiane, e inparticolare quelle più prossime almondo giovanile. Prossime neitermini di vicinanza geografica –

non un altrove, ma qui, a pochichilometri da me – e di vicinanzagenerazionale – giovani donne egiovani uomini che vivono lastessa realtà della mia. Per cui,accanto alle storie di donne chescelgono e hanno scelto di com-piere scelte di rottura con il potere'ndranghetistico, e con un sistemadi potere totale e totalizzanteanche sui loro corpi e sulle libertà,abbiamo scelto di posizionare lestorie di coetanei conterranei.L'importanza del prefisso co- è inquesto caso, rivoluzionaria.Raccontare la storia di Pino RussoLuzza, ad esempio, giovane uomoucciso nel 1994 in provincia di ViboValentia perché si era semplice-mente innamorato permette diavviare profonde riflessioni sultema dei sentimenti, e dellacrudeltà di un potere 'ndrangheti-stico che nega anche la possibilitàdi amare. Raccontare questastoria, la spontaneità dei gesti,l'innocenza di un sentimento sanoè per chi ascolta un importantepasso in avanti verso la consape-volezza di sé stessi, di un potereche è traducibile nella loro vita

quotidiana, e che viene ricono-sciuto come potere oppressivo chenega il diritto alla felicità. E ancora,raccontare ciò che ha vissutoDenise Cosco, fig l ia d i LeaGarofalo, che ha subito la violenzadella privazione della propriaidentità, libertà e dell'affetto piùc a ro , q u e l l o d e l l a m a d re .Raccontare della scelta di Denise,avvicina la possibilità dell'altrove,della disobbedienza, della sceltadi lottare contro chi impone anchecon chi “farsi fidanzata”. E poi,ancora più nel rispetto delle vitedelle giovani donne, raccontare lestorie di Anna Maria Scarfò e diuna giovane ragazza di MelitoPorto Salvo (Angehelone et al.,2016) che hanno per anni subitoviolenza sessuale e violenza diogni tipo da parte di uomini legatia gruppi 'ndranghetisti o che, inogni caso, hanno riproposto ilmodello di dominio – basato sullaviolenza fisica, sulla paura e sulcontrollo – tipico delle mafie.Storie queste che impongono unagrande presa di responsabilitàverso chi ha funzione educativa eformativa. Storie che aprono ilvarco a riflessioni serie e spogliateda stereotipi legate alla dimensio-ne dello stupro, ma anche dellaconsapevolezza dei propri corpi edella propria soggettività. .

importante elaborare percorsi di

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conoscenza delle possibilità diaiuto e denuncia, con partenariatie reti con i centri antiviolenzaterritoriali, ma anche di formazio-ne per il riconoscimento di queisegnali che possono lanciare unallarme e un grido – soffocatotroppo spesso dalla paura e dallavergogna – di aiuto. Ne è esempiola storia di Roberta Lanzino,diciannovenne uccisa per stuproperché viaggiava verso il mare conil suo motorino: Roberta haincontrato lungo la sua stradauomini che hanno pensato dipoterla dominare perché sitrovava su quella terra di loroproprietà. Una storia ancora senzaverità ma di grande speranza: igenitori di Roberta hanno creatouna fondazione che da 25 anniaccoglie le donne in situazioni didifficoltà e che da anni proponenelle scuole percorsi di educazio-

ne e consapevolezza di genere.Ancora, parlare e far vivere aigiovani uomini la decostruzione diquell'idea che essere uominisignifica poter el iminare leemozioni e gestire le persone e icorpi come territori da occupare,usare, violentare. Decostruirequella idea di virilità, legataall'essere uomini d'onore, chedisonora anche se stessi e il loroessere persone.Quello che in sintesi proponiamo,è una nuova forma di lotta allemafie a partire dai corpi e daisentimenti. Mettendo insieme lestorie quotidiane prossime in unesercizio di memoria che mostracon forza la possibilità di resisten-za e di lotta di tante giovani donnee giovani uomini.

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Bibliografia citata

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27Memorie, generi e violenza

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LAVORIDEGLI

STUDENTI

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Ci è stata affidata la storia diEmanuela Sansone, la primadonna vittima di mafia che siconosca. Le notizie su di lei nonerano molte, visto che la suamorte risale al 1896, così come nonabbiamo trovato nessuna fotoriferita ai personaggi coinvolti, nétestimonianze dirette o altre fontiattendibili ; quindi, abbiamosvolto delle ricerche sull'ambientee sulle abitudini del periodo in cuiè accaduto il fatto.Alla fine, però, abbiamo voluto“attualizzare” tutto il contesto,come se le persone e il loro mododi parlare e di agire fossero, in uncerto senso, “moderni”.Abbiamo ricostruito la scena delcrimine, partendo dall'articolo dicronaca pubblicato sul “Giornaledi Sicilia” subito dopo l'omicidio;abbiamo, inoltre, inventato un

dialogo tra i vari personaggi,facendoli parlare attraverso ilcellulare, con messaggi via what-sapp, un mezzo che noi ragazziusiamo molto spesso ogni giorno.

SCENA DEL CRIMINENoi abbiamo immaginato la

scena del crimine e ora cerchere-mo di spiegarla.

La sera dell'omicidio, nella bettoladove viveva e lavorava la famigliaSansone, al lato destro della portaerano situati dei sacchi di grano, infondo alla stanza c'erano alcunebotti di vino, precedute da duetavoli.Nel tavolo a destra si trovava ilpadre di Emanuela, SalvatoreSansone, un po' brillo, che giocavaa carte con Antonino Clemente, unsuo amico; nel tavolo a sinistra,

EmanuelaSansone28 dicembre 1896Palermo

Classe III D Istituto Comprensivo “D. Alighieri”Salzano (VE)

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AIUTACI A DAREUN VOLTO AEMANUELA

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invece, giocavano i due fratelliniSansone, mentre Emanuela sistava dirigendo verso il bancone. Adestra della porta c'era GiuseppaDi Sano, sua madre, che serviva lacliente Caterina Pirrone.La via di fronte alla bettola - viaSampolo - era delimitata da unmuro alto due metri, ma che inalcuni punti presentava dellebrecce, attraverso le quali sipoteva entrare nella proprietàadiacente. Due killer, verso le ore20.00, si erano appostati dietro almuro e avevano posato la cannadella lupara attraverso un foro acirca 1,5 m di altezza.Attraverso la porta avevano vistoEmanuela e sua madre Giuseppadi Sano.Presa la mira, avevano colpito la diSano al fianco e al braccio e lapovera Emanuela alla tempia,u cc i d e n d o l a a l l ' i s t a n te . I lSansone, scioccato dall'accaduto,si era messo a piangere ed erarimasto immobilizzato dal dolore.Proprio in quel momento, passa-vano di lì un poliziotto e un infer-miere che, entrando bettola,avevano aiutato la povera Pirrone,mentre cercava disperatamente disoccorrere Giuseppa.Quindi, avevano constatato cheper Emanuela non c'era più nullada fare...

MESSAGGI WA – GRUPPO FAMILIARIE CONOSCENTI DI EMANUELAAmministratore del gruppo:Salvatore SansonePartecipanti: Giuseppa Di Sarno,Emanuela Sansone, SalvatoreSansone (fratello-F1), GiuseppeSansone (fratello- F2), CaterinaP i r ro n e ( c l i e n te a b i t u a le ) ,Antonino Clemente (amico delpadre).27/12/18968:00Salvatore (F1): Ehi gente, come vastamattina? Siete svegli?Giuseppe (F2): Come va ragazzi?Emanuela: Sto bene, io sono giàsveglia da un bel pò, perché hodovuto lavare il vestito che si eramacchiato servendo il vino adAntonino.Giuseppa: Ricordati che oggidovrai controllare i tuoi fratelli eaiutarmi al bancone della bettola,Emanuela.Emanuela: Va bene, ma sai chefaccio fatica a fare i conti…Caterina: Giuseppa ricordati dipreparare la pasta che ti avevoordinato, e inoltre ti porterò il miovestito con i merletti da accorcia-re.Giuseppa: Ok, ma riuscirò a darti ilvestito tra una settimana, perchého finito il filo.Caterina: Ok, va bene, ci vediamoverso sera.

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Emanuela: Mamma, intendi il filorosa? Dovrebbe esserne avanzatoun pò, dopo aver cucito lo scialledella signorina Lo Cascio.Giuseppa: PerfettoEmanuela: Credo però sia in unoscatolone giù in cantina; papà, lopuoi andare a prendere tu?Salvatore (papà): Ok, va bene.Antonino: Oh Salvatore, conferma-ta la partita a carte per stasera alle7?Salvatore: Si, però preparati,perché tanto vinco!!!Antonino: Io non credo proprio.Salvatore : Io invece sì! Ora devoandare.Antonino: Ci vediamo dopoGiuseppe (F2): Oggi giochiamo acarte, con la palla, oppure saltia-mo con la corda?Emanuela: A me basta che nonfacciate confusione, perché sevengono clienti nuovi, dobbiamofare una buona impressione su diloro!

10:30Emanuela: Salvatore, Giuseppe,andate a prendere la corda dasaltare e a dare una mano a papà asistemare la cantina, perché staentrando un nuovo cliente e ioforse lo devo seguire…vediamoche vuole…

Emanuela: Mamma vieni qua: c'èun cliente nuovo e vorrei lo

seguissi tu, visto che sei più abilenei conti.Giuseppa: Ok, ora vengo di là echiedo a questo signore se vuoledel vino.Salvatore (F1): Emanuela, ma quelsignore che hai detto che è entratopoco fa era un cliente che avevi giàvisto prima?Emanuela: No, perché?Salvatore (F1): Perchè ho visto checi osservava attentamente…ma inun modo strano…non mi è piaciu-to per nulla…

Emanuela: Macchè, cosa ti inven-ti!?!? Poi tu non dovevi essere incantina?Salvatore (F1): Ero solo salito perprendere un boccale nuovo,perché l'altro si è rotto, e mi sonoaccorto del suo modo di faremisterioso.18:30Antonino: Salvatore ci sei?Salvatore: Sto arrivando, stoarrivando ho preso le carte sba-gliate.Antonino: Va bene, nel frattempoprendo un bicchiere di vino.Caterina: Sto arrivando anch'io,Giuseppa! Sempre di corsa, noidonne…

Giuseppa: Ti ho già preparato lecose che mi avevi chiesto.Emanuela: Ora madre, ti porto iragazzi, così ti aiuto. Ah! Ho trovatoanche il filo.

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Giuseppa: Va bene, grazie, bastache si comportino bene.Giuseppe (F2): Ovvio, tanto dob-biamo solamente giocare con lacorda.Salvatore (papà): Già che ci siete,portate su una botte di vino .Salvatore(F1): Ok, va bene.20:00(partono due spari che colpisconoEmanuela, uccidendola, e suamadre al fianco e al braccio).EMANUELA HA ABBANDONATO ILGRUPPO

MESSAGGI WA – GRUPPO MAFIOSIAmministratore del gruppo: capomafioso (CM)Partecipanti: sicario n° 1 (1),sicario n° 2 (2), mafioso perlustra-tore n° 1 (P), organizzatore n°1(O1).

26/12/1896ore 11:00O1: Siamo nei guai! Ho sentito cheGiuseppa di Sano ci ha denunciatoperché ha scoperto il nostro giro dibanconote false!CM: Bisogna provvedere o andre-mo tutti in carcere…

O1: Qualcuno ha qualche idea?P: Io potrei fare un giro davanti allasua osteria e controllare la situa-zione.CM: Non dare troppo nell'occhio!ore 13:00

O1: Hai controllato un pò la situa-zione?P: Sì, non li ho trovati allarmati,quindi credo che potremo agireindisturbati.S1: Bene allora il nostro lavoro saràmolto più facile.S2: Ho preparato due lupare giàcariche per domani sera.S1: Qual'è Giuseppa?CM: Nel dubbio, sparate dovevedete delle donne. Bisognaassolutamente eliminare quellaspia!P1: Di solito indossa un vestitolungo con colori chiari, con ungrembiule marrone, i capelliraccolti in uno chignon e ai piediaveva scarpe basse; l'altra che hovisto, invece, aveva un abito lungoscuro, con un grembiule chiaro edelle scarpe più semplici.S2: Com'è la loro corporatura?P1: La prima è bionda, di corpora-tura e di altezza media e di carna-gione olivastra; la seconda è mora,bassa, un po' robusta e di carna-gione scura.27/12/1896ore 12:00P1: Stasera, quando farà buio,dovrete eliminare il pericolo; perl'operazione appostatevi dietro ilm u r e t t o c r e p a t o , d a v a n t iall'osteria.CM: Sono d'accordo, state attenti anon dare nell'occhio.

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O1: Uno di voi due si occuperàdella donna bionda e l'altro dellamora.ore 20:00S1: Siamo qui, davanti al muro;avevi ragione O1, ci sono diversibuchi nel muro.O1: Bene, vedete il bersaglio?S2: Sì, le vediamo, una è al banco-ne e l'altra ci sta andando.CM: Sparate a tutte e due! Subito!ore 20:04S1: Abbiamo fatto! Stiamo scap-pando perché la polizia si staavvicinando all'osteria.O1: Scappate! Veloci!ore 20:10S2: Ora siamo al sicuro…

CM: Le avete uccise?S1: Una è chiaramente morta sulcolpo, l'altra…

CM: L'altra?!S2: Non possiamo dirlo con certez-za, perché l'abbiamo colpita alfianco e al braccio, è caduta aterra… c'era molta confusionedopo gli spari…noi siamo scappatisubito…era troppo rischiosorimanere lì…

CM: Spero per voi che abbiateucciso Giuseppa, sennò sarannoguai! Capito????S1: Sì, capoS2: Sì, capo.

28/12/1896ore 8:00CM: Siete tutti degli incompetenti!S1: Cos'è successo capo?CM: Cos'è successo??? Hai anche ilcoraggio di chiedermelo??? Nullitàche non siete altro! Avete ucciso lafiglia di quella donnaccia!!! Lei,l'avete solo ferita, l'hanno portataall'ospedale, i miei informatori mihanno detto che i dottori riusci-ranno a salvarla!!!S2: Le chiediamo scusa capo, nonera come le altre volte…così,sparare da fuori, dentro un locale,di sera…

CM: Sono finito! Ora andremo incarcere, per colpa vostra!O1: Meglio eliminare questogruppo e i messaggi, prima che lilegga qualcuno…

CM HA ELIMINATO IL GRUPPO

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LETTERA ALLA MAMMADalla disperazione alla consape-volezza che la vita non finisce se c'èmemoria

1/07/1975

Ciao cara mamma,ti scrivo in fretta e con la manotremante, perché ormai dentro dime c'è solo paura! Ènotte fonda, tra qualche orasorgerà il sole, annunciando cosìun nuovo giorno, ma qui dentro inuna piccola buca esclusa dalmondo non cambia mai niente, aparte il mio cuore, che sta diven-tando ogni secondo più debole,come il mio respiro. Sono qui forseda una settimana e quei terribiliuomini non hanno fatto altro chesomministrarmi medicinali chenon conosco, l'unica cosa che so è

che mi rendono stanca, sfinita...Il cibo che mi danno è scarso,quasi inesistente.Probabilmente ti starai chiedendoche cosa stia succedendo, dove iosia e a dire la verità non lo sonemmeno io. Quella terribile serain cui mi hanno rapita, stavotornando a casa dopo essere stataal solito bar di Erba con Emanuelae Carlo, che probabilmente tihanno già raccontato tutto. Carloguidava la sua Mini Minor,Emanuela e io lo prendevamo ingiro per le piccole dimensioni.Stavamo percorrendo la strada diperiferia per Eupilio, quando Carlonotò che una Fiat 125 gialla ci stavaseguendo da tempo.In quel momento ho avuto unpresentimento. È strano che a seratardi un'auto ti segua in quelladeserta strada di campagna.

CristinaMazzotti1 settembre 1975Varallino di Galliate (NO)

Classe III E Scuola Media “G. Mazzini”Mirano (VE)

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Mentre ero immersa nei mieipensieri, improvvisamente la Fiatci sorpassò e ci strinse, costrin-gendoci a fermare. Sentivo il cuorebattere sempre più forte. Dall'autoscesero due uomini armati che,dopo aver aperto le portiere dallaM i n i M i n o r, f e ce ro s e d e reEmanuela e Carlo nel sedile dietrocon me, ordinandoci di accucciarciin modo da non essere visti.Intanto mi chiedevo: perché sonoqui? Perché stanno rapendo noitre? Cosa vogliono fare? La miafamiglia la rivedrò ancora?Rimasi in silenzio, cercando distare tranquilla. Dopo un pò,arrivammo vicino a un cupo e buiobosco. Sentii il mio cuore accelera-re sempre di più, mentre immaginidi terrore affollavano la miamente, rendendomi sempre piùdebole e indifesa, come unabambina. Poi, uno degli uominichiese in tono minaccioso chifosse Cristina Mazzotti. In quelmomento sentii il mondo cadermiaddosso. La disperazione dentrodi me era così forte, che avevopaura persino di respirare; il miofuturo dipendeva da quel momen-to, me lo sentivo, e avevo ragione.Quella che fino a poco prima erastata una serata magnifica, pienadi risate e chiacchiere, si stavatramutando in un incubo. Mi sonodiretta timidamente verso quei

mostri, per consegnarmi a loro. Main quella situazione così ingiusta eterribile, che rivivo ogni singolominuto, la cosa peggiore è stata dinon aver potuto salutare e abbrac-ciare i miei amici. Loro, le personecon cui sono cresciuta, con cui horiso, ho pianto, le ho dovutelasciare lì, senza sapere cosasarebbe successo. Sebbene sentadi aver fatto la cosa giusta, eoltretutto l'unica da fare, provorimpianto per non averli abbrac-ciati e soprattutto per non averdetto loro che sono la cosa piùbella che ho incontrato nella vita.Sono salita sulla Fiat cercando dimantenere la calma, dato chepensavo che un mio passo falso,avrebbe potuto mettere in perico-lo Emanuela e Carlo. Avrei volutodire loro di scappare, di mettersi insalvo. Durante tutto il tragitto nonho fatto altro che assaporare lemie lacrime, e pensare a te, a papà,ai miei amici e alla mia vita.Mia cara mamma, ho tanta paura.Mi sento debole come una fogliad'autunno, consumata dall'ansiaper ogni cosa che si muove e perogni rumore. Ho bisogno direspirare aria buona, di aprire lamente e rilassarmi, anche se temoche non sia più possibile. Cerco dimantenere la calma, di respirare afondo e chiudere gli occhi, anchese ogni minimo sforzo fisico o

35Cristina Mazzotti

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mentale è come un grande doloreche mi travolge... Sono sempre piùconfusa e preoccupata, per me,per voi, per ogni cosa banale oimportante mi passi per la mente...Sento i ricordi consumarmi, rivivotutti quei momenti che ho vissutosenza dare loro un minimo diimportanza. Ogni singolo minutoche passa è un minuto di doloreche si aggiunge alla mia vita, vitache un tempo era perfetta, pienadi gioie e colori, e ora un unicoincontrollabile e costante dolore.Non so per quanto tempo rimarròqui, ma se la mia vita dovrà perforza terminare in questo luogopiccolo, buio e umido, spero allorache duri ancora poco, perché nonsono e non sarò mai in grado disopportare la vostra assenza a

lungo. In fondo però, credo sianoquesti i momenti in cui si capisceveramente quanto valga unsemplice sorriso, un grazie, unbuon giorno o una buona notte,ma soprattutto credo siano inquesti i momenti in cui si capisceche dono meraviglioso sia la vita,perché essa non la puoi comprare,né scambiare…

Infine mamma, lo sai quanto benevoglio a te e a papà, lo sai chesenza di voi non sarei mai statacoraggiosa, quindi grazie, grazieper esserci stati … e sai, magarinon ci sarò più a darti una mano incucina, ma sono certa che vivròper sempre nei vostri cuori.

Tua per sempre, Cri-cri

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Una vita controcorrente

La Calabria è una terra ricca dicontrasti e bellezze. Molti ostacolispesso la caratterizzano per ilraggiungimento di una pienaautonomia sociale e civile, ma isuoi abitanti oggi più che maimostrano animo risoluto, spiritoforte e voglia di cambiamento, datempo questo vento nuovo è statoatteso e oggi più che mai dobbia-mo cogliere queste brezze leggereche hanno spiegato le vele dellalegalità per approdare alla nostraItaca. Una terra promessa in cui gliuomini, esseri liberi, sono pronti arispettare se stessi e gli altri invirtù di un ideale comune. Uominie donne semplici, non eroi noneroine ma gente comune che vuolevivere senza paura la propria vita,libera di esprimersi ed essere.

Caterina era una bellissimaragazza, per quanto bella eradiretta, non temeva di sostenere lesue idee se convinta di essere nelgiusto. Era una tosta Caterina.Aveva ventidue anni e questo suocarattere spesso le era costato laperdita di numerose amicizie.Nonostante i suoi problemi e itanti pregiudizi dei paesani eraarmata di buono spirito e tantaforza di volontà, dedita al lavoro epronta ad aiutare la sua famigliaper sbarcare il lunario. Era unadonna molto sensibi le chenascondeva i propri sentimentiper non sembrare debole agliocchi altrui, serbava un amore,una gioia e un affetto immenso neiconfronti della propria madre.Aveva pochi beni, molto preziosi: isuoi familiari e qualche capra. Conamore e cura si occupava di

CaterinaLiberti1976Motticella di Bruzzano Zeffirio (RC)

Classe I A Scuola Secondaria I gradoIC “Murmura” - Vibo Valentia

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AIUTACI A DAREUN VOLTO ACATERINA

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entrambi.Spesso si recava con la madre incampagna per aiutarla nel lavorodei campi oppure al mercato avendere il formaggio che produce-vano nel podere fuori città.Un'attività che richiedeva tempo ecostanza, era lei stessa che mun-geva i suoi animali, versava il lattein un recipiente e con cura attizza-va un fuoco sul quale poggiava unagrande pentola per farlo bollire,ne gustava il profumo che sprigio-nava, non appena diventavatiepido lei mescolava con amorefinché non arrivava il momento diaggiungere il caglio. Aspettava contrepidazione il momento in cuidoveva “rompere” la forma,impiegava circa mezz'ora primache il latte si addensasse. Ilformaggio iniziava a prendereconsistenza, poi aiutandosi con lemani stringeva forte la pastaformatasi, plasmandola in piccolicilindri, in modo da eliminare illiquido in eccesso, rigirandoloancora un paio di volte tra le mani.Con cura lo poggiava su assi dilegno per farlo stagionare in unluogo alto e fresco, erano necessa-ri all'incirca quindici o venti giorniprima che fosse buono per esseremangiato. Com'era fiera del suoformaggio! Era il più buono di tuttoil paese. Lei stessa lo mangiavacon gusto, ma soprattutto lo

vendeva al mercato per ricavarnequalche soldo.Le piaceva passare il tempo alpodere, intorno al suo piccologregge c'erano degli alberi di peree mele e altri alberi da frutto, di làdalla staccionata si stendeva unacampagna coltivata in estate apomodori, zucchine, melanzane,peperoni, carote e piselli e unapiccola casupola fatta con assi dilegno, ripostiglio per arnesiagricoli e i semi dei vari ortaggi.Caterina era volenterosa e prontaad aiutare la madre, la sua bellez-za non era unicamente interiore,non passava di certo inosservatala domenica mattina quando sipreparava con cura per recarsipresso la chiesa del San Salvatore,nella piazza del suo paese aMotticella di Bruzzano, ad ascolta-re la Santa Messa. Lei aveva notatogli sguardi insistenti di un ragazzo,le piaceva molto ed era sicura cheil fiore che al rientro dalla messatrovava puntualmente sulla portadi casa, fosse il suo. Caterina si erafidata di lui al punto da innamo-rarsi e iniziare una relazione dallaquale sarebbe nata una bambina.L'uomo però si rivelò ben prestoun mascalzone, abbandonòCaterina appena seppe che lei erain attesa di un figlio. Questaesperienza l'aveva segnata,sicuramente rendendola più forte,

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ma non immune alle voci delpaese.Motticella era un piccolo borgo, lenotizie giravano molto veloce-mente, ben presto di bocca inbocca il suo nome risuonò su tutte.Alla gente del posto non piaceva-no le persone poco timorate di Dioe Caterina adesso sembrava nonesserlo, perché nel suo grembostava crescendo una creaturasenza padre, fuori da un legamefamiliare, lei non aveva rispettatole loro tradizioni, era venuta menola castità della ragazza. Avevaosato portare alla luce una figliapur non avendo contratto regolarinozze e per questo non era vista dibuon occhio. Spesso gli abitanti lechiedevano della relazione avutacon il padre della bambina e leitirava fuori le unghie per difender-si dagli insulti e dalle offese cheerano impliciti nelle loro doman-de.Motticella era un paese abitatoquasi completamente da contadi-ni poco istruiti pronti a giudicare ilprossimo e lei ne era consapevole,ma non si abbatteva quasi mai,nonostante le difficoltà nonmancassero. Questo borgo facevaparte del comune di BruzzanoZeffiro, in provincia di ReggioCalabria, e sorge su una collina a120 metri dal livello del mare,attraversata da una fiumara, luogo

d'incontro, dove le donne andava-no a lavare gli indumenti, attinge-re alle sue acque e portare alpascolo il gregge. Ancora oggirisiedono meno di 100 abitanti. Lecase sono di vecchia costruzione emolte disabitate, il paese sidistribuisce su poche vie principa-li ovvero via Diana, via Bogni, viaMerulli, strette a tal punto che nonè consentito che il passaggio diun'unica automobile. Tra queste siintersecano dei vicoli che neldialetto locale sono denominate“rughe” o "vineje" dove spessofatti illeciti si compivano. Difficilevivere in un paese dove regna lamafia e la legge dell'omertà,questo lo sapevano bene tutti, madifficile è ribellarsi alle sue strettemaglie che come una rete trattienepaure e sogni. L'omertà è il silenzioe il silenzio non è solo essereindifferenti, ma anche ostacolarela ricerca del colpevole.Caterina viveva con la madre MariaAntonia Tedesco, anche lei era unacontadina, portava lunghi capellibianchi raccolti in una treccia eavvolti in un foulard nero com'erausanza per le contadine del Sud. Ilvolto era segnato da rughe profon-de, segno indelebile del tempoche passava e del duro lavoro fattonei campi, la pelle era segnata daquel sole caldo del Sud che saessere feroce nelle calde giornate

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estive mentre ci si china su quellaterra di lavoro pronta a dare i suifrutti in cambio del sudore dellafronte. Era anziana la madre, sullasoglia dei settant'anni non avevapiù la forza di lavorare nei campi,ma dava comunque una mano allafiglia che si occupava di lei.Portava abiti scuri e quando siritirava dal podere fuori città, la sivedeva spesso attraversare le viecon in testa un cesto di vimini chelei stessa aveva intrecciato,sembrava un'equilibrista, nono-stante l'età portava fiera il riccobottino dei prodotti della terra.Era determinata come la figlia, unapersona semplice e umile equando seppe che Caterina erarimasta incinta provò grandedolore per la buona reputazionedella figlia, che in quel piccoloborgo sarebbe venuta meno. Nonmancò di sostenerla e decise diaiutarla e stare al suo fianco. Erauna donna umile e gentile, avevavissuto per tutta la vita in quelpaese ed era molto rattristata che isuoi paesani la evitassero e laderidessero a causa di quantoaccaduto, ma il bene che provavaper sua figlia era superiore aqualunque avversità e soprattuttoalle accuse gratuite che i paesanile riversavano.I l te m p o s co r re va l e n to aMotticella, scandito da giornate

una uguale all'altra. Caterinaimmaginava un futuro diverso perla figlia, sperava in un'istruzione ingrado di allontanarla da quelluogo e riscattarla agli occhi ditutti. La ragazza era il centro delsuo mondo e per lei avrebbe fattoqualsiasi sacrificio. Le era statoassegnato il nome della nonna,usanza che spesso era rispettatanelle regioni a Sud d'Italia.Secondo la buona tradizione i figlidovevano portare il nome deinonni paterni, ma poiché lei nonaveva avuto un padre che l'avessedichiarata all'anagrafe, Caterinadecise di chiamarla come suamadre. La ragazza spesso sisentiva sola e non ben accetta daicompagni di classe che riportava-no i pregiudizi che a casa sentiva-no dai genitori sul conto dellamadre. Tutte le mattine si confron-tava con i suoi compagni, la scuolaera un eterno banco di prova, leiche per zittire tutti cercava distudiare e prepararsi al meglioall'esame che le avrebbe dato lalicenza media, ma si sa spessonemmeno esser bravi a scuolaaiuta e lei rimaneva agli occhi deicompagni come quella senza unpadre. Ed effettivamente non c'eraun padre pronto a difenderla osemplicemente in grado di darleaffetto, suppliva la madre a ciò, manon era lo stesso. Non era sempli-

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ce reggere lo sguardo di chi sisentiva migliore di lei, il senso diimpotenza spesso la pervadeva enulla la confortava. Al rientro dascuola, la si poteva scorgere con losguardo attento, mentre rientravaa casa, a scrutare i volti degliuomini del paese. Tra quelli c'erasuo padre. Ne cercava i lineamenti,i colori, il taglio degli occhi o ilsorriso. In maniera furtiva, quasicon la paura di poter esser rimpro-verata. Quando incrociava unpadre e una figlia che passeggia-vano mano per la mano o stretti inun abbraccio inevitabilmentequalche lacrima le rigava il volto, anulla serviva ripetersi che dovevaessere forte come sua madre,celava in fondo al cuore un rancorecontro quell'uomo che l'avevagenerata e abbandonata allamiseria, ma che pur sempre erasuo padre.Era Il 2 febbraio del 1976, ricorrevala festa della Candelora e Caterina,con sua madre e la figlia, sistavano apprestando per andarein chiesa e partecipare alla funzio-ne liturgica che si sarebbe svoltanel primo pomeriggio. Ma prima direcarsi presso la chiesa del SanSalvatore decisero che sarebbestato opportuno sistemare ilpiccolo gregge di capre che aveva-no, era il caso di rinchiuderleperché da lì a poco il buio avrebbe

ammantato il borgo. Lasciò lamadre e la figlia e si diresse alpodere, arrivata, si rese conto chele sue capre non vi erano più.Qualcuno le aveva rubate. Unturbinio di sensazioni la pervase,era sconvolta, sapeva che senza lesue capre non avrebbe potutomantenere la sua famiglia, ma allostesso tempo la rabbia nei con-fronti di chi aveva compiutoquesto gesto spregevole aumen-tava a dismisura.In un piccolo borgo, non è difficileimmaginare chi con la forza e laprepotenza è abituato ad appro-priarsi delle cose altrui. Si recò acasa e parlò con la madre e la figliadell'accaduto, era determinata adaffrontare quegli uomini e ariprendersi ciò che era suo. Decisedi andare a trattare con i delin-quenti, affrontarli parlandoglifaccia a faccia, la madre erapreoccupata aveva paura che se sifosse presentata a casa loro condelle accuse l'avrebbero uccisa.Attese un giorno. Alle dieci dimattina, mentre la madre erapresso il podere, Caterina nonriusciva a trovare pace, i pensierierano un turbinio di contraddizio-ni, pensava alla sua famiglia, sichiedeva come avrebbe fatto asfamarle e a pagare gli studi persua figlia, decise allora di recarsi acasa dei malfattori. Non era facile

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e lei ne era consapevole, avevapaura, ma doveva farlo. Lo dovevaa sua madre che non l'avevaabbandonata nel momento in cuiera rimasta incinta e lo doveva asua figlia: era necessario farlecapire che non avrebbe dovutomai chinare il capo di fronte alleingiustizie subite.Sì recò presso la dimora dei ladri.La casa era recintata da un muroalto e grigio che non dava lapossibilità a chi passava di vederechi ci fosse all'interno. Prese unbel respiro e suonò il campanello,posto sul lato destro di un cancel-lo in ferro battuto. Ad aprire fu unadonna vestita di nero, ma eramolto diversa da sua madre, gliabiti erano in panno e i gioielli cheindossava mostravano l'agiatezzain cui viveva. Le chiese cosavolesse, alla richiesta di parlarecol padrone di casa fu invitata aseguirla, assieme percorsero unlungo viale alberato, alla suadestra molti ulivi si estendevano enon molto lontano dall'ingressoprincipale c'erano due cucce dallequali spuntavano due grossi caniaccovacciati. Sulla sinistra sii n t ra v e d e v a p a r c h e g g i a t aun'automobile nera di grossacilindrata, non riuscì a distinguer-la, la sua cultura in fatto di motoriera inesistente. Fu fatta accomo-dare nel soggiorno. Caterina in

attesa che qualcuno le si presen-tasse davanti, si guardava intorno,notava le ricche suppellettili, ipavimenti di marmo, il broccatodei tendaggi e il damascato deidivani, a terra vi era un grandetappeto sul quale troneggiava untavolo in stile barocco. Sullecredenze c'erano statue di variocolore, appesi alle pareti numerosiquadri: l'oro e il rosso erano icolori predominanti. Non avevamai visto tutto quello sfarzo.Presto si presentò il padrone dicasa in compagnia di altre trepersone. Caterina fu invitata asedersi su una poltrona affiancataa un camino fatto in mattoni.C o m i n c i a ro n o a d i s c u t e redell'accaduto, si rese presto contoche la prepotenza e l'arroganza diquegli uomini non le avrebberofatto ottenere nulla. L'accordo nonfu trovato. Il furto era stato ungioco per loro, ai quali di certo nonservivano le sue capre per soprav-vivere, ciò la indispettì maggior-mente, ma era comunque unadonna saggia, consapevole che lesue parole non avrebbero, inquella occasione, cambiato nulla.Chiari erano stati gli sguardi didisprezzo e superiorità che leerano stati rivolti. Consapevoleche quella trattativa non eraandata a buon fine, si congedò daquegli uomini e si allontanò da

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quella casa. A passi lenti trascinòse stessa e i suoi pensieri. Il ventofreddo sembrava esser ancora piùcattivo con lei, non riusciva acapire se quel gelo che sentivaprovenisse dalla sua anima inpena o dalla volontà che aveva diraggelare i pensieri e far morirequalsiasi speranza. Caterinadoveva trovare una soluzione, nonpoteva darsi per vinta, né darglielavinta, quale insegnamento avreb-be lasciato a sua figlia?Nella strada verso casa era piùturbata che mai, le vie le sembra-vano più piccole, quella stretta alcuore che aveva le faceva accele-rare il passo, una lacrima calda dirabbia le rigò il volto. I suoi passi sifecero sempre più svelti, presto sitramutarono in una corsa versocasa. Arrivata, chiuse alle suespalle la porta, si lasciò scivolare aterra e si abbandonò a un lungo erumoroso pianto. Si sistemò icapelli, si diresse verso la tavola esi versò dell'acqua, seduta guarda-va il vuoto mentre la mente siperdeva in mille domande. Si recòverso il bagno, si lavò il volto, sidiede una sistemata e tornò alpodere, doveva raccontare tuttoalla madre e alla figlia. La madre leconsigliò di lasciar stare, di trovareuna soluzione diversa, avevapaura per entrambe. Lei nonvoleva piegarsi alle logiche di un

paese che vuole il silenzio e taceogni atto di prevaricazione. Tuttele notti osservava la sua bambinache stava diventando una giovanedonna e si chiedeva quale potesseessere la cosa giusta da fare, qualeinsegnamento le avrebbe traman-dato se avesse lasciato correre.Spesso le parlava, le dicevaquanto fosse importante andareavanti, le ripeteva sempre: “Mai,mai hai u ti stai queta che peju tifannu. Prima a tia e poi all'atri. Canc'è du mio, non esisti. A 'rrobba èsulu i cui a lavura. Ricordatillu”.Caterina temporeggiò per oltre unmese, nella speranza che i malvi-venti rinsavissero e le restituisse-ro quanto le avevano tolto, ma nonvedendo nessuna azione da parteloro decise, suo malgrado, dipresentarsi presso il commissaria-to di Melito Portosalvo a sporgereregolare denuncia dell'accadutocon tanto di nomi e cognomi deiladri. Molti pensieri le affollaronola mente nei giorni successivi,paura e forza sembravano potes-sero coesistere. Consapevole chedava alla figlia un grande insegna-mento: vivere secondo i principidell'onestà e del rispetto neiconfronti degli altri e di sé stessa.La madre era seriamente preoccu-pata per la sua incolumità e insilenzio tutte le notti pregava epiangeva per quella figlia troppo

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temeraria e imprudente. Erapassato più di un mese da quandoCaterina si era recata a casa deimalviventi. Nulla, esattamentenulla era successo. Il temposcorreva sempre uguale, lentonell'indifferenza apparente ditutti, ma si avvertiva nell'aria chequalcosa era cambiato, Caterina lascellerata aveva osato rompere gliequilibri e il silenzio proprio di chinon vuole problemi, pronto apiegarsi alle logiche di chi incutepaura, vittima di essa primaancora che dei delinquenti.Calava la sera e portava con sé uncarico di stanchezza, ma non lapace. Durante la notte le preoccu-pazioni si trasformavano in incubie le paure prendevano forma. Itimori si trasformavano nei mostripiù pericolosi e lei, in questoscontro perdeva sempre. Spesso sisvegliava sudata e andava acontrollare che la figlia stessebene, le rimboccava le coperte esperava di riprendere sonno.Difficilmente ci riusciva.Era stata una giornata dura, neicampi c'era sempre tanto da fare.Da quando non aveva più le suecapre, Caterina doveva lavorare ildoppio per cercare di coprire lespese. Era stato dura per tuttiquesto 19 marzo, ricorreva la festadel papà, in quella casa nessunoc'era da festeggiare. Piuttosto era

lì quella data a ricordare ancorauna volta che quando c'era biso-gno di un uomo, di un padre o di unmarito erano sempre le donne dicasa a supplirlo. Tre donne prontea essere tutto ciò vicendevolmen-te. La strada del ritorno sembravapiù faticosa quella sera, sul lungosentiero, di sassi e ciottoli, checollegava il loro podere al paesino,si intravedeva ben poco. Caterinae sua madre camminavano a passiveloci, tutto era poco illuminato equel posto così familiare sembra-va un luogo buio dove ogni cosaavrebbe potuto celarsi. Era quasil'ora di cena, il campanile dellachiesa rintoccava le otto, loroerano arrivate alla piazzettailluminata solo dalle piccole luciopache che fi l travano dallefinestre delle case che attaccatel'una all'altra, sembrano aprirsi aun piccolo labirinto, l'unica cosache si distingueva era la piccolachiesa del San Salvatore, circon-data da alberelli e da una siepefiorita come poche. L'aria profu-mava di mimosa, il vento nesollevava il polline degli alberi chefiancheggiavano la chiesa. Lamadre camminava qualche passoinnanzi a lei, quasi a darle fretta dirincasare, apprestava il passo,arrivati vicino casa un fascio diluce squarciò il buio: due colpi difucile tagliarono l'aria e destarono

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il terrore della madre che voltan-dosi per capire da dove fosserogiunti vide la figlia a terra in unapozza di sangue. Due colpi aveva-no trapassarono il corpo diCaterina, ferendola alla spalladestra e al torace. Qualcuno leaveva sparato nascosto dietro a uncespuglio poco lontano. Si eraservito del buio della sera perportare la notte in quella casa. Aterra, inerme il sangue macchiavaquella strada e le urla della madrestrazianti chiedevano aiuto.Sembrava impossibile, un incubodi quelli che tutte le notti faceva,ma non lo era, questa volta erareale. Il risveglio non sarebbestato così dolce. Attirati daltrambusto, accorsero alcuni viciniche, pronti a soccorrerla, laportarono all'ospedale Riuniti diMelito Portosalvo. Pianti e sanguesi mischiavano alla rabbia e allapaura. I pensieri non erano piùlucidi per nessuno. Iniziava cosìuna lunga agonia. Caterina com-batteva ancora una volta, macontro il nemico più grande: lamorte. Una donna che aveva osatosfidare la legge dell'omertà, chenon aveva chinato il capo, fiera siera imposta con le sue paure difronte a chi la voleva piegare. Oraera in quel letto d'ospedale,inerme, a combattere per la vita,lei che sperava in una vita miglio-

re. Il piombo dei proiettili sinutriva di lei, lentamente come unveleno si era distribuito nelsangue, tale da rendere necessarial'amputazione di un braccio acausa delle infezioni causate daquesto. Furono giorni di puraagonia. La madre pregava ininter-rottamente e si chiedeva qualesorte potesse attenderle, chefuturo avrebbero avuto sua figlia esua nipote. Tre lunghi giorni e trenotti di preghiera.Era lunedì mattina. Il sole coloravaappena quel cielo rosa e ceruleo,qualche rondine si poggiava sullafinestra dell'ospedale, quasi aguardare di là del vetro qualepotesse essere la situazione inquella camera. Il medico si avvi-cinò alle donne, poggiò una manosulla spalla sinistra della madre equesta, senza che nulla fossedetto, iniziò un lungo pianto. Lemadri comprendono certe cose. Ledonne sono consapevoli della loroforza, come del loro dolore espesso questo si tramuta inriscatto, per Caterina era statocosì, lo sarebbe stato anche per lamadre che ancora una voltaavrebbe dovuto prendersi curadella nipote e lo sarebbe stato perquest'ultima che non avrebbepotuto render vano il sacrificiodella madre, l'insegnamentoavuto e il suo ricordo. Aveva perso

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l'amore di sua madre, ma nonpoteva lasciarla vinta al silenzio,spazio ci sarebbe stato per lamemoria, per il suo insegnamentoe per le sue parole.

Noi siamo la memoria che abbia-mo e la responsabilità che ciassumiamo. Senzamemoria non esistiamo e senzaresponsabilità forse non meritia-mo di esistere.(José Saramago)

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Pensieri divenuti ricordi

Graziella De Palo, una vita ancorain attesa di verità e giustizia. Unavita sospesa in cerca di pace.Non ho mai pensato a comepotesse essere la mia morte.Quando però sentii il tremoredentro le ossa e una profondastretta al petto capii che quellacosa così lontana e misteriosa mistava per prendere con sé. Paura?No, fu tutto così irreale che realiz-zare che da lì a pochi minuti il miocorpo sarebbe stato preso e fattosparire chissà dove mi sembròs o l o u n ' o r re n d a f a n t a s i a .Rimpianti? Tanti. Non potevocredere di morire così giovane,avevo solo 24 anni e un mondoancora tutto da scoprire. Ora, dopo37 anni da quel giorno, sonoancora qui, bloccata fra un mondo

in continuo cambiamento e undestino che non vuole darmi pace.Sono sempre con loro, in ognimomento, da tutti questi anni. Lamia famiglia è la mia vita ormai,quella piccola briciola di esistenzache ancora possiedo.Da quel lontano giorno di settem-bre 1980 l'oblio che mi circonda micostringe a ricordare tutto ciò a cuisono stata sottoposta e a cui misono sottoposta io stessa. Apartire dal giorno in cui io e Italomettemmo per la prima voltapiede a Beirut, quel posto tantocercato che ci tolse la libertà unavolta per sempre. Ricordo come sefosse ieri la mattina in cui deci-demmo di affidare la nostra vita auna semplice jeep grigia con ab o r d o l e p e r s o n e c h e c el'avrebbero tolta. Sapevo che misarei messa in qualche modo nei

GraziellaDe Palo2 settembre 1980Libano

Classe II E Liceo delle Scienze Umane “Albertina Sanvitale”Parma

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guai, la missione non era semplicee i rischi a quei tempi erano tanti.Nonostante questo però l'ho fatto,dovevo farlo.Sono sempre stata una testa caldasin da piccola, testarda e decisa alcento per cento sulle mie idee.Penso che sia grazie a questo se lamia carriera da giornalista iniziò aspiccare sin da subito. Non pervantarmi, ovviamente, ma erodavvero brava e decisamentecuriosa, ed è proprio per questacuriosità che iniziai a interessarmial traffico di armi tra l'Italia e ilLibano. Una verità indicibile, unsegreto che avrebbe dovutorestare tale. A ogni costo.Era già da un paio di mesi prima dipartire che iniziai una sorta dipercorso interiore nel qualecercavo di abituarmi all'idea chemi sarebbe potuto accaderequalsiasi cosa. Ma, parliamocichiaro, la mente umana è unmeccanismo così complesso chenonostante il tuo impegno riesce ametterti i bastoni fra le ruotefacendo l'esatto contrario diquello che vuoi tu. E così fece con

me. L'eccitazione e l'adrenalinapresero il sopravvento e scemaro-no tutti i miei vani tentativi ditenere i piedi per terra ed essereun minimo realista. So che moltepersone mi hanno detto che me lasono cercata, che se sono morta èsolo colpa mia perché ho osatotroppo ma non sono arrabbiatacon loro, in fondo non è un ragio-namento così sbagliato; semplice-mente non fanno quello chefacevo io e non possono saperecosa voglia dire fare la giornalista.Ora come ora non sono più inte-ressata a tutto questo. Una voltaero felice di non essermeneandata e l'idea che la verità nonvenisse scoperta era quasi unsollievo. Certo, io vedo voi e voinon vedete me, ma la paura dilasciare la mia famiglia era troppa.Adesso però basta, sono stanca diquesto continuo giro di emozioni ericordi che ogni giorno mi riportasempre la stessa strazianteagonia. Chiedo solo un po' di pace,ma questo dipende tutto da voi.

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Amore e verità

Mia figlia nacque a Firenze il 29maggio del 1956. Fu molto deside-rata sia da me che da mio marito equando venimmo a conoscenzadel suo arrivo entrambi fummoentusiasti. Decidemmo di chia-marla Rossella poiché, alla suanascita, i capelli della mia bambi-na tendevano al rosso. Fin dapiccola aveva un sorriso raggianteche poi diventò parte del suoessere. Invidiabile fu anche il suocuore puro e pieno d'amore dadonare agli altri. Questa sua bontàd'animo influenzò anche la sceltauniversitaria: voleva diventarepsicologa, essere vicina allepersone.Rossella e io eravamo molto legatee parlavamo tanto. Una sera,all'inizio dell'inverno del '78, mi

confidò che aveva conosciuto unragazzo di nome Francesco: vivevanel nostro palazzo in Santa Croce efrequentavano la stessa universi-tà, lui economia e lei psicologia.Man mano che trascorrevano igiorni, Rossella mi confidava che illoro rapporto era diventatoqualcosa di più di una sempliceamicizia e mi parlava tanto di lui,di com'era, di cosa faceva e deiloro progetti insieme. FrancescoFris ina era originario dellaCalabria, precisamente di Palmi,un bravo ragazzo che si era trasfe-rito a Firenze con il desiderio distudiare e di costruirsi un futuro.“Mamma, ho una notizia bellissi-ma: io e Francesco ci siamo fidan-zati!”.Passò quasi un anno, a me e a miomarito sembrava che la loro storiafosse qualcosa di veramente serio,

RossellaCasini22 febbraio 1981Palmi (RC)

Classe III CNA dell'ITIS “Montani”Fermo

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per questo accettammo l'invitodella famiglia Frisina a Palmi. Loroerano persone gentili, ospitali esimpatiche e passammo giornipiacevoli.Ma il quattro luglio del '79 ci arrivòuna notizia terribile: Domenico, ilpadre di Francesco, era statoucciso con due colpi di pistola.Così, per strada, senza nessunmotivo.Dopo la morte di Domenico,Rossella era sconvolta e non sicapacitava dell'accaduto, si facevamille domande a cui non sapevadare risposta. Cercavo di rassicu-rarla, dicendole che sicuramentesi era trattato di una tragicafatalità, di uno scambio di personae che né a lei né alla famiglia diFrancesco sarebbe successo nulla.Ma anch'io, dentro di me, sentivol'angoscia di quando ci si trovaimmersi in qualcosa di misterioso,che non conosciamo, non possia-mo controllare e ci fa paura.Tutto precipitò con una telefonatache mi fece Rossella da Palmi, soloq u a l c h e s e t t i m a n a d o p o :Francesco era stato colpito da unproiettile alla testa e sarebberoarrivati di lì a poco a Firenze, dovesarebbe stato curato. Era come semi fosse esplosa una bombadentro, ma l'istinto di proteggereRossella prevalse ancora unavolta, cercai di rassicurarla: “Si, hai

ragione. Francesco a Firenze saràcurato bene. Venite, vi aspettia-mo.”Nel periodo di convalescenza,Rossella riuscì a farsi raccontareda Francesco perché fosse succes-so tutto ciò. Quello che scoprì eraterribile: la famiglia di Francescoaveva rapporti con la 'ndranghetaed era coinvolta in una faida trafamiglie mafiose rivali. Mi colpìmolto che la parola “famiglia”, neiracconti di Francesco, era semprecollegata con qualcosa di oppri-mente, di minaccioso. La “fami-glia” di cui parlava non si basavasu legami d'amore, di affetto, diaiuto reciproco, ma su idee comeonore, potere, obbligo, paura,violenza, vendetta. La nostrafamiglia era un mondo opposto,quello che avevamo voluto costru-ire in tutti questi anni era unnucleo di amore, di gesti affettuo-si, di rispetto reciproco chesapesse vivere in pace con gli altrie c h e f o s s e d i s p o s t oall'accoglienza e al confrontocivile. Scoprimmo la natura di ununiverso perverso e crudele di cuiavevamo solo sentito parlare, ora,invece, dovevamo affrontarlodirettamente.Rossella era determinata: convin-se il suo fidanzato a chiedereprotezione allo Stato e a denun-ciare gli assassini del padre. La mia

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Rossella voleva molto bene aFrancesco e voleva vivere inserenità, qui a Firenze, con lui, perquesto raccontò al giudice dei suoiviaggi a Palmi e ciò che avevapotuto vedere. Parlò anche algiudice di quel poco che erariuscita a sapere da Francescodurante il suo periodo di convale-scenza. Queste testimonianzeportarono all'arresto di qualcheaffiliato alla 'ndrangheta.Francesco era ancora in ospedale,improvvisamente, dopo la visitadel cognato, ci ripensò e ritrattòtutte le dichiarazioni fatte alprocuratore. Ciò gli costeràcomunque il carcere.Rossella, non ci disse nulla, mapartì per la Calabria, chiamatadalla famiglia di Francesco:volevano che lei smentisse tutte lesue testimonianze e che lei, lafurestera, uscisse definitivamentedalla vita di Francesco. Ancora unavolta cercò di salvare il fidanzato."Torno domani, state tranquilli":furono le sue ultime parole, altelefono, col padre. Da quelmomento Rossella scomparve persempre.Per noi fu la disperazione, i sensidi colpa, l'angoscia per non avercapito, per non essere stati con lei.Facemmo di tutto per ritrovarla,ma un muro di omertà ci separò dalei, dalla verità e dalla giustizia.

Ho pianto fino a non avere piùlacrime senza avere neanche uncorpo su cui piangere, ho inveitocontro l'assassino senza maisapere il suo nome, ho sperato esono stata disillusa troppe volte.Sto morendo, lo so, ma forsequesto è l'unico modo per riaverela mia Rossella e la mia famiglia.Solo tredici anni dopo la scompar-sa di Rossella Casini e dieci annidopo la morte della madre, trecollaboratori di giustizia rivele-ranno la verità: Rossella era stataviolentata, fatta a pezzi e gettata inmare su ordine della sorella diFrancesco che “doveva salvarel'onore della famiglia”. Il muro diomertà era caduto. L'estranea, lafurestera, che aveva spinto ilfidanzato a fidarsi dello Stato,aveva pagato anche per lui.Quattro le persone rinviate ag iud iz io per la sua morte :Domenico Gallico, Pietro Managò,lo stesso Francesco Frisina e suasorella Concetta. Il processo iniziòil 25 marzo del 1997 e si conclusenove anni dopo con una sentenzadi assoluzione. I giudici nella loromotivazione espressero grandeamarezza per non essere riusciti agiungere a un verdetto di colpevo-lezza e a fare chiarezza su unastoria che meritava almenogiustizia.

51Rossella Casini

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Amore oltre il buio

Era il 5 gennaio 1982, il giornoprima dell'Epifania che chiudel'arco delle feste natalizie. Appenasvegliata, affacciandomi dal miobalcone notai subito la splendidagiornata, un mare irrequieto mabello e immenso nelle sue sfuma-ture di azzurro, un sole piacevol-mente caldo. Rientrai dentro malvolentieri, feci

colazione, mi vestii e scesi di casaper andare al lavoro al bar in viaSant'Anna.

La mia vita era stata sempreuna gioia,ancor di più lo era da quandoavevo scoperto di aspettare te …

… spesso mi assaliva un'unicapaura, quella di non poter costrui-re un futuro con te e per te.

AnnamariaEsposito7 gennaio 1982S. Giorgio a Cremano (NA)

Classe II L Scuola Secondaria di I grado “G. M. Cante”Giugliano in Campania (NA)

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AIUTACI A DAREUN VOLTO ADANNAMARIA

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Arrivai al bar, cominciai a lavorare,la giornata era tranquillissima,quando a un certo punto, il ricordoè annebbiato dalla paura, sentiidelle urla e degli spari. Uscii pervedere cosa era accaduto e notaidue uomini vestiti completamentedi nero e armati, che avevanoappena ucciso un uomo che, poiho saputo essere Vincenzo Vollaro.Non so il perché, li vidi guardarmicon sfida, in quel momento noncapii, non sapevo come abbassarelo sguardo, ma sapevo di averepaura. Un brivido percosse tutto ilmio corpo, ormai paralizzato.Dopo essersi detti qualcosaandarono via infastiditi, io eroancora lì fuori a fissare quel punto,dove pochi minuti prima si eraconsumato un omicidio. Perchéero uscita? Perché! Non so…

Un signore passandomi accantomi fece tornare in me chiedendo-mi come stavo; anche lui avevanotato la mia inquietudine.Il resto della giornata passò infretta, non riuscivo a cancellaredalla mente ciò che avevo visto.Arrivata la sera chiusi il bar e,frettolosamente, pensierosa miavviai verso casa. Più volte duran-te il tragitto mi fermai, scuotendola testa, quasi a voler scrollare didosso immagini e pensieri di unagiornata che mi aveva segnatonell'anima.

Appena arrivata a casa, mi stesi suldivano e tra mille pensieri, senzaaccorgermene, mi addormentai.Sognai tanto e nei miei sognic'eravamo io e te, adorato figliomio, ci trovavamo mano nellamano, eravamo felici.Il giorno seguente mi svegliai, ilmio primo pensiero tornò a te, allanostra vita insieme, ai tratti deltuo volto, al tuo sorriso, ai tuoiabbracci, già vedevo noi cammina-re mano nella mano...Di colpo, mi resi conto che stavofacendo tardi, mi vestii di fretta e,come sempre, diedi uno sguardo aquel mare che tanto amo, strana-mente tranquillo e limpido.Scesi di corsa e, dando uno sguar-do veloce al cielo, notai che eranuvoloso ma, nonostante tutto,bellissimo. Mi suscitava quiete,per niente tristezza.Che bello! Sono allegra, dopotuttoera il giorno dell'Epifania, tutti siscambiavano gli auguri conenormi sorrisi.Il bar al suo interno era moltoaffollato, avevo molto da fare, manonostante questo, trovavosempre un momento per parlarti,per raccontarti di quella cittàmeravigliosa dove avresti, insiemea me, condiviso tantoLa giornata trascorreva piacevol-mente tranquilla nonostante illavoro frenetico e a volte stancan-

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te. Non so perché, per un attimo,i l m i o p e n s i e r o t o r n òall'accaduto del giorno prima,quei due ragazzi mi avevanocolpito molto.Tornata a casa, mangiai qualco-sa, mi sdraiai sul letto, ti immagi-navo accanto a me.

Mi addormentai, ti sognai, comesempre.

Sette gennaio: mi svegliai spa-ventata, avevo l'intero corpopieno di dolori. Per tranquilliz-zarmi, mi affacciai, come diconsueto, ancora in pigiama, dalbalcone per salutare il mare. Nonera tranquillo come il giornoprecedente, era agitatissimo,diverso, mi faceva quasi paura,quella immagine trasferì nel miocuore ansia, avevo capito chec'era qualcosa che non andava.Mi vestii, feci colazione e scesi dicasa... oh figlio mio! Vorrei nonessere mai scesa!!!

Arrivata al bar mi fermai per unmomento e guardai, con stranacuriosità, quel luogo che pertanto tempo mi aveva accolto,che mi aveva dato la possibilitàdi crescerti in modo dignitoso,come ogni buona madre dovreb-be fare.Quella mattina avevo dentro dime mille sensazioni: ansia,preoccupazione, agitazionetanto altro che mi bombardava-no, alle quali non riuscivo a darespiegazioni.Sai, dopo un po' la mia giornatadiventò buia, all'improvviso,quando mi resi conto che avevodi fronte a me la morte.

Un attimo. Il buio ora mi circon-da!

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Una madre capisce, soffre, piange,ti difende ma soprattutto ti amapiù di se stessa.

Insieme sempre dalla luce albuio… e anche in esso continuere-mo insieme a vivere

Ricerca fonti edelaborazione testo:Alessia Al farano, FrancescaConsalvi, Gaia Ciccarelli, CamilaPanico, Luigi SienaDisegni edelaborazione grafica:Claudia Di Nardo, Camila Panico,Anna Restucci.

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Cuore di mamma

Mi chiamo Alessio...no Lucia... beh,in verità non ho ancora un nome.Ogni mattina vado con la miamamma nel suo bar. Lì trascorria-mo tanto tempo e io, naturalmen-te, sto sempre insieme a lei. Mipiace sentire il rumore dellamacchinetta del caffè e le vocidelle persone. Mamma lavoratanto, ma è felice di quello che fa.Lei è giovane, ha una voce dolce e,come per magia, la diffonde a tutti.È questo che rende il suo lavorospeciale! Il suo locale è un punto diritrovo, dove si può riprendere asorridere. Non so perché, masento che per me è un postomagico.Anche quando torniamo a casa, leinon si ferma mai e io...mi sento inuna culla. Quando sono insieme:mamma, papà e i miei fratelli siraccontano la loro giornata.Sentire le loro voci e le loro risatemi rende felice.Questa sera, stranamente, non lisento ridere, mamma e papà sonosoli.- Annamaria, hai sentito quelloche si dice in paese? pare che qui aSan Giorgio c'è una guerra di

camorra. Dobbiamo stare attentiper i nostri figli!- Certo che ho sentito, nel bar nonsi parla d'altro...poveri ragazzi checresceranno in questo paese epovero questo nostro piccolino.- Annamaria, ci penso continua-mente al loro futuro in questeterre. Ma che possiamo fare? A SanGiorgio ci viviamo da quandosiamo nati e abbiamo la nostraattività… non possiamo mollaretutto e andarcene. In questo paesec'è tanta gente onesta e nondobbiamo arrenderci!Sento che mamma e papà sonomolto tesi e preoccupati; parlano avoce bassa e non capisco bene iloro discorsi… e poi quella paro-la...camorra…ma cos'è?La sveglia suona presto ognimattina. Prima di uscire, la miamamma ascolta sempre le notiziee ogni volta le batte forte forte ilcuore. Si sentono troppi “Boom” inquesto paese.Oggi per strada sembra unagiornata come le altre e stiamouscendo con papà, come ognigiorno. Mamma sente freddo ecammina in fretta. Che calduccioadesso e quante voci.- Un caffè macchiato!

Classe II F Scuola Secondaria Statale di I Grado “G. M. Cante”Giugliano in Campania (NA)

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- Vorrei un cappuccino!- Annamaria, per me un cornettoalla crema!Finalmente un pò di calma e lei siriposa, sorseggiando una bevandacalda. A un tratto, ”Boom”. Il cuoredi mamma inizia a battere forteforte…in un attimo si è accovaccia-ta, sento che è terrorizzata; piangee io non posso consolarla. Intornotante voci si sovrappongono, urla,pianti.Di nuovo a casa, finalmente! I mieifratelli saranno già a letto, nonsento le loro voci. Oggi è stataproprio una giornata triste.Mamma e papà parlano tra loro avoce bassissima, ma io li sento esoprattutto sento il cuore dimamma che batte forte forte.- Li ho visti...erano due. Mi pare diaverli riconosciuti.- Calmati, abbassa la voce chepotrebbero sentirti i bambini! Nondevi dirlo a nessuno...per noisarebbero guai seri. Lo sai che lacamorra non perdona.Ascolto le loro voci tristi e sentoancora pronunciare quella parola.Camorra, che sarà mai?- Annamaria, hai detto alla poliziache hai visto quegli assassini?- Ero terrorizzata, non riuscivo acamminare per allontanarmi.C'erano altre persone quando mihanno fatto tante domande e nonricordo cosa ho detto. Mi convo-

cheranno sicuramente per rila-sciare la mia testimonianza, maintanto mi hanno consigliato direstare a casa. Forse è meglio nonaprire il bar per un po' di giorni.- Tu sicuramente devi riposa-re…nelle tue condizioni, ma iodevo lavorare. Non possiamopermetterci di tenere il bar chiuso.Domani aprirò regolarmente e turesterai a casa; non ti devi preoc-cupare, al lavoro ci penserò io!.- No no, allora verrò anch'ioperché da solo non ti mando!Sono trascorsi un paio di giorni eoggi mamma è al lavoro seduta alsuo solito posto, sento i rumori disempre e poche voci.Che succede! In un attimo ilsilenzio e poi di nuovo tanti, troppi”Boom”…

Stavolta il cuore di mamma nonbatte forte forte, sento che battepiano, sempre più piano e poi… .tutto diventa indistinto e nonpercepisco più le urla di miopadre, dei clienti, ma soprattuttonon sento la voce della miamamma.Dopo quei “Boom” tutto si èfermato ed è solo per colpa di quei”Boom” che io non ho mai cono-sciuto il mondo.Mi sarebbe piaciuto avere il suosorriso, la sua forza e sentirmidire: Sei uguale a tua madre!Purtroppo adesso posso solo

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immaginare una vita insieme a lei…. posso solo sognare.Ora lo vedo il sorriso della miamamma. È felice, si sente libera.Prima era un angelo senza ali,adesso le vedo e sono stupende.Camminiamo, mano nella mano,su un terreno bianco e morbidomentre mi racconta, dei suoi sogniinfranti, in pochi attimi, da maniassassine. Posso vedere anche ilmio papà con i miei fratelli eparlare al loro cuore.

- Camorra, adesso ho capito. Viprego, continuate a tenere vivo ilricordo della nostra mamma elottate affinché questo malesmetta di esistere. Non abbiatepaura, la forza e la speranzanasceranno e cresceranno neivostri cuori. Unitevi, lottate eabbiate il coraggio di dire basta! Ioe la mamma vegliamo su di voi enon vi abbandoneremo mai.

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Una rosa tra le mani

“Emanuela, una giovane donnanata a Borgosesia il 9 Ottobre del1950...”La prima volta che abbiamocercato, abbiamo trovato soloquesto: ma perché ricordare unapersona per quando e come èmorta e non scoprire invececom'era in vita?“C'è sempre stato un fiore neimomenti più importanti della tuavita. Quando hai conosciuto CarloAlberto c'era un garofano rosso.Quando ho saputo di aspettarti,stringevo tra le mani una rosaro s s a .” ( D a l l i b ro R i co rd i ,Emanue la d i Anton ia Set t iCarraro).I momenti più importanti dellavita di Emanuela sono racchiusi inquesti due fiori. Alla rosa è

collegata la nascita di Emanuela,mentre al garofano la sfilata deglialpini dove conobbe il generaleCarlo Alberto Dalla Chiesa, cher i m a s e i m p r e s s i o n a t odall'eleganza di quella giovanedonna che in un matrimoniosemplice, ma pieno di amore, il 10luglio del 1982 diventerà suamoglie.Tutto questo, però, nei primi tempidella sua vita, Emanuela non losapeva. La piccola Emanuelaviveva nel mondo in cui tutti noi dapiccoli siamo stati e in cui a voltetorniamo, insomma nel mondo incui tutto è perfetto, il mondo deibambini. Crescendo sarebbediventata una ragazza sensibile epreoccupata per il prossimo.Eccola infatti a prendersi cura deidisabili nelle giovani della CroceRossa, proseguendo il buon lavoro

EmanuelaSetti Carraro3 settembre 1982Palermo

Classe II Scuola Secondaria di I Grado “Torrile”Parma

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che aveva svolto la madre comeinfermiera. Emanuela era moltosicura di sé. Lei, che quando igenitori si opponevano al suomatrimonio con Dalla Chiesa (perla differenza di età), andò asedersi sulle ginocchia del genera-le esclamando: “E io lo sposo lostesso!”. E così è stato.Premurosa nel sostenere il maritomentre combatteva il mostro dellamafia, Emanuela era l'unicapersona con cui Dalla Chiesapotesse confidarsi liberamente,senza preoccuparsi della suaopinione; l'unica di cui potesseveramente fidarsi; l'unica chesapeva gli sarebbe stata semprevicina. Per questo il generale laamava. Per questo la stimava. Perquesto cercava in tutti i modi diproteggerla. Sì proteggerla, anchequando non c'era più niente dafare per entrambi.Quando, quel 3 settembre 1982, lamafia li colpì nella maniera piùviolenta, il suo ultimo pensieroandò a Emanuela, che cerco ̀ di

proteggere dai colpi con un ultimoabbraccio eterno.Così il mondo perse un uomoimportante, ma anche una donnaspeciale.Nonostante la morte, le loro idee, iloro sogni, le loro speranze nonsono scomparsi, ma anzi conti-nuano a vivere attraverso di noi eattraverso coloro che verrannodopo di noi. Perché la guerracontro la mafia non la possonocombattere soltanto gli eroi, lepersone che emergono per questacausa, ma tutti, ognuno di noi devescegliere da che parte stare, perfar in modo che il sacrificio diEmanuela Setti Carraro e di tutte lealtre vittime di mafia non vengadimenticato e ci indichi la strada.Il giorno dell'attentato qualcunoscrisse una frase sui muri dellacittà di Palermo molto significati-va, che ci ha colpito: QUI E' MORTALA SPERANZA DEI PALERMITANIONESTI.

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SONO GIORNI TERRIBILI, QUESTA ÈPROPRIO GUERRA ...

voce registrata al telefono -“Risponde la segreteria telefonica.Lasciare un messaggio dopo il bip...”segnale acustico: bip ...“Ciao, è da tanto che voglio parlar-ti. Questi sono giorni terribili,questa è proprio guerra, e dellepiù difficili da combattere. Intantolascio questo messaggio perchého bisogno di raccontarti unastoria, anzi la nostra storia.Sono Emanuela. Non mi conosci, eprobabilmente non sai nemmenoperché ti sto chiamando. Eppuretra i numeri delle pagine gialle, hoscelto proprio te.Non voglio tenerla lunga, quindi ticonfesso subito che le mie parolesaranno sincere e perciò ti impor-ranno un nuovo sguardo sullarealtà, sul valore dell'impegno edella Memoria.Questa mia richiesta, se decideraidi accettarla, non ti appagheràsubito. Non appaga ancora nean-che me. Ma è per questo che te losto dicendo. Perché sentivamo -insieme - il dovere di ritornare qui,ancora una volta in prima linea…

ora a te decidere se continuare adascoltare questo messaggio.Sono vissuta in un ambiente doveho imparato a non arrendermimai, a non tirarmi indietro quandoera giusto esserci. Io c'ero a curarei feriti esplosi nella strage diPiazza Fontana a Milano; io c'eroad accompagnare i piccoli chepraticavano per la prima volta inItalia l'ippoterapia; ho tenuto lamano di tanti bambini nei repartioncologici; non ho lasciato soli iragazzi che si perdevano nel buiodella droga.... io c'ero! E forse èanche per questo che ho sposatoun uomo che ha sempre affrontatola situazione di petto.Lavorando allo scoperto, cononestà, con chiarezza. Tutte scelteche ho condiviso con lui, fino allafine; come anche la nostrapassione per la cioccolata!È andato di persona nelle scuole,ha parlato ai ragazzi come te,perchè siete la speranza di unPAESE libero dal terrorismo, dallacorruzione e dall'omertà mafiosa.Ecco dunque da dove può comin-ciare la vostra personale battagliacontro le mafie: da voi stessi!.Sembra una lotta dagli effettiutopici, dagli ideali anacronistici,

Gruppo trasversale classi III B, IV A, IV B, IV C e VLiceo Scientifico “Lorenzo Federici” -Trescore (BG)

61Emanuela Setti Carraro

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per combattere un cancro tantosubdolo e diffuso, le cui metastasinon fanno che sparire da unaparte e comparire dall'altra.Io sono nata a Borgosesia, eppureho scelto di vivere a Palermo.Ti chiederai come ci sono arrivatain questa città, io un'infermiera, iouna semplice crocerossina… miviene da sorridere ancora oggi seci ripenso. È tutto cosi incredibile!Per questo penso spesso al miopassato; ma anche a quel presentee futuro che oggi vedono teprotagonista, e questo occupatutti i miei pensieri!Tornando al perché ho cambiatovita, se così si può dire, non possoche trovarlo nell'Amore.Ho nostalgia della vita passatanella villa di campagna, c'eranofiori dai colori vivacissimi, di cuinon conoscevo nemmeno i nomi;c'erano poi alberi, e tanta frutta.La vita scorreva serena. Ma il mioamore si volge in sacrificio e nellasperanza di tempi migliori. Il mioprimo amore è Carlo.Lo conosci Carlo? Carlo Alberto,generale dell'Arma.Ricordo quando venne a chiederela mia mano a papà e mamma. Eraseduto, in divisa da generale. Imiei genitori erano contrari;c'erano 30 anni di differenza di età,di esperienza e tante altre coseche li rendeva scettici. Non sem-

bravo adatta per lui. Ma le nostrevite non potevano che condurciqui, insieme.E io - me lo ricordo bene quelmomento - ho spalancato la porta,sono andata a sedermi sulleginocchia di Carlo e ho detto: “Io losposo lo stesso!”.Io ridevo, felice. E niente potevafarmi cambiare idea.Quando è ritornato a Palermo miscrisse una lettera di sette paginein cui mi elencava tutti i suoidifetti, i problemi e i pericoli cheavrei incontrato.Io risposi a tutti: un giorno io vidimostrerò di quale coraggio sonocapace.E ho sposato proprio lui, CarloAlberto. Non solo l'uomo maanche tutti i suoi ideali di giustiziae di fedeltà allo Stato.Certe cose non si fanno per corag-gio, si fanno solo per guardare piùserenamente negli occhi i proprifigli. I figli che un giorno spero diavere anch'io con Carlo!Gli ultimi giorni a Palermo spessotelefonavo a mamma e come tuttele mamme preoccupate inventavascuse per farmi ritornare a casama io le dicevo: mamma, noncapisci che l'hanno lasciato solo,che io devo restare con lui, tenerglila mano. Qualunque cosa succeda.E ora sono qui, con questo mal ditesta che non mi lascia mai, ma

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moralmente sono sempre più su:come questa emicrania non milascia, io non posso lasciare Carlo.Sebbene sappia che la primacontinuerà a farsi più martellante,comprendo altrettanto bene dinon poterlo abbandonare. Tuttihanno mancato ai patti e allaparola data, temporeggiano eperdono tempo; l'hanno abbando-nato, non ci sono che io a coprirglile spalle, a dargli fiducia. Lodifenderò io. Carlo Alberto è unuomo SOLO.Siamo dimenticati da quelli che cidovrebbero tutelare, ma ci sentia-mo protetti da chi ha combattutocontro questo potere mafioso.È per questo che ti ho telefonato,per raccontarti la nostra storia eper dirti che ogni scelta ha unprezzo... il mio, il nostro, è statoquello dell'Amore.Se dovessi fallire, sappi che io ciho provato. Io gli sono stata afianco, fino alla fine.breve silenzio .... . . Ora devo proprio andare,prenderò la nostra A112, e guideròfino alla questura. Ho sempre lechiavi della cassaforte in tasca, alsicuro. Voglio che Carlo esca e sisenta subito a casa, si senta uno

come gli altri, un marito a cui lamoglie ha fatto una sorpresa.Questi sono giorni terribili. Nonvoglio lasciare Carlo nemmeno perun momento: chi lo salverebbe?”

segnale acustico: bip! ... - si inter-rompe la registrazione al telefono

Emanuela Setti Carraro, infermierae crocerossina, cinquantaquattrogiorni dopo il matrimonio, il 3settembre 1982, a soli 31 anni,rimase vittima dell'attentatomafioso in cui vennero uccisi ilmarito Carlo Alberto Dalla Chiesa,generale dell'Arma e prefetto diPalermo e l'agente di scortaDomenico Russo, 31 anni.Gli ultimi giorni la mamma haregistrato tutte le numerosetelefonate fatte con la figlia ed èper questo che abbiamo scelto diraccontare Emanuela attraverso'la registrazione di una telefonata';molte frasi riportate nel testosono le sue parole.La salma di Emanuela è statatumulata assieme al marito, nellatomba di famiglia, al cimitero dellaVilletta a Parma.La A112 è conservata nel museostorico di Voghera.

63Emanuela Setti Carraro

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Come può un uomo apparire uncavaliere e rivelarsi un mostro?

A scuola abbiamo parlato dellevittime della mafia e ci siamosoffermati sulla storia di unaragazza, Patrizia Scifo. Questastoria ci ha colpito perché lavittima era giovane, ingenua e si èfidata di una persona brutta,Giuseppe Spatola. I professori cihanno suggerito di fare una ricercadi gruppo per raccogliere tutte leinformazioni possibili, ma la cosapiù toccante è stato l'incontro cheabbiamo avuto con la sorellaAmalia e sua madre.Patrizia era la figlia di VittorioScifo, meglio conosciuto come ilmago di Tobruk, e viveva aN i s c e m i , i n p r o v i n c i a d iCaltanissetta. A diciassette anni siera innamorata di Giuseppe

Spatola, un uomo di ventotto annie sposato, affiliato a una dellecosche locali. Spatola un giornoa n d ò a p r e n d e r e Pa t r i z i anell'istituto di suore dove studiavaa Catania e la portò via in auto,nascosta nel bagagliaio. Poi tornòper chiedere il consenso deigenitori di lei, dopo la separazionedalla moglie. Vittorio Scifo e lamoglie non volevano proprio che idue stessero insieme e provaronoin tutti i modi a scoraggiarla, maPatrizia continuò a vivere conSpatola. Ben presto fu costretta asubire violenze e maltrattamenti.Provò quindi a denunciare ilconvivente. Presto rimase incintae Spatola fece un primo tentativodi ucciderla con la “roulette russa”,ma la ragazza si salvò e fu ricovera-ta in ospedale fin quando nacquela bambina, che chiamò Monica.

PatriziaScifo18 giugno 1983Niscemi (CL)

Classe I D Istituto Comprensivo “Vespucci Capuana Pirandello”Catania

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65Patrizia Scifo

La sera del 18 giugno 1983 Patriziaportò la figlia a casa di sua madre,perché doveva vedersi con Spatolae le disse che l'avrebbe presal'indomani, ma non fece piùritorno. Durante le indagini,Spatola, l'ultimo a vederla, fufermato, ma si difese con solidialibi e fu rilasciato. Vittorio Scifo,che viveva per lavoro a Roma,tornò subito a Niscemi e cominciòa cercarla insieme alla moglie. Unasera, esattamente un mese dopola scomparsa di Patrizia, fu uccisoin piazza davanti a tanta gente,probabilmente perché avevascoperto la verità che portavaall'irascibile convivente dellafiglia. Dopo un anno venne uccisoanche Spatola, durante la guerradi mafia di Niscemi.Per tanti anni la mamma e lasorella di Patrizia, insieme aMonica, hanno cercato di saperequalcosa sulla scomparsa dellaloro cara e sull'omicidio di Vittorio,ma inutilmente. Fino a quando, nelsettembre del 2009, un collabora-tore di giustizia dichiarò che fuGiuseppe Spatola a ucciderePatrizia perché gli creava deiproblemi. Di questo ne parlò con ilcapo mafia di Caltanissetta che gliconsigliò di strangolarla e cosìfece quella notte del giugno 1983,mentre lei era a letto. Lo stessocollaboratore dichiarò anche che

Vittorio Scifo fu ucciso da un killerassoldato dallo Spatola perchéf a c e v a t r o p p e d o m a n d e .Addirittura, poiché il padre diPatrizia era sicuro del coinvolgi-mento dello Spatola nella suascomparsa, gli chiese di restituirleil corpo della figlia, viva o morta,entro ventiquattro ore, ma inquello stesso tempo fu lui stesso aessere ucciso. Inoltre, quel rapi-mento da cui si rafforzò l'amore traPatrizia e lo Spatola anziché unvero gesto d'amore, si scoprì chefu un atto compiuto per vincereuna scommessa, che anzi sarebbestata raddoppiata se Spatolasarebbe riuscito a far innamoraredi lui anche la sorella Amalia.Venuta a conoscenza della verità,Monica, che aveva il cognome delpadre, chiese e ottenne subito dalTribunale il cambio di cognome,prendendo quello della madre.Nessuno mai dichiarò dove funascosto il corpo di Patrizia, così lamamma, la sorella e la figliaMonica non hanno ancora oggiuna tomba dove poterle mettereun fiore. Di Patrizia la mamma e lasorella hanno potuto conservaresolo le scarpette di danza e il tutù,perché tutti i suoi vestiti sonorimasti nella casa dove viveva conSpatola e sono stati distrutti daisuoi familiari dopo la sua morte.La famiglia di Patrizia ha ottenuto

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che fosse riconosciuta vittimadella mafia ma cerca ancora laverità.Questa storia ci ha colpito molto, ètriste e piena di angoscia. Comepuò un uomo apparire un cavalie-re e rivelarsi un mostro? Ci chie-diamo perché sono stati uccisi

Patrizia e suo padre? Pensiamoforse per non farli più parlare.Per noi la morte di Patrizia è unfemminicidio, è una violenza, nonva bene!!! È la peggiore delle morti!Patrizia, una vittima la cui memo-ria non deve essere dimenticata!!!

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Lia Pipitone – Il coraggio dellalibertà

Caro diario,mi chiamo Lia Pipitone, ho noveanni e abito a Palermo. Sonomagra, ho i capelli biondi e lunghi,la carnagione chiara e gli occhimarroni come il colore della miaterra. A proposito dei miei occhi,mamma li descriveva con unaggettivo: vispi. Ricordo cheeravamo al mare e io mangiavo ungelato. Mio padre guardò lamamma con l'aria di disprezzo esbuffò, non le rivolse più la parolaper l'intero pomeriggio. “Usarequesto aggettivo per descrivere gliocchi di mia figlia…. Vispo non mipiace, non mi piace affatto, cosasignifica? Furbo, estremamentevivace, sveglio? No, no, no non mipiace proprio e ho la netta sensa-

zione che questa figlia quandosarà più grande avrà un caratteredifficile da domare, ma finché cisarò io le cose saranno fatte in uncerto modo e soprattutto comevoglio io.” Pensava mio padre …

Papà si comporta sempre così conla mamma e a dire la verità non silimita a questo: pretende che leigli obbedisca e lo sostenga sem-pre, anche quando i suoi pensierie le sue idee non coincidono conquelli di papà. Se ciò non accadeavviene l'inferno. Papà va subito inescandescenza e inizia a urlare, aoffenderla e qualche volta anche apicchiarla. A volte mi sento cosìimpotente davanti a queste scenedi violenza, ma faccio il possibileper sedare l'ira di mio padre. Vadoa scuola dalle suore, frequento laquarta elementare e amo disegna-re e colorare. L'unica cosa che non

LiaPipitone23 settembre 1983Palermo

Classe V A Liceo Economico Sociale “I. Gonzaga”Chieti

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mi piace della scuola è che sonocostretta a indossare una noiosadivisa grigia. Non vedo l'ora diandare al liceo per sentirmi liberadi vestire come desidero io.10 luglio 1967

Caro diario,adesso ho sedici anni, mi sonotrasferita dalla zia da quando lamamma è morta, circa cinque annifa. Ogni giorno che passa mi sentosempre più come dentro unaprigione, in una gabbia costruitada sbarre che non sono di metalloma di obblighi, di imposizioni e diprivazioni soprattutto. Vado ascuola, quella che ho scelto io, hovinto questa piccola battagliaintrapresa contro mio padre,anche se ciò mi è costato unocchio nero perché lui voleva atutti i costi che a scuola nonandassi. Il liceo artistico proprionon gli piaceva, ma il problemav e r o e r a l a s c u o l a i n s é .Fortunatamente è intervenuta miazia che ha saputo far ragionarepapà, convincendolo che la miapropensione naturale per ildisegno sarebbe andata perdutase non l'avessi coltivata. Mi sonoiscritta sì, ma alle sue condizioni:vigilata dai suoi amici “scagnozzi”e costretta a rimanere a casa per ilresto della giornata. L' ''onore”

della famiglia nel quartiere di

Palermo, questo era il pensierofisso di papà. Si era costruito quelruolo genitoriale all' internodell'ambiente mafioso palermita-no, un ruolo ritagliato sullacrudeltà, sulla fedeltà assoluta,sull'onore e sul rispetto.Quando sono a casa, oltre chededicarmi allo studio e ai compiti,un foglio bianco e una matita mitengono compagnia e attraverso imiei disegni sfogo tutto ciò chesono costretta a reprimere: evadoper un momento dalla realtà,iniziando a immaginare e fantasti-care sul mio futuro, e nei momentidi maggiore sconforto mi chiedose potrò mai averne uno. Sognouna vita migliore lontano dallamia famiglia e soprattutto lontanoda Palermo. Palermo è una cittàbellissima, sporcata dalla mafiadentro e fuori. Non ci sono vie dimezzo, o sei con lei o contro di lei.La mafia si regge sulla leggedell'omertà e del silenzio, è unmodo di vivere e di intendere lavita. Il pensiero mafioso è dogma-tico e viene tramandato di genera-zione in generazione, ma iospezzerò questa sorta di tradizio-ne perché è un mondo troppolontano dai miei ideali, dai mieisogni e dalle mie aspirazioni. È unmondo a cui sento profondamentedi non appartenere e con cui nonvoglio avere nulla a che fare. Papà

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mi permette di uscire il pomerig-gio solo per poche ore, due volte asettimana. Quando esco daquell'ambiente soffocante, lasensazione si attenua solo legger-mente: mi sento sempre gli occhiaddosso e ho la sensazione diessere seguita costantemente.Solo con Gero questa sensazionesembra dissolversi in manieramolto naturale. Gero è il mioragazzo, ha diciotto anni, ci siamoconosciuti a scuola. Ciò che mipiace di lui è la sua caparbietà eanche la sua apertura mentale.Con lui sono serena, ho comel'impressione di viaggiare con lamente e di sentirmi altrove anchese, a malincuore, quando poggio ipiedi per terra sono sempre qui, aPalermo. La cosa che più ci acco-muna è voler scappare da questacittà sfregiata, e insieme il deside-rio di costruire un futuro diverso, amodo nostro.9 novembre 1974

Caro diario,ho terminato il liceo e io e Gerosiamo fuggiti da quella maledettacittà. Palermo mi è estranea, epersino la mia casa. Papà, nonposso e non voglio seguire le tueorme, e tu non lo ha mai compreso.Desidero poter percorrere la miastrada, libera di scegliere i riferi-menti veri della vita che tu non sei

mai stato in grado di insegnarmi.Voglio poter essere protagonistadella mia storia e non essere il tuoburattino al quale muovi i fili. Orasono madre, lo devo ad Alessio.Non cercarmi se intendi continua-re a offrirmi la vita che mi haiimposto in questi diciotto agoniz-zanti, interminabili anni. Siisereno, io starò bene se mi per-metterai di rinascere senza alcunainterferenza. Scusami se ti hodeluso papà, ma non appartengo aquel mondo.5 febbraio 1979

Caro diario,questa sera girovago per la miacittà senza meta, osservo lepersone passeggiare e ascolto conattenzione i loro discorsi. Miavvicino a un signore che haappena saputo la notizia. Nessunoperò può vedermi né può ascolta-re la mia verità. Tutti credono alleparole dei giornali. Tutti credonoalla “versione ufficiale”, tutticredono alla rapina, eppure èstata tutta una messa in scena. Ilvero bottino ero io, figlia ribelle.Sono morta, mi hanno uccisa, ma ilmio spirito è più vivo e più forteche mai.24 Settembre 1983

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Renata Fonte, nostra madre

Dopo aver letto tanti documentisulla vita di Renata Fonte, perriassumere quello che abbiamocapito di lei, abbiamo immaginatoun' intervista al le figl ie chepotrebbe essersi svolta a RadioNardò1, l'emittente nella qualeRenata Fonte cominciò il suocammino di lotta alle ingiustizie.Intervista alle figlie di RenataFonteBenvenuti a tutti su Radio Nardò1.Oggi abbiamo con noi due ospitispeciali per una trasmissionespeciale: Sabrina e VivianaMatrangola, figlie di Renata Fonte,donna che ha combattuto la mafiapagando con la vita la sua onestà ela sua determinazione.Questa sera tratteremo di argo-menti cruciali che riguardano la

tragica vicenda di vostra madre edel nostro paese. Se per voi vabene, procederemo col farvidomande su vostra madre, dellaquale ci sta a cuore inquadrare lapersonalità, la vita e la grandezzaumana, a maggior ragione vistadagli occhi e dal cuore delle figlie.Quando si sono conosciuti i vostrigenitori?Nostra madre incontrò nostropadre all'età di 17 anni; lui era unsottufficiale dell'aeronauticamilitare, mia madre, per amore,rinunciò a diplomarsi e continuaregli studi. Infatti, l'anno successivonacqui io, Sabrina, proprio mentrepapà fu trasferito all'estero perlavoro. Dopo cinque anni nacquemia sorella Viviana; la nostrafamiglia finalmente era al comple-to.In quegli anni vivemmo in Sicilia,

RenataFonte31 marzo 1984Nardò (LE)

Classe III G I.C. Pegli - Istituto di Istruzione Secondariadi Primo Grado “G. Alessi” – Genova

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ma, papà fu trasferito di nuovo perlavoro all'aeroporto di Brindisi e,quindi, potemmo tornare a viverein Salento.Quando siete arrivati in Salentovostra madre di cosa si occupava?Mamma, appena arrivata qui,entrò a far parte proprio di RadioNardò e cominciò a esprimere leproprie idee riguardo la gestione ela politica di questo paese e dellaregione.Nel frattempo, prese la tessera delPartito Repubblicano di Nardò,grazie anche allo zio che la ispiròe d e n t r ò a f a r p a r t edell'associazione UDI (UnioneDonne Italiane); insomma, diventòuna donna molto presente eimpegnata.Si occupò espressamente di Nardòsperando di poter avere un peso e,con il suo impegno, iniziò adacquistare una certa rilevanzapolitica.Bene; quali erano, secondo voi, isuoi principali obiettivi politici?Mamma aveva due obiettiviprincipali: la salvaguardia di PortoSelvaggio e dell'intero ParcoNaturale e la tutela dei diritti e ilsupporto a ogni cittadino di Nardòe, in senso più ampio, della Puglia.Crediamo ci sia riuscita e abbiaanche pervaso del suo spirito chiha lavorato con lei in quegli anni;ha lavorato con l'esempio.

Parliamo ora del tragico epilogo:la politica, secondo voi, c'entra ono con la sua morte?Nostra madre, per la sua natura eper il suo carattere, è stata unapersona amata da tutti nel corsodella sua intera vita anche se,pensandoci bene, il suo collegaAntonio Spagnolo non aveva maidimostrato né empatia né suppor-to nei suoi riguardi. Fu il maggiorsospettato dell'indagine e ildubbio venne anche dall'impegnoche quest'uomo mise nel sostene-re lo sfruttamento edilizio delParco di Porto Selvaggio, in totalecontrapposizione alla posizione dinostra madre.Cosa accadde quella tragicanotte?Ve lo racconteremo a malincuore:quella sera aspettavamo ansiose ilsuo ritorno dall'ennesimo consi-glio comunale. Ritornò moltotardi, verso mezzanotte; mentreapriva il portone venne freddatada tre colpi di pistola che ce laportarono via.Chi sono stati gli esecutori concre-ti? E chi i mandanti, se ci sonostati?I due esecutori sono stati identifi-cati, processati e condannati; sì,c'era sicuramente un mandante.Antonio Spagnolo, il suo collega,che è stato successivamenteincarcerato, anche se il vero

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mandante è, secondo noi, la mafia(Sacra Corona Unita).Dopo la sua morte, come avetefatto a mantenere viva l'immaginedi vostra madre?Dopo la sua morte, è nata in suoonore l'Associazione “DonneInsieme”; aveva e ha l'intento dipromuovere la legalità e la nonviolenza sul territorio e noi parte-cipiamo attivamente a essa.Inoltre, il Parco di Porto Selvaggioospita una targa dedicata a lei cherecita le sue frasi più importanti ebelle. Le sono stati dedicati ancheun lungometraggio; una graphic -novel; un'opera di teatro civile eun docufilm. Gli ultimi due ancorain preparazione, a testimonianzadi quanto il ricordo di nostramadre sia vivo e i principi, per cui

lei si è battuta, sempre validi e digrande insegnamento etico.Vi ringraziamo moltissimo peraver accettato il nostro invito eaver condiviso con noi e con inostri ascoltatori fatti così tragicilegati a vostra madre. Avetetenuto alto l'onore e il ricordocivile e morale di vostra madre.Per oggi è tutto.Grazie a voi per averci ospitato inquesta fantastica radio cheappartiene al passato di nostramadre e, quindi, anche un po' anoi.

StudentiLorenzo Zappa, Valerio Repetto,Gabriele Porcu

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La mia maestra Renata:una storia di coraggio

Sono passati ormai vent'anni daquella fatidica sera del 31 marzodel 1984. Questa data, per moltiinsignificante, a me ha cambiato lavita.Il mio nome è Alessandra Rossi, hotrent'anni e insegno inglese nellascuola media di Nardò, un piccolocentro abitato in provincia diLecce. Renata Fonte, la mia mae-stra delle elementari, mi hat rasmesso la pass ione perl'inglese. Era una donna straordi-naria, che credeva nella vita enella giustizia e, per questo , èstata uccisa… È quello che mihanno detto all'età di dieci anniquando, la mattina del primoaprile, ci diedero la tragica notizia.Ora, dopo vent'anni, mi sento indovere di cercare la verità, dicombattere per la mia maestraRenata, il mio esempio, perché perme lei è ancora quella donnadolce, che ci faceva impararegiocando, che ci trasmetteva lasua voglia di vivere e di esserefelice, quella donna che nono-stante la mia tenera età, mi haaiutato tanto e mi ha reso la

persona che sono ora.Renata Fonte è nata il 10 marzo del1951, era una donna rivoluzionaria,che ha combattuto per i suoi dirittidi donna che, in quel tempomaschilista, non venivano presi inconsiderazione; probabilmente ènata in un'epoca sbagliata, in cui isegni della guerra erano ancoramolto presenti e lo Stato italiano,ancora in fase di ricostruzione, eraquasi assente, soprattutto nelMezzogiorno.La sua avversione per la criminali-tà e la volontà di combatterla,molto probabilmente, le è statatrasmessa dal padre, che lavoravacome funzionario del Ministerodella Difesa. Da piccola, infatti,Renata seguì il padre a Chieti et o r n ò a N a r d ò d u r a n t el'adolescenza.Renata non si limitava a trasmet-terci la sua lezione, ma ci rendevapartecipi della sua vita, delle sueesperienze giovanili, di tutto ciòche ci avrebbe potuto aiutare adaffrontare il futuro.Mi ricordo di quella volta in cui ciraccontò di suo marito, AttilioMatrangola. Si incontrarono dagiovani, lei frequentava il liceoclassico, mentre lui era sottouffi-

Classe III G I.C. Pegli- Istituto di Istruzione Secondariadi Primo Grado “G. Alessi” – Genova

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ciale dell'Aeronautica Militare distanza a Otranto. Il loro fu amore aprima vista, infatti passaronosoltanto pochi mesi dal primoincontro al loro matrimonio e allanascita della loro prima figlia,Sabrina. L'incarico di Attilioimplicava vari spostamenti perl ' I tal ia e, rare volte, ancheall'estero, perciò Renata conseguìil diploma da privatista e imparòda autodidatta l'inglese e ilfrancese.Nel frattempo nacque Viviana, lasua seconda figlia che, a differenzadella sorella, nacque in Sardegna.Io sono molto amica di Sabrina eViviana, con loro ho costruito unrapporto molto bello e, quandoposso, le aiuto nel lavoro di tuteladel Parco di Porto Selvaggio,raccontando anche particolaridella sua vita che non si possonotrovare su Internet. Ad esempio,mi piace condividere la miaesperienza come sua alunna,oppure raccontare quanto siastata una madre presente ecomprensiva con le sue figlie, conloro infatti, ha sempre avuto unottimo rapporto, non c'eranosegreti, condividevano sempretutto.Renata era molto legata alle sueorigini, infatti, durante il periodoche passò in giro d'Italia, soffrìmolto, le mancava la sua terra, il

calore della Puglia e della suagente; però, proprio in quel tempomalinconico, vinse il concorso acattedra così, quando nel 1980,poté tornare, incominciò subito ainsegnare lingue nelle ScuoleElementari di Nardò.La sua passione per la cultura laspinse a continuare i suoi studi, miricordo quando arrivava in classedi corsa, tutta spettinata e con inmano mi l le scar to ffie che ,puntualmente, le cadevano; ciraccontava di tutti i suoi progettiper il futuro, di come avrebbevoluto ristabilire un equilibrio frala gente, infatti ci ha sempreinsegnato a essere personecorrette con saldi principi di vita.Ci raccontava, inoltre, di suomarito, di quanto la sostenesse inogni sua decisione, anche quelladi entrare nel mondo politico diNardò. Da quel momento Renatainiziò il percorso che la portò allasua tragica morte. Il suo primoincarico politico fu come segreta-ria cittadina, ruolo in cui cominciaa ingaggiare in prima persona lebattaglie civili e sociali di queglianni. Con quella carica Renatatrovò il suo scopo: combattere perottenere la legalità nella propriaterra. Infatti diresse il comitato perla tutela di Porto Selvaggio, ma aNardò in quegli anni mancavanorepubblicani. Si candidò così alle

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elezioni amministrative, diven-tando il primo Consigliere eAssessore di Nardò.Nonostante tutti i suoi impegni,non ci hai mai trascurati, anzi cirendeva partecipi della sua vita edei suoi progetti.Negli anni della mia infanziagiravano costantemente neigiornali e nei TG, nuove notizie suPorto Selvaggio che, al tempo,era stato oggetto di loschiprogetti di un'organizzazionemafiosa . Renata , essendodirigente per la tutela di PortoSelvaggio e Primo Assessore eConsigliere di Nardò, presemolto a cuore questo problema ese ne occupò in prima persona.Il suo ruolo aiutò a far sentire lasua voce, le sue idee in tuttaItalia, tramite i mass media.Si iscrisse anche all'U.D.I. (Unio-ne Donne Italiane) per rivendica-re i suoi diritti di donna; si ribellòal ruolo tradizionale di madre ecasalinga, insegnando e studian-do, lottando per la sua terra, mala sua figura, però, non era benvista. Le sue idee erano giuste enessuno poteva negare lanecessità di una legge chetutelasse Porto Selvaggio, così siottenne che la Regione Pugliaemanasse la legge, che ancoraoggi è in vigore.La pubblicazione della norma fu

frutto della costante lotta diRenata, che disturbò i progetti dialcuni politici locali, che avreb-bero tratto vantaggio dalladevastazione del parco naturale.Per questo sacrificò la sua vita.Renata stava rientrando in casa,quando tre colpi di pistolafendono l'aria colpendola allatesta, ebbene sì, questa è stata lafine vigliacca di una donnastraordinaria. La cosa ancora piùsconcertante e schifosa è chesono stati incriminati soltanto gliesecutori materiali della suamorte, ma non i veri mandanti,coloro che manovrano in Italia ein altri Paesi il fenomeno dellemafie che distrugge la nostraciviltà e contro la quale Renataha combattuto tanto.Oggi, 31 marzo 2004, dopovent'anni esatti dalla sua mortemi trovo qui, sulla sua tomba, alasciarle una lettera con unmazzo di ibisco, gli stessi fioriche amava mettersi fra i capelli.Vado poi a Porto Selvaggio, doveracconto le sue vittorie e le suesconfitte, il suo essere dolce ecomprensiva, ma giusta, raccon-tando tutto ciò che non si puòtrovare nei documenti ufficiali.

StudentiDaniel Lutic, Simona Pirani,Sara Sciutto

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La mafia uccide tutti,anche le donne e i bambini

Perché in un giorno di sole, su unastrada che costeggia il mare,circondati da un paesaggio bellis-simo, una madre che, come ognigiorno, stava portando i suoi figli ascuola, ha trovato con loro lamorte, una morte violenta eterribile, che li ha cancellati,facendoli saltare in aria? Sì puòfare qualcosa perché cose comequesta non accadano più? A questiinterrogativi noi ragazzi dellaclasse 2^B abbiamo cercato ditrovare una risposta, dopo essercidocumentati, avere discusso inclasse e aver cercato di ricostruirela storia di Barbara Rizzo Asta e deisuoi bimbi, Giuseppe e Salvatore:tutti vittime innocenti di mafia.Noi abbiamo solo 12 anni, ma

subito l'urgenza di conoscere, disapere c'è stata, perché questastoria ci ha toccato il cuore. Cosìabbiamo cercato di capire, insie-me alla nostra prof. di Lettere,perché cose terribili come questapossano accadere, cose che moltinon sanno, infatti anche noi non leconoscevamo. Di fronte a questifatti conoscere è un dovere, perquesto ci siamo convinti chequesta storia triste doveva essereraccontata , al lora abbiamocominciato dai nostri amici e dainostri genitori, che non la cono-scevano, e adesso l'abbiamoanche scritta per raccontarla a voi,lettori, e anche voi dovrete impe-gnarvi a raccontarla, perchétenere viva la memoria di questamamma, che non ha potutocrescere i suoi figli né accudire lasua famiglia, è proprio un dovere,

BarbaraRizzo Asta2 aprile 1985Pizzolungo (TP)

Classe II B Istituto Comprensivo “Leonardo da Vinci”Sorbolo (PR)

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che tutti devono impegnarsi acompiere. Barbara Rizzo, nata aTrapani il 22 febbraio del 1955, a 2anni aveva perso la madre, quindiera stata cresciuta dalla sorellaVita, che allora ne aveva 11, conDorina di 9 e Vincenzo di 7. Barbaraera diventata una giovane donna ecome tante altre aveva trovato ilsuo amore, Nunzio Asta, lo avevasposato e da lui aveva avuto trefigli, gli ultimi due erano gemelli,nati anche loro come lei, il 22febbraio. Barbara conduceva unavita normale, amava pulire etenere in ordine la sua casa,perché, come lei stessa affermava,quando si chiude la porta non si samai cosa può succedere. Erasempre ben pettinata, amava ivestiti a fiori e gli anelli, inparticolare indossava spessoquello con lo zaffiro e i brillantini equello con l'ambra: il suo preferito.Premurosa e attenta, Barbaraadorava i suoi figli e li seguiva congrande cura. Era riservata, il suocarattere era paziente, pacato, maifuori dalle righe, non si arrabbiavamai troppo. I suoi bambini laoccupavano molto: Margheritaaveva 10 anni ed era ormai unadonnina, i due gemelli inveceerano vivaci e molto diversi fraloro: Salvatore biondo, paffuto,riccioluto e pestifero, Giuseppemoro, con i capelli lisci, magrolino

e testardo, con un bellissimosorriso. Nunzio amava i suoi figli ela sua Barbara, una mammaamorevole, una persona perbene.Sì, aveva proprio una bella fami-glia! Da poco Barbara avevacompiuto 31 anni e 7 ne avevanoSalvatore e Giuseppe quel 2 apriledel 1985, il giorno della strage diPizzolungo. Pizzolungo è unapiccola località costiera dellaSicilia Occidentale, a pochi chilo-metri da Trapani, prende il nomeda una collinetta che sovrastatutta la zona. È un luogo ridente,con belle spiagge e un marecristallino, ma la mattina del 2aprile 1985 alle 8.35 è diventato unluogo di morte. Lì infatti hannoperso la vita, sulla loro VolkswagenS c i ro cco a z zu r ra , B a r ba ra ,Giuseppe e Salvatore Asta .Quando la loro auto venne supera-ta dalla Fiat 132 blindata delgiudice Carlo Palermo, un mafiosopremette il pulsante e fece saltarein aria le due auto. La Volkswagenfece da scudo all'auto blindata delmagistrato, che sopravvisse, ma diquesta madre e i suoi due figlirimase ben poco: alcuni miseriresti, il portafoglio e la custodiadegli occhiali di Barbara, dueanelli e la fede della donna e unquaderno con un dettato, datato11 febbraio 1985, in cui Giuseppeaveva descritto e poi rappresenta-

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to la sua famiglia in un disegno, diquelli belli dei bambini, con lamamma, il papà, i figli e la lorocasa piena di amore. Quella stragepurtroppo fece anche altre vittimeinnocenti: i familiari, la cui vitacambiò per sempre. Sconvolti daldolore, Nunzio e Margheritadovettero ridare un senso alla loroesistenza. Margherita, ancora oggi,si impegna per far conoscere lastoria di sua madre e dei suoifratelli, per migliorare la realtà,per usare il dolore come motoredella verità. Ma quale verità? Aquesto punto infatti, vi staretechiedendo: perché questa esplo-sione? Il motivo ve lo diciamo inpoche parole, anzi in una soltanto,ma terribile: MAFIA. La Mafia èun'organizzazione criminale moltocattiva, molto segreta, regolata daun codice tutto suo. Nella zona diTrapani ancora oggi prospera,spesso aiutata dall'omertà deicittadini, che tacciono per paura operché coinvolti in attività illecite.Proprio su un'attività illecita stavaindagando i l g iudice Car loPalermo, vittima designata daimafiosi per quel 2 aprile del 1985.

Ma cosa aveva scoperto? Le sueindagini, iniziate a Trento, avevanorivelato un enorme traffico di armie di stupefacenti fra la Turchia el'Italia, in particolare una pistaconduceva a Trapani, dove sisospettava ci fosse la più granderaffineria di eroina d'Europa, cheassicurava alla mafia guadagnialtissimi. A Trapani, Carlo Palermostava per scoprire questa raffine-ria, quindi era necessario elimi-narlo, a ogni costo, anche ucciden-do chi si era trovato lì per caso.Questa è la storia e, ricostruendo-la, abbiamo capito che esiste unmostro, la mafia, che può colpirechiunque a tradimento, anchesolo per essersi trovato nel postosbagliato al momento sbagliato.Scrivendola ci siamo commossi,abbiamo provato rabbia, dolore epaura. Certo è stata un'esperienzamolto forte, che non dimentiche-remo mai e ringraziamo di cuorechi ci ha dato l'opportunità diviverla. Oggi sicuramente cisentiamo più grandi.

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Graziella Campagna –Una giovane vita spezzata

Tutto cominciò quel giorno, “quelmaledetto giorno”, quandopasseggiando per VillafrancaTirrena, Graziella Campagna, videun cartello con scritto “Cercasistiratrice”. E così cominciò alavorare per la lavanderia “Regi-na”.Era una ragazza tranquilla di 17anni, nata a Saponara provincia diMessina, cresciuta in una famiglianumerosa, (erano 7 tra fratelli esorelle), abbandonò gli studi peraiutare i genitori.Guadagnava solo 150 mila lire almese, ma era contenta si sentivautile. Svolgendo quest'attivitàconobbe un certo signore che sifaceva ch iamare “ IngegnerCannata”. Il signore era sempre

molto gentile e scherzava contutti. Non si può neanche immagi-nare come nella realtà fossediverso. Infatti , era proprioun'altra persona, un mafiosolatitante.Un giorno, Graziella, trovò undocumento nella tasca di unacamicia di proprietà di “questosignore”. Se così si può chiamare!Graziella fece in tempo a leggereuna cosa molta sconcertante ….. Lasua collega di lavoro glielo strappòdi mano, il documento rivelavache l'ingegner Cannata era inverità Gerlando Alberti junior,nipote latitante del boss dellamafia Gerlando Alberti senior.Questa informazione le costerà lavita.La sera del 12 dicembre 1985Graziella, insieme alla titolare ealla sua collega, uscì dalla lavan-

GraziellaCampagna12 dicembre 1985Villafranca Tirrena (ME)

Classe III A I. C. “B. Munari”Milano

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deria alle 19.45. Di solito prendeval'autobus diretto a Saponara, maquella sera non arrivò mai….Lamadre che l'aspettava comesempre alla fermata, non veden-dola si allarmò. Lei non era unaragazza ritardataria e per questo igenitori si preoccuparono subito.Il giorno dopo andarono daicarabinieri e i l marescial loGiardina disse loro che di sicuro sitrattava di una fuitina, ovvero unascappatella con il fidanzato.I genitori non credettero a quellastoria, poiché l'ipotetico corteg-giatore che poteva avere unarelazione con lei era a casa con lasua famiglia, ma il maresciallo eratalmente convinto che si trattassedi una fuga d'amore, che pensòbene di prendersi addirittura ungiorno di vacanza. Incredibile lasuperficialità di certa gente!Piero Campagna, carabiniere efratello di Graziella, raggiunse igenitori a Saponara per fare lucesu questa vicenda. Si scoprì poiche un medico aveva visto uncadavere di una ragazza a ForteCampone. Piero ci andò subitoinsieme alla polizia e il cadavereera proprio quello di sua sorella.Graziella Campagna era statauccisa con ben cinque colpi dipistola, lupara calibro 12, esplosida non più di due metri di distan-za. Le ferite erano sulla mano e sul

braccio, con cui tentò di protegger-si dagli spari, all'addome, allaspalla, alla testa e al petto.Quando il maresciallo tornò dallavacanza, seppe dell'omicidio,l'ipotesi della fuitina non reggevapiù. Intanto il fratello condurrà lesue indagini. Nonostante ledifficoltà e gli ostacoli postiproprio dalle forze dell'ordine,Piero riuscirà a scoprire com'eranoandati i fatti. Incredibile, poi saràanche rimproverato dal marescial-lo Giardina per aver condotto leindagini singolarmente.Graziella, secondo i testimoni, salìsu un'auto che la portò a ForteCampone, dove cercò inutilmentedi ribellarsi. Le fecero un interro-gatorio su cosa avesse scoperto e,poiché era giovane e sorella di uncarabiniere, era meglio ucciderlache rischiare la propria vita. Imafiosi non hanno pietà pernessuno, importa loro solo deisoldi e della propria dignità. Sonodappertutto, s' insidiano, sinascondono, sono subdoli. Sonodelle bestie!I suoi assassini furono appuntoGerlando Alberti junior e il suocomplice Giovanni Sutera, laproprietaria della lavanderia e lacollega di Graziella. Dopo 19 annidalla sua morte furono condanna-ti all' ergastolo i due latitanti e a 2anni per favoreggiamento le

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complici Franca Federico e AgataCannistrà. Il 28 marzo 1990, però,viene dichiarato di non procederenei confronti di Sutera e Alberti,perché non avrebbero commessoil fatto. Sei anni dopo il program-ma televisivo “Chi l'ha visto?”

rilancia il caso grazie alla lettera diuna professoressa che chiedeva lariapertura delle indagini. Dallecarceri italiane iniziano ad arriva-re le testimonianze dei collabora-tori di giustizia che accusanonuovamente i due. La Procura diMessina riapre così il caso nel1998. Sei anni dopo l'inizio delprocesso, nel 2004, arriva las e n t e n z a d i c o n d a n n aall'ergastolo per Sutera e Alberti.La storia di Graziella Campagna è

un altro triste tassello della storiadella mafia. Uomini senza pietà,uomini sporchi, che compionodelitti, furti, spacci ogni giornosenza che nessuno dica niente.Bisogna dire BASTA! Di mafiabisogna parlare, riferire, denun-ciare, conoscerla e non essere piùomertosi.Dobbiamo ricordarci che la mafiaha ucciso tantissime persone,vittime innocenti che non hannonessuna colpa, neanche quella ditrovarsi nel posto sbagliato almomento sbagliato. Le vittime nonhanno sbagliato! La MAFIA è ilmostro che deve essere abbattuto.LA MAFIA UCCIDE, IL SILENZIOANCHE!

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Una ragazza che sapeva troppo

È quasi novembre. Anche daquesta cella in cui sono ormai daotto anni si capisce.Oggi mi hanno comunicato l'arrivodi un giornalista, tale SamueleTorelli, un tizio che scrive perLibera. La porta del parlatorio siapre e lui è già lì che mi aspetta. Sipresenta, pochi convenevoli e poipassa subito al sodo. GraziellaCampagna: ecco di cosa vuolescrivere. Cerco di prenderla larga,di dire e non dire. Lui insiste; iocedo.Da dove iniziare, è passato tanto diquel tempo, una ventina di anni.Ero a Villafranca Tirrena, un paesedel messinese, da circa tre anni,latitante. Con me Giovanni Sutera,la mia guardia del corpo, la miaombra. Grazie a Santo Sfameni eroriuscito a farmi una nuova identitàe a farmi amico tutto il paese ecircondario: il vicesindaco, ilmaresciallo e altre persone,diciamo, di una certa importanza.Io ero per tutti l'ingegner Cannatae Sutera era Lombardo, il miogeometra. Una pacchia: onorati erispettati da tutti, più che unalatitanza pareva una vacanza. Ogni

giorno io e il mio socio GiovanniSutera ci recavamo nella lavande-ria del paese, a portare quattropanni da lavare. Era piacevole: duechiacchiere con Franca, Agata eGraziella; simpatiche. Andavatutto bene, finché un giorno, tuttocrolla. Era l'inizio di dicembre, il 9se non ricordo male. Me ne stavodal barbiere, un amico. Rilassato,insaponato, i soliti discorsi: ilcalcio, le donne. D'istinto mi vienedi portare la mano alla taschinodella camicia: è vuoto. Alloraprovo con quella della giacca.Vuoto. La carta d'identità, quella,come dire, vera, manca. Non c'é.Ancora tutto insaponato esco ecorro in lavanderia. Entro e vedoAgata, una delle lavoranti, e lechiedo se ha trovato una busta diplastica con dentro il mio docu-mento, ma lei me ne consegna unacon dentro solo un santino, quellodi Papa Giovanni. Mi racconta peròdi aver strappato dalle mani diGraziella il documento, ma di nonsapere che fine abbia fatto. Lechiedo allora se la ragazza,Graziella, abbia letto il documen-to. Lei tace e quel silenzio mi dicetutto.Una ragazzina, ecco cos'era

Classe III C I. C. “B. Munari”Milano

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Graziella, simpatica, graziosa,sempre sorridente, niente grilliper la testa, solo casa e lavoro.Pericolosa però a questo punto,anzi pericolosissima. E in più unfratello sbirro. E se gli avesseparlato? Se avesse raccontatotutto? Quello non ci avrebbemesso un niente a fare due più duee a far cadere tutto il castello dicarte costruito intorno alla miaidentità.E poi, se si fosse trattato solo di me… forse, magari si sarebbe potutoaggiustare diversamente, ma nonc'ero solo io. In gioco c'era unacittà intera: Messina. E Messinanon andava svegliata, andavalasciata dormire indisturbata. Pernoi Graziella è un pericolo perchéha visto troppo e soprattutto lei haun fratello carabiniere, poi lei ètroppo giovane e troppo semplice.No, non era cosa, la ragazzinaandava eliminata. In poco tempo econ l'aiuto del direttore dellalavanderia e della sua signoraorganizzo un piano praticamenteperfetto, talmente ben fatto dareggere per circa diciannove anni.Ecco il giorno decisivo …. 12dicembre 1985, sono le 8 di sera, eGraziella esce dalla lavanderia e sidirige alla fermata della corrieraper andare a Saponara, dove vive,un paesino a pochi chilometri daVillafranca. Gioco sulla sua serietà:

non saliva in auto se non colfratello sbirro e con i datori dilavoro. E di questi ultimi due chemi servo per portarla al Forte.Durante il tragitto salgono altricomplici per tenerla ferma e muta,perché Graziella scalcia, grida,vuole scendere: capisce che quellasterrata non la sta conducendo acasa. Arrivati al Forte l'unicasoluzione è chiara: dobbiamo farlafuori. Con cinque colpi di luparal'abbiamo uccisa lasciando il suocorpo per terra.Siamo riusciti per un pò di tempo afar ricadere le colpe su Francesco,il suo amorazzo, facendo credereprima a una fuitina e poi a undelitto passionale. Ma il fratello diGraziella, Pietro, il carabiniere,indaga, fa domande, gira in lungo ein largo, porta persino prove almaresciallo, al maresciallo,l'amico nostro. Poveraccio. Tutte lepiste da lui prodotte vengonolasciate cadere nel vuoto. Il gioco èfacile: metti l'uomo giusto nelposto giusto e tutto si sistema.Una volta è il maresciallo, l'altra il“colonnello” Donia: “… VedràCampagna, stiamo indagando, nonsi preoccupi, lasci che la giustiziafaccia il suo corso, abbia fiducia”.E quello se ne andava così com'eravenuto. Siamo riusciti a depistarele indagini e per un pò, ma quellodi Graziella era un omicidio che

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puzzava di mafia. Così si va aprocesso, un processo di cui nel1989 il PM chiede l'annullamento eil nostro proscioglimento.E caro Campagna, vatti a fidaredella giustizia e dei giudici. Quellisono uomini, hanno i loro puntideboli. Alcuni li si minaccia, altri lisi compra. Così è andata nel 1989.Una mazzetta, un regalo allapersona giusta e io mi ritrovolibero e pulito. Ero tranquillo.Tutto si era sistemato comequalcuno aveva voluto che sisistemasse. Passa il tempo, unanno e chi ci pensava più aGraziella Campagna. Morta esepolta per ben due volte. Macome dicevo prima, l'uomo èdebole e spesso anche infame.Nel 1990 Sparascio, un boss diMessina, decide di parlare.Collaboratore di giustizia, così lodefiniscono i giornali e le tv. Iopreferisco chiamarlo infamecornuto. Parla, fa nomi e soprat-tutto, toglie il velo che fino adallora aveva tenuto al copertoMessina, la città “babba”. Già, lacittà che tutti avevano credutolibera da quel cancro che chiama-te mafia.Parla, fa nomi e tra questi anchequello di Santo Sfamemi, l'amicodegli amici. Santuzzo, capace dimettere la parola giusta peraggiustare processi, fare affari coi

politici. Tutti, tutti insieme,secondo il rito peloritano: corrottie corruttori, tutti allo stesso tavoloa mangiarsi pezzi interi di Sicilia ed'Italia.Iniziano le indagini. I giudiciscavano, vanno indietro nel tempoe il 1985 è dietro l'angolo. Non civuole nulla a collegare la ragazzau c c i s a m i s t e r i o s a m e n t e aVillafranca Tirrena e la città Babba.Non ci vuole nulla a collegare ilnome di Santuzzo al mio: GerlandoAlberti jr. La macchina dellagiustizia si rimette in gioco e poi,eccomi qui. Assicurato alla giusti-zia!La condanna è arrivata nel 2004:ergastolo. Così quei quattrocristiani dei Campagna adesso simetteranno il cuore in pace: labestia è stata rinchiusa in gabbia.E così sia.Ho la bocca secca da tanto hoparlato. Lui non mi ha mai inter-rotto: non una domanda.Durante il mio racconto mi hasempre tenuto gli occhi puntatiaddosso. Lo sento anche adesso ilsuo disprezzo. Mi giudica, micondanna. Bravo: giudicami,condannami.E io taccio, lascio fare. Perchéanche tu giornalista sei un uomo eanche tu hai i tuoi punti deboli,basta trovarli.

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Un angelo portato viaLettera immaginaria di GraziellaCampagna a noi ragazzi

Cielo, 12 dicembre 2017

Cari ragazzi e ragazze,scrivo a voi perché siete voi ilfuturo e ho bisogno che capiate ilmio dolore, perché sono sicura chelo farete meglio di molti adulti.Mi piacerebbe, perciò, parlarvi diciò che provo e ciò che ho provato.Ho bisogno che il mio non sia soloun nome tra tanti, serve che siauna speranza, uno scopo per ilquale continuare a lottare.Vorrei raccontarvi anche della miarabbia verso chi ha decretato lamia fine. Ma specialmente diquella sera, il 12 dicembre 1985.Pioveva. Se solo avessi potutocomprendere quel segno deldestino. Quelle lacrime del cielostavano cercando di dirmi qualco-sa. Perché quelle nere nuvole,tristi e pesanti, stavano già pian-gendo la mia fine.Tristi e pesanti come i miei pensie-ri, quando ricordo quei bruttimomenti.Ma in quell'istante non mi sareimai immaginata una tragedia.

Eppure… Ero una ragazza ingenua,mi fidavo di tutti, mi piacevapensare che ci fosse sempre piùluce che ombra, più bene chemale, più onestà che mafia.Infatti, vedevo sempre il latobianco e luminoso delle personeinvece di quello nero e oscuro.Persino per quell'ingegnere e quelgeometra.Quella sera faceva freddo. Fortunache indossavo il mio nuovogiubbetto, al quale ero moltoaffezionata. Stavo aspettando lacorriera per tornare a casa, dopouna lunga giornata di lavoro. A uncerto punto sentii una macchinadietro di me e una voce: “Signori-na! Che fa lei lì al freddo! Salga,salga che l'accompagniamo a casanoi”.Era l'ingegnere Tony Cannata, unuomo del quale mi fidavo, perciò,senza esitare, salii a bordo dellasua macchina, dove era presenteanche il geometra. Dopo un po' miaccorsi che la strada che stavamopercorrendo non era la solita: mistavano portando al Forte.Allora mi ricordai del documentoche qualche giorno prima avevotrovato nella camicia di TonyCannata. In quel documento era

Classe III G Scuola Secondaria di Primo grado G. PascoliNoale (VE)

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presente la foto dell'ingegnere,ma il nome era diverso: GerlandoAlberti. Sentii una terribilestretta allo stomaco, senza unapparente motivo. Arrivammo alForte. L'ingegnere e il geometrami spiegarono tutto: erano duelatitanti mafiosi. Mi disseroanche che io avevo avuto duesfortune: la prima è quella diaver trovato il documento diGerlando Alberti. La seconda è diessere, secondo loro, troppo“vicina” alla legalità.Ma poi l 'amico d i A lber t iimpugnò un fucile. Panico. Ansia.Confusione. Tutto intorno a mecominciava a diventare irreale.Poi cinque colpi, uno più forte edoloroso dell'altro. Al quinto lamia anima se ne andò, salendo alcielo come fanno le acque deimari. Svanì dal mondo mortale,risucchiata da un vortice di buio,detto morte, che mi ha portataqui, dove sono ora.

E ora, tante domande mi passanoper la mente. Ma è davveropossibile che i due latitantil'abbiano passata liscia per cosìtanto tempo? È possibile chesolo grazie a Pietro giustizia siastata fatta? Possibile che lacorruzione sia arrivata fino a chila dovrebbe combattere?Infine un'ultima cosa da dire. Pervoi.Siate forti, lottate per quello incui credete. Non fatevi corrom-pere, non cedete, perché la vita èil dono più grande e prezioso cheuna persona possa ricevere, maha solo un sottilissimo filo che lasepara dalla morte. Non èpossibile che qualcuno ve laporti via. Ingiustamente.Tenetevela stretta, tenete strettoa voi il senso più limpido dellagiustizia, fatelo anche per me.

Graziella Campagna

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Domenica di Girolamo:trent'anni di BUIO

11 Febbraio 1986Francesco. Il tuo viso. Cos'è suc-cesso? Tutto questo sangue. I tuoiocchi! Guardami! Quanti sono?Tre? Quattro? Tutti su di te, provo asoccorrerti, ma mi colpiscono. Nonmi sento le gambe, mi manca ilrespiro…

Francesco! Le sirene, le senti?Liliana, figlia mia, eccoti! Sento latua voce molto lontana e le lineedel tuo volto sono sfocate… Ma,grazie a Dio sei viva! Temevamoche avessero preso anche te. Perquesto, mentre ci colpivano, tuopadre e io non abbiamo gridato…

BUIOSi muove tutto. Dove sono? Questaluce mi acceca, dov'è mia figlia?Eccoti, la tua mano è fredda nella

mia. Hai sempre avuto le manifredde, bambina mia. Le tuesorelle ti prendevano in giro (leloro risate sono ancora così vivenei miei ricordi) e tu piangevi,come stai piangendo adesso…

C o s a d i c i ? S i a m o s uun'ambulanza? Avverto la tua vocesempre più lontana, sarò forte perte. Stammi vicina. Non ti vedo più…

BUIO"Donna sui 60 anni, parametrivitali instabili; presenta segni dipercosse su tutto il corpo, prepa-ratela subito per la Tac..."Non riconosco queste voci. Sonosdraiata su una barella. Dove mitrovo? Ho la vista offuscata.Questo dolore alla testa è insop-portabile. Non ce la faccio. Chiudogli occhi…BUIO"Lesioni al cervello... Sfondamento

DomenicaDe Girolamo11 febbraio 1986Platì (RC)

Classe V A linguistico Liceo “E. Bérard”

Aosta

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AIUTACI A DAREUN VOLTO ADOMENICA

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della cassa toracica... Chiamate iln e u r o l o g o d ' u r g e n z a ! "Vedo delle ombre vestite dibianco. Mi circondano. Cosavogliono da me? Mi faranno delmale anche loro? Forse sonomedici. Cercheranno di placarequesto dolore assurdo che non mifa respirare?"Domenica De Girolamo”...Sono io.Perché dicono il mio nome? Comefanno a conoscermi? Sono forseclienti di mio marito? Mio marito.Perché non è qui con me? Dov'è?Dovrei stargli accanto, come hosempre fatto. Lo cerco. Non lotrovo. Non riesco a muovermi. Hopaura. Francesco dove sei? Ho ilcuore in gola. Non riesco a respira-re.BUIO

"La stiamo perdendo..." Nonancora. Torno di nuovo in me.Incomincio a ricordarmi qualcosa.Non un colpo di fucile, ma loscoppio di un palloncino, uno diquelli che riempivano la sala per lamia festa di addio al lavoro.Quanto affetto mi hanno dimo-strato, nonostante all'inizio perloro non fosse stato facile accet-tarmi: una donna di 27 anni comedirettrice dell'ufficio postale!Impensabile negli anni '70. Quantecose sono successe da allora! Misono sposata, sono nate le mie

figlie, poi alla fine la tabaccheriaun anno fa…

BUIOUn'altra immagine si fa stradanella mia mente offuscata.Gennaio 1951. Il giorno del miomatrimonio. Cammino versol'altare. Rose e gigli. Le navatedella chiesa ne sono piene. I mieiparenti e amici sono tutti là. Alzolo sguardo e vedo lui, il mioFrancesco. Ricordo il giorno in cuil'ho incontrato. Siamo così giovani.Lui è stato eletto da poco sindacoa Platì. Me ne sono innamorataperché è tranquillo, stimato eonesto: è un uomo che combatteper la giustizia. Difende i piùdeboli e coloro che vengonosfruttati, ma proprio per questo èmalvisto dalla malavita. Collaboracon il maresciallo Delfini, che tutticonoscono come "Massaru Peppe",nella lotta alla 'ndrangheta. Restain carica per tanti anni, senza maiscendere a compromessi. Lui nonsi arrende…BUIO

Un ultimo flash della mia vita,sempre più sfocato…

La tabaccheria... Chi se ne prende-rà cura adesso? Mi r icordol'entusiasmo di mio marito quan-do ha deciso di aprire questaattività, terminata la carriera diamministratore. Ci ha messo tantoimpegno in quel negozio. Non mi

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sembra vero che ora sia diventatola sua tomba. Quando sonoandata in pensione, credevo diaver perso ogni possibilità direalizzarmi fuori casa, invece cisiamo affezionati ai nostri clienti eloro a noi. Chissà cosa dirannoquando verranno a sapere ciò cheè successo? Chissà se si preoccu-peranno di trovare la verità, dicapire chi ci ha fatto tutto questo eperché? Chissà se qualcunoriuscirà mai a scoprirlo? Io non losaprò mai. Perché sono morta,adesso. Il mio corpo martoriatonon ce l'ha fatta... BUIO

11 febbraio 2016.Sono passati trent'anni da quelgiorno ed è ancora.Giustizia non è ancora stata fatta eio non riesco a darmi pace; ogniverità non detta è come un colpoin più alla mia anima tormentata.

Tanti parlano, ma nessuno dice.Nessuno dice la verità: non latrovano. Forse non la voglionotrovare…

"Tentativo di rapina finito male","Banda di ubriachi violenti senzacontrollo", “Resa di conti mafio-sa”...Queste le ipotesi sulla nostramorte: in realtà non si sa ancoraperché siamo stati uccisi; di sicuroè stato un attacco all'onestà, a unex-sindaco scomodo per le sueconvinzioni forti , che avevaresistito alle tentazioni e allepressioni delle “famiglie” locali.Ma qualcuno non era d'accordo.Non lasciate che a Platì l'unicagiustizia possibile sia quellamafiosa, che qui chi non è con lamafia sia un morto che cammina…

Io non ci sto: fate Luce sul mioBUIO!

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Ida Castelluccio,una vita troppo breve

Palermo, agosto 1989Il mio nome è Nino Agostino esono il marito di Ida Castelluccio.Ho conosciuto Ida grazie a miasorella Flora, sua cara amica.All'inizio le facevo i dispetti e leiproprio non sopportava il miocarattere, lo giudicava troppospiritoso e invadente, ma pianpiano sono riuscito a farla inna-morare di me. È passato del tempo,ci siamo conosciuti meglio e lei si èricreduta sul mio conto.Il mese scorso, il primo luglio, cisiamo sposati. Lei era splendida,indossava un vestito di rasobianco, che mia madre ha cucitoper lei, i capelli raccolti con unprezioso ornamento, al collo unacollana di perle, che io stesso le ho

regalato e delle scarpe bianchedal tacco basso.Quando la vidi entrare in chiesa,con quel suo solito sorriso che mifa esplodere il cuore, il mio amoree la mia ammirazione per leiaumentarono senza misura.Ida ha frequentato il liceo classicoe il suo sogno è sempre statoquello di andare in Grecia.Indovinate dove l'ho portata inviaggio di nozze? Ad Atene!Che sorriso adorabile sul suo viso,vi sfido a trovare una sola foto incui lei non sorrida.In questi giorni pensieri e preoc-cupazioni mi turbano, ho unincarico importante, ma nonposso parlarne e non voglio cheIda sia in ansia per causa mia, nonvoglio che il mio lavoro le mettapaura, in questi anni a Palermoaver sposato un poliziotto può

IdaCastelluccio5 agosto 1989Villagrazia di Carini (PA)

Classe III A Istituto Comprensivo "Guglielmo Marconi"Palermo

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essere rischioso. Ho sempreammirato il suo coraggio, la suaforza d'animo e la sua profondagenerosità, ha solo diciannoveanni, ma è già così forte e decisa.Tutte le settimane svolge il volon-tariato all'istituto Villa Nave diPalermo, lei ama occuparsi deglialtri e condividere con chi è menofortunato ciò che abbiamo.Ricordo quella volta in cui hadeciso di regalare la sua collana auna ragazza che desideravapossedere anche lei qualcosa dibello e di prezioso.Adesso la nostra famiglia sta perallargarsi, Ida mi ha detto di essereincinta. Aspettiamo un bambino!Ida ha già scritto sul suo diario ipossibili nomi, non mi ha volutodire quali sono, mi ha detto soloche tra quelli che preferisce cisono Augusta e Vincenzo, i nomidei miei genitori.Domani sarà una giornata impor-tante, è il 5 agosto e mia sorella

Flora compirà 18 anni.Andremo nella casa dei mieige n i to r i v i c i n o a l m a re , aVillagrazia di Carini, e faremofesta. Daremo a tutti la bellanotizia e la sera andremo indiscoteca a festeggiare.…

Vorrei poter raccontare un finalediverso per questa storia, ma quelgiorno la nostra favola finì.Due uomini su una motociclettasfoderarono una pistola e apriro-no il fuoco su di me, uccidendomiproprio davanti alla casa dei mieigenitori. Ida dapprima riuscì ascappare, ma tornò indietro,spinta da quel coraggio e quellaforza che da sempre fanno parte dilei. Guardò dritto negli occhiquegli uomini e urlò “Io vi cono-sco, io so chi siete”. Non le lascia-rono scampo, le spararono uncolpo dritto al cuore, un colpo chele tolse la vita.

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L'amore e il coraggio di Ida e NinoNel cuore di chi non dimenticavive la speranza e si fa stradala giustizia

Oggi fa caldo, è il 5 agosto, questamattina voglio pensare, respirareil profumo di questo bellissimomare e raccontare al mio piccolobimbo, che dorme sereno nel miogrembo, una storia che parla diamore e di coraggio. Son passati 28anni ma ricordo che era unamattina di luglio, una di quelleabbastanza monotone per noibimbe orfane di Villa Nave, quan-do abbiamo ricevuto una visitainaspettata: Nino era venuto atrovarci, per un saluto un pò fuoriorario e con lui c'era Ida, unaragazza giovane e bella, con undolcissimo sorriso e con una grancarica di entusiasmo. Per noibimbe senza genitori era semprebello ricevere visite e Nino ormailo conoscevamo da tanto, sapeva-mo che si era sposato ma visto chefaceva il poliziotto non avevatanto tempo per venire a farcivisita. In effetti, diceva che erasempre super impegnato ma che anoi ci teneva moltissimo perché glipiacevano i bambini e voleva

averne tanti. Purtroppo poi sonodovuti andar via, Nino dovevalavorare. Io ero la più triste, forseperché più grande o perché mi eroaffezionata a Nino e sua moglie mipiaceva un sacco, credo che sia perquesto che proprio Ida, prima diandare via è venuta da me, mi haabbracciata e mi ha regalato lacollana che portava al collo così misarei ricordata di lei. Ero emozio-natissima e felicissima e avreivoluto ringraziarla meglio ma erotimida. Non mi sono mai separatada quella collana. Nei giornisuccessivi speravo sempre divedere comparire Ida per raccon-tarle dei miei sogni e farle vedere imiei disegni, ma le giornate eranotutte uguali e l'unica cosa chericordo spezzare la routine eranole notizie che passavano al Tg sullevicende della nostra Sicilia, alleprese con mafia, delinquenti eattentati. Si parlava tanto diprocessi e di giudici che, a volte,venivano uccisi e ricordo di aversentito parlare del giudice Falconeche si era salvato per un pelo dauna bomba mentre era al mare.Sarà che Nino era l'unico poliziottoche conoscevo, però ogni volta chesi parlava di polizia, pensavo a lui

Classe V A AFM “Manzetti”St. Vincent (AO)

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e me lo immaginavo dappertuttoa combattere i cattivi che uccide-vano persone innocenti, era ilmio eroe! Poi è arrivato quelmaledetto 5 agosto del 1989 e lafantasia è diventata realtà: “Ninoe Ida non ci sono più - ci hannodetto - delle persone moltocattive gli hanno fatto del male eora sono in cielo”. Siamo rimastetutte in silenzio, tutti sapevanoma non volevano dirci troppecose brutte, eravamo piccole.Non ho pianto, non capivo, nonsono neppure andata la funerale,come potevo! Però tenevosempre con me la collana di Ida,forse convinta che sarebbetornata a trovarmi, che tuttequelle vicende, per noi chevivevamo in un mondo a parte,forse erano come le notizie delTg, lontane e incomprensibili. Hoaspettato e sono cresciuta, hofatto domande, ho iniziato acapire e ho pianto, sono andataal cimitero a trovare Nino, Ida equel piccolo bimbo mai nato cheportava dentro di sé – e alloranon lo sapevo. Ho parlato tantevolte con loro, sperando chepotessero spiegarmi il perché ditanto odio, di tanta cattiveria.Ora che nella mia vita ci sei tu,piccolo bimbo, posso capire cosaprovava Ida quando era venuta atrovarci, quanto era felice e

preoccupata, ansiosa ed entu-siasta di diventare mamma. Oraso che lei aveva tanti progetti peril futuro, era giovane, innamora-ta del suo Nino e pronta a tantisacrifici per restargli sempreaccanto. Perché Nino era davveroquel poliziotto coraggioso chelottava per la giustizia e lo facevain situazioni di grande pericoloin quella Sicilia degli attentati diCosa Nostra. Nino c'era anchequel giorno all'Addaura, quandoFalcone ha rischiato di venireucciso. Tante cose le ho scopertediventando grande e cercando diconoscere la verità. Sono andataa trovare i genitori di Nino, duepersone stupende che lottanoper avere giustizia da quelterribile giorno. Perché giustiziaancora non è stata fatta e icolpevoli sono liberi; mi hannoabbracciata e non hanno smessodi ringraziarmi né allora né oggiper la mia vicinanza e per ilricordo che portavo nel cuore.Una volta mi hanno raccontato diquel giorno: dopo una brevevisita a una vicina, Nino e Idastavano rientrando a casaquando, davanti al cancello, dueuomini in moto si sono avvicinatie hanno sparato per uccidereNino e allora Ida, con un coraggioe un amore che non so spiegar-mi, ha urlato loro “Io so chi siete”

93Ida Castelluccio

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e così, senza pietà né rimorso,hanno sparato anche a lei, drittoal cuore, fermando la sua giova-ne vita, i suoi sogni, le speranze equella piccola creatura fruttod'amore che cresceva nel suogrembo, vittima innocente, persempre stroncata dalla crudeltà,dall'ingiustizia, dalla brama dipotere e dalla stupidità che perme si traducono nella parolamafia. Perché quel giorno nelsangue, nel pianto di due genito-ri, nell'ultimo respiro di trepersone giuste e innocenti, hocapito che cos'è veramente CosaNostra, la mafia con i suoiinteressi e le sue aspirazionivere. Ho scoperto che nonesistono codici morali dove

dominano ingiustizia, potere edegoismo, perché non esistonoscont i , p ie tà o es i taz ion inell'uccidere donne e bambini.Che ingenua, io che credevoanche che la mafia non fosse unvero problema ma solo un mododi vivere che c'era sempre stato eci sarebbe sempre stato. Ma oracapisco e, piccolo mio, ti inse-gnerò a ricordare e a scegliere,ad amare e a lottare perché siafatta giustizia, perché nessuninnocente debba più pagare conla vita il prezzo della verità edell'onestà come Ida, Nino e illoro bimbo.

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Il coraggio di diventare madre

Diventare madre, una cosa impor-tante. Non posso più drogarmi,devo uscire da questo circolovizioso. Lo devo fare per mia figlia.Questo mi aveva raccontato tuamadre quando avevamo entrambevent'anni.C'eravamo conosciute sui banchidi scuola alle magistrali e subitoabbiamo costruito un rapporto diamicizia profondo.Per Marcella ero diventata la suaconfidente intima, spesso miraccontava dei suoi problemifamiliari, delle incomprensioniche viveva con sua madre.Tua madre era sempre vissuta coni nonni, dopo la separazione deigenitori, ma dopo il ritorno infamiglia, con la madre, si erasentita un'estranea.

Un giorno mentre ci stavamopreparando per andare a una festami confidò che si sentiva semprepiù distante dalla madre, di lei nonconosceva nulla: non i suoi pen-sieri, non i suoi sentimenti, lasentiva un'estranea.Ma a un certo punto le sue confi-denze divennero sempre più rare,le sue domande sempre piùstrane.Un giorno mi chiese cosa avreifatto se avessi saputo di essereincinta… iniziai a sospettarequalche cosa.L'avevo vista salire in moto con unragazzo all'uscita di scuola, ma diquesta nuova amicizia non me neaveva mai parlato.Marcella appariva sempre piùstrana, anche a scuola a volterisultava impreparata e assente, ilche non era da lei.

MarcellaDi Levrano5 aprile 1990Mesagne (BR)

Classe II "Operatore ai servizi di vendita" ENGIM VENETOIstituto "Don Giulio Costantino" - Mirano (VE)

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Una mattina che andavamo ascuola più tardi, visto che eraassente da qualche giorno dascuola, ho deciso di passare a casasua per vedere come stava. Inquell'istante l'ho vista uscire eincamminarsi. All'improvviso èapparso per strada il ragazzo dellamoto e mi sono accorta che nelsalutarsi le aveva passato qualco-sa che non ero riuscita a vedere,m a c h e l a s c i a v a p o c oall'immaginazione.Iniziarono a passarmi per la testamille pensieri e più ci pensavo piùcapivo tante cose del suo cambia-mento. Ma nonostante fossispaventata continuai a seguirlafino a quando entrò in una casaabbandonata. La seguii e vidi chedopo essersi seduta a terra tiròfuori una bustina con della polve-re bianca…non volevo credere aimiei occhi.Marcella si drogava, cosa potevofare per fermarla? Iniziai a urlare: -MARCELLA COSA STAI FACENDO? –

Lei mi guardò stupita, come se michiedesse cosa stessi facendo inquel posto, ma subito dopo si misea piangere implorandomi diaiutarla perché non riusciva più avivere in quel modo.Dopo essersi calmata, iniziò araccontarmi la sua terribiledipendenza e la conoscenza degliambienti della Sacra Corona Unita.

Questo aveva scritto Marcella neldiario che teneva segreto e nelquale annotava ogn i cosa .Purtroppo, aveva anche riportatonotizie riguardanti l'ambientedella Sacra Corona Unita.Per uscire definitivamente daquell'ambiente, aveva deciso dic o l l a b o r a r e c o n l e f o r z edell'ordine, ma pagò a caro prezzola sua voglia di ritorno alla legali-tà. Di voglia di vivere insieme allasua bambina.Il boss ordinò che fosse fattasparire immediatamente, una seradi fine marzo non rientrò a casa. Ilmattino seguente, la madredenunciò la scomparsa e si allar-marono tutti gli abitanti diMesagne, anch'io mi misi allaricerca ma di lei non si trovònessuna traccia.Solo dieci giorni più tardi, uncontadino camminando in unbosco tra Mesagne e Brindisi trovòil suo corpo senza vita, massacratocon una grossa pietra che era stataabbandonata lì vicino. Era il 5aprile 1990 quando si trovòMarcella senza vita, il 18 aprileavrebbe compiuto 26 anni, avevatanti sogni da realizzare insiemealla sua bambina.Nel suo diario aveva scritto unadedica alla figlia:“Sei nata per amore e d'amorevoglio che sia piena la tua vita. Il

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tuo amore deve essere gioia,aggregazione, lotta. Anche versodi me. Chiamandomi purestronza o regalandomi un bacio.Chiamandomi per nome oppuremamma. Perché sarai tu ainsegnarmi a essere donna e

madre, Perché tutto avrà sensosolo se cresceremo insieme,c o s t r u e n d o p o c o a p o c oun'identità. Nell'autonomia, nelrispetto, nell'amore.”La tua mamma

97Marcella Di Levrano

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Tutti i genitori amano i propri figli.

Tra loro si crea un legame indi-struttibile. Un legame profondo.Amavo mio figlio e non avevo maipensato che arrivasse quel giorno.Quell'orribile giorno. Quel giornoin cui mi dissero: “RomoloGuerriero è morto, vittima diLupara Bianca.”Potete capire bene che, dopoessermi giunta la notizia che miofiglio era stato torturato, massa-crato e dato in pasto ai maiali, soloperché venuto a conoscenza diinformazioni segrete, la mia vitacambiò totalmente. Avevo dentrodi me questo senso di vuotoincolmabile, questo senso didemoralizzazione emotiva, questosenso di rabbia, che crescevadentro di me. Da quel giorno inpoi, non smisi di cercare il respon-

sabile.Ricerche. Domande. Informazioni.Testimoni. Amici. Conoscenti. Maniente. Niente a parte un nome: ifratelli Bruno.Ma la cosa che volevo intensamen-te non era tanto trovare gli assas-sini. No. Io volevo solo mio figlio.Ma dovevo accettare ormai il fattoche il destino era stato crudelecon me.L'ultimo giorno della mia vita, usciicon mio marito, stavamo andandoa dare da mangiare ai nostri cani, aTorre Santa Susanna, il nostropaese.Era una tranquilla mattina, ma inr e a l t à n o n s a p e v o c h e ,quell'undici Agosto del 1991,sarebbe stato l'ultimo giorno divita per me e mio marito. Stavamoviaggiando sulla nostra moto ape;ma a un certo punto, fummo

SalvatoraTieni11 agosto 1991Torre Santa Susanna (BR)

Classe III A Istituto Comprensivo “D. Alighieri”Salzano (VE)

98 Dalla violenza all’impegno

AIUTACI A DAREUN VOLTO ASALVATORA

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fermati da degli uomini armati,che ci portarono via, bendandoci.Non avevamo la più pallida idea didove ci avrebbero portati. Ma inquel momento solo una cosacontava per me: la famiglia. Lamorte era vicina, ma non mispaventava. Non più, dopo averperso mio figlio. I miei ricordiripercorrevano ogni via della miamente.Sorridevo, sorridevo come nonmai. Era come se fossi rinata.Mi venne in mente tutto quello cheavevo passato insieme ai miei figli,insieme a mio marito. Non sicancellerà mai... anche se andre-

mo nell'aldilà, il nostro legamenon si scioglierà mai.Sentivo che la situazione stavadegenerando, sentii due colpi disparo e degli urli. Era la voce di miomarito. Iniziai a piangere, ma nondi paura o perché avevo appenaperso mio marito. Piangevo,perché sapevo che quello chestava per capitare a me, sarebbecapitato ad altre persone innocen-ti. Chiusi gli occhi e ripensai atutto. Tutto. A mio figlio, a miafiglia, a mio marito. E mi resi contoche la morte è pacifica, è facile. Lavita, è più difficile.

99Salvatora Tieni

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Lucia Precenzano:una morte tra verità e mistero

Lamezia è una città giovane, natanel 1968 in seguito alla fusione ditre comuni: Licastro, San Biase eSanta Eufemia. Ma oltre al verdedella sua fertilissima pianura eall'incantevole costa, vanta unafaida tra clan locali e un'anticastoria di criminalità che affonda lesue radici nelle diverse realtàrurali di provenienza. A LameziaTerme, centro importante estrategico della provincia diCatanzaro, situato in Calabria,posto sul versante ionico deirilievi calabresi, in vista del golfodi Squillace, negli anni 1991 e 1992la tensione era altissima.Il 1991 è stato l'annus horribilis perLamezia. Il 1992 lo è stato ancheper tutta l'Italia.

Questi anni furono segnati dastragi di mafia, cadute del Governoe inchieste; Lamezia di ciò fuapripista in negativo.Il 1992 è l'inizio della stagionedello stragismo di stampo mafiosoche parte con l'omicidio di SalvoLima e prosegue con le stragiCapaci e Via d'Amelio.Ma è a Lamezia Terme che sembraessersi consumato il primo colpo,il primo ricatto allo Stato, lefamiglie mafiose locali legate alla'ndrangheta e le 'ndrine hannodeciso di colpire il sottufficiale dipolizia Salvatore Aversa e suamoglie, un segnale chiaro chedimostra il controllo della crimi-nalità sul territorio. Un omicidiodiverso dagli altri che si consumònel cuore della Calabria e chedimostrò come anche le 'ndrinecalabresi non avessero limiti alla

LuciaPrecenzano4 gennaio 1992Lamezia Terme (CZ)

Classe II A Istituto Omnicomprensivo “Nicola da Guardiagrele”

Guardiagrele (CH)

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propria ferocia.Salvatore nacque in una famiglianumerosa e sin da subito sviluppòuna vocazione per le forzedell'ordine e l'amore per la divisa,che lo portò all'età di 20 anni adarruolarsi nel corpo di polizia diStato. Peregrinò per l'intero Paese,fino a quando si stabilì nellaquestura di Catanzaro e si legò inmatrimonio con Lucia Precenzano.Lucia, anche lei nata in una fami-glia numerosa, si diplomò all'etàdi 19 anni. Avendo sempre avutou n a v o c a z i o n e p e rl'insegnamento, un anno dopoentrò come insegnante nellascuola di Lamezia, dove si eradiplomata.La coppia diede alla luce 3 figli:Walter, Paolo e Giulia.Fare il poliziotto in Calabria èdifficile, anche perché la 'ndran-gheta ha assunto un profilointernazionale, nonostante restilegata al territorio d'origine dalquale trae la propria forza, ma oggicome allora, le forze dell'ordine e imagistrati la combattono, grazieanche all'esempio di uomini comeSalvatore Aversa. Si era distintonel corso degli anni trascorsi inservizio a Lamezia Terme, per ilsuo forte impegno a difesa deivalori della legalità e contro ilmalaffare, conseguendo notevolisuccessi investigativi nella lotta

contro la criminalità organizzatadella Piana.Nei primi anni '90, il sottufficiale,stava indagando sulle attivitàcriminali del consiglio comunaledi Lamezia e svolse numeroseindagini sulle attività della 'ndran-gheta lametina.Nei giorni di festa che precedonol'epifania, Salvatore e sua moglie,in una delle loro rare uscite,passarono a salutare alcuni amicie comprarono gli ultimi regali neinegozi del centro.Il 4 Gennaio 1992, era quasi seraquando decisero di tornare a casa,raggiunsero la loro Peugeotazzurra, parcheggiata in un vicolonel la central iss ima via deiCampioni 1982 di Lamezia Terme.Salvatore andò verso il lato diguida e aprì la portiera, Lucia,dall'altro lato, aspettava di poterentrare; non fecero mai ritorno acasa... qualcuno li aveva colpiticon quindici colpi di una berettacalibro 9, ponendo fine alle lorovite.Due uomini, che probabilmente liseguivano già da qualche ora,fecero fuoco, prima sul sottufficia-le di polizia, poi sulla moglie diquest'ultimo.Con un ulteriore sfregio, a duemesi dalla morte, i corpi deiconiugi, sepolti nel cimitero diCastrolibero, furono riesumati,

101Lucia Precenzano

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bagnati di benzina e dati allefiamme. Come se qualcuno avessevoluto ucciderli una secondavolta.La vicenda giudiziaria successivaall'omicidio Aversa fu lunga etortuosa, fatta di inquietantisilenzi e false testimonianze cheportarono all'arresto di personeche non c'entravano niente.Dopo 24 giorni dalla morte, l'invitoa collaborare fatto ai cittadini dapiù parti, portò i suoi frutti.Finalmente, una giovane donna diLa m e z i a , d i n o m e Ro s e t t aCerminara, trovò il coraggionecessario per rompere la paura eparlare. Rosetta raccontò ciò cheaveva visto, ma nonostante ilrapido susseguirsi dei primiarresti, neppure nelle sue dichia-razioni vi era giustizia per ilpoliziotto Aversa e la moglie,poiché si scoprì che la sua era unafalsa testimonianza.Solo 10 anni dopo il delitto alcunicollaboratori svelarono gli intreccicriminali e i moventi che portaro-no i clan lametini a compierel'assassinio del sovrintendente edella moglie.I primi giorni di Maggio del 2000,

due collaboratori di giustiziapugliesi, Stefano Speciale eSalvatore Chirico, si autoaccusanod i e s s e r e g l i e s e c u t o r idell'omicidio Aversa. I due confer-marono che il mandato di uccidereproveniva da Giampà Francesco. Idue killer pugliesi furono assolda-ti delle 'ndrine di San Luca, cheavevano avuto da quelle diLamezia il compito di uccidereAversa.Il 15 Luglio 2004 la Corte d'Assisid'Appello di Catanzaro, condannògli esecutori del delitto a 8 anni dicarcere e confermò l'ergastolo perAntonio Giorgi, boss di San Lucache li aveva assoldati.S o l o n e l 2 0 0 9 , a 1 7 a n n idall'omicidio, venne condannatoall'ergastolo anche il mandante: ilboss lametino Giampà Francesco.È questa la verità giudiziaria diuna terribile vicenda che hascosso un intero territorio, tolto lavita al poliziotto Aversa, che avevacome difetto la passione per ilproprio lavoro, e alla moglie cheaveva solo la colpa di stargliaccanto.

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Lucia vive in ognuno di noi…

Lucia Precenzano è la mamma diWalter, Paolo e Giulia… è la mogliedi Salvatore Aversa, sovraintenden-te della Polizia di Stato di LameziaTerme.È una donna d'altri tempi, deditaalla sua famiglia e al suo lavoro dieducatrice…

Lucia da piccola è un po' bruttina,un brutto anatroccolo che sitrasformò presto in un bellissimocigno …

È una donna di statura media,magra, semplice nei modi, mamolto curata. Ha i capelli corti ecastani, gli occhi grandi di coloremarrone scuro, dai suoi occhinascono profondi sguardi chetrasmettono emozioni profonde.Il suo è un sorriso amorevole,paziente, premuroso, rassicurante…

Un sorriso attraverso il qualespesso cela le sue paure, le suepreoccupazioni … ma è un sorrisovero, un sorriso di madre e moglieattenta e scrupolosa. Lucia non amamettersi in mostra, anzi è unapersona abbastanza riservata. Èmolto generosa e altruista, non ègelosa del marito ma è moltotimorosa per il lavoro rischioso che

svolge.Lucia non è nemmeno vanitosa!La sua semplicità traspare anchedal suo modo di vestirsi: leggiadranel corpo e nello spirito.Lucia non ama tanto i gioielli, mapossiede tre pietre preziose checustodisce meticolosamente nelsuo cuore, ogni pietra preziosa haun nome: Walter, Paolo e Giulia,sono i suoi figli. Loro sono al centrodel suo mondo. I figli sono i suoigioielli e una piccola stella sta al disopra di tutti, la prima nipotina che,amorevolmente, culla fra le suebraccia con l'attenzione e la passio-ne che solo le nonne conoscono.Per Lucia, la domenica è un giornospeciale, la casa splende di armo-nia, lei è sempre intenta a prepararepiatti genuini che i figli e Salvatoreadorano degustare e quando Waltercerca di esplorare il mondo prefe-rendo, alla cucina della mamma,qualche ristorantino Lucia simortifica. Per lei dedicarsi allacucina per i suoi ragazzi è semplice-mente poesia.Lucia è sempre attenta nel suo fare:la casa, i figli, il marito, cuce ericama. Ricamare e cucire i vestitisono, infatti, due grandi passioni diLucia.Lucia vive intensamente la sua vita

Classe I A Istituto Comprensivo “Mumura”

Vibo Valentia

103Lucia Precenzano

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e sogna…

Sogna un futuro migliore…

Sogna di veder crescere la piccolastella affinché possa brillare di lucepropria nelle notti buie.Sogna di vedere Walter più cresciu-to, più serio, più responsabile.Sogna di vedere Paolo diventare unbravo poliziotto. Sogna che anchelui abbia la sua famiglia, unamoglie, dei bambini…E poi per Giulia ha mille speranze:per lei ambisce al grande successo,per lei aspira al principe azzurro, alcastello fatato per vederla diventa-re una vera principessa e ancoratanti nipotini!!!!!Lucia sogna…

Lucia sogna di fare lunghe passeg-giate al mare…

Sogna di poter osservare ancoramille altri tramonti coccolatadall'amore di Salvatore.Lucia sogna di trascorrere con i suoicari ancora tante feste di Natale.Sogna di comprare molti regali per isuoi figli, per Salvatore, per i suoinipoti, per gli amici.Lucia pensa di dover conoscereancora tante giovani generazioniper trasmettergli il suo sapere.Sogna la pensione dal suo lavoro.Sogna la vita serena alla casa almare.Sogna il vociare, le urla e i pianti deisuoi tanti nipotini.Lucia sogna e sorride con il cuore dimadre al futuro incerto.I sogni di Lucia svaniscono e si

perdono dietro l'orizzonte proprioin una sera in cui si respira aria difesta, una sera in cui era felice diavere al suo fianco Salvatore, ilcompagno che lei aveva scelto percondividere la sua vita.Era raggiante Lucia quella seraperché Salvatore finalmente avevatrovato del tempo per dedicarsi afare piccole compere.Fu proprio quella sera che, inebriatidalle luci e dalle vetrine ancoraaddobbate a festa, accecati dal lorogrande amore Lucia e Salvatore sisorrisero per l'ultima volta.Una mano bruta e violenta gli rapì lavita.Quella fredda sera di gennaio èrimasto un grido nell'aria, un gridoche nessuno mai dimenticherà:giustizia e legalità.Salvatore è morto perché lottavaper la giustizia.Lucia solo per averlo amato econdiviso i suoi ideali.Ma Lucia… Lucia non è morta.Lucia vive nel respiro dei suoi figli.Lucia vive nella dolcezza dei suoinipotini.Lucia vive nel cuore di chi l'haconosciuta.Lucia è viva in ognuno di noi.È una stella che brilla di una luceserena, armoniosa, costante,fedele.Lucia è messaggera di pace, dibontà, di meraviglia, di amicizia, dicalore, di compassione.Lucia è araldo di Legalità.

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Francesca Morvillo. 17:58

Francesca Morvillo; abbiamoparlato di questa donna a scuolaoggi. Era la moglie di GiovanniFalcone, l'hanno descritta comeuna donna coraggiosa, intelligen-te, insomma una donna che halasciato il segno. Ma io fino a oranon ne avevo mai sentito parlare.Sapevo che Falcone aveva unamoglie, ma non sapevo chi fosse,come si chiamasse, che aspettoavesse. Finalmente la campanellasuonò, e noi ritornammo a casa. Ilpranzo fu silenzioso come nonmai. Mia madre non mi chieseniente su com'era andata la scuolae nessuno parlava. O forse ero ioche non ascoltavo. I miei pensierierano rivolti solo a Francesca.Finito di pranzare, decisi di faresubito il compito che ci avevano

assegnato su di lei. Presi un fogliodal quaderno e cercai di buttaregiù qualche idea, ma niente! Passaiuna mezz'ora davanti a quel fogliobianco a girarmi la penna tra lemani. Niente. La mia mente eravuota.- Intanto quando è nata? - michiesi.- 14 dicembre 1945. - mi risposeuna voce. Mi girai verso la porta,credendo fosse mia madre. Nonc'era nessuno. Feci spallucce eriportai lo sguardo al foglio.- E poi è morta nel? - mi chiesi dinuovo ad alta voce.- 23 maggio 1992. - Mi girai di nuovoverso la porta, ma non trovainessuno. C'ero solo io.- D'accordo, deliro. È quello chesuccede quando vai troppo ascuola. - cercai di sdrammatizzareper poi rimettermi a scrivere. Poi

FrancescaMorvillo23 maggio 1992Capaci (PA)

Classe III B Istituto Comprensivo “Guglielmo Marconi”Palermo

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riguardai il testo, leggendolo adalta voce.- “Francesca Morvillo, nata il 14dicembre 1945 e morta il 23 maggio1992 nella strage di Capaci, era lamoglie di Giovanni Falcone.” Eadesso… credo basti. - mi dissi frame e me, così feci per posare lapenna, ma sentii la stessa voce diprima ridere.- Lo sai che Francesca Morvillo nonera solo “la moglie di Falcone”? -mi disse. Rimasi pietrificata.- Troppo studio, sto impazzendo. -la voce rise di nuovo. Era una risatadolce, cristallina.- Tu sai chi è Francesca Morvillo? -mi chiese. Annuii.- La moglie di Falcone? - risposi.- E poi? - il silenzio. La voce rise dinuovo.- Beh, intanto era una donna, unmagistrato, una moglie, unavittima della mafia ed ero io.- eronel bel mezzo di una crisi di nervi.Mi girai di nuovo verso la porta, manon trovai nessuno. Guardandoverso il letto invece trovai unadonna, una meravigliosa donnadai capelli biondi e corti, vestitacon una giacca color avorio e deipantaloni larghi dello stessocolore, seduta comodamente sulmio letto.- Vedo cose. Magari dormirequattro ore stanotte non è statauna buona idea… - la donna rise di

nuovo. Cercai di non dare troppopeso a quella strana presenza edecisi di fare qualche ricercafotografica su internet. Guardai unpò di foto di Francesca e poi mivenne un flash. Guardai la foto, poila donna seduta sul mio letto, poidi nuovo la foto, poi ancora ladonna. Continuai così finché nonm iniziò a girare la testa.- Sono confusa. - la donna, dopoun istante di silenzio mi sorrise.- E comunque la mia tesina sichiamava “Stato di diritto e misuredi sicurezza”. - mi disse, come semi avesse letto nel pensiero.- Si grazie. Era proprio quello chemi serviva. - dissi, scrivendo lanuova informazione sul fogliodavanti a me, le quali righe stava-no iniziando a riempirsi.- Francesca Morvillo che lavori hafatto? - mi chiesi in mente per nonfarmi sentire da quella donna.- Sono stata Giudice del Tribunaledi Agrigento, sostituto procuratoredella Repubblica del Tribunale perminorenni di Palermo, Consiglieredi Corte d'Appello di Palermo eparte della Commissione per ilc o n c o r s o d ' a c c e s s o a l l aMagistratura. - mi rispose ladonna, o meglio Francesca,sorridendo.- …Non ho capito niente ma ok, hafatto tanti lavori. - mi stupii di mestessa per aver parlato con una

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figura creata dalla mia testa.- Ma non sei - cioè non è stataanche insegnante? - lei ci pensòun attimo.- Si, facoltà di Medicina e Chirurgiadell'ateneo palermitano. Eroinsegnante di legislativa nellascuola di specializzazione inPediatria. E ti prego dammi del“tu” non sopporto più il “lei”. -rispose.- In quanto a Falcone, vi sposastenel? - non ci pensò un attimo chesubito mi rispose.- Maggio 1986, ci sposammo inprivato. C'erano solo i testimoni eil sindaco. Mi ricordo ancora tuttoin ogni minimo dettaglio.- le siilluminarono gli occhi mentreparlava di tutto quello che eraaccaduto al matrimonio. Miraccontò anche del sindacoOrlando, che aveva celebrato lenozze. La pagina piano piano siriempiva sempre di più.- Tu avresti voluto avere un bambi-no? - le chiesi. Lei abbassò losguardo.- Io avrei voluto, ma sapevo chenon potevamo. Eravamo troppoimpegnati nel nostro lavoro. E poiGiovanni lo diceva “non voglioorfani” perché lui lo sapeva chealla fine si sarebbero liberati di lui.Anzi, di noi. - mi spiegò. Era untasto dolente, lo capivo.- Com'era la vita sotto scorta? - le

chiesi. Si fermò un attimo perpensare.- Orribile. L'unica parola che miviene in mente, ma era necessarioper la nostra sicurezza. Ci siamopersi tante cose della vita, lanostra non era mica una vita comequella di tutti gli altri. Non poteva-mo andare in luoghi pubblici,t ra n n e i l p o s to d i l av o ro .Dovevamo sempre spostarci inauto blindate e a prova di proietti-le, non potevamo andare alristorante o a fare una passeggiatasulla spiaggia di Mondello, inpiazza, o semplicemente per le viedelle strade per incontrare amici.Non posso dire di avere avuto altriamici oltre la mia famiglia, maGiovanni… lui aveva Paolo. -sembrava volesse dire altro, maera come se le parole le rimanes-sero intrappolate in gola. Rimasi insilenzio per un pò, poi presi fiato.- Francesca, perché non sei scap-pata? Intendo, sapevi che eramolto pericoloso continuare astare con Giovanni, ma non seiandata via. Eppure lui te lo diceva“vai via, scappa, salvati” ma tu nonl'hai ascoltato e a Capaci… - mifermai. Aveva lo sguardo perso nelvuoto, il sorriso che aveva tenutoper tutta la conversazione erasvanito, lasciando il posto a unflebile e malinconico sorrisetto.- Io ero consapevole dei gravissimi

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pericoli a cui Giovanni andavaincontro, a cui entrambi andava-mo incontro, ma non l'avreilasciato mai da solo. Ho scelto distare con lui, di sposarlo, diaiutarlo e incoraggiarlo sempreperché lo amavo e sapevo che neaveva bisogno. E ho deciso io chese fosse morto, sarei morta con lui.In fondo “finché morte non visepari” giusto? - annuii. Le paroledi Francesca erano molto profon-de, mi sentii quasi bloccata.- Francesca… cosa è successoesattamente nel ritorno da Roma aCapaci. Era la A29 Palermo -Trapani giusto? E su questo sitodice che “alle ore 17:58, Bruscaazionò il telecomando che pro-vocò l'esplosione di 1000 kg ditritolo sistemati all'interno difustini in un cunicolo di drenaggiosotto l'autostrada” è così che èsuccesso? E dice anche che “laprima auto, la Croma marrone, fuinvestita in pieno dall'esplosionee sbalzata dal manto stradale in ungiardino di olivi a più di dieci metridi distanza, uccidendo sul colpogli agenti Montinaro, Schifani eDicillo. La seconda auto, la Cromabianca guidata dal giudice, avendorallentato, si schianta invececontro il muro di cemento e detritiimprovvisamente innalzatosi pervia dello scoppio, proiettandoviolentemente Falcone e la moglie,

che non indossano le cinture disicurezza, contro il parabrezza.” Esenti questo “Francesca Morvillo,ancora viva dopo l'esplosione,v i e n e t r a s p o r t a t a p r i m aall'ospedale Cervello e poi trasfe-rita al Civico, nel reparto di neuro-chirurgia, dove però muoreintorno alle 23 a causa delle gravilesioni interne riportate.” Quindi èquesto che è successo? -Quando incontrai il suo sguardo,mi resi conto di quello che avevodetto e me ne pentii. La suaespressione era seria, o per megliodire vuota. Feci per scusarmi malei mi precedette.- Si è successo proprio quello. Nonmi ricordo molto del momento incui la strada saltò in aria, i mieiricordi sono sfocati. Ricordo solodi avere avuto Giovanni accanto,p o i u n l e g g e r o s i b i l o eall'improvviso un potente tuono eun forte mal di testa. Dopo diquello non ho più sentito niente.Girava tutto, mi fischiavano leorecchie e vedevo sfocato… poinon sentii più niente. Era comefossi…morta. Ma non fu così; doponon so neanche io quanto iniziai asentire delle voci, c'erano personeaccanto a me, ne sentivo la pre-senza. Parlavano di Capaci e diGiovanni. “è morto il Giudice”

dicevano. Era morto. Giovanni eramorto. Erano morti tutti, li aveva-

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no uccisi tutti. Ce l'avevano fatta.Ci avevano eliminati. Quellastessa notte alle 23. - il silenzio.Scrissi le ultime parole.- E poi? Alle 23 sei… hai capitono? Francesca? - nessuna rispo-sta. Forse avevo detto troppo. Migirai verso il letto. Vuoto. Nonc'era nessuno, era come sparitanel nulla così com'era arrivata.G u a rd a i l 'o ro lo g i o ; 1 7 : 5 8 .Sospirai, un pò delusa, macontenta di avere almeno potutoparlare con una donna come lei.

Me ne sentivo quasi orgogliosa,anche se sapevo non avreipotuto parlarne con nessuno, omi avrebbero preso per pazza.- Merenda! - chiamò mia madredalla cucina. Mi alzai posando lapenna sulla scrivania e metten-do il foglio ormai pieno al sicuroin un raccoglitore.- Grazie Francesca. - mormorai.Francesca Morvillo. Una donnacon i fiocchi e i controfiocchi.

109Francesca Morvillo

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Francesca Laura Morvillo nella vita enella morte

Prima donna magistrato uccisadalla mafia, sostituto procuratore alTribunale di Agrigento, insegnantenel carcere ad Agrigento, consiglie-re della Corte di Appello e membrodella Commissione per il concorsodi accesso in magistratura.“Fin da bambina avevo il sogno didiventare sostituto procuratorecome il mio papà, Guido. Quando ilpapà mi raccontava delle fiabe,avevo il desiderio di diventareun'eroina, sognavo di liberare ilmondo dal male e iniziai da subito ac o m b a t t e r e l ' i n g i u s t i z i asull'esempio di mio padre. Lui hasempre lavorato tanto, ma quandoc'era, dava a me e a mio fratellomolta attenzione e anche il tempoche non ci dedicava era rivolto allagiustizia per il proprio Paese e perfarci crescere in un mondo migliore.Crescendo e continuando la stradache avevo intrapreso sulle orme dimio padre, col tempo, ho capito chenon è poi così semplice contrastareil male che si è annidato nel nostroPaese. Inoltre, compresi che eramolto difficile combatterlo da solae ciò comportava enormi sacrifici…Solo quando fui più grande, capii di

non essere più sola.Avevo trentaquattro anni, era l'anno1979, quando la mia vita cambiò:una sera io fui invitata a casa dialcuni miei amici e conobbiGiovanni, un uomo che ammiravocome tutte le altre persone oneste.Si tratta, infatti, di Giovanni Falcone.Quel giorno non avrei mai immagi-nato di poter innamorarmi di nuovodopo il fallimento del mio matrimo-nio. Iniziammo a parlare e ci accor-gemmo che c'erano, oltre al lavoro,molte cose in comune tra di noi. Ciincontrammo varie volte, ma leprime volte c'era una freddezza chemi impediva di esprimere tutto ciòche provavo per lui; per la miatimidezza gli dissi solo “ciao, comestai?”, perché avevo una miriade diemozioni e di pensieri che sisprigionarono dentro di me…

questa esitazione durò poco, infattinegli altri incontri tutto diventòdiverso, scoprimmo di avere glistessi sogni.Dal 1983 Giovanni e io iniziammo aco nv i ve re n e l la casa i n v i aNotarbartolo, a Palermo e nelmaggio 1986 ci sposammo, dopoaver ottenuto i rispettivi divorzi.Nonostante quel giorno fosse cosìimportante per noi, io andai allavoro per non creare sospetti e non

Classe III A Istituto Comprensivo “Primo Levi”Prato

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mettere in pericolo la vita diGiovanni. La cerimonia era officiatadal sindaco Leoluca Orlando e ilt e s t i m o n e e r a A n t o n i n oCaponnetto. Alla sera abbiamocenato a casa con pochi invitati.Il mio desiderio di libertà e giustiziaha comportato enormi sacrifici: tra ipiù limitanti, quello di non averepiù una vita libera e “privata”, gliuomini della scorta erano diventatiparte della mia famiglia insieme aGiovanni, a volte mi sentivo deruba-ta della nostra intimità, ma era ilprezzo che c'era da pagare. Gliuomini della scorta, sempre moltorispettosi, discreti hanno avutosempre un ottimo rapporto con noi;sono come un guscio che proteggeuna nocciola. Non sono loro chehanno ridotto la nostra libertà, maCosa Nostra.Io e Giovanni, inoltre, con sofferen-za, abbiamo rinunciato ad averefigli, non vogliamo mettere almondo orfani, né tanto menotrascurarli per il nostro continuolavoro, ma di questo non mi lamen-to più. Al lavoro, in tribunale, mioccupo di tanti bambini, figli didetenuti o ragazzi che hannocommesso dei reati a cui vogliobene; loro altrettanto ne vogliono ame.Durante il maxiprocesso Giovanniera rinchiuso nel bunker di Palermocome un criminale e non gli uominimafiosi, ma la strategia attuata damio marito per far condannare i

capi mafia, studiata nei minimidettagli, senza che ci potesseroessere vizi di forma, ha permessol'arresto e la condanna definitiva dimolti criminali. Noi abbiamo lottatoinsieme, Giovanni chiedeva sempreil mio parere in proposito.Non mi lamento della mia vita,dopotutto è il percorso che hoscelto di intraprendere, ho accantoun marito che amo e faccio quelloche desidero fare sin da bambina:cercare di lottare per la giustizia e lalegalità, cosa molto difficile, mapossibile, è per questo che vogliovivere, consapevole del rischio checorro e della possibilità di potermorire. Dopo il fallito attentatoall'Addaura, il 21 giugno 1989 siamosempre più consci del rischio checorriamo”.

Francesca muore il 23 maggio del1992 insieme a suo marito GiovanniFalcone e agli uomini della scorta,Vito Schifani, Rocco Dicillo eAntonio Montinaro sull'autostradaA 29 Palermo – Trapani, nei pressid e l l o s v i n c o l o d i C a p a c i .L'esplosione è stata provocata dauna carica di cinquecento chilo-grammi di tritolo, inseriti in uncunicolo sotto il manto stradale.Quell'esplosione fece eco in tutto ilmondo, infatti nessuno può dimen-ticare quel giorno. Era come esserein un film horror, ma era la realtà.Non si poteva più tornare indietro aun attimo prima. Dopo lo sgomento,

111Francesca Morvillo

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l ' incredulità, lo smarrimentoiniziale emerse una ribellione, unrisveglio nelle coscienze che fecereagire gli italiani onesti e, soprat-tutto, i palermitani che cominciaro-no ad agire, lottare per rompere lapaura e l'omertà nei luoghi in cuivivevano. Il sacrificio di Francescanon è stato inutile, come un effettodomino, delicatamente, ha scossotutti i tasselli in varie parti delmondo.Chi ha conosciuto Francescadurante gli studi racconta che erauna studentessa eccellente, appas-sionata; infatti si è laureata a soli 22anni, con il massimo dei voti e lalode, con una tesi intitolata “Statodi Diritto e misure di sicurezza”.Francesca Laura Morvillo era nata aPalermo il 14 dicembre 1945 estudiare e svolgere quel tipo dicarriera per una donna non erafacile, fino a poco tempo prima nonera consentito svolgere la carriera

della Magistratura per le donne. Nelsuo lavoro emergeva il suo caratteredeterminato e sempre pronto adaiutare il prossimo.La libertà significa amare, la libertàsignifica sognare un'umanità in cuiè la persona il vero valore e non ilpotere e la forza che limita ogniscelta di vita e sottomette gli altricon la paura. La libertà significa fareciò che puoi impegnandoti, creandoe imparando. Libertà significa“nutrirsi” di cose belle, ricercare iveri valori che fanno bene agli altri,ciò consente di fare ciò che vuoi. Ese hai le ali e sai aspettare il tuocammino in volo puoi trovare… Se lavita è una scacchiera, in ognuno dinoi c'è una parte più luminosa el'altra più scura; ognuno di noidovrebbe scegliere e far emergerequella più chiara. Francesca l'hascelto e lei è un esempio per noi.

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Il ponte di Emanuela

Un ponte, capolavoro avveniristi-co di alta ingegneria e di modernaarchitettura, si staglia in lontanan-za nel cielo azzurrissimo della miaterra, elevandosi per sessantametri dal suolo. Sta proprio lì,vicino al mio paese, tra Sestu eMonserrato. La campata è enorme,a forma di ipsilon rovesciata,leggermente inclinata, sostenutada lunghissimi tiranti d'acciaio chetengono il ponte sospeso: sembravolteggiare nell'aria nella suapesante leggerezza. Grazie a esso,Monserrato e Cagliari sono colle-gati a Sestu e alla CittadellaUniversitaria. Chissà se chi passadi là ogni giorno nota una grandetarga posta al centro della campa-ta, forse qualcuno si chiederà cosaci sia scritto o, se legge, chi sia la

donna menzionata. C'è scritto ilmio nome. Sì, perché me l'hannodedicato il 12 dicembre 2009 conuna cerimonia d'inaugurazione,alla presenza dei miei familiari,tutti lì con il loro costante dolore,profondo ma composto, per unaferita sempre aperta. Li ho visticommuoversi nell'apprendere lanotizia che mi avrebbero dedicatoil ponte. Sono sempre fieri di me, imiei cari. E io sono felice del fattoche il ponte sia stato inserito in uncontesto periferico difficile, anchedegradato per certi versi. Perfortuna ora c'è pure la cittadellauniversitaria, grazie alla qualetanti giovani, spesso semplici emodesti come me, fanno del loromeglio per realizzarsi. Eh sì,proprio quel futuro di realizzazio-ne e gratificazione tanto agognatonella mia adolescenza! Quando mi

EmanuelaLoi23 maggio 1992Capaci (PA)

Classe II B Liceo Scientifico “De Castro” sede di TerralbaOristano

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iscrissi all'Istituto Magistrale, erocosì entusiasta! Amo tanto ibambini e già mi immaginavo afare la maestra. L'avrei vissutacome una missione, come undovere morale, educare e formarecon scrupolo e dedizione tantibambini.E invece il destino ha avuto piùfantasia di me. Quella domanda inpolizia, fatta senza troppe aspet-tative e forse solo per far compa-gnia alla mia amata sorella, hadeciso altrimenti.Superai tutte le prove col massimodei voti e mi trovai proiettata inuna nuova realtà, in un'esperienzadiversa, ma entusiasmante.All'improvviso capì quale fosse lamia vera strada: divenire partedelle forze dell'ordine, difendere eproteggere le persone più vulnera-bili, trasmettere i valori radicati inme dagli insegnamenti dei mieigenitori. Li avrei resi fieri di me!Trieste: sede del mio corso diaddestramento. Sei mesi affronta-ti con tanta determinazione,tenacia, serietà e spirito di sacrifi-cio per essere finalmente agente.Dopo il giuramento, la mia desti-nazione fu la Sicilia: Palermo.Mafia: parola impronunciabileeppure tanto potente da cambiaree cancellare la vita di molti. Entitàonnipresente e impalpabile. Eraquesto il mostro che tanto mi

aveva inquietato nell'apprenderela mia destinazione. Dentro di meperò risuonavano le parole delgiudice Falcone: “La mafia è unfenomeno umano e come tutti ifenomeni umani ha un principio,una sua evoluzione e avrà, quindi,anche una fine”. Avrei dato tuttame stessa, nel mio piccolo, persconfiggerla. Questa consapevo-lezza s'impossessò di me e non milasciò più. Accantonai ogni timoree partii.Arrivai in città consapevole dellanostalgia che avrei provatolontana da casa. Un groppo allagola molte volte mi attanagliava lasera, i primi tempi, nel vedere leluci nelle case altrui e immaginan-do il calore delle famiglie che viabitavano. Allo stesso tempo miconsolava l'idea che solo unbraccio di mare, mi separasse daimiei cari. E del resto amavo tantoquel mio lavoro! Da personatenace e volitiva avrei superato imiei momenti di nostalgia.Subito mi furono affidati incarichipiuttosto impegnativi : avreidovuto piantonare alcuni perso-naggi sotto il mirino della mafia.Non ero impaurita. Certo, avevo lapercezione del pericolo, ma il mioattaccamento alla divisa, a ciò cherappresenta, era per me unaragione sufficiente per affrontaretutto a testa alta. I miei giorni

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erano scanditi da impegni gravosi,ma cercavo sempre di rimaneresemplice, allegra e spontanea.Un giorno mi dissero che sareipassata al serv i z io scor te .Impossibile non pensare allastrage di Capaci avvenuta soltantoquaranta giorni prima. Scacciaiquel pensiero: ero più forte dellapaura. Ricorderò sempre le paroledel giudice Borsellino: “Ma unaragazza così giovane deve proteg-gere me? Sono io che dovrei farlocon lei!”.E poi arrivò quella domenica: viaD'Amelio, un boato spaventoso, ilmio corpo divenuto leggero e

inconsistente fluttuò nell'ariacalda in quel 19 luglio 1992. La miavita, la mia famiglia, i miei affetti, imiei colleghi, quella mia missionetanto preziosa, vidi tutto passarevelocemente nella mia mente. Poiil nulla. Dalla pesantezza allaleggerezza. Come il mio ponte diSestu che si libra nell'aria. Sepassate di lì pensatemi. Fateloanche ogni volta che è in discus-sione una causa giusta, un diritto,una libertà. Oggi 9 ottobre 2017,avrei compiuto cinquant'anni. E sì,in voi che leggete vivo ancora.In memoria di Emanuela Loi

115Emanuela Loi

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Amici miei,sono qui per raccontarvi la miastoria e i motivi delle mie scelte.Sono nata a Partanna.Quando ero piccola mio padre emio fratello venivano definiti“uomini d'onore”. Quando passavapapà tutti lo ringraziavano e lochiamavano “Vossia”.Dopo la morte di mio padre, miofratello cercò vendetta entrandonei giri di mafia, venendo poiucciso nella pizzeria che avevaaperto con sua moglie Piera.Proprio con lei, pochi mesi dopo,mi sono trasferita a Roma cam-biando identità.Decisi di diventare un testimone digiustizia in un pomeriggio del 1991nell'ufficio di Paolo Borsellino. Luiè un magistrato italiano che mi haaiutato molto a realizzare il miointento, ovvero quello di rendere

Partanna un paese senza circolimafiosi.Considero Paolo come uno zio maiavuto, che mi consiglia la retta via.È stato ucciso pochi giorni fa nellastrage di via d'Amelio in un atten-tato terroristico mafioso.Dopo questo avvenimento hodeciso di scrivervi questa lettera,riassumendo la mia vita, in questomomento di tristezza dopo lamorte di chi per me è stato unpunto di riferimento.Ho deciso di fare tutto ciò per unmotivo non facile da raccontare:non volevo più guardare in faccia ilmostro che mi ha rubato l'infanzia,la famiglia e adesso anche Paolo.Subito dopo essermi seduta sullasedia del suo ufficio, mi sentii alsicuro, e decisi di raccontare tuttoquello che sapevo.Essere testimone di giustizia non è

RitaAtria26 luglio 1992Roma

Classe III G Istituto Comprensivo “D. Alighieri”Mirano (VE)

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per niente facile: bisogna cambia-re molte volte la residenza, senzanessun preavviso, per motivi disicurezza. Nel mio percorso mi has e g u i t o a n c h e A l e s s a n d raCamassa, presidente del Tribunaledi Marsala.All'inizio mi sono rivolta a leiperchè ero convinta di potervendicare i miei parenti, e perquesto ho preso la decisione dicollaborare con la giustizia.Nei primi colloqui ero convintache mio padre fosse un uomostraordinario, perché ogni voltache rubavano le pecore lui leriusciva a restituire, ma lei riuscì afarmi aprire gli occhi, spiegandomiil significato della parola “estor-sione”: mio padre, per tutte le sueazioni, si faceva pagare. Non era unbrav'uomo, e fu difficile accettarequest'idea.Il rapporto con mia madre non eracerto uno dei migliori, ma iocomunque sapevo che lei era unadonna che aveva subito grandidisgrazie, e io dovevo aiutarlaanche se ogni volta che la vedevomi sorbivo delle minacce pesan-tissime come quando mi disse chemi avrebbe fatto fare la fine di miofratello.Mia madre ha denunciato Paolo, ilmio secondo padre, per sottrazio-ne di minori e, per questo suadecisione,siamo stati costretti a

seguire il procedimento al tribu-nale dei minorenni.Mia madre non ha accettato perniente questa mia decisione didiventare testimone di giustizia,ma io non l'ho ascoltata, pensan-do solamente al mio futuro e aquello del mio paese. Ero stanca ditutta quella violenza.Nel mentre finalmente ho iniziatoa vivere la mia vita da adolescenteche non ho potuto sperimentare aPartanna. Inizialmente il fatto diessere testimone di giustizia nonmi ha spaventato minimamenteperché volevo dare una svolta allamia vita e a quella di chi stavavivendo la mia stessa situazione.In un anno ho capito veramentechi fossero e cosa facessero miopadre e mio fratello e ho cambiatoopinione su di loro, sulla nostrafamiglia e sulla mia città.Dopo il mio trasferimento, moltimiei compagni mi trattarono comeun'infame. Quando tornavo aPartanna per stare un po' con miamamma, mentre passeggiavo perle vie, vedevo quelli che credevomiei amici guardarmi in mal modoe sentivo che nei loro discorsisbucava il mio nome, sentivo chemi disprezzavano.Vivere a Partanna, è stato moltodifficile, così come vivere nellacasa di Vito Atria. Mio padre e miofratello costringevano me e mia

117Rita Atria

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madre a rispondere ai loro ordini.In casa le decisioni le prendevanogli uomini, mi sentivo ignorata datutta la mia famiglia, il clima erauno dei peggiori, quando volevoraccontare una vicenda che mi erasuccessa nella giornata, peresempio un voto alto a scuola,nessuno mi dava la soddisfazioneo si complimentava con me perl'accaduto.Gli interessi della famiglia nei mieiconfronti erano minimi, si pensavasolo ad avere molte ricchezze maio avevo un sogno, volevo fre-quentare l'istituto alberghiero.Purtroppo a causa della mafia hoperso tutto, anche il tempo perproseguire i miei studi, il miocompito adesso è testimoniare.Io sostengo che bisognerebberendere coscienti i ragazzi che

vivono tra la mafia che al di fuoric'è un altro mondo fatto di cosesemplici, ma belle, di purezza, unmondo dove sei trattato per ciòche sei, non perché sei figlio diquesta o di quella persona, operché hai pagato un pizzo perfarti fare quel favore. Forse unmondo onesto non esisterà mai,ma chi ci impedisce di sognare?Forse se ognuno di noi prova acambiare, forse ce la faremo.Ho raccontato tutto ciò che sapevosulla mafia a Partanna e conquesto spero che voi e le genera-zioni future possiate vivere conuna condizione migliore della mia,non avendo paura di uscire di casaed essere uccisi per sbaglio ovolontariamente dalla mafia.

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Una storia senza un volto:Maria Teresa PuglieseQuando la memoria si aggrappa auna storia di cui si sa troppo poco

Mi chiamo Maria Teresa Pugliese,oggi avrei avuto 61 anni. Vivevo inuna piccola città della Calabria,Locri e sono madre di tre figli. Miomarito, Domenico Speziali, è l'ex-sindaco della nostra cittadina ed èun rinomato pediatra. Sono unacasalinga e fino alla tragediaconducevo una vita molto sempli-ce.Le mie preoccupazioni quotidianeerano quelle di una mammadedita ai figli e al marito. Devo direche non uscivo molto spesso, laLocride è terra di 'ndranghetapurtroppo e negli anni '90 eramolto dura cercare di far finta diniente fra sparatorie, morti e

degrado sociale.Una terra di fuoco dove avevopaura che i miei figli, soprattuttol'ultimo, prendessero bruttestrade, per questo cercavo dicrescerli al meglio e magari tenerliil più lontano possibile dalla realtàin cui vivevamo.Essere una madre e una moglieattenta e premurosa quasi a viverein una campana di vetro per nonsentire il male che ci circondava.Poi il 27 marzo 1994, ho perso laparola, la mia immagine la miastoria. Ho perso tutto… è difficileche qualcuno riesca a immaginar-mi… chi mi cerca non mi trova…

Un gruppo di ragazzi ci sta provan-do; cercano informazioni, vorreb-bero ridarmi una vita o almenouna storia.Vuoto totale: né un'immagine, néun articolo, né qualcuno che parli

Maria TeresaPugliese26 marzo 1994Locri (RC)

Classe III A ITT “Marco Polo”

Firenze

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AIUTACI A DAREUN VOLTO AMARIA TERESA

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di me.Niente.C'è solo scritto della mia morte,come se l'unica cosa importantedella mia vita fosse la mia fine.Ragazzi mi piacerebbe darvi unamano, ma è tutto assurdo. Voivolete sapere qualcosa su di me,ma la verità non c'è e io non socome aiutarvi.Mi hanno ucciso. Una sera, unadecisione dell'ultimo momento.Una cena dell'ultimo minuto conmio marito, una stupida cena.Stavo scendendo le scale, uncolpo di pistola. Dopo il vuoto.Ho pensato tante volte al motivo,al perché mi fossi meritata unafine del genere. Forse c'entravamio marito, il suo ruolo istituzio-nale di sindaco, o il fatto cheforse si era rifiutato di pagare ilpizzo.Ma il pensiero che mi tormenta dipiù è mio figlio, non sono riuscita

a proteggerlo a sufficienza, nonho capito, tanti dubbi, tantepaura e quella parola mostruosa,droga. Forse era successo qual-cosa, forse non ho visto abba-stanza, è terribile se solo provo aimmaginare mio figlio legato alladroga…

Non lo so nemmeno io, l'unicacosa di cui sono certa è cheesiste così poco di me, ho lasensazione che tutto sia cancel-lato.Pochi hanno cercato di ricordar-mi e piano piano il mio ricordo siè offuscato e poi dissolto.Chi è Maria Teresa Pugliese?Qualcuno lo dica a questi ragazziche almeno ci hanno provato.Grazie per aver cercato di render-mi viva ancora una volta ve nesono grata, un vostro pensiero ègià memoria.

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Liliana Caruso e la sua complicata,grande, vita breve

Il coraggio di Liliana Caruso:collaboratrice di giustizia insiemeal marito e il loro amore chesupera l'odio della mafia“Non è come nei film o nei cartonianimati, dove l'eroe non muoremai: nella realtà che raccontiamola nostra protagonista purtroppomuore. Liliana Caruso.” Catania 10Luglio 1994, Liliana è moglie diRiccardo Messina, detto “USceriffu”. Liliana ha solo ventottoanni.Liliana Caruso è innamorata,Liliana non cede ai ricatti del clan“Savasta”… coincidenza fa rimacon devasta, ed è proprio vero; nelquartiere di Catania “Il Fortino”

c'era un'alta densità mafiosa eLiliana vive lì perché si è trasferita

da sua madre Agata Zuccherodopo che suo marito era andato incarcere. La mafia non si vede, sivive in questo luogo. E infatti nelquartiere dove viveva Liliana lamafia permeava la quotidianitàcome una macchia di fumo sullacittà.Liliana ignora le minacce subite edè andata dai magistrati a denun-ciarle. LILIANA NON HA PAURA.Liliana è serena. È andata a parlarecon il marito, Riccardo. Lo haguardato e nello sguardo delmarito si riflettono i suoi grandiocchi, occhi specchiati di un visogiovane e bello che dopo pocheore sarà una maschera di sangue.È preoccupata perché suo maritoha deciso di collaborare con lagiustizia e questo “non conviene”.Il rischio è troppo alto. Liliana,però, sente un sent imento

LilianaCaruso10 luglio 1994Palermo

Classe III B Istituto Comprensivo “Primo Levi”Prato

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AIUTACI A DAREUN VOLTO ALILIANA

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d'orgoglio, pensa che il marito stiafacendo la cosa giusta. Liliana hatre figli e non vuole che crescanoin questo mondo pieno di violen-za, senza leggi. Liliana non provavergogna perché il marito hacominciato a parlare; questo èstrano, altre donne “di mafia” laguardano male. Le donne del clanSavasta hanno cercato con minac-ce e pressioni nei confronti diLiliana, di convincere il marito aritrattare, proponendo di simulareun rapimento di lei e dei figli. Leiha rifiutato la proposta e ha decisodi non accettare la scorta perevitare rischi di sovraesposizionee anche il trasferimento in un'altraregione, perché avrebbe avutodifficoltà a incontrare il marito.Come dice Shakespeare: “Lad o n n a u s c ì d a l l a c o s t o l adell'uomo, non dai piedi peressere calpestata, non dalla testaper essere superiore ma dal lato,per essere uguale, sotto il braccioper essere protetta, accanto alcuore per essere amata!”. Però inverità a volte, troppo spesso, ledonne non vengono considerateimportant i , ma un ogget todell'uomo… e infatti nel frattem-po, continuano a ucciderne tante!In questo caso, in questa coppia,l'uomo e la donna sono rimastiaccanto e uniti in un cambiamentodi vita radicale.

Ne l l ' i ncont ro t ra L i l i ana eRiccardo, che sarà l'ultimo, anchese loro non lo sanno, si percepisceun rapporto di vero amore e discelte di vita condivisa. Parlanodel figlio che è tornato a casa dascuola, dicendo che i compagni lohanno guardato male, che non losalutano più, che lo chiamanofiglio di infame e traditore.Riccardo esprime i suoi dubbiriguardo la scelta di rifiutare lascorta e di non trasferirsi altrove,ma lei non vuole assolutamentelasciarlo solo ed esprime anche lasua paura sulla sicurezza delmarito, anzi è la sua maggiorpreoccupazione! Teme, infatti, chela morte potrebbe colpirlo anchein galera.Entrambi concordano su alcuneconvinzioni.“Ormai abbiamo preso questastrada, andiamo fino in fondo, conalmeno un pò di coraggio.” diceRiccardo.Liliana annuisce e dice: “Saremoun esempio per i nostri figli, anchese forse dovranno andare al Nordo fuori dall'Italia, ma forse èmeglio così. Se le conseguenzesaranno pesanti per noi, i nostrifigli capiranno per cosa abbiamolottato. ”

“Rimarremo uniti in ogni caso,l'amore non è una debolezza, èuna forza!”

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Avrebbero voluto una vita normalecome tante coppie e famiglie, manel luogo in cui vivono non èpossibile, non c'è questa libertà.Loro, arrivati a questo punto, nonpotevano più tornare indietro,dovevano continuare a lottarecontro la mafia.Avendo deciso di lasciare il clan ecollaborare con la giustizia,Riccardo lo tradì e lo disonorò,secondo la loro mentalità mafiosa.Dopo l'omicidio di Liliana e dellamadre di lei, Agata Zucchero,Riccardo disse: “Continuerò acollaborare con la giustizia come e

più di prima. Non torno indietro”.Grazie alla sua collaborazionevennero arrestati i mandanti deldelitto. Liliana rimarrà fiera delmarito anche se ora, lei, non c'èpiù.Alcuni uomini hanno costruito lamafia, ma gli altri, la maggioranza,nel frattempo la stanno combat-tendo, sapendo che possonofidarsi l'uno dell'altro. L'esempiodi persone come Liliana, non verràmai dimenticato e sarà, persempre, impresso nelle menti deiragazzi e dei bambini.

123Liliana Caruso

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La morte davanti alla salumeriadi Agata Zucchero

Agata Zucchero, madre, nonna esuocera di un collaboratore digiustizia, uccisa dalla mafia pervendetta trasversale“Ciao, a tutti. Io sono AgataZucchero. Il 10 luglio 1994 io e miafiglia, Liliana Caruso, siamo mortea causa di un agguato mafioso.Siamo morte in via Garibaldi, aCatania, mia figlia stava facendo laspesa in salumeria. Io l'aspettavofuori. Erano in quattro, due killerhanno sparato in faccia a Liliana.Ho sentito gli spari all'interno delnegozio e ho avuto paura per miafiglia, col fiato sospeso ho cercatodi entrare per andare da lei. Hopercepito subito il pericolo chestava colpendo mia figlia e volevovederla per l'ultima volta, ma ho

visto due uomini davanti al localee ho capito che cercavano me.Allora sono scappata, ma è statoinutile perché quei due killer allemie spalle mi hanno raggiunto e mihanno sparato. Qualcuno haurlato: “Al ladro! Al ladro!” e mentrei poliziotti cercavano di indagaresul fatto, i killer sono scappati.Questo fenomeno è tipico in questiluoghi: il depistaggio e il nontrovare mai dei testimoni. Questisono stati gli ultimi attimi dellavita mia e di mia figlia. Il perché?L'unica colpa di mia figlia era diamare quell'uomo, RiccardoMessina, suo marito, e di nonvolerlo tradire, la mia di sosteneremia figlia in questa scelta.Dovete sapere che l'ambiente incui viviamo è difficile e, soprattut-to, molto pericoloso. La gente èintimorita nell'uscire di casa.

AgataZucchero10 luglio 1994Palermo

Classe III C Istituto Comprensivo “Primo Levi”Prato

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Anch'io ero molto preoccupata, piùche per me, per la vita delle miefiglie, in particolare per Liliana.Quest'ultima non temeva per lasua vita, al contrario era serena etranquilla, forte del grande amoreche la legava al marito e pronta asostenerlo in ogni decisione. Miogenero è Riccardo Messina, coluiche era nel clan Savasta ma ne uscìdiventando collaboratore digiustizia. Il clan ha mandato degliemissari a minacciare mia figlia,delle donne, mogli di mafiosi,perché lei, insieme ai figli, sifingesse ostaggio della mafia inmodo che Riccardo ritrattasse.Liliana non li ascoltò, anzi andòdalla polizia a denunciare. Dopo lanostra morte mio genero hacontinuato a collaborare con lagiustizia con ancora più convinzio-ne e determinazione, con piùenergia, probabilmente, per farcatturare i nostri assassini erenderci giustizia, mentre altricollaboratori erano allarmati perla situazione critica in città echiamarono i giudici per cercare diottenere maggiore sicurezza per séstessi e le loro famiglie, sollecitan-do di adeguare ulteriormente ilsistema di protezione dello Statoin favore dei pentiti.Oltre alle mie figlie avevo pauraper i miei nipoti. Fortunatamentedopo l'omicidio, sono stati messi

al sicuro. Quasi sicuramente, semio genero non avesse iniziato acollaborare con la giustizia e miafiglia non avesse denunciato, i mieinipoti avrebbero continuato lostesso copione del padre e avreb-bero avuto incarichi all'interno delclan Savasta. Ogni forma di oppo-sizione doveva essere punita conl'unico sistema che le organizza-zioni criminali conoscono: lamorte. Una morte esemplare perimpedire anche ad altri membri diribellarsi, mettendo in atto ancheritorsioni sui componenti dellafamiglia del pentito, come èsuccesso a me e a Liliana.La mafia non vuole solo avere soldie potere, non si accontenta diquesto, vuole controllarti mental-mente, avere il pieno controllodella persona. La mafia vuolel'oscurità, vuole l'uomo sottomes-so, vuole costringerlo a fare quelloche gli “uomini” di mafia pretendo-no con la forza, vuole imporre ilproprio pensiero, non vuolepersone che sappiano decidereautonomamente. Non vuole unpensiero proprio, libero. Non vuoleche il mondo sia bello. Non vuolelasciare uno spiraglio di speranzaper gli altri, per poterli dominare.In questo quartiere è più facile cheun ragazzo devii e commetta reatipiuttosto che riesca a crescere ecreare legami di relazioni, in cui

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non prevalga la prevaricazione e laviolenza, ma il reciproco aiuto.Pochi sono i servizi e le opportuni-tà che possono avere i ragazzi e inquesto modo è più facile finirenelle grinfie della mafia. Sonofelice che i miei nipoti, grazie alcambiamento di vita di mio generoe di mia figlia, possano ricomincia-re in un diverso contesto. Semprepiù persone, specialmente donne,anche mogli di mafiosi hanno ildesiderio di educare e crescere iloro figli con un pensiero critico,per farli vivere in un ambientedove la dignità e la libertà sianodei valori primari.”A Catania, infatti, si può esserevittima di mafia per vari motivi:quando si esce da un clan, quandosei coinvolto involontariamente eperché le persone si ribellano allamafia. Eppure cosa fosse la mafia,in Sicilia, in particolare il nomeesatto dell'organizzazione crimi-nale Cosa Nostra, non se ne avevala consapevolezza fino al 10febbraio 1986, quando, a Palermo,iniziò il maxiprocesso del poolant imafia , nel l 'au la bunkerdell'Ucciardone di cui furonoprotagonist i i giudici PaoloBorsellino e Giovanni Falcone.Prima di questo processo, inalcune zone del Paese, la parolamafia non si pronunciava e perciòera come se non esistesse. Nei

luoghi pubblici, nelle piazze, neibar, negli esercizi commerciali, neiluoghi di aggregazione non era mainominata. Ormai le personeconsideravano quasi come unatassa statale pagare il pizzo, farefinta di non vedere, non sentire enon parlare. L'omertà, anche deicomuni cittadini, era diventata unaprassi di vita e di convivenza persfuggire ai rischi e alle vendetteper sé e per la propria famiglia.Durante il processo i giudicidimostrarono prova dopo prova,testimonianza dopo testimonian-za, con cura e meticolosità,l'esistenza della mafia, dei mafiosie che potevano essere arrestati econdannati. Questo è stato ilprimo passo per cambiare, la mafianon è invincibile come dicevaFalcone. Se pochi uomini possonofare la differenza nel bene e nelmale, bisogna combattere lasolitudine, organizzarsi e restareuniti. Se la mafia è oscurità, gliuomini comuni sono la luce, conesempi di onestà, bellezza e amoregratuito per la persona; con questicomportamenti rendono belloquello che hanno intorno. Disicuro, almeno numericamente,sono la maggioranza e allora nonuccidere la speranza è già unavittoria.

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Anna Maria Torno, nata a Taranto il18/06/1977, era una ragazza cometante altre: con i suoi problemi econ tanti sogni da realizzare.Nel 1996, all'età di diciotto anni,perse la vita in un incidentestradale.Non è vittima ufficiale di mafia, madi un sistema di sfruttamento dell a v o r o : i l c a p o r a l a t o ,un'associazione a delinquere,spesso legata alla mafia, checoinvolge alcune aziende agricole.Ai braccianti sono negati moltidiritti dei lavoratori previsti dallaCostituzione: sono sottopagati,lavorano molto più della sogliamassima di ore e vengono a voltepicchiati, malmenati, trattati inmaniera disumana.La storia di Anna Maria non èisolata.Anzi, questa situazione illegale si

sta diffondendo sempre più inItalia: dal 2011 il caporalato è unreato penale, tuttavia questosistema di lavoro continua a esserepresente nel nostro Paese. Questamancanza di diritti diventa ancorapiù dura nei confronti delle donne,viste come più deboli fisicamente,ma anche ricattabili perché sonomolto legate ai figli e alla famiglia.

Taranto, 02/07/1988Caro diario,Abito a Taranto in via Corso Italiacon i genitori e i miei fratelli, iosono la quinta di sei.Sono in camera con il fratello piùpiccolo.Ti svelo un segreto: voglio tantobene alla mia famiglia e spero ungiorno di averne una tutta mia!Ho dieci anni e ho appena finito leelementari. Mio papà dice che

Anna MariaTorno1 marzo 1996Ginosa (TA)

Classe III B Istituto Comprensivo “D. Alighieri”Salzano (VE)

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lavorare è molto importante,perciò andrò in alcuni bar a fare lacameriera, ma il mio sogno èquello di diventare una graficapubblicitaria: mi piace moltodisegnare.Adoro la mia casa, anche se in ottostiamo un po' stretti.Nella cameretta siamo in tre: io edue fratelli.

Taranto, 06/09/1991Caro diario,ti ho ritrovato dopo tre anni! Miofratello maggiore ti aveva nascostoper farmi un dispetto.Sono triste perché due mesi fa èmorto mio padre. Mi sento sola, hoperso il mio faro e la mia guida.Anche se severo, era giusto. Mi hatrasmesso valori molto importantiche non dimenticherò mai.Gli volevo molto bene.L'unica notizia positiva è che fradue settimane inizio le scuolemedie. Sono così emozionata chela notte non riesco a dormire.Mamma ha sempre un sorrisotriste, spesso la sento piangere.La notte, quando tutti ci siamocoricati, ci bacia le guance chespesso rimangono umide, perchéle sue lacrime cadono lievemente.Ti voglio bene mamma, perché tisacrifichi per noi.

Taranto, 14/11/1991

Caro diario,due mesi fa ho iniziato la scuola. Mitrovo bene, i compagni sonosimpatici e ho un bel rapporto congli insegnanti. Sono vivace, spirito-sa e allegra.La scuola mi piace, mi apre unmondo che non conosco. Chissà seriuscirò a iscrivermi alla scuolasuperiore.Mi piacerebbe frequentare unistituto professionale per graficipubblicitari, gli insegnanti diconoche sono portata per il disegno.Riesco a fare progetti per il futuro:forse la mia vita potrà cambiare!Baci

Taranto, 12/08/1993Caro diario,ti confido un segreto importante:ho rivisto il figlio di un amico difamiglia, Cosimo Venezia.Quando lo incontro per stradadivento tutta rossa e mi sudano lemani.Cosa mi sta succedendo?Con affetto

Taranto, 14/10/1994Caro diario,mi sono fidanzata con Cosimo, èpiù grande di me di dieci anni, civogliamo molto bene e vorremmosposarci.Ormai ho lasciato la scuola, voglioformare una famiglia con Cosimo!

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Ho preso una decisione importan-te: mi trasferirò a Ginosa, a casa deisuoi genitori.Spero di trovare un lavoro che cipermetta di avere una casa tuttanostra!Ciao

Ginosa, 22/01/1996Caro diario,ormai è da un pò che vivo qui aGinosa, ho trovato lavoro: faccio labracciante agricola. Metto da partequasi tutto quello che guadagno,perchè a luglio mi sposerò conCosimo.Il lavoro è molto duro, sveglia allequattro e mezza per prendere ilpullmino insieme alle mie compa-gne di lavoro. Andremo nei campi araccogliere verdure.Ci pagano poco, ma quando haibisogno di lavorare accetti quelloche ti danno, anche se non sonorispettati i nostri diritti e ci sfrutta-no.Sono disposta a fare qualsiasisacrificio pur di sposare il mioCosimo.Ciao, vado a lavorare

Ginosa, 01/03/1996Ero seduta nel pullmino, schiaccia-ta contro altre ragazze, perchéeravamo troppe per il numero diposti consentiti . Eravamo inquattordici.Avevamo tutte sonno, c'era chisbadigliava e chi era pensierosa.Improvvisamente si sentono deirumori e delle frenate. In quelmomento la mia vita finisce,sbalzata fuori dal pulmino mentrela maggior parte delle altre geme-va e soffriva per le ferite. Sentivo inlontananza il suono delle sirene.Il mio ultimo pensiero è stato chenon volevo morire, amavo la vita,pensavo a mia mamma, ai mieifratelli, a Cosimo, tra poco mi sareisposata, avrei avuto la mia casa eancora tanti sogni da realizzare:sarei diventata mamma e forse, ungiorno, anche nonna, lottandoperché i miei figli potesserostudiare e avere un lavoro dignito-so.Con indosso il mio vestito dasposa, saluto tutti per l'ultimavolta, nella chiesa dei Santi MediciCosma e Damiano a Taranto.

129Anna Maria Torno

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Silvia Ruotolo, mia madre

Nessuno spenga il sorriso alla vitae alla libertàSono affacciata al balcone, sorri-do, aspetto con ansia il rientro dimamma e del mio piccolo fratelli-no. È l'una e ho anche un pò fame.Napoli, come tutti i giorni aquest'ora, è rumorosa e caotica,ma oggi lo è di più. Il traffico e lagente non mi distraggono, i mieiocchi sono fissi verso l'orizzonte, ilmio sguardo non si perde tra lafolla, ma cerca costantemente ilviso di mamma e del mio fratellinoFrancesco, di cinque anni.È l'11 Giugno 1997, un giornoqualsiasi per me che attendo illoro ritorno e per mamma, checome ogni giorno, svolge il suodovere e va a riprendere Francescoall'uscita dall'asilo.

Un sorriso, un saluto, mamma alzalo sguardo verso di me, si trova apochi passi da casa, sta stringendola mano di Francesco. Succedetutto in un istante, proprioall'inizio di Salita Arenella: lacamorra spara tra la folla almenotrenta proiettili, mia madre é lì ecade a terra.Ho visto tutto; non posso fareniente tranne urlare, chiamareaffannosamente la mia mamma,dolce e innocente, colpita a sanguefreddo.Mi chiamo Alessandra Clemente,ho dieci anni e ho appena visto miamadre morire davanti ai mieiocchi. Non capisco, sono sconvol-ta, niente mi lega più alle sensazio-ni di normalità, di attesa, di vitache avevo un attimo prima, tuttodiventa gelido, freddo e doloroso,il caos intorno diventa silenzio,

SilviaRuotolo11 giugno 1997Napoli

Classe III D e III E ISC “Fracassetti – Capodarco”

Fermo

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non ho l'età giusta per capiredicono, ma oggi so che non c'èun'età giusta per trovare unaragione alla malvagità. La vita dimamma finisce qui, in quell'ultimoincrocio di sguardi.Silvia Ruotolo è innocente, non hacolpe, non vi conosce, non sa chisiete, eppure avete spezzato persempre il suo e il mio mondo, conu n a v i o le n za i n g i u s t i fi ca tacolpendola brutalmente a unatempia mentre teneva stretta lamano di suo figlio Francesco,mentre mi stava sorridendo.Urla, grida, pianti sono l'unicosfogo all'immenso dolore che hodentro, lo stesso che ha colpitomio padre, il mio fratellino: ci avetetolto in un colpo la nostra vitainsieme, la felicità.Mia madre, Silvia Ruotolo, era nataa Napoli il 18 Gennaio 1958, era lasecondogenita; mia zia Michela erala più grande e mio zio Giovanni ilpiù piccolo. Gli occhi di mammanon li dimenticherò mai, eranodolci e intensi di un bel colornocciola. Mi raccontava spesso cheda ragazza aveva dei bei capelliscuri, lunghi e lisci che avevatagliato corti appena si era sposa-ta.Era cresciuta al Vomero, un quar-tiere di Napoli dove aveva fre-quentato gli studi magistrali e nel1982, dopo essersi diplomata,

aveva incontrato Lorenzo, miopadre. Si sono sposati e subitodopo sono arrivata io; è statoproprio dopo di me che ha decisodi diventare ”mamma a tempopieno”. Infatti nel 1992, di nuovocon il pancione, mise al mondoFrancesco e proprio in quell'annoci trasferimmo in una casa piùgrande, al nono piano di SalitaArenella.Era sempre presente e gioiosa, perlei fare la mamma significava inp r i m o l u o go s e g u i re m e eF r a n c e s c o n e l l o s t u d i o enell'educazione, noi eravamo ilsuo tutto, con i suoi difetti e con isuoi pregi riusciva a essere unamamma speciale.Sono passati vent'anni da quell'11Giugno 1997 e oggi sono diventatauna donna, un'assessore allepolitiche giovanili, impegnata nelsociale perché il mio dolore non miha fatto chiudere in me stessa, mami ha suscitato una reazione dirinascita e di ripresa.È un ricordo vivo, doloroso, pesan-te quell'11 Giugno, quando ilcommando del clan Alfano sparòall'impazzata per colpire SalvatoreRaimondi, del clan avversario deiCaiazzo-Cimmino.È stato uno dei numerosi capitolidi sangue scritti dalla camorra chenon si è fatta scrupolo di uccideremia madre, spazzata via a soli 39

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anni in un omicidio orrendo,avvenuto in pieno giorno e divenu-to simbolo della lotta alla camorrada parte della società civile.“Li prenderemo tutti!”, queste sonostate le parole che il questore LaBarbera, che si occupava del caso,ci aveva detto, la promessa cheaveva fatto alla mia famiglia.Pochi mesi dopo il delitto uno deikiller, Rosario Privato, vennearrestato mentre si trovava invacanza in Calabria. Privato, dopoaver ascoltato l'intervista di miopadre, era stato colto da un pro-fondo senso di colpa che gli avevadato il coraggio di diventarecollaboratore di giustizia e dicambiare vita.Dopo di lui, uno a uno sono staticatturati tutti i killer responsabilidella sparatoria. “Alfano Giovanni,Cacace Vincenzo, Cerbone Mario,Rescigno Raffaele e PrivatoRosario, siete tutti condannatiall'ergastolo per l'uccisione diSalvatore Raimondi e di SilviaRuotolo”. Queste sono state leparole del giudice Giustino Gatti,quando l'11 febbraio 2001 hacondannato tutti i colpevoli delduplice omicidio nell'udienzafinale.L'11 luglio 2007 la dodicesimasezione del tribunale Civile diNapoli decretò un significativorisarcimento per noi familiari,

primi in Campania ad aver benefi-ciato del Fondo di Solidarietà perle vittime di reato di tipo mafioso.Con questo fondo l'11 Giugno 2011,dopo 14 anni da quella terribilestrage, è stata costituita da me edalla mia famiglia la FondazioneSilvia Ruotolo Onlus “Tutto ciò chelibera e tutto ciò che unisce inmemoria di Silvia”.La fondazione, di cui oggi sonopresidente, propone iniziative eazioni di impegno contro la crimi-nalità organizzata che colpiscemigliaia di vittime innocenti, comemamma Silvia.L'impegno civile ha un significatoprofondo che dà frutti nel tempo, èil modo migliore per aiutare tuttele vittime a lottare concretamentecontro un'ingiustizia vile e orren-da, è lo strumento per spezzarel'omertà, portare il cambiamento,promuovere l'integrazione socialedei giovani allontanandoli dallacriminalità e cercando di educarlialla legalità, con percorsi didatticirivolti innanzitutto a scuolecarcerarie e a centri di giustiziaminorile.Mamma è stata una vittima inno-cente e casuale della criminalità,così come tante altre vittime mortenelle nostre città e sulle nostrestrade: questo è un qualcosa chedeve riguardare tutti, deve essereil dolore di un'intera comunità che

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deve capire la gravità di questifatti. Abbiamo diritto di pretende-re un cambiamento, ma abbiamoanche il dovere di reagire e diimpegnarci insieme perché lemafie si possono sconfiggere,perché “Gli spari fanno paura ma ilsilenzio ancora di più”.Per questo a Piazza MedaglieD'Oro, a Napoli, su una lapideint i to la ta a mamma, S i lv iaRuotolo, ogni 11 Giugno noi fami-liari insieme alla società civilerappresentata da autorità e dagente comune, ci riuniamo edeponiamo fiori per commemorar-la e tenere vivo il suo ricordo per

sempre, per non dimenticare.Oggi ho bisogno di vivere a testaalta, voglio aiutare gli altri, soprat-tutto i giovani, a dire no allacamorra e alla violenza che hannoucciso innocenti come mia madre.Sono stata capace di camminareguardando avanti, anche se la vitami ha messa duramente alla prova.Mi hanno tolto un passato, forseanche un pezzo di presente, manon il futuro nel quale continuo acredere!Nessuno spenga il sorriso alla vitae alla libertà.

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Silvia RuotoloIn memoria di mia madre

Era l'11 Giugno 1997 quando miamadre, Silvia Ruotolo, mi rivolse perl'ultima volta la parola dicendomi:"Ciao, Alessandra". Quel giornomamma stava ritornando dallarecita di fine anno del mio fratellinominore Francesco e io la stavoaspettando, guardando dal balco-ne, impaziente di sapere come fosseandato lo spettacolino in cuiFrancesco aveva una parte.Mamma stava attraversando viaArenella, quando arrivò rapidamen-te una macchina da cui scesero d'untratto cinque persone armate cheiniziarono immediatamente asparare; in quel momento il mio ilcuore iniziò a battere fortissimo, lelacrime scendevano dagli occhil'una dopo l'altra; ero immobile difronte a quella scena, dall'altoosservavo ed ero impotente acambiare quel destino già segnato;vedevo tutto come a rallentatorequasi che la mia piccola mente nonstesse comprendendo né ascoltan-do altro che il susseguirsi di queitrenta proiettili esplosi a raffica.Urlai a squarciagola il nome di miamadre, finché non la vidi accasciataa terra con la testa sanguinante, in

quel momento avrei volevo buttar-mi giù dal balcone per raggiungerlapiù in fretta, le scale che mi separa-vano da lei, sembravano non finiremai finché non le arrivai vicino e lavidi immobile e pallida, accasciata aterra, con mio fratello Francesco dicinque anni che piangeva spaventa-to accanto a lei. Cercai in tutti i modidi scuoterla, come nel tentativo disvegliarla, ma era troppo tardi: eramorta. Mio padre Lorenzo nelfrattempo era stato avvisato,avevano chiamato la polizia el'ambulanza, mentre io con lelacrime agli occhi, china su di lei, leimploravo: "Mamma, mamma nonlasciarmi! ".Il commando di camorra che sparòall'impazzata aveva come obiettivoSalvatore Raimondi, un affiliato delclan Caiazzo-Cimmino, rivale degliAlfano; quel giorno, oltre a miamadre, morì Raimondi e furonoferiti Luigi Filippini, altro affiliatodel clan bersaglio dell'agguato, e ilgiovane studente universitarioRiccardo Valle.Il giorno prima dei funerali di miamadre ci ritrovammo nella cappelladi famiglia e con mio grande stupo-re vedevo arrivare molta gente chevoleva salutare mia madre, cosìdecidemmo di farli entrare tutti. È

Classe III D e III E ISC “Fracassetti – Capodarco”

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stato in quel momento che sonodiventata grande, era bello vederetutta quella gente venuta lì appostaper mia madre Silvia, di cui ero fieradi essere figlia. Ho sempre avutopersone accanto e ho cominciato acapire che insieme si vince.Ora quella bambina di 10 anni, cheha assistito alla morte di sua madre,guardando dall'alto di un balcone, èun'assessore alle Politiche Giovanilia Napoli.Da quel giorno, in memoria di miamadre, cerco di lottare contro lemafie che lasciano una scia dimorte e di terrore. È stato unpercorso doloroso, ma mio padrenon ci ha cresciuti nell'odio anzi, ciha ha insegnato che le armi piùpotenti per difendersi dal malesono l'amore e la cultura. Mammaaveva solo 39 anni, aveva lasciatol'insegnamento per stare con noifigli. Avevamo trascorso i giorniprecedenti alla sua morte a organiz-zare la festa di fine anno dellaquinta elementare, ma poi quellaf e s t a n o n s i e ra p i ù fa t t a .Mangiammo una pizza, consegnam-mo i regali agli insegnanti, poi michiusi in bagno e piansi a lungo. Iopenso che non bisogna vergognarsidei propri sentimenti. Certo non èstato facile. Ho dovuto fare ungrande lavoro con me stessa percapire che le persone, invece,vogliono condividere con noiproprio quelle emozioni di cuiinvece ci vergogniamo e che vor-

remmo nascondere a tutti allonta-nandoci dal mondo. In tanti sonostati vicini a me e alla mia famiglia equesto mi ha permesso di trasfor-mare il mio dolore in una forzapositiva. Le cose poi sono andatemeglio quando, grazie a uno deikiller, Rosario Privato, ci fu unasvolta nelle indagini: era diventatocollaboratore di giustizia dopoessere stato arrestato e dopo averascoltato in un'intervista le paroledi mio padre che lo avevano toccatoprofondamente.L'11 Febbraio 2001 fu così uno deigiorni per me più importanti dopol'omicidio di mia madre; ci fu ilprocesso nella quarta sezione dellaCorte d'Assise di Napoli, in cuifurono condannati all'ergastolo iresponsabili della strage: il capoclan, il boss Giovanni Alfano,Vincenzo Cacace, Mario Cerbone,Raffaele Rescigno, che era l'autistadel commando, e infine RosarioPrivato. Finalmente eravamoriusciti a far condannare gli assassi-ni di mia madre; dopo sei anni daquel processo, nel 2007, il TribunaleCivile di Napoli risarcì economica-mente la nostra famiglia attraversoil Fondo di solidarietà per le vittimedi reato di tipo mafioso; con unaparte del denaro beneficiato e conl'aiuto dell'associazione Liberas iamo r iusc i t i a is t i tu i re laFondazione Silvia Ruotolo onlus“Tutto ciò che libera e tutto ciò cheunisce in memoria di S i lv ia

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Ruotolo”. La fondazione non è natasolo in nome di mia madre, ma ditutte le vittime innocenti di camor-ra, uccise senza un perché: non sipuò togliere una madre ai suoi figli“per sbaglio". Le associazionicriminali possono essere sconfittesolo con un impegno concreto equotidiano di informazione controla cultura criminale e camorristicache inquina e avvelena il nostrotessuto sociale. Bisogna rendere

consapevoli i più giovani: questo èquello che io e la mia famigliacerchiamo di fare nella nostra vitapersonale e con l'opera svolta dallafondazione particolarmente rivoltaai ragazzi.Vent'anni fa moriva mia madre,Silvia Ruotolo. Oggi mi sento piùforte di chi l'ha uccisa.Io sono Alessandra Clemente equesta è la mia storia.

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Agata AzzolinaUna storia di dolore e di coraggio

La toccante storia di Agata Azzolinaha inizio il 16 ottobre del 1996,quando i fratelli Salvatore eMaurizio Infuso si introduconoall'interno del negozio nel qualelavoravano insieme alla donna, ilmar i to Salvatore e i l figl ioGiacomo, chiedendo, sotto falsaintenzione, di comprare delle fedi,rivelando poi il loro reale intento,cioè quello di estorcere loro deldenaro. Salvatore Frazzetto sir ifiuta di pagare la sommarichiesta, cercando invano dipremere un bottone di allarmeposto sotto la sua scrivania, messolì dal commissario presso il qualeaveva sporto denuncia nei con-fronti dei malavitosi che giàprecedentemente si erano recati

nel loro negozio di pellicce. Egliviene però colpito da uno sparoche allarma Giacomo, il qualetenta di disarmare il criminale; è inquel momento che viene accoltel-lato e poi ucciso dal complice.Agata riesce a liberarsi e a usciredal negozio per chiedere aiuto,non sapendo che al suo ritornoavrebbe ritrovato il marito e il figliosenza vita. Da quel momentol'unica ragione di vita di Agata è divedere i criminali responsabilidella tragedia dietro le sbarre e diandare al cimitero per piangeresul la tomba di Salvatore eGiacomo. A starle vicino in questoperiodo è la figlia Chiara, costrettaad abbandonare la sua vita daadolescente spensierata e serenaper diventare presto una donna,con il peso delle responsabilitàche ciò comporta. Con il passare

AgataAzzolina22 marzo 1997Niscemi (CL)

Classe III C Liceo “Regina Elena”

Acireale (CT)

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dei mesi però il dolore di Agata, laquale non smette di testimoniarenonostante le numerose minaccericevute, diventa insopportabile ela porta a prendere una tragicadecisione. Un sabato sera, dopoaver convinto Chiara a uscire,Agata si impicca, lasciando unalettera per la figlia. La donna, pocoprima di togliersi la vita, era statainvitata dal sindaco SalvatoreLiardo alla manifestazione inmemoria di tutte le vittime uccisedalla mafia (il giorno del ricordo).Lei, però, così turbata e tormentatada quel lancinante dolore, decidedi non andare. Aveva fatto di tuttoper sfuggire a quella paura e a queldolore che piano piano la stavanosempre più divorando; nonostanteavesse denunciato tutto allapolizia, i due fratelli Infuso nonavevano smesso di minacciare ladonna e in seguito anche Chiara,chiedendo sempre più soldi esostenendo che nulla si sarebbefermato nonostante la morte delmarito e del figlio. Agata nonpartecipa alla cerimonia in memo-ria delle vittime per il troppodolore, dolore che traspare inun'intervista rilasciata a unagiornalista olandese. Nel 1997 sicelebrano i funerali di Agata, aiquali parte di Niscemi reagisce conl'indifferenza, voltando le spalle achi è stato ucciso dai malviventiche continuano a seminare terrore

grazie a questa stessa indifferenza.In seguito alla morte della madre,Chiara decide di rimanere aNiscemi e di denunciare le personeche hanno distrutto la sua fami-glia. Infatti, a distanza di un annodalla morte di Agata, viene institui-to il processo a cui la figlia parteci-pa e nel quale viene derisa daimafiosi , colpevoli della suainfelicità e del suo dolore. Laragazza non si ferma, nonostantele continue minacce, mossa dallavoglia di giustizia, scagliandosicontro le lacune dello Statoitaliano che non impedisce alleorganizzazioni criminali di opera-re.È nella chiesa in cui è stato datol'ultimo addio ad Agata che la figliasi unisce in matrimonio, sei mesidopo, con l'ispettore Paolo Presti,che fin da subito si era occupatodel caso, dimostrandoci come lavita possa ritrovare un sensonell'amore. Chiara è riuscita areagire al male dei criminali e allaperdita della sua famiglia, sce-gliendo di rimanere a Niscemi elottando perché quel che le ècapitato non accada in futuro adaltri. La donna si è dimostrata finda subito forte, quando la madreha avuto bisogno di lei, e ancor dipiù nel momento in cui il compitodi combattere i responsabili diqueste atrocità passa a lei. Non si èfermata davanti a nulla, trovando

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sempre la forza di andare avanti,senza paura di ripercussioni. Tuttociò avviene in un paese in cui levittime di mafia hanno raggiunto ilnumero di 400 morti in 40 anni.Il dolore e il coraggio di Agata e disua figlia Chiara, che abbiamo

avuto il piacere di conoscere,restano nei nostri cuori comeesempi di dignità personale e diribellione alla violenza. È perquesto che vogliamo continuare aricordare.

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La storia di chi ha poca voce

Stavo dando un'occhiata agliarchivi anagrafici della mia città,Cerignola, in Puglia, per un articolodi storia locale dell'anno 1998.Ho trovato molte persone e una miha colpito maggiormente. Hocercato informazioni su di lei mamolte probabilmente sono statetaciute. Mi ha colpito il suo nomeperché è stata inserita in unalunghissima lista di vittime dimafia, un nome tra tantissimi altrimolto più importanti, ma c'eraanche lei e ho deciso come giorna-lista di poter dare voce anche ainomi meno o per nulla conosciuti.Incoronata Sollazzo.Le poche informazioni su di lei cidanno un'idea molto vaga, maforse con un po' di intuito e fanta-sia possiamo provare a ricostruire

la sua storia per poterle daregiustizia e un valore al suo nome.Morta il ventiquattro aprile 1998:queste erano tutte le informazionisulla sua morte, ma chi era lei? Perdefinire una persona dobbiamosapere innanzitutto la sua data dinascita e facendo due calcoli, se èmorta all'età di 36 anni è nataesattamente nel 1962. Quella èl'epoca delle prime volte sullospazio, della scienza che progredi-sce, degli uomini e satelliti sullaluna, ma il diritto al lavoro e i dirittiumani sono ancora dimenticati inmoltissime realtà ancora oggi.La sua residenza era Carapelle, inprovincia di Foggia in Puglia, conun clima torrido in estate e rigidoin inverno, capace di far sentire lastanchezza di ogni stagione. Erasposata con due figli dei quali nonsi hanno notizie e non è di nostra

IncoronataSollazzo24 aprile 1998Cerignola (FG)

Classi terze ITIS “Levi Ponti”Mirano (VE)

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AIUTACI A DAREUN VOLTO AINCORONATA

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competenza indagare per rispetta-re il silenzio e il dolore privato.Andava a lavoro a Bisceglie (Bari):un percorso di circa cinquantaminuti passati in un furgone deicaporali omologato per novepersone. All'interno le personeerano ben 19, possiamo soloimmaginare il caldo e l'aria chescarseggiava, tutto questo perraggiungere il posto lavorativo.Incoronata faceva la bracciante inun'azienda conserviera agricola.Era lei a fare il lavoro più sporcosotto il sole cocente o con lapioggia e il vento freddo a terra,sporca di fango a raccogliere ipomodori. Le ore lavorative eranotante, era una donna senza diritti,tanto da non essere consideratarealmente una persona. Leisvolgeva un lavoro così pesantepur di riuscire a procurarsi davivere.Nonostante la dura v i ta diIncoronata, i suoi figli e suo maritoerano probabilmente la sua unicagioia immensa e l'amore verso diloro l'avrebbe portata a farequalsiasi cosa pur di renderli felici,anche donare la sua vita.S icuramente avrebbe tantosognato di essere stata educata astudiare matematica, storia,geografia e soprattutto diritto.Avrebbe voluto diventare unapersona colta al fine di farsi valere

in una società dove ogni personacerca di sfruttare chi è ignorante.''La Repubblica riconosce e garan-tisce i diritti inviolabili dell'uomo,sia come singolo, sia nelle forma-zioni sociali ove si svolge la suap e r s o n a l i t à e r i c h i e d el'adempimento dei doveri indero-gabili di solidarietà politica,economica e sociale''.Ho scritto di Incoronata Sollazzo avoi, cari lettori di vecchie e nuovegenerazioni, al fine di rendervinoto che non si può togliere ladignità a una persona.Scrivo a voi nuove generazioni, perinsegnarvi a difendere i vostridiritti, soprattutto quello dellavoro. Dovete pretendere diessere tutelati, riconosciuti nellavostra realtà di futuri lavoratori.Scrivo alle vecchie generazioni perdire loro che sono sbagli da noncommettere più, il disastro diquesta storia, sia per voi unmonito. Serve a questo la Storia, anon commettere più gli stessierrori.Facciamo conoscere a tutti ilcaporalato, denunciamo lo sfrut-tamento sul lavoro in tutte le sueforme, raccontiamo la storia diIncoronata Sollazzo. Facciamoladiventare Storia.

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QUADERNO DI BOZZE24 Aprile 1998

Ore 3:35 Ero in camera mia adormire, il telefono di casa suona;preoccupato mi alzo e quandosollevo la cornetta sento il diretto-re che mi chiede di recarmi aCerignola (Fg) in Puglia, per racco-gliere informazioni su un inciden-te.Ore 4:45 In viaggio verso Cerignolail direttore mi telefona per fornirmiulteriori informazioni riguardol'accaduto: si tratta di un furgoneandato fuori strada per cause finoadesso sconosciute.Ansioso di raccogliere notizie,schiaccio l'acceleratore al massi-mo per arrivare prima di qualsiasialtro giornalista.Ore 5:50 Arrivato sul luogodell'incidente, l'occhio piombasubito sul furgone dentro un fosso,inutile dire che le condizioni delmezzo sono pessime.Vado da un agente di polizia perraccogliere informazioni e subitomi viene detto che all'interno delfurgone omologato per il trasportodi nove persone, vi erano bend i c i a n n o v e p e r s o n e e c h el'incidente è avvenuto per laforatura dello pneumatico poste-riore destro.Ore 6:15 Vengo a sapere, tramite gliagenti di polizia, che ci sono due

vittime: Incoronata Sollazzo, 36anni sposata e con due figli, eMaria Incoronata Ramella, 25 annida poco sposata.Le due vittime facevano parte di ungruppo di donne che lavoravanosotto caporalato nei campi perpochi soldi al giorno.Ore 7:38 La polizia cerca di contat-tare il datore di lavoro ma non cisono tracce; oltre alle due vittimec'è il conducente del mezzonell'ambulanza, Maria Scuotto, 31anni.Provo a Parlare con Maria, mavengo subito allontanato dalleautorità e dai soccorsi visto le gravicondizioni della donna.Ore 8:50 Cerco di raccogliereinformazioni dalla gente del paesee vengo a sapere come funziona ilcaporalato.Ci si sveglia all'alba e ci si recasubito nel punto di ritrovo asse-gnato, arrivati tutti il datore dilavoro inizia una “selezione” dipersone che andranno a svolgere illavoro richiesto, tutto per pochis-simi soldi e per una marea di ore algiorno, per non parlare dellepessime condizioni di lavoroOre 10:30 Mi reco in ufficio perscrivere l'articolo sull'accaduto eappena entro il direttore mi assale,chiedendomi di raccontargli tuttociò che sapevo; io ho ancora le ideeconfuse non rispondo e mi dirigo

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verso la mia scrivania.Inizio a scrivere le prime righed e l l ' a r t i c o l o , q u a n d oall'improvviso il mio collegaAlfonso tenta di strapparmi gliappunti per impedirmi di scriverel'articolo del secolo, come sentodire da molti;ma perché avrebbe dovuto fareuna cosa simile?Ore 12:50 Dopo aver scritto labrutta copia del mio articolo eaverla depositata nella miacassetta personale, vado in pausapranzo; cerco di capire perchéAlfonso abbia tentato di distrugge-re i miei appunti.In mensa mi siedo vicino a lui e lovedo teso; cerco allora di tranquil-lizzarlo parlandogli delle prossimeferie: arrivo al dunque; vengo asapere che Alfonso non solo èimparentato col direttore di lavorodi Incoronata, ma è anche socionell'azienda agricola dove si stavarecando il furgone dell'incidente.Per salvare se stesso, i suoi soci e iparenti sarebbe disposto a pagareuna sostanziosa somma di denaroper avere i miei appunti e compra-re il mio silenzio. Mi alzo disgusta-to e ritorno alla mia scrivania.Ore 13:10 Sulla mia scrivania trovoun biglietto: “o gli appunti o la tuafamiglia”.Intimorito corro in bagno pernascondermi e cercare di tranquil-

lizzarmi, ma nel tragitto incontroAlfonso che con uno sguardo pocoamichevole mi chiede di fermarmia parlare; io volto le spalle e conpasso da maratoneta procedoverso il bagno.Ore 14:05 Ci penso a lungo. Decidodi tutelare la mia famiglia, conse-gnare i miei appunti ad Alfonso chenel giro di dieci secondi li fascomparire tra le fiamme.Dopo aver consegnato i mieiappunti domando ad Alfonsocome avrebbe fatto con gli altrigiornalisti e ricevo una rispostapiuttosto inquietante: come primacosa avrebbe offerto del denaroper comprare il loro silenzio, incaso di rifiuto ci avrebberopensato i suoi soci.Ore 17:50 Faccio ritorno a casa eappena vedo mia moglie, lei miracconta di aver trovato un uomoche le ha detto di dovermi ringra-ziare per averle salvato la vita…

Io, agitato, cerco di spiegarle iltutto ma lei reagisce in un modoinaspettato: al posto di ringraziar-mi, mi rimprovera per essere statoomertoso, dicendomi di vergo-gnarmi.Ero offeso. Solo dopo aver riflettu-to mi accorsi del gravissimo errore:avevo deciso di tener nascosto almondo cosa accade alle personeche lavorano sotto sfruttamentoper tenermi stretto qualcosa a cui

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tenevo io; certo la famiglia primadi tutto, ma mi domandai quantevite avrei potuto salvare pubbli-cando quell'articolo.Ore 22:50 Vado a dormire conl'amaro in bocca e col pensiero e laconsapevolezza di vivere in unmondo pieno di omertà, dove lagente, pur di salvaguardare le cosea cui tiene, non parla e lascia che lepersone vittime di sfruttamenticontinuino il loro percorso senzaalcun punto di salvezza.

Qualcuno troverà il coraggio

Sono trascorsi quasi vent'anni,eravamo nel 1998, da quasivent'anni sono passata a migliorvita.L'unica mia gioia era la mia fami-glia, come per tutte le altre donne,vittime del caporalato. Ora possie-do anche la gioia della libertà. Unasensazione che solo adesso provo.Non potrò mai dimenticare quelmaledetto giorno interminabile,esattamente come non dimenti-cherò mai tutti gli altri giornipassati sotto al sole a spaccarmi laschiena con le mani nella terra.Ci si svegliava alle 3.00 di notte,dopo solo quattro ore di sonno,alle 3.30 il furgone di Maria passa-va. Per essere trasportati nei campisi doveva pagare e venivamostipati come animali: con uno

spazio sufficiente a malapena perrespirare, un'aria viziata, con ilgelo sulla pelle, la stanchezza delgiorno precedente ancora sullespalle. In un furgone, che potevacontenere nove persone, eravamonormalmente in diciannove, unatrappola di lamiere. Per far passarein fretta il tempo del viaggiocanticchiavo a bassa voce …. “Sallycammina per la strada sicura …

senza nemmeno guardare perterra….”. Immaginavo di cambiarevita, di trovare lavoro come com-messa in un negozio di abbiglia-mento. Vestirsi bene tutte lemattine, pettinarsi, truccarsi,mettersi lo smalto. Poi guardavo lemie mani e mi veniva un groppo ingola per la disperazione.Quel malandato Ducato non erasicuro e ci aspettavamo che primao poi ci lasciasse a piedi.Quel giorno, dopo otto ore sotto alsole di fine aprile, salimmo tutte ediciannove nel furgone per tornarea casa, come al solito, eravamotutte donne.Il caporale conducente stavaguidando, stanca e annoiata cometutte noi, quando a un trattosentimmo uno scoppio fortissimoe il furgone iniziò a sbandare adestra e a sinistra.Quei pochi secondi sembravanointerminabili: ricordo che c'eranoragazze che urlavano e cercavano

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di aggrapparsi ai sedili e allemaniglie delle porte. Poi si sentì unfortissimo colpo.Ora le guardo alzarsi nel cuoredella notte, come me, le guardomentre salgono sul solito furgone.Il ricordo ancora mi terrorizza. Unami assomiglia, ha il mio stessosguardo, rassegnato ma fiero.Le sento parlare tra di loro.“Quel cane mi ha colpito un'altravolta!!!”“Zitta!”“Io domani non posso rimanere acasa”.“Ho ancora sete ma mancano solodue ore, non spendo tutti queisoldi per una bottiglietta d'acqua”.Ritornano la sera, paralizzate dallapaura che sopprime ogni possibiler ibel l ione. Rivedono i figl i ,preparano la cena, un boccone infretta, un attimo sul divano e poi ilsonno arriva in un baleno.Io le vedo nei loro letti, quandonon riescono a prendere sonno,

quando sono tormentate daincubi.Io sognavo di venire uccisa peraver parlato.Io mi chiamo Incoronata Sollazzo eavevo 36 anni, due figli, un marito.Fui costretta ad accettare quelduro lavoro nei campi per mante-nere la mia famiglia. Io non cono-scevo nemmeno il significato delleparole “diritto al lavoro”, ma ora loso e anche queste donne checontinuano a fare la mia stessa vitalo devono conoscere.Ci sono cori di voci intorno a me etutti insieme gridiamo e imploria-m o “ D A T E C I U N L A V O R ODIGNITOSO”!Io vorrei diventare l'angelo custo-de di queste donne e dire loro cheuna via d'uscita c'è.FORSE ALLA FINE DI QUESTA TRISTESTORIA QUALCUNO TROVERÀ ILCORAGGIO(Sally di Vasco Rossi – 1996)

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RicordareMaria Incoronata Ramella,vittima del caporalato in Puglia

Quello di Maria non sia solo unnome nella lunga lista delle mortiinvisibili. Per questo stiamoraccontando la sua storia, per farlavivere nel ricordo e nei nostricomportamenti, nella richiesta digiustizia sociale e di legalità,sempre e per tutti.Il caporale è appoggiato al cofanodel furgone e fuma con aria rilas-sata: ci sta aspettando. Butta aterra la sigaretta, sputa e ci vieneincontro con passo fermo e sicuro,passando velocemente lo sguardosu noi lavoratori, come se nonvalessimo nulla, non fossimonessuno. Eppure siamo noi che,ogni giorno, ci bruciamo la pellelavorando nei campi. Si toglie gli

o c c h i a l i d a s o l e , i n u t i l inell'oscurità che precede l'alba, epretende che gli cediamo il guada-gno delle nostre fatiche. “Quantisono?” Chiede l'uomo. Rispondel 'aut i s ta , da d ie t ro d i no i .Diciannove dice. La sua voce èstridula, e interrompe la pacedell'alba.Il caporale apre le porte delfurgone. Ci mettiamo in fi laindiana, come ogni mattina, e unaper una tiriamo fuori i soldi dalletasche e glieli diamo. È il mioturno. L'uomo mi strappa i soldidalla mano, e mentre sto entrandomi prende per un braccio e miavvicina la bocca all'orecchio. “Civediamo dopo, Maria” sussurraghignando. Abbasso lo sguardo einspi ro profondamente perprepararmi al claustrofobicoviaggio che mi aspetta.

MariaIncoronataRamella24 aprile 1998Cerignola (FG)

Classe II A Liceo classico “Manzoni”Milano

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AIUTACI A DAREUN VOLTO AMARIA INCORONATA

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Per ultima entra Incoronata. Leguardo il viso: ha la pelle stanca, gliocchi infossati, i capelli crespi.L'unica vita che riesco a trovare, inlei, è nella manciata di lentigginisopra il suo naso, forse nel suosguardo triste. La guardo negliocchi e per un secondo mi sembradi essere davanti a uno specchio.Ci assomigliamo tutte qui; ognunadi noi ha molti sogni nascosti chenon verranno mai raccontatiperché, nella nostra situazione,s e m b r e r e b b e r o r i d i c o l i .Impossibili. Avrei voluto trovare unimpiego decente e ora non riesconemmeno a sperare e non ho iltempo nemmeno di pensare, devosempre difendermi e stare all'erta.Qui ci vogliono umiliate e suddite,disposte a tutto e da questodipende che il giorno dopo ciriprendano nel furgono e ci riporti-no a faticare come schiave, ridottea merce che si utilizza giorno pergiorno, fino a che non sei spremu-ta, fino alla fine.Non riesco a respirare; la sporcizia,il sudore, la polvere che vedoattraverso il raggio di luce cheentra dal finestrino, si mischianoall'afa che sta ancora iniziando.Non riesco a vedere fuori e l'aria època, basterebbe a stento per lametà di noi. Sento che mancapoco, che siamo vicini a Cerignola,e non vedo l'ora di respirare ariafresca, anche se so che la giornata

sarà solo all'inizio. Sarà unagiornata come le altre, tutto ilgiorno a preparare e inscatolare, aritmi forsennati, per pochi euroall'ora, senza contributi e bustapaga, senza potere mai fermarsi evergognandosi se, per caso, devinecessariamente andare in bagno.Il furgone sobbalza. Incoronata mistringe la mano forte, e sento i suoicalli contro il mio palmo. La suaspalla sfrega contro la mia, pellecontro pelle, ossa contro ossa;fuori vedo alzarsi una nuvola dipolvere, polvere di strada sterrata,polvere di campagna sconfinata esenza via d'uscita. L'autistabestemmia, il furgone sobbalza dinuovo, questa volta con piùviolenza.All'improvviso tutto gira. L'aria èsempre meno, mi sento sempre piùschiacciata in mezzo a tutti questicorpi esausti, c'è buio; il furgone siè ribaltato. Qualcuno piange,qualcuno grida, qualcuno pregama io sono bloccata e non respiro,non ho spazio, tutto rallenta.Chiudo gli occhi e vedo solo il suoviso e per l'ultima volta lo sentovicino.Il 24 aprile 1998 un furgone, la cuicapienza massima era di 10 perso-ne, stracolmo di braccianti, esce distrada a Cerignola nel Foggiano,t o g l i e n d o l a v i t a a M a r i aIncoronata Ramella e a IncoronataSollazzo, uniche due vittime tra le

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19 lavoratrici presenti sul veicolo.Maria aveva 25 anni ed era sposatada pochi mesi. Il caporalato è unsistema informale - e illegale - diorganizzazione del lavoro agricolosvolto da braccianti inseriti ingruppi di lavoratori. Il caporalesvolge la funzione di intermediariotra il proprietario terriero e i

braccianti, pretendendo unapercentuale del guadagno di ognilavoratore. Ancora oggi, vent'annidopo, non è cambiato il sistema,ma solo la provenienza dei lavora-tori, prevalentemente stranieri.

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Gelsomina Verde

Stavo uscendo proprio in quelmomento dalla pelletteria ementre mi dirigevo alla mia autoriflettei su molte cose, tra cui miofratello. Di come era ferito dallemie parole, quando insieme a miopadre lo andammo a trovare inprigione. Entrai nell'auto, ma miparalizzai quando vidi che dueocchi mi osservavano da sopra unapistola che puntava alla mia testa. Imiei ricordi su come arrivai poi inque l la s tanza erano vagh i .L'ambiente circostante era offu-scato, i rumori ovattati e facevomolta fatica a respirare. Sapevoche mi avevano appena picchiatoselvaggiamente, solo per avereinformazioni che non gli avreiriferito e di cui non ero a conoscen-za. Sentivo sempre le stesse voci,

quelle che mi avevano semprefatto domande sul mio ex fidanza-to e che mi ripetevano tutt'ora, manon feci neanche un nome, nem-meno un sospiro, nulla.Questo perchè sapevo cosasarebbe successo se gli avessirivelato la loro identità e mi sareisporcata le mani di sangue altruidiventando una loro complice.Poco dopo, un dolore allucinantemi martellava l'addome, successi-vamente… il torace e la schiena infiamme. Tenevo gli occhi chiusisolo per non incoraggiarli veden-domi piangere.Non molto tempo dopo, riuscii asentire nitidamente l'ultimo sparo,che si riversò nel mio corpo.Fu straziante ma allo stesso tempopiacevole, mi sentivo leggera,morta ma viva più che mai. Erafinita e avevo subito tutto questo

GelsominaVerde21 novembre 2004Napoli

Classe III C Istituto Comprensivo “D. Alighieri”Salzano (VE)

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ingiustamente. Per la prima voltavedevo il mondo camorristico cosìcom'era: un mondo di ghiaccio e diemozioni represse nel dolore enascoste dietro ai soldi e al potere.Ripensavo per l'ultima volta allamia vita, ai miei genitori e al miocaro diario. La mia cara Kelly...l'unica a sapere tutto di me. Chefine farà il mio piccolo scrigno? Chilo leggerà mai e lo custodirà contanto amore quanto me?Addio papà, addio mamma e addioFrancesco e in un battito di cigliami ritrovai nel buio per sempre.Sono Anna, una cara amica di Mina.Sono molto addolorata perchéMina non c'è più. Quando horitrovato il suo diario non ho avutoil coraggio di leggerlo, perché ognivolta che lo vedevo sentivo ilmagone in gola e una calda lacrimam i s co r reva s u l la gu a n c i a .Desidero però conoscere le sueemozioni, provo a leggerlo.

28 settembre 2004“Cara Kelly,A mio fratello voglio bene ma il suomodo di vivere è sbagliato e lepersone in città non si fidano di lui.Per Francesco nascere in questacittà ha significato vedere unmondo senza futuro, senza spe-ranza e l'unica possibilità perandare avanti era la malavita.

Come sai oggi sono andata a lavoronella solita pelletteria e nonvedevo l'ora di andare nel pome-riggio da alcuni ragazzi per fargliripetizioni, portargli generi ali-mentari e aiutarli.Poter dare alle persone un pò difelicità è ciò che mi manda avanti,quello che mi stimola a continuarea fare quello che faccio”

7 ottobre 2004“Cara Kelly,il clan si è diviso. Ora si cercano avicenda. Cercano anche il mio ex-ragazzo. Ricordi? Te ne avevoparlato tempo fa, siamo statiassieme un anno, ma ha fatto unascelta che non approvavo, si èunito alla Camorra. Gli ho detto cheavrebbe dovuto scegliere tra me eil crimine, così ci siamo lasciati.Francesco è preoccupato che misucceda qualcosa, ma io non hopaura. Non sono cose che miriguardano, loro sanno quello chefaccio, sanno che aiuto la gentepovera di Scampia. Io non c'entronulla con queste faccende”.Ho gli occhi rossi dal pianto e lavista ancora annebbiata, le guancebagnate dalle mie lacrime amare epiene di tristezza.Non ci sono parole per dire comemi sento, dolore, rabbia... sono unuragano di emozioni.Kelly e Mina devono sapere il finale

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della storia. È rimasta una solapagina in quel diario, sembra siastata lasciata vuota perché, dellastoria, io ne scrivessi la fine, quindimi faccio coraggio e nonostante lamano tremante, voglio dedicarlel'ultima pagina del diario.21 marzo 2005“Cara Kelly e Cara Mina,dopo la tua morte la tua famigliaha deciso di seguire la strada cheavevi intrapreso e aiuta le persone,proprio come te.Collabora con l'Anti-Camorra perfar vedere ai ragazzi un'altrapossibilità, la libertà di poter

scegliere, di non dover seguire lamassa ma essere accettati perquello che sono.E saresti fiera di tuo fratello,Francesco. È cambiato radicalmen-te e come speravi tu ha cambiato ilsuo modo di vivere ed è contentodi far parte della giustizia .Grazie che sei esistita, che esisti eche esisterai nella vita, non solomia, ma di tutti. Grazie del tuocoraggio che ha significato moltoper noi, cambiando noi stessi e ilnostro futuro”.

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«Io vivo la mia vita e scrivodi ciò che vedo»

Cap. 1 Il prezzo della verità

A volte la gente pagacon la propria vitaper dire qualcosaad alta voce.

7 ottobre del 2006.Erano circa le sei del pomeriggio eil crepuscolo scendeva in silenziosu Mosca, come un falco quando èa caccia di selvaggina.Anna Politkovskaja era particolar-mente stanca quella sera dopo unagiornata di lavoro presso la NovajaGazeta.Grandi nuvole grigie offuscavano ilcielo e un forte vento facevatremare i lampioni.La giornalista era appena stata al

supermercato e, come era suaabitudine, aveva comprato tuttol'occorrente per la settimanasuccessiva.Parcheggiò l'automobile a pochimetri dal portone di casa, presedue delle quattro buste, aprì ilportone e sgattaiolò dentro, comea cercare una protezione. Daquando si era svegliata quellamattina, infatti, avvertiva dentro disé una strana inquietudine, quasi ilpresent imento che potesseaccadere qualcosa di grave.Chiamò l'ascensore, la schienapiegata dalla fatica.Dopo una lunga attesa, finalmentearrivò e Anna si trascinò dentro.Arrivata al piano, infilò le chiavinella toppa e, come di consueto,sentì dietro la porta il rasparefestoso di Van Gogh, il suo amico aquattro zampe, con le orecchie

AnnaPolitkovskaja7 ottobre 2006Mosca

Classe III N Istituto Comprensivo “Santi Savarino”

Roma

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grandi e gli occhi malinconici. Aprìla porta, a fatica raggiunse lacucina dove posò le buste e subitouscì di nuovo per andare a prende-re la spesa rimasta in auto. Mentrel'ascensore raggiungeva il suopiano, il rumore del portone, chesbatteva al piano terra, la fecetrasalire. Subito pensò che fosserientrato qualche vicino. Un po' lepesava perché avrebbe dovutointrattenersi in chiacchiere e leinon vedeva l'ora di tornare a casa,mettersi comoda, riposare un pò epoi tornare al suo articolo sulletorture in Cecenia, compiute dagliuomini di Kadyrov ai danni diprigionieri e presunti guerrigliericeceni, del quale il giorno primaaveva parlato durante una trasmis-sione di radio Svoboda.Intanto l'ascensore era arrivato.Anna entrò e premette il pulsantedel piano terra. I numeri suldisplay cominciarono ad accen-dersi: cinque, quattro, tre… Anna sipulì gli occhiali appannati dallatroppa umidità, due, uno… Unboato, un tuono, era iniziato adiluviare.Le porte si aprirono e nel buioun'ombra si profilò di fronte a lei.Ci fu un rapido sguardo, poi Bang!Bang! Cinque colpi di pistolasparati in rapida successione,l'ultimo alla testa per avere lacertezza della morte, per evitare

che Anna potesse sopravvivere,ricordare, denunciare.

Cap. 2 La sporca guerra

La mia vita?Penso che la Cecenia,tutto quel che è successo,quel che ho vistomi abbiano resopiù saggia, migliore.

Dicembre 2005.Quella mattina faceva moltofreddo. Anna era entrata a Avtury,un villaggio ceceno bombardatoqualche anno prima, durante las e c o n d a t e r r i b i l e g u e r r a .Camminava per le strade desertedove non riecheggiavano le vociallegre dei bambini o il brusioconfuso degli adulti. Solo il vuoto.E nel silenzio che sapeva di morte,dentro di lei prendevano formaricordi e pensieri angosciosi.Io vivo la mia vita e scrivo di ciò chevedo. – Pensava Anna.Ma quello che aveva visto finora inCecenia, una terra martoriata dauna delle più sanguinose quantodimenticate guerre contempora-nee, erano solo città e villaggibombardati, civili innocenti uccisi,interi villaggi deserti di uominigiovani, portati via dai militari perun controllo e mai più ritornati,donne violentate e per questo

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emarginate dalla loro comunitàche poi si votavano alla morte ediventavano assassine, madriorfane dei loro figli, orfani mutilatie resi invalidi per sempre.E la situazione non era cambiataneanche dopo che, nella primave-ra del 2000, l'esercito russo avevaristabilito il controllo sulla regioneribelle e imposto una classedirigente compiacente. A quelpunto, il conflitto era entrato inuna nuova fase non meno cruentadella precedente: gruppi di guerri-glieri indipendentisti, divisi traloro, avevano iniziato a lottare nelnome di Allah, compiendo atti diinaudita violenza e scatenando lareazione delle forze russo-cecenecontro la popolazione civile,ritenuta responsabile di protegge-re i guerriglieri e solidarizzare conloro. Poco importava che la gentenon approvasse, che aspirasse allapace. In gioco c'erano interessimolto più grandi: il controllo deitraffici, leciti e illeciti, che avevanocome punto di snodo proprio laCecenia. Il gas, il petrolio, le armi ela droga.Di fronte a un orrore così grande,lei aveva deciso di non rimanereindifferente, di praticare l'unicogiornalismo che riteneva possibilein quelle circostanze, un giornali-smo militante, che avesse ilcoraggio di schierarsi dalla parte

della ragione, della verità e dellapietà e di sfidare la censuraimposta dal nuovo padrone dellaConfederazione russa, VladimirPutin.E la ragione, per Anna, era dallaparte della popolazione civile,delle vittime innocenti di unaguerra, sporca come tutte leguerre. Per tanti anni aveva vissutoa contatto con loro, aveva ascolta-to le loro storie, condiviso la lorodisperazione, correndo anchegravissimi rischi. Della gentecomune, dei soprusi dei soldatirussi e delle violenze dei guerri-glieri ceceni, aveva scritto sullaNovaja Gazeta, guadagnandostima e fiducia, ma facendolievitare il numero di coloro che ladetestavano e la volevano morta.Ma scrivere non era abbastanza: ilsuo giornalismo militante nonpoteva accontentarsi di raccontarestorie. Anna avvertiva la necessitàdi ricoprire un ruolo attivo, nonsolo affiancando le madri e lemogli degli scomparsi e degliuccisi nelle battaglie legali perottenere giustizia, ma anchecercando di mediare tra le parti inlotta, di salvare il maggior numerodi vite umane, come aveva tentatodi fare nella crisi del teatroDubrovak e nella scuola di Beslan,dove le avevano impedito diarrivare ricorrendo al più subdolo

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degli stratagemmi.

Cap. 3 Il commiato

Sono una reietta.È questo il risultato principaledel mio lavoro di giornalistain Cecenia.

Tre giorni dopo la tragica morte,furono celebrati i funerali di Anna.Intorno al feretro sommerso difiori, si erano radunate circaduemila persone, volti anonimi,per lo più di donne. Forse le madridi Beslan o quelle cecene o deisoldati russi. Una folla composta,silenziosa, triste. Molti piangeva-no.Inutile sarebbe stato cercare in

quella folla qualche personaggiopubblico: non un rappresentantedel governo russo, non un rappre-sentante delle istituzioni europee.Putin, che si trovava a Dresda,ospite della Cancelliera, signoraMerkel, dichiarò che la giornalistaassassinata «aveva un'influenzaminima sulla vita politica russa» ein questo modo pensò di averarchiviato la faccenda. Ma la realtàlo ha clamorosamente smentito: lavita coraggiosa di Anna è ancoraoggi ricordata in tutto il mondo, apartire dal prestigioso premiogiornalistico a lei dedicato, fino adarrivare a Roma, la nostra città,dove il suo nome spicca indelebiletra i viali di villa Pamphilj.

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Dall'altra parte della cornetta isinghiozzi di mia figlia si fannosempre più forti e tutto questo ècolpa mia. So che la stanno facendopiangere solo per convincermi atornare a “casa”. Ma per me quello èil termine meno adatto per definirele quattro mura che mi hannotenuta prigioniera per anni. Appenaarrivata sotto protezione a Genovami ero promessa che non avrei maipiù ceduto ai loro ricatti, sicura diaver chiuso con la mia famiglia. Einvece eccomi di nuovo qua, troppodebole perché io a differenza lorotengo ai miei figli.Le grida si fanno più forti e io con lelacrime agli occhi non riesco asopportare un minuto di più. Ancorauna volta hanno vinto loro, maqualsiasi mia sofferenza è preferibi-le a quelle che potrebbero arrecareai miei bambini. Così mi ritrovo aviaggiare a fianco di mia madre e di

mio fratello verso la città che hotanto odiato, che mi ha privato ditutto: l'innocenza, la dignità, lafamiglia, la libertà. L'unico confortoè il pensiero di riabbracciare i mieifigli dopo tanto tempo, il calore deiloro corpicini che mi stringono e leloro risa spensierate. Ma a qualeprezzo? Per una famiglia di 'ndran-gheta prima di tutto vengonol'onore e il rispetto. Io però hoinfangato la loro reputazione e perquesto dovrò pagare, non sono cosìingenua da credere che lascerannopassare, loro non dimenticano. Li hodenunciati, ho raccontato tutte lecrudeltà consumate nella realtà incui ero costretta a vivere perchésolo la verità mi avrebbe resa libera.Era proprio questo ciò a cui aspira-vo, ciò che mi è sempre stato negato.La fuitina che a tredici anni mipareva sapere di libertà e indipen-denza, non era altro che la mia

MariaConcettaCacciola20 agosto 2011Rosarno (RC)

Classe III C ITT “Marco Polo”

Firenze

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condanna a una vita di infelicità esolitudine. Quell'uomo non era ilmarito che sognavo, non mi amavaaffatto; ai suoi occhi ero solo unmezzo per entrare nel circolo della'ndrangheta. Le sue violenzeandarono ad aggiungersi a quelle dimio padre e di mio fratello; ricordoancora vividamente il giorno in cuidopo una sciocca lite decise dimettermi a tacere puntandomicontro una pistola. A pensarcirivedo l'arma di ferro dritta davantiai miei occhi, le mani che tremano eil terrore che mi immobilizza. Aniente sono servite le richiested'aiuto rivolte a mio padre, l'unicarisposta ottenuta è stata «questo èil tuo matrimonio e te lo tieni pertutta la vita». Ma la parte peggiore èarrivata solo più tardi con l'arrestodi mio marito. Una volta che lui nonpoteva più tenermi sotto controlloper impedire che infangassi il nomedella famiglia, se ne sono occupatimio padre e mio fratello, decidendodi isolarmi e impedendomi i contatticon chiunque tranne che con loro.Una realtà opprimente, dove non milasciavano nemmeno respirare.Avevo paura ma se volevo vivere unavita degna di essere chiamata tale,l'unica via era cogliere ogni minimaopportunità e parlare. Sono conten-ta di non aver esitato. L'unico miorimpianto è non essere riuscita aportare i miei figli con me. Potevamoessere salvi, al sicuro e lontani daquesto incubo infinito che continua

a perseguitarmi, non importaquanto io desideri fuggire. Potevoessere ovunque e invece sonoseduta in una macchina direttaall'inferno. Guardo fuori dal finestri-no gli scenari che scivolano viainsieme alla mia libertà, ogni istanteche passa sono sempre più vicina aun ignoto destino che accresce ilmio timore. Ma sono una madre efarei qualsiasi cosa per proteggere imiei figli, compreso rischiare la miastessa pelle. Perché è proprioquesto che temo, non credo allafarsa della mia famiglia che miripete di non preoccuparmi, bastache io mi rechi da un avvocato perritrattare e mi perdoneranno.Appena arrivata mi rinchiuderannodi nuovo, ma questa volta la prigio-nia sarà ancora peggiore e non so seavrò un'altra possibilità che mipermetta di scappare. Sarò al puntodi partenza, ogni passo fatto verso lafelicità verrà cancellato. Questaconsapevolezza però non riuscirà afarmi arrendere. Focalizzo nellamente i volti dei miei figli per farmicoraggio. No, devo continuare alottare per loro perché abbiano unavita migliore di quella che ho avutoio. Sono giovani e meritano di fare lescelte che desiderano, senza paurae senza le rigide imposizioni chesono spettate a me. Continuo afantasticare sulle loro immagini.Qualsiasi cosa accada, se mi per-metterà di tenerli al sicuro, ne saràvalsa la pena.

157Maria Concetta Cacciola

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