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L L e e r r a a d d i i c c i i D D a a l l l l a a P P e e s s a a c c h h a a l l l l a a M M e e s s s s a a L L u u c c i i a a n n o o F F o o l l p p i i n n i i Edizione Kairòs Centro culturale Decanato di Besozzo aderente al Progetto Culturale della Cei Gavirate - agosto 2012

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Edizione Kairòs Centro culturale Decanato di Besozzo

aderente al Progetto Culturale della Cei

Gavirate - agosto 2012

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Dalla Pesach alla Messa

La collana

Questa collana di libri digitali edita da Kairòs, Centro Culturale del Decanato di Be-sozzo, nasce per aiutare a conoscere meglio le radici della fede che ha determinato la cultura occidentale, soprattutto per le sue verità meno conosciute o date per scontate, con un linguaggio comprensibile a tutti.

Ci sono domande a cui molti fedeli non sanno rispondere o rispondono in modo im-proprio, facendo nascere il sospetto che la loro fede sia in realtà un castello fumoso di credenze accettate senza spirito critico o frutto di superstizione. Senza conoscen-za la fede è debole e non consente al credente di testimoniarla in ogni momento della sua vita.

Ma anche chi non crede può qui trovare delle risposte che potrebbero fargli abban-donare i preconcetti per sostituirli con critiche ragionevoli.

Ogni libro di questa collana tratta un argomento cercando di evitare argomentazioni teologiche e religiose, per avvicinarsi il più possibile al racconto, includendo anche alcuni aspetti leggendari che possono migliorarne la lettura e la comprensione. Per ogni argomento si è cercato di risalire alle origini e di cercare poi di ricostruirne l’evoluzione attraverso i secoli cercando di evitare le opinioni per limitarsi ai fatti. Ci sono anche riferimenti ad altre fedi quando questo può far meglio conoscere le ori-gini, l’importanza e il significato dell’argomento oggetto del racconto.

In quasi tutti i testi sono state inserite anche molte immagini per cercare di rendere più piacevole e completa la lettura con la speranza di fornire spunti per una ricerca personale più approfondita.

Alla collana possono essere proposti anche testi digitali di altri autori, anche se già stampati, purché rispettino lo spirito e lo stile della collana.

Per ogni ulteriore informazione di può contattare il Centro Culturale Kairòs al se-guente indirizzo: [email protected]

Luciano Folpini

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Dalla Pesach alla Messa

Indice

Dalla Pesach alla Messa.............................................................................................. 1

1 Introduzione....................................................................................................... 1

La storia rivissuta ....................................................................................................... 2

2 Dal tempio alla Sinagoga .................................................................................... 2

3 La sinagoga e la liturgia ...................................................................................... 3

4 Riti di offerta e sacrificio..................................................................................... 5

4.1 Le storie di Erodoto ...................................................................................... 7

4.2 I sacrifici umani ............................................................................................. 7

5 Le origini del culto del popolo ebraico................................................................ 8

5.1 L’istituzione dell’alleanza tra Dio e Israele .................................................... 9

5.2 Rituali di offerta e sacrificio .......................................................................... 9

5.3 Confessione e capro espiatorio................................................................... 10

5.4 Il sabato ebraico e il riposo ......................................................................... 10

5.5 Celebrazione delle feste ebraiche ............................................................... 11

5.6 Pesach (Pasqua ebraica) ............................................................................. 13

5.7 Le benedizioni di Pesach ............................................................................. 14

5.8 Il calendario ebraico ................................................................................... 15

5.9 Il calendario occidentale ............................................................................. 15

6 Il cristianesimo e l’eredità ebraica.................................................................... 16

6.1 L’insegnamento di Gesù.............................................................................. 16

6.2 L’Ultima Cena ............................................................................................. 17

6.3 Pasti e usanze ............................................................................................. 19

6.4 L’eredità di Pietro ....................................................................................... 19

6.5 La nuova liturgia ......................................................................................... 21

7 Le basi del cristianesimo................................................................................... 21

7.1 I sacramenti ................................................................................................ 23

7.2 Eucaristia e Messa ...................................................................................... 24

7.3 L’Agape....................................................................................................... 26

7.4 L’ascolto della Parola .................................................................................. 29

8 I riti della chiesa cattolica ................................................................................. 29

8.1 La liturgia dopo le persecuzioni .................................................................. 29

8.2 La nascita della liturgia latina...................................................................... 30

8.3 La liturgia nel primo medioevo ................................................................... 32

8.4 Gli sviluppi della liturgia.............................................................................. 33

8.5 Il canto religioso ......................................................................................... 34

8.6 Campanile................................................................................................... 37

8.7 Eucarestia, campane e campanelli .............................................................. 38

8.8 Rito Romano ............................................................................................... 39

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8.9 Rito Gallicano.............................................................................................. 40

8.10 Rito Ambrosiano...................................................................................... 41

8.11 Rito Mozarabico ...................................................................................... 42

8.12 Rito Lionese............................................................................................. 42

8.13 Rito Braghese .......................................................................................... 43

8.14 Rito Bizantino .......................................................................................... 43

8.15 Rito Alessandrino .................................................................................... 44

8.15.1 Rito copto ......................................................................................... 44

8.15.2 Rito etiopico ..................................................................................... 44

8.16 Rito Caldeo .............................................................................................. 44

8.17 Rito Armeno ............................................................................................ 45

9 Messa tridentina .............................................................................................. 46

10 La Messa attuale .............................................................................................. 46

10.1 Riti d'ingresso .......................................................................................... 47

10.2 Liturgia della parola................................................................................. 47

10.3 Liturgia eucaristica .................................................................................. 47

10.3.1 Preghiera eucaristica ........................................................................ 47

10.3.2 Riti della comunione ......................................................................... 48

10.4 Riti di congedo......................................................................................... 48

11 Dalla Messa tridentina al Vaticano II ................................................................ 48

12 Comunione spirituale ....................................................................................... 51

13 I miracoli eucaristici.......................................................................................... 51

14 Chiesa Ortodossa ed Eucarestia ....................................................................... 52

15 Chiese protestanti ed Eucaristia ....................................................................... 53

16 Conclusione...................................................................................................... 57

17 Bibliografia ....................................................................................................... 58

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Dalla Pesach alla Messa

1 Introduzione

L’invenzione della settimana fatta dalla piccola nazione ebraica, con un giorno di ri-poso assoluto per uomini e animali e dedicato alla festa e alla riflessione, ha cambia-to il corso della storia soprattutto dell’occidente, così come l’avere tenacemente di-feso per secoli l’unicità di Dio, con l’unificazione dei sacrifici e dei culti prima dispersi in numerosi templi.

Poi il cristianesimo ha continuato questo stile di vita e ha valorizzato la festa con la Messa domenicale che ha unificato tutti i culti e i sacrifici, e ha trasformato il riposo nell’astensione dal lavoro ma soprattutto dalla preoccupazione del denaro.

Conoscere la Messa vuol dire scoprire la gioia di stare insieme dei primi cristiani nel primo giorno della settimana, e aiuta a comprendere il significato della festa e a va-lorizzarla come fonte cui assetarsi ogni giorno.

Ma la sua conoscenza passa dallo studio delle sue radici ebraiche in particolare della Pesach, la Pasqua ebraica con i suoi riti domestici che fanno capire come un popolo non può sentirsi tale se la famiglia non è capace di sentirsi famiglia.

Solo allora si riuscirà a capire che gli atti di culto non sono gesti formali ma momenti in cui si fa rivivere la storia con le sue emozioni per conoscere il cammino che a o-gnuno resta da compiere.

Per gli ebrei la storia da rivivere è quella dell’Antica Alleanza dall’uscita dall’Egitto, col passaggio del mar Rosso e l’arrivo nella Terra Promessa dove sarebbe nato il Messia. Per i cristiani è invece rivivere l’emozione di chi incontrava Gesù e ascoltava la sua parola, ma soprattutto è partecipare con lui all’Ultima Cena e comprendere il senso della sua venuta, del suo sacrificio, della sua Resurrezione, per vivere la Nuova Alleanza aperta a tutti i popoli senza alcune distinzione.

Rivivere queste emozioni non può essere un’esperienza solitaria, ma è occasione, in primo luogo della famiglia, per riproporre quei gesti di fratellanza e condivisione che caratterizzavano la vita dei primi cristiani e ancor oggi sono riproposti in molte famiglie ebraiche.

Allora, in questi momenti di precarietà dove tutto è mobile e precario, avere come appuntamento fisso il pranzo domenicale che inizia solennemente con una breve preghiera di ringraziamento non è solo un fatto religioso ma anche segno d’identità di una piccola comunità che riscopre il piacere di stare insieme e sperimenta la vo-glia di affrontare insieme le difficoltà e ha anche occasione di ricaricare le batterie per ripartire.

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La storia rivissuta

Il far rivivere la propria storia attraverso cerimonie, liturgia e feste, strettamente col-legate tra loro, permette ancor oggi al popolo ebraico di camminare unito verso un’unica meta: l’arrivo del Messia, che redimerà Israele e introdurrà una nuova era di pace, di felicità, di bontà fra gli uomini di tutta la terra. Questo regno messianico arriverà alla fine dei giorni ma da sempre ispira il cammino verso la perfezione che si raggiungerà alla sua venuta.

Nei precetti della Bibbia si ricorda che l’oblio è il peccato da cui discendono tutti gli altri peccati e la maledizione, più terribile per un uomo, consiste nella perdita di ogni suo ricordo.

Ricorda queste cose o Giacobbe, perché tu, o Israele sei il mio servo; o Israele, non dimenticarmi mai (Isaia, 44,21).

Un ebreo senza memoria non è più un ebreo e la memoria trasmessa tramite i libri sacri soprattutto: la Torah scritta (Tanakh) ossia la Legge o Pentateuco, Torah orale, gli altri libri della Bibbia, messi per iscritto successivamente, e da Talmud e Midrash, ossia i commenti e le interpretazioni dei libri sacri. Essi contengono l’insegnamento, condiviso e celebrato in liturgie e rituali anche familiari, che ha permesso al popolo di sopravvivere ai tanti tentativi di suo stermino.

2 Dal Tempio alla Sinagoga

Prima che Salomone inaugurasse a Gerusalemme nell'826 a.C. il primo Tempio, esi-stevano antichi centri minori di culto e santuari che progressivamente furono ab-bandonati, secon-do l’insegnamento di Mosè, per l’accentrare ogni culto nell’unico Tempio ed evitare il pericolo d’idolatria. Da quel momento il Tem-pio diventò l’unico luogo, dove gli e-brei poterono ce-lebrare i sacrifici, e dove tutti si dove-vano recare in pel-legrinaggio almeno una volta l’anno.

Nel Tempio si offri- Figura 1 - Antico altare dei sacrifici

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vano sacrifici di animali da parte di Sacerdoti e Leviti, secondo riti regolati con preci-sione in due momenti quotidiani di preghiera e sacrificio, uno il mattino e l’altro al pomeriggio. Nei giorni festivi era inoltre prescritto un sacrificio e una preghiera ag-giuntivi (Musàf) e inoltre una preghiera serale (‘Arvìth).

Quando i babilonesi nel 586 a.C. deportarono il popolo ebreo e distrussero il tempio, gli ebrei impossibilitati a fare sacrifici cruenti, istituirono luoghi di riunione per lo studio della Parola di Dio, non ancora diventata Bibbia, e per la preghiera. Questi luoghi diedero vita alla Sinagoga, una innovazione importante nella vita religiosa, poiché permetteva di assistere in un unico luogo a tutti i riti prima sparpagliati nei templi di vari dei.

Poi nel 515 a.C., dopo il ritorno dall’esilio, il Tempio fu ricostruito. Ristrutturazioni e ampliamenti furono poi fatti anche nel 164 a.C. da parte di Giuda Maccabeo, e poi da Erode dal 19 a.C. al 64 d.C.

La sua distruzione definitiva risale al 70 d.C. per mano dei romani di Tito quando gli ebrei dopo l’insurrezione fallita furono costretti alla fuga dando luogo alla Diaspora e alla fine dei sacrifici.

Gli ebrei sinora non hanno voluto ricostruire il Tempio perché, secondo alcune pro-fezie, questo dovrà avvenire solo alla venuta del Messia nello stesso luogo dove era stato eretto l'antico Tempio di Gerusalemme, e pregano per la sua ricostruzione come facevano i loro antenati al tempo del Profeta Daniele durante l'esilio in Babi-lonia (Dan. 9,17). Ancor oggi gli Ebrei Ortodossi recitano quotidianamente tre volte il giorno le parole:

Possa essere la Tua volontà che il Tempio venga ricostruito al più presto nel nostro tempo.

Sono passati quasi 2000 anni, diverse persone pensano che questa preghiera abbia un significato simbolico mentre i sondaggi rivelano che aumentano sempre più gli I-sraeliani che pensano che sia giunto il momento di ricostruirlo. Nel 1989 erano il 18%, nel 1996 erano passati al 58% e al 64% nel 2009.

3 La sinagoga e la liturgia

La comparsa delle sinagoghe porta al centro del culto lo studio della Legge e dimi-nuisce l’importanza dei sacrifici. Agli ebrei era proibito vivere in una città dove non c'erano sinagoghe che potevano anche essere usate dai viaggiatori come alberghi.

Il nome Sinagoga deriva dal greco e significa assemblea. In ebraico è chiamata Beit

Knesset, ossia casa di riunione. È il cuore della comunità ebraica dove si svolgono:

• il culto e la preghiera, spesso cantata

• lo studio della religione

• riunioni ed incontri

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e può essere anche centro di cultura, biblioteca e sede per l’assistenza.

Ogni sinagoga è costruita in direzione di Gerusalemme, con un armadio a muro con-tenente i rotoli della Torah, l’Arca, nascosta spesso da una tenda che si apre solo du-rante le celebrazioni. Sopra l’arca di solito c’è una lampada sempre accesa chiamata

Figura 2 - La sinagoga di Biella

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Ner Tamid, che ricorda la menorah che ardeva perennemente nel Tempio di Gerusa-lemme, spesso con un’immagine delle Tavole dei Dieci Comandamenti. Al centro è collocata una piattaforma rialzata detta bimah dalla quale si leggono la Torah e le preghiere, e si può anche predicare.

Nelle sinagoghe non ci sono immagini umane o di divinità. In quelle tradiziona-li, dove non si usano strumenti musicali, gli uomini portano il capo coperto dalla kippah o da un altro cappellino e prega-no in ambienti separati da quelli delle donne, mentre nelle sinagoghe riforma-te, dove è ammesso l’organo, pregano insieme.

Con la distruzione definitiva del Tempio, la sinagoga divenne il luogo di culto per eccellenza e, scomparsi i sacrifici, scom-parvero anche i sacerdoti e leviti, sosti-tuiti dai rabbini e maestri, laici non di stirpe sacerdotale.

I sacrifici sono stati sostituiti dalle pre-ghiere prese dall’antico culto, come a-veva prefigurato Osea (14,3): "Le nostre

labbra sostituiranno i tori".

Ora è diventata centrale la lettura del testo del Pentateuco, che diviso in sezioni settimanali è letto completamente in cicli annuali o triennali.

Tra le liturgie della Sinagoga non sempre figura la celebrazione dei matrimoni, svolta soltanto in alcune comunità, e mai quelle dei defunti considerati impuri e quindi non degni di entrare in luoghi consacrati. Inoltre un’ampia e non meno importante parte della liturgia, si svolge entro le mura domestiche.

4 Riti di offerta e sacrificio

Sin dai tempi antichi gli uomini: per catturare la benevolenza delle divinità, essere protetti e vedere esaudite le proprie preghiere, hanno offerto primizie dei loro rac-colti, le migliori prede della loro caccia e giovani animali. In alcuni casi si arrivò anche ai sacrifici umani. Il sacrificio porta il sacro nel mondo e mette in comunicazione con la divinità, facendo diventare sacro ciò che non lo è.

L'ideale dell'uomo religioso, è sacralizzare la vita facendo diventare sacre tutte le at-tività umane e tutte le cose per accedere a una realtà eterna mediante riti analoghi

Figura 3 - La menorah

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a quelli che gli uomini fanno con i potenti della terra, ossia: ricercatezza nel parlare, accuratezza nel vestire, atteggiamento di devozione e sottomissione accompagnata da doni. Ogni rito di offerta avviene normalmente in tre fasi:

• lode e supplica della divinità perché accetti le offerte

• consacrazione delle offerte

• sacrificio e consumazione dell’offerta

Per gli ebrei le offerte erano costituite normalmente da primizie dei campi come cereali, legumi o frutti, oppure da bevande, profumi o animali allevati: ovini, bovini, pic-cioni, quaglie, tortore e polli. L'offerta o oblazione era posta sull’altare ed era sacrificata dai sacerdoti e dai le-viti. Le forme principali di sacrificio erano:

• olocausto: sacrificio di adorazione per eccellenza con la vittima che veniva completamente bruciata

• comunione: di ringraziamento, di preghiera, di a-dempimento di un voto, in cui una parte della vittima era bruciata, una parte andava ai sacerdoti e il resto all'offerente, per essere consumato con parenti, ami-ci e poveri

• espiatorio privato: per colpe, con la vittima, che va-riava secondo la maggiore o minore gravità del delit-to, bruciata fuori dal santuario e destinata solo ai sa-cerdoti

• rituale pubblico: in occasione delle feste con vittime e riti specifici

Il fuoco, da sempre è simbolo universale del Sacro, bruciando le offerte porta il loro profumo del sacrificato verso il Cielo unito alle preghiere degli uomini. Ad esempio per gli indù era il cocchiere degli dèi.

Il sacrificare normalmente simboleggia il pentimento, la richiesta di perdono o la puri-ficazione di: una persona; una comunità; una cosa e un luogo Il sacrificio può anche essere sostituito da atti come: pre-ghiera, digiuno, elemosina, penitenza e pellegrinaggi.

Figura 4 - Sommo sacerdote

Figura 5 - Levita

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4.1 Le storie di Erodoto

Nelle sue storie del V secolo a.C. si legge: «Dirò ora quello che ho saputo dei costumi dei Persiani. Essi non erigono sta-tue, templi e altari agli dèi, perché lo giudicano illecito, e giudicano pazzi quelli che lo fanno. Infatti essi non credono che la divinità abbia forma umana. Salgo-no perciò sui monti più alti a fare sacrifici a Zeus, che concepiscono come l'inte-ra volta celeste. A colui che compie il sacrificio non è lecito pregare solo per se stesso, ma ha il dovere di invocare il bene del re e di tutti i Persiani, ritenendosi parte della comunità. La festa principale per le singole persone è il giorno nata-le che celebrano con un pasto più ricco del solito. I ricchi mettono in tavola un bue, un cavallo, un cammello e un asino arrostiti interi nel forno; i poveri si ac-contentano di animali più piccoli. Subito dopo se stessi, i Persiani invitano i vici-ni, poi i vicini di questi e così via. All'ultimo posto mettono i più lontani. Per loro i vicini sono i migliori, i lontani sono i peggiori.»

«Per gli Egiziani il sacrificio avviene in questo modo: dopo aver ben esaminato il toro, che deve essere tutto bianco, senza un solo pelo nero, conducono l'anima-le presso l'altare dove vogliono fare il sacrificio e accendono il fuoco. Quindi, versano sulla vittima del vino, e invocando la divinità, la sgozzano e ne tagliano la testa. Il corpo dell'animale viene spellato, e dopo aver molto maledetto la te-sta, la portano al mercato (se là ci sono dei commercianti greci che la possono comprare), se no la gettano nel fiume. Maledicono queste teste dicendo che se deve avvenire qualcosa di male o al sacrificante in persona o all'Egitto intero, cada su quella testa. Per quel che riguarda le teste degli animali sacrificati e la libagione del vino, tutti gli Egiziani hanno questi stessi usi in tutti i sacrifici; e da ciò viene che nessun egiziano assaggerebbe la testa di nessun animale esisten-te. Ma l’estrazione delle viscere e la combustione è diversa a seconda dei diversi sacrifici. E dirò, come accade nel culto di quella che è considerata la maggiore delle divinità, e che ha le maggiori solennità religiose. Quando hanno scuoiato il bue, recitano preghiere e vuotano il corpo dagli intestini, lasciandovi i visceri e il grasso, tagliano le gambe, l'estremità della coscia e le spalle e il collo. Fatto questo, il resto del corpo del bue lo riempiono di pani puri e di miele, di uva pas-sa e di fichi e di incenso e di mirra e di altri aromi, e riempitolo così, lo bruciano, versandovi sopra olio in abbondanza. Fanno il sacrificio dopo aver digiunato, e mentre le vittime bruciano, tutti si percuotono. Ma quando hanno finito di per-cuotersi, celebrano un banchetto con quel che avevano messo da parte delle bestie sacrificate.»

4.2 I sacrifici umani

Molti documenti fenici, aramaici, celtici, germanici, greco-romani, aztechi, maya e incas, indiani, parlano di sacrifici umani costituiti da: bambini, prigionieri, persone congiunte di un defunto, a volte sostituite da parti di esse, come i capelli o loro og-getti di uso comune, o da doni anche in denaro.

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Riferisce dei Germani lo scrittore Tacito: «Onorano sopra tutti gli dèi, Mercurio, al quale in giorni stabiliti sacrificano vittime umane. Placano invece Ercole e Marte con offerte di animali permessi. Una parte dei Suebi sacrifica anche a Iside, culto straniero proveniente non si sa bene da dove. Non chiudono gli dèi fra pareti di un tempio né li rappresen-tano in forma umana, cosa che ritengono indegna della grandezza divina. Bo-schi e foreste essi consacrano. Rispettano più che mai gli auspici e i sortilegi».

5 Le origini del culto del popolo ebraico

Nella Bibbia il primo accenno di offerte a Dio si trova nel libro della Genesi quando Caino offre le primizie delle sue coltivazioni e Abele sacrifica a Dio i primogeniti del suo gregge. Sempre nella Genesi si legge che il re sacerdote Melchisedek offrì pane e vino al Signore in favore di Abramo, e Abramo gli offrì la decima di tutto. Si leggo-no anche numerosi altri racconti di sacrifici, importante è quello in cui Dio richiede ad Abramo di sacrificargli il suo unico figlio Isacco, per i cristiani simbolo del sacrifi-cio del Cristo.

Le prime importanti disposizioni per il culto riportate nei libri dell’Esodo e del Deu-

teronomio (seconda legge) furono stabilite da Mosè prima dell’esodo e prima della

Figura 6 - Abramo e Isacco - Caravaggio

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decima piaga della morte dei primogeniti egiziani, e stabilivano che:

• il mese di Abib, che cade tra marzo e aprile e poi chiamato Nisan, grosso modo all’inizio della primavera, diventasse il primo giorno dell’anno

• al decimo giorno ogni famiglia si procurasse un agnello

poi al tramonto del XIV giorno:

• tutti si riunissero in assemblea per sacrificare gli agnelli

• col sangue delle vittime si segnassero gli stipiti delle porte delle proprie case per evitare che l’angelo sterminatore dei primogeniti degli egiziani sterminasse an-che quelli degli ebrei.

• cottura, consumazione e abbigliamento seguissero determinate regole

• si mangiasse solo pane azzimo

• fosse eliminata dalla casa ogni traccia di lievito

• fosse il primo di una festa di sette giorni da celebrare per sempre

• al primo e al settimo ci fosse una riunione sacra

• per sette giorni si mangiasse il pane azzimo, ci si astenesse da ogni attività e si i-struissero alla Legge i figli

questi sono ancor oggi i principali riferimenti per la celebrazione della Pasqua ebrai-ca.

5.1 L’istituzione dell’alleanza tra Dio e Israele

Era convinzione degli ebrei che il sangue contenesse la vita per cui, in ogni sacrificio, lo si raccoglieva in appositi catini per poi benedire l’altare, il popolo e sigillare le al-leanze. Così avvenne al Sinai per l’alleanza dell’Antica Legge quando Mosè sacrificò alcuni giovenchi, richiamò la legge di Dio, e il popolo riaffermò la sua volontà di met-terla in pratica. Quindi Mosè asperse col sangue delle vittime l’altare e il popolo. Il sangue, che è vita, indica che l’alleanza è vitale; sparso sull’altare e sul popolo, signi-fica che tra il popolo e Dio vi è comunione e nella fedeltà all’alleanza, il popolo vive della vita di Dio. Poi istituì sacerdotale la tribù di Levi e primo Sommo Sacerdote, suo fratello Aronne. A quell’epoca l’altare era posto in un santuario mobile che contene-va l’Arca con le tavole della legge, e seguiva gli spostamenti del popolo d’Israele. Le offerte non erano solo sacrifici di animali o offerte di primizie, ma anche oggetti e denaro. Gli artisti offrivano opere per abbellire il santuario.

Poi, per ricordare questo patto, ogni giorno sull’altare si sacrificavano in Olocausto, due agnelli, uno al mattino e uno al tramonto, con circa 3 kg di farina impastata con olio e circa un litro e mezzo di vino. Al sabato, giorno sacro dedicato a Dio, oltre ai sacrifici, alla riflessione e alla preghiera, non si poteva, come si fa ancor oggi, com-piere alcuna attività lavorativa e domestica.

5.2 Rituali di offerta e sacrificio

Le modalità con cui erano scelte, sacrificate e consumate le vittime e le offerte era-no descritte dettagliatamente nel libro del Levitico. Quando si trattava di rito espia-torio, dopo la confessione, il peccatore o il sacerdote, appoggiava la mano sulla te-

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sta dell’animale espiatorio mentre era sacrificato per trasmettergli i suoi peccati. Nel caso di rito di riparazione, prima della confessione si doveva risarcire il danno e pa-gare una specie di multa al tempio.

5.3 Confessione e capro espiatorio

Nel giorno della festa del Kippur, dedicato all’espiazione dei peccati e alla riconcilia-zione con Dio, si confessano i peccati, il viddui, e si osservano i riti di penitenza. Fino alla distruzione del Tempio del 70 d.C., una delle cerimonie più importanti era l'of-ferta del capro espiatorio su cui venivano caricati tutti i peccati del popolo. Il capro veniva poi portato fuori dalle mura di Gerusalemme, dove secondo alcuni veniva precipitato e per altri lasciato morire nel deserto.

Da allora non si fanno più i sacrifici ma sono rimaste le pratiche penitenziali da os-servare dall’inizio del tramonto e sino all'apparire delle prime stelle il giorno succes-sivo, ossia: digiuno, astensione dal bere, lavarsi, truccarsi, in-dossare scarpe di pelle, e avere rapporti sessuali. Inoltre sono richieste buone azioni e termi-nare ogni lite. È anche costume recitare una benedizione dedi-cata ai bambini diventati orfani e offrire doni per le anime dei loro genitori.

Il rito nella sinagoga inizia con una lettura e con preghiere. La confessione deve av-venire riconoscendo espressamente i peccati commessi e avendo l’intenzione di non ripeterli. Per le colpe tra uomo e uomo, si raccomanda che la confessione avvenga in modo diretto e pubblico, mentre privato per quelli tra uomo e Dio non già di domi-nio pubblico. È consigliato: specificare singolarmente ogni peccato dicendo sempli-cemente: Chatàti, ho peccato. Tra i peccati contro i dieci comandamenti sono evi-denziati: infedeltà, superficialità, furto, menzogna, spreco, maldicenza, calunnia, di-sonorare, fare del male, perdere e far perdere tempo, mal consigliare e non riporta-re un saluto di un altro.

Contrariamente al credo popolare, Yom Kippur non è un giorno triste. Gli ebrei Se-farditi di origine spagnola, portoghese o nordafricana chiamano questa festività il Digiuno Bianco e indossano vestiti bianchi, per simboleggiare il candore delle loro anime.

5.4 Il sabato ebraico e il riposo

Prima degli ebrei non esisteva né la settimana né tanto meno il giorno di riposo set-timanale, ma solo giorni di festa. Fu Mosè a istituire il Shabbat, un po’ la madre di tutte le feste ebraiche, che inizia il venerdì al tramonto e termina il giorno dopo allo

Figura 7 - Yom Kippur

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spuntare delle stelle, commemora il riposo divino del settimo giorno nella Creazione e la liberazione dalla schiavitù egizia. È un giorno di meditazione e di riflessione in cui occorre astenersi da qualunque attività lavorativa: professionale, manuale, commerciale. È proibito: scrivere, cucinare, trasportare oggetti per la strada, viag-

giare in automobile, non si possono accendere e spegnere fuochi, intraprendere lunghi viaggi ma fare soltanto un numero limitato di passi. Gli ebrei ortodossi non usano neppure l’elettricità e pertanto spengono gli elettrodomestici e fermano gli ascensori, salvo in caso di pericolo. In casa si accendono candele, si recitano pre-ghiere, si benedicono il vino e i pani rituali, che simboleggiano la manna del deserto. È obbligo consumare la carne.

Nella sinagoga, il sa-bato le celebrazioni sono più lunghe, so-lenni e con canti. I rabbini leggono i li-bri della tradizione e tengono sermoni. Talora le cerimonie terminano con picco-li rinfreschi, anche per ricorrenze priva-te, come il raggiun-gimento della mag-giore età.

Ma anche nelle abitazioni è celebrata una particolare liturgia che vede l’accensione di due lumi, in prossimità della tavola riccamente apparecchiata per cena col cibo già cucinato, visto che il Sabato non si può cucinare. Poi prima di mangiare si recita-no solenni benedizioni prima con un calice di vino e poi col pane. Alla fine del pasto si cantano inni religiosi, e si recita una benedizione solenne. La stessa scena si ripete al pranzo del giorno successivo.

Sono incoraggiate: la visita a parenti e amici raggiungibili a piedi, cantare brani po-polari e salmi, leggere, studiare e discutere di Legge. È permesso avere rapporti ses-suali tra marito e moglie nelle ore serali e notturne, fare giochi da tavolo, leggere letteratura ebraica, possibilmente non giornali o riviste, fare passeggiate e passare tempo con gli animali.

Queste prescrizioni mirano a rendere la persona capace, almeno un giorno la setti-mana, di liberarsi dai vincoli del lavoro e delle necessità quotidiane, per raggiungere la pienezza della vita spirituale.

5.5 Celebrazione delle feste ebraiche

Nel Tempio di Gerusalemme si offrivano tutti i giorni sacrifici. Nelle feste avevano

Figura 8 - Shabbat in famiglia

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particolare solennità ed erano accompagnati da atti di adorazione e espiazione, che sono ancor oggi ripetuti.

L’origine delle feste è collegata principalmente ai ritmi stagionali dell’agricoltura, a cui poi si sono aggiunte alcune ricorrenze storiche. Tre sono le feste di pellegrinaggio a Gerusalemme (Shalosh regalim): Pesach (Pasqua), Shavuot (settimane o penteco-ste) e Sukkot (delle Capanne o tabernacoli).

Il periodo più importante cade in settembre - ottobre, ricorda la creazione, il giudizio di Dio e il sacrificio di Isacco. Inizia col Rosh haShanà (Capodanno) seguito da dieci giorni dedicati al silenzio, alla riflessione sul passato, al pentimento e termina col Yom Kippur (giorno del pentimento) che è il giorno più sacro del calendario ebraico, in cui si celebra il perdono di Dio per il peccato del vitello d'oro.

Molto importante è la festa di Pescah, la Pasqua ebraica, che si celebra per 7-8 gior-ni in marzo-aprile, a ricordo della liberazione dalla schiavitù egiziana.

Dal secondo giorno dopo Pasqua inizia un periodo di lutto di sette settimane (O-

mer), che ricorda la distruzione del tempio e il fallimento della rivolta contro Roma del II sec. d.C. e termina con la festa di Shavuòt (delle settimane o pentecoste), festa agricola delle primizie, che festeggia la consegna della legge sul Sinai.

Il ringraziamento per il raccolto avviene in settembre-ottobre con la festa di Succòt (delle Capanne o tabernacoli), memoria anche dell'esodo, allorché gli ebrei vivevano nel deserto in capanne di frasche e tende, per l'occasione ricostruite sui balconi del-le case o nei cortili. Allo scadere dell'ottavo giorno si celebra l'Esultanza della legge, una festa in cui, si balla e si canta portando in processione i rotoli del tabernacolo. In questo giorno termina l’anno ebraico.

Tra le feste minori meritano d'essere ricordate la festa di Purim (sorte), in cui si fan-no doni ed elemosine ai poveri. Cade in febbraio-marzo e commemora il trionfo di Ester e Mardocheo su Aman con la lettura in sinagoga del libro di Ester durante la quale i ragazzi rumoreggiano ogni volta in cui si ripete il nome di Aman. Per i trave-stimenti usati la festa assomiglia al nostro carnevale.

Infine la festa di Chanuqqà (delle Luci o dedicazione), si celebra in dicembre, a ricor-do della vittoria di Giuda Maccabeo sui siriani e della conseguente purificazione del tempio. È uso farsi dei regali e accendere ogni sera in casa una candela del candela-bro a otto bracci, come simbolo della fedeltà alla Legge.

Fra le nuove feste la più importante è quella dell'Indipendenza d'Israele, che si fe-steggia circa 15 giorni dopo Pasqua. Si fanno balli popolari, sfilate militari e la veglia sulla tomba di Herzl (fondatore del movimento sionista) con celebrazioni dedicate ai martiri del nazismo e ai combattenti per l'indipendenza. Dal giugno 1967 i cadetti dell'esercito si recano nello spiazzo del muro del tempio a prestare giuramento nel giorno della loro promozione.

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5.6 Pesach (Pasqua ebraica)

La festa di Pesach dura in Israele 7 giorni, e otto altrove, viene celebrata dal 15 al 22 dei mesi di Nisan (marzo-aprile). Durante il primo e l’ultimo giorno della festività non è permesso lavorare, mentre nei giorni intermedi è lecito ogni lavoro.

È soprattutto una festa familiare ed è la più osservata. Si commemora la liberazione di Israele dalla schiavitù dell’Egitto. Pesach significa passaggio e si riferisce al pas-saggio dell’angelo sterminatore dei figli primogeniti egiziani e al passaggio del Mar Rosso, verso il Sinai e la Terra Promessa. Durante Pesach, gli ebrei non si limitano a leggere la storia della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, ma la rivivono, ricreando l’esperienza dell’esodo nelle proprie case.

Al tramonto della vigilia in ogni casa è eliminato l’hamez, cioè il cibo lievitato che è cercato a lume di candela. Poi dieci pezzetti di pane sono nascosti per farli ritrovare dai bambini in un’atmosfera gioiosa.

Al ritorno dal tempio i convitati trovano la tavola riccamente preparata, per il Seder, il grande pasto che si svolge nella prima sera della festa, durante la quale viene ri-cordata la storia dell’Esodo. I partecipanti riempiono reciprocamente il primo calice di vino; nessuno versa per se stesso: in questa serata tutti sono serviti come re! Poi durante il pasto bevono quattro calici in ricordo delle promesse del Signore di sot-trarli alle angherie degli egiziani, liberarli dalla schiavitù, portarli via con la Sua forza

Figura 9 - Il Seder

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ed eleggerli come Suo popolo.

Durante il pasto si consumano cibi, ciascuno dei quali ricorda gli stenti patiti durante la schiavitù in Egitto dal popolo ebraico. Il pasto è inoltre accompagnato dal raccon-to dell’Esodo (Haggadah), ricco di simboli e di elementi teatrali. Al centro del tavolo si pone un piatto con alcuni cibi simbolici:

• tre pani non lievitati, come quello che mangiavano da schiavi in Egitto, non lievi-tato per mancanza di tempo per l’improvvisa partenza;

• una zampa d’agnello o un osso, ricordo dei sacrifici che si facevano nel Tempio;

• erbe amare, ricordo dell’amarezza della schiavitù;

• un recipiente con l’aceto, segno dell’asprezza della schiavitù;

• un uovo sodo, cibo di lutto per la caduta del Tempio;

• una marmellata di miele e noci, ricordo della calce per I mattoni fatti dagli ebrei.

Ogni giorno termina con un inno cantato da tutti e nell’ultimo la grande festa termi-na con un augurio: L'anno prossimo a Jerushalaim!

5.7 Le benedizioni di Pesach

Durante questi giorni sono recitate numerose preghiere e benedizioni tra cui le se-guenti:

Benedetto Tu o Signore Dio nostro e Re del mondo creatore del frutto della vi-te. Benedetto Tu, o Signore, Dio nostro, Re del mondo che ci scegliesti tra tutti i popoli e ci elevasti su tutte le nazioni, ci santificasti con i Tuoi precetti e ci de-sti, Signore nostro Dio, con amore ricorrenze per la gioia e feste e momenti per la letizia; e questo giorno della festa delle mazzot, questo giorno di festività di santa adunanza, tempo della nostra libertà, con amore, santa convocazione in ricordo dell'uscita dall'Egitto; poiché noi hai scelto e noi hai santificato tra tutti i popoli e ci hai dato come retaggio le sante ricorrenze, con gioia e con letizia. Benedetto Tu, o Signore, che santifichi Israel e le ricorrenze.

Benedetto Tu, o Signore, creatore delle luci del fuoco. Benedetto Tu, o Signore, Dio nostro, Re del mondo, che distingui tra il giorno santificato e il giorno fe-riale, tra la luce e il buio, tra Israel e gli altri popoli, tra il settimo giorno e gli altri sei giorni della creazione. Hai distinto tra la santità del Sabato e quella del giorno di festa, hai santificato il settimo giorno al di sopra dei sei giorni della creazione, hai distinto e santificato il Tuo popolo Israel con la Tua Santità; be-nedetto Tu, o Signore che distingui tra santità e santità.

Benedetto Tu, o Signore, Dio nostro, Re del mondo che ci hai mantenuto in vi-ta, ci hai conservato e ci hai fatto giungere a questo giorno.

Questo è il pane dell'afflizione che i nostri padri mangiarono in terra d'Egitto: chiunque abbia fame venga e mangi; chiunque abbia bisogno venga e celebri Pesah. Quest'anno siamo qui, l'anno prossimo saremo in terra d'Israele; quest'anno siamo qui schiavi, l'anno prossimo saremo in terra di Israele, uomi-

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ni liberi.

Benedetto Tu, o Signore, Dio nostro, Re del mondo, che produci il pane dalla terra.

Benedetto il nostro Dio dei cui beni abbiamo mangiato e per la cui grande bon-tà viviamo! Benedetto sii Tu, Eterno, Dio nostro, Re del mondo, Colui che ali-menta tutto l'universo: con la Sua bontà, con grazia, con pietà e con miseri-cordia dà cibo a ogni creatura, poiché la Sua pietà è infinita. Per la Sua grande bontà non ci mancò mai né mai ci mancherà alimento, per virtù del Suo Nome grande, poiché Egli alimenta, nutre e benefica tutti e procura il cibo per tutte le Sue creature che Egli creò. Benedetto sii Tu, o Eterno, che dai alimento a tut-to il creato.

Benedetto Tu, o Signore Dio nostro Re del mondo per la vite e per il frutto della vite, per i prodotti dei campi e per la terra bella buona e spaziosa che volesti dare in retaggio ai nostri padri perché mangiassimo dei suoi frutti e ci sazias-simo delle sue bontà. Abbi pietà Signore nostro Dio, di noi, di Israel Tuo popo-lo, di Jerushalaim Tua città, del monte Sion sede della Tua gloria, del Tuo Tem-pio e del Tuo altare: Ricostruisci Jerushalaim la città santa, presto, nei nostri giorni. Facci salire a essa e la benediremo con santità e purezza, consolaci in questo giorno di Sabato e facci gioire, Signore nostro Dio, in questo giorno di festa delle mazzot, poiché Tu sei buono e fai del bene a tutti. Ti ringrazieremo per la terra, per la vite e per il frutto della vite. Benedetto Tu, o Signore, per la vite e per il frutto della vite.

5.8 Il calendario ebraico

Il calendario ebraico lunisolare, parte dall’anno della creazione del mondo posta, in base alle indicazioni della Bibbia, al 3760 a.C.. L'anno dura da 353 a 385 giorni, si ri-pete esattamente ogni 689.472 anni, ed è composto di 12 o 13 mesi lunari di 30 o 29 giorni. Ogni due o tre anni si aggiunge un mese per sincronizzarlo col ciclo solare.

I nomi dei mesi derivano dal calendario babilonese. Inizialmente ogni mese comin-ciava con la luna nuova, ma poi nel 358 il sommo sacerdote Hillel II codificò un si-stema che fissò l'inizio dei mesi e la durata degli anni.

Il primo è il mese di Tishrì, che dura 30 giorni, cade nel periodo settembre – ottobre, poi quelli successivi si chiamano: Cheshvan, Kislev, Tevet, Shevat, Adar, Adar Shenì (solo negli anni di 13 mesi), Nisan, Iyar, Sivan, Tammuz, Av ed Elul.

5.9 Il calendario occidentale

Date le difficoltà del calendario lunare, il monaco Dionigi il Piccolo intorno al 532 e-laborò il calendario giuliano, ancor oggi utilizzato dalla chiesa ortodossa. Poi, dato che l’orbita terrestre non ha una durata esattamente divisibile in giorni, quando nel 1582 lo scarto tra calendario civile e solare divenne di 10 giorni, papa Gregorio XIII fece adottare nuove regole che furono applicate nel calendario ancor oggi utilizzato,

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detto gregoriano.

6 Il cristianesimo e l’eredità ebraica

6.1 L’insegnamento di Gesù

Non ci sono dubbi sul fatto che Gesù tragga il suo insegnamento dalla Legge, la Bib-bia e la tradizione ebraica, dandogli un significato nuovo e universale e togliendo quei precetti formali che vi si erano sovrapposti.

11Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. 12 A quanti però l'han-no accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 13i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. (Gv.1)

18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. (Gv.3)

17Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. 18In verità vi dico: finché non siano pas-sati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla Legge, senza che tutto sia compiuto. 19Chi dunque trasgredirà uno solo di questi pre-cetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considera-to minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli. (Mt.5)

12Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la legge ed i Profeti. (Mt.7)

7 Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa. (Mt.12)

23 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'a-nèto e del cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giusti-zia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omet-tere quelle. (Mt.23)

46 Egli rispose: "Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!” (Mc.11)

44 Poi disse: "Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi". (Lc.24)

17 Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. (Gv.1)

19 Non è stato forse Mosè a darvi la legge? Eppure nessuno di voi osserva la

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legge! Perché cercate di uccidermi?. (Gv.7)

6.2 L’Ultima Cena

Per comprendere i primi riti dei cristiani occorre conoscere sia l’eredità ebraica e sia quello che è scritto nei Vangeli sull’Ultima Cena. Essi pur non fornendo molti detta-gli, in parte perché già conosciuti dai primi cristiani in maggioranza di origine ebrai-ca, consentono comunque di cogliere alcuni riferimenti che permettono di afferma-re che non c’è alcun dubbio sul fatto che si fosse svolta secondo il rituale ebraico della festa di Pesach, così come era svolta prima della distruzione del tempio.

Nei vangeli al capitolo 26 di Matteo si legge:

1Terminati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli: 2"Voi sapete che fra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell'uomo sarà consegnato per essere crocifisso".

3Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, 4e tennero consiglio per arrestare con un inganno Gesù e farlo morire. 5Ma dicevano: "Non durante la festa, per-ché non avvengano tumulti fra il popolo”.

Al primo giorno degli Azzimi, rispose a chi gli chiedeva dove preparare la Pa-squa: 17"Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo, là dove entrerà, ditegli: Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, perché io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”

I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.

Poi nel vangelo di Luca al capitolo 22 si legge: Venuta la sera, prese posto a tavola e gli apostoli con lui e disse:

15"Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima del-

Figura 10 - Lavanda dei piedi - Sermoneta

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la mia passione, poiché non la mangerò più, finché essa non si compia il regno di Dio”

Poi preso un calice, rese grazie e disse:

17 "Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio".

E in Giovanni al capitolo 13: Poi si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attor-no alla vita, versò dell'acqua in un catino e cominciò a lavare e asciugare i pie-di dei discepoli malgrado le proteste di Pietro. Quando ebbe finito, riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro:

12"Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, per-ché come ho fatto io, facciate anche voi”.

Poi Gesù profondamente commosso disse:

21"In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà".

Giovanni si trovava a tavola al fianco di Gesù gli chiese:

25"Signore, chi è?

e Gesù:

26"È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò"

e intinto il boccone, lo diede a Giuda Iscariota. Dopo quel boccone, satana en-trò in lui. Gesù gli disse:

27"Quello che devi fare fallo al più presto".

Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte.

E Matteo al capitolo 26: Poi Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo:

27"Prendete e mangiate; questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me".

Dopo aver cenato, rese grazie, prese il calice e disse:

28"Bevetene tutti perché questo è il sangue della nuova alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati.

E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

Come si può vedere sono espliciti i riferimenti all’Alleanza, al capro espiatorio, e all’agnello pasquale, come ricordati nei riti di Shabbat, Pesach e Kippur, col pane e il vino che rimpiazzano la carne e il sangue della vittima. I sacrifici non servono più.

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Qui c’è tutta l’essenza della Messa che sintetizza tutte le feste ebraiche.

6.3 Pasti e usanze

I primi cristiani, quando ogni giorno si riunivano per il pasto ricordando l’Ultima Ce-na, condividevano usanze comuni ad altri gruppi che vedevano pasti laici e sacri, spesso mescolati tra loro specialmente quando consumati in luoghi dedicati al culto. Era diffuso l’uso, tra greci, romani ed ebrei, di mangiare sdraiati su un fianco sul triclinio, un divano rettangolare con cui si formava un ferro di cavallo attorno al tavolo, come capitò nell’Ultima Cena:

Ora, a tavola, in-clinato sul petto di Gesù, stava uno dei discepoli, quello che Gesù amava (Gv. 13,23).

così come era usanza lavare le mani e i piedi all’ospite prima che si accomodasse a tavola:

Vedi questa donna? Io sono entrato in casa tua, e tu non mi hai dato dell’acqua per i piedi; ma lei mi ha rigato i piedi di lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. (Lc.7,44).

e nell’Ultima Cena: si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno al-la vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. (Giov. 13,1-11).

Erano anche tempi in cui greci e romani usavano spesso aprire il pranzo con una spe-cie di aperitivo, e chiuderlo con brevi rituali che esprimevano voti alle divinità, inizia-vano con un brindisi e terminavano con canti. Infine dopo il pranzo di teneva il sum-posion, durante il quale si beveva e chiacchierava liberamente. Questa sequenza si trova descritta sopratutto in Luca e nella prima lettera ai Corinzi.

6.4 L’eredità di Pietro

Gesù con chiarezza assegna a Pietro la missione di guidare la sua nuova chiesa, ma lui non comprende subito cosa gli è stato affidato:

18 Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli". (Mt.16)

Figura 11 - Triclinio romano

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10 Gesù disse a Simone: "Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini". (Lc.5)

infatti inizialmente gli Apostoli si rivolgono solo agli ebrei cercando di convincerli che è Gesù il Messia che stavano aspettando, come era natu-rale fare, ma non capirono che dovevano rivol-gersi anche agli altri popoli. Poi Pietro ha una vi-sione e il centurione Cornelio gli chiede il batte-simo, solo allora si rende conto che il messaggio di Cristo va portato anche ai pagani.

In verità mi sto rendendo conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga è a lui accetto. (Atti 10,34)

Le prime comunità erano fedeli a tradizioni e fe-ste ebraiche, e alla circoncisione. Credevano che i pagani, per diventare cristiani, oltre al battesimo dovessero osservarle anche loro. Ma poi Pietro superò nel primo Concilio di Gerusalemme que-

ste convinzioni, malgrado forti resistenze, con l’aiuto soprattutto di Giacomo, Paolo e Barnaba.

Non è un caso che nei primi tempi fossero ritenuti una setta ebraica. Poi il distacco dalla religione ebraica arrivò poco alla volta soprattutto a causa delle persecuzioni, l’arresto degli Apostoli e il martirio di Stefano e Giacomo, fratello di Giovanni, che portarono alla dispersione dei cristiani in Samaria e nella Giudea. Un esempio dell’odio degli ebrei lo possiamo trovare in questa maledizione riportata nel Talmud Babilonese dei I secolo:

Che per gli apostati non ci sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il regno dell'orgoglio; e periscano in un istante i nozrim (nazareni seguaci di Ge-sù di Nazareth), e i minim (eretici o dissidenti); siano cancellati dal libro dei vi-venti e con i giusti non siano iscritti. Benedetto sei tu che pieghi i superbi."

Pertanto i discepoli, che prima predicavano nell’atrio del tempio e nelle sinagoghe sull’esempio di Gesù, sono costretti a riunirsi nelle case e sviluppare una liturgia al-ternativa che comunque rimane ispirata alle usanze e preghiere ebraiche. Nascono le lettere apostoliche e i primi scritti da cui saranno tratti i Vangeli.

Il termine cristiani, dato inizialmente in senso dispregiativo, fu assegnato nel 45 ai convertiti di Antiochia e poco alla volta sostituì quello di: Quelli della Via, ossia quel-

Figura 12 - Pietro battezza Cornelio

Trevisani - Jesi

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li che andavano missionari, secondo il comandamento di Gesù: Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura (Mc.16,15)

6.5 La nuova liturgia

Per i primi cristiani, la liturgia, ossia opera pubblica, servizio del popolo e in suo favo-re, ma anche popolo che partecipa all’opera di Dio, secondo la tradizione cristiana, era un complesso di riti ereditati dal mondo ebraico che assunse da subito stile e contenuti nuovi, come si legge negli Atti degli apostoli:

I primi cristiani erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timo-re era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spez-

zavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodan-do Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati. (At. 2,42)

Nei riti c’è ancora una certa indetermina-tezza, tuttavia appaiono ben evidenti al-cuni elementi caratteristici che li distin-

guevano dalle altre sette ebraiche, come l’assiduità alla cena comune, dove frater-namente ascoltavano dagli Apostoli l’annunzio del Vangelo, spezzavano e di-stribuivano il pane, pregavano, non face-vano sacrifici e davano grande spazio alla carità.

7 Le basi del cristianesimo

Il cristianesimo non ha come base la Bib-bia, ma la persona di Gesù Cristo, il risor-to, che nell’Ultima Cena annunciò il patto della Nuova Alleanza stabilita col suo sa-crificio, e che la Chiesa celebra in ogni Messa con la liturgia pasquale, nel rito ambrosiano chiamata liturgia della Setti-

mana Autentica, in cui rinnova il suo inno alla sua Resurrezione: Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. (At. 15,14)

che completa e non abolisce l’Antica Alleanza:

7Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. (Mt. 5)

Figura 13 - Conversione di Paolo - Michelangiolo

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Nei vangeli, la sua biografia, sono molte le novità dell’insegnamento di Gesù ispirate all’amore del Padre per l’uomo, ma non si trovano indicazioni per i riti ma solo con-danne dei comportamenti ipocriti.

31“Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi". 32Allora lo scriba gli disse: "Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v'è altri all'infuori di lui; 33amarlo con tut-to il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici".(Mc.12)

23Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all'altare e và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.(Mt.5)

16Guai a voi, guide cieche, che dite: Se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l'oro del tempio si è obbligati. 17Stolti e ciechi: che cosa è più grande, l'oro o il tempio che rende sacro l'oro?

23Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'a-nèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giusti-zia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omet-tere quelle.24 Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! (Mt.23)

10"Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblica-no. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto pos-siedo. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me pecca-tore. 14Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato".(Lc.18)

La continuità con i riti ebraici è pacifica, anche se non ha quel risalto che un lettore moderno potrebbe aspettarsi, proprio per questa continuità. La celebrazione del primo giorno della settimana, quello della Resurrezione del Signore, è ispirata a quella del Shabbat, ma la vittima è sostituita, non più un animale da sacrificare, ma Gesù stesso che s’identifica nella vittima perpetuata nel pane e nel vino.

28perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. (Mt. 26)

il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane (At. 20,7) quando vi radunate per mangiare la Cena del Signore (1Cor. 11,20)

Ma importanti sono anche le novità che la tradizione ha tramandato con i numerosi scritti tra i quali hanno un posto di rilievo gli Atti degli Apostoli, le Lettere Apostoli-

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che, da cui si può trarre la biografia di Paolo, l’unico apostolo di cui abbiamo un’ampia documentazione sia sulla sua attività e sia sulla sua vita, e gli scritti dei Pa-

dri della chiesa.

Soprattutto dopo il periodo apostolico, l’ingresso dei pagani di paesi e culture diver-se, cui non si potevano imporre le usanze ebraiche, richiese uno lo sforzo di adatta-mento che produsse numerose dispute, che in alcuni casi allontanarono dall’insegnamento originario e produssero divisioni e scismi a causa di forti persona-lità che vollero agire senza l’indispensabile spirito di fratellanza, anche per interessi estranei alla religione.

7.1 I sacramenti

Sono una particolarità del cristianesimo e fu Tertulliano, scrittore berbero cristiano, a tradurre nel II secolo dal greco al latino il termine mistero in sacramentum. Nei primi secoli con sacramento s’indicava l'insieme dei gesti sacri. Poi si cominciarono a identificare come sacramenti quei momenti in cui, in modo più preciso, i gesti com-piuti davano maggiore certezza che le Forze che escono da Cristo potessero agire sui

fedeli mediante l’azione misteriosa dello Spirito Santo.

La loro identificazione è avvenuta progressivamente nel tempo con l’approfon-dimento e lo studio della Parola e della missione affidata da Gesù agli Apostoli, e da essi trasmessa ai loro successori.

La presenza di questi momenti di concretezza costituisce una risorsa per ciascun cri-stiano perché può avere momenti precisi della vita in cui avvertire la certezza della loro azione.

Figura 14 - Frazione del pane - Catacombe di Priscilla - II sec.

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Esempi evidenti sono la confessione, che cancella i sensi si colpa e restituisce la pace interiore, e la comunione che consente di arrivare a momenti d’intimità con Gesù.

L’efficacia di questi gesti non deriva da qualcosa di magico, ma da un’adeguata conoscenza e preparazione che richiede la riconciliazione con i fratelli, un atteggia-mento di umil-tà e pentimen-to, l’impegno a migliorarsi e la preghiera.

7.2 Eucaristia e Messa

Nell'ultima cena, la notte in cui fu tradito, Gesù istituì il sacrificio eucaristico, memo-

riale della morte e resurrezione del suo corpo e del suo sangue, rappresentati dal pane e dal vino, per perpetuare il suo sacrificio fino al suo ritorno. La Messa, è quin-di il mezzo per rivivere e partecipare all’Ultima Cena in una celebrazione comunita-ria, sacramento per eccellenza, costituita dalle liturgie della parola e dell’eucarestia, precedute dal rito d’introduzione e seguite da quello di congedo.

Il sacramento dell’Eucarestia, chiamato anche Comunione, significa rendo grazie e ricorda le benedizioni ebraiche durante i pasti con cui si lodava Dio per la creazione, redenzione e santificazione di tutte le cose. I riti dell’Assemblea Eucaristica o Mes-

sa, sono sintesi dei sacrifici: dell’Agnello di Pesach; del capro espiatorio del Kippur;

e delle numerose vittime quotidiane e del Shabbat.

L’istituzione dell’Eucarestia non fu un fatto improvviso, imprevedibile e inaspettato capitato durante l’Ultima Cena, poiché Gesù ne aveva parlato anche in altre occa-sioni:

28il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti". (Mt.20)

14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. 16Dio in-

Figura 15 - L'adultera

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fatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. (Gv.3)

così come dichiarò dopo la moltiplicazione del pane e dei pesci, chiara allusione eu-caristica, alla folla quando lo cercava per incoronarlo Re:

6"In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27 Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo".

28Gli dissero allora: "Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?".

29Gesù rispose: "Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato".

30Allora gli dissero: "Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? 31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo".

32Rispose loro Gesù: "In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; 33il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo".

34Allora gli dissero: "Signore, dacci sempre questo pane".

35Gesù rispose: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete.”

“48Io sono il pane della vita. 49 I vostri padri hanno mangiato la manna nel de-serto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo".

52 Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?".

53Gesù disse: "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà

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in eterno”.(GV.6).

La Messa ripetendo l’Ultima Cena, consente con l’Eucarestia di partecipare a quel banchetto, dove Gesù ha celebrato sì la Pasqua ebraica, ma le ha dato il significato di Nuova Alleanza. Così come l’Antica fu stabilita con un sacrificio, così anche la nuo-

va e definitiva è suggellata da un sacrificio, compiuto una volta per tutte, il suo, e pone fine alla necessità dei sacrifici di animali.

La liturgia della Messa celebrata dai cristiani cattolici e ortodossi, è non solo memo-riale del mistero di Gesù, ma soprattutto è attualizzazione e partecipazione a quell’evento. Dice il Concilio Vaticano II:

È in virtù della parola vivente di Cristo e per la potenza dello Spirito che il pane e il vino diventano i segni sacramentali del corpo e del sangue di Cristo. Essi rimangono tali in vista della comunione.

e come scrive Giovanni nel suo Vangelo: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, ed io lo risusci-terò nell'ultimo giorno perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera be-vanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. (Gv 6,54-56).

L’ostia, come tutto il cibo, dice la ragione, si trasforma nella nostra carne e nel no-stro sangue, mentre per la fede è anche alimento dello spirito. Fu il IV Concilio Late-rano del 1215 a definire transustanziazione il mistero della trasformazione della so-stanza del pane e del vino, in quella del corpo e del sangue di Cristo.

7.3 L’Agape

Il mangiare insieme da sempre consente di rinsaldare i legami comunitari e creare legami particolari di reciprocità favorendo rapporti di amicizia, gioia e piacere. Così fu anche per i primi cristiani che col pasto comune stabilivano rapporti paritari tra genti di sesso, razza, origini, censo e culture diverse, in un modo che consentiva di definire gli incontri col nome di Agape (amore fraterno).

Ma la partecipazione al rito diventò presto anche segno di appartenenza, poiché ab-bandonata la circoncisione come segno identificativo, il pasto cristiano, da subito chiamato Frazione del Pane, fu il nuovo segno distintivo che, ancor oggi, è la più importante funzione sacra della chiesa cristiana, sopratutto cattolica e ortodossa.

Inizialmente i cristiani si radunavano quotidianamente per pregare, spezzare il pane e ascoltare la Parola. Di domenica, giorno della Risurrezione, che sin da subito sosti-tuì il Shabbat, il cerimoniale era più solenne ma comunque molto scarno. C’era un celebrante ed erano sempre presenti: lettura, predicazione, preghiere e inni. Tutte le letture erano tratte dalla Bibbia che veniva letta sino a quando il vescovo indicava di fermarsi. I salmi e le parole di Gesù sul pane e il vino si conoscevano a memoria.

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Ogni cosa era eseguita in un ordine prestabilito, in modo pratico e con la massima reverenza. Le letture erano a voce alta da dove potevano essere meglio sentite. Il pane e il vino erano portati sulla tavola dopo la spiegazione delle letture. La comu-nione veniva dopo lo spezzare il pane. Le preghiere non erano fisse ma raggiunsero presto una struttura e un ordine uniforme. Erano estemporanee e prevedevano il rendimento di grazie, la preghiera per l’imperatore e le proprie richieste. Spesso e-rano tratte dalla Bibbia o dalle celebrazioni ebraiche con formule dialoganti che uti-lizzavano: Amen; Alleluia; Signore, pietà; Rendiamo grazie a Dio; Per tutti i secoli dei secoli; Benedetto il Signore nostro Dio.

La liturgia eucaristica prevedeva i tre momenti fondamentali:

• offerta del pane e del vino

• consacrazione con la benedizione e il racconto dell'istituzione Eucaristica prece-dute da una preghiera di ringraziamento di origine ebraica

• frazione del pane e comunione prima col pane eucaristico e poi a distanza col vi-no.

I segni rituali erano di derivazione ebraica come il lavaggio delle mani prima di toc-care le offerte, lo stare in ginocchio o in piedi per la preghiera, e lo scambio della pa-ce. I riti nei primi due secoli avevano una sostanziale uniformità liturgica, anche se non assoluta. Solo l’istituzione dei libri liturgici, usati nel IV secolo, e forse alla fine del terzo, permise una maggiore uniformità.

I testi più antichi a noi pervenuti sono del settimo secolo, ma già nel 95-100 la Dida-

ché dava una descrizione dettagliata di come celebrare, quali preghiere recitare e quali liturgiche seguire. Erano incluse formule fisse di preghiera ma si lasciava ampio

Figura 16 - Agape - Catacombe di Marcellino e Pietro

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spazio alla preghiera spontanea. Si richiedeva pure che la confessione dei peccati precedesse la celebrazione dell'Eucarestia.

1. Riuniti nel giorno del Signore, spezzate il pane e rendete grazie quando avete confessato i vostri peccati, perché sia puro il vostro sacrificio.2 Chi è in lite con il suo amico, non si unisca a voi, prima che non si siano riappacificati per modo che non sia profanato il vostro sacrificio. (XIV)

1 Per l'eucarestia ringraziate così: 2. Prima sul calice: "Ti ringraziamo, o Padre nostro, per la santa vite di David tuo servo che a noi rivelasti per mezzo di Ge-sù tuo figlio. A te la gloria nei secoli". 3. Per il pane spezzato: "Ti ringraziamo, Padre nostro, per la vita e la conoscenza che a noi rivelasti per mezzo di Gesù tuo figlio A te la gloria nei secoli. 4. Come questo pane spezzato era sparso sui colli; e raccolto divenne una cosa sola così la tua Chiesa si raccolga dai confini terra nel tuo regno poiché tua è la gloria e la potenza per Gesù Cristo nei seco-li." 5 Nessuno mangi né beva della vostra eucarestia, tranne i battezzati nel nome del Signore. Per questo il Signore disse: non date le cose sante ai ca-ni.(IX)

Nei primi tempi lo spezzare il pane era unito alla cena e solo più tardi si decise di se-

parare i due momenti. Il termine Messa, cominciò a essere usato nel IV secolo, quando dopo la predica si congedavano i catecumeni con:

"Ecce post sermonem fit missa catechumenis, manebunt fideles"

Figura 17 - Gesù a Emmaus - Caravaggio

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(Ecco, dopo il sermone, si faccia il congedo dei catecumeni, restino i fedeli).

Il termine Frazione del pane col quale i primi cristiani erano soliti chiamare le loro assemblee eucaristiche, derivava dal gesto col quale il capo della mensa nella cena ebraica distribuiva il pane e Gesù ripeté durante l'Ultima Cena e lo fece riconoscere dopo la sua Risurrezione a Emmaus:

30 Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.31 Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. (Lc. 21)

7.4 L’ascolto della Parola

Sin dai primi tempi l’ascolto della parola, come avveniva nelle sinagoghe con la let-tura dei rotoli della Bibbia, era uno dei punti essenziali delle assemblee religiose:

I primi cristiani erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. (At. 2,42)

1 Attendendo e ascoltando con cura conoscerete quali cose Dio prepara a quel-li che lo amano rettamente. Diventano un paradiso di delizie e producono in sé stessi ornati di frutti vari un albero fruttuoso e rigoglioso. (a Dioneto, XII)

1Figlio mio, ricordati di giorno e di notte di chi predica la parola di Dio e onora-lo come il Signore; dove, infatti, è annunziata la maestà ivi è il Signore. (a Dio-neto, IV)

8 I riti della chiesa cattolica

8.1 La liturgia dopo le persecuzioni

Durante il periodo delle persecuzioni le celebrazioni erano brevi e semplici, poi gli editti di Costantino e Teodosio portarono alla loro evoluzione e trasformazione da riti illegali e privati, a pubblici e col sostegno dello stato.

Si costruirono chiese sempre più importanti, si svilupparono le congregazioni. Le li-turgie, prima in oriente e poi in occidente, divennero più elaborate. Nacquero le processioni solenni. Già nel quarto secolo si hanno informazioni molto dettagliate sulle liturgie di numerosi riti: Cirillo da Gerusalemme (+386), Atanasio (+373), Basilio (+379) e Giovanni Crisostomo (+407).

Nel IV Secolo si ebbe la compilazione del primo testo liturgico completo: l’Euchologion, il libro liturgico delle Chiese orientali che contiene i riti Eucaristici, le parti invariabili dell’Ufficio Divino, i riti per l’amministrazione di Sacramenti e Sacra-mentali, e parti essenziali del Messale, del Pontificale e del Rituale della Messa.

Sulla stessa struttura base nascono le liturgie delle tre antiche città patriarcali di: Roma, Alessandria e Antiochia e il rito Gallicano, ossia delle Gallie, celebrato nel territorio del patriarcato di Roma, ma indipendente da essa, malgrado che il suo Ve-scovo fosse riconosciuto come il patriarca di tutto l’Occidente.

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Dalla liturgia gallicana sono nate varie liturgie in buona parte ormai scomparse, di cui rimangono, oltre al rito Ambrosiano, po-chissimi riti locali per minoranze molto piccole: mozarabico a Toledo in Spagna, lio-

nese a Lione in Francia e braghese a Braga in Portogallo, oltre alcuni riti degli ordini religiosi francescani, domenica-ni, carmelitani, servi di Maria, certosini, cister-censi e altri.

In oriente sono ancor oggi celebrati i riti: bi-

zantino in Grecia ed Europa dell’est, copto o alessandrino in Etio-pia ed Egitto, antio-

cheno, siriaco e arme-

no in Asia. Questi riti sono celebrati anche nei paesi, come gli Stati Uniti, dove le loro genti hanno avuto forte immigrazione.

8.2 La nascita della liturgia latina

Nella sua Apologia destinata all'imperatore Antonino Pio e nel Dialogo con Trifone, San Giustino martire, nell'anno 155, dà la prima descrizione della Messa romana:

«Nel giorno chiamato del sole ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne. Si leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei profeti, finché il tempo consente. Poi quando il lettore ha terminato, il preposto con un discorso ci ammonisce ed esorta a imitare questi buoni esempi. Poi tutti insie-me ci alziamo in piedi e innalziamo preghiere» «sia per noi stessi [...] sia per tutti gli altri, dovunque si trovino, affinché, appresa la verità, meritiamo di es-sere nei fatti buoni cittadini e fedeli custodi dei precetti, e di conseguire la sal-vezza eterna. Finite le preghiere, ci salutiamo l’un l’altro con un bacio. Poi al preposto dei fratelli sono portati un pane e una coppa d’acqua e di vino tem-perato. Egli li prende e innalza lode e gloria al Padre dell’universo nel nome del Figlio e dello Spirito Santo, e fa un rendimento di grazie, per essere stati fatti degni da lui di questi doni. Quando egli ha terminato le preghiere e il rendi-

Figura 18 - Altare basilica di sant'Ambrogio - Milano

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mento di grazie, tutto il popolo presente acclama: Amen. Dopo che il preposto ha fatto il rendimento di grazie e tutto il popolo ha acclamato, quelli che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ciascuno dei presenti il pane, il vino e l’acqua eucaristizzati e ne portano agli assenti».

Si può notare che la Messa è distinta in due parti: quella didattica, a cui erano am-messi i catecumeni che comprende: la convocazione dei fedeli; la liturgia della Paro-la con le letture e l’omelia; e la preghiera universale; e quella sacrificale ossia la li-turgia eucaristica con: la presentazione del pane e del vino; la loro consacrazione con l’invocazione dello Spirito; le preghiere di lode e ringraziamento; la Comunione. Il rito ricorda il modello del Gesù di Emmaus:

Lungo il cammino spiegò loro le Scritture, poi, messosi a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. (Lc. 24,30).

Tutti hanno la loro parte attiva nella celebrazione: i lettori; coloro che presentano le offerte non solo del pane e del il vino ma anche dei doni per quelli in stato di neces-sità; coloro che distribuiscono la Comunione; e il popolo intero che manifesta la propria partecipazione attraverso l’Amen e la Comunione portata anche agli assenti.

La lingua usata era il greco e l'uso della lingua latina subentrò verso il IV secolo. An-teriormente a questo secolo, vigeva, qua e là, l'uso delle letture in greco seguite dal-la loro traduzione in latino.

Solo col Vaticano II si preferì ritornare alle lingue parlate, pur conservando la lingua latina come quella ufficiale della chiesa cattolica, recuperando la tradizione antica che ha visto i cristiani di Roma celebrare prima in greco e dal terzo secolo in latino, mentre in Grecia si celebrava in greco, in Siria in siriaco, in Armenia in armeno, e così via.

Le liturgie orientali iniziavano con la confessione dei peccati fatta col celebrante, il rito romano iniziava con l'introito, entrato a far parte della Messa verso il VI secolo, eventualmente preceduto dalla confessione privata del sacerdote fatta in sacrestia.

Il Canone o preghiera eucaristica elaborato a Roma, anche se a darcene testimo-nianza é Ambrogio, si diffonde tra il II e IV secolo.

Dalla metà del IV secolo c’erano alcuni libri liturgici mentre prima c’erano dei dittici, dal greco piegato due volte, che consistevano in due tavolette, inizialmente coperte di cera, piegate insieme come un libro. Su una tavoletta erano scritti i nomi dei vivi e sull’altra quelli dei morti per i quali pregare e venivano letti durante la Messa ad alta voce da un diacono. Il loro uso, in Oriente, fu mantenuto fino al tardo Medio Evo, quando apparvero i libri liturgici.

Nei V e VI secolo la liturgia romana cominciò a diffondersi anche in Spagna dove nel 538 il vescovo Profuturo volle il Canone romano. Nel 563 il Sinodo di Praga ordinò la sostituzione della liturgia spagnola con quella romana; lo stesso avvenne in Inghil-

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terra, dopo la missione di Agostino voluta da Gregorio I.

Nelle Gallie la riforma, instaurata da Pipino e proseguita da Carlo Magno, portò alla graduale adozione della liturgia romana al posto di quella gallicana, conservandone comunque alcuni riti come le incensazioni dell'altare, del Vangelo, del celebrante e dei fedeli; i segni di croce durante il Canone e un maggior numero di orazioni.

8.3 La liturgia nel primo medioevo

Verso il VI-VII secolo, la liturgia romana aveva raggiunto la sua maturità con i libri li-turgici e l’Anno liturgico quasi definitivi, che consentivano un'intensa partecipazione dei fedeli. Il rituale del 700 precisa che il celebrante è rivolto verso l'assemblea dall'unico altare posto al centro tra assemblea e il presbiterio e la celebrazione della Messa è costituita da: � riti di ingresso con atto penitenziale, Kyrie, Gloria e preghiera � liturgia della Parola con lettura dell'Epistola, processione, incensazione e la pro-

clamazione dell'Evangelo, l'Omelia, la preghiera dei fedeli � liturgia eucaristica con processione dei fedeli che portano il pane eucaristico lie-

vitato, preghiera eucaristica senza genuflessioni ed eleva-zioni dell’ostia

� la frazione del pane seguita dal canto del Pater, lo scam-bio della pace e il canto dell’Agnus Dei

� comunione quasi generale col pane deposto nella mano e col calice

� orazione e la benedizione fi-nale

Carlo Magno (768-814), da una forte spinta all’unificazione dell’Europa sia politica e sia reli-giosa con l’obbligo del popolo di adottare la religione del Re, che segna una forte ingerenza del potere politico nella Chiesa per-sino nelle liturgie, ma anche l'in-gerenza del clero negli spazi ri-servati ai laici.

Poi sopraggiunsero nei secoli numerose involuzioni:

Figura 19 - Carlo Magno

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� col battesimo ai bambini, scomparve il catecumenato degli adulti � i fedeli hanno poca conoscenza della fede a causa delle conversioni di massa � pochi laici fanno parte dell’organizzazione della chiesa per l’abbondanza di sa-

cerdoti dovuta alla grande quantità di monaci ordinati � scarsa è la partecipazione dei fedeli per l'incomprensione e il fraintendimento

della liturgica celebrata in latino � scompare l'Omelia, la preghiera dei fedeli, la processione con le offerte � la comunione diventa sempre più rara � s’introduce la comunione con il pane azimo e scompare la comunione al calice � la concelebrazione dei presbiteri con il Vescovo nella Messa domenicale cede il

passo alle Messe private dei monaci anche durante la settimana. � Il canto gregoriano di tutta l'assemblea è sostituito dalla musica polifonica canta-

ta dalla schola cantorum � l'altare è spostato verso la parete dell'abside ed il celebrante volta le spalle all'as-

semblea � i fedeli intervengono raramente e pregano le proprie preghiere devozionali, so-

pratutto la recita del rosario � forte è il senso del peccato e della propria indegnità che rendono la comunione

eucaristica più rara e sostituita dalla comunione spirituale e dalle indulgenze � forte è la richiesta di Messe private che portano alla moltiplicazione degli altari

nelle navate laterali con celebrazioni anche senza la presenza dei fedeli � compaiono balaustre e inferriate e l'altare diventa raffigurazione del calvario � si sviluppano le devozioni private e locali con formulari liturgici di basso livello

La Chiesa reagì per opera di grandi santi tra cui Francesco, Domenico, Tommaso, Ca-terina da Siena e grandi papi, tra cui Gregorio VII e Innocenzo III, e con nuove dispo-sizioni come quella del Concilio Lateranense IV, del 1215 che impose la confessione e la comunione almeno una volta l'anno.

8.4 Gli sviluppi della liturgia

In Francia, verso il IX secolo, s’inserirono melodie e versetti tra i testi.

Il Confiteor è menzionato per la prima volta nell'introduzione della Messa da Ber-noldo di Costanza (+1100).

Sino all'XI secolo all'Offertorio i fedeli offrivano il pane e il vino insieme al necessa-rio per i sacerdoti mentre si eseguivano canti.

Dal IX secolo si cominciò a offrire pane azzimo, cioè non fermentato, nella forma de-lla grande Ostia per il celebrante e delle piccole dare la comunione ai fedeli inginoc-chiati. Seguivano preghiere, dette piccolo Canone che, nel rito latino, non sono più antiche del XIV secolo. Si definì il Prefazio come introduzione al Canone, la preghiera eucaristica per eccellenza, con un dialogo tra celebrante e fedeli, una preghiera di ringraziamento e il Sanctus.

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Mentre nei riti bizantini furono definite tre possibili preghiere eucaristiche con la consacrazione del pane e del vino chiamate anafore, nella chiesa latina il Canone fu composto di una sola preghiera fino al Concilio Vaticano II. L’elevazione dell’ostia consacrata fu introdotta nel XII secolo, mentre quella del calice fu resa obbligatoria nel 1570 col Messale di Pio V per tutte le chiese d'Occidente, salvo quelle che ave-vano un rituale proprio da almeno 200 anni.

Con la frazione dell'Ostia, l’antica Frazione del pane, seguita dal Pater, inizia la Co-

munione con l'antichissimo Agnus Dei e la preghiera della pace, a cui nel rito roma-no, dopo l'anno 1000, è abbinato il bacio di pace che nel rito ambrosiano è scambia-to dopo la preghiera dei fedeli.

La Messa sino all’ultimo concilio terminava con la benedizione e l'Ite, missa est, che dava il congedo all'assemblea e dal IX secolo era seguito dalla lettura del Prologo del Vangelo di Giovanni, sino al XV secolo in forma privata.

Sul significato del saluto non c’è certezza e gli sono stati attribuiti più interpretazioni: � l’eucaristia è stata mandata (per mezzo dei diaconi) ai fedeli ammalati � andate a compiere la vostra missione � il sacrificio è compiuto

Il Vaticano II l’ha poi cambiato in: La Messa è finita, andate in pace.

8.5 Il canto religioso

I canti religiosi esistono fin dall’antichità e favoriscono il coinvolgimento nelle litur-gie. La prima forma è l’inno, una forma di canto religioso nato in Asia minore nel II secolo e diffusosi in occidente dal IV soprattutto a opera di Sant’Ambrogio, che compose alcuni inni divenuti famosi e ancora oggi in uso nella chiesa milanese. L’inno vuol es-sere cantato da tutti i fedeli e per questo è: facile da canta-re, suddiviso in strofe musica-te con la stessa melodia che si ripete a ogni strofa, con po-che note e ognuna abbi-nata a una sil-laba.

Figura 20 - Antifonario

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Papa Gregorio I (540–604) per unificare il repertorio dei canti sacri, molto differen-ziati tra le varie comunità cristiane, selezionò quelli ritenuti più adatti e li riunì in un libro chiamato Antifonario e ordinò che tutte le Chiese d’Europa eseguissero solo questi canti, chiamati Gregoriani.

Non essendo allora definita una vera scrittura musicale, i cantori dovevano imparare a memoria tutto il repertorio. Poi solo quando fu stabilita la scrittura musicale fu possibile tramandarli tramite le copie realizzate dai monaci.

Il canto gregoriano è per sole voci, senza accompagnamento strumentale, troppo le-gato alla musica profana, e può essere eseguito da un solista, da un coro o in modo misto e anche in forma dialogante.

Tutti i canti erano in latino, con un ritmo libero, a volte intonati dal celebrante, era-no un’evoluzione dei lunghi vocalizzi di gioia con i quali si cantava alleluia (lodate Dio).

Il Concilio di Trento conservò solo cinque di questi canti, tra cui il celebre: “Victimae Paschali laudes” che celebra la Risurrezione, una delle più celebri creazioni musicali del Medioevo, attribuita a Vipone di Borgogna (1000-1045), cappellano degli impe-ratori tedeschi.

Verso la metà del IX secolo fu ideato un sistema di scrittura musicale basato su dei segni chiamati neumi. Il primo codice notato è il Cantatorium C del 930, pervenutoci dall’abazia svizzera di san Gallo. Usava la sola linea del Fa, poi gradualmente si arrivò intorno all’anno Mille al tetragramma di 4 righe di Guido d’Arezzo. Successivamente si aggiunsero altri segni e nel XVI si arrivò alle cinque linee che si utilizzano ancora oggi.

La musica sacra, fino all’XI secolo, era orientata esclusivamente verso un mondo spi-rituale, completamente staccato dalla vita terrena per invitare a distrarsi dalle pre-occupazioni e dalle emozioni della vita di ogni giorno. Superata la paura della fine del mondo dell’anno 1000, riacquistarono importanza gli aspetti concreti della vita umana e nacquero: il dramma liturgico e la lauda.

Il dramma liturgico era eseguito in occasione delle principali feste, come il Natale o la Pasqua, si allestiva nelle chiese e consisteva in rappresentazioni teatrali ispirate ai testi sacri, in cui i fedeli partecipano come attori. Inizialmente erano in lingua latina poi, gradualmente, furono cantati nella lingua parlata.

La lauda nacque nel XIII secolo, all’interno delle confraternite di laici francescani e si diffuse in breve tempo in tutta l’Italia centrale. Era una forma musicale non legata alla liturgia ma cantata durante le processioni in onore: di Cristo, della Vergine o dei santi, d’ispirazione popolare e articolata in strofe, cantate spesso da un solista, alle quali si alternava un ritornello cantato da tutti i fedeli. Le laudi sono giunte a noi conservate in raccolte la più famosa delle quali è il Laudario di Cortona, risalente al

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XIII secolo. In Spagna hanno il nome di: càntigas.

Nei monasteri france-si, a partire dal IX se-colo, al canto grego-riano si iniziò a so-vrapporre un’altra li-nea melodica, nor-malmente improvvi-sata, che procedeva parallelamente alla prima e fu la base del-la polifonia, in cui due o più voci canta-no o suonano con-temporaneamente melodie diverse.

Nel Rinascimento (‘400-‘500) furono composte le prime importanti messe polifoni-

che di Josquin Des Prez e l’Et ecce terrae motus a 12 voci di Antoine Brumel. Alla fine del XVI secolo si ebbero le messe per i grandi cori di: William Byrd; Tomás Luis de Victoria; e Giovanni Pierluigi da Palestrina. Secondo la tradizione, alla sua Missa Pa-pae Marcelli si deve che il Concilio di Trento non abbia censurato la polifonia.

Nel periodo barocco (‘600), furono composte le messe di: Johann Sebastian Bach; Wolfgang Amadeus Mozart; Joseph Haydn; Ludwig van Beethoven e Schubert.

Il catechismo della chiesa cattolica riporta: 1156 «La tradizione musicale di tutta la Chiesa costituisce un tesoro d’inesti-mabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell'arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrale della liturgia solenne». La composizione e il canto dei salmi ispirati, frequentemente accompagnati da strumenti musicali, sono già strettamente legati alle cele-brazioni liturgiche dell'Antica Alleanza. La Chiesa continua e sviluppa questa tradizione: «Intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, can-

tando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore» (Ef 5,19). Chi canta

prega due volte.

1157 Il canto e la musica svolgono la loro funzione di segni in una maniera tanto più significativa «quanto più sono strettamente uniti all'azione liturgi-ca», secondo tre criteri principali: la bellezza espressiva della preghiera, l'una-nime partecipazione dell'assemblea nei momenti previsti e il carattere solenne della celebrazione. …

1158 L'armonia dei segni (canto, musica, parole e azioni) è qui tanto più signi-

Figura 21 - Dramma religioso della Passione

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ficativa e feconda quanto più si esprime nella ricchezza culturale propria del popolo di Dio che celebra. Per questo «si promuova con impegno il canto po-polare religioso, in modo che nei pii e sacri esercizi, e nelle stesse azioni liturgi-che», secondo le norme della Chiesa, «possano risonare le voci dei fedeli». Tuttavia, «i testi destinati al canto sacro siano conformi alla dottrina cattolica, anzi siano presi di preferenza dalla Sacra Scrittura e dalle fonti liturgiche».

8.6 Campanile

Dopo l’Editto di Costantino, s’iniziò a elevare ovunque templi e, per richiamare i fe-deli alle funzioni, si utilizzarono sistemi diversi come quello di battere sopra un’asse detta asse sacra o simandra oppure ruotare la raganella ancor oggi usati in oriente. Ben presto comparve anche una torre chiamata turris sacra. L'uso delle campane ri-sale al V secolo, ma allora erano sospese in modeste celle di legno o di muratura.

A partire dal V secolo le basiliche cominciarono ad avere affiancato un campanile. Risale al 561 la prima segnalazione di Gregorio di Tours che attesta l'uso della cam-pana, per richiamare i fedeli, posta su un'apposita torretta.

I più antichi, come quello di Apollinare Nuovo a Ravenna (VI sec.) sono di forma ci-lindrica. Verso la metà dell’VIII secolo se ne trovano un po’ dappertutto e il papa Ste-fano II ne costruì uno a san Pietro.

Il campanile, come costru-zione indipendente e con le campane, é un’invenzione medioevale. Nelle chiese ro-maniche ha forma rotonda, mentre nello stile lombardo, quadrata e a più piani. Intor-no al X secolo quasi tutte le chiese avevano un campanile con campane. Accanto alla forma tradizionale a torre, furono introdotti i campanili a vela, costituiti da una por-zione singola di muro conte-nente alcune campane.

Nel 1200 furono inventati per i conventi gli orologi meccanici che indicavano le ore delle preghiere. Non avevano il quadrante, poiché la loro funzione era di far suonare le campane. Solo più tardi apparvero dotati di quadranti e lancette anche sui cam-panili delle torri civiche. Le città italiane furono all'avanguardia nella diffusione degli orologi meccanici, e nel giro di qualche decennio la nuova invenzione conquistò l'in-tera Europa. Il primo orologio in Italia fu quello del campanile di Sant'Eustorgio a Mi-lano.

Figura 22 - Campanile a vela - santa Maria a Puglia (Arezzo)

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La loro adozione da parte delle istituzioni pubbliche ebbe forte impatto sociale per-ché, la possibilità di misurare il tempo in maniera più esatta, si tradusse in un pro-cesso di razionalizzazione e di uniformazione delle regole per la vita cittadina.

I campanili più famosi del mondo si trovano in Italia e sono: la Torre di Pisa, il Cam-panile di Giotto a Firenze, Il campanile di San Marco a Venezia, ricostruito nel 1912 dopo il crollo del 1902, il Torrazzo di Cremona e quello del Duomo di Messina rico-struito dopo il terremoto del 1908 e munito del più grande orologio astronomico al mondo animato da numerose figure.

Nella diocesi di Milano mediante speciali congegni sono state costruite celle campa-narie che consentivano la rotazione a 180° delle campane. La loro posizione rove-sciata è denominata a bicchiere ed è usata durante i concerti solenni.

8.7 Eucarestia, campane e campanelli

Nel Medioevo, l’Eucaristia, prima vissuta come atto del mangiare, per alcuni si tra-sformò nel desiderio di contemplare l’ostia, mentre paradossalmente si assisteva al-la riduzione delle comunioni. Per rispondere a questo desiderio, i benedettini tra l’XI e il XIII secolo, introdussero l’elevazione durante la Messa.

L’innovazione piacque molto ai fedeli e presto divenne il punto centrale della Messa. I vescovi molto preoccupati che potesse degenerare in idolatria, superstizione o ad-dirittura magia, cercarono di frenarla o quanto meno di regolamentarla. Infatti c’era chi riteneva che la visione dell’ostia equivalesse al sacramento, si parlava addirittura di comunione visiva, oggi si chiamerebbe spirituale. Molti entravano in chiesa per assistere all’elevazione e, una volta finito il rito, se ne ritornavano alle loro occupa-zioni disinteressandosi completamente del resto della Messa anche perché si pensa-va che tale pratica preservasse per quel giorno dalla morte improvvisa.

Allora si cominciò a suonare le campane alla consacrazione, in modo che i circostanti potessero letteralmente correre in chiesa anche a costo di resse e incidenti. I sacer-doti furono sollecitati a tenere l’ostia alzata il più a lungo possibile, oppure a ripete-re l’elevazione varie volte, mentre un chierico teneva un cero alzato alle spalle del celebrante affinché i fedeli potessero vedere meglio l’ostia.

L’uso si propagò molto rapidamente nell’Europa cattolica, mentre a tutt’oggi, è sco-nosciuto agli ortodossi. Nel 1219 papa Onorio III raccomandava di inchinarsi con ri-verenza alla consacrazione e pronunciare all’elevazione apposite preghiere, come le esclamazioni dell’incredulo apostolo Tommaso.

Nel 1274 è istituita la festa del Corpus Domini, con relativa processione cittadina, che prolungò l’elevazione, la rese pubblica e la completò con l’esposizione e l’adorazione per allargarne il culto anche fuori della Messa, contro le varie tendenze ereticali che negavano la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia.

Il suono del campanello è un ricordo di queste tradizioni cui sono affezionati i fedeli,

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ma fa correre il rischio di insinuare una minore considerazione verso le altre parti della preghiera eucaristica e degli altri momenti della Messa, come se al di fuori del-la consacrazione Cristo fosse meno presente. L’uso del campanello nei riti cattolici risale forse al XII secolo, ma indicava il prefazio e richiamava l’attenzione dei fedeli, quando era più difficile seguire la celebrazione in latino, per interrompere la recita delle proprie preghiere.

Col tempo, per chi non si trovasse in chiesa, si abbinò anche il rintocco di campana e il suo-nare il campanello da un’apposita finestrella. Il gradimento dei fedeli portò a suonarlo anche in altri momenti del rito: al Sanctus, al Gloria del Giovedì santo, nella veglia pasquale, a vol-te durante la lettura del Vangelo, prima dell’Amen finale del canone e infine alla co-munione; come surrogato di una partecipazio-ne attiva. Le parole del celebrante non si sen-tivano e bastava un tocco di campanello per ricordare a tutti quanto si stava compiendo.

Nella liturgia della Messa sono presenti nume-rosi segni e linguaggi che tendono a facilitare la partecipazione e anche il campanello può essere uno di questi se usato con discrezione e libertà per sottolineare l’unitarietà di tutta la preghiera eucaristica evidenziando che la vera elevazione avviene quando il cele-brante eleva l’ostia e il calice appena prima della Frazione del pane.

8.8 Rito Romano

Le fonti del Rito romano sono i primissimi Sacramentari romani, scritti in latino, che gradualmente aveva rimpiazzato il greco tra il III e IV secolo. Su incarico del Papa, è probabile che Girolamo (+420) abbia selezionato le Epistole e i Vangeli per ogni Do-menica dell’anno liturgico. Contemporaneamente furono trascritte le preghiere del celebrante e del diacono.

I tre Sacramentari più importanti sono quelli Leonino, Gelasiano e Gregoriano, dei papi Leone (+461), Gelasio (+496) e Gregorio Magno (+604). Erano piccoli libri con i formulari per parti della Messa dedicati a Chiese particolari, con un unico canone, senza letture e parti cantate. La riforma più importante è dovuta a papa Gregorio che semplificò e riordinò il rito esistente e il Canone, e introdusse il canto che ha as-sunto il suo nome.

Tra VIII e XI secolo, l'altare fu posto in fondo all'abside, il sacerdote compiva il sacri-ficio volgendo le spalle all'assemblea, il clero assisteva davanti al popolo, l'altare as-sunse dimensioni maggiori col centro riservato alla liturgia eucaristica e i lati usati

Figura 23 - Elevazione

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per letture e orazioni. L'altare era posto alla sommità di una gradinata che rappre-sentava la salita al Golgota mentre le preghiere d’introduzione erano recitate ai pie-di della gradinata.

La Messa di Gregorio Magno si diffuse gra-dualmente e divenne predominante non soltanto in Italia ma anche oltre le Alpi, sia per il prestigio della Chiesa Romana con la tomba di Pietro e di molti martiri, e sia per l’assenza in Euro-pa di altre sedi impor-tanti.

Carlo Magno, per uni-formare la liturgia nel suo impero, incaricò il monaco Alcuino da York di preparare un unico messale. Lui aggiunse al Sacramenta-rio romano troppo scarno, parti di quello gallicano tra cui i riti della Settimana Santa, processioni e benedizioni come quelle della Candelora e della Domenica delle Pal-me.

Dall’VIII secolo il rito Romano, gradualmente, si diffuse in tutto l’Occidente, rimpiaz-zando le liturgie Gallicane con alcuni adattamenti come le preghiere ai piedi dell’altare e l’ultima parte della Messa.

Il Gloria, di origine gallicana, fu introdotto gradualmente, prima soltanto in forma cantata nelle messe festive dei vescovi. Il Credo giunse a Roma nel Secolo XI. Le pre-ghiere dell’Offertorio e il Lavabo furono introdotti non prima del XIV Secolo.

Il Messale di Pio V del 1570, compilato su indicazione dei Padri del Concilio di Trento (1545 -1563), si preoccupò delle revisioni protestanti, e dettagliò in termini chiari la dottrina eucaristica rivedendo e restaurando il messale per riportarlo il più possibile vicino agli usi e ai riti degli antichi Padri.

Poi si ebbero varie revisioni fino al Vaticano II ma furono solo aggiustamenti su parti collaterali, sui calendari e sulla parti musicali, come quelli di Clemente VIII, Urbano VIII, Pio X, Pio XII e Giovanni XXIII.

8.9 Rito Gallicano

Il rito Gallicano, il padre di tante liturgie, era celebrato nella Gallia, cioè Italia del nord, Francia, Belgio, Svizzera occidentale, Olanda, Germania fino alla riva occiden-

Figura 24- Altare a muro - Brinzio (Va)

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tale del Reno. Varianti erano presenti in Spagna, Gran Bretagna, altre zone d’Italia. Le liturgie gallicane ebbero origine in oriente, molto probabilmente ad Antiochia. Dopo la loro adozione a Milano nel IV secolo, all’epoca sede metropolitana del nord Italia e seconda sede per importanza, si diffuse in tutto l’Occidente.

8.10 Rito Ambrosiano

La città di Milano ha una variante del rito gallicano, il rito Ambrosiano che include l’intero Canone Romano ed è molto più romanizzato rispetto alle altre varianti. I mi-lanesi imbracciarono diverse volte le armi per resistere ai tentativi d’imposizione del rito Romano e ancor oggi è in vigore in più di mille parrocchie della Diocesi di Milano

e in un centinaio di parrocchie delle diocesi di: Lugano (55), Bergamo (30), Novara nella Pieve di Cannobio (7), Pavia (3), Como (3) e Lodi (2).

Milano era importante quanto Roma perché sede imperiale. Ambrogio, che Agostino chiamò vescovo d’Italia, durante il suo magistero formò una vasta dio-cesi con le città della Liguria ed Emilia. Quando l’imperatore la-sciò Milano, alcune città passa-rono nella Chiesa di Aquileia se-de della Diocesi nord orientale, e altre in quella dell’Emilia, dove si affermò Ravenna, mentre Bre-scia e Cremona rimasero nella diocesi.

Il grande ruolo di Ambrogio nel-la storia della chiesa e di Milano, è mostrato anche dall’unico e-

sempio dell’aggettivo ambrosiano usato civilmente come sinonimo di milanese. In quel periodo esistevano varie liturgie determinate da trascrizioni e adattamenti del-la tradizione orale. Egli diceva:

Desidero seguire in tutto la Chiesa Romana, ma tuttavia anche noi abbiamo, come gli altri uomini, il nostro modo di pensare, quindi, ciò che altrove si osser-va con fondate ragioni, anche noi lo conserviamo con fondate ragioni .

La liturgia, che Ambrogio comincia a definire, era recettiva degli influssi di quel-le gallicane, in un luogo spartiacque tra il Nord e il Sud Europa, ideale per un con-

Figura 25 – Sant Ambrogio - Vernon

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fronto tra le liturgie latine non romane, la liturgia romana e quella dell’impero d’Oriente arrivata coi monaci provenienti dalla Siria. La liturgia ambrosiana, arrivata sino a noi attraverso diverse redazioni e peripezie, malgrado i grandi sforzi per la riu-nificazione di tutti i riti voluta nell’VIII secolo da Carlo Magno che riuscì a riunire la maggior parte dei riti esistenti, costituisce un fatto importante e unico nell’Occidente, con le sole eccezioni di altre liturgie locali molto limitate.

La prima redazione completa fu terminata alla fine del XI secolo, e seguita da quelle importanti fatte dopo il concilio di Trento del 1563 per l'opera di san Carlo Borro-meo, e quella dopo il Concilio Vaticano II.

Ambrogio, profondo conoscitore della sacra scrittura, riformò tutta l’attività li-turgica. Definì testi e norme per: gli inni; l’officiatura giornaliera; la celebrazio-

ne eucaristica quotidiana; le letture, la catechesi; l’iniziazione con nome cristia-no; i gradi ministeriali, le ordinazioni solo di celibi e casti; la verginità consacra-

ta, il matrimonio solo tra cristiani preceduto dal fidanzamento; la penitenza pubblica per i peccati di particolare gravità; la purificazione dei peccati quoti-diani col digiuno, la preghiera e la carità; i rituali per la malattia e il lutto con la commemorazione del 3° e 30° giorno; il culto dei santi; l’eliminazione dei ban-chetti sulle tombe; le dedicazioni delle chiese ai martiri (a lui si deve la dedica-zione a Firenze della basilica di Vitale e Agricola con le loro reliquie rivenute poco prima a Bologna).

Queste sono alcune caratteristiche della liturgia ambrosiana che hanno influito sulla vita civile e religiosa della diocesi. Ancor oggi si possono facilmente distin-guere le differenze: nella diversa cadenza dell’anno liturgico; nelle feste; nella dura-ta dell’Avvento e della Quaresima; nella sospensione eucaristica i venerdì quaresi-mali; nelle celebrazioni del tempo pasquale; nella valorizzazione della Ascensione; nel significato della III domenica d’ottobre; e nella liturgia della Messa: la scelta delle letture; lo scambio della pace dopo la preghiera dei fedeli; il Credo dopo la presen-tazione delle offerte; e la molteplicità dei canti e delle antifone.

8.11 Rito Mozarabico

Variante del rito gallicano, era celebrato dagli arabi cristiani nelle zone della Spagna cadute sotto il dominio moresco dopo il 711. Dal XII secolo fu più volte ricondotto a quello Romano e sembrò scomparire, ma nel 1500 Cardinal Ximenes di Toledo, Sa-lamanca e Valladolid lo preservò per la Cattedrale, dove è celebrato anche oggi.

8.12 Rito Lionese

La diocesi di Lione fu eretta nel II secolo e fu insigne fin dall'epoca romana, ebbe martiri nel 177. Nel III secolo fu elevata ad arcidiocesi. Sviluppò nel IX un proprio rito e divenne dal XII secolo sede del primate delle Gallie. Il suo rito, è romano con alcuni elementi gallicani, con riti e feste proprie. Dopo la riforma del 1969 è celebrato solo in alcune chiese di Lione con preghiere, paramenti e gesti propri. Il santo Curato d'Ars celebrava con il rito di Lione e usava il Breviario Lionese.

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8.13 Rito Braghese

Braga è una delle più antiche diocesi del Portogallo esistente già nel IV secolo e dal XII secolo sede del Primate. Ha un suo rito, anticamente simile al rito Svevo poi scomparso, con elementi degli antichi riti romano e mozarabico. È celebrato dal VI secolo. Attualmente è facoltativo e convive con quello romano.

La Messa ha un proprio messale e alcune particolarità come: preghiere e segni pro-pri, il canone di Pio V, la triplice elevazione dell'Ostia consacrata, l’inginocchiarsi con entrambi i ginocchi ogni volta che è pronunciato il nome di Gesù e alla consacrazio-ne.

8.14 Rito Bizantino

È il rito orientale più celebrato nella chiesa cattolica dalle chiese separatesi dalla quella ortodossa da cui ha ereditato alcune caratteristiche. La Divina Liturgia, ossia la Messa, è celebrata normalmente secondo il formulario detto di Giovanni Criso-

stomo seguito ancor oggi da alcune chiese ortodosse.

La liturgia è divisa in diversi rami, che si distinguono tra loro per la lingua liturgica e alcune usanze particolari. La sua diffusione è dovuta, sia al prestigio di cui nell’antichità godeva Costantinopoli, quale capitale dell’impero, sia per l’attività

Figura 26 - Messa in rito bizantino

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svolta da missionari tra cui si ricordano Cirillo e Metodio. In Italia il rito è seguito dal-le comunità cattoliche di origine albanese giunte in Italia nei secoli XIV e XV che tut-tora conservano le antiche usanze e la lingua: in Calabria, nella diocesi di Lungro di Cosenza, e in Sicilia, nella Piana degli Albanesi di Palermo.

8.15 Rito Alessandrino

La chiesa riunita nel Patriarcato cattolico copto di Alessandria, consente anche agli uomini sposati di accedere al sacerdozio, ma non all'episcopato. Si esprime in due ri-ti principali: copto ed etiopico.

8.15.1 Rito copto

Originariamente si esprimeva in greco, ma dal secolo IX adottò l’antica lingua egizia-na e l’arabo. Il canone più utilizzato è quello di Basilio con quello di Gregorio di Na-zianzo per le grandi feste. Si attribuisce all'evangelista Marco la fondazione della Chiesa in Egitto, terra in cui, nel IV secolo, ha preso forma il movimento monastico, diffusosi poi in tutto il mondo.

La chiesa copta, ossia egiziana, si trova in Egitto e in Sudan, ha 250mila fedeli e, na-sce dal distacco dalla Chiesa copta ortodossa con 6-9 milioni di fedeli, per l’opera di Francescani e Gesuiti, che fondarono missioni al Cairo nel 1630 e nel 1675.

8.15.2 Rito etiopico

In Etiopia il cristianesimo ha origini antichissime ed è popolare e africano. Usa il tamburo e la danza, circoncide i bambini prima del battesimo.

Nel libro degli Atti degli Apostoli, si narra dell'apostolo Filippo (Atti 8,26-40) che battezza, primo pagano, un etiope. La prima evangeliz-zazione inizia nel IV secolo con Frumen-zio vescovo d’Etiopia. Nel cen-tro-nord ci sono tre diocesi di rito etio-pe, e nove di rito la-tino nel centro-sud.

8.16 Rito Caldeo

Comprende le varianti siriaca, persiana o malabarese (India). La tradizione lo fa risa-lire all'apostolo Tommaso prima del viaggio in l'India, che avrebbe curato la stesura

Figura 27 - Sposalizio in rito Etiopico

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della prima liturgia, riformata nel 650 dal patriarca Yeshuyab.

Alla fine del XIV secolo, Tamerlano mise in ginocchio la chiesa, riducendola a piccole comunità in Persia, Turchia, Cipro, India e a Socotra (Arabia) in cui nacquero le va-rianti al rito originario.

Prevede tre possibili canoni: di Addai e Mari, il più comune da cui deriva la versione malabarese, di Nestorio durante le feste di Epifania, di Giovanni Battista e dei Dotto-ri Greci, e quello di Teodoro di Mopsuestia, utilizzato in Avvento sino alla Domenica delle Palme.

I caldei hanno preso la confessione dal rito latino e l’unzione degli infermi dai riti bi-zantino e siriaco-occidentale. Utilizzano pane azzimo, mentre le altre varianti prepa-rano (prothesis) il pane lievitato, di farina mescolata con olio e sacro lievito (malka) tramandato dai santi padri Mar Addai e Mar Mari e Mar Tuma.

Il Battesimo è amministrato con la Cresima, come in uso in tutte le Chiese orientali. L'anno liturgico è suddiviso in periodi di circa sette o quattro settimane: Avvento, Annunciazione, Epifania, Quaresima, Pasqua, Apostoli, Estate, Elia e la Croce, Mosé e Dedicazione.

8.17 Rito Armeno

La tradizione vede gli apostoli Bartolomeo e Giuda Taddeo fondatori della chiesa. Nel 299 giunsero i primi missionari turchi con Gregorio l'Illuminatore e convertirono il re Tiridate e tutto il suo popolo. Il rito armeno nasce nel IV secolo sul mo-dello dell'antico ri-to di Gerusalemme unitamente all'al-fabeto armeno i-deato dal monaco Mesrop (+440). La vicenda storica de-gli armeni è sem-pre stata molto tormentata e dopo la prima guerra mondiale il genoci-

dio e la diaspora hanno completamente ridisegnato la presenza della chiesa armena cattolica e orto-dossa. Dal XIX secolo è sorto anche un gruppo di chiese protestanti con 150 mila fe-deli.

Figura 28 - Consacrazione altare in rito armeno

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Oggi il patriarcato cattolico è presente in Libano, Siria, Iran, Egitto, Grecia, Francia, Romania; Gerusalemme, Argentina, Europa e Armenia e ha un rito con elementi dei riti romano e bizantino.

Il bacio della pace avviene prima della consacrazione come nel rito ambrosiano, la preghiera eucaristica è unica e l’invocazione dello Spirito Santo è fatta dopo la ripe-tizione delle parole di Gesù per la consacrazione. La preghiera universale è recitata prima della benedizione finale, mentre dopo è recitata una preghiera per il papa.

9 Messa tridentina

La Messa tridentina fu la forma normale del rito romano stabilita nel 1570 su indica-zioni del Concilio di Trento e celebrata fino alla riforma liturgica del 1969 voluta dal Vaticano II. Dopo è rimasta come rito straordinario da celebrare col consenso dei vescovi e come rito ordinario in alcuni luoghi e per alcuni ordini.

Prima del Concilio di Trento, pur con la stessa struttura risalente a Gregorio VII, esi-stevano moltissime versioni della liturgia legate a tradizioni locali, ordini religiosi e confraternite, con aggiunte, preghiere e segni propri, e diverso ordine di alcune par-ti.

La nuova redazione eliminò le aggiunte di gesti, preghiere, invocazioni, soprattutto ai santi, estranee allo spirito del rito e diede maggior spazio alle letture, rese pubbli-che alcune preghiere prima recitate in segreto dal sacerdote in sacrestia, aggiunse alcuni momenti significativi, stabilì colori e forme dei paramenti, disposizione degli altari e altri dettagli del culto, per riportarli allo spirito originario.

Stabilì la celebrazione di almeno una Messa al giorno in ogni monastero o parrocchia e questo comportò di ordinare un maggior numero di monaci prima prevalentemen-te laici, e l’obbligo per ogni sacerdote di celebrare giornalmente. Classificò le messe in Messa Alta o Solenne, e Messa bassa o privata, quella semplificata più comune-mente celebrata da un solo prete con l'assistenza di uno o due chierichetti e senza altri ministri del culto.

La Messa Alta, invece, era quella cantata o con la partecipazione di diaconi o suddia-coni, a volte sostituiti da altri sacerdoti, o celebrata dal Papa o dai vescovi.

10 La Messa attuale

La riforma liturgica seguita al Vaticano II ha rivisto i riti stabiliti dal Concilio di Trento e ha introdotto nelle celebrazioni liturgiche, le lingue nazionali al posto di quella ca-nonica latina. Ha inoltre previsto la revisione dei libri liturgici per proporre nelle li-turgie una lettura più abbondante, più varia e meglio scelta della Sacra Scrittura. Ha raccomandato semplicità e decoro con riti trasparenti, brevi, privi d’inutili ripetizioni e adattati alla capacità di comprensione dei fedeli, affinché non assistessero come estranei o muti spettatori, ma comprendessero bene i riti e le preghiere per parteci-pare all'azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente, nutrendosi alla

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mensa della Parola e del Corpo del Signore.

Ha eliminato in tutte le cerimonie ogni preferenza per persone private, fatti salvi gli onori dovuti alle autorità civili, per preferire celebrazioni comunitarie, come sacra-mento dell'unità e della partecipazione attiva dei fedeli tramite acclamazioni, rispo-ste, salmi, antifone, canti, nonché gesti e momenti di silenzio. A tale scopo ha stabili-to che l'altare della celebrazione fosse collocato all'esterno del presbiterio, rivolto verso l'assemblea e separato da quello maggiore col tabernacolo posto di norma nel presbiteri e aperto soprattutto a donne e coristi che prima erano interdetti.

Ha evidenziato la necessità di una predicazione che attinga anzitutto alle fonti della Sacra Scrittura e della liturgia e raccomandi le norme della vita cristiana, attinte dal testo sacro. Inoltre ha regolamentato la comunione, prima somministrata ai fedeli inginocchiati alla balaustra, per una somministrazione in piedi sulla lingua oppure sulle mani ai fedeli che in processione si presentano davanti all’altare, con la possibi-lità di assumerla anche sotto le due specie in celebrazioni di particolare significativi-tà, per intinzione o per bevuta diretta dal calice del vino.

Inoltre ha chiarito la suddivisione della Messa in parti con una struttura ispirata al passato ma con significative modifiche.

10.1 Riti d'ingresso

Comprendono il saluto, la confessione comunitaria, il Gloria, oltre ad alcune preghie-re e canti. Nel rito ambrosiano nella Messa della Vigilia è proclamato un brano dei Vangeli riferito alla Resurrezione.

10.2 Liturgia della parola

Comprende: due letture nelle messe festive e di norma una in quelle feriali tratte dall’Antico e Nuovo Testamento; il Salmo; la lettura del Vangelo preceduta dal canto dell’Alleluia e seguita dall’omelia. Dopo prevede la recita del Credo solo per il rito romano, e la Preghiera dei fedeli, seguita nel rito ambrosiano dallo scambio della pace.

10.3 Liturgia eucaristica

La celebrazione della liturgia eucaristica ripresenta i gesti di Gesù nell’Ultima cena. Inizia con l’offertorio, la processione di alcuni fedeli con le offerte accompagnata da un canto, poi nel rito ambrosiano la recita del Credo, infine la recita sacerdotale del-la preghiera sulle offerte che precede la Preghiera eucaristica.

10.3.1 Preghiera eucaristica

Chiamata anche Canone, inizia con la preghiera del Prefazio, seguita dall’acclama-zione del Santo, l’invocazione al Padre che mandi lo Spirito Santo (Epiclesi) per tra-sformare il pane e il vino nel corpo e il sangue di Cristo, la consacrazione con la pro-clamazione delle parole con cui Gesù istituì l’eucarestia, l’elevazione, la celebrazione della sua memoria (Anamnesi), l’offerta a Dio di se stessi e della vittima, la richiesta d’intercessione della chiesa celeste e la glorificazione di Dio.

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10.3.2 Riti della comunione

Iniziano con Frazione del pane, il gesto compiuto da Cristo nell'Ultima Cena, seguita dal Padre Nostro, la preghiera per la pace, che nel rito romano è seguita dallo scam-bio della pace, la preghiera di preparazione alla comunione, e dopo la comunione del sacerdote, la processione dei fedeli che si recano cantando all’altare per ricevere il pane spezzato, rappresentato dalle ostie.

10.4 Riti di congedo

Al termine della liturgia eucaristica vengono dati gli eventuali avvisi ai fedeli sulla vi-ta comunitaria, il saluto finale e la benedizione.

11 Dalla Messa tridentina al Vaticano II

Dalle memorie di Enzo Bianchi: Nei paesi di campagna come il mio, la Messa feriale era celebrata alle 6 del mat-tino: un orario che veniva incontro ai bisogni della gente, in particolare delle don-ne, le quali più tardi dovevano lavorare in casa. Alle 6 ero in sacrestia e aiutavo il parroco a vestirsi: lui, dopo averlo baciato, metteva l’amitto sulle spalle e intorno al collo, poi indossava il camice, prendeva il cingolo e la stola che gli porgevo, poi indossava la pianeta e io gli legavo il manipolo. A quel punto il prete era pronto e, dopo aver fatto un inchino, ci si avviava verso la chiesa. Io davanti portavo il mes-sale aperto appoggiato sul cuore. Il sacrestano dava un colpo di campana.

Nei primi banchi vi erano due o tre suore, la perpetua del parroco, qualche donna anziana; nei banchi dall’altra parte della chiesa stava una famiglia, quella che a-veva «ordinato» la Messa per il suo caro defunto. In fondo alla chiesa vi erano qualche donna e qualche uomo chiamati «quelli della soglia». In tutto vi erano tra le dieci e le quindici persone. Io e il mio parroco avevamo la consapevolezza di stare lì per tutti i cristiani del paese. Giunti all’altare, dopo la genuflessione si sa-liva per portarvi calice e patena coperti dal velo e collocare il messale sul leggio. Pregavamo il salmo 41 a cui mi immedesimavo perché la mia vita era dura e se-gnata anche dalla sofferenza. Seguiva la confessione dei peccati. Il prete la faceva per primo ed io lo assolvevo. Poi mi confessavo io ed egli mi assolveva, o meglio, assolveva tutti i presenti che però non potevano sentire. Il prete mi spiegava: «La gente non sa il latino, quindi non può capire. Alla gente basta “assistere alla Mes-sa” e pregare come sa fare, con il rosario o le altre preghiere». In verità non si sa-rebbe nemmeno osato pensare il concetto di «assemblea». I fedeli erano pensati e trattati come «presenti assenti». Neanche le fedelissime suore avevano un mes-salino su cui seguire la celebrazione.

Ciò che poteva essere cantato dalla gente era irrilevante per la validità della Mes-sa. I canti o le eventuali risposte della gente erano decorativi, ma non necessari. La presenza e le risposte del chierichetto al prete erano essenziali per la celebra-zione: egli era una sorta di chierico virtuale. Io imparai molto presto il latino, e co-sì potevo seguire tutte le parole bisbigliate dal prete; sentivo però, dietro le spal-

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le, anche il brusio della gente che recitava il rosario. Ogni tanto il prete si voltava verso la gente dicendo: «Dominus vobiscum», ma ero solo io a rispondere. Tutta-via a un certo punto, quando, dopo il prefazio, proclamavo il Sanctus e suonavo tre colpi di campanello, ecco che il brusio cessava e tutti, inginocchiatisi, guarda-vano il prete che all’altare, inchinato sull’ostia e sul calice, pronunciava a voce bassissima le parole della consacrazione. Tutti sapevano, che quello era il mo-mento culminante della Messa, che infondeva timore. Occorreva assolutamente tacere e fare attenzione; era il fascinosum et tremendum, che si imponeva anche a rozza gente di campagna! Tutti gli sguardi erano fissi alla schiena inclinata del prete, in attesa che apparissero sopra il suo capo, levati in alto dalle sue mani, l’ostia e poi il calice. Anche qui il campanello ritmava i movimenti del prete che s’inginocchiava dopo le elevazioni. Uno squillo continuo del campanello, che io fa-cevo girare con arte, indicava la fine della consacrazione. Aver visto l’ostia e il ca-lice per molti era l’elemento decisivo nella Messa, la massima comunione possibi-le, perché quasi nessuno poi accedeva alla comunione del corpo del Signore.

La comunione era praticata da pochissimi. Era necessario comunicarsi almeno una volta all’anno e nessuno, a parte le suore e me, si sentivano di fare la comu-nione quotidianamente. La comunione non si faceva durante la Messa: al mo-mento della comunione solo il prete si comunicava, poi la Messa finiva. Dopo es-sere rientrato in sacrestia e aver deposto la pianeta, ci comunicava, inginocchiati alla balaustra. Questa era la Messa feriale e quotidiana, che durava tra i venti e i venticinque minuti.

Ricordo anche che il mio parroco, ritenuto un innovatore e a volte per questo bia-simato dal vescovo, a partire dal 1951 mi faceva leggere in italiano dalla balau-stra le letture che lui simultaneamente leggeva a bassa voce in latino sull’altare. Allora la gente faceva silenzio, ascoltava, come all’elevazione: erano gli unici momenti in cui si sospendevano le devozioni parallele.

Alla domenica invece le messe erano tre: alle 6 per le donne, che poi dovevano andare a casa a preparare il pranzo; alle 8 per i ragazzi, seguita dall’ora di cate-chismo; alle 11 la «Messa grande», soprattutto per gli uomini e i giovani, dove la cantoria eseguiva in gregoriano la Missa de angelis. All’inizio e alla fine si canta-vano brutti inni con parole cariche di sentimentalismo che la gente sentiva suoi e cantava con passione. Non mancava la predica, adattata all’uditorio. Nel primo dopoguerra veniva un «giuseppino» o un passionista e, per non rendere la Messa troppo lunga, predicava durante lo svolgimento del rito. Si fermava solo al mo-mento del Sanctus, s’inginocchiava anche lui in direzione dell’altare e riprendeva la predica dopo la consacrazione. Si trattava di prediche, per ricordare: l’etica cri-stiana, la difesa della chiesa, la lotta contro l’ateismo, il comunismo e il venir me-no della rigorosa morale sessuale, in una società che perdeva i suoi parametri e conosceva una nuova cultura, sempre più intrisa d’individualismo e di libertà. Molti uomini durante la predica restavano fuori, formando capannelli. Io dovevo

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uscire per forzarli a entrare prima che ci fosse l’offertorio, avvertendoli che altri-menti la loro Messa non sarebbe stata valida. Quelli che entravano, uscivano di nuovo sul sagrato dopo il Padre nostro, dicendo con sollievo: «È finita!», e si la-mentavano della predica borbottando.

Vorrei anche ricordare la Messa molto solenne dei funerali e dei suffragi delle persone ricche che si potevano pagare la «Messa grande levitica» in cui venivano da fuori altri due preti. Era una Messa che stupiva per la solennità, per il canto della cantoria, per la presenza di un catafalco altissimo e ornato con numerose candele, diverso da quello per i poveri, montato appositamente per accogliere la bara o, nel suffragio, per fingere che vi fosse e che veniva pure incensato. Nei pic-coli paesi come il mio era un evento raro da vedere, e il sentimento prevalente era la meraviglia per il suo carattere solenne, grandioso e spettacolare.

Un evento molto significativo fu poi la riforma della settimana santa voluta da Pio XII all’inizio degli anni ‘50. Per me che avevo dieci anni si trattava di imparare nuovi riti insieme al parroco: l’introduzione della lavanda dei piedi il giovedì santo sera, la veglia pasquale nella notte tra il sabato e la domenica apparivano come novità che richiedevano impegno e dedizione. Sì, perché fino al 1954 «Gesù Cristo risorgeva il sabato santo mattina». La liturgia pasquale avveniva infatti verso le 9 del mattino, in una chiesa oscurata da tende in modo da poter celebrare la luce della resurrezione. In chiesa eravamo pochissimi, meno che in una Messa feriale alla quale partecipavano i parenti del morto. Verso le 10,30 si sentiva il suono del-le campane, sciolte alla lettura del «Gloria in excelsis Deo» dopo essere state le-gate il giovedì santo sera, e la gente che restava a casa correva verso i ruscelli per lavarsi la faccia. Questa era allora la celebrazione della resurrezione di Gesù. Non fu dunque facile far accettare quella prima riforma liturgica. Io, il parroco, le suo-re e qualcuno dei cristiani più istruiti imparavamo a capire la grandezza del miste-ro delle resurrezione; per altri invece il commento era: «Ci cambiano perfino la Pasqua!». Una reazione non molto diversa da quella suscitata dalla successiva ri-forma liturgica del Vaticano II, quando l’esclamazione diventò: «Ci cambiano an-che la Messa!».

Approdato a Torino per l’università, frequentavo sempre ogni giorno la Messa, ma non più come chierichetto. Qui ricordo tante messe dette in fretta al santuario della Consolata in diversi altari contemporaneamente. Occorreva dare vita a una riforma liturgica. Se ne sentiva il bisogno. Poco per volta, arrivarono le novità. Non ci fu rivolta da parte della gente, ma piuttosto una passiva accoglienza. E l’esclamazione: «Ci cambiano anche la Messa!» era priva di amarezza, quasi una battuta, in quell’ora in cui nell’Italia del boom economico tutto stava cambiando. Poco a poco la riforma liturgica cambiò profondamente il modo di andare a Mes-sa, «dal prendere Messa» al «partecipare alla Messa». In primo luogo tutti furono grati dell’introduzione della lingua italiana, perché finalmente potevano com-prendere parole che fino a quel momento sembravano monopolio del presbitero e

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del chierichetto. Ciò che il presbitero faceva all’altare non era più oscuro, segreto, per alcuni magico, ma era qualcosa di comprensibile e sempre più riferito a ciò che Gesù aveva fatto e detto.

12 Comunione spirituale

Per comunione spirituale, praticata soprattutto dalle chiese protestanti, s’intende una preghiera mediante la quale il fedele ricerca un rapporto più intimo con Gesù senza ricevere l'ostia consacrata che non può sostituire. È usata quando il fedele è materialmente o moralmente impossibilitato a ricevere la Comunione sacramentale o non crede nella reale presenza di Cristo nel pane e nel vino consacrati. È ricevibile in qualsiasi momento e luogo.

13 I miracoli eucaristici

A partire dai primi secoli, numerosi sono i miracoli legati all’Eucarestia, segnalati in numerosi luoghi di tutto il mondo. La maggioranza di questi parla del pane che si trasforma in carne o sangue. Una mostra recente ne ha documentati 120 di oltre 15 nazioni. Ma numerose sono anche le visioni e i miracoli, così come sono numerosi i mistici e i santi che sono stati protagonisti di eventi straordinari collegati all’eucarestia, tra i quali: Francesco d'Assisi, Caterina da Siena, Ignazio di Loyola, Te-resa d'Avila, Tommaso d'Aquino, Bernardo di Chiaravalle, Giovanni Bosco, Margheri-ta Maria Alacoque e Angela da Foligno. In certi casi sono state segnalate levitazioni o illuminazioni dell'Ostia.

Particolare è il miracolo di Sant'Anto-

nio che a Rimini affrontò Bonvillo capo degli eretici, che avevano trasformato la Messa in cena semplice memoriale. Questi lo sfidò:

Meno parole, se volete che io creda in questo mistero, è neces-sario che il mio mulo, lasciato per tre giorni senza mangiare e por-tato davanti al lei incurante del mangime s’inginocchi ad adorare il vostro pane.

Antonio accettò e si ritirò in preghiera e digiuno. Scaduti i tre giorni, si recò in piazza con un ostensorio con l’Ostia consacrata, mentre veniva portato il mulo affamato. Il santo gli disse:

Nel nome del Signore che io ho nelle mie mani, benché indegno ti comando di venire e piegarti al nostro Crea-tore …

Figura 29 - Reliquia di Bolsena

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Mentre il Santo diceva queste parole, l’eretico versava l'orzo davanti al mulo, che lentamente si recò davanti al santo e piegò le ginocchia e li rimase sino a quando non gli permise di alzarsi e mangiare.

Un altro tipo di miracolo è quello testimoniato dal dottor Franz Wesener, medico ateo divenuto credente, che aveva in cura Anna Katharina Emmerick. Per undici an-ni tenne un diario dei fenomeni occorsi alla sua paziente e testimoniò che si nutriva solo dell'Ostia consacrata e di qualche goccia d'acqua o di succo di frutta. La stessa cosa è successa ad altri mistici come Teresa Neumann, Alexandrina Maria da Costa,

e Marthe Robin.

Non mancano anche le guarigioni, come quelle documentate a Lourdes avvenute durante la processione pomeridiana con il Santissimo Sacramento.

Il miracolo più famoso è quello del 1263 a Castello di Bolsena, dove un monaco germanico mise in dubbio la reale presenza di Gesù nell'Ostia. Al momento dell'ele-vazione, all'improvviso la vide trasformarsi in vera Carne, irrorata di abbondante sangue tale macchiare una benda che serviva per pulire il calice. Il sacerdote stupito cercava di coprire il prodigio sotto il corporale ma le gocce di Sangue, che continua-vano a sgorgare, bagnavano anche questo che è ancora oggi custodito in un reliquia-rio nel Duomo di Orvieto, con macchie a forma di uomo.

14 Chiesa Ortodossa ed Eucarestia

La Chiesa Ortodossa, che riconosce il primato del Patriarca di Costantinopoli, e si di-vise col Grande Scisma da quella di Ro-ma nell'anno 1054 seguendo le sorti dell’Impero romano d’oriente, è distinta in 15 Chiese autocefale e autonome con quattro antichi Patriarcati: Costantino-poli, Alessandria, Antiochia, Gerusa-lemme, a cui si sono aggiunti quelli di Mosca, Romania, Bulgaria, Serbia, e le chiese autonome di alcuni stati come Grecia, Cipro, Finlandia e Albania.

Ciascuna di queste comunità celebra nella propria lingua la Divina Liturgia

che prevede sempre la comunione nelle due specie, di norma mescolate, som-ministrata a qualunque età, anche a ne-onati, purché battezzati. Usa il pane

fermentato, chiamato agnello, fatto di grosse pagnotte (prosfora) che le donne por-tano alla porta della chiesa prima della funzione. Poi i sacerdoti e i diaconi lo smi-nuzzano dietro l’iconostasi nella parte nascosta della chiesa, con un coltello, chia-

Figura 30 - Sacerdote nei riti di Pasqua - Mosca

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mato lancia, a ricordo di quella che trafisse il Cristo sulla croce, e lo mischiano nel calice, il Potir, con

vino rosso e acqua tiepida che verrà poi consacrato e somministrato alla comunione con un lungo cuc-

chiaino d'oro.

Alla comunione si presentano, prima i bambini e poi gli adulti, con le mani a forma di croce sul petto. I diaconi sorreggono un velo sotto i comunicandi per evitare la caduta delle specie e asciugare le loro labbra. Dopo essersi comunicati, i fedeli baciano la parte bassa del calice.

Terminato il rito della comunione, i fedeli ascoltano una preghiera di ringraziamento e a volte l'omelia del sacerdote. Il rito può durare più ore e i fedeli spesso più volte escono e rientrano dal tempio.

Il pane non usato per la consacrazione è benedetto e distribuito ai fedeli che posso-no consumarlo a casa durante la settimana e portarlo agli ammalati. Questo pane chiamato anti-

doron (al posto del dono) può anche sostitui-re l'Eucarestia quando un fe-dele non la può ricevere per un qualsiasi moti-vo, e lo può mangiare con un po' di vino o acqua benedet-ta in una mensa secondaria, su-bito dopo la comunione.

15 Chiese protestanti ed Eucaristia

Il protestantesimo prende l’avvio nel 1517 con la pubblicazione della 95 Tesi del monaco agostiniano Martin Lutero, in cui erano criticate le cariche ecclesiastiche che cumulavano più rendite senza svolgere il relativo ministero, senza peraltro met-tere in discussione la struttura della Chiesa. Lutero ebbe il sostegno di numerosi principi tedeschi che videro la possibilità di impadronirsi delle proprietà della chiesa

Figura 32 - Comunione ortodossa

Figura 31 - La Prosfora

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e acquisirne le rendite. Probabilmente la protesta non avrebbe avuto successo, co-me era capitato alla quasi totalità delle dispute teologiche che si erano susseguite sin dalle origini del cristianesimo, se non fosse stato firmato il 25 settembre 1555 il trattato della Pace di Augusta, tra tutti i principi, le città e gli stati del Sacro Romano Impero, e poi non fosse stato ratificato dall’imperatore Ferdinando I d'Asburgo che era ormai impossibilitato a mantenere l'unità religiosa dell'impero, sia per le guerre civili promosse dai movimenti nazionalisti che strumentalizzavano le questioni reli-giose, e sia per la minaccia dei Turchi alle frontiere sud orientali.

Nel trattato era stabilita la formula: cuius regio eius religio, ossia la religione sia

quella di chi governa, che permetteva ai governanti di imporre la scelta religiosa e negava tolleranza e libertà di coscienza, in contrasto con quanto gli stessi sostenitori di Lutero avevano proclamato nel loro bando del 1521 nel quale dichiaravano invio-labili i diritti della coscienza, della parola di Dio e della libera predicazione. Questo documento iniziava con la parola protestamur, ovvero dichiariamo solennemente

da cui derivò il termine protestante.

Nel 1519, dopo la rottura definitiva con Roma durante il papato di Leone X, Lutero allargò le sue tesi e nel 1520 pubblicò: La libertà del cristiano, La cattività babilonese della Chiesa, Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca che portarono alla sua scomu-nica. Dopo un ultimo tentativo di conciliazione nel 1521, si rifugiò in Sassonia, dove tradusse la Bibbia in tedesco, scrisse alcuni inni e dettò le linee generali per l'orga-nizzazione della Chiesa evangelica della Sassonia, fornendo il modello fondamentale alle altre chiese luterane.

Nel 1525 Lutero abbandonò la vita pubblica e la veste religiosa, sposò l’ex-monaca Katharina von Bora, da cui ebbe sei figli, e pubblicò La Messa tedesca e Del servo

arbitrio in polemica con Erasmo. Seguirono poi numerosi altri scritti.

Sull’esempio di Lutero sorsero altri contestatori che diedero vita ad altre chiese tra cui quelle degli Anabattisti, Avventisti, Battisti, Calvinisti, Metodisti, Pentecostali, Quaccheri, Valdesi e Unitari. In Inghilterra si ebbe lo scisma degli Anglicani che si de-finiscono cattolici non romani e riformati non protestanti.

La maggior parte di queste chiese nacque nel corso del XVI secolo da un ampio nu-mero di piccole sette basate sul rifiuto dell'autorità tradizionale e sull'esaltazione del giudizio individuale, che furono perseguitate tanto da cattolici quanto da luterani e altri protestanti.

Il primo movimento riformatore contemporaneo della Riforma tedesca, fu guidato dal pastore svizzero Huldrych Zwingli, che sosteneva il significato puramente simbo-

lico del pane e del vino, fu ucciso nelle guerre civili che scoppiarono tra il 1529 e il 1531. Lasciò il testimone a Giovanni Calvino, teologo protestante francese, sfuggito nel 1536 alle persecuzioni insieme con altri pastori, e rifugiatosi a Ginevra, dove por-tò a sviluppi estremi la dottrina di Lutero con una visione di un Dio esigente.

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L'organizzazione calvinista della Chiesa, che accoglieva anche governanti, portò di fatto a una teocrazia. Calvino soppresse tutte le cerimonie di culto, tolse dalle chiese l'altare, il crocifisso, le immagini e ogni ornamento, considerandoli forme di idolatri-a; e vietò: danze; giochi d'azzardo; altri svaghi; bestemmie; e oscenità. Erano previ-ste pene severe, che per i recidivi potevano arrivare sino alla condanna a morte.

In Francia i calvinisti ebbero l’appellativo di Ugonotti e furono al centro di sanguino-se guerre civili. In Inghilterra furono denominati puritani; e i più radicali di essi costi-tuirono la setta degli indipendenti, la cui principale figura fu Cromwell. Più tardi gli indipendenti si divisero in vari gruppi tra cui battisti e quaccheri.

I luterani hanno vescovi e pastori, come gli anglicani e i cattolici, nominati dal cardi-nale primate o direttamente dal re, i calvinisti hanno anziani responsabili della co-munità cristiana locale, eletti dall’assemblea, che si riuniscono in un organismo su-periore chiamato presbiterio che amministra l’insieme delle comunità ed elegge dei rappresentanti per il sinodo che raccoglie i rappresentanti dei diversi presbiteri.

Con le altre chiese, che non hanno strutture centralizzate ma sono costituite da as-sociazioni di fedeli, aderiscono a federazioni che assicurano un certo grado di unità, ma lasciano la piena autonomia alle singole chiese. In Italia, le associazioni sono 66

Figura 33 - Pastora in una chiesa protestante di Rotterdam

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con circa tre milioni di fedeli.

Vi sono inoltre gruppi religiosi, sorti nell'ambito del protestantesimo ma poi stacca-tesi, come i Testimoni di Geova e i Mormoni, che non sono considerati cristiani dalle chiese: cattoliche, ortodosse e protestanti, in quanto non riconoscono la divinità di Gesù Cristo.

Il protestantesimo si caratterizza per un’estrema varietà delle confessioni di fede, con alcune parti comuni quali: la libera interpretazione della Bibbia, la giustificazione per sola fede e non per i propri comportamenti, la natura umana intrinsecamente malvagia salvata dal sacrificio di Gesù. Non accettano Maria e i Santi come interme-diari con Dio, e credono di dover rispondere all'amore gratuito di Dio mediante un comportamento a lui gradito.

Accettano solo alcuni sacramenti. Alcune credono nella predestinazione. Di norma hanno un’accentuata dipendenza dallo stato, come in alcune monarchie nord euro-pee, e inizialmente anche in Germania, dove il sovrano è anche supremo governato-re della Chiesa. Gli Anabattisti, Quaccheri e Sociniani invece rivendicano l’indipen-denza dal potere civile.

Anche la Bibbia utilizzata dai pro-testanti è diversa da quella della chiesa cattolica che include i libri di Tobia, Giuditta, Sapienza, Eccle-siastico, Baruch, I e II libro dei Maccabei e parti dei libri di Ester e Daniele. Questi libri sono inclusi nella versione dei Settanta, scritta in greco da 72 studiosi ebrei tra i III e il II a.C, anticamente usata nelle sinagoghe ebraiche, da scrittori ebrei e dalle più antiche Bibbie cri-stiane. È anche la più utilizzata da-gli Apostoli, dagli Evangelisti, dai Padri Apostolici e dagli Ebrei dei primi secoli. Fu Martin Lutero a ritornare all’Antico Canone Ebraico per contestare alcuni insegnamenti tratti dai libri esclusi, tra cui quello sul Purgatorio.

I protestanti usano per la loro funzione domenicale, i termini: Santa Cena, Cena del

Signore (Lord's Supper), Comunione, o a volte anche Eucaristia. Per Lutero tutta la cerimonia è banchetto e memoriale legato all’ascolto e alla rievocazione di un avve-nimento storico dove Dio si manifesta, in ciascuno dei membri nella comunità, con-vocati attorno alla Santa Mensa per celebrare la Cena e ascoltare la Parola. La Santa

Cena è uno dei due sacramenti, accanto al Battesimo, riconosciuti dalle Chiese pro-testanti dove alcuni accettano parzialmente la Confessione. Il matrimonio e l'ordine

Figura 34 - Comunione luterana

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sacro sono considerati solo riti ecclesiastici.

Nelle varie chiese però le posizioni sul significato dell’eucarestia sono diverse, ad

esempio i luterani chiamano l'Eucaristia, Sacramento dell'Altare, e credono nella consustanziazione, ossia nella presenza reale di Gesù insieme al pane e al vino, mentre i calvinisti ritengono la Cena del Signore una commemorazione del sacrificio e ritengono il pane e il vino, solo simboli del corpo Cristo.

16 Conclusione

Questa veloce carrellata, limitata alla Messa e all’Eucarestia, mostra quanto siano profonde le loro radici a partire dalla storia ebraica, ma mostrano anche i guasti che gli uomini hanno prodotto pur conoscendo gli insegnamenti di Cristo che volevano una chiesa unica e universale in cui ogni uomo sa di essere amato da Dio e con lo stesso amore ama il suo prossimo.

Dio c’è sempre stato e sempre ci sarà, anche prima del popolo ebreo, e ama tutti gli uomini dovunque essi siano e qualunque cosa credano, ma sta all’uomo trovare la strada più diritta per arrivare al suo cuore. Ma, comunque vadano le cose, rimane la certezza del popolo eletto: noi stiamo camminando verso la fine dei tempi in cui Dio completerà il suo progetto di perfe-zione e armonia.

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17 Bibliografia

• Il catechismo della chiesa cattolica

• Note sulla liturgia bizantina, Giovanni Fabiani

• E la Messa iniziò a guardare in alto, Roberto Beretta

• Dalla Messa tridentina alla riforma liturgica del Vaticano II, Enzo Bianchi e i siti:

• ilritorno.it

• introiboadaltaredei

• miracolieucaristici.org

• monasterodibose.it

• morasha.it

• nostreradici.it

• paginecattoliche.it

• orologimeccanici.com

• pierluigimontalbano.com

• quellidellavia.it

• pontifex.roma.it

• romaebraica.it

• studibibblici.eu

• gaiarinaldelli.it

• wikipedia.org

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L’autore

Luciano Folpini è nato a Milano nel 1939, dove a sempre vissuto, salvo una breve pa-rentesi a Bergamo, e dove per lunghi anni ha svolto il ruolo di dirigente. Dal 2000 ri-siede a Gavirate in provincia di Varese. Ha pubblicato numerosi articoli e tre libri illustrati: Storia di una lunga fede, La Ver-gine Maria e la Passione, Maria nella grande storia, la Vergine raccontata dai testi-moni, e Le nostre storie, Un viso una storia. Attualmente sta curando nella collana: Le radici, una serie di saggi divulgativi sui grandi temi della fede cristiana.